articolo completo in pdf

Transcript

articolo completo in pdf
G It Diabetol Metab 2015;35:196-204
Rassegna
Ipoglicemia: implicazioni cliniche
e impatto sulla salute
RIASSUNTO
L’ipoglicemia nella persona con diabete riconosce essenzialmente una causa iatrogena. Le sue conseguenze cliniche coinvolgono una molteplicità di organi e apparati e possono essere
devastanti. L’ipoglicemia paga un contributo rilevante in termini
di morbilità, rischio di mortalità e aggravio della spesa sanitaria.
Ultimo, ma non meno importante, l’ipoglicemia impatta in maniera pesante sulla qualità di vita delle persone con diabete
e ostacola il raggiungimento del buon controllo glicemico e, di
conseguenza, la prevenzione delle complicanze micro- e
macroangiopatiche.
La prevenzione del rischio di ipoglicemia deve pertanto diventare uno degli obiettivi principali nella terapia dell’iperglicemia,
soprattutto qualora l’obiettivo glicemico sia ambizioso. Ne consegue che oggi il buon controllo glicemico non significa solo il
raggiungimento e il mantenimento della quasi-normoglicemia,
ma anche la riduzione al minimo del rischio di ipoglicemia. Persone, con diabete sia di tipo 1 sia di tipo 2, particolarmente vulnerabili al rischio di ipoglicemie, devono essere oggetto di
estrema cura da parte del diabetologo affinché sia predisposta
la strategia educativa e terapeutica più appropriata per prevenire l’ipoglicemia.
SUMMARY
Hypoglycemia: clinical implications and impact on health
Hypoglycemia in persons with diabetes has a iatrogenic cause,
inducing recurrent symptomatic and sometimes disabling
episodes, involving several organs and systems. Iatrogenic hypoglycemia has a heavy impact on a patient’s quality of life and
is the main barrier to the implementation of intensive treatment
from both the physician’s and the patient’s perspective, precluding the full achievement of the potential benefits of good
glycemic control. The challenge for patients and doctors is to
achieve a fine balance between near-normal glucose control
and minimal risk of hypoglycemia. This goal can be achieved if
doctors and patients, with their different clinical needs, are continually educated about making the best use of insulin and/or
oral drugs.
F. Porcellati, G.B. Bolli, C.G. Fanelli
Dipartimento di Medicina Interna,
Università degli Studi di Perugia, Perugia
Corrispondenza: dott.ssa Francesca Porcellati,
Dipartimento di Medicina Interna, Università di Perugia,
via E. Dal Pozzo, 06126 Perugia
e-mail: [email protected]
G It Diabetol Metab 2015;35:196-204
Pervenuto in Redazione l’11-07-2015
Accettato per la pubblicazione il 22-07-2015
Parole chiave: ipoglicemia, rischio cardiovascolare,
hypoglycemia unawareness, educazione
Key words: hypoglycemia, cardiovascular risk,
hypoglycemia unawareness, education
Ipoglicemia: implicazioni cliniche e impatto sulla salute
Introduzione
Un complesso sistema di networking cerebrale, ove si attivano e integrano azioni complesse di natura neuroendocrina
e ormonale, risposte emodinamiche e comportamentali,
rende ragione del perché l’ipoglicemia, a eccezione di quella
iatrogena indotta dalla terapia ipoglicemizzante del diabete,
sia generalmente un evento assai raro. L’efficacia dei sistemi
fisiologici preposti alla controregolazione glucidica è, infatti,
condizionata dalla stretta dipendenza del metabolismo e della
funzione cerebrale dal continuo rifornimento di glucosio da
parte del circolo arterioso. Non sorprende, pertanto, che la
natura abbia fatto evolvere sistemi omeostatici sofisticati per
prevenire e/o correggere una eventuale ipoglicemia, sia in
condizioni più strettamente “fisiologiche”, quali il digiuno notturno, sia in alcune condizioni critiche, quali il digiuno prolungato, l’esercizio fisico strenuo, uno stato di insufficienza
organica(1).
L’ipoglicemia è, al contrario, un evento frequente nel trattamento dell’iperglicemia ove, mentre l’iperinsulinemia inappropriata, assoluta o relativa, costituisce la causa iniziale
dell’ipoglicemia, la concomitante compromissione dei meccanismi di controrelogazione, e/o l’eventuale presenza di comorbilità, diventa generalmente responsabile della gravità
dell’ipoglicemia stessa(1).
Mediamente, una persona con diabete di tipo 1 incorre in
un’ipoglicemia lieve una-due volte alla settimana, nell’arco
della vita gli episodi diventano migliaia, e in un’ipoglicemia
grave, come minimo temporaneamente disabilitante, per
anno. Approssimativamente il 2-4% delle morti viene a essere
attribuito all’ipoglicemia, ma il dato risulta probabilmente sottostimato(2). Infatti, i dati del DCCT indicano che l’8% delle
morti dei soggetti con diabete erano dovute all’ipoglicemia(3).
Nel diabete di tipo 2 la frequenza di ipoglicemia cresce con la
durata di malattia e la conseguente progressione del deficit
di secrezione endogena di insulina, cui si può associare una
compromissione della controregolazione glucidica analogamente a quanto osservato nel diabete di tipo 1(1,2). La dimensione del problema sembra essere di poco inferiore a quanto
documentato nel tipo 1 e, rappresentando il 90% di tutte le
forme di diabete, è pleonastico sottolineare di che entità
possa essere l’impatto clinico di questa problematica. L’elevata frequenza di ipoglicemia grave indotta dall’utilizzo delle
sulfoniluree rimane tuttora una pesante realtà clinica, ed è paradossale ricordare come la categoria numericamente più colpita risulti essere quella degli anziani, ove il fisiologico
processo d’invecchiamento, l’eventuale presenza di comorbilità, polifarmacoterapia, barriere psico-fisiche e sociali possono rappresentare un pericoloso background in grado di
condizionare per se un elevato rischio di ipoglicemia e delle
sue conseguenze(4,5).
Alla luce della necessità di effettuare una gestione e correzione dell’iperglicemia in maniera personalizzata, come ampiamente suggerito dalle più recenti raccomandazioni(6,7), è
bene ricordare come nell’ambito dei parametri utili nel definire il fenotipo clinico in grado di influenzare la risposta a una
data terapia, vada considerato anche il rischio di andare incontro a episodi ipoglicemici. Tal rischio va pertanto ponde-
197
rato considerando l’esigenza del buon controllo, per minimizzare insorgenza e progressione delle sequele croniche della
malattia diabetica, di pari importanza rispetto a quelle che potrebbero essere impatto e potenziali conseguenze cliniche
dell’ipoglicemia nel singolo caso.
La prevenzione del rischio di ipoglicemia deve pertanto diventare uno degli obiettivi principali nella terapia dell’iperglicemia, soprattutto qualora l’obiettivo glicemico sia ambizioso.
Ne consegue che oggi il buon controllo glicemico non significa solo il raggiungimento e il mantenimento della quasinormoglicemia, ma anche la riduzione al minimo del rischio
di ipoglicemia. Poco significato clinico possiede il risultato di
un’emoglobina glicata (HbA1c) isolato dal contesto di rischio
ipoglicemico condizionato dal trattamento sottostante.
