numero 32 anno VII 23 settembre 2015 ISSN

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numero 32 anno VII 23 settembre 2015 ISSN 2421-6909
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PISAPIA CACCIATORE DI TESTE E IL POPOLO DELLE CUFFIETTE
Luca Beltrami Gadola
Qualche volta per riguardo al lettore
vale la pena di anticipare le conclusioni per non trascinarlo in ragionamenti che non lo interessano. Comincio allora dalle conclusioni: i cittadini attivi hanno tutto l’interesse a
un’alta partecipazione al voto. Chiarisco che per me i “cittadini attivi”,
un’espressione che credo usi anche
Giuliano Pisapia, siano qualcosa di
diverso dalla società civile, ovviamente anche di diverso dal movimento arancione: sono più generalmente i cittadini che hanno a cuore la cosa pubblica e si danno da
fare partecipando attivamente alla
vita politica o semplicemente favorendo il progresso civile con i propri
comportamenti.
Nel numero del 9 settembre di ArcipelagoMilano ho espresso qualche
considerazione sul problema della
rappresentatività degli eletti, collegandola all’astensione al voto. Ora
vorrei ritornare sul tema da un angolo diverso.
È convinzione comune che un’alta
astensione al voto favorisca le segreterie dei partiti nell’elezione di
candidati a loro politicamente più
vicini, obbedienti, pilotabili e dunque
in direzione del formarsi di caste:
pochi votanti rispetto ai quali i voti
dei “fedeli” hanno un peso determinante. Dunque esattamente quello
che i cittadini attivi con i loro comportamenti debbono cercar di evitare, non solo chiedendo una rosa
sufficientemente ampia di candidati
sia alle primarie sia dopo ma anche
portando avanti candidati tout court
“laici” e indipendenti dalle logiche
delle segreterie e spingendo gli amici al voto. Operazioni difficili ma
che val la pena di tentare cercando
di innalzare la percentuale dei votanti rispetto agli astenuti.
Mi sembra di capire dalle sue dichiarazioni, a valle della manifestazione organizzata da Gianni Cuperlo al Teatro Litta sabato scorso, che
Giuliano Pisapia abbia quasi le
stesse preoccupazioni, quantomeno
quella di allargare la rosa dei contendenti alla carica di sindaco senza
lasciar fuori i “cittadini attivi” e che
per farlo si stia trasformando in un
cacciatore di teste per stanare candidati, magari tra quella borghesia
che Stefano Rolando vede in ritirata
dall’impegno civile.
Chi meglio di Pisapia potrebbe farlo,
chiarendo ai potenziali candidati che
cosa debbano aspettarsi come impegno e come fatica, quale eredità
toccherà loro senza il beneficio
dell’inventario e, visto che l’ipotesi è
un governo cittadino in continuità
con quello che l’ha preceduto, quali
siano a suo parere le linee di questa
continuità a cominciare da quello
che non ha potuto fare e che invece
era parte importante del suo programma del 2011. Indubbiamente,
come un buon cacciatore di teste,
potrà selezionare i candidati o almeno tracciare il profilo più adatto
alla funzione di sindaco, a prescindere dalla notorietà personale della
quale ogni candidato ha comunque
bisogno.
Dopo la serata al Teatro Litta e le
dichiarazioni del segretario Bussolati e le recenti interviste sulla stampa,
la campagna elettorale è anche formalmente aperta ma non sarà una
campagna facile. Gli argomenti ber
battere la Moratti nel 2011 non
mancavano e comunque, quando si
parte dall’opposizione, tutto è più
facile: ora si tratta di chiedere ancora la fiducia degli elettori in una città
che anche per merito del sindaco e
della Giunta uscente è molto cam-
biata, più attiva, più dinamica, politicamente più adulta e consapevole:
terreno difficile. Questa campagna
elettorale non ha quasi nulla a che
vedere con quella del 2011.
Una delle carte vincenti sarà quella
di intercettare il voto degli elettori
più giovani, quelli che non hanno
mai votato - nel 2016 saranno più
di 40.000 - e che tendenzialmente
vanno a ingrossare le fila degli astensionisti: dai pochi dati che sono
riuscito a scovare i giovani astensionisti sono percentualmente il
doppio delle fasce di età più adulta.
Quindi grande attenzione agli elettori più giovani, quelli del segmento18 - 24 ma anche oltre, che un po’
rozzamente potremmo definire il
popolo delle cuffiette, gli headphone
people: quelli che ormai si isolano
dal mondo esterno e si esprimono in
anglo-italiano con un inglese a orecchio, grandi frequentatori di
Internet, di social media e blog, che
digitano anche al buio, quelli che
scandiscono la loro vita di “evento”
in “evento”.
Pensando a loro, ma non solo, pensando anche alla società milanese
che negli ultimi anni ha scandito pure lei come non mai il suo tempo da
evento a evento, se vogliamo che i
cittadini vadano alle urne per dare
rappresentanza reale agli eletti bisogna che questa campagna sia
una serie di “eventi”, aperti senza
troppi ammiccamenti allo spettacolare che spesso ne annacqua il
senso: la politica come evento e
non l’evento con messaggi subliminari di politica.
Ri-concludendo: i cittadini attivi devono liberarsi dalla morsa delle segreterie e la politica portare gli headphone people alle urne. Elettori
liberi, eletti rappresentativi.
DA EXPO A DOPOEXPO I PROFESSIONISTI IN CAMPO
Emilio Battisti
Nell‘editoriale della scorsa settimana Luca Beltrami Gadola descrive
con un punto di vista fortemente critico la situazione che si è venuta a
creare attorno alla questione del
dopo Expo e del recupero di oltre un
milione di metri quadri della manifestazione che, almeno per quanto
riguarda l’affluenza di visitatori, capi
di stato e star, sta ottenendo un
grande successo.
Infatti sui padiglioni da salvare e sulle funzioni da insediare nelle aree
che si libereranno, in troppi si sono
espressi in modo episodico e contradditorio, mentre sono noti e di
ben altra natura i problemi da affrontare.
Prima di tutto lo spropositato costo
delle aree che, originariamente agricole e private, sono state rese
edificabili prima di essere acquistate
a caro prezzo dalla Regione, dai
Comuni di Milano e Rho, da Fondazione Fiera e dalla Provincia - oggi
Città Metropolitana - e che, gravate
da tale onere, sono state assegnate
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a Arexpo Spa con il compito di recuperarle e valorizzarle.
Poi l’assenza di chiare indicazioni
sulle condizioni in cui le aree si troveranno quando, entro giugno 2016,
saranno riconsegnate a Arexpo dopo che i vari Paesi avranno smantellato i loro padiglioni. Una fase della durata di otto mesi molto rischiosa, se non si riusciranno a mettere
in sicurezza le aree stesse, gli impianti e gli edifici da conservare.
Inoltre la vischiosità delle procedure
burocratiche per programmare e
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realizzare gli interventi, anche dovuta al fatto che trattandosi ormai di
aree pubbliche la loro assegnazione
ai soggetti che vorranno insediarvisi
potrà avvenire solo tramite bandi e
gare il cui esito potrebbe essere impugnato, interrompendo e rinviando
tutto alle calende greche. Ma si spera che Raffaele Cantone, presidente
Anac, almeno questo, riesca a evitarlo.
Infine la necessità di misurarsi con
un complesso processo di urbanizzazione da governare con una continuità e una coerenza che, come
denuncia Beltrami Gadola, non potranno certo essere garantite dall’attuale coacervo di responsabilità e
competenze della Regione, dei Comuni di Milano e Rho e della Citta
Metropolitana, che hanno già manifestato orientamenti molto differenti.
Il bizantinismo della situazione è
quindi dato per scontato ma non
sono d’accordo, come lui afferma,
che l’advisor debba intervenire solo
dopo che sia stata espressa a livello
politico “un’opinione precisa sul destino di queste aree” per il semplice
motivo che tale possibilità non esiste a priori, ma si concretizzerà proprio se l’advisor sarà in grado di
mettere a disposizione del soggetto
che ne governerà il processo, le analisi, la metodologia e gli strumenti
per assumere le proprie decisioni.
Il recupero urbano di un’area di tali
dimensioni e complessità non può
certo essere un’operazione di breve
periodo, ma va programmata su un
arco di tempo pluriennale e governata con strumenti e poteri adeguati, avendo come riferimento uno
scenario entro il quale muoversi e
precisi obiettivi da perseguire. Senza cercare di attenersi a un progetto
rigidamente definito che sarebbe
certamente superato ancor prima di
avviarne la realizzazione.
Ne sono convinto e lo sostengo con
cognizione di causa perché, come
alcuni ricorderanno, fin dal 2008,
dopo alcuni dibattiti organizzati
dall’Ordine degli Architetti si erano
tenuti diversi incontri nel mio studio
da cui era uscita la petizione per
una Expo diffusa e sostenibile che
aveva raccolto quasi 1500 adesioni
.
Tutto era partito dalle indagini fotografiche promosse dallo stesso Ordine sulle condizioni di grave degrado in cui si trovavano le aree che
avevano ospitato le Esposizioni Universali di Hannover, Siviglia e Lisbona e il rischio che ciò si potesse
verificare anche a Milano era stato
alla base dell’impegno per cercare
di evitarlo a Milano. Ora che Expo
sta per finire, non sarebbe certo
ammissibile sottrarsi a questa sfida.
E infatti partecipando all’ultimo bando di Arexpo Spa il gruppo (1), di
cui faccio parte formato da professionisti, docenti ed esperti che affiancano il Gruppo Arcotecnica Spa
e F&M Ingegneria Spa, si è aggiudicato l’affidamento dell’incarico per lo
“sviluppo di metodologie di analisi e
la valutazione delle potenzialità del
sito Expo dopo l’evento” e funzionerà come advisor per conto di Arexpo, per programmarne il recupero
urbano.
Il compito è veramente molto arduo
ma credo che, impegnandosi seriamente, sia possibile mettere a disposizione del soggetto istituzionale
che ne avrà la responsabilità, le analisi, la metodologia e gli strumenti
necessari a governare la complessa
operazione. E sulla questione sono
d’accordo con Beltrami Gadola che
individua nella Città Metropolitana il
contesto territoriale di appartenenza
e nella sua Amministrazione il soggetto competente.
Pur riconoscendo che sia molto urgente assumere le decisioni necessarie ad avviare l’attuazione degli
interventi, il processo non potrà essere che di lunga durata anche per
evitare decisioni improvvisate e favorire invece la possibilità di assumerle nel modo più coerente e appropriato.
Infatti chi avrà il compito di realizzare questo grande intervento dovrà
assolutamente evitare, come ha
giustamente sostenuto Vittorio Gregotti, di farne una periferia offrendo
invece ai Comuni del nord ovest un
riferimento di centralità sovracomunale di cui necessitano e creare allo
stesso tempo uno dei nuovi poli che
contribuiranno a strutturare la Città
Metropolitana.
E visto che Expo è considerato il
grande evento che tutti ci riconoscono, spero proprio che il dopo
Expo possa essere l’occasione per
tornare a dimostrare che a Milano
esiste ancora una cultura urbana e
architettonica che sa riferirsi in modo originale e attento a quella tradizione della propria modernità per la
quale, in un non lontano passato, è
stata ammirata nel mondo.
(1) Emilio Battisti pianificazione e progettazione urbana; Antonio Belvedere diritto
urbanistico; Ennio Brion strategie immobiliari; Roberto Camagni Economia urbana e territoriale; Sandro Favero
partner fondatore di F&M Ingegneria;
Alessandro Galbusera housing sociale;
Giorgio Goggi mobilità e studio dei flussi;
Paolo Inghilleri beni ambientali e culturali; Fabio Iraldo economia della sostenibilità; Andrea Silipo ingegneria finanziaria
e analisi economiche (Arcotecnica
Group spa); Giorgio Spatti logistica e
trasporti; Tommaso Tassi infrastrutture e
viabilistica (F&M Ingegneria Spa); Paolo
Viola progettazione urbana (Arcotecnica
Group Spa); Mario Zambrini sostenibilità
ambientale (Ambiente Italia Srl).
