Il sapere scientifico in Italia nel secolo dei lumi

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Il sapere scientifico in Italia nel secolo dei lumi
 Convegno
Il sapere scientifico in Italia
nel secolo dei lumi
14-15 marzo 2013
Milano, Palazzo di Brera, Via Brera 28
Il Convegno si propone di esaminare il contributo di pensatori e scienziati italiani nel
contesto del grande movimento di pensiero e di indagine scientifica che, in particolare nel corso del
XVIII secolo, orientò l’atteggiamento di scienziati e filosofi nei confronti della conoscenza, che si
volle ispirata dai “lumi della ragione”.
Si vuole, con questa manifestazione, evidenziare la grande tensione culturale che ha
caratterizzato il ’700 italiano, tracciando anche una suggestiva galleria di ritratti di grandi
protagonisti, contemporanei e spesso interlocutori degli “illuministi”. Quasi una celebrazione, nel
bicentenario della scomparsa degli insigni protagonisti, della cultura scientifica italiana durante quel
grande secolo. A parte alcune eccezioni, i “naturalisti” esercitarono il loro sapere in discipline oggi
distinte, come la medicina ed il complesso delle scienze naturali; i cosiddetti “matematici” si
occuparono di geometria ed analisi, di fisica, d’ingegneria, astronomia, topografia. Testimoniarono
tutti un marcato interesse “enciclopedico”.
Il tipico sapiente di quel grande secolo è erede della poliedrica attività leonardesca, è ideale
allievo della metodologia teorico-sperimentale galileiana e della sintesi matematico-fisica
newtoniana. È in sostanza un grande studioso e divulgatore dei predecessori. Attento osservatore
dell’evoluzione culturale d’oltralpe, mantiene significativi contatti con prestigiose personalità
europee.
La complessità della materia oggetto del Convegno ha indotto a prevedere dodici interventi,
affidati a relatori capaci di concorrere ad offrire un esaustivo panorama. L’iniziativa è stata inoltre
promossa con la volontà di sottolineare l’esistenza del prezioso deposito librario “illuministico”
giacente nelle biblioteche delle nostre accademie, ed in particolare, per quanto riguarda l’Istituto
Lombardo, di cogliere una ulteriore occasione per ricordare Alessandro Volta, suo primo Presidente
ed eminente protagonista del “secolo dei lumi”.
14 marzo 2013 - ore 14.30
Saluto dei Presidenti
Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere
Accademia delle Scienze, Torino
Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, Venezia
Presiede: ALBERTO CONTE
PAOLO CASINI
Università degli Studi di Roma Sapienza
Il “moto delle scienze” tra Italia e Europa
UGO BALDINI
Università degli Studi di Padova
Luoghi e istituzioni di ricerca
MARTA CAVAZZA
Università degli Studi di Bologna
La scienza al femminile
Intervallo
Presiede: GIANNANTONIO SACCHI LANDRIANI
FERDINANDO ABBRI
Università degli Studi di Siena
La struttura della materia
EZIO VACCARI
Università degli Studi dell’Insubria, Varese
La scienza della Terra
15 marzo 2013 - ore 9.30
Presiede: GIAN ANTONIO DANIELI
LUIGI PEPE
Università degli Studi di Ferrara
Lagrange tra meccanica ed analisi
ELIO ANTONELLO
INAF, Osservatorio Astronomico di Brera
L’esplorazione del cosmo
Intervallo
Presiede: PIETRO ROSSI
CESARE MAFFIOLI
Académie Internationale d’Histoire des Sciences
La sperimentazione in campo idraulico:
Giovanni Poleni e Francesco Domenico Michelotti
MARCO PICCOLINO
Università degli Studi di Ferrara
L’elettricità animale tra Galvani e Volta
15 marzo 2013 - ore 14.30
Presiede: MANLIO PASTORE STOCCHI
MARIA TERESA MONTI
Università degli Studi del Piemonte Orientale, Vercelli
Il problema della generazione: scritture e parole nella tradizione galileana fra Barocco e Lumi
PAOLO MAZZARELLO
Università degli Studi di Pavia
Viaggi scientifici nel Settecento: il caso Spallanzani
VINCENZO FERRONE
Università degli Studi di Torino
Le reazioni alla scienza
ABSTRACT
PAOLO CASINI
(Università degli Studi di Roma “La Sapienza”)
Il “moto delle scienze” tra Italia e Europa
Nel 1771 Paolo Frisi descrisse in una memoria per il principe Kaunitz il "moto grandissmo"
in atto nelle scienze : a Como, scriveva, Volta "ha fatto varie osservazioni sull' elettricità";
"Spallanzani ha continuato a Pavia le sue osservazioni"; a "Milano i PP. Boscovich, La Grange ed
altri Gesuiti hanno fatto costruire un osservatorio assai comodo e ben provvisto di strumenti", e così
