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Il global sourcing come opportunità di innovazione:
un’analisi evolutiva
FABRIZIO BALDASSARRE
Abstract
Obiettivi. Il presente paper intende fornire spunti di riflessione e una chiave di lettura evolutiva della gestione degli acquisti
globali (global sourcing) partendo dall’analisi della letteratura scientifica, prevalentemente internazionale.
Metodologia. Il paper è di tipo concettuale e di review della letteratura esistente sul tema, con l’analisi di alcuni casi di
imprese multinazionali e di alcuni framework teorici che permettono una più agevole comprensione del processo di evoluzione
strategica degli acquisti globali.
Risultati. Nel paper si dimostra come la motivazione “innovativa” gradualmente supererà quella dell’accesso a fonti di
approvvigionamento semplicemente “low-cost” nelle scelte strategiche di global sourcing delle imprese. Il paper , inoltre, fornisce
un primo quadro teorico sistematizzato del global sourcing.
Limiti della ricerca. Il paper costituisce solo il primo step di una ricerca tesa ad investigare sul campo, attraverso un survey
da sottoporre ad imprese operanti in settori diversi, motivi e rischi legati all’approvvigionamento su scala mondiale: esso, pertanto,
risulta essere fondamentalmente di natura teorica e di analisi della letteratura esistente.
Implicazioni pratiche. Il paper consente ai manager e ai consulenti, oltre che agli studiosi di gestione d’impresa, di
interpretare secondo un paradigma evolutivo lo stato dell’arte degli acquisti in azienda, acquisendo consapevolezza del loro ruolo
innovativo e strategico.
Originalità del lavoro. Si propone un modello evolutivo a sei fasi degli acquisti globali che permette di leggere il global
sourcing in modo nuovo rispetto al passato.
Parole chiave: global sourcing; acquisti; innovazione
Purpose of the study. This paper aims at providing some conceptual insights and an evolutionary interpretation of global
sourcing management, starting from a literature review, mainly on international basis.
Methodology. The paper is fundamentally theoretical and propose a systemic review of the extant literature on the proposed
subject; it presents a few MNC case histories and a couple of conceptual frameworks that allow an easier comprehension of the
strategic evolution-process of global sourcing .
Findings. The main result is to demonstrate how innovation is becoming a more and more important motive instead of the mere
low-cost research for inputs.
Research limits. The paper is only the first step of a further research, aimed at surveying companies, investigating on their
global sourcing decision process. The paper is mainly theoretical and literature review oriented.
Practical implications. The paper allows managers and consultants to give an interpretation of the state-of-the-art of their
purchasing function understanding it with more clear awareness in its strategic and innovative perspective.
Originality of the study. The paper provides the reader with a six-stage evolutionary paradigm of the supply management
function, allowing an interesting interpretation of global sourcing.
Key words: global sourcing; purchasing and supply management; innovation
Ricercatore di Economia e Gestione delle Imprese - Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
e-mail: [email protected]
XXV Convegno annuale di Sinergie
L’innovazione per la competitività delle imprese
Referred Electronic Conference Proceeding
ISBN 978-88-907394-3-9
DOI 10.7433/SRECP.2013.12
24-25 ottobre 2013 – Università Politecnica delle Marche (Ancona)
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TRACK 2 - INNOVAZIONE E TERRITORIO
1.
Introduzione
Negli ultimi decenni la gestione degli acquisti, al pari di altre attività aziendali, ha subito una
serie di cambiamenti che possono far pensare ad una vera e propria rivoluzione (Scicutella, 2012).
Alla base di questi mutamenti vi sono fenomeni ben noti, come la globalizzazione dei mercati,
l’accresciuta competizione fra aziende e la necessità da parte delle imprese di utilizzare tutte le
risorse disponibili a livello mondiale (Caroli, 2000; Brondoni, 2008). Ne risulta che la
localizzazione dei fornitori e l’individuazione delle opportunità più vantaggiose deve avvenire su
scala globale, pena l’esclusione dell’impresa dai mercati internazionali, ma in molti casi anche dallo
scenario competitivo nazionale (Mentzer, 2001 e 2008).
Il successo delle organizzazioni è tradizionalmente attribuito al loro vantaggio competitivo
(Porter, 1985). La ricerca del vantaggio competitivo è, in misura crescente, vitale per la
sopravvivenza di qualsiasi organizzazione a causa della pressione che deriva, appunto, dalla
globalizzazione. Comprendere come conseguire un vantaggio competitivo nell’attuale ambiente
volatile ed ipercompetitivo (D’Aveni, 1995) dovrebbe essere una preoccupazione fondamentale per
imprese che producono e vendono i propri prodotti e servizi in tutto il mondo. Secondo Trent e
Monczka (2003), un’area nella quale le imprese possono iniziare a “catturare” i benefici della
globalizzazione è quella del global sourcing.
Il global sourcing rappresenta, oltre che un’importante leva strategica, una grande spinta
innovativa per le aziende, sia sul piano organizzativo sia su quello operativo. Inoltre, come ogni
processo d’internazionalizzazione, può risultare estremamente stimolante, poiché impone il
confronto con realtà diverse e offre la possibilità di scoprire nuovi modelli culturali e sistemi di
valori (Pepe, 2007). Naturalmente non vi sono solo vantaggi: questi processi comportano una serie
di complessità e rischi per l’azienda, legati all’aumento di attori, di operazioni, alla difficoltà di
controllare e di gestire processi localizzati in aree molto distanti. Il nuovo contesto competitivo
introdotto dalla globalizzazione dei mercati, infatti, spinge le imprese a cambiare in modo radicale
regole e geografie delle loro catene logistico-produttive (KPMG, 2011).
Le imprese, quindi, sono inserite sempre più di frequente in ecosistemi e in reti di valore sui
quali hanno un controllo solo parziale (Faraoni e Petretto, 2009). Come conseguenza di ciò i
risultati competitivi derivano «sempre meno dal potere di mercato e sempre più dalla capacità di
negoziazione. La deverticalizzazione, la disintermediazione e l’outsourcing, insieme alla crescita
dei progetti di sviluppo in comune e dei consorzi di settore, lasciano alle imprese sempre meno
controllo sul proprio destino» (Hamel, 2008).
Nella letteratura accademica internazionale il tema del global sourcing ha ricevuto negli ultimi
anni un’attenzione crescente; diversi studiosi, peraltro, hanno auspicato ricerche sempre più ampie e
rigorose sul tema dimostrandone la rilevanza (fra gli altri Trent e Monczka, 2002; Kotabe e Murray,
2004; Mol et al., 2004; Quintens et al., 2006; Pagano, 2009). In Italia l’interesse accademico è più
recente e limitato: si ricordano i contributi di Nanut e Tracogna, 2003; Stampacchia, 2003;
Nassimbeni, 2006; Ciappei e Sani, 2006; Camuffo et al., 2006; Chiarvesio e Di Maria, 2009;
Pagano, 2009; Tunisini e Bocconcelli, 2009; Tunisini et al., 2011; Baldassarre, 2012.
Il presente paper tenta di fornire un contributo utile alla ricerca sul tema: esso ha come punto di
vista l’impresa, il processo di evoluzione degli acquisti verso il global sourcing, in particolare
rispetto al ruolo innovativo che deriva dalla globalizzazione delle relazioni di fornitura.
Il paper è strutturato come segue. La prima parte è dedicata all’analisi della letteratura sul
global sourcing, con lo scopo di identificare i termini e i principali temi di ricerca sull’argomento e
di esaminare gli attuali modelli di evoluzione degli acquisti globali. La seconda parte cerca di
connettere la letteratura sul global sourcing a quella sui processi di innovazione e R&D, in special
modo nelle multinazionali, attraverso la formulazione di domande di ricerca e l’analisi esplorativa
di due casi di imprese globali operanti nel settore automotive. La terza parte tenta di fornire spunti
di approfondimento per future ricerche, individuando un possibile legame fra global sourcing e
processi di reverse innovation.
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IL GLOBAL SOURCING COME OPPORTUNITÀ DI INNOVAZIONE: UN’ANALISI EVOLUTIVA
2.
Background teorico e analisi della letteratura
2.1 I termini del global sourcing
La letteratura sul global sourcing (Quintens et al., 2006) presenta un’ampia diversità nella
terminologia e nelle definizioni, non sempre coerenti. Su tale attività strategica, infatti, è stata
coniata da parte degli studiosi un’ampia varietà di espressioni:
global sourcing (Murray et al., 1995; Chadwick e Rajagopal, 1995; Meijboom, 1999;
Meijboom and Dekkers, 1997; Kotabe, 1998; Arnold, 1999);
international purchasing (Motwani e Ahuja, 2000);
worldwide sourcing (Monczka e Trent, 1992);
import sourcing (Swamidass, 1993);
offshore sourcing (Frear et al., 1992);
international procurement (Scully e Fawcett, 1994).
In alcuni lavori questi termini sono stati ben delineati (per es. Trent e Monczka, 2002), in altri
essi sono stati usati in maniera intercambiabile (per es. Rajagopal e Bernard, 1993). Tra i termini
citati esiste, tuttavia, una distinzione concettuale (Monczka e Trent, 1991; Birou e Fawcett, 1993;
Trent e Monczka, 2005).
Dalla letteratura, le definizioni di international purchasing e global sourcing differiscono in
termini di coordinamento e integrazione dei fabbisogni delle business unit, di ampiezza e
complessità, dei luoghi nei quali le imprese producono i loro beni e servizi e della motivazione per
la quale esse si approvvigionano di prodotti.
