Quattro artisti per il Novecento

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Quattro artisti per il Novecento
Gabriella Fusi
QUATTRO ARTISTI
PER IL NOVECENTO
Come possibile scelta di un percorso Storia-Arte per il Novecento, propongo la lettura guidata di
quattro opere: Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, Guernica di Picasso, l’architettura del nuovo
Museo ebraico di Berlino di Daniel Libeskind, e la pittura dell’americano Keith Haring.1
Si riferiscono tutte a momenti nodali del secolo e presentano più punti di forza: sono
qualitativamente alte e potenzialmente ricche di spunti didattici, allargano progressivamente lo
sguardo dallo scenario nazionale a quello europeo e americano, infine, attraversano il secolo
affrontando problemi che, lungi dall’essersi esauriti, si ripropongono come emergenze nel nuovo
millennio.
Il filo conduttore può essere individuato nel rapporto tra i prodotti artistici e la Comunicazione, che
nel corso del Novecento ha raggiunto una valenza culturale e sociale più consapevole, fino a
divenire disciplina autonoma.
L’attività didattica con le schede operative, è stata pubblicata in un manuale di storia per la Scuola
Secondaria Inferiore, che ha introdotto nel Laboratorio una pista di indagine dal titolo “La Storia
nell’Arte”.2
1
La notorietà delle opere ne rende facilmente reperibile l’ampia bibliografia. Per una prima consultazione si
consigliano:
AURORA SCOTTI, Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo, Milano 1998.
FEDERICO ZERI (a cura di), Picasso. Guernica, da Cento Dipinti, Rizzoli, 1998).
LIVIO SACCHI, Daniel Libenskind. Museo ebraico, Berlino, in Universale di Architettura, Torino, 1998.
AA VV, The Keith Haring Show. Catalogo della mostra, Fondazione Triennale, Milano 2006
2
AA.VV., L’officina della Storia. Laboratorio,Vol. 3, unito al testo Noi siamo la storia, Edizioni Scolastiche Bruno
Mondatori, Milano, 2007. Si rimanda alla pubblicazione per le immagini e gli esercizi. La metodologia fa riferimento
alle operazioni didattiche sui documenti iconografici di Antonio Brusa, adattate alla lettura dell’opera d’arte. ( Cfr A.
BRUSA, L.BRESIL, Laboratorio, Edizioni Scolastiche Bruno Mondatori, Milano,1994 ).
1
La lettura delle opere risulta tuttavia flessibile, può essere semplificata e ridotta, oppure adattata a
livelli di scuola superiore, con adeguati criteri didattici.
Senza rinunciare alle modalità di approccio che inevitabilmente sono attinenti ai nuclei fondanti
della Storia dell’Arte, vengono selezionate quelle informazioni che favoriscono ragionamenti in
chiave storica, consentendo l’uso delle opere come strumenti per lo studio di processi storici.
Un laboratorio Arte-Storia a sostegno del manuale, condotto per l’intero arco dell’insegnamento, su
filoni tematici coerenti, può contribuire alla costruzione di un’impalcatura di concetti, in quanto
utilizza in modo sistematico una medesima fonte; parallelamente costruisce un bagaglio di
competenze spendibili in altri contesti.
Il Quarto Stato
Nel 1901, Giuseppe Pellizza da Volpedo concludeva e affidava al nuovo secolo il suo capolavoro,
frutto di un’elaborazione durata circa un decennio e traguardo di una ricerca espressiva tra pittura
realista e simbolista e tecnica divisionista.
L’opera non ebbe un immediato successo di critica, ma fu subito accolta come simbolo di lotta di
classe e a questa connotazione legò sia la sua divulgazione, sia i momenti di silenzio.
Acquistato per pubblica sottoscrizione dal Comune di Milano nel 1920, sotto la spinta di esponenti
del partito socialista, fu relegato nei depositi della Civica Galleria d’Arte Moderna in epoca fascista,
quindi recuperato dopo la Liberazione ed esposto nella Sala Giunta di Palazzo Marino nel 1954,
come simbolo della riconquistata democrazia. Dopo l’esposizione alla galleria d’Arte Moderna di
Milano, è stato trasferito a Palazzo Reale, per aprire, a buon diritto, la collezione del Novecento.
Nonostante il dipinto goda ora di un riconoscimento artistico consolidato, la sua notorietà è ancora
prevalentemente legata al messaggio politico-sociale che trasmette.
Nel corso del Novecento, l’icona del Quarto Stato ha avuto una diffusione vastissima e varia sorte.
Dal primo utilizzo sui giornali socialisti, al silenzio del regime, fino al secondo dopoguerra, quando
riaffiora a sostegno dei movimenti sindacali, ancora collegato alla celebrazione del 1 maggio, alla
fortuna degli anni settanta, anche nell’editoria e nella cinematografia, alle manipolazioni destinate
ai consumi o alla satira politica, nei decenni successivi. 3
1 maggio 1904 “avanguardia socialista”
1 maggio 1917
1975
1977
1 maggio 1955
3
Cfr.Cento anni di "Quarto Stato". La fortuna del quadro di Pellizza da Volpedo tra ideologia e comunicazione di
massa. Catalogo della Mostra, a cura di AURORA.SCOTTI, M ARIA GRAZIA FRANCALANCI, PIERLUIGI PERNIGOTTI,
Milano 2001.
