Vela, che passione! - Lega Navale Italiana

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Vela, che passione! - Lega Navale Italiana
Vela, che passione!
Incontravo Giacomo spesso. E quasi ogni volta Giacomo mi ripeteva, col suo stretto genovese,
“mia, questu u l’è u sport pe’ ti”.
Giacomo aveva portato le barche 2.4 a Genova e la sua passione per quelle barche era nel periodo
più contagioso. Sapeva che amavo la competizione - avevo una bella esperienza di rally - ed il
mare, avendo appena iniziato un corso da sub.
Io, dal canto mio, avevo molte perplessità a riguardo, anche perché le ore della giornata, tra lavoro e
sport vari, cominciavano a sembrarmi troppo poche. Ma cosa poteva fare? Cambiare percorso?
Mandarlo a quel paese? Ho preferito non perdere un amico, e fu così che incontrai la Vela.
2.4 S.I. in azione nel porto di Genova
Iniziai il corso alla fine dell’inverno del 1992, con il cielo
terso e frizzante delle belle giornate di ottobre e l’attrezzatura
provvisoria di chi pensa di non appassionarsi più di tanto.
Dopo circa un’ora di teoria a base di terminologie
marinaresche assolutamente incomprensibili, salii per la prima
volta sulla barca, un 2.4 S.I. con fiocco e randa, inaffondabile
e che, a detta del mio eccellente istruttore, non scuffiava. Nei
sei giorni del corso nacque fra me e lei una grande storia
d’amore, assolutamente non prevedibile, come spesso accade
con gli amori veri.
Rincontrai Giacomo, che mi aspettava al solito bar con un sorriso sornione: non solo non avevo
perso un amico, ma avevo trovato una grande passione. La sorpresa più incredibile venne però dal
mio istruttore: vedendo in me, probabilmente, quella scintilla che mi avrebbe legato a questo sport
per sempre, mi chiese se mi sarebbe piaciuto entrare nel gruppo agonistico che stava preparando. La
possibilità di regatare in tutta Italia e in futuro anche all’estero, confrontandomi con gli altri velisti,
fu per me come toccare il cielo con un dito.
In quel giorno indimenticabile entrai ufficialmente nel mondo
della vela agonistica col numero velico ITA 16, numero che
mantenni orgogliosamente fino al 2001, quando cambiai barca
e classe.
La mia prima regata è stata nel 1992, sulle acque blu intenso
del lago di Caldonazzo sopra Trento. Il lago, a differenza del
mare, ha le onde corte e il vento cambia in prossimità delle
ITA 16, il mio primo 2.4 S.I.
vallate. Chi è del posto e conosce queste caratteristiche è
sicuramente avvantaggiato. Mi accontentai di un dignitoso sesto posto su dieci, più che onorevole
visto che era la mia prima uscita ufficiale.
Sulla mia barca avevo curato personalmente le modifiche che mi erano necessarie, e me la cavavo
bene con le riparazioni, anche con quelle dello scafo in vetroresina. Al ritorno a Genova, il mio
istruttore mi chiese se ero disposto ad aiutarlo in questo compito, perché ormai le barche erano
diventate cinque e mantenerle in efficienza da solo era complicato.
Non mi sembrò vero di avere l’opportunità di dedicare il mio tempo libero, dopo il lavoro, a
sistemare e preparare le barche per le prossime regate. Regate che sarebbero diventate tante
nell’arco di anni che va dal 1992 al 2001: Otto, dieci regate all’anno, ciascuna dalle tre alle nove
prove e sempre più impegnative.
Ricordo una regata a Livorno nel 1994. Mio figlio allora aveva otto anni e mi seguiva su un
gommone. In prossimità dall’arrivo, ero impegnato a tentare di superare una barca della Marina
Militare.
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Eravamo vicinissimi, fra gli scafi c’era meno di un metro, io ero sopravvento, posizione buona per
poter superare l’avversario, nel momento in cui lui entra nei tuoi
“rifiuti” e tende a rallentare. Improvvisamente, la testa del mio albero,
dove è inserito il segnavento, toccò il suo albero, rompendosi. La voce
di mio figlio che esclama “ma Pa’!” mi scuote, ed io, istintivamente,
orzo un po’ per cercare di allontanarmi dall’altra barca, ma anche per
cercare quei pochi centimetri che alla fine mi hanno permesso di
tagliare il traguardo davanti all’avversario.