Secondo Birou e Fawcett (1993, p. 29), international sourcing, multinational sourcing e
foreign sourcing sono definiti come «il comprare al di fuori del Paese di produzione di un’impresa
con un approccio che non coordina (necessariamente) i fabbisogni fra le unità di business nel
mondo di una singola impresa». Trent e Monczka (2002) affermano che l’international purchasing
si riferisce a «una transazione commerciale fra un compratore e un fornitore ubicati in Paesi
diversi».
Hong e Holweg (2005) osservano che la definizione più comunemente citata del termine global
sourcing deriva dagli studi condotti da Monczka e Trent. Secondo Monczka e Trent (1991) la
strategia di global sourcing può essere definita come l’integrazione e il coordinamento dei
fabbisogni d’acquisto per tutte le business unit, alla ricerca di comunanze nei prodotti, processi,
tecnologie e fornitori, a livello mondiale.
Allo stesso modo, Murray et al. (1995) definiscono il global sourcing come l’organizzazione
degli approvvigionamenti e della produzione di un’impresa che ha attività distribuite a livello
internazionale.
Bozarth et al. (1998) e van Weele (2005) definiscono il global purchasing come l’attività del
ricercare e ottenere beni, servizi e altre risorse su scala mondiale, per soddisfare i bisogni
dell’impresa e con una visione nel continuare a migliorare l’attuale posizione competitiva
aziendale. Quest’ultima definizione è fondata su tre idee.
In primo luogo, il global sourcing è percepito come qualcosa in più del mero sourcing “fisico”.
Esso include non solo il compito operativo del comprare ma anche le responsabilità più strategiche
come lo sviluppo dei fornitori e la generazione di sinergie d’acquisto mondiali. Gli acquisti globali
possono essere il risultato di una reattiva e opportunistica decisione di diminuire i costi d’acquisto
di un articolo ma può anche essere uno sforzo strategico e coordinato per migliorare proattivamente
la posizione competitiva dell’impresa. Esso include tutte le fasi del processo d’acquisto, da prima
della definizione dell’elenco delle specifiche, alla selezione dei fornitori e all’acquisto fino al
follow-up e alla fase di valutazione (van Weele, 2005; Robinson et al., 1967).
In secondo luogo la definizione tiene conto del fatto che non tutte le attività di ricerca globale
dovrebbero necessariamente portare ad effettuare acquisti oltre-frontiera. Se un’azienda conclude
che un prodotto è meglio che venga acquistato localmente dopo aver anche valutato possibili
fornitori esteri, questa decisione si adatta entro la strategia di global sourcing. Il focus della
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TRACK 2 - INNOVAZIONE E TERRITORIO
definizione non è, cioè, solo sul risultato finale ma anche sul processo. Come conseguenza, il grado
di globalizzazione degli acquisti di un’impresa non può essere colto misurando meramente il
rapporto fra acquisti all’estero/acquisti totali.
Come terzo elemento, la definizione si riferisce alle “ambizioni” di un’impresa. Si ritiene che il
global purchasing emerga in ragione dei possibili vantaggi competitivi che esso può generare per
l’azienda. Rispetto a ciò, non solo la formulazione della strategia ma anche l’allineamento
organizzativo e i processi di implementazione sono parte della ricerca di global sourcing.
Rispetto al “grado di internazionalizzazione degli acquisti”, un ampio numero di studi si
riferisce ad esso senza specificare il concetto. Solo pochi paper (per es., Katsikeas, 1998; Leonidou,
1998; Mol et al., 2004) prendono in considerazione esplicitamente il “grado di
internazionalizzazione degli acquisti”. Quando esso è reso esplicito, è spesso misurato solo sulla
base di una dimensione: il rapporto fra acquisti oltre-confine e acquisti totali (Birou e Fawcett,
1993; Servais e Møller Jensen, 2001; Swamidass e Kotabe, 1993). Più recentemente Mol et al.
(2004) hanno definito il “grado di internazionalizzazione degli acquisti” come concetto bidimensionale, riferendosi alla profondità (valore economico) e all’ampiezza (diversificazione fra
paesi) del global sourcing.
2.2 Le principali motivazioni del global sourcing
La letteratura fornisce diversi percorsi di discussione sulle ragioni per le quali le imprese si
approvvigionano globalmente. Le motivazioni che inducono a stabilire relazioni commerciali o
produttive con aziende estere sono molteplici (Cavusgil et al., 1993; Bozarth et al., 1998; Gadde e
Hakansson, 2001; Quintens et al., 2006; Aberdeen Group, 2005, p. 3)
la migliore qualità dei prodotti, identificata sia come driver fondamentale (Min e Galle, 1991;
Ghymn e Jacobs, 1993; Scully e Fawcett, 1994; Handfield, 1994) che come ostacolo del global
purchasing in termini di mancanza di qualità (Zeng, 2000) e controllo qualità (Ghymn e
Jacobs, 1993);
il minor prezzo delle forniture globali di beni e servizi (Min e Galle, 1991; Birou e Fawcett,
1993; Handfield, 1994; Rexha e Miyamoto, 2000; Cho e Kang, 2001)1;
la possibilità di entrare in un nuovo mercato come acquirente, per poi aprirsi l’opportunità,
acquisita la conoscenza delle peculiarità commerciali del paese, di creare filiali proprie o jointventure con imprese locali per esportare o produrre in loco i propri prodotti;
eventuali obblighi di natura commerciale in alcuni paesi che richiedono alle imprese che
esportano in quelle nazioni di acquistare da fornitori locali o di localizzare la produzione di
particolari beni o servizi. Si tratta di una politica tesa a sviluppare e internazionalizzare le
imprese locali (Tunisini e Bocconcelli, 2009).
Secondo Cavusgil et al. (1993) è possibile distinguere fra motivazioni reattive e proattive, in
funzione del tipo di vantaggio perseguito, competitivo (firm-specific) o comparativo (locationspecific) (tab. 1).
Birou e Fawcett (1993) descrivevano i tre più importanti driver decisionali per il global
sourcing: più alta qualità disponibile da fonti estere, disponibilità di prodotti esteri che non sono
disponibili nel mercato interno e prezzi più bassi. Questi tre fattori sono anche citati come i
principali driver da Monczka et al. (2008).
Monczka e Trent (1991) spiegavano che i driver più rilevanti che spingono le imprese variano,
ma includono le ragioni che hanno identificato. Bozarth et al. (1998) spiegavano che le motivazioni
per il global sourcing variano fra imprese, e dipendono dalla sofisticazione dell’azienda e dalla
1
Questa logica, in passato usata soprattutto per l’acquisto di materie prime, si è successivamente estesa ai componenti
più sofisticati tecnologicamente. Tuttavia, si deve porre attenzione al controllo dei costi logistici associati a queste
forniture, che potrebbero vanificare la convenienza economica prospettata da prezzi più bassi (Levy, 1991; Fawcett
e Birou, 1992).
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IL GLOBAL SOURCING COME OPPORTUNITÀ DI INNOVAZIONE: UN’ANALISI EVOLUTIVA
precedente esperienza nel global sourcing. Spekman (1991) argomentava che il tipo di strategia di
global sourcing scelta dipende:
dalle capacità e dalle risorse dell’impresa;
dalla disponibilità e capacità dei fornitori;
dai volumi di approvvigionamento in prospettiva
dal grado di integrazione degli acquisti globali con altre attività operative.
Vantaggi
comparativi
(location-specific)
Vantaggi
competitivi (firmspecific)
Tab. 1: Motivi del global sourcing
Motivi proattivi
Per sfruttare una superiorità tecnologica (prodotti
unici o differenti)
Per migliorare le competenze tecnologiche
Per assicurare flessibilità organizzativa
Per guadagnare una presenza iniziale in un
mercato promettente
Per assicurare miglioramenti nelle consegne e
nella qualità
Per avvantaggiarsi di incentivi governativi
esteri
Per sfruttare le fluttuazioni valutarie
Motivi reattivi
Per proteggere la perdita di tecnologia proprietaria
Per affrontare più efficacemente l’intensificarsi della
competizione globale
Per tagliar fuori i concorrenti da una selezionata base
competitiva
Per trarre vantaggio da più efficienti sistemi
logistici/di consegna
Per diversificare le fonti di fornitura ripartendo il
rischio
Per sfruttare vantaggi di costo come minore costo del
lavoro, dei materiali e dei componenti
Per soddisfare le richieste dei governi locali in merito
all’utilizzo di fornitori locali, countertrade e offset
Per superare barriere protezionistiche
Per difendersi da fluttuazioni valutarie
Fonte: adatt. da Cavusgil et al., 1993
2.3
Dagli acquisti al supply management globale: la prospettiva evolutiva storica
Fino al termine degli anni settanta, gli acquisti erano generalmente considerati una funzione
meramente amministrativa e routinaria o di servizio (Kraljic, 1983, p. 109). Benché alcuni
ricercatori reclamassero un ruolo più rilevante degli acquisti nella pianificazione strategica delle
imprese (Farmer, 1972), questo appello rimaneva ampiamente non ascoltato nella pratica. I buyer
erano concentrati fondamentalmente sui prezzi d’acquisto e «sulla prevenzione del blocco delle
linee di produzione» (Dobler e Burt, 1996, p. 7).
L’enfasi era sul materials management, il controllo delle scorte, il controllo della produzione,
l’immagazzinaggio, gli approvvigionamenti, il trasporto (Pinkerton, 2002, p. 510-511). Questo
focus sulla “garanzia di fornitura”, in special modo nelle imprese statunitensi negli anni settanta, era
in parte dovuta ai problemi occorsi, per esempio, durante la guerra in Vietnam (Kaufmann, 2002, p.
7; Monczka et al., 2005b, p. 23).
