Indebolimento costituzionale crescente dell`Europa mentre si allarga

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Indebolimento costituzionale crescente dell`Europa mentre si allarga
L’IDENTITÀ EUROPEA: UNA SFIDA DA PROMUOVERE,
UNA DISCIPLINA DA APPRENDERE
Torino 11-12 giugno 2008
Joëlle Casa
Segretaria nazionale FLC Cgil - Dipartimento Politiche europee
Dopo un periodo di riflessione in cui gli Stati membri si sono fortemente
impegnati per recuperare la fiducia dei cittadini europei e per decidere sul
futuro dell’Unione, credo fermamente che il mio sindacato debba, come parte
sociale, contribuire a promuovere e rilanciare il progetto europeo.
Penso che l’Identità europea sia una costruzione e un principio di mutamento
costante e, quindi, per i cittadini ed in particolare per i giovani una disciplina
da apprendere e per noi, sindacato, una sfida da promuovere.
Cittadini d’Europa non si nasce, ma si diventa attraverso molte forme di
apprendimento.
Il Consiglio d’Europa ha elaborato in una serie di documenti importanti
concetti e strumenti di formazione sulla cittadinanza, purtroppo ancora poco
conosciuti e divulgati. E’ compito dei Ministeri della Pubblica Istruzione dei
paesi europei agire con determinazione e attivare le opportune disposizioni
affinché siano conosciuti ed utilizzati al meglio.
Programmi e pratiche di formazione e di educazione alla cittadinanza devono
essere introdotti nei nostri istituti scolastici e universitari affinché
comportamenti e mentalità si evolvano in questo senso. In numerosi paesi
queste politiche sono già state introdotte ed incoraggiate.
Anche le discipline musicali, intese come educazione all’ascolto, fanno parte
di questo processo e hanno il potere di formare esseri umani più adatti ad
ascoltare e comprendere punti di vista diversi, più capaci di valutare il proprio
posto nella società e nella storia, esseri umani più abili a cogliere le
somiglianze invece delle differenze fra popoli.
La FLC Cgil, Federazione dei Lavoratori della Conoscenza, Scuola,
Università, Ricerca e Alta formazione musicale, è il sindacato della
Conoscenza in Italia e vuole essere parte attiva nella costruzione dell’Europa
come comunità di saperi, vuole lavorare per l’evoluzione delle idee e della
creazione artistica e superare la concezione della storia intesa come
successione di eventi che spesso ci dividono.
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Certo, riteniamo questo compito arduo, ma non più rinviabile.
E quindi eccoci oggi a Torino.
Stiamo senza dubbio assistendo a un indebolimento costituzionale crescente
dell’Europa, mentre essa si allarga verso nuovi paesi. Si aggiungono nuovi
paesi, ma il processo di unificazione politica segna il passo: sorge quindi la
domanda se l’Europa abbia una sua identità e quale possa essere.
Io credo che, come l’identità personale, l’identità europea - prodotto come
dicevo di una costruzione, di processi molteplici - lungi dall’essere qualcosa
di stabile, appare destinata a mutare anche in futuro, così come è mutata
profondamente nel corso dei secoli.
Non più solo una ricerca di radici comuni o di essenza, ma qualcosa da
costruire come l’identità personale.
Il cittadino europeo si sente cittadino d’Europa?
Non ancora a sufficienza, e forse in qualche caso molto poco.
Egli ha ancora una forte identità nazionale: per il senso di appartenenza ad
una comunità politica, per la coscienza di una comunanza culturale, per una
storia comune, fatta di eventi e miti, che si trasmette nel corso delle
generazioni anche attraverso le istituzioni.
L’identità europea rimane invece debole, perché non consiste in un insieme
di valori o di credenze che si sono trasmessi immutati o mutati
superficialmente nel corso dei secoli.
Inoltre, va considerato che non è mai stata definita in Europa una politica
comune sui grandi temi, nonostante a Maastricht sia stato individuato un
obiettivo politico-culturale. È assente una linea comune di fronte ai mutamenti
in atto su scala globale, sul ruolo della potenza americana, sull’immigrazione,
sul terrorismo, sulla pace in medio oriente, sulla scarsità delle fonti
energetiche e delle materie prime alimentari, sulle problematiche ambientali.
L’Europa è stata il frutto di una integrazione senza unità. Il frutto di un
processo di “uniformazione” tra i diversi paesi dopo il 1945, accompagnato da
una crescita economica senza pari e dalla costruzione di un sistema basato
su un modello sociale che ha garantito l’assistenza sanitaria, la previdenza e
che ha attutito le conseguenze delle ricorrenti crisi produttive e finanziarie.