via. Un analogo fermento di ricerca interessava gli altri centri - Roma, Bologna, Padova, Pisa,
Firenze, Torino - dove si era formata la generazione dei maggiori studiosi di ottica, astronomia,
matematica, fisica, microscopia, storia naturale, idraulica, elettricismo, geologia, attiva in Italia
verso la metà del secolo. La storiografia recente ha ripreso in esame l' opera di protagonisti come
Grandi, Poleni, Frisi, Boscovich, Vallisneri, Galvani, Spallanzani, Guglielmini, Volta, ma anche i
contributi delle figure di comprimari o marginali che, dopo il declino della generazione "galileiana"
del tardo secolo XVII, contribuirono alla crescita della scienza del Settecento in Italia e in Europa.
La nostra crescente conoscenza del moto delle scienze nell' Italia dei Lumi si deve ai metodi di una
storiografia a più dimensioni, che tende a ricostruire i modi, le idee, i contesti e il tessuto connettivo
della ricerca : al di là dei "successi", si studiano gli "errori", gli ostacoli imposti dall' inerzia delle
tradizioni, le forme della comunicazione scientifica, le istituzioni, il dialogo ininterrotto con i
protagonisti e i centri della scienza europea, secondo indagini sempre più comprensive e raffinate
condotte sulle fonti epistolari e archivistiche.
I riferimenti a due case studies - la recezione dell'ottica newtoniana, le resistenze e i
compromessi riguardanti l' adozione del sistema copernicano - intendono ricapitolare in breve in
questa relazione gli esordi del moto delle scienze nell' Italia dei Lumi, ostacolato ai suoi inizi dalla
resistenza all' innovazione e dall' autocensura. Si ricorda in tal senso come la formazione
ecclesiastica degli studiosi di scienza, il conflitto con l'autorità, il prevalere della riserva mentale e
della doppia verità pesassero per più decenni sull' esplicita adozione della sintesi newtoniana, che
implicava il "sistema del mondo" fondato sul moto terrestre, fino alla rimozione del divieto anticopernicano del 1616. Non impedirono tuttavia gli sviluppi del calcolo, dell' osservazione
astronomica, della meccanica, delle scienze "baconiane" e in senso lato della mentalità sperimentale
che penetrò anche l' etica e la politica promuovendo, dopo la metà del secolo, il moto delle riforme.
UGO BALDINI
(Università degli Studi di Padova)
Luoghi e istituzioni di ricerca
Tutte le istituzioni sono luoghi, ma non tutti i ‘luoghi’ sono istituzioni. il Settecento fu un
periodo di crescente professionalizzazione della scienza in tutta l’Europa centro-occidentale, ma in
ogni paese il processo ebbe modi e tempi differenziati, in rapporto alla geografia politica (unitàframmentazione, centralità-perifericità rispetto ai centri della ricerca avanzata, ecc.), ai passaggi di
potere dinastico, alla transizione dal prevalere di forme private di supporto ad altre pubbliche, al
nesso scienza-tecnologia-sviluppo del sistema economico, all’appartenenza a un sistema
sociopolitico chiuso in sé o proiettato su scala quasi planetaria dalle sue attività economiche o di
conquista. Perciò, entro la fisionomia generale, l’Italia esibì tempi e tratti specifici, varianti da
situazioni di relativa arretratezza ad altre di buon livello o anche d’avanguardia. Occorre distinguere
almeno: i tempi e forme delle riforme dell’insegnamento universitario; l’evoluzione dal sistema
ramificatissimo delle accademie, da uno status quasi sempre privato alla presenza di un congruo
numero di accademie parapubbliche o pubbliche, e da una finalità tradizionalmente umanistica e di
intrattenimento a una largamente segnata da finalità conoscitive e tecnico-produttive (soprattutto in
materia di agricoltura);
le trasformazioni del sistema delle scuole religiose, consistenti in
aggiornamenti dei contenuti, ma anche in impoverimenti e drastiche riduzioni del quadro
(scomparsa delle scuole gesuitiche); le incipienti limitazioni alla censura religiosa. Al di sopra, e
trasversalmente a tutto questo, la partizione della storia italiana del Settecento, che di fatto inizia nel
1714/5, ha una cesura nella parte centrale, tra 1734 e 1748, e sostanzialmente cessa nel 1796/7, con
ben note ripercussioni sulla gestione della politica culturale, lo sviluppo scolastico, il sistema
censorio, le forme d’intervento sul territorio (che implicano un innalzamento qualitativo ed
ampliamento quantitativo dei quadri tecnici).