Il rinnovato interesse alla problematica dell’ipoglicemia iatrogena, emerso negli ultimi anni, si spiega anche alla luce della
possibilità di poter disporre nella pratica clinica di terapie, iniettive e non, che veicolano un basso rischio ipoglicemico,
aspetto questo non svincolato dalla sempre più forte consapevolezza di quelli che sono i pesanti risvolti dell’ipoglicemia
anche sul versante socioeconomico(8). La principale causa di
accesso in pronto soccorso per evento avverso da farmaci
risulta essere, di fatto, l’ipoglicemia iatrogena, secondaria per
importanza solo al sovradosaggio dicumarolico(9).
Conseguenze dell’ipoglicemia
L’ipoglicemia può esitare in diverse conseguenze in relazione
alla sua gravità, durata e frequenza, oltre che alla presenza di
eventuali comorbilità. È responsabile di una temporanea compromissione delle attività intellettuali e fisiche del paziente. Se
prolungata o grave, può determinare convulsioni, coma e
morte(10). L’ipoglicemia aumenta il rischio di eventi cardiovascolari(11,12), di demenza(13), traumi e fratture(14), incidenti stradali(15) e si associa a un incremento della mortalità generale(16).
Impatta negativamente sulla qualità di vita(17) e genera conseguenze psicologiche a breve (ansia, irritabilità e depressione)
e a lungo termine (conflitti di relazione, problemi nell’ambiente
di lavoro o a scuola, fino all’isolamento sociale). Il defensive
eating per prevenire e/o correggere l’ipoglicemia è inoltre uno
dei riconosciuti meccanismi in grado di condizionare l’incremento del peso corporeo in caso di iperinsulinismo terapeutico(18).
La complicanza più frequente dell’ipoglicemia, soprattutto dell’ipoglicemia notturna, è tuttavia la sindrome della perdita dei
sintomi all’ipoglicemia, meglio nota come hypoglycemia unawareness. In presenza di hypoglycemia unawareness il rischio
di ipoglicemia severa risulta considerevolmente aumentato sia
nel diabete di tipo 1 sia nel diabete di tipo 2(1,2,19,20).
Neurologiche
È noto come l’ipoglicemia grave sia in grado di indurre deficit
focali neurologici e attacchi ischemici transitori, generalmente
reversibili con il ripristino dell’euglicemia. L’ipoglicemia può indurre danni ischemici permanenti (ictus cerebri) presumibil-
198
F. Porcellati et al.
mente in aree in cui concomita un deficit vascolare. La prevalenza di queste forme, tuttavia, non è nota(12).
Se l’ipoglicemia sia in grado di condizionare un aumentato rischio di demenza è invece ancora materia di discussione.
Uno studio longitudinale di coorte, il cui obiettivo era di osservare la relazione tra ipoglicemia e insorgenza di demenza,
ha valutato 16.667 persone con diabete di tipo 2(13), seguite
dal 1980 dall’organizzazione sanitaria KPNC (Kaiser Permanente Northern California). All’inizio dell’osservazione, l’età
media dei pazienti era di 51 anni, e nessuno di loro presentava
deficit cognitivi. Nel corso del follow-up successivo di 27 anni,
sono state registrate le ipoglicemie gravi, raccogliendo consensualmente demografia, dati clinici e informazioni terapeutiche della popolazione in studio. Dopo aggiustamento per
comorbilità, emergeva un incremento annuo del 2,39% del
rischio assoluto di demenza negli individui con anamnesi positiva per ipoglicemia grave rispetto a chi presentava
un’anamnesi negativa. L’aumento della frequenza degli episodi si traduceva in un crescente rischio assoluto: hazard ratio
aggiustati di 1,26 per un episodio (IC al 95% da 1,10 a 1,49)
di 1,80 per due episodi (IC al 95% da 1,37 a 2,36) e di 1,94
per ≥ 3 episodi (IC al 95% da 1,42 a 2,64)(13). I risultati di questo studio sono stati più recentemente confermati da un’osservazione che ha messo anche in luce l’esistenza di una
bidirezionalità tra demenza e ipoglicemia in una popolazione
di anziani con diabete, dal momento che una storia di ipoglicemia prediceva lo sviluppo di demenza, mentre la presenza
di demenza prediceva il manifestarsi di successivi episodi ipoglicemici(21).
Al contrario, altre osservazioni non mostrano associazione di
deficit cognitivi con l’ipoglicemia grave(22), oppure suggeriscono un impatto differenziale dell’ipoglicemia su alcuni domini cognitivi piuttosto che altri(23). È bene tuttavia sottolineare
come tali osservazioni siano state condotte su giovani adulti
con diabete di tipo 1, analogamente ai dati epidemiologici del
DCCT che non mostrano associazione tra ipoglicemia e rischio di declino cognitivo durante 18 anni di follow-up(24). L’età
più avanzata potrebbe pertanto condizionare una minore capacità di recupero o una maggiore esposizione a un insulto
neuronale ipoglicemia-indotto, su una condizione preesistente
di danno cerebrovascolare cronico.
Deficit cognitivi associati a una maggiore frequenza di ipoglicemie severe sono stati peraltro dimostrati nei bambini nei
quali le ipoglicemie si erano manifestate prima dei 5 anni(25).
È interessante ricordare come i danni cerebrali dell’ipoglicemia
siano stati collegati a eccessiva stimolazione dei recettori
NMDA (N-metil-D-aspartato) durante l’episodio ipoglicemico
con conseguente eccitotossicità e morte cellulare(26,27), anche
se non è escluso l’intervento dei meccanismi di apoptosi(28).
Cardiovascolari
Come è ben noto, un evento ipoglicemico, attraverso i fisiologici meccanismi della controregolazione, promuove profonde alterazioni a carico dell’equilibrio ormonale ed
elettrolitico in grado di tradursi in importanti turbe a carico
della funzione cardiovascolare.
L’attivazione simpatoadrenergica e il conseguente aumento di
frequenza cardiaca, pressione arteriosa sistolica e frazione
d’eiezione, comportano un sostanziale aumento del lavoro
cardiaco e del consumo di ossigeno, che non hanno probabilmente un importante significato in persone con cuore sano,
ma possono predisporre a eventi cardiovascolari in pazienti
con patologia coronarica in cui concomitano alterazioni emoreologiche (iperaggregabilità piastrinica, aumento dei livelli circolanti del fattore VIII, iperviscosità) e proinfiammatorie
ipoglicemia-indotte (incremento di proteina C-reattiva, interleuchina-6 e interleuchina-8, fattore di necrosi tumorale-α ed
endotelina)(12,29). Per esempio, una recente casistica di pazienti
ospedalizzati per ipoglicemia severa riporta come nel 18% dei
casi si fosse registrata, in concomitanza, una sindrome coronarica(30).