Ma oggi “il Welfare State” è entrato in crisi anche per la perdita della
competitività dell’economia europea rispetto agli Stati Uniti, al Giappone, alla
Cina e all’ India, e con esso vacilla l’intero sistema sociale di protezione.
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Questa “uniformazione” non ha, quindi, prodotto unità, senza considerare la
Gran Bretagna sostanzialmente estranea al processo di costruzione europea
e fuori dall’Euro.
L’ Europa è, e rimane in qualche modo, divisa in due.
Prima avevamo due sistemi: capitalistico e comunista e questo spiega
l’integrazione europea solo economica.
Oggi, ci sono sostanziali differenze nell’organizzazione statale come ad
esempio gli Stati federali della Germania e il centralismo della Francia ed in
più, in Italia, un federalismo non ben definito, per non dire pasticciato .
Purtroppo il richiamo alla civiltà europea è stato sempre declinato in chiave di
primato nazionale, la cultura europea si è presentata sotto forma di cultura
nazionale, richiamandosi al passato dei singoli popoli.
Oggi incombe lo spettro del conflitto tra le civiltà e si assiste al ritorno delle
religioni come elemento di coesione di comunità definite su base etnica.
Che cosa manca all’Europa per raggiungere una vera identità?
Anche se abbiamo più mobilità, meno pregiudizi, una cultura giovanile
comune, l’omologazione dei consumi e dei modi di vita, una cultura di massa
trasmessa con la televisione che si è sovrapposta alla cultura trasmessa dalle
istituzioni scolastiche, manca una comune cittadinanza, un’appartenenza ad
una comunità statale, come quella che sta alla base dello stato nazionale,
manca un sistema di governo comune e anche un sistema giuridico comune.
Partendo da questi presupposti, quale può essere l’identità europea?
L’identità europea è certamente una sfida.
Penso che, come ho già detto, l’identità europea non è data, ma deve essere
costruita, se non addirittura inventata come lo fu quella delle entità nazionali.
Tuttavia, l’Europa non può prescindere dalla sua realtà storica e va costruita
sulla base del materiale a disposizione, in primo luogo sulla base delle
strutture politiche esistenti, tenendo conto dei processi che la favoriscono
come di quelli che agiscono in senso contrario.
L’Europa è erede della cultura illuministica, che deve diventare il cardine di
una nuova identità europea con al centro l’individuo, portatore di diritti e
doveri in termini politici, superando il concetto di comunità di appartenenza,
sia essa definita in termini etnici o religiosi.
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L’Unione europea deve saper preservare e sviluppare l’eredità della cultura
moderna e cioè avere la capacità di opporsi all’integralismo cattolico e al
fondamentalismo islamico, sia che essi si scontrino, animati da una volontà di
primato, sia che essi trovino una base d’intesa nel comune intento di
esercitare un controllo etico-religioso sulla vita pubblica.
I Valori universali dell’Illuminismo d’altronde, si rivolgono a tutti, non solo agli
Europei, indipendentemente dal posto che occupano nella scala sociale.
Una identità europea non deve essere ancorata a presunte radici né cercarne
altre, ma deve guardare alle prospettive di emancipazione dell’individuo.
L’Europa ha bisogno di una scelta chiara e deve sfuggire alla tentazione dei
compromessi.
E non c’è Emancipazione senza Conoscenza.
L’Europa è anche un mosaico di nazioni
Superato il dramma della frammentazione delle lingue, nasce la cultura
europea.
Parlo di una Europa che esce dalla confusione babelica, dal sentire la
pluralità linguistica come il tragico effetto di una maledizione divina, e inizia a
riflettere sul proprio destino di civiltà multilingue.
Quindi non più una babele di lingue, ma un mosaico di nazioni.
Questa Europa, non potrà certo essere una Europa di cittadini che parlano
correntemente tutte le lingue, una Europa di poliglotti, ma dovrebbe almeno
essere una comunità di persone in grado di incontrarsi, parlando ciascuno la
propria lingua, intendendo quella dell’altro.
Persone che, pure senza parlare in modo fluente e intendendo quindi quella
dell’altro, abbiano la capacità di intendere il genio, l’universo culturale che
ciascuno esprime parlando la lingua dei propri avi e della propria tradizione.
Il problema della cultura europea del futuro non sta nel trionfo del
poliglottismo totale, cioè il parlare tutte le lingue, ma in una comunità di
persone che possano cogliere lo spirito, il profumo, l’atmosfera di una favella,
di una parola diversa.