Tuttavia il solo focus sul materials management si dimostrava insufficiente per le nuove sfide
che le imprese stavano affrontando nei primi anni ottanta (Monczka et al., 2005b, p. 23). La
recessione economica globale causata, fra gli altri fattori d’influenza, dall’embargo petrolifero, fece
aumentare notevolmente i costi dei materiali: le imprese mutarono, di conseguenza, il loro
approccio al materials management riducendo i livelli delle scorte per evitare gli alti costi di
capitale investito (Dobler e Burt, 1996, pp. 7-8).
Parallelamente, le più grandi imprese mondiali iniziavano ad estendere le proprie operations
oltre i confini dei mercati domestici. La competizione globale emergeva, richiedendo nuove
strategie, strutture organizzative e tecniche manageriali a quelle imprese sempre più multinazionali.
Gli acquisti dovevano ampliare il proprio campo d’azione da attività decisamente nazionali ai
mercati mondiali per rifornire le operations globali.
Sebbene l’idea di gestire i fornitori a seconda della loro importanza strategica per l’impresa
(Kraljic, 1983) non fosse nuova, fu solo nei primi anni novanta che un maggior numero di aziende
acquistò consapevolezza del contributo degli acquisti per il successo aziendale (Ellram e Pearson,
1993).
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TRACK 2 - INNOVAZIONE E TERRITORIO
Con il loro lavoro sulle “core competence”, Prahalad e Hamel (1990) avevano fatto
riconsiderare, ad un’intera generazione di manager, il grado di integrazione verticale delle loro
organizzazioni.
Negli anni successivi, molte imprese esternalizzarono in maniera massiccia le proprie attività
“non-core”, determinando un sostanziale incremento dei volumi d’acquisto (Dobler e Burt, 1996, p.
8; Kaufmann, 2002, p. 8). Tuttavia, questa riduzione del grado di integrazione verticale rese le
imprese più fiduciose nei confronti dei propri fornitori come mai era successo in precedenza
(Kannan e Tan, 2003, p. 473).
Le tecniche giapponesi di gestione dei fornitori, come i fortemente integrati keiretsu,
sembravano essere una modalità promettente per affrontare questo problema (Womack et al., 1990;
Scicutella, 2011, pp. 24-25) ma queste pratiche di supply management richiedevano, in realtà, un
cambiamento radicale di mentalità e di comportamento nell’intera organizzazione (Burt e Doyle,
1994, p. 11). Inoltre, quelle pratiche erano in parte legate alla cultura asiatica e perciò non
facilmente realizzabili da parte di imprese occidentali (Kaufmann, 2002, p. 8).
All’epoca, molti manager esperti iniziarono a rendersi conto che una trasformazione delle loro
prassi di acquisto sarebbe stata cruciale per il successo della loro impresa (Dobler e Burt, 1996, p.
8; Monczka et al., 2005b, p. 24).
Negli anni Ottanta le strategie d’acquisto erano essenzialmente focalizzate nel restringere la
supplier base, ovvero nel diminuire il numero di fornitori, orientando le proprie azioni verso singole
fonti d’acquisto e verso la costituzione di partnership (Kohn, 1993). Kohn affermava, inoltre, che
sebbene questo tipo di strategia presenti i propri vantaggi, come la possibilità di sfruttare la
competitività dei costi e la tecnologia di questi fornitori, le imprese possono perdere opportunità in
termini di incapacità di ricercare altri fornitori che possano fornire prodotti di qualità superiore.
McGowan (1997) riferiva che «la saggezza convenzionale voleva che le imprese acquistassero
prodotti da fornitori nazionali o locali il più possibile al fine di mantenere prevedibili le consegne
ed essere certi del controllo qualità». Ciò non di meno, questa “saggezza convenzionale” viene
sottoposta a una sfida dall’esposizione delle imprese alle opportunità che possono manifestarsi con
il global sourcing.
Una grande attenzione ed un’ampia mole di ricerche sul tema degli acquisti su scala
internazionale è emersa fra la fine degli anni ottanta e i primi anni novanta (Trent e Monczka,
2003), una tendenza che è essenzialmente dovuta alla convinzione che gli acquisti internazionali
possano aiutare a contenere la decrescita della competitività delle imprese occidentali (Trent e
Monczka, 2003).
Il trend verso un incremento delle attività di acquisto su scala globale è chiaro (Trent e
Monczka, 1998; Fraering e Prasad, 1999; Byrne, 2002). Trent e Monczka (1998) affermavano che
le pressioni sulla riduzione dei costi e la necessità di acquisire maggiore esposizione alla tecnologia
e ai processi su scala mondiale assicureranno che proseguirà nei prossimi anni una graduale crescita
degli acquisti da parte delle imprese da fonti estere. Infatti, sebbene la spesa in acquisti avesse
sempre rappresentato una quota significativa dei costi totali in special modo nelle imprese
manifatturiere, è solo negli ultimi decenni che la quota di spesa esterna è aumentata fino al 50% e
oltre in molti settori (Heberling et al., 1992; Dobler e Burt, 1996, p. 7-8; Chapman et al., 1997, p.
31; Jahns, 2005, p. 121; Van Weele, 2005, pp. 16-17)2 e questo spinge le imprese a ricercare negli
acquisti una “fonte” di maggiore competitività. L’attuale competizione globale, specialmente dei
produttori nei low-cost countries, obbliga le imprese nel mondo allo stesso tempo a ridurre i costi e
a innovare i prodotti per “tenere testa” ai propri concorrenti (Burt e Doyle, 1994, p. 11).
2
Si può, infatti, misurare il peso dei costi d’acquisto da fornitori terzi rapportato al fatturato di un’impresa (leva degli
acquisti), indicatore che stima il grado di deverticalizzazione di una determinata azienda o di un determinato settore.
Si pensi che uno dei fattori che permise ad IBM di venir fuori da una grave crisi che negli anni Novanta comportò
perdite per oltre 15 miliardi di dollari nell’arco di cinque anni, e di trasformarsi da manufacturer di hardware
informatico a provider di soluzioni e di consulenza IT, fu proprio la spinta all’outsourcing: nei primi anni Novanta
la leva-acquisti era pari al 20% mentre alla fine del decennio essa era salita al 60%. Questo permise ad IBM in
quegli anni di capovolgere la situazione e di conseguire entro il 1998 profitti per 17 miliardi di dollari.
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IL GLOBAL SOURCING COME OPPORTUNITÀ DI INNOVAZIONE: UN’ANALISI EVOLUTIVA
A causa della sempre più ridotta integrazione verticale in molte imprese, i fornitori devono
giocare un ruolo critico sia nella riduzione dei costi che negli sforzi innovativi (Kannan e Tan,
2003, pp. 472-473; Carter et al., 2005, p. 9). La funzione acquisti, pertanto, deve integrare fornitori
e clienti interni per promuovere scambio e collaborazione (Dobler e Burt, 1996, pp. 10-11): essa
diviene una fonte non solo di cost-saving ma anche di un più ampio vantaggio competitivo in
termini di innovazione (Chapman et al., 1997, pp. 31-34)3. Alcuni autori addirittura argomentano
che la tradizionale ottimizzazione nelle imprese raggiunge limiti naturali che, perciò, forniscono
alla funzione acquisti l’opportunità di diventare la nuova leva nella riduzione dei costi e nella
creazione di valore (Das e Narasimhan, 2000, p. 17).
Per ricoprire questo nuovo ruolo, la funzione di supply management nelle imprese leader si è
evoluta come «gestore strategico di network complessi di fornitori globali e partner-chiave di altre
funzioni come l’engineering» (Jahns, 2005, pp. 45-46; Monczka et al., 2005b, p. 24).
Un articolo del magazine americano “Purchasing” (Anonimo, 2000) dal titolo “Global sourcing
to grow-but slowly” evidenziava che il global sourcing continuerà a crescere a causa della necessità
di innovazione e di prezzi competitivi. Birou e Fawcett (1993) notavano come l’international
sourcing è diventato una opzione competitiva attrattiva per un numero sempre maggiore di imprese.
Essi, inoltre, evidenziavano che la decisione di fare acquisti globali è complessa e con numerosi
ostacoli per le imprese impreparate (Birou e Fawcett, 1993). Secondo Fagan (1991), le imprese non
dovrebbero più domandarsi se diventare globali: al contrario dovrebbero trovare i modi per
intercettare i benefici del global sourcing minimizzando costi e rischi.
Oggi, più in generale, sia i ricercatori che i practitioners prevedono che i prossimi decenni
saranno l’era del ripensamento dell’intera catena del valore globale, dall’inizio della richiesta da
parte del cliente passando per la progettazione, la produzione, la logistica e il servizio, ancora, al
cliente finale. I “vincitori” nei futuri mercati saranno quelle imprese capaci di legare i propri
vantaggi interni a quelli dei propri fornitori combinandoli in una catena del valore che è più veloce,
più agile e innovativa e, infine, più profittevole di altre catene del valore concorrenti (Burt et al.,
2002; Spekman et al., 1999).
Con l’erosione dei vantaggi competitivi di molte organizzazioni negli ultimi anni, molte delle
capacità delle imprese non servono più da sole come armi competitive nel mercato mondiale. Le
imprese, pertanto, devono ricercare un nuovo set di vantaggi competitivi e, indubbiamente, il supply
management in ottica globale possiede un grande potenziale per conseguire i necessari
miglioramenti (Drucker, 1982; Hogan et al., 2001; Jap, 1999). I top-manager dovrebbero
riconoscere il ruolo critico che gli acquisti globali potrebbero avere in futuro nel dare una nuova
forma alla competitività delle proprie imprese insieme ai fornitori, in termini sia di bottom-line che
di top-line (Monczka et al., 2002; Watts et al., 1995)4.
3.