UN UOMO CHE HA “FATTO” MILANO: MAURIZIO MOTTINI
Giuseppe Longhi
Maurizio Mottini è recentemente
scomparso, la sua figura invita a
riflettere su alcuni importanti passaggi nei processi di modernizzazione della metropoli milanese e,
come lui amava fare, invita a sviluppare scenari per azioni future. Mottini aveva una cultura d'impresa “militante”, ossia coniugava l'indispensabile attenzione verso ciò che accadeva nel mondo con la capacità
di tradurla in efficaci azioni politicoamministrative grazie a una non
comune pazienza nell'arte del “facilitatore”, ossia del dialogare con le
diversità che compongono il variegato universo dei cittadini.
Credo che la sua esperienza di uomo d'impresa sia alla base della sua
filosofia "resiliente", per la capacità
di individuare gli elementi strutturali
di sviluppo della nostra convivenza
metropolitana e di non imporli come
verità "politiche", ma di condividerli
con le diverse parti sociali. Il periodo
in cui svolge la sua azione è quello
del cambiamento accelerato della
seconda metà del secolo scorso fino a oggi, nel quale si verifica il
passaggio dalle regolari ondate di
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cambiamento economico e sociale
di medio periodo agli impetuosi e
rapidissimi tsunami che segnano gli
attuali dirompenti cicli innovativi.
La prima ondata che affrontò, quale
Assessore all'urbanistica del Comune di Milano alla metà degli anni '80,
fu quella della deindustrializzazione
accompagnata ai nuovi processi
produttivi “del fare di più con meno”,
nella quale i modelli gerarchici della
prima epoca industriale erano messi
in crisi dai modelli “anarchici” della
rivoluzione cibernetica, basati su
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rapporti orizzontali, feedback, e
condivisione.
Fu merito di Mottini, e della giunta
presieduta dal sindaco Tognoli, intuire che l'epoca dei piani urbanistici
“chiusi”, imposti dall'alto, era finita a
favore di strumenti informali, il cui
ruolo era rendere trasparente la
strategia pubblica e attrarre la creatività progettuale e finanziaria privata per proporre nuove opere. Fu così che, con il Documento Direttore
del progetto Passante, le regole
progettuali di un'infrastruttura ferroviaria uscirono dal mero campo della pura efficienza per trasformarsi in
generatrici di sviluppo, grazie a due
attrattori metropolitani di livello internazionale: il nuovo centro direzionale e la nuova fiera.
L'operazione fu possibile grazie a
un gruppo di giovani ricercatori, estranei al sistema dei partiti e insensibili all'accademia locale, di buona
esperienza internazionale legata
all'allora nascente Erasmus, cui fu
data l'occasione di portare nell'ambito dell'amministrazione i frutti della
loro esperienza. Si concretizzava
così un modo di operare in rete, testimoniato dal volume “La progettazione a scala metropolitana” (Franco Angeli, 1985), il quale poneva la
questione della nuova forma del lavoro metropolitano e della conseguente esigenza di nuove infrastrutture abilitanti.
È indubbio che il Documento Direttore sia stata una sostanziale evoluzione della prassi progettuale basa-
ta sulla leadership della parte pubblica, sull'autonomia e creatività degli ambiti progettuali, sull'industriosità degli operatori economici; il fatto
che la sua attuazione abbia richiesto circa trent'anni la dice lunga sul
percorso successivo che vede azzerato il ruolo del pubblico all'insegna
di “i grattacieli nascono sotto i cavoli
grazie all'amorevole cura della Hines”.
La seconda ondata che ritengo utile
ricordare è quella della sostenibilità,
un tema che vede Mottini impegnato
quale dirigente del movimento cooperativo. Siamo negli anni '90, si è
definitivamente chiusa l'epoca dei
piani di edilizia economico-popolare
con finanziamenti pubblici garantiti,
e, contemporaneamente, si apre
l'epoca della sostenibilità con il suo
oneroso corollario d’innovazione, legato al rispetto degli standard qualitativi imposti dalle Convenzioni internazionali sull'ambiente.
Per le imprese cooperative sorge il
problema di innovare in presenza di
risorse scarse, fu merito di Mottini
comprendere che la scarsità fondamentale nei momenti di cambiamento riguarda le risorse umane, e
la loro implementazione è il presupposto di base per ogni processo di
sviluppo.
Nacque così il nucleo di progettazione sostenibile presso Coopcasa
il quale ancora una volta propose la
logica della rete aperta come strumento base per innovare. Questo
ha portato a due esperienze impor-
tanti: il Master di progettazione sostenibile, che anticipava gli attuali
processi aperti di istruzione continua e la realizzazione del quartiere
ad alta sostenibilità del Sanpolino a
Brescia, un'esperienza che anticipa
il modello del living lab, largamente
citata nella letteratura internazionale
per il suo livello qualitativo.
La terza ondata, quella attuale, è la
più difficile, per la rapidità e la numerosità dei fattori innovativi dirompenti, e, quindi, per i potenti fattori di
disgregazione che introduce nella
nostra società. Chi sottovaluta gli
effetti dei cambiamenti accelerati
mette di fatto fuori controllo il sistema sociale, chi lo segue acriticamente rischia di essere travolto dai
suoi effetti imprevedibili.
Maurizio Mottini credeva fermamente che in questa situazione il fattore
chiave fosse la crescita del sapere
perché la rivoluzione digitale richiede scelte audaci, riflessive e rapide.
Riteneva che l'apprendimento continuo dovesse coinvolgere anche la
classe politica, per contrastare le
crescenti difficoltà nel comprendere
i processi innovativi. Si discuteva
dell'opportunità della nuova metropoli, come modello per la rigenerazione dell'intero paese, secondo la
logica della piattaforma condivisa
capace di abbracciare un ampio
spettro di esperienze internazionali.
Un'intuizione che viene consegnata
ai giovani cui ha dedicato l'ultima
parte della sua costruttiva vita.
SINDACO, COMITATI E I VUOTI DI POTERE POLITICO
Miro Capitaneo
Disimpegno e smarrimento fanno
capolino dall’articolo di Stefano Rolando dal titolo “Quel clima di perplessità che si percepisce a Milano”
su ArcipelagoMilano del 16 settembre 2015. Sono gli umori nel centrosinistra che ha eletto Pisapia e di
cui ora si sente orfano. Un Sindaco
per bene: già una bella conquista,
non iscritto ai partiti e non fazioso:
elemento di modernità, che asseconda grandi cambiamenti con legalità e realismo: virtuoso ... .
Ho citato sinteticamente alcune valutazioni che condivido e bene si
integrano con l’articolo di Alberto
Negri, dal titolo “La novità di Pisapia: una grande eredità per chi vuole continuare". Negri, in modo scientifico, analizza metodi, strategie e
spirito della ottima comunicazione
che ha portato alla travolgente vittoria elettorale di Pisapia. L’essere
riuscito a coinvolgere i Cittadini in
un clima di entusiasmo e fiducia
condivisa che ha portato al “miracolo arancione”.
Ci diceva Giuliano a noi attivisti arancioni: quando sbaglio avvertitemi! Ma come? Attraverso quali interlocutori? Visto poi che neanche ai
Consigli di Zona viene dato ascolto!
Si sarebbe dovuto attivare un numero verde per comunicare osservazioni e proposte dei Cittadini. Una
cosa simile è stata realizzata a Chicago, mentre da noi l’ascolto sempre aperto è solo quello sul numero
verde dell’Amsa!
Mi richiamo a un mio intervento, di
qualche mese fa, in polemica con il
“mago” operativo di quella grandiosa battaglia elettorale, Paolo Limonta. Limonta faceva riecheggiare le
voci e l’entusiasmo di quella bella
campagna elettorale, ignorando i
progressivi “vuoti di potere politico”
che hanno via via deluso gli attivisti
(me compreso), specie nelle periferie, che hanno portato alla disgre-
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gazione dei ComitatiXMilano ( da 9
a 2). Mi riferisco, in particolare, alla
“non comunicazione” coi Consigli di
Zona e non avere il Sindaco voluto
o potuto frequentarli e confrontarsi
con essi con continuità.
È chiaro che i “vuoti di potere politico” venivano e vengono riempiti dai
“bizantinismi”, dalle improvvisazioni,
dagli errori e talvolta dall’arroganza
dei Servizi tecnici che Pisapia non
ha saputo o voluto governare. Un
esempio coi problemi viabilistici e di
parcheggio regolato: i Tecnici comunali non escono, fanno tutto sulla
carta, con maggior rischio di sbagliare (mi domando: non hanno i
biglietti ATM? Vogliono l’auto di servizio?).
Altro brutto capitolo è stata l’ostinazione della Amministrazione nel
voler realizzare per Expo le cosiddette “vie d’acqua”. Canali che a
detta di esperti, non avrebbero consentito la navigazione neppure a
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una canoa, a fronte di costi stratosferici. L’impegno dei No Canal per
fortuna non è stato vano!
Mi trovo in totale dissenso con Negri
dove dice della non necessità di un
candidato carismatico e tanto meno
di un capo populista. Attenzione: la
politica non è solo scienza, strategia, razionalità ma, chiedo in prestito
il termine usato da Giuseppe Cruciani su Radio 24: la politica è “sangue e merda”. Laddove le passioni
si intrecciano con le analisi sociologiche, le strategie di sopraffazione, i
colpi di mano, le confidenze sotto-
voce, i piccoli e grandi potentati che
tramano nell’ombra.
Vorrei richiamare due grandi errori
del Nostro: non aver fatto lo “spoil
system” trovandosi così dirigenti
che remano contro e aver accettato
Expo a fronte di periferie - slums
con case popolari che stanno crollando e le cantine invase da acque
o topi. Giusto ad Agosto, un candidato Sindaco ha fatto il giro delle
case popolari di Giambellino - Lorenteggio e ha scoperto gli orrori di
ambienti degradati e inumani. Intanto la gente, tanta gente, passeggia
nel Decumano della cittadella isolata e extraterritoriale, ignara dei tanti
problemi di una città che vorrebbe
essere “europea”.
Mi permetto di fare un appello: cari
5 stelle, siete giovani, attivi, preparati, avete tutti i numeri per farvi avanti! Qualora troviate un candidato
“carismatico” di forte impegno per la
legalità, come un ex magistrato, io
vi voto. Un De Magistris in “salsa
milanese” scrissi allora e lo ribadisco.
GIOVANI: RESTARE IN ITALIA SOLO SE CAMBIA
Silvia Favasuli
C’è un dato che parla più di tutti. E
lo rivela l’ultimo Rapporto giovani
curato dall’Istituto Toniolo di Milano
(qui sotto tutti i dati). È una cifra
chiave per capire la generazione
EasyJet (laurea in tasca e un biglietto di sola andata per l’Australia
o il Regno Unito), e volare oltre le
letture superficiali di chi crede che
questi giovani – spesso più adulti
che giovani- scappino senza lottare,
o di chi li giudica dall’alto dei suoi
sessant’anni chiamandoli svogliati e
fannulloni. Perché se per la prima
volta il numero di coloro che si dicono pronti ad andare all’estero per
migliorare condizioni di vita e di lavoro ha raggiunto il 60% degli intervistati (cioè sei ragazzi su dieci) è
per una ragione precisa: questi ragazzi non vedono in Italia nessun
segnale di cambiamento. E nessuno spazio per realizzarlo.
Ed ecco che allora circa il 75% di
loro risponde «poco» o «nulla» a
questa semplice domanda: «Quanta fiducia hai nella possibilità che
tra 3 anni le opportunità per i giovani nel tuo Paese di origine saranno
migliori di oggi?». Se ci fosse un
minimo segnale di miglioramento
della situazione economica e politica del paese, questi giovani non se
ne andrebbero mai dall’Italia. Sarebbero disposti anche ad accettare
meno opportunità e salari più bassi
dei coetanei d’Oltralpe. Ne è convinto il professor Rosina, docente di
Demografia e curatore del Rapporto. «L’unica cosa che chiedono è
essere parte attiva di un processo
credibile di trasformazione, sentire
di avere un ruolo, percepire che i
loro sforzi ottengono risultati. Quando ciò accade, questi giovani rilasciano le loro migliori energie e si
dedicano al massimo del loro impegno ed entusiasmo».