Il cittadino europeo deve quindi trovare in Babele non il segno di una
sconfitta, di una ferita da sanare ad ogni costo, ma la chiave di una nuova
alleanza e di una nuova concordia.
Spaziando in altre civiltà, ai confini della civiltà europea tra X e XI secolo,
l’arabo Ibn Hazm raccontava di una lingua madre originaria che non era una
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lingua unica, bensì il complesso di tutte le lingue, la qual cosa avrebbe
permesso agli uomini di ritrovare, in qualsiasi lingua, il soffio, le tracce del
polilinguismo originario.
Proviamo ad accettare questo suggerimento che viene da lontano.
Gli europei, cittadini di una terra multiforme, devono essere in grado di
ascoltare il grido polifonico delle lingue umane e vanno quindi educati
all’ascolto perché l’attenzione all’altro, che parla la propria lingua, è
preliminare se si vuole costruire una solidarietà che abbia un contenuto più
concreto dei discorsi teorici.
Parleremo domani di Discipline musicali e di Educazione all’ascolto con
Stefano Leoni, discipline fondamentali per l’educazione degli europei in
quanto cittadini di una terra multiforme.
Ogni lingua costituisce un certo modello dell’universo, un sistema semiotico
di comprensione del mondo e se abbiamo 4.000 modi diversi di descrivere il
mondo, questo ci rende più ricchi.
Dovremmo quindi preoccuparci di preservare le lingue così come dovremmo
preoccuparci dell’ecologia.
Purtroppo in Italia l’attenzione alle lingue è scarsa anche se il recente
documento della Conferenza dei Presidi delle Facoltà di Lingue ha
denunciato l’Emergenza Lingue Straniere nel nostro paese.
La diversità linguistica costituisce per l’Europa una sfida salutare ma,
nello stesso tempo, non priva di problemi.
La complessità del fenomeno richiede un atteggiamento saggio e dobbiamo
adoperarci tutti, noi sindacato e operatori del mondo della conoscenza, per
rimuovere gli ostacoli.
L’Europa è una comunità linguisticamente complessa ma, per questa stessa
ragione, una fonte di ricchezza culturale i cui effetti positivi dobbiamo cercare
di massimizzare.
La lingua unica nasce da un’esigenza di mercato e non d’integrazione
culturale ed il chiudersi nel monolinguismo rischia di soffocare le identità
culturali che costituiscono la nostra ricchezza e sarebbe contrario allo spirito
stesso del progetto europeo.
La diversità delle espressioni culturali, e quindi delle diversità linguistiche,
costituisce per ragioni storiche una componente primaria e va considerata un
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magnifico strumento d’integrazione e di armonizzazione compatibile con il
rispetto dei valori fondamentali, con l’universalità dei valori morali comuni.
Dobbiamo quindi promuovere nelle nostre scuole e nelle nostre università il
plurilinguismo, la conoscenza di più lingue, ed aiutare la costruzione di
un'identità europea, e dunque di una Europa, aperta al dialogo interculturale;
dobbiamo saper valorizzare le diversità, favorire l’integrazione e la solidarietà
tra i popoli e, per farlo, dobbiamo cominciare dai banchi di scuola.
Di insegnamento delle lingue parleremo domani con Ruggero Druetta.
Conseguentemente in questo mosaico di nazioni e di lingue va insegnato “il
dialogo interculturale e vanno valorizzate le diversità”, perché un vero dialogo
fondato sulla conoscenza e il rispetto dell’altro passa attraverso il diritto alla
differenza, l’apprendimento della storia per capire e saper vivere la diversità
culturale, la comprensione reciproca, la conoscenza delle culture, i
cambiamenti di mentalità e la ricerca di sinergie sull’educazione, la
formazione dei cittadini, l’insegnamento della storia in una visione plurale per
sviluppare lo spirito critico, la valorizzazione della diversità culturale.
Questa conferenza di Torino si inquadra perfettamente nel lavoro svolto dal
Consiglio d’Europa per la realizzazione del Libro bianco sul dialogo
interculturale e dall’Unione Europea che ha dichiarato il 2008 “Anno del
dialogo interculturale”.
Su questi temi Alain Mouchoux introdurrà i lavori di questa giornata.
Il Trattato europeo ha inteso valorizzare le tradizioni religiose del continente
europeo ma in base a un concetto di laicità volto a promuovere e sostenere
una sempre maggiore capacità di dialogo ed interazione fra le culture diverse,
per costruire una coscienza multiculturale europea basata sulla tolleranza,
insomma un concetto di laicità legato alla libertà, alla democrazia e al rispetto
dell’altro, un valore aggiunto. Alessandro Ferrara ci parlerà, oggi, della Laicità
post-secolare in Europa.
