L`EVASIONE come mezzo di RIPRESA

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L`EVASIONE come mezzo di RIPRESA
L’EVASIONE come mezzo di RIPRESA
Alberto GIACOMETTI: Surrealismo & GATTI in Scultura
di Maurizia Pallante
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Nato in Svizzera nel 1901, figlio di artista, dopo un soggiorno in Italia, Giacometti si stabilì a Parigi. Aveva
l’arte nel sangue e ben presto divenne famoso nel mondo sia come scultore che come pittore. Era attratto
dall’arte nera e seguace della lezione cubista, ma la sua opera si sviluppò attorno al 1930, cioè in pieno
Surrealismo.
Nel 1924, infatti, Andrè Breton aveva pubblicato il Manifesto Surrealista, movimento ispirato dalle visioni
subconscie della mente e perciò guidato dal sogno e dall’astratto. Il Surrealismo fu una delle forze dominanti
nel mondo occidentale costretto tra le due guerre: non è un caso, quindi, che in un tale periodo si sia
affermato proprio un movimento d’evasione e non un concreto realismo, per esempio.
Alberto Giacometti divenne famoso nel 1948, anno in cui, oltre alla sua mostra allestita a New York,
venivano sanciti i diritti fondamentali dell’uomo, mediante la pubblicazione della “Dichiarazione per i Diritti
Umani” da parte delle Nazioni Unite. Un anno ricco, dunque, denso di avvenimenti, che anche a Giacometti
regalò qualcosa, la fama. Tuttavia, egli visse soltanto per l’arte, senza lasciarsi travolgere dal successo, e
morì nel 1966, assieme a Walt Disney, all’età di soli 65 anni.
I suoi lavori sono ricordati per lo più per il loro aspetto scarno ed allungato, i suoi soggetti appaiono
emaciati. In quasi tutte le sue opere è possibile scorgere una nota tragica: la seconda guerra mondiale era
appena terminata e molti critici tendono a ritenere che quelle sue strane figure rispecchiassero la condizione
dell’epoca. Ma strane figure distorte ed allungate furono tipiche anche di un altro artista, l’espressionista E.
Munch, che alla fine dell’800, così come fece Kierkgaard in filosofia ed Ibsen in letteratura, attraverso il suo
celebre “Il Grido”, tentava di comunicare la sua ansia di vivere, i suoi timori e le sue paure, il sentirsi solo di
fronte a tutto ed a tutti.
Comunque sia, dal 1935 iniziò il periodo più ricco e travagliato di ricerca per Giacometti: egli mirava
all’analisi degli oggetti e delle emozioni interiori da tradurre in opera. Nacque così l’ossessione per le figure
scarne e fantastiche, quasi corrose dal vuoto che le circonda, motivo per cui, a New York, divenne famoso. Il
suo gusto, la sua tecnica erano originali. Il modo di rappresentare la realtà era anch’esso originale: tutto si
allungava, quasi scomparendo al tatto…
L’artista propose soprattutto figure umane di propria conoscenza, ma nella sua produzione spiccano anche
sculture di cani e di un Gatto, un bronzo del 1951. Quest’ultima è una scultura molto interessante, perché al contrario delle figure umane, che si estendono in senso verticale - questo gatto si sviluppa
orizzontalmente. La figura è protesa in avanti, pronta a catturare la sua preda immaginaria, ma,così
allungato, il gatto sembra essere privo di materialità.
L’opera è ospitata nel Kunstmuseum di Basilea.
Anche altri surrealisti si interessarono alle figure
feline, primo fra tutti Salvador Dalì, pittore spagnolo
che si immortalò in una celebre fotografia assieme ad
alcuni gatti. La fotografia divenne celebre a causa
dell’estro dell’artista, che volle che 3 gatti vivi
venissero letteralmente lanciati in aria verso di lui,
provocando l’ira di tutti i gattofili dell’epoca.
Tuttavia, l’opera più nota di Alberto Giacometti rimase
“Tre uomini che camminano”, emblema del suo lavoro
post-bellico.