Attraverso le interviste statistiche e i
contatti diretti con questi ragazzi, il
team del professor Rosina si è accorto che ciò che spinge i Millennials a partire non è tanto la differenza di opportunità tra dove vivono
e l’estero, quanto il non poter essere parte attiva di un cambiamento
del paese, che pure vorrebbero. «È
una caratteristica tipica di tutti i giovani, argomenta il professore, ma
ancora più specifica di questi. Ciò
che li fa soffrire è il non vedere le
possibilità di contribuire a migliorare
il contesto in cui si trovano». Per
mancanza di accesso alle posizioni
decisive o perché costretti dalle generazioni più anziane a conformarsi
al loro modo di vedere le cose.
Sono ragazzi, spiega Rosina, privi
di figure credibili di riferimento, di
cui tuttavia hanno disperato bisogno. «Cioè figure cui dare fiducia e
da cui ottenere l’auto necessario
per orientare le proprie scelte, e
realizzare i propri obiettivi. E invece
si trovano a dover lavorare con adulti o anziani incapaci di mettersi
in sintonia con loro. .... per continuare a leggere l'articolo su LINKIESTA clicca qui
PARTIGIANI IN BORGHESE. DAL 1945 AL “BIPOLARE CONFUSO” DI OGGI
Franco Morganti
Se partiamo dal 25 aprile 1945,
considerandola la data di inizio
dell’Italia post-fascista, com’è arrivato il nostro Paese all’assetto politico
attuale, che potremmo definire “bipolare confuso”? Con quali passaggi e con quali idee sottostanti? Un
contributo di chiarezza viene da un
libro recente del giovane storico
Roberto Colozza, intitolato “Partigiani in borghese: Unità Popolare
nell’Italia del dopoguerra” uscito da
Franco Angeli nel giugno scorso
(243 pp, 28 €), frutto di una ricerca
condotta nell’ambito della Scuola
superiore di studi storici dell’Istituto
nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia.
La ricerca, iniziata nel 2010, fu poi
interrotta l’anno dopo col venir meno del finanziamento specifico. Ma
Colozza continuò a indagare sul periodo storico fra la Liberazione e le
elezioni del 1958 che “sancivano la
stabilità quantitativa dei consensi ai
principali partiti e fissavano posizioni che sarebbero rimaste invariate
per lungo tempo.” Solo grazie a una
fortunata combinazione fra l’editore
Franco Angeli e l’Istituto per la storia della Resistenza di Torino il lavoro poté riprendere fino alla pubblicazione.
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Quel periodo storico dal 1945 al
1958 fu largamente influenzato dal
Movimento di Unità Popolare (UP).
“Più prossima a un’attitudine ideale
che a un movimento politico nel
senso proprio del termine, UP non
fu in grado di determinare le sorti
della politica nazionale, ma lasciò
tracce che a distanza di tempo sono
riemerse influenzando il dibattito
politico su temi chiave dell’identità
nazionale. Dentro UP e nell’area
politica afferente operarono molti
degli intellettuali le cui riflessioni,
minoritarie negli anni Cinquanta,
sono state alla base del discorso
pubblico istituzionale degli anni a
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venire. Il recupero della Resistenza
come esperienza unificante della
nazione repubblicana e il riconoscimento della Costituzione come tavola dei valori civici sono un lascito
dell’antifascismo democratico, cui
UP ha contribuito in maniera profonda.”.
Unità Popolare nacque nel 1953 per
reagire e combattere la cosiddetta
“legge truffa”, che avrebbe concesso un premio di maggioranza alla
coalizione che avesse raggiunto il
50% dei voti. La denominazione di
“truffa” nasceva da due fatti: (1) una
sola era la coalizione che avrebbe
potuto raggiungere il 50%: quella
formata dalla DC con i partiti laici e
(2) la DC avrebbe lucrato gran parte
del premio e avrebbe potuto governare da sola. Al movimento parteciparono vari dissidenti dello PSDI e
del Pri, che lasciarono quei partiti.
Fra i primi Piero Calamandrei, Tristano Codignola, Piero Caleffi, Antonio Greppi, fra i secondi soprattutto la figura epica di Ferruccio Parri.
Pochi lasciarono il Pli 8 (Partito Liberale Italiano): fra questi Arturo
Carlo Jemolo, ma non Scalfari, né
Mario Paggi, né Pannunzo con il
gruppo de “Il Mondo”. Il risultato elettorale sancì la sconfitta della
“legge truffa” per 54.000 voti, mentre UP ne raccolse 171.000. Alla
vittoria contribuì anche l’Adn di Epicarmo Corbino, un altro profugo dal
Pli.
Nei cinque anni successivi UP svolse un’intensa attività culturale: a Milano raccolse nel 1955 un gruppo di
studenti universitari e liceali che organizzarono un corso sulla Costituzione italiana su progetto di Giuliana
Gadola Beltrami. Le conferenze si
svolsero nel “Salone degli Affreschi”
dell’Umanitaria, cui partecipò un
pubblico fino a 400 persone. Il corso
fu avversato dai giornali della destra
milanese finché il Provveditore agli
studi di Milano, Michele Clausi
Schettini non ne vietò la promozione
nelle scuole milanesi con la motivazione che “il contenuto degli interventi appariva fazioso e diseducativo”. Solo l’intervento della prefettura
dissuase il ministro dell’Istruzione
Ermini dal proseguire le indagini,
ma i giovani organizzatori furono
schedati dalla Questura di Milano
come sovversivi. Colozza, oltre a
interrogare i pochi aderenti a UP
superstiti, ha fatto anche un accorto
lavoro di indagine presso gli archivi
pubblici.
Unità Popolare si sciolse nel novembre 1957 dopo una lunga trattativa con lo Psi (quest’ultimo nel frattempo aveva sciolto il patto di unità
d’azione con i comunisti), che portò
alla confluenza di UP nello Psi:
questa avvenne localmente in un
clima a dir poco freddino da parte
dei socialisti. Solo Caleffi, Codignola
e Greppi furono gli ex-UP portati in
parlamento nelle liste Psi alle politiche del 1958, oltre a Parri come indipendente al Senato. Una conclusione misera per una battaglia politica e culturale condotta per cinque
anni da un’élite di grande valore e
prestigio. Tanto rumore per nulla,
direbbe Shakespeare. Ma forse non
per nulla, come dimostra la vitalità
di questo giornale.
COMITATO MILANO OLTRE EXPO: LE DONNE GIURISTE
Ileana Alesso
Arriveranno a breve. Dall’Africa,
dall’America, dal Medio Oriente e
dalla Cina, ma anche dall’Europa –
da Francia, Spagna, Belgio, Bulgaria, Regno Unito, Germania, Portogallo, e ovviamente dall’Italia - tutti
qui a Milano per la due giorni, del 29
e del 30 settembre, di convegni internazionali che si terranno nell’aula
Magna del Palazzo di Giustizia.
Si tratta di due convegni, nell’ambito
di Expo 2015, organizzati dalla Associazione Donne Giuriste di Milano, con il patrocinio del Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati di Milano,
per promuovere, in linea con i principi della Carta di Milano e del Manifesto della Avvocatura, il diritto al
cibo sicuro e sostenibile con la elaborazione di progetti e approfondimenti interdisciplinari e internazionali mediante la formulazione di
proposte di legge e la applicazione
e la verifica di norme e di modelli di
eccellenza.
I convegni sono stati realizzati
nell’ambito di un progetto vincitore,
tra una settantina di progetti esaminati, del bando a suo tempo indetto
da Me & We Women for Expo. Infatti nel luglio scorso la Associazione
ha presentato alla Esposizione Universale il Manifesto di Intenti in vista
della costituzione del “Comitato Milano Oltre Expo 2015: esperienze e
soluzioni per una riflessione multidi-
sciplinare a supporto della elaborazione giuridica”.
Come Vice Presidente della Associazione mi fa piacere sottolineare
l’orizzonte interdisciplinare, prima
ancora che internazionale, sia dei
convegni che del conseguente
“Comitato Milano Oltre Expo 2015”
a cui daremo vita a breve e che raccoglierà i frutti della elaborazione di
quasi un anno di lavoro.
Frutti che saranno fatti germogliare
sul terreno arato dalla rete tra giuriste e numerosi altri protagonisti: imprenditori, associazioni, cooperative, operatori sanitari, organizzazioni
governative e non, biologi, medici,
magistrate, professori universitari,
delegate della Federation Internationale des Femmes des Carrieres
Juridique presso la FAO, l’IFAD,
UNHCR e ILO, sulla base dei principi di responsabilità condivisa e di
progettualità sostenibile.
La sostenibilità è una parola chiave.
Sostenibile per il pianeta e per i suoi
abitanti e responsabile per il coinvolgimento di tutti, anche nell’agire
sui doveri dei pubblici poteri. E in
questo senso come avvocate e come associazione miriamo a dare
seguito alla domanda, che trova ingaggiate noi per prime, di responsabilità sociale della professione
forense e di impulso, giuridico e culturale insieme, di una funzione pub-
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blica che nell’affermare i diritti della
persona ne individua la priorità nei
doveri della comunità.
Si comincia il 29 settembre con
l’incontro su “Il cibo, bene comune
del Pianeta: la pesca consapevole e
le risorse disponibili”, non solo ovviamente nel mare nostrum, con
uno sguardo che parte dal Nord Africa e arriva a Bruxelles e guarda
sia alla attuale crisi della risorsa ittica che alle opportunità di sviluppo,
osservando le scelte dei consumatori per orientarle a un miglior uso
delle risorse con garanzie di qualità
e di sicurezza.
Si prosegue il 30 settembre con
l’incontro, anch’esso pubblico e con
ingresso libero, su “Il latte. Tradizione
e
nuove
frontiere
dell’allattamento materno, del consumo e della produzione di latte
vaccino sano, sicuro, sostenibile”
con un taglio che parte dal nutrimento più che dal cibo. Dal valore
interpersonale e nutrizionale nel
rapporto mamma-bimbo ma anche
dal nutrimento sociale tra legislazione sanitaria e welfare ovvero del
diventar grandi in contesti di forte
crisi occupazionale. E poi a seguire
le esperienze più intriganti, dalle
“memorie dell’olfatto” alle eccellenze italiane, europee e internazionali
con una attenzione particolare alla
eliminazione
degli
sprechi
e
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all’aumento dei ricavi. Insomma, un
ricco e intrigante menù che vien già
voglia di assaggiare, non è vero?
DDL CONCORRENZA, TIMIDAMENTE MA SI VA AVANTI
Massimo Cingolani
Approfondire il Disegno di Legge
Concorrenza lascia una sensazione
di moderata soddisfazione, sapendo
che arrivare a quello che auspicava
Renzi, cioè ”il Ddl concorrenza in
Parlamento incontrerà le resistenze
delle lobby ma noi le sfideremo”,
non è per niente facile. Tanto rumore per nulla? Questo è quello che
pensano associazioni professionali
e dei consumatori ma forse rispetto
alle lenzuolate di Bersani, rimaste
poi delle affermazioni più di principio
che sostanziali, questo è un primo
passo avanti.
L’art.1 enuncia: «La presente legge
interviene a rimuovere ostacoli regolatori all’apertura dei mercati, a
promuovere lo sviluppo della concorrenza e a garantire la tutela dei
consumatori, anche in applicazione
dei princìpi del diritto dell’Unione
europea in materia di libera circolazione, concorrenza e apertura dei
mercati, nonché alle politiche europee in materia di concorrenza».
È sufficiente pensare alla non attuata liberalizzazione delle vendite dei
farmaci di fascia “C “, alla possibilità
reale per gli agenti di assicurazione
di avere più mandati, tralasciando
poi il silenzio delle varie istituzioni
sulla questione Über/tassisti, per
non essere troppo fiduciosi. La concorrenza dovrebbe essere favorita
proprio per costruire seppur faticosamente, un mercato efficiente e di
vera competizione.