Verso un modello di evoluzione a fasi del global sourcing
Al di là della prospettiva storica, numerosi autori hanno elaborato diversi modelli concettuali
per descrivere il processo evolutivo degli acquisti o il set di best practice per una funzione
strategica di supply management orientata, in particolare, al sourcing globale.
Ai fini del presente lavoro assumiamo la seguente definizione di acquisti (purchasing) come
«la gestione delle risorse esterne dell’impresa in modo tale che la fornitura di tutti i beni, servizi,
capacità e conoscenze necessari per governare, sostenere e gestire le attività primarie e di
3
4
Come affermano Spekman et al. (1999, p. 103), gli acquisti hanno l’opportunità di passare dall’essere gestori del
“denominatore” (cioè focalizzati sulla riduzione dei costi) a importanti contributori del “numeratore” (cioè
generatori di reddito).
Un esempio paradigmatico di generazione di vantaggi competitivi attraverso il supply management è rappresentato
da Dell Computers per la quale i fornitori rappresentano la “linfa vitale” del business. In Dell un’efficace
condivisione della conoscenza con i propri partner di fornitura globali è un aspetto cruciale del successo aziendale
(Agrawal et al., 2001; Magretta, 1998).
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TRACK 2 - INNOVAZIONE E TERRITORIO
supporto dell’impresa venga garantita alle condizioni più favorevoli» (van Weele, 2009, p. 8)5.
L’obiettivo dell’attività d’acquisto può essere definito «l’ottenimento del giusto materiale (in
termini di quantità), nella giusta quantità, nei corretti termini temporali, nel giusto posto, dalla
giusta fonte (in termini di obiettivi cliente-fornitore allineati e convergenti), con il giusto servizio
(pre e post-vendita) e ad un giusto prezzo» (Leenders e Fearon, 1997, p. 34)6.
Il primo e più autorevole modello di evoluzione degli acquisti venne presentato da Reck e Long
(1988). Sulla base di interviste in 15 imprese in diversi settori dei beni industriali e consumer, gli
autori differenziarono quattro stadi dell’evoluzione degli acquisti: passivo, indipendente, di
supporto e strategico (Reck e Long, 1988, pp. 3-6).
In seguito, altri studiosi hanno suggerito variazioni a questo modello o hanno sviluppato
paradigmi alternativi. I modelli più recenti riflettono il progresso di acquisti e supply management
come disciplina. La tab. 2 fornisce una panoramica dei modelli dei diversi autori.
Tab. 2: i principali contributi dalla letteratura sui modelli di sviluppo degli acquisti
Autori
Reck e Long
(1988)
Syson
(1989)
Bothe
(1989)
Cavinato
(1990)
Cammish
e
Keough (1991)
Van Weele
(1992)
Burt e
Doyle
(1993)
Keough
(1993)
AT
Kearney
(1994)
Fase 1
Fase 2
Fase 3
Fase 4
Passivo
Indipendente
Di supporto
Integrato
Transazionale
Commerciale
Strategico (focus proattivo)
Confronto
Arm’s length
Congruenza di obiettivi
Piena partnership
Comprare
(a prezzi bassi)
Acquisti
Procurement
Supply Acquisition
Monczka
e Trent (1994)
Supporto
produzione
ChadwickRajagopal
(1995)
Barry
Cavinato
(1996)
Orientamento
amministrativo
La più bassa unità di
costo
Orientamento
commerciale
Reattivo
Meccanico
Proattivo
Servire la fabbrica
La più bassa unità di
costo
Coordinamento acquisti
Transazione
Controllo
Eccellenza
funzionale
Integrazione
Consolidamento
Sourcing strategico
e supply chain
management
integrati
Strategico
Servire la fabbrica
alla
Acquisti
prezzo
basati
sul
Coordinamento acquisti
Orientamento logistico
Procurement
strategico
Orientamento
strategico
Supply
management
strategico
Acquisti
crossfunzionali
Amministrativo
Commerciale
Di supporto
Processi d’acquisto di
MRO di base
Processi d’acquisto di
MRO migliorati
Processi d’acquisto di MRO
World class
Van WeeleRozemeijer
(1998)
Orientamento
transazione
Orientamento
commerciale
Coordinamento acquisti
Integrazione interna
Burt e Starling
(2002)
Attività d’ufficio
Meccanico
Proattivo
World Class
e
alla
Fase 5-6
Facilitazione
networks
dei
World class supply
management
(5)
Integrazione
esterna
(6)
integrazione
della catena del
valore
Fonte: adatt. da van Weele e Rietveld, 2000
5
6
Nel testo originale si definisce che «purchasing is the management of the company’s external resources in such a
way that the supply of all goods, services, capabilities and knolwledge which are necessary for running, maintaining
and managing the company’s primary and support activities is secured at the most favourable conditions» (van
Weele, 2009, p. 8).
Se questa definizione può apparire eccessivamente allargata, comprendendo troppe prestazioni
contemporaneamente, essa rispecchia direttamente l’impatto che gli acquisti hanno sulla competitività aziendale
(Stabilini, 2004, p. 53). In effetti, ognuna di queste prestazioni, se non viene erogata correttamente, pregiudica la
soddisfazione del fabbisogno d’acquisto. Da questa definizione prendono spunto le interpretazioni dell’ufficio
acquisti come “centro di servizi”, per il quale l’obiettivo operativo diventa essenzialmente la soddisfazione delle
esigenze del cliente interno (produzione, commerciale, ricerca e sviluppo, ecc.).
186
IL GLOBAL SOURCING COME OPPORTUNITÀ DI INNOVAZIONE: UN’ANALISI EVOLUTIVA
Rozemeijer (2000, pp. 61-62) indicò alcuni aspetti simili, comuni a tutti questi modelli:
stadio finale integrato: nella fase finale di sviluppo, gli acquisti sono integrati con altre
funzioni e business unit. Il management di “line” e i professionisti degli acquisti cooperano
nello sviluppo delle strategie d’acquisto. I processi legati agli acquisti sono organizzati intorno
a team cross-funzionali;
status dell’organizzazione acquisti: nell’avanzare verso gli stadi più evoluti la posizione degli
acquisti nell’organigramma aziendale si eleva, così come il grado di coordinamento
centralizzato delle attività d’acquisto;
gestione dei fornitori: la gestione delle relazioni coi fornitori cambia da un comportamento
reattivo o opportunistico ad un approccio di partnership selettiva di lungo periodo nella quale i
fornitori sono fortemente integrati. In parallelo, il numero dei fornitori viene sostanzialmente
ridotto7.
3.1 Il modello evolutivo a sei fasi e il grado di “maturità” dell’approccio agli acquisti
L’approccio descritto da Keough (1993) è considerato sicuramente uno dei più interessanti. Esso è
ben dettagliato, identifica cinque fasi di sviluppo e assume una relazione causale diretta fra il settore
nel quale opera l’impresa e lo stadio evolutivo negli acquisti. Questo autore ha tentato, comunque,
di integrare e combinare alcune importanti riflessioni da parte di altri studiosi con l’obiettivo di
giungere alla definizione di un modello evolutivo integrato degli acquisti.
Sulla base dei citati aspetti generali van Weele e Rozemeijer (1998) hanno identificato il
seguente modello a sei fasi (fig. 1), indicative di gradi diversi della “maturità” nella visione degli
acquisti all’interno dell’organizzazione e del settore di appartenenza.
Fase 1: “Orientamento alla transazione: servire la fabbrica”
In questa prima fase il compito primario degli acquisti è di trovare fornitori idonei e garantire
che la fabbrica non esaurisca materie prime e componenti. Non esiste una esplicita strategia
acquisti. La formulazione degli obiettivi degli acquisti è piuttosto rudimentale e intuitiva.
Il contributo fondamentale della funzione acquisti è quello di assicurare la disponibilità dei
giusti materiali e prodotti per il processo primario dell’impresa. La struttura organizzativa può
essere caratterizzata da un sub-reparto a livello di stabilimento, per lo più sotto la responsabilità di
un manager della produzione o della logistica.
La funzione acquisti è fortemente orientata ad attività operative e amministrative. L’acquisto di
materiali e servizi indiretti è prevalentemente effettuato dagli stessi utilizzatori (clienti interni), ed è
considerato di secondaria importanza da parte degli stessi buyer. C’è una limitata conoscenza di ciò
che esattamente sia la spesa d’acquisto complessiva dell’impresa.
La cultura è reattiva e la gestione è basata sui reclami e le sollecitazioni da parte dei clienti
interni: nessun reclamo significa che gli acquisti stanno facendo un buon lavoro. Il sistema
informativo, se esiste, è sviluppato dagli acquisti ed è orientato all’operatività amministrativa. Lo
staff acquisti è composto da buyer operativi, molto orientati al singolo compito e con un basso
grado di formazione per questo lavoro.
7
Oltre a questi aspetti simili, la maggior parte dei modelli condividono i seguenti parametri di misurazione (van
Weele et al., 1998, pp. 512-523): commitment da parte dell’alta direzione (il grado di impegno e di coinvolgimento
che il top management mostra rispetto alla definizione della strategia acquisti e, in genere, alle questioni del supply
management); leadership funzionale (la personalità del direttore acquisti, il suo stile manageriale, la sua rilevanza
nel team e nell’organizzazione); strategia acquisti (natura della pianificazione, focus primario, concetto di strategia);
attività operativa d’acquisto (analisi costi, sollecito ordini, negoziazione); aspetti organizzativi (relazioni
gerarchiche, visibilità organizzativa, forma organizzativa, ruolo e responsabilità, posizionamento strategico
nell’organizzazione, integrazione orizzontale nelle diverse business unit); gestione delle risorse umane (competenze
chiave, formazione, avanzamento di carriera); misurazione della performance (qualità, consegna, lead-time, cost
saving, vendor rating); sistemi informativi (ICT, disponibilità dei dati).