2.4 S.I. in regata
Quello stesso anno, durante la consueta assemblea, la Dottoressa che
era la presidente dell’Associazione di classe, disse che le altre nazioni
si erano organizzate con furgone e carrello e andavano a regatare in
giro per l’Europa. Anche noi avremmo potuto fare lo stesso, se solo ci
fossero stati dati gli strumenti, fu la mia risposta.
La Presidente mi prese sul serio: ci fornì di un Ford Transit e un carrello che poteva portare le
cinque barche e noi andammo in giro per l’Italia e l’Europa per sei formidabili anni con le nostre
cinque barche, a dimostrare che non eravamo secondi a nessuno anzi, forse, avevamo da insegnare
qualcosa.
Qualche ricordo “de puia” – come direbbe l’amico Giacomo – non manca. E sempre l’infido lago,
con le sue onde corte che ormai conoscevo, ma ancora non domavo, mi regalò qualche emozione un
po’ forte.
A Lecco, sul lago di Como, era una giornata bella, ma ventosa: 20 – 22 nodi, che per una barca di
quattro metri e diciotto centimetri, vi assicuro, non sono pochi. Durante una virata – sicuramente
sbagliata perché troppo lenta – la prua della mia “ITA 16” si ferma un attimo al vento e due onde,
che aspettavano proprio me, mi riempiono il pozzetto. La barca affonda, ma fortunatamente si
ferma a pelo d’acqua. I soccorsi sono arrivati subito, trainandomi a terra dove abbiamo svuotato la
barca e ho potuto riprendere le regate. Eravamo ad aprile, l’acqua era gelata.
Ricordo anche una regata nel 1997 a Dervio, sul lago di Como,
dove la Sezione L.N.I. di Milano ha un bellissimo porticciolo
immerso nel verde. La partenza è alle dieci, il vento è di 8 – 10
nodi, ideale per la regata. Due minuti prima del fischio un’altra
barca punta verso di me e mi accorgo che il timoniere non si è
accorto della mia presenza. Gli grido: “acqua!”, ma è troppo
tardi. Non mi sente e finisce con la sua prua nel mio fianco. Il
tempo di contare sino a tre e sono affondato.
Nonostante i soccorsi tempestivi, stavolta i danni erano troppo
importanti e mi sono dovuto rassegnare a veder regatare gli
altri. Per quanto riguarda l’inaffondabilità, avevo già collaudato
a mie spese la barca, ma mi mancava la prova che non
scuffiasse. Ed eccomi accontentato.
Ingaggio in boa fra due 2.4 S.I.
Siamo nel 1998, alla Sezione L.N.I. di Salerno si tengono i Campionati Italiani, il vento è forte, teso
(20 nodi), quasi al limite per quel tipo di imbarcazione. Dopo la prima prova, mentre si aspettava
che tutte le barche tagliassero il traguardo, una raffica improvvisa mi fa sbandare, la randa tocca
l’acqua e questa riempie rapidamente il pozzetto. Non so cosa fare, ma la barca fortunatamente si
raddrizza. Ecco, se avessi avuto ancora qualche dubbio, era sicuramente svanito.
Ogni uscita, in vela, regala emozioni imprevedibili e nel 1995 non ne mancarono certo: oltre al
quarto campionato Italiano, ad Alassio ci sarebbero stati i Campionati Europei con la partecipazione
di un velista eccezionale, Giovanni Soldini. Il campionato si concluse con un risultato che ancora
mi riempie di orgoglio: Io undicesimo in classifica, con Soldini quattordicesimo.
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L’anno successivo, a Cannes, vissi invece la
grande esperienza dei Campionati Mondiali,
con 96 imbarcazioni in rappresentanza di oltre
venti nazioni.
Immaginate novantasei barche alla partenza,
con la linea immaginaria fra la barca giuria e la
boa di partenza di oltre trecento metri.
Novantasei barche avanti e indietro per cinque
“interminabili” minuti, novantasei barche tutte
assieme: chi va in un senso e chi nell’altro,
cercando sempre di evitarsi. Teso come una
corda di violino per cercare la posizione
Partenza di una prova dei Camponati mondiali 2.4 mR,
migliore, all’ultimo minuto prima del “via”
organizzati dalla Sezione L.N.I. di Porto S. Giorgio (FM)
vedo un Norvegese che mi affianca sul lato
sinistro e cerca di orzarmi contro per buttarmi fuori dalla linea ipotetica di partenza. Resisto e non
mi faccio buttare fuori, anche perché se al segnale di partenza sei fuori della linea devi rientrare
dagli estremi e quindi parti quasi sicuramente ultimo. Il Norvegese mi urla “protest, protest” e io, di
rimando a lui: “protest, protest”, tirando fuori la bandiera rossa. Poi il via: si parte.