Quando si scorre il suddetto Ddl, le
misure appaiono timide se non contraddittorie. Ad esempio nel settore
assicurativo non emerge nessuno
sforzo particolare per costruire polizze ben fatte per tutelare
l’assicurato che è capace di ricercare solo il prezzo basso. La portabilità dei fondi pensione salta del tutto:
l’articolo 15, che prevedeva il totale
trasferimento della posizione previdenziale del lavoratore in qualunque
strumento di previdenza complementare, è stato sostituito con una
norma che rinvia l’esigenza di «aumentare l’efficienza delle forme
pensionistiche complementari collettive» a un tavolo di consultazione
tra ministeri e parti sociali, da insediarsi entro trenta giorni dall’entrata
in vigore della legge.
Novità anche per i notai: grazie a un
emendamento dei relatori passeranno da uno ogni 7mila abitanti a
uno ogni 5mila. La norma potrebbe
portare il numero dei notai «dagli
attuali 7mila fino a 10-12mila, dipenderà dai concorsi». Non è tutto.
Cade per gli avvocati la possibilità di
effettuare i passaggi di proprietà di
beni immobili non residenziali di valore catastale non superiore ai
100mila euro, che torna così di
competenza esclusiva dei notai.
Con una serie di emendamenti bipartisan al Ddl, approvati dalle
commissioni, l’articolo 28 del provvedimento («Semplificazione del
passaggio di proprietà di beni immobili adibiti ad uso non abitativo»)
è stato sostituito con una norma che
trasferisce , dai tribunali al Consiglio
nazionale del notariato il registro
delle successioni.
Inoltre anche le società di capitali
potranno diventare titolari di farmacie private e quindi i soci non dovranno più essere obbligatoriamente farmacisti. Non esisterà più il limite massimo di quattro licenze in capo allo stesso soggetto. In sostanza
quindi, potranno crearsi catene farmaceutiche e ci sarà più margine
per sfruttare le economie di scala,
fino a oggi molto ristrette dal limite
di quattro licenze. Questo è quanto
è stato fatto a favore della concorrenza tra farmacie, e quindi dei consumatori. Ci si augura possa produrre effetti tali da controbilanciare il
punto a suo sfavore: la mancata liberalizzazione della vendita dei
farmaci di fascia C.
Modifiche pure sul fronte della
RcAuto. Tra le condizioni per ottenere gli sconti dalle assicurazioni
non ci sarà più quella di far riparare
la macchina dopo un incidente in
una carrozzeria convenzionata, che
tanto aveva indispettito le associazioni dei carrozzieri: in un altro emendamento si legge che «resta
ferma la facoltà per l’assicurato di
ottenere l’integrale risarcimento per
la riparazione a regola d’arte del veicolo danneggiato avvalendosi di
imprese di autoriparazione di propria fiducia». È confermato che la
scatola nera dovrà essere installata
a spese della Compagnia. E sono
previste multe più elevate per le assicurazioni che si rifiutano o eludono
gli obblighi a contrarre e a rinnovare
una polizza (fino a 15mila euro) e
per quelle che non applicano gli
sconti obbligatori (fino a 40mila euro). Infine, le imprese di assicurazioni dovranno praticare uno «scon-
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to significativo» a chi contragga più
polizze.
Nello stesso tempo però o, come
rilevato a più riprese dalle associazioni dei consumatori e dall’Organismo unitario dell’avvocatura, per i
milioni di italiani titolari di una polizza RC auto non ne deriva nessun
vantaggio bensì una riduzione dei
diritti. Secondo Federconsumatori e
Adusbef, i previsti sconti per chi accetterà di farsi inserire sulla macchina la scatola nera saranno infatti
più che compensati dal costo di disinstallazione in caso di cambio di
Compagnia. Quanto alla creazione
di carrozzerie convenzionate, secondo i titolari delle officine creerà
un monopolio abbassando la qualità
delle riparazioni. Peggio ancora,
l’obiettivo di rivedere al ribasso la
liquidazione del danno biologico si
tradurrà in risarcimenti più bassi fino
al 40%.
Il caso specifico relativo alla riduzione del danno biologico per le piccole lesioni, che è quello che più ha
agitato le associazioni e anche l'opposizione, è però stato però “corretto” dall'introduzione di una sorta di
danno morale che andrebbe a
sommarsi al risarcimento personalizzato. Il sindacato maggioritario
degli agenti di assicurazione (SNA)
ha ribadito che: ”Pur comprendendo
le ragioni delle imprese di assicurazione, non può non trascurare le
istanze delle migliaia di piccole aziende artigiane che costituiscono
l’ossatura dell’autoriparazione in Italia, nonchè le rivendicazioni delle
Associazioni dei Consumatori e delle Vittime della Strada. La garanzia
di un comportamento trasparente e
corretto delle Compagnie e di un
equo risarcimento a tutti i danneggiati, deve costituire un caposaldo
irrinunciabile sul quale si basa qualsiasi futuro sviluppo dell’assicurazione in Italia.”.
In conclusione ci si poteva aspettare
di più da questo decreto ma bisogna
tener conto sia della forza delle
lobby, sia dell’inadeguatezza di molti parlamentari e comunque, rispetto
alle lenzuolate di Bersani, rimaste
solo sulla carta, qualcosa è stato
fatto. È solo l'inizio di quello che un
governo innovatore si troverà davanti, l'importante è che la marcia
sia cominciata.
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IL SOGNO LUCIDO DI UNA NUTRIZIONE RIABILITATA
Carlo Alberto Rinolfi
A Milano il 24 settembre 2015 un
Workshop su “Agrobiodiversità e
Resilienza” riunirà gruppi di esperti
per dibattere strategie e formulare
proposte per nutrire il mondo in sicurezza. Se potessimo concepire un
Eden con gli occhi di un nostro contemporaneo, probabilmente immagineremmo un territorio fertile con
tante varietà di coltivazioni, ricco di
numerose specie vegetali e animali.
Sarebbe il regno della diversità agricola e biologica, quotidianamente
assicurata grazie a sistemi animati
dall’intelligenza umana e con poco
sforzo fisico. Una sorta di paradiso
terrestre reso evoluto dall’incontro
dei processi della natura con i progressi degli umani, verso il quale
varrebbe la pena migrare anche a
costo di terribili sacrifici. Uno scrigno di attrazione a cielo aperto in
cui diversità è sinonimo di ricchezza
e non di handicap, e capace non
solo di nutrire tutti gli organismi viventi che lo abitano ma anche di
rigenerare le risorse di cui ha bisogno la terra per la sua fertilità.
Ci apparirebbe come un enorme
campo intessuto da una fitta rete di
connessioni tra tanti nodi costituiti
da villaggi e città, ciascuno con le
sue caratteristiche e specializzazio-
ni. Un insieme illuminato di organismi e agglomerati capaci di proteggere dalle intemperie e dalle instabilità ambientali comunità creative ricche di differenze multietniche in
grado di nutrirsi e riprodursi in sintonia con l'ambiante che le circonda.
Troveremmo sistemi finanziari internazionali che creano sicurezza agli
Stati e incentivano le agricolture più
congeniali ai territori, un’agricoltura
di sistema perfettamente integrata
con le culture dei territori, mercati
che valorizzano le genialità delle
culture locali, sistemi distributivi ecocompatibili e ad alto contenuto di
servizio, l’impiego diffuso di energie
sostenibili, tecnologie di comunicazione e monitoraggio avanzato,
produzioni a impatto positivo con
l’ambiente, sistemi di amministrazione pubblica che producono risorse ambientali e gestiscono i metabolismi nutrizionali delle metropoli, e
nuovi modi di riabilitare il corpo umano attraverso un cibo che lo nutre e lo cura.
Sull’ingresso di questo Eden terreno
ed evoluto l’insegna dell’Agrobiodiversità sarebbe accompagnata da
quella altrettanto importante della
Resilienza. Un simile luogo potrebbe essere veramente “paradisiaco”
solo se in grado di resistere e reagire anche ai più terribili imprevisti
che la grande matrigna ci riserva da
quando il big bang è esploso.
La capacità di reagire agli shock
che variazioni climatiche e hybris
umane provocano in continuazione
prende, infatti, forma nella cultura
della resilienza. Una caratteristica
vitale che permette ai singoli e alle
collettività di risorgere, dopo i disastri, più forti e migliori di prima, una
sapienza o specificità informativa
patrimonio di tutti gli organismi viventi e che si trasmette tra le generazioni sino a cambiare le regole del
gioco della percezione condivisa e
generare così nuovi modi di apprendimento.
Agrobiodiversità e Resilienza, le
grandi muse generatrici di Sicurezza e Nutrizione, ci attendono in un
sogno che ha molte possibilità di
divenire lucido e reale. Di come realizzare queste due strategie indispensabili per nutrire il mondo si
occuperanno gli esperti e il pubblico
di cittadini interessati, riuniti in sei
focus group da Mondohonline con
l’ufficio Comunicazione del Parlamento Europeo.
Presidente, Mondohonline
MILANO E L’ACCOGLIENZA AI MIGRANTI: SOLO UNITI SI PUÒ
Ilaria Li Vigni
Da ottobre 2013 ad oggi sono passati da Milano oltre 80.000 mila profughi, tutti diretti verso i paesi del
nord Europa, nel mese di agosto
2015, salvo alcuni giorni a cavallo di
ferragosto, la frequenza degli arrivi
è arrivata fino a 300 persone al
giorno. Le nazioni di provenienza di
questi migranti sono le solite che
sentiamo nelle cronache di questi
giorni: in particolare, molti sono i
Siriani, i Sudanesi, gli Etiopi e gli
Eritrei che vengono da paesi in
guerra e fuggono verso terre lontane.
Milano, in questo momento storico
di rilevanza internazionale per quanto riguarda l’emergenza migranti,
non si è tirata indietro nell’approntare iniziative di aiuto concreto e fattivo per risolvere il vitto, l’alloggio e
le loro esigenze primarie. Si tratta di
iniziative di assistenza e solidarietà
molto pratica e concreta che non
hanno alcuna presunzione di risolvere il problema, sarebbe utopico,
ma solo di far sentire la vicinanza di
molti cittadini nei confronti di chi
scappa dalla guerra, dalla fame alla
ricerca di un futuro.
Il lavoro è d’equipe, i volontari sono
tantissimi e le associazioni pure, ma
occorre sovente un “cappello istituzionale” che renda queste iniziative
più che mai sicure e credibili e, soprattutto, che tuteli anche il mondo
del volontariato in questa complessa opera di assistenza e aiuto. A
cento metri dalla stazione Centrale,
il Comune di Milano ha aperto un
centro di accoglienza e smistamento per i profughi in arrivo (HUB) che
lavora con la massima efficienza
grazie ai volontari, spesso molto
giovani e sempre più numerosi.
L’ambiente è molto vasto, circa 450
mq e si compone della sala di accoglienza, di sale di attesa, spazi per i
bambini, sala pranzo, bagni, angolo
internet, sala medica, stanzemagazzino. Responsabile dell'organizzazione è la Fondazione Progetto Arca, e suoi sono gli operatori
che fanno l'accettazione e tengono i
contatti con i centri di accoglienza in
cui vengono smistati i profughi.
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A tali operatori si affiancano varie
associazioni, ognuna con un compito specifico: ne ricordo alcune, senza alcuna presunzione di completezza, ma solo per ringraziare le decine di appartenenti a queste associazioni per la loro preziosa opera di
aiuto. Save the Children e l'Albero
della Vita intrattengono i bambini e
si prendono cura della loro giornata
con giochi e attività di ricreazione,
SOS ERM si occupa della distribuzione del cibo con la collaborazione
anche di molti volontari privati,
Cambio Passo si occupa in modo
particolare degli Eritrei, convogliandoli da Porta Venezia all'Hub della
Stazione Centrale.