Numerose sono le alterazioni elettrocardiografiche osservate
durante ipoglicemia; allungamento dell’intervallo QT, accorciamento del PR e depressione del tratto ST. L’allungamento dell’intervallo QT rappresenta l’alterazione elettrocardiografica più
caratteristica dell’ipoglicemia acuta(12). Numerosi studi di clamp
ipoglicemico condotti sia su volontari sani sia in persone con
diabete di tipo 1 e di tipo 2, hanno mostrato un significativo allungamento dell’intervallo QT durante ipoglicemia sperimentale rispetto allo studio controllo di euglicemia(31). Uno studio
real life, in cui 25 persone con diabete di tipo 1 venivano sottoposte, in due diverse occasioni, a registrazione di ECG Holter simultanea a monitoraggio del glucosio interstiziale, per 24
ore, mostrava l’occorrenza di 13 episodi (26% delle registrazioni) di ipoglicemia notturna, 8 dei quali con valori di glucosio
interstiziale inferori a 40 mg/dl. L’intervallo QTc era significativamente prolungato durante l’ipoglicemia rispetto ai periodi di
normoglicemia (445 ± 40 vs 415 ± 23 ms; p = 0,037)(32). Anomalie della frequenza e del ritmo (bradicardia sinusale < 40
bpm, battiti ectopici ventricolari e atriali) erano altresì presenti
nel 62% delle registrazioni durante ipoglicemia(32).
Il prolungamento del tratto QT, causato dalla risposta simpatoadrenergica, è espressione di instabilità elettrica ventricolare e favorisce, in particolare in soggetti predisposti, per
esempio per presenza di neuropatia autonomica, insufficienza
ventricolare sinistra o cardiopatia ischemica, circuiti di rientro
e comparsa di aritmie potenzialmente anche fatali(32). Alla condizione pro-aritmogena contribuiscono anche il concomitante
potenziale aumento del calcio intracellulare e la riduzione del
potassio sierico, indotti dal sinergismo tra ipoglicemia e attivazione adrenergica(33). È interessante osservare come il rischio di aritmie sia aumentato anche durante episodi di
ipoglicemia asintomatica, come spesso si verifica durante il
sonno di notte, e come ciò possa rappresentare un possibile
meccanismo in grado di favorire la mortalità cardiovascolare
durante terapia intensiva(34).
L’ipoglicemia induce anormalità nella funzione piastrinica e
nell’attivazione della fibrinolisi(12,29). La stimolazione adrenergica promuove l’attivazione piastrinica, la mobilizzazione leucocitaria e l’attivazione del fattore VII della coagulazione,
favorendo uno stato protrombotico(12). Di fatto, molte di queste alterazioni sono prevenute dall’α- e β-blocco(35).
Studi recenti mostrano l’induzione di disfunzione endoteliale
da parte dell’ipoglicemia acuta. È stato documentato un incremento della rigidità della parete vasale durante ipoglicemia
Ipoglicemia: implicazioni cliniche e impatto sulla salute
nel diabete di tipo 1 di lunga durata rispetto a quello di più
breve decorso(36). Il concomitante aumento del rilascio in
circolo delle citochine infiammatorie, a sua volta, è un meccanismo di disfunzione endoteliale e anormalità della coagulazione, ed è interessante l’osservazione secondo cui alcune
citochine come IL-1 sarebbero in grado di aumentare la gravità dell’ipoglicemia, in tal modo innescando un meccanismo
di feed-back positivo(37).
In ultimo è meritevole di menzione la recente osservazione
che chiama in questione la modalità di recupero dall’ipoglicemia come potenziale meccanismo di danno vascolare.
Quando l’iperglicemia segue l’ipoglicemia, disfunzione endoteliale e attivazione dell’infiammazione risultano maggiormente
indotte rispetto a una normoglicemia successiva all’ipoglicemia. Lo stress ossidativo sembra essere, per larga parte, il
meccanismo responsabile di questo fenomeno(38).
Sulla base di quanto finora esposto non stupisce la grande
enfasi che è stata data all’ipoglicemia severa come momento
patogenetico, almeno in parte responsabile dell’eccesso di
mortalità cardiovascolare registrata nello studio ACCORD(39) e
comunque della mancata protezione cardiovascolare in altri
trial(12). Non è obiettivo di questa rassegna discutere o meno
la possibilità che l’ipoglicemia iatrogena sia stata la causa dell’eccesso di mortalità osservata nel braccio intensivo dello
studio ACCORD, certo è che gli studi che hanno ricercato un
trattamento intensivo della glicemia hanno mostrato indipendentemente un’associazione tra ipoglicemia severa e rischio
di mortalità immediata o successiva. Probabilmente, la giusta
chiave di lettura è nel considerare l’ipoglicemia come un marker di fragilità del paziente, rappresentando un forte predittore indipendente di successivi eventi cardiovascolari, con
potere predittivo superiore rispetto a quello di altri fattori quali
l’età o l’occorrenza di pregressi eventi cardiovascolari(11). Che
l’ipoglicemia si debba considerare marcatore di vulnerabilità
per esiti sfavorevoli è evidente ricordando anche i risultati dei
trial di trattamento intensivo condotti su pazienti in diversi contesti di condizioni critiche, verso cui, al contrario, ogni minimo
sforzo dovrebbe essere applicato per prevenire l’ipoglicemia
con i suoi potenziali outcome negativi(40).
Rischio di traumi, fratture e incidenti alla guida
L’ipoglicemia accresce il rischio di traumi accidentali e fratture, in particolare nella persona anziana(14). Mentre è necessario riconoscere la genesi multifattoriale delle cadute in
questa popolazione (deficit visivo, sarcopenia, neuropatia, comorbilità), è bene sottolineare le numerose osservazioni presenti in letteratura che mostrano come obiettivi glicemici
stringenti, e in particolare quando ottenuti nell’ambito del trattamento insulinico, si associno a un maggiore rischio di cadute in anziani con diabete, suggerendo l’ipoglicemia come
meccanismo causativo(41). Di contro, i risultati dello studio
ACCORD non mostrano un aumentato rischio di fratture nel
braccio in trattamento intensivo(42).
Un recente studio retrospettivo condotto su un ampio database americano di registri assicurativi ha esaminato i dati di
oltre 33.490 persone con diabete, la richiesta di accesso in
pronto soccorso è stata confrontata tra coloro che avevano
199
presentato ipoglicemia rispetto a coloro senza ipoglicemia(43).
La necessità di ospedalizzazione legata a incidenti di qualsiasi natura (traumi, fratture, incidenti stradali) era occorsa nel
5,5% in presenza di ipoglicemia rispetto al 2,8%. Dopo aver
corretto per condizioni differenti al baseline l’ipoglicemia risultava associata a un incremento del rischio (HR) per qualsiasi
tipologia di incidente (1,39, IC al 95% 1,21-1,59, p < 0,001),
cadute (1,36, IC al 95% 1,13-1,65, p < 0,001) e traumi stradali (1,82, IC al 95% 1,18-2,80, p = 0,007). Stratificando la
popolazione per età, l’ipoglicemia si associava a un rischio
superiore di incidenti automobilistici nelle persone con età inferiore a 65 anni, ma a un rischio maggiore di cadute sopra
tale età(43). Nello studio HYPOTHESIS, il cui obiettivo era di
valutare la gestione intraospedaliera dei pazienti che accedevano ai reparti di medicina d’emergenza-urgenza italiani in seguito a un episodio di ipoglicemia grave e che ha preso in
considerazione i dati relativi a 3753 accessi per ipoglicemia,
l’8,1% degli episodi si associava a una qualsiasi forma di
trauma(44).
L’ipoglicemia aumenta il rischio di fratture e della conseguente
disabilità da esse potenzialmente derivante. Uno studio osservazionale retrospettivo, sempre su registro assicurativo, ha
esaminato i dati clinici di 361.210 persone con diabete di età
superiore a 65 anni, mostrando come una maggiore percentuale di fratture, esito di cadute, fosse riscontrabile in persone
che avevano presentato un episodio ipoglicemico (5,24% vs
2,67%, p < 0,001). L’ipoglicemia aumentava il rischio di cadute e fratture del 70% (OR 1,7, IC al 95% 1,58-1,83)(14).