Non so cosa il norvegese abbia pensato, so solo che non mi ha protestato e io all’arrivo, con ancora
tutta l’adrenalina della gara e l’emozione della sfida, non ricordavo neppure quello che era
successo. Per la cronaca sono arrivato sessantesimo su novantasei partecipanti.
Nello stesso anno iniziai anche il primo corso di vela d’altura. Appassionante la teoria, ma la
sensazione più grande fu quella di timonare una barca di dieci metri. Abituato ad essere al timone
da solo, in una barca di poco più di due metri, ora mi trovavo al timone di una Alpa 33 di nome
Aldebaran, con quattro membri di equipaggio da coordinare durante le manovre. Cambiava tutto: i
tempi delle manovre, la lunghezza della barca, gli incroci, i giri di boa e soprattutto le partenze nelle
regate, quando sei a stretto contatto con le altre barche. Lì ti rendi conto che davvero non puoi
sbagliare, perché sbagliare vuol dire scontrarsi con una altra barca, farti e fare del male. Stai
portando una barca che pesa dai tre ai quattro mila chili, la responsabilità è tanta, l’adrenalina a
mille.
Affinai le capacità come timoniere con un secondo corso, mentre continuavo con le regate nella
classe 2.4. Ormai ero il responsabile di cinque imbarcazioni. In quel periodo, ho potuto anche
provare un’esperienza nuova e meravigliosa, ovvero quella di regatare contro mio figlio Simone,
che solitamente mi seguiva nelle regate e che, col tempo si
era appassionato alla vela anche lui. Feci in modo di
trovargli un imbarco e vi assicuro che regatare padre contro
figlio, uniti dallo stesso entusiasmo, è una delle emozioni
più grandi.
Avevo iniziato a regatare con le barche d’altura al timone di
uno Show 29, il “Teti”, con l’amico Enzo a prua, con il
quale facevo ormai coppia fissa: Entrambi competitivi,
entrambi con esperienza sulle mitiche 2.4, entrambi un po’
incoscienti, entrambi amanti della vela.
Lo Show 29 “TETI” in regata
Ma anche in questa classe, non sono certo mancate le emozioni, simili e diverse allo stesso tempo.
Come, ad esempio, in quella mattina era una mattina tersa e limpida del 2000, che mi ricordava le
prime uscite in vela di tanti anni prima. Con l’amico Enzo, avevamo deciso di partecipare a una
regata ad Arenzano con ALPA 33. Pur con un vento debole (3 – 4 nodi), la regata si svolge
piacevolmente e concludiamo al quarto posto. E’ ormai pomeriggio ed è tempo di rientrare.
Puntiamo quindi la prua verso Genova, soddisfatti della bella giornata. Improvvisamente – sembrò
essere questione di un momento – il cielo cominciò a coprirsi di nuvole scure, mentre il vento prese
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a soffiare sempre più forte. Comincia a piovere mentre il mare
ingrossa rapidamente. Decidemmo di dare una mano di terzaroli e
ridurre il fiocco con il rulla-fiocco.
Due miglia fuori Vesima tentiamo di avvicinarci a terra, ma la
tramontana e le onde ci ostacolano. Riduciamo il fiocco a
tormentina e diamo la seconda mano di terzaroli, rimanendo con
poca “tela”, sufficiente appena per poter governare la barca, che
comunque si sta comportando davvero bene. Ringrazio
mentalmente di aver una barca, seppur datata, solida e affidabile.
Ancora il “TETI” in azione
Come sempre, sono al timone e gli spruzzi misti di vento e acqua
sono come aghi e intanto è calato il buio. Per aiutarci a risalire
quelle due miglia accendiamo il motore, ma a questo punto il mare
è veramente grosso, la prua si alza poi si abbassa, scende, entra
nelle onde. Una gigantesca secchiata d’acqua ci investe: é gelata.
E’ buio, non sento più le dita, il naso e le orecchie sono di
ghiaccio.
L’equipaggio era di quattro persone: L’armatore, io al timone, Enzo come prodiere, per fortuna un
compagno capace ed esperto. Il quarto è un ragazzo nuovo, è venuto per fare un’esperienza, non
l’abbiamo mai più visto.