Il tutto, sotto l’egida del Comune
che ha messo fisicamente a disposizione questo centro e gestisce il
complesso meccanismo, anche burocratico, che ci sta necessariamente alla base. Insomma, istituzioni,
associazioni e privati, uniti in un circuito virtuoso che può gestire un
notevole sforzo organizzativo sia
per quanto riguarda il numero di
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persone coinvolte, sia per le esigenze, spesso diverse per età, nazionalità, religione e stato di salute
dei migranti neo arrivati.
Infatti i singoli cittadini non sono certo da meno delle associazioni. Vi è
stata grande partecipazione dei milanesi alla mobilitazione civica, organizzata dall'assessorato alle Politiche sociali, per la raccolta di indumenti e di beni per l'igiene personale da destinare ai profughi in transito
nella città e ai senzatetto ospiti delle
strutture di accoglienza. Negli ultimi
giorni, nei centri di raccolta, sono
stati raccolti quasi 80.000 capi e migliaia di altri prodotti per l’igiene
personale per grandi e piccini.
Anche la Diocesi di Milano si sta
muovendo con grande impegno e
determinazione. Caritas Ambrosia-
na sta facendo davvero moltissimo
per l’ospitalità quotidiana dei migranti, mettendo a disposizione propri spazi e coinvolgendo le singole
parrocchie nella gestione di questa
necessaria accoglienza. Già numerose persone sono ospitate stabilmente in locali parrocchiali da alcune settimane e si stanno progressivamente organizzando sempre più
soluzioni abitative.
Molto bello l’esempio di Santo Stefano Maggiore, storica chiesa
nell’omonima piazza milanese e
parrocchia dei migranti che ha messo a disposizione alcuni locali di un
appartamento di pertinenza per
l’ospitalità ad alcuni stranieri senza
casa. Colpisce molto che i lavori di
ristrutturazione per rendere idonei
questi spazi all’accoglienza siano
stati effettuati da volontari anch’essi
stranieri, in Italia da alcuni anni che
si sono presi carico della disperata
situazione di coloro che sono oggi
nella loro situazione passata.
È un piccolo, ma grande esempio
che sta a significare che davvero
tale clamorosa emergenza, al di là
delle valutazioni di politica internazionale assolutamente urgenti e necessarie da parte della politica europea ed internazionale, si può concretamente affrontare solo con la
collaborazione e l’impegno di tutti,
privati e associazioni, laici e religiosi, con il necessario impegno delle
istituzioni. È una battaglia epocale,
un impegno di civiltà che riguarda
ciascuno di noi.
Scrive Vito Antonio Ayroldi sul PostExpo
L'ottimo editoriale del direttore è
centrato ed evidenzia lo iato esistente tra la frammentata articolazione dei centri decisionali e la indispensabile snellezza indispensabile
per una efficiente allocazione di risorse economiche e finanziarie.
Sul progetto del dopo Expo pesa
come un macigno la necessità di
recuperare le risorse investite (o sarebbe meglio dire sperperate) per
quelle aree. Dopo di che i progetti
scontano il vincolo della affannosa
ricerca di soldi pubblici. Ora, Milano
è la principale piazza finanziaria del
paese, e di un paese non certo povero semmai profondamente diseguale; i tassi d'interesse non sono
mai stati così bassi e le banche traboccano della liquidità concesse a
piene mani da Mario Draghi. Se ci
fossero progetti seri ci sarebbe la
fila delle banche per finanziarli. La
verità è che come scrive il direttore
le idee sono poche e molto ben confuse.
Ad esempio. Farne un distretto per
le start up agricole come propone
chi la considera l'autentica legacy di
Expo - come si dice a Milano, città
cosmoprovinciale a cui la lingua italiana pare fare orrore - imporrebbe
di chiedersi preliminarmente a che
tipo di agricoltura si pensa di ispirare i progetti. La milanesissima senatrice a vita, la professoressa Elena
Cattaneo ad esempio è pro Ogm.
Che si fa si segue quella strada e si
trasformano le aree in succursali
delle multinazionali del settore? Sì
può fare. O si sceglie di sostenere
le peculiarità della nostra agricoltura
e di avviare progetti per una altro
tipo di ricerca magari biosostenibile? Che idee ha Milano sull'agricoltura del futuro e in particolare del
suo territorio è un nodo che nemmeno l'Expo è stato capace di sciogliere, il che è tutto dire.
Infine mi concedo un parallelo forse
un po' tirato per i capelli ma che attiene comunque alle infrastrutture.
La crisi dei porti italiani è essenzialmente legata al fatto che le navi
non cercano banchine ma cercano
merci da caricare/scaricare. Così
come i capitali di rischio non cercano mc. ma idee da trasformare in
profitti. Il problema di Arexpo, che si
contorce in contraddizioni che vengono da molto lontano e che LBG
ha già avuto modo di illustrare su
ArcipelagoMilano è che i mc abbondano in tutta l'area metropolitana
mentre le buone idee di business
scarseggiano soprattutto quando i
promotori sono enti pubblici i cui
compiti istituzionali dovrebbero essere tutt'altri. La risultante è che a
farsi largo non resta che il solito
immarcescibile "ballo del mattone"
mascherato ovviamente da Advisor
molto professionali, of course. L'ennesimo camouflage. Accipicchia, mi
è scappato il gallicismo. Orrore!
.
Scrive Gregorio Praderio sul PostExpo
Penso anch'io che la scelta sul destino dell'area Post-Expo spetti alle
amministrazione pubbliche elette
dai cittadini e non al lavoro di un
advisor, per quanto qualificato. Su
quest'ultimo, ho letto sui giornali
(non so se sia vero) che il compenso per tale lavoro è di circa 30.000 €
(la gara infatti veniva aggiudicata
secondo il criterio del prezzo più
basso, neanche quello dell'offerta
economicamente più vantaggiosa).
Fosse così, mi chiedo quale studio
di fattibilità si possa fare con quella
cifra!
Scrive Roberto Biscardini sul dopo Pisapia
Per la verità se la futura giunta avrà
lo stesso rispetto che la giunta Pisapia ha avuto nei confronti delle
scelte pregresse della giunta Moratti
e se questa maggioranza avrà il coraggio di decidere in fretta e senza
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troppi condizionamenti, c'è da pensare che la continuità amministrativa sarà assicurata.
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Scrive Sergio Brenna sul dopo Pisapia
"Le novità di Pisapia: una grande eredità per chi vuol continuare". Grazie, preferisco smettere!
Scrive Giampaolo Bertuletti su borghesia e impegno
La borghesia mimetizzata nelle varie frange della società contemporanea si domanda qual'é il suo interesse nel coinvolgersi nuovamente
nel tormentone municipale, ora che
sembra le "cose" vadano per il meglio: rilancio della città, realizzazioni
in tempo debito, appalti onesti, bilanci in pareggio, etc.
A mio modesto parere (di cui ne vado fierissimo), non si può mandare
al diavolo una giunta onesta, capace di fare efficientemente il suo la-
voro, per sostituirla con una più affarista. Nel pubblico, come nel privato, quando qualcosa funziona, ci
si attiva per conservarlo, invece di
trascurarlo. Fra l'altro, l'azione della
giunta Pisapia non é ancora finita:
cominciata in pieno centro (Expo
diktat), dovrebbe allargarsi più distintamente nei quartieri periferici
durante il prossimo mandato.
A breve: il o la candidato-a dovrebbero essere proposti fra i membri
della giunta attuale: un uomo e una
donna, compresa Ada Lucia de Cesaris; alle primarie, lo scarto fra entrambi sarà corto, probabilmente più
emotivo che sintetico. A medio termine: la personalità prescelta vincerà largamente alle municipali, dopo
aver spiegato urbi et orbi quanto
realizzato negli ultimi 5 anni e quali
sono i progetti avvenire. E se non
vince ... me li mangio tutti crudi!
MUSICA
questa rubrica è a cura di Paolo Viola
[email protected]
Un settembre ricco di musica
Il ciclone MI.TO. è appena finito e,
come sempre, ha lasciato il segno
con concerti di ogni genere e qualità, alcuni molto interessanti o addirittura preziosi, altri di cui vi sarebbe
molto da dire. Se non che – come
altre volte ho ricordato – musica
vincet semper per cui ben venga
MI.TO. (non senza sottolineare il
leggero stato d’ansia provocato da
tutti questi concerti senza mai una
replica: se la sera di quel concerto
non puoi … addio, non c’è più niente da fare!)
Una delle gemme di MI.TO. avrebbe
dovuto essere l’Akhnaten di Philip
Glass al Piccolo Teatro la sera dello
scorso martedì 15. Del celebre musicista americano - diventato come
si sa buddista - Ricciarda Belgiojoso
ha scritto nel suo bel “Note d’autore”
(Postmedia books) che “è identificato come capofila del minimalismo,
corrente artistica sviluppata negli
Stati Uniti a partire dagli anni Sessanta, caratterizzata dall’uso di un
lessico formale essenziale: la musica è costruita ripetendo brevi cellule
melodiche e semplici figure ritmiche
mentre l’armonia gradualmente evolve”. Il che va benissimo per un
breve pezzo introduttivo di una serata ricca di altre emozioni musicali,
ma è tremendo sentirne una intera
opera, per giunta in forma di concerto, senza scene e senza recitazione! Meno male che sugli schermi
dietro l’orchestra scorrevano belle
immagini fotografiche del rinnovato
Museo Egizio di Torino (che creavano una atmosfera appropriata al
racconto del Faraone che convertì il
suo popolo al monoteismo); e che
su altri schermi, sopra il palcoscenico, comparivano i testi tradotti da
diverse improbabili lingue arcaiche.
Ci ha pensato Angelo Foletto a
stroncare su Repubblica l’infelice
ripresa di un’opera che, vissuta dignitosamente una trentina d’anni
per contrastare la funesta egemonia
della scuola di Darmstadt, era stata
ormai ampiamente dimenticata e
rimossa.
Una piacevole scoperta ha invece
allietato il bel concerto che si è tenuto la sera successiva al Castello
di Pomerio dove, con il grande violinista Stefan Coles (da me più volte
citato), abbiamo ascoltato l’ottima e
sorprendentemente giovane pianista ucraina Kateryna Levchenko
eseguire due celeberrime Sonate - il
capolavoro di César Franck e
l’ultima di Brahms (l’opera 108) insieme a due sconosciuti ma deliziosi brani dei rumeni Dimitrescu e
Porumbescu. Magnifici lavori concentrati in un periodo d’oro della
musica - intorno all’anno 1886 in
tutta l’Europa centrale, da Parigi a
Bucarest - interpretate con grande
passione e perizia da un duo dotato
di squisita sensibilità che ha ripagato appieno i tanti ascoltatori milanesi
e luganesi della (peraltro modesta)
fatica di arrivare fino a Erba.
***
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Fatte queste premesse, eccoci al
clou della settimana, vale a dire al
concerto “scandinavo” che Jader
Bignamini ha diretto giovedì scorso
all’Auditorium e replicato venerdì e
domenica, con musiche di Grieg
(Norvegia), Sibelius (Finlandia), e
Nielsen (Danimarca). Un repertorio
che, come dice Enzo Beacco nella
sua sempre intelligente introduzione
al programma di sala, "noi italiani
conosciamo poco e cioè il sinfonismo nei paesi nordici fra l’ultimo ottocento e il primo novecento. I tre
autori … appartengono ad altrettante generazioni consecutive e segnano una netta evoluzione di stile.
". Vediamo come.
Le due Suites dal Peer Gynt di Edvard Grieg (1843-1907) sono state
scritte nel 1875 cioè nel centro di
uno dei decenni più fertili della storia della musica europea; basti pensare alla Messa da Requiem di Verdi, alla Quarta Sinfonia di Bruckner,
alla Moldava di Smetana, al Boris
Godunov e ai Quadri di una esposizione di Musorgskij (tutti del 1874),
alla Carmen di Bizet del 1875, al
Crepuscolo degli dei di Wagner (la
cui prima è del 1876) al Lago dei
cigni di Čajkovskij del 1877, al Concerto per violino e orchestra di
Brahms (1878) - si veda l’indice di
“Offerta Musicale” di Beacco - per
avere un’idea dei fermenti musicali
di quegli anni. I temi di Grieg per il
Peer Gynt incantano e sorprendono
ancora oggi per la loro freschezza e
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per la loro melodiosità e in particolare i famosi temi del Mattino, della
Danza di Anìtra, della Canzone di
Solveig, riescono sempre a commuovere e a trascinare gli ascoltatori nel mondo vero delle fiabe (la
contraddizione è solo apparente …).