Molto dibattuto risulta ancora l’impatto del diabete sulla problematica dell’incidentistica stradale. Molte osservazioni in letteratura, alcune delle quali ormai datate, non hanno rilevato un
reale incremento del rischio relativo di incidenti stradali nelle
persone con diabete, anche in coloro in terapia insulinica(45).
In alcuni studi è stata, peraltro, documentata una riduzione
del rischio in questa popolazione(45), probabilmente legata alla
maggiore prudenza da parte delle persone con diabete,
anche espressione di un’adeguata educazione terapeutica.
Non è tuttavia da escludere che tale dato statistico possa risentire di un potenziale bias legato al fatto che le persone con
diabete più a rischio potrebbero avere avuto meno accesso al
diritto alla guida (limiti imposti dalla normativa legale o volontaria esclusione alla guida).
Anche i dati su ricoveri ospedalieri non sembrano mostrare
un sostanziale aumento del rischio di incidenti stradali nelle
persone con diabete rispetto a quelle senza(45). Nello studio
HYPOTHESIS, l’1,3% degli episodi di ipoglicemia che necessitava di accesso al dipartimento di emergenza, era associato
a incidenti stradali(44).
Indubbiamente, e in particolare nella persona non adeguatamente educata alla prevenzione e alla correzione dell’ipoglicemia, il trattamento insulinico o con farmaci secretagoghi
potrebbe rappresentare un fattore di rischio per incidenti automobilistici. Uno studio multicentrico condotto in 7 centri
americani e 4 europei ha intervistato, attraverso l’utilizzo di un
questionario, 313 persone con diabete di tipo 1 e 274 di tipo 2,
di cui oltre la metà in trattamento insulinico, rilevando come il
20% circa delle persone con diabete di tipo 1 avesse riportato
incidenti stradali contro il 12% delle persone con diabete di
200
F. Porcellati et al.
tipo 2 e l’8% dei coniugi sani considerati gruppo di controllo(46). L’ipoglicemia era la causa nel 18% degli incidenti nel
diabete di tipo 1 contro il 5% nel tipo 2. Il maggior numero di
incidenti si associava inoltre a minore controllo della glicemia
capillare prima di mettersi alla guida. Metà delle persone con
diabete di tipo 1 e tre/quarti di quelle con tipo 2 riferivano di
non aver mai discusso con il proprio diabetologo dei potenziali rischi dell’ipoglicemia durante la guida(46).
Pochi sono gli studi prospettici. Un’osservazione ha studiato
452 persone con diabete di tipo 1, di cui il 21% con storia di
incidenti alla guida nell’anno precedente. Le persone sono
state seguite per 12 mesi, il 52% ha presentato almeno un
incidente automobilistico causato dall’ipoglicemia e il 5% sei
o più. Gli incidenti correlavano con il chilometraggio, storia di
ipoglicemia severa e terapia con CSII(47).
Uno studio interessante ha valutato individui con diabete di
tipo 1 con storia di multipli incidenti automobilistici rispetto a
individui senza(48). I soggetti sono stati sottoposti a un’ipoglicemia sperimentale e all’euglicemia di controllo, durante una
prova con simulatore di guida. Coloro con anamnesi positiva
per incidenti tendevano a essere più frequentemente donne
(p = 0,02), mostravano una maggiore utilizzazione di glucosio
e quindi maggiore insulino-sensibilità (p = 0,04), ridotta risposta di adrenalina (p = 0,11) e avevano mostrato una guida
peggiore durante prova con simulatore durante l’ipoglicemia
(p = 0,01)(48).
Lo studio sottolinea pertanto la possibilità, peraltro suffragata
da altre osservazioni, che esistano determinate categorie di
persone con diabete maggiormente vulnerabili ed esposte a
un aumentato rischio di incidenti alla guida ipoglicemia-indotti.
Ancora una volta, le più recenti raccomandazioni richiamano
l’attenzione sulla necessità di considerare il paziente nella sua
“univocità”, valutandone attentamente la storia clinica e i possibili rischi associati con la guida. È pleonastico sottolineare
quanto sia mandatoria la necessità di un adeguato e continuo
supporto educativo che sia costruito e personalizzato sulla
base della storia clinica e del trattamento farmacologico del
paziente(45).
Se è presente hypoglycemia unawareness, il medico è tenuto
a consigliare al paziente la temporanea sospensione della
guida fino al momento in cui tale condizione non sia stata corretta (vedi sotto). Qualora il paziente non sia d’accordo, è opportuno che il medico consideri la possibilità informare le
autorità dell’elevato rischio di ipoglicemia grave durante la
guida.
Hypoglycemia unawareness
Uno dei più importanti fattori di rischio in grado di condizionare
frequenza e gravità dell’ipoglicemia iatrogena nella persona
con diabete è la sindrome della perdita dei sintomi all’ipoglicemia, meglio nota con il termine anglosassone di hypoglycemia unawareness. Si tratta della complicanza più frequente
dell’ipoglicemia e risulta essere assai diffusa in quanto interessa circa il 25% delle persone con diabete di tipo 1 e approssimativamente il 10% dei pazienti con diabete di tipo 2(1,2).
L’hypoglycemia unawareness si configura come una condizione estremamente pericolosa in quanto l’ipoglicemia, manifestandosi senza sintomi autonomici di allarme, non
condiziona una tempestiva e adeguata correzione alimentare
da parte del paziente, e può pertanto esordire bruscamente
e drammaticamente con i segni e sintomi di una grave disfunzione cerebrale. Le persone che ne sono affette presentano solitamente lunga durata di malattia, storia di episodi di
ipoglicemia grave e bassi valori di HbA1c(1,2).
L’esistenza di questa temibile complicanza dell’ipoglicemia è
nota da alcuni decenni, grazie all’evidenza sperimentale che
ha mostrato, e successivamente confermato, come l’induzione di un’ipoglicemia sperimentale sia in grado di compromettere la risposta simpatoadrenergica a successivi episodi.
È sufficiente l’esposizione a due ipoglicemie consecutive di
lieve entità e breve durata (50 mg/dl per 90 min, mattina e
pomeriggio dello stesso giorno)(1,2), oppure a un singolo episodio di ipoglicemia notturna(1,2), per attenuare le risposte dei
sintomi e degli ormoni a un successivo episodio ipoglicemico
indotto il giorno seguente.
L’evidenza del ruolo causale dell’ipoglicemia recidivante nel
determinismo dell’hypoglycemia unawareness si deve a una
serie di osservazioni cliniche condotte, alcuni decenni orsono,
sui pazienti con insulinoma. Come è noto, questi pazienti
vanno incontro a ipoglicemie ricorrenti e prolungate, in particolare a digiuno, e finiscono con il tollerare assai bene glicemie di 50 e anche 40 mg/dl. Di fatto, analogamente a quanto
accade nell’hypoglycemia unawareness iatrogena delle persone con diabete, nei pazienti con insulinoma i sintomi adrenergici di “allarme” ipoglicemico sono tipicamente assenti e si
assiste a uno spostamento delle soglie glicemiche della controregolazione ormonale, della percezione dei sintomi, così
come di alcune funzioni cognitive, a valori glicemici inferiori rispetto a quelli normalmente responsabili dell’attivazione di
queste risposte.
