Ascolta una storia che viene da lontano “ una

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Ascolta una storia che viene da lontano “ una
Ascolta una storia che viene da lontano
“ una storia lontana narrata da un oggetto”
Concorso nazionale di scrittura per ragazzi
MENZIONE SPECIALE PER LO STILE E LA CREATIVITÀ
Liceo scientifico C. Cavour, Roma
America 1929
America, 24 ottobre 1929, giovedì nero.
Qualcuno vede il bicchiere mezzo pieno, altri lo vedono mezzo vuoto.
Antonio, immigrato durante l’età giolittiana era in un locale di Chicago,
batteva il tempo con il piede su “Hotter Than That” di Louis Armstrong. Si
trovava negli Stati Uniti per avere seguito il sogno americano; da onesto
lavoratore si era guadagnato stima, fiducia e soprattutto un modus vivendi
che lo soddisfaceva in pieno. Eppure, quella sera era venuto a conoscenza,
tramite la radio, del primo crollo spaventoso della borsa di Wall Street. Era
ormai quasi giunta la mezzanotte, quando ordinò l’ennesimo bicchiere di
succo di mela. Ricordò quando da quel bicchiere beveva l’Americano,
avrebbe tanto desiderato un po’ di ebbrezza in quella triste notte, ma erano
ormai nove anni che l’alcol era stato bandito negli States. Triste sì, perché
sentiva tutte le fatiche compiute nel passato, i successi ottenuti nel presente
e i desideri del futuro completamente vani. Vani come quel bicchiere, un
Tumbler medio, adatto più ai cocktail che ai succhi di frutta, che non era né
mezzo pieno né mezzo vuoto. Era infatti completamente distrutto.
Sentiva qualche rivolo di sangue scendere lungo il profilo delle dita della
mano destra, il bicchiere giaceva frantumato a terra. La caduta era stata
accompagnata da un grande rumore, che aveva risvegliato i clienti dal sonno
degli affanni della propria vita, mentre Antonio era immobile, guardava nel
vuoto; una calda lacrima gli rigava il volto a contatto con la barba incolta. I
pezzi di vetro riflettevano diversi angoli del locale.
Da uno stanzino angusto sbucò una giovane cameriera con una scopa. In
silenzio, spazzò i frammenti e li pose di lato, per poi munirsi di un paio di
guanti e gettarli in un sacco nero. Il suo nome era Rosa, 19 anni. Era una
giovane siciliana emigrata a soli tre anni con i suoi genitori, morti qualche
anno prima di febbre gialla. Alcune ciocche le ricadevano sul viso, le scostò
con la mano quando si accorse di un buchino sulla propria maglietta. Avrebbe
dovuto rammendarla un’ennesima volta, non poteva permettersi un
indumento nuovo. Per lei il sogno americano era solo quello che, di tanto in
tanto, faceva di notte quando riusciva a dormire serenamente. La crisi che
era esplosa quel giorno stesso per lei non era niente di nuovo.
Un frammento di vetro era finito sotto un tavolo e Rosa non se ne accorse.
Un anziano americano lo raccolse quando vide riflesso il suo viso. Pensava
anch’egli al crollo della borsa, pensava alle azioni sulle quali aveva investito,
pensava che forse avrebbe dovuto godersi la pensione. Si chiedeva che fine
avrebbero fatto quei soldi. Rifletteva su quanto, nell’arco di tutta la sua vita,
aveva dato grande importanza al denaro; per denaro abbandonò la moglie
giovanissima ed i figli, in balìa di chissà quale destino; per denaro e dunque
avarizia si era sempre rifiutato di aiutare chi ne aveva bisogno essenziale,
come quella giovane cameriera. Ora che il clima era quello di precipitare nella
grande depressione, si chiese con che cosa sarebbe rimasto.
“Nulla!” rispose una voce dietro di lui.
Era sua moglie, giunta qualche giorno prima a Chicago con i suoi due
bambini, ormai di 14 e 16 anni. Tramite vecchie amicizie era riuscita quella
sera a rintracciare l’uomo per cui ormai provava esclusivamente ribrezzo.
L’aveva fatto solo per soldi, perché i suoi figli ormai stavano crescendo e lei
ne aveva sempre più bisogno. Gli strappò quel pezzo di vetro tra le mani e lo
strinse nella propria, il sangue iniziò ad uscire copioso.
Gli urlò: “Lo vedi? Lo vedi questo sangue? È lo stesso che sputeranno i tuoi
figli per guadagnarsi un pezzo di pane ogni giorno”.
Un gruppo di giovani si girò sentendo quelle urla. Ignari di tutto, nella loro
inconsapevole giovinezza, seppure coetanei di Rosa, credevano che il
benessere dei loro genitori sarebbe durato in eterno. Presero i loro bicchieri e
brindarono alla loro salute, inconsci che sarebbero stati anche loro le vittime
di quella crisi, che coinvolse tutti, dai più abbienti ai meno.
Antonio, allora, osservando cosa aveva provocato la rottura del Tumbler, si
chiese cosa aveva determinato la rottura di un equilibrio economico, la rottura
di meccanismi che regolavano salari, redditi e forza lavoro, la rottura di
un’intera nazione: gli uomini impareranno una buona volta dalla storia?
Rosa invece dal bancone osservava tutta la sala, sentì le urla, così come
sentì quel brindisi. Sembrava non le sfuggisse niente, eppure le stava
sfuggendo il beneficio di vivere una vita. Questo perché il pensiero della
sopravvivenza sopraffaceva il pensiero della ricerca del benessere, della
felicità, della soddisfazione personale. Lei non comprendeva nulla di
economia, ma si chiese quanto quella crisi avrebbe danneggiato l’immensa
ricchezza dei pochi. Sciacquando un bicchiere, lo vide mezzo vuoto. Dunque
si rispose.
Di Greta Maria Capece.