187
TRACK 2 - INNOVAZIONE E TERRITORIO
Integrazione
della catena
del valore
centralizzato
decentralizzato
Efficacia/risparmi cumulati
Integrazione
esterna
Integrazione
interna
Coordinamen
to acquisti
Orientamento
commerciale
Orientamento
alla
transazione
Fig. 1: il modello di evoluzione degli acquisti a sei fasi
retail
focus inter-funzionale
focus funzionale
auto
elettronica
di consumo
telecomunicazioni
Computer/PC
Alimentare
Servizi
finanziari
Farmaceutico
Public
utilities
“Soddisfazione
totale del
cliente”
Internazionalizzazione
-Gestione risorse
umane
-Attività customerdriven
-Contract
manufacturing
-Sviluppo fornitori
-Network globale
fornitori
-Outsourcing
-EDI/internet
-E-commerce
-Modelli di costo
“Ottimizzazione
supply-chain”
-resistenza sociale
Infrastrutture
d’informazione e
comunicazione
-Gestione contratti
-Etica
“Total
Cost of
ownership”
-Team interfunzionali
-Integrazione sistemi
-Vendor rating
-Contratti basati sulla
performance
-Commerciali
-Redazione contratti
-Global sourcing
-Gestione supplier base
“Risparmi
attraverso
sinergie”
-Commerciali
-Richieste d’offerta
-Trattative
fornitori
-Liste
approvati
“Riduzione
costi”
-D’ufficio
-Evasione ordini
“sourcing and
delivering goods
and services”
-Acquisti iniziali
-Controllo della spesa
acquisti
Sfide gestionali
Attività
Focus
Tempo
Fonte: elaborazione da van Weele (2005, p. 88)
Fase 2: “Orientamento commerciale: al prezzo più basso”
In questa fase viene solitamente reclutato un manager degli acquisti proattivo che possa
negoziare in maniera credibile con i fornitori per ottenere prezzi più bassi. Battersi per i prezzi più
bassi richiede una certa indipendenza da funzioni come lo sviluppo prodotti, l’engineering e la
produzione. Come risultato gli acquisti riportano gerarchicamente ad un manager in posizione di
senior executive ed hanno una maggiore autonomia a livelli organizzativi più bassi. La strategia
acquisti in questo stadio è caratterizzata da un focus chiaro sui prezzi bassi. La funzione acquisti ha
un proprio ufficio nello stabilimento, riporta direttamente al direttore di stabilimento, al quale
interessano i risparmi ottenuti dagli acquisti. In questa fase gli acquisti diventano sempre più una
funzione specialistica e i buyer specializzati sono organizzati secondo una logica di gruppi di
prodotti e mirano a negoziare dei “buoni affari” con i fornitori. La cultura prevalente è quella del
condurre trattative “dure” con molti fornitori. Il management fa monitoraggio sui prezzi d’acquisto
e sui risparmi ottenuti. La performance è misurata in base alle variazioni di prezzo e alle prestazioni
di consegna dei fornitori. Il team è composto da buyer operativi e da alcuni buyer con maggiore
esperienza nella funzione. Le competenze importanti sono quelle negoziali e la capacità di fare
comparazioni di prezzi.
Fase 3: “Coordinamento acquisti: saving attraverso le sinergie”
Condotti da un forte ufficio acquisti centrale a implementare sistemi e politiche d’acquisto
uniformi, l’enfasi in questa fase risiede nel coordinamento delle diverse unità di business e nel
188
IL GLOBAL SOURCING COME OPPORTUNITÀ DI INNOVAZIONE: UN’ANALISI EVOLUTIVA
rispetto degli accordi contrattuali già negoziati. Questo stadio evolutivo potrebbe comportare una
certa burocrazia negli acquisti e una mancanza di reattività da parte delle business unit periferiche.
Per la prima volta esiste una rudimentale formulazione di strategia, finalizzata a intercettare i
benefici derivanti dal coordinamento interno e dalle sinergie. Oltre che per i prezzi e i costi, la
funzione acquisti viene vista come una forte influenzatrice dei livelli qualitativi dei prodotti
acquistati.
La gestione dei fornitori è una questione centrale in questa fase ed è caratterizzata dal ricercare
sinergie attraverso l’aggregazione del potere d’acquisto delle diverse divisioni e dalla adozione di
strategie differenziate basate su tecniche di portfolio-analysis.
La struttura organizzativa degli acquisti è costituita da un Ufficio acquisti centralizzato a livello
divisionale. La formalizzazione del processo d’acquisto e delle relative procedure è completa.
L’organizzazione degli acquisti è ancora fortemente “product-oriented”. La cultura è caratterizzata
da una grande attenzione alla comunicazione e alla volontà di cooperare di più internamente fra
business unit. I sistemi informatizzati di gestione delle informazioni sono implementati ma non
ancora necessariamente interconnessi.
Fase 4: “Integrazione interna: acquisti inter-funzionali”
In questa fase l’enfasi è sul problem-solving interfunzionale con l’obiettivo di ridurre i costi
totali del sistema e non solo i prezzi unitari d’acquisto dei materiali. Questi sforzi cross-funzionali
spesso includono i fornitori-chiave come partecipanti al processo di risoluzione dei problemi e
presuppongono un avanzamento da un approccio al sourcing di tipo competitivo ad uno di tipo
collaborativo (partnership).
Fino a questa fase gli acquisti erano molto orientati alla funzione, intorno alla quale
cercavano di organizzare l’impresa. In questo stadio gli acquisti sono diventati più orientati al
processo e cercano, pertanto, di organizzare la funzione sulla base delle esigenze dei clienti interni.
C’è una seria attenzione agli acquisti indiretti.
Viene riconosciuta in pieno l’importanza della funzione acquisti che viene, perciò, coinvolta in
questioni strategiche come le decisioni di make-or-buy.
La struttura è centralizzata; gli approvvigionamenti operativi sono integrati nella pianificazione
dei materiali e/o nello scheduling di linea.
La cultura è caratterizzata dalla gestione in team, spesso per mezzo di team interfunzionali. Le
azioni di miglioramento sono tese ad integrare i processi d’acquisto delle diverse divisioni. In
questa fase il focus è ancora prettamente interno, tuttavia orientato al processo. I sistemi informativi
sono integrati con quelli degli altri reparti/funzioni/divisioni, ma non ancora con quelli dei fornitori
più importanti.
La misurazione della performance degli acquisti viene effettuata attraverso indagini di
soddisfazione dei clienti interni e attività di benchmarking.
Fase 5: “Integrazione esterna: supply chain management”
Questa fase è caratterizzata da una esplicita strategia di outsourcing unita ad una attenzione
speciale alla cooperazione con i fornitori-partner nello sviluppo-prodotto e nella pianificazione preproduzione. La funzione acquisti si concentra sugli effetti che la supply chain ha sulle risorse
dell’impresa. In particolare per quanto riguarda i materiali non di produzione (acquisti indiretti), gli
utilizzatori ordinano in autonomia nell’ambito di contratti di fornitura aziendali attraverso sistemi
avanzati internet-based di e-catalogue. Gli acquisti lavorano con impegno per semplificare le
procedure per i clienti interni, utilizzando fornitori integrati, purchasing cards, e-procurement e
sistemi EDI.
In questa fase la gestione dei fornitori diventa supply chain management. Le imprese investono
pesantemente per coinvolgere i fornitori-partner nei diversi processi di business, invece di
acquistare meramente da loro beni e servizi per massimizzare il raggiungimento di obiettivi di
efficienza e di efficacia. La responsabilità della fase iniziale degli acquisti compete a team
interfunzionali e non è più competenza di un ufficio a parte. Ci sono team stabili di progettazione e
189
TRACK 2 - INNOVAZIONE E TERRITORIO
analisi delle specifiche di fornitura e team per il miglioramento continuo con membri delle diverse
funzioni aziendali e delle organizzazioni delle imprese fornitrici. L’integrazione con altre funzioni,
divisioni e soprattutto nei processi di innovazione e sviluppo prodotto dei fornitori è molto
avanzata. Gli skill più importanti sono la conoscenza dei principi del TCO (total cost of ownership)
(Ellram, 1993), del supply chain management strategico e delle capacità manageriali e di
leadership. I sistemi informativi sono integrati sia internamente che con i fornitori-partner.
Fase 6: “Orientamento all’integrazione della catena del valore”
La strategia acquisti in questa fase sarà basata sul riconoscere che l’aspetto più importante per
il successo è il “consegnare valore” al cliente finale. Per soddisfare i bisogni nei mercati dei
consumatori finali, i produttori cercano il supporto dei propri fornitori. I fornitori vengono sfidati
costantemente per sostenere le strategie di prodotto/mercato dei propri clienti e per partecipare
attivamente allo sviluppo di nuovi prodotti e al processo di innovazione. L’obiettivo è di progettare
la catena del valore più efficiente ed efficace per servire il cliente finale.
La strategia acquisti “si sublima” nella strategia di business complessiva. L’orientamento è sia
con un flusso verso l’alto che verso il basso. Infatti le funzioni tradizionali del marketing e degli
acquisti sono integrate e sono diventate “virtuali” in azienda. Il funzionamento è basato su una
visione condivisa portata avanti da tutti i membri dell’organizzazione. La cultura è imprenditoriale.
I sistemi informativi sono integrati al livello massimo.