I nessi di tutto questo col moto d’idee illuministico sono evidentemente molti e strettissimi,
ma non sono unidirezionali, e sono lontani dal costituire un’identità. Esso agì nella società italiana
come un lievito potente, ma non unico, e una lettura del progresso scientifico solo in chiave
ideologica non dà conto di tutti i fatti, le figure e le iniziative rilevanti. Nel tempo limitato
disponibile per questo intervento, si tenterà quindi di offrire un quadro il più possibile variegato e
aderente alle pieghe e intrecci della vicenda complessiva.
MARTA CAVAZZA
(Università degli Studi di Bologna)
La scienza al femminile
Nell’Europa del secolo XVIII si registrò un aumento dell’istruzione femminile e del numero
di donne note per il loro sapere. La diffusione dei “lumi” comportò anche la messa in discussione
delle idee tradizionali sulle differenze fisiche, intellettuali e morali tra i sessi e sui rispettivi ruoli
sociali. In Italia al centro dei dibattiti fu la questione degli “studi delle donne”, relativa alla capacità
dell’intelletto femminile di cimentarsi con temi filosofici e scientifici e all’opportunità sociale di
permettere alle donne di istruirsi ed eventualmente di accedere a professioni da sempre di esclusiva
pertinenza maschile.
I viaggiatori del Grand Tour che percorrevano da Nord a Sud la penisola registravano con
sconcertata curiosità la diffusione del fenomeno delle donne esperte di matematica, fisica o
anatomia. Alcune “filosofesse”, com’erano chiamate, spesso con ironia, raggiunsero una grande
notorietà e ricevettero riconoscimenti pubblici del loro sapere. Dagli anni Novanta del secolo
scorso, grazie al diffondersi dei women studies e degli studi di genere e al contemporaneo
affermarsi degli studi sociali e culturali della scienza, la conoscenza di alcune di queste figure è
decisamente aumentata e migliorata.
La mia relazione sarà incentrata su Laura Bassi, Maria Gaetana Agnesi, Cristina Roccati,
Mariangela Ardinghelli e Faustina Pignatelli e specialmente sul ruolo svolto da queste studiose
nella disseminazione in Italia della filosofia naturale di Newton. Cercherò inoltre di spiegare in che
senso e con quali precauzioni è corretto, a mio parere, parlare, a proposito delle “filosofesse”
italiane del Settecento, di “scienza al femminile”.
.
FERDINANDO ABBRI
(Università degli Studi di Siena)
La struttura della materia
Nella storiografia scientifica relativa all’Età dei Lumi si è molto dibattuto sullo status
disciplinare della chimica come scienza dei mutamenti della materia nel periodo precedente le
ricerche e le teorie di A.-L. Lavoisier. La chimica appare come una disciplina dai confini non ben
tracciati che era oggetto di attenzione da parte di una vasta popolazione di medici, farmacisti,
naturalisti e amateur. Nei manuali di chimica di tardo Seicento convivono teorie paracelsiane,
aristoteliche e atomistiche in merito alla composizione e ai mutamenti della materia. G.E. Stahl
(1659-1734) introdusse novità significative nel modo di pensare la struttura gerarchica della materia
che andava dai principi (i corpuscoli invisibili) ai corpi macroscopici, e la sua teoria risultò in
accordo con la ipotesi newtoniana dell’esistenza di forze attrattive e repulsive tra gli atomi. Le
teorie stahliane si scontrarono alla metà del secolo con le nuove scoperte in merito all’aria e alle
arie (i gas) che produssero accesi dibattiti tra la cultura britannica e la cultura tedesca. Queste
controversie ebbero un impatto apprezzabile anche sui circoli scientifici italiani. Le ricerche
sull’aria sfociarono nell’accettazione dei quattro elementi aristotelici come elementi chimici primari
e questa forma di neoaristotelismo, teorizzata in Francia, conobbe grande fortuna in Italia grazie alla
traduzione (1783-1784) del Dictionnaire de chimie (1778, seconda edizione) di P.-J. Macquer
curata da G.A. Scopoli e A. Volta.