Con il nuovo Trattato di riforma si apre una nuova fase di rilancio del progetto
europeo, dopo il periodo di impasse politico–istituzionale derivante dalla
“bocciatura” del trattato costituzionale ai referendum svoltisi in Francia e in
Olanda nel 2005. Insieme a Marcello Pierini metteremo in evidenza le
principali novità del Trattato di riforma nonché, anche ai fini di un'analisi
critica, quello che il nuovo trattato non prevede e le eventuali conseguenze
che ciò comporta o potrebbe comportare per il cittadino europeo e per la sua
identità.
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Come ho già detto, non c’è emancipazione senza Conoscenza e non c’è
possibilità di crescita per un paese senza investimenti nella Conoscenza e
nel diritto all’apprendimento.
Le nuove sfide nell’ambito del diritto all’apprendimento affondano le
loro radici nelle indicazioni che l’Europa, da tempo, ha evidenziato
come forza strategica per lo sviluppo economico e sociale dei suoi
territori.
Il Consiglio di Lisbona del marzo 2000 ha richiesto ai Paesi membri un livello
di istruzione e formazione elevato e permanente, al fine di raggiungere la
piena occupazione nel 2010, sottolineando, fra l’altro, come tale obiettivo sia
perseguibile favorendo il passaggio verso un’economia e una società basate
sulla conoscenza, migliorando le politiche in materia di società
dell’informazione e di ricerca e sviluppo.
Investire in capitale umano e quindi nella conoscenza diventa per tutti i paesi
europei, compresa l’Italia, l’esigenza centrale per raggiungere tale obiettivo.
La vita lavorativa è diventata più complessa, l’organizzazione del lavoro più
irregolare ed è dunque necessario considerare, nella vita di ciascuno, un
certo numero di transizioni, incluse quelle tra scuola e lavoro, tra lavori, tra
differenti status di lavoratore, tra vita lavorativa e pensione, tra lavoro e
formazione, interruzioni di carriera e periodi di cura, questi ultimi riguardano
in particolare le donne.
Il Processo di Bruges-Copenhagen del novembre 2002 - in tema di dispositivi
di certificazione e di strutture di coordinamento tecnico per la loro
sussidiarietà - è un altro snodo importante per l’evolversi di una cultura e
pratica comune in tema di formazione integrata, perché le persone possano
esercitare il loro diritto all’apprendimento da cui consegue la tenuta nel tempo
della loro occupabilità.
Rimane ancora valido e attuale quanto dichiarato nella quinta conferenza
internazionale sull’Educazione degli adulti, tenuta ad Amburgo nel luglio
1997, che riassumeva in venti punti gli impegni dei Paesi comunitari nei
confronti delle attese delle persone in termini di continuità di apprendimento.
In particolare segnalo il punto 10, nel quale si afferma come il nuovo concetto
di educazione permanente, sia dei giovani sia degli adulti, proprio perché
richiede l’effettiva collaborazione tra il sistema governativo e la collettività,
lancia una sfida ai metodi e alle pratiche di governo tradizionali.
Risulta di primaria importanza un sistema di Educazione degli Adulti che
accresca la formazione libera del cittadino, oltre che del lavoratore, e i suoi
diritti di cittadinanza, indicando prospettive di rapporto tra l’offerta formativa
formale (scuola e formazione professionale) e quella non formale erogata da
reti civiche, associazioni, Università della terza età e del tempo libero, e in
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genere da tutti quegli agenti che sostengono il pieno sviluppo della persona e
il suo inserimento nella vita socio-culturale della comunità di riferimento.
Tutte queste indicazioni andavano quindi tradotte in serie riforme ed in
normative nazionali e regionali idonee.
Siamo ora a due anni dal traguardo e il Rapporto intermedio sulla strategia di
Lisbona dell’ottobre scorso riscontra nel settore dell’educazione molte
difficoltà a raggiungere gli obiettivi prefissati, proprio per l’assenza di serie
riforme e di investimenti nel capitale umano da parte degli Stati membri.
Nel marzo scorso il Consiglio dei Capi di governo dell’Unione Europea ha
confermato che la conoscenza e l’innovazione sono le aree prioritarie della
Strategia di Lisbona, in quanto fattori chiave per la futura crescita.
Sono stati riconfermati i maggiori obiettivi :
- più investimenti nel campo della ricerca, dello sviluppo e dell’educazione;
- capacità di trattenere i giovani talenti;
- revisione delle conoscenze e delle competenze;
- identificazione delle necessità dell’UE nella prossima fase;
-introduzione della “quinta libertà”, cioè il libero flusso della conoscenza.