3.2 Riflessioni sul modello evolutivo e sfide per la ricerca
Benchè il modello di evoluzione a sei fasi presentato possa apparire piuttosto lineare ai fini di
un’interpretazione delle prassi degli acquisti su scala globale, è possibile evidenziare alcune
critiche. In primo luogo, il modello non è stato mai testato da una ricerca accademica accurata. È
importante, quindi, confutare e verificare la validità ed affidabilità di questo modello. Le ulteriori
research question che si pongono all’attenzione dei ricercatori sono: il processo evolutivo degli
acquisti è un processo razionale, come il modello suggerisce, o piuttosto esso è irrazionale?
L’evoluzione ha luogo realmente come un processo di cambiamento continuo o esso è in realtà
caratterizzato più da piccoli passi e discontinuità? Quali strategie di cambiamento sottendono i
processi di sviluppo degli acquisti nelle organizzazioni? Tutte le organizzazioni seguono le fasi
identificate o alcune fasi possono essere saltate? In che misura i manager degli acquisti sono gli
attori più decisivi in questo processo evolutivo? O, piuttosto, essi sono ricettivi in generale e magari
i veri agenti di cambiamento provengono da altre funzioni? Si richiede, insomma, più ricerca sul
tema al fine di usare questo modello come punto di riferimento per guidare lo sviluppo
organizzativo e professionale degli acquisti e del supply management in una prospettiva globale8.
8
Afferma a tal proposito Stolle (2008, pp. 20-21): «Cosa possono dire questi modelli ai practitioners per la gestione
di tale evoluzione? Burt e Starling (2002, p. 96) presentano il loro modello evolutivo come una road map per
implementare un World Class Supply Management. La domanda è se le imprese debbano seguire questi percorsi o
se esistano scorciatoie. Per esempio, la posizione organizzativa degli acquisti deve veramente cambiare almeno tre
volte durante l’evoluzione dagli acquisti al supply management? È utile per un CPO all’inizio della trasformazione
sapere che, invece che evadere pratiche burocratiche, la sua organizzazione dovrebbe sviluppare un focus
transazionale? Sembra che tale modello sia davvero utile ad accertare lo status-quo (Burt e Starling, 2002, p. 95) ma
non è sufficiente come mappa per progettare un programma di miglioramento. Jones critica questi modelli per il
fatto di essere “non operativi” (Lysons e Gillingham, 2003, p. 9). Questi modelli evolutivi descrivono meramente
diversi punti nel tempo di una evoluzione dagli acquisti al supplì management. Ciò che sembra mancare ampiamente
sono “le strade” e “i veicoli” per andare da un punto all’altro. Inoltre, la selezione delle variabili di misurazione
potrebbe, nella migliore delle ipotesi, essere non globale, se non in parte arbitraria dal momento che essi mancano di
una validazione empirica (…) Tutti questi modelli possono essere criticati per il fatto di non descrivere le fonti di un
vantaggio competitivo sostenibile. Essi cercano di descrivere delle buone prassi». Sulla applicabilità dei modelli di
sviluppo degli acquisti come guida strategica e sulla necessità della loro validazione empirica si rinvia a Ramsay e
Croom (2008) e Rozemeijer (2008).
190
IL GLOBAL SOURCING COME OPPORTUNITÀ DI INNOVAZIONE: UN’ANALISI EVOLUTIVA
4.
Obiettivi di ricerca e metodologia
Alla luce della proposta di interpretazione evolutiva del global sourcing, concepito come
percorso verso l’eccellenza nel supply management con un graduale cambiamento di priorità
strategiche, da un iniziale orientamento alla mera transazione buyer-fornitore a un orientamento
proattivo all’integrazione delle catene del valore con una motivazione importante legata ai processi
di knowledge exchange e di innovazione “congiunta”, il presente paper si pone l’obiettivo di
rispondere alle seguenti domande di ricerca: esiste una relazione fra global sourcing e processi di
innovazione? È possibile ipotizzare una connessione fra grado di maturità e consapevolezza del
ruolo degli acquisti (modello a sei fasi) e capacità di sfruttamento delle competenze e del
patrimonio di conoscenza dei fornitori su scala globale? In che misura - in particolare in settori
maturi e fortemente competitivi come quello automobilistico - le multinazionali percepiscono
l’importanza strategica della base di fornitori presenti nei paesi emergenti nel far leva non solo sui
saving sui costi ma anche sulla loro potenzialità innovativa? In che modo stanno cambiando i
processi di innovazione e sviluppo di nuovi prodotti nelle multinazionali (reverse innovation) e qual
è il ruolo del global sourcing in questo cambiamento?
La metodologia di ricerca è di tipo qualitativo, basata su un approccio al multiple case-study.
Questa metodologia è particolarmente adatta quando si affrontano domande di ricerca che tentato di
identificare alcuni aspetti comportamentali delle azioni delle imprese (Eisenhardt, 1989; Yin, 2009),
all’interno di un progetto di ricerca basato su obiettivi esplorativi, come in questo caso. La scelta di
considerare due grandi imprese automobilistiche è legata all’appartenenza ad un settore
tradizionalmente caratterizzato da una elevata complessità tecnologica e da un’ampia base di
fornitori globali attivi nella progettazione e produzione (comakership) di sistemi e componenti; si
tratta di imprese leader nel loro settore che hanno affrontato fasi importanti di ripensamento dei
processi di acquisto a livello globale, imposte dalla elevata competitività del settore; si tratta di
imprese multinazionali, pertanto impegnate nel coordinamento strategico e operativo delle attività
di R&D e Acquisti fra headquarters e subsidiaries; secondo il modello evolutivo a sei fasi il settore
automobilistico è posizionato nella fase 5, quindi decisamente avanzato in termini di maturità degli
acquisti rispetto ad altri settori. Rimane la consapevolezza della limitatezza dell’analisi ristretta a
questi soli due casi, ma tuttavia essi rendono possibile tracciare alcune tendenze e forniscono prime
indicazioni di risposta alle research question enucleate.
5.
Due casi nel settore automotive
5.1 Le alleanze per gli acquisti globali innovativi del Renault-Nissan Purchasing Way
Dal settore automobilistico provengono casi interessanti di sinergie d’acquisto globali derivanti,
ad esempio, dal “mettere insieme le forze” fra produttori e marche tradizionalmente percepiti da parte
dei clienti come agguerriti concorrenti (Clark e Fujimoto, 1991).
È il caso dell’alleanza fra la giapponese Nissan e la francese Renault: nel documento denominato
“Renault-Nissan Purchasing Way” vengono dettate le linee guida, i principi e le implicazioni
organizzative per gli acquisti globali delle due case automobilistiche. L’Alleanza Nissan-Renault si
pone i tre obiettivi di performance seguenti:
1) essere riconosciuta dai clienti fra i tre migliori gruppi del settore auto per la qualità e il valore dei
prodotti e dei servizi in ciascuna regione e segmento di mercato;
2) essere fra i migliori tre gruppi per le tecnologie chiave, con ciascun partner come leader in
specifici campi di eccellenza;
3) generare un utile operativo complessivo fra i migliori tre gruppi automobilistici nel mondo,
mantenendo un elevato margine di profitto e perseguendo la crescita.
I valori cardine dell’Alleanza sono:
1) trust: Work fairly, impartially and professionally;
191
TRACK 2 - INNOVAZIONE E TERRITORIO
2) respect: Honor commitments, liabilities and responsibilities;
3) transparency: be open, frank and clear.
Gli uffici acquisti di Renault e Nissan e la Renault Nissan Purchasing Organization (RNPO) si
aspettano che tutti i fornitori condividano questi valori, come parte dell’Alleanza come “Impresa
estesa”. La responsabilità del fornitore verso lo sviluppo sostenibile deve essere coerente con questi
valori.
I fornitori dovrebbero rispettare tutte le relative normative ambientali, sociali, etiche, sulla
sicurezza e sulla salute. In particolare, Renault e Nissan proibiscono l’uso di manodopera minorile o
di persone ridotte in schiavitù, e non lavorerà con fornitori che ne fanno uso, né con fornitori che non
hanno alcuna politica per la prevenzione di rischi occupazionali.
Selezione dei fornitori: i principi
Gli uffici acquisti di Renault e Nissan hanno procedure molto chiare per l’identificazione e la
selezione di fornitori potenziali. Il loro scopo è quello di creare il miglior valore per il cliente finale,
integrando componenti e servizi del fornitore nel prodotto finito. Queste procedure sono coerenti in
tutte le sedi di Renault e Nissan e vengono applicate a livello mondiale. La selezione viene effettuata
sulla base di processi interni chiari, aperti e trasparenti, basati su una fattuale valutazione dei risultati
del fornitore, confrontata con i requisiti di Renault e Nissan. Gli obiettivi di Renault e Nissan sono
basati su benchmark di riferimento dei leader di mercato. Queste analisi sono organizzate e condivise
con i fornitori per assicurarne la correttezza. Un “Panel Committee” seleziona i potenziali fornitori
per Renault e Nissan, sulla base della performance QCDDM (Quality, Cost, Delivery, Development e
Management).
Un “Sourcing Committee” poi seleziona i fornitori per ciascun progetto, usando un processo
trasparente per gestire la Request For Quotation (RFQ). La performance del fornitore viene
continuamente rivista e condivisa con i fornitori lungo questo processo.
Renault e Nissan hanno sviluppato una gamma di strumenti e processi, progettati specificamente
per migliorare il supply chain management insieme ai fornitori. Questi strumenti coprono le seguenti
aree:
Multi Functional Team per lo sviluppo prodotto
PDT (Nissan) e GSFA/GFE/GFS (Renault) puntano ad una stretta collaborazione inter-funzionale.
Technical
Renault e Nissan hanno dei processi dedicati per raggiungere simultaneamente un miglioramento
dei costi e della qualità (Renault il programma Synergie 500 e Nissan il programma 3-3-3).