Novità rivoluzionarie in merito alla concezione della materia vennero introdotte in chimica
da Lavoisier che abbandonò l’idea di pochi elementi a favore di una tavola “aperta” di elementi
chimici o sostanze semplici. La teoria lavoisieriana incontrò molti ostacoli in Italia ma la sua
diffusione fu favorita dal farmacista veneziano Vincenzo Dandolo, che con le sue traduzioni
divenne il profeta della chimica francese in ambito italiano, dal piemontese G.A. Giobert, e da
naturalisti celebri come L. Spallanzani e G. Fabbroni.
Questi episodi
cruciali nella storia delle teorie chimiche della materia vengono
sinteticamente richiamati nella relazione con una particolare attenzione al contesto scientifico degli
antichi stati italiani. Questo contesto è assunto come punto privilegiato di osservazione per la
narrazione della storia delle teorie chimiche della materia nel secolo dei Lumi.
EZIO VACCARI
(Università degli Studi dell’Insubria, Varese)
La scienza della Terra
L'osservazione delle montagne, ben più della formulazione di nuove “teorie della Terra”,
rappresentò nel corso del diciottesimo secolo un campo di ricerca particolarmente privilegiato dagli
studiosi della superficie terrestre e costituì un elemento essenziale per lo sviluppo di quel ramo
disciplinare delle scienze della Terra oggi noto come geologia storica o stratigrafia.
Questa relazione intende quindi presentare ed analizzare le modalità e i risultati delle
principali ricerche in ambito soprattutto litologico-stratigrafico – senza tuttavia tralasciare gli aspetti
paleontologici, vulcanologici e mineralogici - realizzate da diverse figure di scienziati negli Stati
italiani del Settecento, entro i quali le differenti condizioni economico-politiche e le influenze
culturali e religiose determinarono situazioni più o meno favorevoli allo sviluppo delle indagini e
all'elaborazione di teorie specifiche.
In tale contesto risulta fondamentale ricostruire anche i rapporti tra questi scienziati, senza
comunque sottovalutare le figure cosiddette "minori" ed i loro scritti, che hanno invece
notevolmente contribuito a chiarire da un lato l'itinerario delle "classificazioni" dei rilievi montuosi
e dall'altro a rafforzare l'idea che nel Settecento le ricerche non solo lito-stratigrafiche, ma
geologiche in generale, si siano caratterizzate nella loro tumultuosa espansione come fenomeno
locale strettamente legato all'osservazione sul territorio.
LUIGI PEPE
(Università degli Studi di Ferrara)
Lagrange tra meccanica ed analisi
I contributi di Lagrange alla Meccanica razionale e all’Analisi matematica sono uno degli
argomenti più studiati della storia di queste discipline. Un certo numero di lavori, che potremmo
definire epistemologici, ha preso l’avvio dal primo volume del Cours de philosophie positive di A.
Comte (1830). Essi procedono dall’analisi interna delle grandi monografie di Lagrange: Théorie des
fonctions analytiques (1797) e Mécanique analytique ( II ed. 1811-15). Altri studi hanno riguardato
l’elaborazione dei principi che Lagrange ha posto alla base delle sue sistemazioni teoriche, a
cominciare dal periodo di Torino, come il passaggio dal ”principio di minima azione” a quello delle
“velocità virtuali” per la fondazione della meccanica. Il maggiore storico della meccanica del
Settecento, C. Truesdell, ha dato una valutazione assai limitativa dell’opera di Lagrange, sulla base
anche delle sue preferenze teoriche come trattatista. Egli ha avuto però il grande merito di indicarci
la strada per riscoprire la meccanica razionale nell’età dei lumi, contro un’interpretazione corrente
che guardava agli studi settecenteschi come a “scienza normale” dopo la “rivoluzione newtoniana”.