Il Concerto per violino e orchestra in
re minore opera 47 di Jean Sibelius
(1865-1957) è del 1904 e si affaccia
con trepidazione sul secolo appena
iniziato; ma il grande finlandese,
che intuisce quanto stia per cambiare il linguaggio musicale, sembra
voler dare una sorta di ultima occhiata al secolo appena concluso.
Questo doppio sguardo è dunque il
carattere saliente del concerto che è
stato capito ed eseguito in modo
superbo da un altro giovanissimo
musicista, il ventinovenne violinista
russo Andrey Baranov di San Pietroburgo (andrà tenuto d’occhio perché ha già i connotati del grande
interprete) al quale vorrei spiegare
che dopo un programma così rigoroso non si fa un bis di Paganini
(per “rendere omaggio” al nostro
Paese, ha detto, in realtà era puro
esibizionismo) e soprattutto non si
può subito dopo Paganini passare a
Bach per un secondo bis. Ingenuità
giovanili.
Eccezionalmente difficile (soprattutto per il solista) ma non meno affascinante il Concerto per flauto e orchestra, scritto nel 1926 dal coetaneo di Sibelius, Carl August Nielsen
(1865-1931), recensito da Honegger
come “opera di mole minore ma ricca di belle combinazioni per il flauto,
il fagotto e il timpano … scorrevole
e piccante che non manca di humor” (dal programma di sala); a me
è parsa soprattutto un’opera di
grande equilibrio fra classicità e
modernità, con divertenti allusioni
mozartiane e beethoveniane e una
considerevole capacità di far dialogare lo strumento solista con
l’orchestra - in particolare con il settore dei fiati - in una ricca tavolozza
di temi e di trame. Grandioso Andrea Griminelli, flautista geniale,
preciso, elegantissimo nei passaggi
più arditi e complicati.
Di Jader Bignamini ho scritto più
volte in questa rubrica, anche in occasione di un sua strepitosa Messa
da Requiem verdiana, sempre all’Auditorium. Credo che abbia avuto un
momento di défaillance qualche
tempo fa (probabilmente dovuta allo
stress per i suoi meritatissimi successi) ma che lo abbia totalmente
superato dimostrandosi, in modo
particolare in questo difficile e magnifico concerto, un direttore molto
sicuro (lo ha eseguito tutto a memoria) e di raffinata eleganza.
ARTE
questa rubrica è a cura di Benedetta Marchesi
[email protected]
Il Trittico di Antonello ricomposto al Bagatti Valsecchi
In occasione di Expo 2015 Milano
dedica una mostra a uno dei padri
del Rinascimento italiano: Antonello
da Messina. Con Rinascimento. Il
trittico di Antonello da Messina ricomposto, curata da Antonio Natali
e Tommaso Mozzati, il Museo Bagatti Valsecchi rappresenta l’unica
istituzione culturale a organizzare
un evento rivolto a omaggiare uno
dei più alti periodi dell’arte e della
cultura della nostra penisola. Presso
la celebre casa museo milanese
viene allestito un percorso che vede
nell’opera del pittore messinese il
fulcro centrale dell’esposizione, un
trittico che finalmente trova la sua
integrità e la manifesta orgogliosamente ai visitatori.
L’opera di Antonello, smembrata
nelle sue parti, vede le due tavole
della Vergine col Bambino e di San
Giovanni evangelista di proprietà
della Galleria degli Uffizi mentre
quella raffigurante San Benedetto di
proprietà della Regione Lombardia.
In un nuovo spazio progettato e allestito dallo studio Lissoni Associati,
il Museo Bagatti Valsecchi consente
di ripercorrere verticalmente la florida espressione artistica del Rinascimento attraverso altre tre opere
esposte in mostra: l’Annunciata e
l’Angelo annunciante di Piero della
Francesca, la Madonna col Bambino e un angelo di Vincenzo Foppa,
e il Cristo in Pietà di Perugino.
Quattro opere che insieme consentono di attraversare idealmente
l’Italia dalla Lombardia del Foppa
fino alla Sicilia di Antonello da Messina, passando per la scuola umbrotoscana di Piero della Francesca e
di Perugino.
La casa museo contribuisce inoltre
con la sua Santa Giustina di Giovanni Bellini che rappresenta in
questa seda l’altra grande scuola
del Rinascimento italiano, quella
veneta, tracciando una linea che fa
emergere quel dialogo fra artisti che
da Nord a Sud si influenzavano reciprocamente in continui scambi e
relazioni. Il dipinto di Bellini accoglie
i visitatori nella sua consueta e originaria collocazione ed entra nel
percorso di visita attraverso una didascalia realizzata appositamente
per la mostra.
La selezione delle opere esposte
consente di affrontare un tema che
si esprime in tutta la sua coerenza e
che conferisce allo spazio un profondo senso religioso e un’intimità
che lega l’osservatore ai dipinti. È
con le tavole di Piero che si preannuncia la venuta salvifica di Cristo
mentre Antonello raffigura una Vergine col Bambino trionfanti dove
emergono però già i primi simboli di
un sacrificio venturo con quel velo
che il Bambino afferra come a voler
richiamare quella sindone che avvolgerà il suo corpo dopo la morte.
n.32 VII 23 settembre 2015 ISSN 2421-6909
Lo stesso elemento compare nel
dipinto del Foppa dove l’atmosfera
è, al contrario, più cupa contribuendo a rafforzare il legame della nascita di Cristo con la sua morte in una
consapevolezza che caratterizza i
volti della madre e del figlio. Conclude questo ideale percorso la tavola del Perugino con il Cristo in
Pietà, manifestazione esplicita della
sua crocifissione e insieme del suo
sacrificio salvifico.
La mostra vuole anche rappresentare un modello di collaborazione fra
le varie istituzioni culturali italiane
nella reciproca valorizzazione per
realizzare un’offerta culturale sempre più aggiornata e viva. Il trittico
tornerà ricomposto presso le Gallerie degli Uffizi per quindici anni. Il
museo fiorentino concederà in cambio alla Pinacoteca del Castello
Sforzesco il dipinto di Vincenzo
Foppa. Si potrebbe aprire un dibattito circa l’esigenza di esporre
all’interno del museo milanese una
altra opera di un artista lombardo,
laddove mancano esempi di altre
scuole italiane, alla luce del mega
evento rappresentato da Expo 2015
che dovrebbe consacrare definitivamente Milano come città internazionale e globale.
Resta il fatto che il capoluogo lombardo, durante l’Esposizione Universale, offre ai cittadini una mostra
gioiello, intensa, comprensibile,
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semplice, unica e incredibilmente
preziosa. Il Museo Bagatti Valsecchi
è uno scrigno in una città che deve
imparare ad amarlo per valorizzare
le sue enormi potenzialità. Rinascimento. Il trittico di Antonello da
Messina ricomposto costituisce il
significativo e importante passo per
avvicinare il museo alla sua comunità e per consacrarsi come uno dei
più importanti poli culturali di Milano.
Giordano Conticelli
Rinascimento. Il trittico di Antonello da Messina ricomposto fino
al 18 ottobre 2015 Museo Bagatti
Valsecchi via Gesù 4 Milano orari:
martedì – domenica 13-18 giovedì
13-21 biglietto: intero 9 euro, ridotto
6 euro.
Moira Ricci. Capitale Terreno
Salendo le scale dello Spazio Oberdan si viene immersi in un mondo
contadino tanto delicato quanto destabilizzante che grazie agli occhi
dell’artista, Moira Ricci, racconta
storie di una realtà (forse solo in
apparenza) fuori dal tempo. La mostra “Moira Ricci. Capitale Terreno”
rappresenta l’ultimo step del progetto “Dal territorio alla terra. Progetto
per un museo di fotografia diffuso”,
che intende anticipare la fisionomia
e l’identità del Museo di Fotografia
Contemporanea nella sua nuova
accezione a rete.
Nata nella campagna maremmana,
Moira Ricci, è sempre rimasta fedele alla cultura della sua terra, studiandone le tradizioni più antiche e
radicate, approfondendone i significati simbolici e costruendo storie
immaginarie intorno ad essa. In Ca-
pitale Terreno vengono raccolti e
presentati insieme per la prima volta
a Milano due grandi progetti recenti
dell’artista: Da buio a buio, 2009 2015 (comprendente quattro storie:
La bambina cinghiale, Il Lupo Mannaro, L’Uomo Sasso, I gemellini), e
Dove il cielo è più vicino, 2014.
Nel primo progetto, il ciclo Da buio a
buio, alcuni personaggi appartenenti
alla comunità contadina e protagonisti dei racconti popolari vengono
documentati dall’artista attraverso
fotografie, riprese video, registrazioni sonore che danno vita a narrazioni totalmente costruite ma assolutamente “reali” nella verosimiglianza della realizzazione. Tra
bambine nate con il grugno da cinghiale e uomini che camminano nudi per i campi trascinandosi grossi
massi di pietra, emerge una fanta-
siosa vivacità che riporta il visitatore
a un tempo di fiabe e racconti.
Nel secondo progetto, Dove il cielo
è più vicino che comprende grandi
fotografie a colori e due videoproiezioni, l’artista racconta della terra in
crisi e immagina l’abbandono dei
poderi da parte dei contadini impoveriti, delusi e oppressi da sentimenti di inadeguatezza alla vita
contemporanea, che trasformano un
trattore in astronave per andarsene
dalla terra tanto amata e raggiungere il cielo.
Moira Ricci. Capitale Terreno fino
al 18 ottobre - Spazio Oberdan, viale Vittorio Veneto 2, Milano Orari:
martedì-venerdì 12-19.30; sabatodomenica 10-19.30. Chiuso il lunedì
Da Giambellino a Palestro, da Bellini a Basquiat: incontri interculturali alla Gam
Per tutto il mese di settembre alla
Gam, c’è un’iniziativa che è davvero
bell’esempio di integrazione e multiculturalità. In occasione della mostra Don’t shoot the painter, UBS
con Connecting Cultures e Associazione Comunità Nuova Onlus ha
dato vita a un percorso di studio le
opere d’arte esposte in mostra da
parte di un gruppo di dieci giovani e
adulti. Carmen, Daniela, Darius, Elvis, Fatima, Geanina, Lilly, Miriam,
Sara, Zhaid: ciascuno di loro possiede un background differente per
paese di provenienza (dal Sudamerica ai paesi dell’Est passando per
l’Africa), storia familiare (alcuni portano con sé storie di migrazione recente, altri invece rappresentano le
seconde generazioni) o di avvicinamento all’Italia, c’è chi lavora come insegnante, chi invece fa il muratore; in comune hanno però che
ognuno ha colto la sfida e si è mes-
so in gioco, acquisendo un nuovo
ruolo, quello di mediatore culturale,
e offrendo a chi visita la mostra occhi nuovi per vedere le opere.
Il progetto è stato fortemente voluto
da UBS che grazie all’Associazione
Comunità Nuova ha selezionato e
coinvolto i dieci mediatori accompagnandoli in un percorso cominciato
a luglio e proseguito fino alla fine di
agosto; durante questi due mesi il
gruppo è stato formato sul ruolo di
mediatore e sul concept della mostra in corso alla Gam. Ciascuno
sulla base del proprio vissuto e della
propria storia ha poi scelto un’opera
tra quelle esposte in mostra, approfondendone l’autore e il contesto. La
bellezza delle visite, ogni giovedì
fino al 1 ottobre, sta nel fatto che
oltre a raccontare la mostra emergono ricordi e racconti di chi parla,
suscitando di rimando suggestioni e
riflessioni anche in chi ascolta.