Miglioramento dei processi
L’Alliance Supplier Improvement Program (ASIP) mette in condizione gli specialisti dei processi
di Renault e Nissan di lavorare con i fornitori per migliorare l’efficienza di processo e risparmiare
tempo, denaro e materiali.
Supply Chain management
Il Nissan Production Way (NPW) e il Système de Production Renault (SPR), la produzione
sincronizzata, la creazione di parchi fornitori vicini agli stabilimenti, le attività nei c.d. Leading
Competitive Countries (LCC) permettono ai fornitori di elevare i livelli di servizio e la loro
efficienza. La gestione del fornitore tier-n ricade sotto la responsabilità del fornitore tier-1: anche
se Renault e Nissan possono supportare solo il tier-1, esse si riservano la possibilità di ottenere
utili informazioni da fornitori tier-n quando fosse necessario.
Sviluppo e cooperazione per l’innovazione
L’Early Phase Development (EPD), il Project Partner Scheme, e il programma Co-Innovation
(Renault) creano una stretta collaborazione con i fornitori. Questo conferisce ai fornitori l’accesso
a una strategia di sviluppo di lungo termine e a progetti all’interno dell’organizzazione di Reanult
e Nissan.
192
IL GLOBAL SOURCING COME OPPORTUNITÀ DI INNOVAZIONE: UN’ANALISI EVOLUTIVA
Qualità
Alliance New Product Quality Procedure (ANPQP), Alliance Supplier Evaluation Standard
(ASES), Calculation of Quality in the Project (CQP), Rank-up, Step-up, sono tutti strumenti e
processi che aiutano a migliorare la qualità sia in Renault e Nissan che in casa dei fornitori.
Analisi di Performance
I Top Management Meetings (TMM) e i Performance Review Meetings (PRM) vengono
implementati regolarmente per dare ai fornitori feedback sulle loro prestazioni, per condividere
piani di azione di miglioramento e strategie di lungo termine.
Sistema premiante
I premi, come il “Renault Supplier Quality Award” il “Global Quality Award” di Nissan ed il
“Global Innovation Award”, sono assegnati regolarmente ai fornitori, per riconoscere l’eccellenza
nell’innovazione e le prestazioni di qualità.
5.2 L’integrazione dello sviluppo globale e dell’innovazione dei prodotti nei team acquisti di Ford
Ford Motor Company sta compiendo ulteriori passi avanti per allineare il proprio sviluppoprodotto e le organizzazioni acquisti in un team globale integrato per accelerare la creazione di veicoli
che i clienti realmente vogliono, per ridurne i costi, migliorare la qualità e aumentare l’efficienza
eliminando le duplicazioni di sforzi di progettazione e acquisti.
A seguito dei cambiamenti effettivi dal 1° aprile 2008, Ford ha totalmente ripensato le
organizzazioni dello sviluppo-prodotto e degli acquisti per assegnare responsabilità globali per
segmenti chiave di veicoli e per le principali funzioni d’acquisto.
Inoltre, Ford sta progettando un network globale di centri di engineering che saranno responsabili
dello sviluppo degli attributi core dei veicoli a marca Ford nel mondo. Questi cambiamenti
permetteranno a Ford di sostenere più efficientemente ed efficacemente le business unit regionali
nelle Americhe, in Europa, in Asia-Pacific e in Africa.
«Abbiamo condiviso con successo le tecnologie per molte delle nostre linee di prodotto nel
passato. Questi cambiamenti ci consentiranno di fare leva pienamente sullo sviluppo globale dei
prodotti e sulle organizzazioni acquisti al fine di creare più velocemente un maggior numero di veicoli
customer-focused» ha detto Derrick Kuzak, vice president Ford per lo Sviluppo globale del prodotto.
Ford aveva consolidato nel dicembre 2006 le proprie attività globali di sviluppo prodotti sotto la
responsabilità di Kuzak. Da allora i lavori sono in corso con l’organizzazione acquisti di Tony Brown,
vice-president del gruppo per gli acquisti globali, per integrare più strettamente le due organizzazioni
ed eliminare duplicazioni sulle modalità di creazione, progettazione e acquisti relative ai veicoli.
«Un miglior allineamento delle nostre risorse non aiuta solo Ford, ma migliorerà anche il modo
in cui facciamo business con i nostri fornitori globali, semplificando i nostri processi di sourcing» dice Brown - «Questo è coerente con i principi del nostro Aligned Business Framework, che sta
rafforzando la collaborazione con i nostri fornitori chiave».
Ford sta istituendo nel mondo team integrati tra sviluppo-prodotto e acquisti con la responsabilità
per le funzioni acquisti e progettazione. I team in nord-America saranno responsabili della
progettazione della parte elettrica e del corpo (interno ed esterno) per tutti i veicoli nel mondo e per
alcune tipologie di motori (V6, V8 ed ibridi) e di cambi automatici. I team in Europa saranno
responsabili per la progettazione dello chassis e di motori (4 cilindri a benzina e a gasolio) e delle
trasmissioni manuali. Le risorse degli acquisti e dell’engineering di Asia Pacific e Africa saranno
integrate nei team in Europa e America. Questi team globali di progettazione/acquisti assicureranno
che tutti i veicoli a marchio Ford nel mondo possano condividere un DNA comune, includendo
coerenti dinamiche di guida, silenziosità interna e altri attributi. I team miglioreranno, inoltre,
l’interazione con la supply base globale di Ford per far leva su ampie economie di scala attraverso un
sourcing comune, la riduzione della complessità e l’aumento di componenti condivise.
«Questa è una parte cruciale del piano iniziato oltre un anno fa» ha detto Alan Mulally,
presidente e CEO di Ford. «Abbiamo bisogno di organizzazioni acquisti e sviluppo-prodotto che
193
TRACK 2 - INNOVAZIONE E TERRITORIO
siano allineate su scala globale. Questo è un passo importante per favorire un approccio “One Ford”
che faccia leva sulla nostre risorse ed expertise globali9».
6.
Dal global sourcing di beni e servizi al global sourcing di innovazione: verso la reverse
innovation
Sulla base della resource-based view (Barney, 1991; Wernefelt, 1984) e della concezione
strategica delle imprese multinazionali con strutture di network differenziate (Nohria e Ghoshal,
1997; Bartlett e Ghoshal, 1998), le innovazioni di una multinazionale possono essere sviluppate sia
negli headquarters che nelle business unit sparse nel mondo. Il vantaggio competitivo che molte
multinazionali conseguono non hanno origine unicamente nella sede centrale; esso può essere il
risultato dell’articolazione e mobilitazione di innovazioni sviluppate dalle proprie filiali/stabilimenti
(Birkinshaw et al., 1998; Cantwell e Mudambi, 2005; Foss e Pedersen, 2002, 2004). Per esempio,
negli ultimi due decenni, l’internazionalizzazione dei processi di R&D è stata vista come un fattore
chiave per aumentare la capacità di un’impresa di innovare (Chiesa, 1995; Gassmann e von Zedtwitz,
1999). Le imprese multinazionali sono state obbligate a ripensare le proprie strategie di innovazione,
cercando di creare, trasferire e sfruttare la conoscenza che è, in misura crescente, dispersa tra le
operations globali (Teigland et al., 2000). Questo implica la necessità di decentralizzare l’innovazione
per le business unit delle multinazionali e crea, di conseguenza, significative sfide manageriali per le
stesse imprese globali. La principale sfida consiste nel conciliare le esigenze dell’innovazione locale
con quelle dell’innovazione globale (Andersson & Forsgren, 2006; Teigland et al., 2000).
L’innovazione locale è più difficile da trasferire al di fuori del contesto locale; le innovazioni globali,
al contrario, sono semplici da trasferire da luogo a luogo ed hanno uno scope globale, dal momento
che esse possono essere usate dall’intera impresa multinazionale (Andersson e Forsgren, 2006;
Moore, 2001; Rugman e Verbeke, 2001). In questo processo di acquisizione e diffusione globale
dell’innovazione, la funzione acquisti sta assumendo un ruolo sempre più significativo e incisivo
(Luzzini e Ronchi, 2011): a differenza di quanto è finora accaduto, le imprese, oltre che sperimentare
strategie di sourcing globale di beni (materiali e componenti) e servizi (business process outsourcing)
stanno iniziando a sviluppare i nuovi prodotti in paesi quali Cina e India, distribuendoli solo in un
secondo momento su scala globale. Il ruolo assunto dai fornitori di quei paesi diventa sempre più
quello di consulenti nello sviluppo di soluzioni innovative (e spesso complessivamente più
economiche): il global sourcing diventa, pertanto, non solo un’opportunità strategica di
approvvigionamento di beni e servizi da paesi cosiddetti low cost ma anche - e in misura crescente un’opportunità di perseguire con una mentalità nuova, in partnership coi fornitori ubicati in quei
paesi, processi di sviluppo di nuovi prodotti o di ripensamento di prodotti già esistenti o, più in
generale, di innovazione.
Questo approccio, secondo la teoria formulata da Immelt et al. (2009) e Govindarajan (2010),
si diffonderà sempre più, poiché esiste un gap molto ampio tra i mercati emergenti e quelli dei paesi
più sviluppati: le consistenti differenze non permettono infatti di continuare sulla strada di creare
prodotti globali, concepiti secondo le esigenze e le caratteristiche della domanda dei paesi più
sviluppati, da distribuire poi su scala mondiale (Corsi e Di Minin, 2011). La reverse innovation è,
semplicemente, un’innovazione adottata per la prima volta in uno dei mercati emergenti (Immelt et
al., 2009).
I paesi emergenti chiedono oggi soluzioni moderne e hi-tech, ma si accontentano di una qualità
accettabile e pongono un forte focus sul prezzo. Secondo Govindarajan e Trimble (2012)
l’approccio fin qui adottato dalle aziende per operare sul mercato globale - sviluppando prodotti e
innovazione nei propri headquarter in occidente, e quindi esportandoli - non funziona più.