Sulla base degli approfondimenti della diffusione del newtonianesimo nel Settecento,
dovuti a vari autori, e in particolare a P. Casini, si presenterà la formazione delle idee di Lagrange
sui fondamenti della meccanica e nell’analisi, confrontandola con le opere da lui studiate e con i
problemi meccanici, astronomici, di sistemazione algoritmica, che egli ha risolto nei lunghi anni
della sua attività scientifica.
ELIO ANTONELLO
(INAF, Osservatorio Astronomio di Brera)
L’esplorazione del cosmo
La rivoluzione scientifica che ha caratterizzato il mondo occidentale negli ultimi secoli è
nata in un certo senso con l'astronomia moderna. Diversi studiosi italiani hanno dato un contributo a
questa scienza, a iniziare da quello, determinante, di Galileo. Nella seconda metà del Seicento la
ricerca italiana era molto attiva soprattutto a livello pratico-osservativo, in particolare a Bologna,
ma risentiva del clima anticopernicano. Nel Settecento, le osservazioni sempre più accurate e la
ricerca della dimostrazione sperimentale del moto della Terra avevano portato ad accettare
progressivamente il modello eliocentrico e, di conseguenza, l'inaudita enormità delle dimensioni del
cosmo. Nel pieno dell'illuminismo milanese, l'osservatorio di Brera era diventato poi il riferimento
per l'astronomia italiana, inserita nel contesto di quella internazionale (vera e propria
"globalizzazione" culturale). E' da rimarcare come già allora, da un lato, fosse sentita la necessità di
una adeguata divulgazione, e, dall'altro, fosse chiara l'importanza avuta dall'astronomia per "l'uscita
dell'uomo dallo stato di minorità" (Kant) nell'Età della Ragione.
CESARE MAFFIOLI
(Académie Internationale d’Histoire des Sciences)
La sperimentazione in campo idraulico:
Giovanni Poleni e Francesco Domenico Michelotti
Nel mezzo secolo che separa il De motu aquae mixto e il De castellis di Giovanni Poleni
dagli Sperimenti idraulici di Francesco Domenico Michelotti non cambiarono in modo significativo
le tecniche e la precisione delle misurazioni. Tra primo e secondo Settecento cambiò invece
radicalmente la cornice istituzionale entro cui si svolgeva la sperimentazione idraulica più avanzata.
Gli esperimenti di Poleni del 1716-1718, benché in armonia con le ambizioni di un giovane
professore dello Studio di Padova, erano ancora di tipo sostanzialmente privato. Quelli di Michelotti
del 1765-1766 erano invece stati eseguiti nello stabilimento della Parella, un laboratorio d’idraulica
fatto costruire a Torino da Carlo Emanuele III di Savoia.
Nel mio intervento vorrei tuttavia attirare l’attenzione anche su un altro elemento di
differenziazione e di svolta, e cioè sull’uso (o sul non uso) della sperimentazione nella ricerca dei
principi dell’idraulica. Accanto alle concezioni di Poleni e di Michelotti verranno brevemente
presentate quelle di Antonio Lecchi, un professore di matematica del Collegio dei Gesuiti di Brera
che nel 1765 pubblicò un ponderoso esame della scienza delle acque. La distanza tra le loro
concezioni sembrerebbe testimoniare un netto cambio di approccio e di finalità dell’attività
sperimentale tra primo e secondo Settecento. Ma si tratta di un’impressione almeno in parte
ingannevole. Lungo la via indicata da Poleni (e da Newton) ricerca dei principi e sperimentazione
troveranno infatti, già a fine Settecento, nuovi punti d’incontro e di confronto proprio nella scienza
dei fiumi, la branca dell’idraulica che facendo leva sulla complessità dei fenomeni fisici più di altre
sembrava (e sembra) resistere alla semplicità delle leggi matematiche.