Sempre grazie agli studi clinici sui pazienti con insulinoma si
ebbe, successivamente, la prima prova sperimentale della reversibilità della sindrome della perdita dei sintomi all’ipoglicemia: di fatto i pazienti riescono a riacquistare in pieno
sintomatologia e risposta ormonale fisiologica all’ipoglicemia,
dopo la resezione chirurgica dell’adenoma insulare e la
guarigione dall’ipoglicemia cronica(49). La reversibilità della sindrome dell’hypoglycemia unawareness è stata successivamente documentata nelle persone con diabete di breve e
lunga durata, e anche in presenza di neuropatia autonomica.
Infatti, la prevenzione scrupolosa dell’ipoglicemia è seguita
dal recupero di adeguate risposte dei sintomi e di adrenalina(50) sebbene l’effetto sia maggiormente evidente nel diabete di breve durata, e in assenza di neuropatia autonomica
clinicamente evidente.
L’ipoglicemia antecedente, e quindi il recidivare degli episodi
ipoglicemici, si configura quindi come causa primaria dell’hypoglycemia unawareness il cui momento patogenetico sembra presumibilmente legato a un aumento del trasporto
frazionale cerebrale di glucosio, e quindi a un’alterazione del
sensore cerebrale piuttosto che dell’effettore terminale midollare del surrene.
Inizialmente la up-regulation dei trasportatori di glucosio sem-
Ipoglicemia: implicazioni cliniche e impatto sulla salute
bra configurarsi come tentativo di adattamento dell’organismo all’ipoglicemia, in quanto il cervello diventa in grado di
estrarre dal sangue la stessa quantità di glucosio nonostante
una glicemia ambiente più bassa. Tuttavia tale meccanismo,
mentre da una parte garantisce substrato energetico ai neuroni, anche in presenza di una glicemia bassa, rende, dall’altra, i sensori cerebrali “muti” all’ipoglicemia, non consentendo
pertanto alcun vantaggio clinico. Infatti, in questo caso non
verranno attivate le risposte secretorie ormonali e sintomatiche che fisiologicamente allertano l’individuo a prendere provvedimenti tempestivi di difesa all’ipoglicemia. Il paziente rischia
pertanto di avvertire l’ipoglicemia quando i valori glicemici
sono talmente bassi da condizionare l’insorgenza di un grave
quadro di neuroglicopenia (confusione mentale, stordimento,
assopimento) che impedisce di mettere in atto adeguate misure correttive e che può progredire verso uno stato di coma.
L’adattamento cerebrale all’ipoglicemia ricorrente piuttosto
che meccanismo protettivo, si configura, pertanto, come
meccanismo di esposizione a una potenziale conseguenza
nociva, in questo caso al rischio di ipoglicemia grave, che risulta conseguentemente aumentato tre volte nel diabete di
tipo 1 e nove volte in quello di tipo 2.
La potenziale associazione tra hypoglycemia unawareness e
rischio di mortalità da tutte le cause e di mortalità cardiovascolare è stata, recentemente, indagata. Uno studio che basava l’osservazione sulla registrazione prospettica degli
episodi di ipoglicemia grave su due coorti di pazienti con diabete di tipo 1, le quali venivano anche caratterizzate per il
grado di awareness, secondo i questionari (di Pedersen-Bjergaard e Clarke), mostrava, per un periodo medio di followup di 6,5 anni (coorte olandese) o di 12 anni (coorte danese)
una mortalità da tutte le cause del 4% e del 14% rispettivamente(51). In particolare in entrambe le coorti né la presenza di
episodi di ipoglicemia grave né la presenza di hypoglycemia
unawareness risultavano associati a un aumento della mortalità nei modelli aggiustati di regressione multivariata di Cox.
Le variabili associate con un aumentato rischio di mortalità da
tutte le cause, in entrambe le coorti, risultavano essere l’evidenza di malattia macrovascolare e di nefropatia. Tali dati
sembrano essere in linea con ulteriori osservazioni(52), ma non
con altre(16) che, al contrario, documentano un aumento di alcune volte del rischio di mortalità a 5 anni. L’entità del rischio
di mortalità associato all’ipoglicemia grave nel diabete di tipo 1 sarà pertanto una problematica che vedrà nuovi dibattimenti nei prossimi anni.
A tale riguardo è interessante sottolineare come la ridotta risposta simpatoadrenergica, che si osserva in seguito a ipoglicemie ripetute, ha portato a ipotizzare la possibilità di
un’azione in qualche modo protettiva nei confronti dei meccanismi patogenetici di danno cardiovascolare. In altre parole,
il recidivare degli episodi ipoglicemici indurrebbe una sorta di
hypoglycemic preconditioning, termine proposto da Mattew
Riddle nel suo commentary allo studio ACCORD(53). L’hypoglycemic preconditioning, sebbene associato a un elevato rischio di ipoglicemia severa, sarebbe in grado di esplicare un
effetto protettivo nei confronti della mortalità cardiovascolare
indotta da un’ipoglicemia severa, grazie alla attenuata risposta catecolaminergica. Ben diverso, secondo questa ipotesi,
201
risulterebbe lo scenario nel contesto di una risposta controregolatoria integra, non compromessa dal susseguirsi di
ipoglicemie, anche se moderate. In tal caso un episodio di
ipoglicemia severa eliciterebbe una potente risposta simpatoadrenergica in grado di condizionare un rischio cardiovascolare ben superiore.
La traduzione clinica di tale ipotesi vede la possibilità che l’ipoglicemia severa, nel background di un’iperglicemia cronica,
sia un induttore di danno vascolare assai più potente rispetto
allo stesso episodio qualora preceduto da ipoglicemie ricorrenti, e verosimilmente nel contesto di un buon controllo glicemico. Tale scenario ben si allinea con l’interpretazione dei
dati di ACCORD(53) in cui, tra i soggetti con un episodio di ipoglicemia severa, si osservava un ridotto rischio di mortalità nel
braccio in trattamento intensivo rispetto a quello in trattamento convenzionale (HR 0,55; 0,31-0,99). Ancora, sempre
considerando i soggetti che avevano presentato un episodio
di ipoglicemia severa, il minore rischio di mortalità si osservava in coloro che avevano riportato un numero maggiore di
ipoglicemie moderate (HR 0,68; 0,36-1,24). In maniera analoga, sebbene nel contesto laboratoristico, in uno studio condotto nei ratti Sprague-Dawley, si dimostra che le morti
improvvise erano dovute ad aritmie letali in seguito a marcata
attivazione adrenergica e che gli episodi di ipoglicemia precedenti risultavano essere protettivi nei confronti della mortalità indotta dall’ipoglicemia(54).
Nuove osservazioni, tuttavia, sembrerebbero confutare il ruolo
protettivo dell’ipoglicemia ricorrente nei confronti del danno
vascolare(55). Uno studio recentemente pubblicato, condotto
su individui sani, mostra di fatto una forte associazione tra
ipoglicemie ripetute e iperattivazione piastrinica, coagulativa,
in definitiva alterazioni emostatiche capaci di aumentare il rischio aterotrombotico e alterare la funzione endoteliale, ciò a
fronte della ridotta risposta adrenergica che si osserva dopo
ipoglicemie ripetute(55). Pertanto, l’ipotesi dell’hypoglycemic
preconditioning, sebbene affascinante, rimane ancora in
aperta discussione.