9
http://media.ford.com/article_display.cfm?article_id=27990 riportato in Baldassarre (2010, pp. 52-53).
194
IL GLOBAL SOURCING COME OPPORTUNITÀ DI INNOVAZIONE: UN’ANALISI EVOLUTIVA
6.1 Reverse innovation, dai mercati emergenti al mercato globale10
Considerato il crescente potenziale dei paesi emergenti e constatata una maggiore maturità, le
imprese si sono rese conto della necessità di creare prodotti differenziati, in un primo momento
adattandoli e successivamente stabilendosi localmente con i propri stabilimenti. Oggi, però, i tassi
di crescita dei mercati maturi subiscono un progressivo rallentamento, rendendoli quindi meno
allettanti, mentre negli effervescenti mercati emergenti, come Cina e India, nascono potenziali
concorrenti in grado di fronteggiare le aziende multinazionali con prodotti e soluzioni ad hoc. La
teoria della reverse innovation prevede quindi che, per fronteggiare questo scenario, le grandi
multinazionali inizino a pensare localmente, creando prodotti e soluzioni specificatamente per i
paesi emergenti, da esportare in un secondo momento nel mercato globale (Von Zedtwitz et al.,
2011).
Condizione necessaria per l’attuazione di questo modello è un approccio orientato al mercato
locale ed un’organizzazione decentrata, che conceda ampia autonomia decisionale alle divisioni
locali. Tutte, o comunque la maggior parte, delle risorse e delle persone interessate devono inoltre
essere basate e gestite localmente. I “local growth team” devono avere responsabilità
nell’allocazione delle risorse finanziarie necessarie alla loro attività, e poter decidere
autonomamente quali prodotti sviluppare, come e dove venderli e con quali servizi. I prodotti
sviluppati e testati localmente possono quindi essere modificati per il mercato globale, e ciò
potrebbe richiedere di ideare nuovi ambiti di applicazione, di dar vita a mercati prima inesistenti o
anche comportare l’erosione del mercato di prodotti a più alto margine di profitto.
Come è noto, la teoria della reverse innovation è stata sviluppata studiando il caso della
General Electric (Immelt et al., 2009; Govindarajan, 2010). L’azienda è, tra le sue attività, leader
mondiale nel mercato delle macchine sanitarie per ecografie e, come tutte le grandi multinazionali
americane, ha adottato fino ai primi anni 2000 un approccio strategico orientato a sviluppare
prodotti nel proprio paese di origine, gli Stati Uniti, per poi distribuirli globalmente. Le macchine
così sviluppate rappresentano il top di gamma per quanto riguarda la qualità e l’innovazione
tecnologica introdotta, e trovano il loro naturale ambito di applicazione nelle moderne cliniche dei
paesi occidentali. Il loro prezzo è ovviamente molto alto, a partire dai 100.000 dollari, insostenibile
per i paesi in via di sviluppo come Cina e India: infatti le vendite del prodotto negli anni novanta
erano del tutto marginali.
Nel 2002 venne creata una specifica business unit per il mercato cinese con forti poteri
decisionali, che decise di investire in ricerca per la creazione di un nuovo apparecchio per ecografie,
molto più economico e che meglio si adattasse alle esigenze della domanda cinese, costituita da
cliniche poco moderne situate in territori prevalentemente rurali.
La nuova macchina venne dunque costruita intorno alle specifiche esigenze del mercato locale:
facilità d’uso elevata, ingombro minimo ed un prezzo molto basso, intorno ai 30.000 dollari.
Per General Electric il ruolo degli acquisti nel coinvolgere i fornitori in Local Growth Team per
conseguire questi risultati in termini di innovazione e contenimento dei costi di progettazione e
produzione è stato cruciale.
Le vendite aumentarono sostanzialmente portando un mercato fino a quel momento marginale
a raggiungere quote rilevanti. Nel 2007 i buoni risultati raggiunti spinsero l’azienda a proseguire su
questa strada, elaborando un modello ancora più semplificato ed economico dell’apparecchio,
venduto per circa 15.000 dollari.
L’innovazione è poi progredita, fino a consentire di effettuare con un PC con prestazioni
elevate, opportunamente dotato di software ad hoc, analisi che un tempo richiedevano
un’apparecchiatura dedicata, come quelle ostetriche e radiologiche. Questo prodotto viene
prevalentemente utilizzato nelle cliniche rurali cinesi, ma trova oggi applicazione anche nei paesi
sviluppati nelle unità mobili di soccorso degli ospedali. Il mercato di queste macchine portatili è
10
www.ict4executive.it/web/ict4e/approfondimento/approfondimentoarticle/journal_content/56_INSTANCE_3j1n
/10402/153940.
195
TRACK 2 - INNOVAZIONE E TERRITORIO
cresciuto esponenzialmente portando il fatturato mondiale a crescere dai 4 milioni di dollari nel
2008 a 278 nel 2009. La GE conta oggi in Cina circa una dozzina di Local Team dedicati a progetti
analoghi e, in un periodo di recessione globale, continua a crescere11.
«Come mostrano questi esempi, i più grandi ostacoli per invertire l’innovazione non sono di
natura scientifica, tecnica, o di denaro. Sono problemi gestionali e organizzativi, che con la giusta
mentalità e gli strumenti opportuni, possono essere superati da qualsiasi manager», conclude
Govindarjan (2012). «Meglio ancora, l’esperienza mostra che le aziende possono ottenere gli stessi
margini o margini superiori per un prodotto a basso costo progettato per la Cina o l’India che per un
prodotto di costo più elevato prodotto in casa».
7.
Il nuovo paradigma dell’eccellenza nel global sourcing: da Low Cost Countries Sourcing
a Best Value Country Sourcing
Le considerazioni teoriche e le esperienze della reverse innovation dovrebbero gradualmente
spingere le imprese ad un progressivo mutamento di paradigma nell’approccio strategico al global
sourcing e al superamento della miopia che vede come unica spinta ad intraprendere relazioni di
fornitura globali quella sulla selezione dei fornitori in vista di vantaggi di costo e a decidere da
quale mercato geografico tentare di approvvigionarsi solo sulla base di un arbitraggio fra nazioni a
basso costo del lavoro (strategia di breve termine o low cost country sourcing, orientamento alla
ricerca del costo più basso).
Tab. 3: il cambio di paradigma nel global sourcing
LCCS
Low cost countries sourcing
- Sourcing approach solely based on the
selection of supply in view of cost
advantages and exploitation of cost
arbitrage between geographies
- Short-term strategy
1980–2001
BCCS
Best cost country
sourcing
- Cost-driven sourcing strategy
implying the principle of Total Cost of
Ownership
(TCO)
and
further
qualitative factors to achieve “best
performance “
- Long-term approach
2002–2009/10
BVCS
Best value country
sourcing
- Best practice sourcing approach
based on TCO, considering cost-,
qualitativeand
logistic
dimensions with overall focus on
value creation
- Sustainable approach
2009/10–2020
Fonte: BrainNet, 2009
Il passaggio successivo, prevede un approccio di più lungo termine (best cost country sourcing)
orientato a ricercare opportunità di fornitura sempre avendo come driver principale il costo, ma in
un’ottica di TCO (Total cost of ownership) e con la considerazione di ulteriori fattori tipo
qualitativo che permettano di conseguire una migliore performance .
11
Govindarajan e Trimble (2012) presentano anche case studies aggiuntivi di innovazioni che riescono a “scorrere in
salita” e di prodotti progettati per l’utilizzo in economie emergenti come l’India, la Cina e il Messico, poi esportati
nei paesi sviluppati. Ecco alcuni esempi: Pepsico ha spinto su team locali e risorse globali per sviluppare Aliva,
nuovi crackers gustosi creati con il palato indiano come punto di riferimento (quattro gusti chatpate sono oggi
disponibili) per il mercato indiano, ma con alto potenziale globale. Prima di impiegare una strategia di reverse
innovation, Logitech ha quasi perso la sua leadership nel mercato dei mouse per computer in Cina a causa di un
inaspettato competitor cinese che ha saputo adottare una migliore comprensione delle esigenze locali. Procter &
Gamble ha concepito e sviluppato in Messico una linea di prodotti per la cura del corpo femminile chiamata
Naturella, che ha avuto successo in tutto il mondo, dopo aver scoperto che la sua linea americana, Always, stava
perdendo quote di mercato in Messico, a causa di competitor che avevano saputo prendere maggiormente in
considerazione elementi culturali per sviluppare le proprie linee di prodotti. In Cina e in India, Harman ha progettato
da zero un nuovo sistema di infotainment per i mercati emergenti con funzionalità simili ai suoi prodotti di fascia
alta, ma vendendoli a metà prezzo e producendoli a un terzo del costo. Grazie a questo nuovo sistema, Harman ha
generato più di 3 miliardi di dollari di fatturato.
196
IL GLOBAL SOURCING COME OPPORTUNITÀ DI INNOVAZIONE: UN’ANALISI EVOLUTIVA
Ma il vero salto di paradigma sarebbe rappresentato dal passaggio ad una strategia di global
sourcing orientata alla sostenibilità di lungo termine, che guardi in maniera olistica a tutti gli aspetti
critici (costi, rischi, logistica, valutazione dei fornitori ecc.) e alle opportunità (qualità, innovazione,
partnership, miglioramento complessivo delle performance, cambiamento della mentalità degli
acquisti, ecc.) che vadano a vantaggio di una più consapevole creazione del valore per il cliente
puntando all’eccellenza degli acquisti globali (BrainNet, 2009; Monczka e Trent, 2005).
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