Neanche il titolo del progetto è casuale: “Da Bellini a Basquiat: Incontri Interculturali” richiama idealmente
sia le opere che verranno raccontate nell’ambito delle visite, sia la sede dello Sportello Sociale di Comunità Nuova situato in via Gentile Bellini, nel quartiere Giambellino.
L’auspicio è che sempre più musei,
oltre che le esposizioni temporanee,
si avvalgano di mediatori: sia perché questi avvicinino le proprie comunità di appartenenza ai luoghi
dell’arte milanese, sia perché si tratta di un bell’esempio di integrazione.
Da Bellini a Basquiat: Incontri Interculturali
Giovedì 10 – 17 – 24 Settembre e
Giovedì 1 Ottobre Visite alle ore 19
e 20 | Galleria di Arte Moderna, via
Palestro 16, Milano Per prenotazioni
Tel. 02 181326 | E-mail: [email protected]
Alla Gam non si spara sul pittore (e neanche sul pianista)
È una mostra che sorprende Don’t
Shoot the Painter. Dipinti dalla UBS
Art Collection, curata da Francesco
Bonami e ospitata alla GAM dal 17
giugno al 4 ottobre, non solo per
l’altissimo livello qualitativo delle
opere esposte ma anche, e forse
soprattutto, per l’innovazione dell’allestimento. Le pareti delle sale al
piano terra sono coperte da gigantografie che riproducono le sale della GAM come sono quando ospitano la collezione permanente del
museo e su di esse, come in una
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quadreria ottocentesca, i dipinti della collezione UBS. Un dialogo generazionale dove le collezioni ottocentesche accolgono e danno risalto al
contemporaneo, attribuendo ad esso un valore ancora nuovo.
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L’esposizione è un omaggio alla pittura contemporanea e riunisce per
la prima volta alla GAM di Milano
oltre cento tra i maggiori capolavori
della UBS Art Collection di novantuno artisti internazionali, dallo sguardo fotografico di Thomas Struth
all’arte neo espressionista di JeanMichel Basquiat. In mostra, visibili
per la prima volta al pubblico italiano, oltre 100 tra le maggiori opere
della UBS Art Collection dagli anni
‘60 ad oggi di 91 artisti internazionali fra cui John Armleder, John Baldessari, Jean-Michel Basquiat, Max
Bill, Michaël Borremans, Alice
Channer, Sandro Chia, Francesco
Clemente, Enzo Cucchi, Günther
Förg, Gilbert & George, Katharina
Grosse, Andreas Gursky, Damien
Hirst, Alex Katz, Bharti Kher, Gerhard Richter, Thomas Struth, Hiroshi Sugimoto, per citare alcuni nomi.
Il titolo, Don’t Shoot the Painter, è
un riferimento ironico alla frase
“don’t shoot the pianist” che spesso
compare nei saloon dei film western: ogni volta che le idee e i linguaggi dell’arte si confondono e
rendendo difficile decifrare il significato degli elementi in gioco, la pittura torna sulla scena per riportare
l’attenzione su ciò che è facilmente
riconoscibile e interpretabile da tutti,
esattamente come la musica del
pianista nei film western riporta
l’ordine nel caos del saloon.
La mostra durerà fino alla fine
dell’estate, in questi mesi di caldo
cogliete l’occasione, andate a fare
una passeggiata al parco di Palestro ed entrate a sbirciare la mostra
(acquistando il biglietto per il museo
l’ingresso è gratuito): non ne rimarrete delusi!
Don’t Shoot the Painter. Dipinti
dalla UBS Art Collection GAM Galleria d’Arte Moderna di Milano
via Palestro 1 martedì – domenica
9:00 - 19.30 giovedì apertura straordinaria mostra fino alle 22.30 biglietto intero € 5,00 biglietto ridotto
€ 3,00 Ingresso gratuito ogni giorno
dalle ore 16.30 e tutti i martedì dalle
ore 14.00
A Milano c'è il Paese di Cuccagna
Chi l’avrebbe mai detto che in un
caldo luglio milanese il Castello
Sforzesco si sarebbe trasformato
nel Paese di Cuccagna? Con la curatela di Giovanna Mori e Andrea
Perin, in collaborazione con Alberto
Milano e Claudio Salsi, nelle Sale
Viscontee ha inaugurato la mostra
“Il mito del Paese di Cuccagna. Immagini a stampa dalla Raccolta Bertarelli” visitabile fino all’11 ottobre
2015.
Attraverso oltre 150 opere databili
dal XVI al XX secolo, la mostra racconta il mito del Paese di Cuccagna: un luogo immaginario in cui la
vita scorre senza doveri e preoccupazioni, fra tavole imbandite e abbondanza di cibi prelibati, dove i vizi
diventano virtù. La mostra si fonda
su un nucleo espositivo costituito da
stampe che testimoniano la fortuna
di questo mito da cui si sviluppa un
racconto attraverso immagini a larga diffusione, accompagnate da
preziose e rare grafiche d’arte di
autori quali Dürer, Aldegrever, Solis.
Alle opere appartenenti alla Raccolta Bertarelli, si affiancano incisioni
provenienti dalla collezione privata
di Alberto Milano, storico consulente
dell’Istituto e profondo conoscitore
della stampa a larga diffusione. A
queste stampe si aggiungono volumi con testi letterari originali, conservati in importanti Istituti milanesi,
quali l’Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana, la Biblioteca
Nazionale Braidense, la Biblioteca
Comunale Centrale Palazzo Sormani e APICE (Archivi della Parola,
dell’Immagine e della Comunicazione Editoriale dell’Università degli
Studi di Milano).
Nove sono le sezioni, contraddistinte da brillanti colori alle pareti, in cui
si articola la mostra, che hanno lo
scopo di analizzare le origini, i nuclei tematici e le evoluzioni del Paese di Cuccagna in un racconto che,
seguendo la traccia della tradizione
letteraria, viene narrato attraverso
modelli iconografici, spesso autonomi rispetto ai testi. Dalla Cuccagna delle donne al Trionfo del Carnevale (che perdura tutto l’anno e
non è mai Quaresima), fino alle
suggestioni del mito nei secoli successivi, le declinazioni dell’idea della città di Cuccagna sono moltissime e davvero fantasiose. Un giro
merita farlo per godersi l’allestimento immersivo e ridere della produzione intellettuale e creativa
dell’uomo moderno.
Il mito del Paese di Cuccagna.
Immagini a stampa dalla Raccolta
Bertarelli fino all’11 ottobre 2015
Castello Sforzesco – Sala Viscontea
Orario: dal martedì alla domenica 9.00 / 19.30 - giovedì chiusura alle
ore 22,30 INGRESSO LIBERO
Allucinazioni estive e spinosauri nel parco
Se in un caldo pomeriggio d’estate
state passeggiando nei Giardini
Pubblici, imputerete al caldo la visione dello Spinosauro a grandezza
naturale che divora un pesce. O forse penserete di essere finiti nel
remake di Jurassic Park. Ma non si
tratta né delle alte temperature, né
di un set cinematografico: si tratta
invece della nuova mostra “Spinosaurus. Il gigante perduto del Cretaceo”, frutto della collaborazione tra
Museo di Storia Naturale di Milano,
National
Geographic
Society,
University of Chicago, e Geo-Model.
L’esposizione rappresenta l’occasione ideale per riaprire alla cittadinanza e al pubblico il prestigioso Palazzo Dugnani, che fu nell’Ottocento la
prima sede del Museo di Storia Naturale di Milano e che diventa ora
sede distaccata dello stesso, dedicata alle mostre temporanee.
L’allestimento milanese è una versione ampliata di quello statunitense
e focalizza l’importanza del contributo italiano nella lunga vicenda
degli studi su Spinosaurus: iniziata
nel 1912 con i primi ritrovamenti di
Ernst Stromer e bruscamente interrotta con la distruzione dei reperti
durante la seconda guerra mondiale. Questa affascinate avventura è
ricominciata nel 2005, con lo studio
di un enorme muso di questa specie, conservato al Museo di Storia
Naturale di Milano, ed è continuata
nel 2008, grazie a un nuovo esemplare scoperto nel deserto del Saha-
n.32 VII 23 settembre 2015 ISSN 2421-6909
ra, e studiato pubblicato sulla prestigiosa rivista Science.
Le “star” assolute della mostra sono
il modello in grandezza naturale del
dinosauro,
riprodotto
secondo
l’aspetto “in vivo”, e la riproduzione
completa dello scheletro lunga 15
metri, ottenuta attraverso la scansione dei fossili e la stampa 3D, e,
per la prima volta, sono anche esposti esemplari mai visti delle collezioni del Museo di Storia Naturale
di Milano, messi a disposizione dai
Conservatori delle varie sezioni. A
guidare il visitatore tra i siti remoti,
gli esemplari fossili e le avveniristiche tecniche di studio vi sono i filmati originali degli scavi e delle ricerche nel deserto di Kem-Kem
(Marocco), la storia delle scoperte
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precedenti, con la ricostruzione
dell’ufficio del paleontologo Stromer,
modelli anatomici virtuali, animazioni e un’accurata pannellistica in italiano e inglese, oltre a un servizio di
iniziative didattiche mirate, rivolto
alle classi di ogni ordine e grado e
un’offerta di visite guidate con operatori specializzati.
Tra le varie iniziative nell’ultima
stanza sono ospitate le tecnologie
contemporanee usate dagli studiosi
per ricreare modelli 3d di ossa e animali, per la gioia dei più piccoli (e
dei più grandi) qua può essere acquistata la riproduzione del volto
dello Spinosauro perché faccia
compagnia nella calda estate milanese.
Valeria Barilli - Benedetta Marchesi
Spinosaurus. Il gigante perduto
del Cretaceo Palazzo Dugnani, via
Manin Milano lunedì dalle 9:30 alle
13:30* martedì, mercoledì, venerdì,
sabato e domenica dalle 9:30 alle
19:30* giovedì dalle 9:30 alle 22:30*
(* l'ultimo ingresso un'ora prima della chiusura) Biglietti € 10,00/€
8,00/€ 5,00/Omaggio
La Fondazione Prada e la rigenerazione culturale di Milano
Il 9 maggio il sempre più vasto mosaico culturale di Milano si è arricchito di un importantissimo e preziosissimo tassello: la Fondazione
Prada. La celebre stilista Miuccia
Prada e il marito Patrizio Bertelli
hanno regalato al capoluogo lombardo uno dei più interessanti interventi culturali visti in Italia in materia
di arte, ma anche di architettura e,
soprattutto, di rigenerazione urbana.
Le vecchie distillerie di inizio Novecento sono state restaurate, ristrutturate, trasformate e integrate per
offrire ai visitatori una superficie di
19.000 mq dove trovano posto non
soltanto spazi espositivi per le varie
mostre temporanee, ma anche un
cinema, un’area didattica dedicata
ai bambini, una biblioteca e il Bar
Luce concepito dal regista Wes Anderson che si ispira ai celebri caffè
meneghini e già diventato “cult” nel
giro di pochi giorni.
La molteplicità e la versatilità degli
spazi della Fondazione consentono
un’offerta culturale estremamente
variegata. Sono attualmente aperte
al pubblico le mostre “An Introduction”, nata da un dialogo fra Miuccia
Prada e Germano Celant, “In Part” a
cura di Nicholas Cullinan e le installazioni permanenti di Robert Gober
e di Louise Bourgeois presso la
“Haunted House”, una struttura preesistente che, rivestita di uno strato
di foglia d’oro, acquista un’aura altamente immaginifica e imprime un
segno forte ed evidente nel paesaggio urbano di Milano. Ma è
“Serial Classic” la mostra più sorprendente: Miuccia Prada abbandona momentaneamente la passione
per il contemporaneo per rivolgersi
al passato, all’arte antica dove sono
scolpite le origini della nostra cultura. Salvatore Settis e Anna Anguissola curano magistralmente una
mostra che presenta l’ambiguo rapporto fra l’originale e la copia
nell’arte greca e romana.