La fisiopatologia dell’hypoglycemia unawareness presenta numerose implicazioni dal punto di vista più strettamente clinico.
Dal momento che le soglie glicemiche della controregolazione
variano in funzione della glicemia ambiente, è possibile osservare, accanto a individui completamente asintomatici per
valori di glicemia subnormali, individui che avvertono sintomi
per riduzioni della glicemia su valori ben lontani dalla soglia
biochimica dell’ipoglicemia. Pertanto, qualora si miri a ottimizzare il controllo glicemico di persone che provengano da
un lungo periodo di iperglicemia cronica, è opportuno stabilire adeguati percorsi educativi, il cui punto di forza lo riveste
la ricerca consapevole della glicemia capillare.
Sempre dal punto di vista clinico è importante ricordare l’importanza dell’ipoglicemia notturna nell’insorgenza dell’hypoglycemia unawareness. Generalmente l’ipoglicemia notturna
è molto frequente, infatti, può essere presente fino al 50% dei
profili notturni, è asintomatica in circa il 25-40% dei casi, può
essere prolungata fino a diverse ore (anche 4-6 ore) o decorrere completamente misconosciuta come dimostrano i profili
sviluppati dal monitoraggio interstiziale del glucosio. L’ipoglicemia notturna è favorita dal fatto che durante il sonno si
202
F. Porcellati et al.
determina una fisiologica attenuazione delle risposte della
controregolazione associata a un aumento dei tempi di risveglio durante ipoglicemia(2). L’ipoglicemia, per il fatto di essere
frequente, asintomatica e protratta contribuisce in maniera rilevante all’insorgenza dell’hypoglycemia unawareness(2).
È indubbio come l’hypoglycemia unawareness rappresenti un
ostacolo al raggiungimento di obiettivi terapeutici ambiziosi.
Le ipoglicemie ricorrenti creano sentimenti di ansia e timore
nel paziente, che si traducono in atteggiamenti terapeutici
conservativi, spesso svincolati dal contesto educativo. Diventano frequenti l’omissione consapevole della dose del farmaco, la riduzione non ragionata della posologia insulinica,
l’ipercorrezione alimentare, la manipolazione/falsificazione del
diario glicemico capillare, con i risvolti negativi sul controllo
metabolico. Una recente osservazione statunitense condotta
su un’ampia popolazione di persone con diabete di tipo 2, in
terapia con farmaci orali, mostra come la presenza di ipoglicemie rappresentasse un predittore indipendente di interruzione della terapia fino a 30 giorni(56). Dalla parte del diabe-
Conclusioni
9
Sintomi autonomici
Score
6
3
0
• N = 12 non diabetici
N = 8 T1DM
basale
2 settimane
3 mesi
14
Sintomi neuroglicopenici
12
Score
10
8
6
4
2
0
0
60
tologo, la ricorrenza di ipoglicemia nei propri pazienti, l’occorrenza di episodi di ipoglicemia severa, può costituire un
pericoloso aspetto che favorisce e giustifica il processo dell’inerzia terapeutica limitando il raggiungimento del compenso
metabolico.
Al contrario, è importante e necessario strutturare un percorso
educativo, personalizzato, che si snodi a più livelli e finalizzato
alla prevenzione sistematica delle ipoglicemie, anche degli episodi più lievi, per esempio mirando a valori di glicemia preprandiale di 30-50 mg al di sopra dell’obiettivo più ambizioso.
È sufficiente un periodo di 2-3 settimane per “resettare” il trasporto di glucosio cerebrale, e “rigenerare” così le risposte ormonali controregolatorie e i sintomi all’ipoglicemia (Fig. 1).
Dopo questo periodo si può ripristinare l’intensità superiore
di controllo mirando a obiettivi glicemici più stringenti, ma non
perdendo d’occhio la necessità di una continua attività educativa attraverso la costante verifica dello schema terapeutico, la guida all’interpretazione dell’autocontrollo glicemico,
la programmazione di incontri di rinforzo educazionale.
120 180 240 300
360
Figura 1 Score dei sintomi autonomici e neuroglicopenici in
risposta a un’ipoglicemia sperimentale in 12 soggetti non diabetici di controllo e 8 pazienti affetti da diabete mellito di tipo 1
(T1DM). I pazienti sono stati studiati in condizioni basali, due
settimane e tre mesi dopo la scrupolosa prevenzione dell’ipoglicemia. Come si può notare già dopo due settimane, e
ancora di più a tre mesi, si assiste al recupero della fisiologica
risposta dei sintomi all’ipoglicemia(50).
L’ipoglicemia nella persona con diabete riconosce essenzialmente una causa iatrogena. Le sue conseguenze cliniche
coinvolgono una molteplicità di organi e apparati e possono
essere devastanti. L’ipoglicemia paga un contributo rilevante
in termini di morbilità, rischio di mortalità e aggravio della
spesa sanitaria. Ultimo, ma non meno importante, l’ipoglicemia impatta in maniera pesante sulla qualità di vita delle persone con diabete, e ostacola il raggiungimento del buon
controllo glicemico e, di conseguenza, la prevenzione delle
complicanze micro- e macroangiopatiche.
Una recente rassegna, lanciata dalla SID, il cui obiettivo era di
valutare percezione e comportamento del diabetologo italiano
nei confronti dell’ipoglicemia, ha evidenziato quanto sia ancora necessario compiere affinché si diffondano meglio consapevolezza, percezione e cultura dell’ipoglicemia(57). È
fondamentale standardizzare la definizione biochimica di ipoglicemia, utilizzare sistemi di rilevazione e raccolte uniformi di
dati attraverso strumenti integrati in grado di registrare gli
aspetti più importanti dell’ipoglicemia. È necessario conoscere
l’entità del fenomeno. Da anni nel nostro Paese è stato fotografato minuziosamente il controllo metabolico delle persone
con diabete, ma nulla è stato realizzato per conoscere almeno
il dato epidemiologico, che ci permetta di quantificare il peso
che i nostri pazienti pagano, in termini di frequenza di ipoglicemia, per raggiungere quel dato target di controllo glicemico.
Quanti dei nostri pazienti, nella percentuale di coloro che sono
in buon compenso, sono gravati pesantemente dall’ipoglicemia e pertanto non presentano un controllo adeguato del diabete? E viceversa, quanti di coloro che presentano uno
scarso controllo glicemico mostrano una bassa frequenza di
ipoglicemia e pertanto, magari alla luce di una lunga durata di
malattia, potrebbero essere considerati negli obiettivi terapeutici adeguati?
Dalla rassegna è anche emersa la necessità di poter disporre
Ipoglicemia: implicazioni cliniche e impatto sulla salute
203
di programmi di educazione, delle persone con diabete, alla
prevenzione e terapia dell’ipoglicemia che siano uniformi e
condivisi. Purtroppo ancora oggi è la carenza di tempo e risorse che spesso guida la strategia terapeutica. Ecco allora
che l’educazione terapeutica viene a rivestire un ruolo di
secondo piano, al contrario punto di forza della cura nella patologia cronica, di cui il diabete ne è paradigma. È paradossalmente più facile, per esempio, modificare il trattamento
insulinico del paziente che seguiamo, in favore della novità terapeutica, piuttosto che chiederci come mai il suo controllo
non sia più soddisfacente come prima. Pensiamo per esempio all’ampia prevalenza della lipodistrofia nei nostri pazienti e
al rischio di variabilità glicemica e ipoglicemia in questo caso.