Siamo abbastanza vicini all’imboccatura del porto di Voltri e decidiamo di chiamare la Capitaneria
di Porto, chiedendo il permesso di entrare in porto perchè siamo in difficoltà e non riusciremmo a
raggiungere l’imboccatura del porto di Genova. La risposta è positiva e puntiamo la prua
all’imboccatura, con raffiche di vento che superano i quarantacinque nodi.
In mare, al buio, con dei muri d’acqua di 3 metri che ti vengono incontro, non hai tempo per avere
paura, né per sentire il freddo. Sei solo concentrato a non
commettere errori che potrebbero essere fatali. Finalmente
imbocchiamo il porto. Secondo l’armatore avremmo dovuto
tenerci sulla dritta vicino alla diga, ma replico che se stiamo
troppo vicini alla diga, il vento di tramontana ci avrebbe fatto
scarrocciare, con il rischio di finire contro al molo. Non c’è
tempo per discutere, mi tengo il più possibile a sinistra cosi da
stare sicuro. A terra, poi, mi dirà “meno male che non hai fatto
quello che ti ho detto”.
Riusciamo finalmente ad ormeggiare. Scendiamo infreddoliti,
bagnati sino al midollo. Come dei fantasmi ci guardiamo e
ridiamo, di una risata tesa, ma trionfante e liberatoria. Ci diciamo
“anche questa è fatta”, chiamiamo un taxi e ci facciamo portare a
Genova.
La paura vera, però, l’ho vissuta in regata, la Millevele del 2005.
Alla partenza ci sono oltre 70 barche di diverse lunghezze e
partiamo tutti assieme, con un vento sostenuto 15 – 18 nodi e
Ingaggio in boa con il “TETI”
molta onda. Siamo davanti a Quarto e sono di bolina ho le mure
a dritta, quindi ho la precedenza su tutte le barche che incrocio e che da terra, vanno verso il largo.
A un certo punto vedo un’imbarcazione che incrocia la mia rotta con mure a sinistra. Io ho la
precedenza, grido “acqua! acqua!”. Niente, continua ad avvicinarsi. A questo punto, tutto
l’equipaggio si mette a gridare “acqua! acqua!”, ma la barca, un otto metri, si avvicina sempre più.
E’ ormai a dieci metri da noi e non accenna a virare o a poggiare.
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Posso fare solo una cosa, e grido “viriamo viriamo!”, ma,
mentre viriamo, la barca che sopraggiunge centra in pieno lo
scafo fra la falchetta e il candeliere a poppa dove sono seduto
al timone. Vedo la prua della barca a 40, 50 centimetri dal mio
viso e grido al timoniere avversario di mettere la prua al vento,
anche per saper chi fossero e sentirci poi al rientro in porto.
Ma il timoniere, che era anche l’armatore, non riesce a mettere
la prua al vento, facendoci capire che talvolta chi va per mare
non sempre è all’altezza di farlo.
Mi piace raccontare un altro aneddoto di regata, questa volta
più piacevole. La regata era il Trofeo Marchi della organizzato
dalla Sezione L.N.I. di Genova Sestri Ponente. L’avevamo
vinta due volte (2005 e 2006) e avevamo deciso di provare a
vincere per il terzo anno consecutivo. L’armatore mi comunica
che un socio nostro amico, anche lui velista, gli aveva chiesto
di venire con noi perché voleva capire come mai vincevamo
così spesso.
L’idea non mi piaceva. Non perché fossi “geloso” dei miei
Il “TETI” al Trofeo Marchi 2006
segreti, ma perché era per me una regata particolarmente
importante e non mi pareva opportuno ci fossero a bordo membri dell’equipaggio non affiatati. Ma
ormai la parola era data.
Al giro della boa di bolina siamo primi. Il nuovo membro dell’equipaggio, preso dall’entusiasmo,
propone di mettere lo spi. Non è il momento per gli esperimenti – ribatto seccato – ma di continuare
come abbiamo sempre fatto, cioè “tangonare” il fiocco.