MARCO PICCOLINO
(Università degli Studi di Ferrara)
L’elettricità animale tra Galvani e Volta
Insieme con la nuova chimica di Lavoisier, il Settecento assiste a due eventi epocali nella
storia della scienze sperimentali: la dimostrazione, dovuta a Luigi Galvani, della natura elettrica dei
meccanismi implicati nella generazione e propagazione del segnale nervoso e dell'eccitazione
muscolare; e l'invenzione, da parte di Alessandro Volta, della pila elettrica. Invenzione questa
realizzata "verso la fine del 1799", ma annunciata all'alba del nuovo secolo, il 20 Marzo 1800, con
una famosa lettera inviata al Presidente della Royal Society di Londra, la cui minuta rappresenta
uno dei cimeli più importanti della biblioteca dell'Istituto Lombardo. Come è noto la scoperta di
Volta corona una serie intensa di studi che il "fisico" comasco esegue per verificare, a partire dalla
primavera del 1792, la scoperta dell'elettricità animale annunciata da Galvani in una famosa
memoria pubblicata nel 1791 sui Commentari dell'Accademia delle Scienze di Bologna. Galvani e
Volta furono a lungo impegnati in una polemica sulla natura e origine dell'elettricità implicata nelle
contrazioni delle zampe di rana indotte dagli "archi" metallici. In questa polemica si è voluto vedere
un'irriducibile contrapposizione tra fisica e fisiologia; e nella scoperta della pila la dimostrazione
della validità dell'ipotesi "fisica" avanzata da Volta contro Galvani, sostenitore della natura
"animale" dell'elettricità responsabile di conduzione nervosa ed eccitazione muscolare. Che le cose
non fossero così schematiche appare da varie considerazioni. Tra queste la decisione di Volta di
chiamare la pila appena inventata organe électrique artificiel in quanto imitazione – a suo dire dell'organo elettrico di pesci in grado di dare la scossa elettrica, come la torpedine e l'anguilla del
Surinam. E dal lato di Galvani, il modello decisamente "fisico" della "bottiglia di Leida animale"
come schema esplicativo della circolazione di fluido elettrico tra nervo e muscolo. In effetti, come
voleva Galvani, la conduzione nervosa è un fenomeno genuinamente elettrico, dovuto a
un'elettricità di origine decisamente animale. La sua circolazione implica però meccanismi molto
più complessi di quelli puramente fisici in gioco nella conduzione di elettricità lungo un cavo
metallico. I motivi di questo sono affascinanti e al tempo stesso rendono ragione dell'apparente
impossibilità di conciliare le opposte visioni di due filosofi naturali del Secolo dei Lumi.
Bibliografia:
FINGER, S., & PICCOLINO, M. (2011). The shocking history of electric fishes: from ancient
epochs to the birth of modern neurophysiology. New York, Oxford University Press.
PICCOLINO, M. (2003). The taming of the ray: electric fish research in the Enlightenment from
John Walsh to Alessandro Volta. Firenze, L.S. Olschki.
PICCOLINO, M., & BRESADOLA, M. (2003). Rane, torpedini e scintille: Galvani, Volta e
l'elettricità animale. Torino, Bollati Boringhieri.
MARIA TERESA MONTI
(Università degli Studi del Piemonte Orientale, Vercelli)
Il problema della generazione:
scritture e parole nella tradizione galileiana fra Barocco e Lumi
La storia delle teorie della generazione all’epoca dei Lumi italiani è, per molti rispetti, una
“storia sbagliata”, che i suoi stessi protagonisti hanno rimodellato con notevole spregiudicatezza.
Dal primo e più erudito, Antonio Vallisneri, all’ultimo e più autorevole, Lazzaro Spallanzani, essi
hanno infatti ripreso lo schema fortemente ideologico costruito da Antonio Conti per il quale non
c’è storia, ma contrapposizione di due sistemi incompatibili e incomunicabili: gli “inviluppi”
moderni e le forze “plastiche”, irrimediabilmente arcaiche. E invece la vicenda fu un susseguirsi di
innovazioni, che finirono in vicoli ciechi, e di ipotesi discutibili, che fornirono soluzioni feconde.