Un allestimento geniale presenta
più di sessanta opere che dialogano
fra di loro e con lo spazio esterno
circostante attraverso ampie vetrate. Il modello perduto, giustamente
sfocato, giunge ai nostri giorni attraverso le innumerevoli imitazioni,
emulazioni o interpretazioni commissionate dalla ricca aristocrazia
romana. Ed ecco che il solido blocco di marmo prende vita e si circonda di un’aura di sacralità ancora oggi percettibile. Gli spazi rivisti da
Rem Koolhaas e dal suo studio
OMA consentono a una vecchia
fabbrica di trovare nuova vita in un
tempio che ospita personaggi della
mitologia, guerrieri e divinità quali
Venere e Apollo con opere provenienti dai più importanti musei del
mondo, dai Vaticani al Louvre. La
Fondazione Prada diventa oggi il
modello di quella inevitabile e illuminata collaborazione che deve esserci fra pubblico e privato per il beneficio dei cittadini milanesi, italiani
e di tutti i visitatori stranieri che iniziano a intravedere nel laboratorio
creativo di Milano la nuova Capitale
Europea.
Giordano Conticelli
Fondazione Prada - Largo Isarco 2
Milano (M3 Lodi T.I.B.B.) orari: tutti i
giorni h10-21 biglietti: 10€ ridotto 8€
gratuito minori 18 anni e maggiori di
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LIBRI
questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero
[email protected]
Timothy Brook
Il cappello di Vermeer
Einaudi - Torino 2015
pp. 212, € 30,00
Timothy Brook, uno dei maggiori
sinologi
viventi,
docente
alla
University of British Columbia di
Vancouver e professore onorario
alla Normal University di Shanghai,
ci regala questo affascinante volume contenente otto mirabolanti storie dove si narra di altrettanti viaggi
intorno al mondo ispirati da sette
quadri (cinque di Vermeer, uno di
Hendrik van der Burch e uno di Leonaert Bramer) e da un piatto di ceramica del museo di Delft.
Queste opere d'arte raccontano,
nella ricostruzione di Brook, i viaggi
avventurosi che misero in contatto
l'Olanda del Seicento e il resto del
mondo, mostrandoci l'entità degli
scambi culturali e commerciali tra
Oriente e Occidente che segnano
l'inizio dell'epoca globale moderna
che si protrae fino a oggi.
L'abilità dell'autore è quella di partire da un dettaglio o da un oggetto
raffigurato in quei capolavori per allargare lo sguardo sul mondo del
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XVII Secolo, cogliendo lo spunto per
farci conoscere o ricordarci le coincidenze o le casualità che sono alla
base di svolte nel gusto e nel commercio ancora vive oggi nel nuovo
millennio. Così, ad esempio, la ciotola con della frutta rovesciata su un
tappeto turco raffigurata in uno dei
capolavori di Vermeer, ci trasporta
lungo le rotte commerciali della preziosa e ambita porcellana bianca e
blu prodotta nell'impero cinese dei
Ming.
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Mentre il sontuoso cappello del galante ufficiale dell'altra, non meno
celebrata, opera del maestro di
Delft, ci conduce nelle foreste e sulle rive dei lagni del Canada dove gli
esploratori europei ottenevano dai
nativi americani, pelli di castoro in
cambio di armi. Quelle pelli finanziavano i viaggi per mare che cercavano nuove rotte per la Cina. E
proprio in Cina, con l'argento estratto in Perù, gli europei compravano
quelle stupende porcellane che imbandivano le più raffinate tavole del
nostro continente.
Al centro di questo mosaico commerciale, osserva l'Autore, si poneva Amsterdam, che, come scrisse
Cartesio, era "un inventario del possibile". Questo libro illustra in maniera esemplare, la ricchezza e le implicazioni di tale inventario, dimostrando come un mercato dove siano disponibili "tutte le merci e le co-
se curiose desiderabili" abbia ridisegnato il mondo moderno fino a
prefigurarne, con quattro secoli di
anticipo, quello attuale.
Particolarmente accattivante è la
ricostruzione di come il tabacco dal
1492 al 1600 si sia diffuso dalle
Americhe all'Europa e da quest'ultima alla Cina con una singolare
mutazione delle sue caratteristiche
percepite: da sostanza utilizzata per
trascendere il mondo naturale e
comunicare con gli spiriti a momento obbligato sul piano sociale e culturale per favorire la formazione di
comunità e di gruppi coesi verso
obiettivi comuni come i fedeli di una
chiesa tanto che nel 1643 il Papa
proibì di fumare nelle chiese a causa del disgustoso odore del fumo e
del fatto che i fedeli erano costretti a
calpestare la gran quantità di cenere sparsa nel pavimento .... .
Non meno attraente è la ricostruzione della via dell'argento. Dalle Americhe attraverso Panama fino a Cadice e al porto di Siviglia, centro del
commercio mondiale di questo metallo, per poi essere rapidamente
trasferito a Londra e ad Amsterdam
dove non stazionava a lungo perché
ripartiva quasi subito per la sua destinazione finale: la Cina, che i mercanti europei chiamavano "la tomba
del denaro europeo".
Una lettura, dunque, che conquista
in ogni pagina, come quelle dedicate al contrasto feroce tra Gesuiti e
Domenicani, nel Celeste Impero o
quelle dove si chiarisce l'origine della parola "mandarino" che non è cinese, come tutti pensano, ma proviene dal sanscrito adattato dai
mercanti portoghesi agli alti funzionari imperiali.
Paolo Bonaccorsi
SIPARIO
questa rubrica è a cura di E. Aldrovandi e D.Muscianisi
[email protected]
"Fuga - L’ultimo rifugio" di Raphael Bianco a Milano
Il sito di archeologia bellica Bunker
del Soratte è stato nel 1944 l’ultimo
rifugio delle truppe di occupazione
tedesche, che nonostante i pesanti
bombardamenti degli Alleati hanno
potuto resistere nella struttura ipogea del monte fino alla fuga. Il Bunker del Soratte e la sua idea di ‘rifugio’ hanno ispirato il coreografo Raphael Bianco, della Compagnia Egri-Bianco Danza per una riflessione
sulla violenza della guerra, che genera fughe di disperati in cerca di
rifugio. Un tema che, nonostante la
storicizzazione alla fine della seconda guerra mondiale, è terribilmente attuale di fronte alle stragi di
turisti in Nordafrica, ai migranti respinti con violenza in Ungheria, agli
‘inghiottiti del mare’ che nella speranza di un rifugio affogano a centinaia nel Mar Mediterraneo.
Si fugge. Ma da che cosa? Si trova
un rifugio, ma poi anche da lì si fugge di nuovo. A questo grande interrogativo della fuga Raphael Bianco,
codirettore e coreografo stabile della Compagnia Egri-Bianco Danza,
erede della precedente compagnia
di Susanna Egri, dà una sua lettura
con uno spettacolo che nella migliore poetica contemporanea si configura come di ‘arte totale’.
I fluidi movimenti della danza contemporanea danno corpo alle musiche di Bach e le più moderne di Ivan Bert e sono intramezzate dai
testi di una sopravvissuta della seconda guerra mondiale. Danza, musica e testo si fondono con le tecnologie della videoproiezione stagliandosi sulla cornice naturale del sito
del Bunker del Soratte.
Lo scorso luglio è avvenuta proprio
nell’ipogeo la prima dello spettacolo,
che in modo molto suggestivo ha
rappresentato situazioni di attesa,
fuga, scampo, nell’ambiente claustrofobico di uno spazio che è stato
testimone di sofferenza e strategie
militari in un dialogo aleatorio tra le
arti.
Ora Fuga - L’ultimo rifugio di Raphael Bianco arriva a Milano dal 24
al 27 settembre per la stagione
2015/16 dello Spazio Tertulliano. Il
teatro, un po’ underground, che ricorda i teatri contemporanei di
Germania, è perfetto con la sua
prospettiva in discesa per evocare
le gallerie ipogee e mantenere la
suggestione della prima al Bunker
del Soratte.
Domenico G. Muscianisi
CINEMA
questa rubrica è curata da Anonimi Milanesi
[email protected]
La calle de la Armagura
di Arturo Ripstein [Messico, 2015, 99']
con: Patricia Spíndola, Nora Velázquez, Sylvia Pasquel, Arcelia Ramírez, Alejandro Suárez, Alberto Estrella
Questo film, presentato fuori concorso a Venezia in occasione del
tributo per i 50 anni di lavoro del regista messicano Arturo Ripstein,
con la bellissima fotografia di Ale-
jandro Cantù, porta in scena un fatto di cronaca che assurge a racconto di un mondo, di una umanità malinconica e disperata. Il film racconta
la storia di due coppie: due nani,
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fratelli, mini lottatori di wrestling, e
due prostitute non più giovani che
faticano a trovare clienti.
I nani, pur essendo mariti e padri,
sono ancora totalmente figli, non
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mostrano mai i volti che restano celati dietro le maschere da lottatori.
Sono legatissimi l’uno all’altro, sono
amati dai genitori, e le loro vite,
seppur modeste sembrano avere un
senso in sé.
Le donne, sfiorite, lavorano per
mantenere l’una una figlia e il marito, l’altra l’anziana madre. Potrebbe
essere un quadretto piccolo borghese, invece la figlia è una ragazza del tutto indifferente a tutto tranne a sé e ai propri bisogni, il marito
è un uomo che ama gli uomini e si
traveste con gli abiti della moglie,
l’anziana madre, oggetto di amore e
odio, è una mendicante, una barbona silente.
Il paesaggio in cui questi personaggi si muovono, reso ancora più realistico dal bianco e nero che evidenzia ogni crepa delle case, ogni cumulo di spazzatura, che non mostra
mai il cielo, ma solo la strada e quel
che si vede a livello occhi, è un paesaggio senza tempo. Le riprese
mettono in luce le rughe delle donne, le imperfezioni dei corpi, la
sciatteria e la povertà degli abiti. I
rumori fuori scena sono pochissimi,
non c’è musica di sottofondo.
I dialoghi sono spezzati, frammentati, non c’è la fluidità che può essere
data solo dal pensiero di ampio respiro. È un mondo intriso di religione diventata superstizione, di violenza e di amore che sa solo essere
ruvido.
Il plot è il fatto di cronaca: le due
prostitute, per derubare i nani durante una serata passata insieme in
un albergo a ore, li addormentano
versando gocce di collirio nei bicchieri dei due clienti. È quello un
trucco che hanno utilizzato altre volte con altri clienti e che ha fruttato
loro bei guadagni. Peccato che le
dosi di collirio, giuste per addormentare uomini normali, siano sovradimensionate per i nani e quindi questi muoiano avvelenati.
È l’ora della tragedia e i personaggi
potrebbero essere di Sofocle, o forse meglio di Euripide, un mondo di
sconfitti che diventa grande perché
resta umano: la madre dei nani
piange i suoi ninos, i suoi bambini, e
lo fa con un orgoglio, con una forza,
con una passione degne di Andromaca, di Medea; le due prostitute
rivelano tutta la loro umanità nel rimanere unite, nel tentare di fuggire
insieme, di salvarsi insieme e
nell’ultimo disperato gesto di amore
in cui una delle due, Adela, usa le
gocce che già hanno ucciso i nani
per addormentare per sempre la
madre, per non lasciarla sola, abbandonata, mostrandole una volta
per sempre l’amore e il rispetto che
ha per lei. La stessa Adela quando
viene divisa dalla sua compagna
prova a parlarle, prova a salutarla,
non riesce e bofonchiando fra sé
mormora: “volevo solo dirle di non
disperare … che sono cose del destino … che tutto passa”.
È un film che merita di essere distribuito nelle sale e di trovare un pubblico che ne apprezzi la bellezza e
ricchezza etica oltre che estetica.
Tootsie
IL FOTO RACCONTO DI URBAN FILE
LA FONDAZIONE PRADA CRESCE
http://blog.urbanfile.org/2015/09/16/zona-vigentino-fondazione-prada-la-torre/
AMARCORD MILANO
LA CARROZZA DI TUTTI
https://youtu.be/opN4LP-zPnQ
n.32 VII 23 settembre 2015 ISSN 2421-6909
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