Quanti di noi visionano regolarmente i siti di iniezione dei pazienti che sono in terapia insulinica? Quanti di noi rinforzano
l’educazione alla corretta tecnica iniettiva? Eppure un’adeguata educazione alla tecnica di iniezione consente di migliorare per se l’HbA1c dei nostri pazienti dello 0,6%(58), dato che
difficilmente si trova in endpoint nei trial di confronto tra preparazioni insuliniche di ultima generazione.
L’ipoglicemia rappresenta la vera barriera al raggiungimento
del buon controllo glicemico, ma l’educazione si conferma
come unico, vero, essenziale strumento terapeutico, insostituibile e imprescindibile in una patologia cronica il cui obiettivo
finale rimane l’autogestione consapevole della persona con
diabete.
9. Budnitz DS, Lovegrove MC, Shehab N, Richards CL. Emergency
hospitalizations for adverse drug events in older Americans.
N Engl J Med 2011;365:2002-12.
Conflitto di interessi
18. Foley JE, Jordan J. Weight neutrality with the DPP-4 inhibitor, vildagliptin: mechanistic basis and clinical experience. Vasc Health
Risk Manag 2010;6:541-8.
Nessuno.
Bibliografia
1. Bolli GB. From physiology of glucose counterregulation to prevention of hypoglycaemia in type 1 diabetes mellitus. Diab Nutr
Metab 1990;3:333-49.
2. Cryer PE. Diverse causes of hypoglycemia-associated autonomic failure in diabetes. N Engl J Med 2004;350:2272-9.
3. Orchard TJ, Nathan DM, Zinman B, Cleary P, Brillon D, Backlund
JY et al.; Writing Group for the DCCT/EDIC Research Group. Association between 7 years of intensive treatment of type 1 diabetes and long-term mortality. JAMA 2015;313:45-53.
4. Nicolucci A, Pintaudi B, Rossi MC, Messina R, Dotta F, Sesti G
et al. The social impact of severe hypoglycemia in elderly patients
with type 2 diabetes. Proceedings of the IDF world diabetes congress, Melbourne, 2013, P-1886.
5. Marinelli Andreoli A, Chiovoloni A, Lucidi P, Porcellati F, Ruffini F,
Capruzzi M et al. Ricoveri per ipoglicemia grave in soggetti con
diabete mellito di tipo 2: impatto clinico e costi sanitari. G It Diabetol Metab 2015;35:130-5.
6. American Diabetes Association. Standards of medical care in diabetes - 2015: 7. Approaches to glycemic treatment. Diabetes
Care 2015;38(suppl. 1):S41-8.
10. Bolli GB, Dimitriadis GD, Pehling GB, Baker BA, Haymond MW,
Cryer PE et al. Abnormal glucose counterregulation after subcutaneous insulin in insulin-dependent diabetes mellitus. N Engl J
Med 1984;310:1706-11.
11. Johnston SS, Conner C, Aagren M, Smith DM, Bouchard J, Brett
J. Evidence linking hypoglycemic events to an increased risk of
acute cardiovascular events in patients with type 2 diabetes.
Diabetes Care 2011;34:1164-70.
12. Desouza CV, Bolli GB, Fonseca V. Hypoglycemia, diabetes, and
cardiovascular events. Diabetes Care 2010;33:1389-94.
13. Whitmer RA, Karter AJ, Yaffe K, Quesenberry CP Jr, Selby JV.
Hypoglycemic episodes and risk of dementia in older patients
with type 2 diabetes mellitus. JAMA 2009;301:1565-72.
14. Johnston SS, Conner C, Aagren M, Ruiz K, Bouchard J. Association between hypoglycaemic events and fall-related fractures
in Medicare-covered patients with type 2 diabetes. Diabetes
Obes Metab 2012;14:634-43.
15. Cox DJ, Kovatchev B, Vandecar K, Gonder-Frederick L, Ritterband L, Clarke W. Hypoglycemia preceding fatal car collisions.
Diabetes Care 2006;29:467-8.
16. McCoy RG, Van Houten HK, Ziegenfuss JY, Shah ND, Wermers
RA, Smith SA. Increased mortality of patients with diabetes reporting severe hypoglycemia. Diabetes Care 2012;35:1897-901.
17. Green AJ, Fox KM, Grandy S; SHIELD Study Group. Self-reported
hypoglycemia and impact on quality of life and depression among
adults with type 2 diabetes mellitus. Diabetes Res Clin Pract
2012;96:313-8.
19. Henderson JN, Allen KV, Deary IJ, Frier BM. Hypoglycaemia in
insulin-treated type 2 diabetes: frequency, symptoms and impaired awareness. Diabet Med 2003;20:1016-21.
20. Gold AE, MacLeod KM, Frier BM. Frequency of severe hypoglycemia in patients with type I diabetes with impaired awareness of
hypoglycemia. Diabetes Care 1994;17:697-703.
21. Yaffe K, Falvey CM, Hamilton N, Harris TB, Simonsick EM, Strotmeyer ES et al.; Health ABC Study. Association between hypoglycemia and dementia in a biracial cohort of older adults with
diabetes mellitus. JAMA Intern Med 2013;173:1300-6.
22. Ryan CM, Williams TM, Finegold DN, Orchard TJ. Cognitive dysfunction in adults with type 1 (insulindependent) diabetes of long
duration: effects of recurrent hypoglycaemia and other chronic
complications. Diabetologia 1993;36:329-34.
23. Warren RE, Frier BM. Hypoglycaemia and cognitive function. Diabetes Obes Metab 2005;7:493-503.
24. Jacobson AM, Musen G, Ryan CM, Silvers N, Cleary P, Waberski B et al.; Diabetes Control and Complications Trial/Epidemiology of Diabetes Interventions and Complications Study Research
Group. Long-term effect of diabetes and its treatment on cognitive function. N Engl J Med 2007;356:1842-52.
25. Hershey T, Perantie DC, Warren SL, Zimmerman EC, Sadler M,
White NH. Frequency and timing of severe hypoglycemia affects
spatial memory in children with type 1 diabetes. Diabetes Care
2005;28:2372-7.
7. SID-AMD. Standard italiani per la cura del diabete mellito 2014.
26. McCall AL. The impact of diabetes on the CNS. Diabetes 1992;
41:557-70.
8. Frier BM. The economic costs of hypoglycaemia. Br J Diabetes
Vasc Dis 2011;11:(suppl. 1):S10-2.
27. Wieloch T. Hypoglycemia-induced neuronal damage prevented by
an N-methyl-D-aspartate antagonist. Science 1985;230:681-3.
204
F. Porcellati et al.
28. Ouyang YB, He QP, Li PA, Janelidze S, Wang GX, Siesjo BK. Is
neuronal injury caused by hypoglycemic coma of the necrotic or
apoptotic type? Neurochem Res 2000;25:661-7.
29. Trovati M, Anfossi G, Cavalot F, Vitali S, Massucco P, Mularoni E
et al. Studies on mechanisms involved in hypoglycemia-induced
platelet activation. Diabetes 1986;35:818-25.