La nostra ricostruzione tenterà di associare agli eventi conosciuti l’analisi delle scritture e
delle parole, forse altrettanto, se non più rivelatrice dei percorsi già noti. Sceglieremo alcuni casi di
studio tratti dalla prima e dalla seconda generazione dei discepoli di Malpighi, “devoti” nelle parole
con le quali rivendicarono l’appartenenza alla tradizione intellettuale, ma “infedeli” nella
metamorfosi che di fatto imposero alle teorie, alle pratiche e ai linguaggi del maestro. Partiremo dal
caso di Conti che, campione degli “inviluppi” italici, occultò il preformismo naturalistico di
Malpighi e condusse una durissima battaglia contro Francesco Maria Nigrisoli che vi si richiamava.
Ma per contro Nigrisoli fu ben lungi dal condividere l’impegno alla serialità osservativa che
aveva caratterizzato la ricerca di Malpighi. Vedremo come al progetto politico-culturale di Conti
abbia corrisposto Vallisneri, che consacrò la sua opera maggiore alla celebrazione della
preesistenza, ma poi la disseminò di segnali di dissociazione. Cercheremo di capire la sua “missione
impossibile”, che volle sottomettere al dominio dello sguardo gli “inviluppi” invisibili e fallì nella
caccia all’uovo dei vivipari. Analizzeremo le contraddizioni di questo grande esponente della
tradizione osservativo-sperimentale italiana, respinto e affascinato a un tempo dal “coraggio
filosofico” di Conti, che con quella tradizione fu in macroscopica rottura. Considereremo infine le
molte novità introdotte da Spallanzani. In particolare indicheremo come e quanto letture e scritture
ne abbiamo orientato sia la posizione spontaneista iniziale, sia il suo ribaltamento sia infine
l’approdo alla preesistenza invisibile. In un autore che riconobbe solo interlocutori europei,
mostreremo che ruolo abbia comunque svolto la tradizione dello sperimentalismo naturalistico
italiano e quanto abbia agito sulla costruzione del “buon metodo”. Apparirà infine come la stessa
vocazione osservativa abbia sostenuto sia la sua prima adesione all’epigenesi, sia la confutazione.
Né essa si perse con la certezza razionale della preesistenza e l’eleganza sillogistica della sua prova,
abbaglianti nell’opera a stampa, ma incapaci di placare la bulimia osservativa di Spallanzani che,
sino alle ultime battute della ricerca, fu periodicamente tentato dal miraggio del vedere.
PAOLO MAZZARELO
(Museo per la Storia dell’Università di Pavia - Università degli Studi di Pavia)
Viaggi scientifici nel Settecento: il caso Spallanzani
Pochi sono stati gli scienziati con un riflesso naturalistico paragonabile a quello di Lazzaro
Spallanzani (1729-1799). Nella sua vita esplorò ogni possibile confine della scienza settecentesca,
particolarmente in campo biologico, dominato sempre da un'inesauribile sete di conoscenza rivolta
alla totalità del reale, specialmente dove la natura è più ambigua e i fenomeni fisici più elusivi e
sfuggenti. Riprodurre in laboratorio i fenomeni in condizioni controllate era per Spallanzani una via
maestra della conoscenza, tuttavia una non minore importanza rivestiva ai suoi occhi l’osservazione
diretta della natura. Con gli anni il viaggio scientifico si trasformò in una parte fondamentale del
suo metodo di indagine, un’impresa che aggiungeva delle possibilità allo studio del mondo,
dilatando gli orizzonti di osservazione e moltiplicando le probabilità di incontro con fenomeni
sconosciuti. Immergersi nella natura era un modo per studiare gli esseri viventi nel loro ambiente,
analizzare le stratificazioni geologiche rivelatrici di dinamiche ancestrali, misurare la profondità del
mare o di un lago da cui pescare animali sconosciuti e singolari, misurare la temperatura e la
pressione atmosferica, osservare fenomeni meteorologici sconosciuti. Tutti i sensi diventavano
partecipi dell’impresa e ogni “dimensione” si rendeva accessibile all’esplorazione: la natura dunque
nella sua totalità perché niente era privo di interesse, ogni frammento del mondo poteva racchiudere
meraviglie, fenomeni straordinari, nascondere prodigi. Per questo Spallanzani continuò a
programmare escursioni scientifiche e viaggi che lo impegnarono anche, e non poco, fisicamente,
alcuni dedicati soprattutto alla geologia e alla descrizione fisico-naturalistica dei luoghi attraversati,
altri votati anche allo studio della biologia marina e alla raccolta dei più svariati reperti naturalistici
che andarono ad arricchire il Museo di Storia Naturale di Pavia e, in piccola misura, anche la sua
raccolta personale di Scandiano. I viaggi principali di Spallanzani di cui rimangono relazioni
pubblicate o rimaste fra i suoi manoscritti sono: sull’Appennino reggiano e al lago Ventasso (1761),
sulle montagne del Milanese e degli Svizzeri (1772), in Svizzera (1779), a Genova e alla Riviera di
Levante (1780), a Marsiglia e nel golfo di Genova (1781), sull’Adriatico (1782), a Portovenere,
Alpi Apuane e in Garfagnana (1783), a Chioggia e al Montegibbio (1784), ancora a Genova e nel
Genovesato (1785), a Costantinopoli (1785-86), nelle due Sicilie (1788), sull’Appennino modenese
(1789) e poco dopo sui Colli Euganei (1789), ancora sull’Appennino modenese (1790), nel Veneto
e nelle valli di Comacchio (1792).