Conseguentemente in tutta Europa e quindi anche in Italia:
- va rafforzata la mobilità dei ricercatori, degli studenti, degli scienziati e del
personale docente universitario;
- il mercato del lavoro per i ricercatori europei deve diventare più aperto e
competitivo per fornire migliori carriere e trasparenza;
- bisogna attuare ulteriori riforme nel settore dell’istruzione superiore;
- va facilitato e promosso l’uso ottimale della proprietà intellettuale per opere
create in organizzazioni di ricerca pubbliche in modo da accrescere il
trasferimento delle conoscenze all’attività produttiva, in particolare attraverso
la “Carta della proprietà intellettuale” da adottare entro la fine dell’anno;
- occorre lavorare per un accesso maggiore alla conoscenza e alla
innovazione e per il riconoscimento reciproco delle qualifiche.
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Anche il Sindacato europeo dell’Educazione, CSEE/ETUCE, in un documento
di analisi del Rapporto intermedio ha evidenziato la necessità:
- di dedicare più risorse all’educazione;
- di impegnarsi maggiormente nei processi di riforma;
- di riorientare le politiche europee nell’istruzione superiore, che non può
essere soggetta alle logiche di mercato, ma che deve invece garantire
maggiore equità nell’accesso e negli standard.
Il sindacato europeo dell’Educazione inoltre ha presentato una serie di
proposte e considerazioni sulla formazione e la professionalità dei docenti:
- la formazione iniziale per tutti i docenti a livello di master;
- la possibilità di accedere al dottorato di ricerca;
- la costruzione di un sistema di formazione continua strutturato che connetta
tra loro università, ricerca e scuola;
- la presenza di un “mentore” che aiuti il docente nelle fasi iniziali
dell’insegnamento.
Il nostro Paese deve recuperare il ritardo accumulato nella costruzione della
società della Conoscenza anche rispetto agli altri Paesi europei.
Siamo di fronte ad una vera emergenza formativa: i livelli di istruzione
della popolazione italiana sono tra i più bassi in Europa, insufficiente è il
numero dei laureati nel nostro Paese, fra i più bassi in Europa il numero dei
ricercatori.
Questo pesante deficit formativo frena la nostra crescita, penalizza lo
sviluppo e la diffusione dell’innovazione e della ricerca.
Manca nel nostro paese la consapevolezza che non esiste sviluppo senza
ricerca, che la qualità dei nostri sistemi di istruzione e di formazione sono
strettamente correlati alla qualità della ricerca.
Partendo dalle indicazioni dell’Europa in materia di apprendimento
permanente Paola Nicoletti ci parlerà delle “Strategie di Lifelong Learning per
un nuovo diritto di cittadinanza”.
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Il mondo corre, l’Europa della Conoscenza fatica a stargli dietro e l’Italia
purtroppo arranca.
Nello stesso tempo sappiamo che la sfida della Conoscenza non si vince
come singoli paesi, ma insieme e su questo bisogna lavorare se non
vogliamo perdere tutti.
La FLC CGIL intende quindi, con determinazione, pretendere che si consideri
la Conoscenza il miglior investimento possibile per la crescita del nostro
paese e intende spingere la classe politica ad operare le scelte politiche ed
economiche necessarie, con equilibrio e competenza.
Mi avvio alla conclusione.
Esiste dunque un'identità europea? E in caso affermativo, come si
manifesta e come la si incoraggia?
L’Europa affonda le proprie radici nella notte dei tempi, ma la storia della
costruzione europea è più recente e non può quindi tradursi in un'identità
monolitica, forgiata da secoli di unità.
L'identità europea trae origine dalla diversità nazionale, nel momento in cui i
paesi comprendono di avere un futuro in comune.
La garanzia dei diritti fondamentali e il principio della democrazia
parlamentare sono indubbiamente alla base della nostra identità europea.
Ma queste condizioni, sebbene necessarie, non sono sufficienti a far sentire
ogni individuo parte di un paese e dell'Europa.
Solo attraverso la progressiva e libera condivisione di valori, l'identità
europea raggiungerà il suo massimo potenziale, riuscendo a collegarsi con le
identità nazionali e regionali per generare un nuovo concetto, molto più ampio
ed eterogeneo, fonte della sua forza ed unicità.
La lotta contro ogni forma di violenza, la promozione della tolleranza
religiosa, il rispetto verso le minoranze ed il ripudio di ogni forma di
esclusione sono elementi fondamentali di un'identità impreziosita
dall'interazione tra le varie culture.
La FLC Cgil intende essere soggetto attivo in questa sfida.
Grazie.
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