30. Fadini GP, Rigato M, Tiengo A, Avogaro A. Characteristics and
mortality of type 2 diabetic patients hospitalized for severe iatrogenic hypoglycemia. Diabetes Res Clin Pract 2009;84:267-72.
31. Marques JL, George E, Peacey SR, Harris ND, Macdonald IA,
Cochrane T et al. Altered ventricular repolarization during hypoglycaemia in patients with diabetes. Diabetic Med 1997;14:648-54.
32. Gill GV, Woodward A, Casson IF, Weston PJ. Cardiac arrhythmia
and nocturnal hypoglycaemia in type 1 diabetes – the ‘dead in
bed’ syndrome revisited. Diabetologia 2009;52:42-5.
33. Nordin C. The case for hypoglycaemia as a proarrhythmic event:
basic and clinical evidence. Diabetologia 2010;53:1552-61.
34. Chow E, Bernjak A, Williams S, Fawdry RA, Hibbert S, Freeman
J et al. Risk of cardiac arrhythmias during hypoglycemia in patients with type 2 diabetes and cardiovascular risk. Diabetes
2014;63:1738-47.
35. Fisher BM, Hepburn DA, Smith JG, Frier BM. Responses of peripheral blood cells to acute insulin-induced hypoglycaemia in humans: effect of alpha-adrenergic blockade. Horm Metab Res
Suppl 1992;26:109-10.
36. Sommerfield AJ, Wilkinson IB, Webb DJ, Frier BM. Vessel wall
stiffness in type 1 diabetes and the central hemodynamic effects
of acute hypoglycemia. Am J Physiol Endocrinol Metab 2007;
293:E1274-9.
37. Del Rey A, Roggero E, Randolf A, Mahuad C, McCann S, Rettori
V et al. IL-1 resets glucose homeostasis at central levels. Proc
Natl Acad Sci USA 2006;103:16039-44.
38. Ceriello A, Novials A, Ortega E, La Sala L, Pujadas G, Testa R et
al. Evidence that hyperglycemia after recovery from hypoglycemia
worsens endothelial function and increases oxidative stress and
inflammation in healthy control subjects and subjects with type 1
diabetes. Diabetes 2012;61:2993-7.
39. Gerstein HC, Miller ME, Byington RP, Goff DC Jr, Bigger JT, Buse
JB et al.; Action to Control Cardiovascular Risk in Diabetes Study
Group. Effects of intensive glucose lowering in type 2 diabetes.
N Engl J Med 2008;358:2545-59.
40. Finfer S, Chittock DR, Su SY, Blair D, Foster D, Dhingra V et al.;
NICE-SUGAR Study Investigators. Intensive versus conventional
glucose control in critically ill patients. N Engl J Med 2009;
360:1283-97.
41. Schwartz AV, Vittinghoff E, Sellmeyer DE, Feingold KR, de Rekeneire N, Strotmeyer ES et al.; Health, Aging, and Body Composition Study. Diabetes-related complications, glycemic control,
and falls in older adults. Diabetes Care 2008;31:391-6.
42. Schwartz AV, Margolis KL, Sellmeyer DE, Vittinghoff E, Ambrosius
WT, Bonds DE et al. Intensive glycemic control is not associated
with fractures or falls in the ACCORD randomized trial. Diabetes
Care 2012;35:1525-31.
43. Signorovitch JE, Macaulay D, Diener M, Yan Y, Wu EQ, Gruenberger JB et al. Hypoglycaemia and accident risk in people with
type 2 diabetes mellitus treated with non- insulin antidiabetes
drugs. Diabetes Obes Metab 2013;15:335-41.
44. Marchesini G, Veronese G, Forlani G, Forlani G, Ricciardi LM,
Fabbri A; Italian Society of Emergency Medicine (SIMEU). The
management of severe hypoglycemia by the emergency system:
the HYPOTHESYS study. Nutr Metab Cardiovasc Dis 2014;24:
1181-8.
45. American Diabetes Association Position Statements. Diabetes
and driving. Diabetes Care 2012;35:S81-6.
46. Cox DJ, Penberthy JK, Zrebiec J, Weinger K, Aikens JE, Frier B
et al. Diabetes and driving mishaps: frequency and correlations
from a multinational survey. Diabetes Care 2003;26:2329-34.
47. Cox DJ, Ford D, Gonder-Frederick L, Clarke W, Mazze R, Weinger K et al. Driving mishaps among individuals with type 1 diabetes: a prospective study. Diabetes Care 2009;32:2177-80.
48. Cox DJ, Kovatchev BP, Gonder-Frederick LA, Clarke WL. Physiological and performance differences between drivers with type
1 diabetes mellitus (T1DM) with and without a recent history of
driving mishaps: an exploratory study. Can J Diabetes 2003;27:
23-9;32:2177-80.
49. Mitrakou A, Fanelli C, Veneman T, Perriello G, Calderone S, Platanisiotis D et al. Reversibility of unawareness of hypoglycaemia
in patients with insulinomas. N Engi J Med 1993;329:834-9.
50. Fanelli C, Epifano L, Rambotti AM, Pampanelli S, Di Vincenzo A,
Modarelli F et al. Meticulous prevention of hypoglycemia (near-)
normalizes magnitude and glycemic thresholds of neuroendocrine responses to, symptoms of, and cognitive function during
hypoglycemia in intensively treated patients with IDDM of short
duration. Diabetes 1993;42:1683-9.
51. Sejling AS, Schouwenberg B, Faerch LH, Thorsteinsson B, de
Galan BE, Pedersen-Bjergaard U. Association between hypoglycaemia and impaired hypoglycaemia awareness and mortality in
people with type 1 diabetes mellitus. Diabet Med 2015 May 20.
doi: 10.1111/dme.12810 [Epub ahead of print].
52. Gruden G, Barutta F, Chaturvedi N, Schalkwijk C, Stehouwer CD,
Witte DR et al. Severe hypoglycaemia and cardiovascular disease
incidence in type 1 diabetes. The EURODIAB Prospective Complications Study. Diabetes Care 2012;35:1598-604.
53. Riddle MC. Effects of intensive glucose lowering in the management of patients with type 2 diabetes mellitus in the Action to
Control Cardiovascular Risk in Diabetes (ACCORD) trial. Circulation 2010;122:844-6.
54. Reno CM, Daphna-Iken D, Chen YS, VanderWeele J, Jethi K, Fisher SJ. Severe hypoglycemia-induced lethal cardiac arrhythmias
are mediated by sympathoadrenal activation. Diabetes 2013;62:
3570-81.
55. Joy NG, Tate DB, Younk LM, Davis SN. Effects of acute and antecedent hypoglycemia on endothelial function and markers of
atherothrombotic balance in healthy man. Diabetes 2015;64:
2571-80.
56. Bron M, Marynchenko M, Yang H, Yu AP, Wu EQ. Hypoglycemia,
treatment discontinuation, and costs in patients with type 2
diabetes mellitus on oral antidiabetic drugs. Postgrad Med
2012;124:124-32.
57. SID. Survey sull’ipoglicemia. http://www.siditalia.it/
58. Grassi G, Scuntero P, Trepiccioni R, Marubbi F, Strauss K. Optimizing insulin injection technique and its effect on blood glucose
control. Journal of Clinical & Translational Endocrinology 2014;
1:145-50.