Di ampio respiro furono le spedizioni in Oriente e nelle Due Sicilie. La prima, iniziata il 22
agosto 1785 al seguito del nuovo ambasciatore veneziano presso la Sublime Porta, fu ricca di
esperienze scientifiche e di pericoli, soprattutto durante la traversata nell’Adriatico quando la nave
San Giorgio, in cui era imbarcato, rischiò di affondare. A Costantinopoli Spallanzani rimase alcuni
mesi, dividendo il suo tempo fra le varie ambasciate, le escursioni naturalistiche sul Bosforo e sul
territorio limitrofo, occupandosi di meteorologia, ornitologia, geologia e biologia marina. Il ritorno
via terra lungo la Bulgaria, la Romania, l’Ungheria e l’Austria fu ricchissimo di osservazioni
mineralogiche e geologiche oltre che di incontri e annotazioni sugli usi e costumi delle varie
popolazioni incontrate. Durante il viaggio, alcuni suoi colleghi universitari, capitanati dal chimico e
botanico Giovanni Antonio Scopoli, lo denunciarono alle autorità austriache, accusandolo di aver
rubato alcuni importanti pezzi dal Museo di Storia Naturale di Pavia per arricchire la sua raccolta
privata di Scandiano. La congiura, motivata da invidie e gelosie accademiche, provocò nel 1787 una
vertenza giudiziaria che si trascinò per alcuni mesi, ma alla fine Spallanzani fu scagionato con
decreto imperiale. La vicenda, tuttavia, lo distolse dal progetto di scrivere un rapporto per la
pubblicazione del suo viaggio in Oriente, che dunque rimase allo stato di diario fra i suoi
manoscritti.
Molto ricco di esperienze scientifiche fu anche il viaggio nel sud d’Italia, iniziato il 9 luglio
e terminato a metà dicembre 1788. Spallanzani visitò il Santuario di Loreto, Roma, Napoli, l’Isola
d’Ischia, Messina, Catania, le isole Eolie. Centrali furono le osservazioni di biologia marina, di
geologia e, soprattutto, di vulcanologia, arricchite dalle osservazioni sull’Etna, sul Vesuvio, sullo
Stromboli, sull’isola di Vulcano e sulla solfatara di Pozzuoli. L’opera Viaggi alle Due Sicilie e in
alcune parti dell’Appennino, nella quale Spallanzani descrisse queste esperienze, è un resoconto
dettagliato di quanto vide e degli incontri che ebbe, ma è anche uno dei primi studi comparativi di
vulcanologia, con notazioni sulle lave, il punto di fusione delle rocce, i movimenti tellurici e così
via; nell’Ottocento il libro ebbe una discreta diffusione come racconto di viaggio nel sud della
penisola italiana.
VICENZO FERRONE
(Università degli Studi di Torino)
Le reazioni alla scienza
Comitato Scientifico
Gianpiero Sironi (coordinatore)
Giannantonio Sacchi Landriani
Alberto Conte
Pietro Rossi
Gian Antonio Danieli
Manlio Pastore Stocchi
Segreteria organizzativa:
Adele Robbiati Bianchi
Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere
Via Borgonuovo, 25 – 20121 Milano
Tel. 02.864087 (ore 8.30-16.30) – Fax 02.86461388
e-mail [email protected]
www.istitutolombardo.it