Va detto che lo spi lo mettiamo raramente, perché siamo in tre e per essere veloci, si deve essere
almeno in quattro o cinque. Di conseguenza, non abbiamo molta dimestichezza e ciò vorrebbe dire
perdere tempo e posizioni. Purtroppo, lui insiste e l’armatore si convince “Proviamo”. Si predispone
il sacco della vela, si controllano le manovre, e si cazza la drizza. Ed ecco che, durante questa
manovra, la drizza si attorciglia alla gamba del nostro amico – che c’è, ma non doveva esserci – e,
nella foga del momento, il poveretto rimane appeso a testa in giù. Ingoio amaro a vedere le altre
barche, che con tanta fatica eravamo riusciti a tenere dietro, superarci in tre. Da primi che eravamo,
arriviamo quarti e vedo sfumare la terza vittoria consecutiva al Trofeo Marchi.
Pochi mesi dopo a memorabile notte di Voltri, ricevetti la
comunicazione che sarei stato iscritto al corso di istruttore federale
dalla mia Sezione della L.N.I. di Genova. Mi chiamò alcuni giorni
dopo l’allora Presidente della F.I.V. in persona “Ci hai messo in
difficoltà” disse “devi avere un po’ di pazienza, perché non ci è mai
pervenuta una richiesta per un caso come il tuo. Si deve riunire il
consiglio direttivo e decidere”.
Dopo pochi giorni ebbi la risposta positiva e fui ammesso al corso
istruttori federali. Il corso fu interessante, forse meno temibile di
quanto mi aspettassi. Comunque un altro obiettivo era stato raggiunto.
Silvano Malagugini al timone
Ero diventato istruttore. E quindi, con il fido amico Enzo, iniziai a
tenere corsi di vela, senza tuttavia tralasciare le regate sulla 2.4 e sullo Show 29, con un discreto
numero di successi: Millevele, Intercircoli, Trofeo Marchi, Lui lei e Per Tutti, Regata costiera del
Salone Nautico.
Nel tempo, ho non ho più fatto molte regate sul 2.4, l’ultima è stata nel 2011 a Savona conclusasi
con una bella vittoria. In quell’occasione, ero stato chiamato dalla Presidenza Nazionale della Lega
Navale Italiana, che mi chiedeva di andare appunto a Savona presso la Sezione L.N.I. per provare
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una nuova barca da addestramento – L’Access 303, che
adesso si chiama Hansa 303 – e fare una relazione da inviare
a Roma.
L’Access 303 è stata una sorpresa. Questa nuova barca è
semplice, ha le manovre essenziali ed è ottima per insegnare.
E’ armata con fiocco e randa rullabili, scotte del fiocco,
scotta della randa, tesa-base della randa e strozzatori delle
scotte del fiocco che fungono da barber. Come il 2.4, non
scuffia e non affonda e, avendo 30 Kg di deriva mobile è
molto stabile, ma al tempo stesso la si può facilmente alare,
come una deriva. Seguendo l’esempio della Sezione di Hansa 303 regionale al Salone di Genova
Genova, oggi molte Sezioni L.N.I. della Liguria hanno acquistato diverse imbarcazioni, ed è con
quelle che vengono tenuti i corsi.
Ora ho deciso di “rallentare” l’attività agonistica, partecipando
solo ad alcune regate, sempre con lo Show 29, ma anche come
timoniere su un Mudi 33 o su di un Elan 37, dedicandomi
prevalentemente all’attività di istruttore. Anche in questo
campo, con grosse soddisfazioni, come quella di essere riuscito
a portare un ragazzo di otto anni con problemi fisici ai
Campionati Italiani 2013 a Garniano, sul lago di Garda.
I corsi mi danno grande soddisfazione. E’ sempre
entusiasmante trasmettere e cercare di spiegare il mistero di un
Garniano – Campionati Italiani 2013
grande amore. I miei corsi prendono spunto dalla mia
esperienza, quindi non mi è molto difficile insegnare: dico solo quello che so, perché l’ho già
provato prima io. Semplice.
Le prime volte che vincevo ed andavo a ritirare il premio,
notavo perplessità mista a incredulità nei concorrenti, che
vedevano uno in carrozzina ritirare la coppa, venendo a
sapere che non era un semplice membro dell’equipaggio,
ma il timoniere.
Così ogni tanto qualche allievo ancora mi guarda
perplesso, quando mi vede arrivare per la prima volta con
la mia carrozzella. Ma è solo un attimo. Quando sei in
mare, è facile capire che ciò che conta, più delle gambe, è
il cuore.
YCI Genova – Premiazione Millevele 2013
Ed è una verità che la vela mi insegna, ogni giorno che esco in mare da 23 anni.
Silvano Malagugini
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