2
1976
2000
1996
1999
I manuali scolastici hanno ripetutamente riprodotto il dipinto, come corredo al testo, spesso
riducendone il significato alla testimonianza pittorica delle problematiche di fine Ottocento ( nella
immagine che segue - fig.1- si produce una citazione di Fiumana, l’opera che precede e prepara il
Quarto Stato, per sottolinearne la maggiore pertinenza cronologica, l’efficace riferimento storico e
l’intelligente accostamento formale con la fotografia di uno sciopero milanese del 18964).
Talora ( figg. 2-3 ) i personaggi del Quarto Stato si traducono in emblema universale dell’umanità
in cammino.5
fig. 1
fig.2
fig. 3
La fortuna del dipinto, rappresentato integralmente, ridotto a singoli brani, manipolato, variamente
interpretato, varrebbe da sola un’attività didattica sulla Storia del Novecento.
In una scuola superiore si potrebbero avviare dei percorsi, costruendo relazioni tra la cronologia
delle diverse immagini ed eventi, ideologie, costume e tecnologie. Il materiale è ricco e vario. (Ad
esempio, si può chiedere agli allievi di trovare nel testo scolastico idee e contesti che giustificano il
successo dell’icona del Quarto Stato negli anni Settanta. Sarebbe un’operazione di lettura selettiva
di alto livello, cui potrebbe far seguito una serie di operazioni didattiche mirate. Altro percorso
interessante potrebbe riguardare il modello di società che emerge dalle immagini pubblicitarie
dell’ultimo decennio del secolo).
Per inciso va detto che Pellizza fu favorevole alla primissima divulgazione giornalistica, a sostegno
dell’idea socialista, ma contrario ad altri usi, temendo, a ragione, la manipolazione dell’ immagine a
scapito del valore artistico dell’opera.
4
Il racconto della Storia, Arnoldo Mondatori Scuola, Milano, ed. 2001
Atlante storico, unito a Storia, Ed. Scolastiche Bruno Mondatori, Milano 1982; Gli uomini nel tempo, SEI, Torino
1990.
5
3
Nel proporre ai ragazzi il dipinto, evidenziamo anche le dimensioni ( 293 x 545), che
contribuiscono a conferire un valore epico alla rappresentazione.
Iniziamo con la scoperta delle ragioni del titolo e dell’idea di fondo.6
Con pochi facili esercizi e un richiamo necessario agli “stati” della Rivoluzione francese ( che
peraltro era oggetto di dibattito nei circoli intellettuali dell’epoca di Pellizza) i ragazzi scoprono
per inferenze che per “quarto stato” si intende una nuova classe sociale, i cui bisogni e interessi non
possono essere assimilati a quelli del terzo stato, la classe borghese. Al contrario, la storia di un
secolo porta proprio la borghesia ad essere protagonista di conflittualità con le categorie più deboli,
che si identificano nella classe operaia cittadina e nel bracciantato agricolo, qui rappresentato dai
contadini di Volpedo, un piccolo borgo piemontese.
L’ideale che informa l’opera di Pellizza si ispira al socialismo riformista e umanitario di Turati, teso
in un cammino di progresso sociale. Valgano a sostegno delle immagini le stesse parole dell’autore:
” …E vada essa (l’opera) fra i forti lavoratori ad animarli a proseguire sicuri verso un ideale di
equità ben intesa nella distribuzione della ricchezza sociale.” Il messaggio dell’autore e il suo
pensiero politico sono inequivocabili.
Quale era il contesto sociale dal quale nascevano tali esigenze?
Per le nuove generazioni, estranee alla consuetudine della tradizione orale, un tempo legata alla
presenza e all’ascolto dei nonni, parlare della vita a cavallo fra Otto e Novecento è come parlare di
preistoria. E’ consigliabile pertanto, come operazione preliminare, aprire uno sguardo sulla vita
contadina del tempo.
Lo si può fare, per restare nell’ambito dell’immagine, usando fotografie o brani cinematografici
(es.da L’albero degli Zoccoli di Olmi o da Novecento di Bertolucci).
Noi abbiamo un’altra opportunità: possiamo utilizzare i quadri dello stesso Pellizza, che rappresentò
con straordinario realismo la vita della sua gente.
( Per indurre i ragazzi a un’osservazione attenta dei soggetti se ne può presentare una selezione e
invitare a mettere in relazione le scene con i rispettivi titoli, quindi si può compone lo scenario della
società del tempo attraverso la costruzione, autonoma o guidata di un testo scritto).
La vita della gente di Volpedo
Nell’ordine: Due pastori nel prato Mongini - Il ponte - La lavandaia – Mammine - Il morticino o Fiore reciso
6
Cfr. GABRIELLA FUSI (a cura di), Il Quarto Stato. Percorso didattico, Volpedo, Associazione Pellizza da Volpedo,
(Quaderni didattici, 1), 2006.
4
Affiorano testimonianze di un’agricoltura arretrata e di una pratica del lavoro manuale rudimentale
e faticosa; si riconoscono i ruoli delle donne e dei bambini e il peso sociale della religione come
elemento ordinatore della durezza della quotidianità. (Si può pensare a questo segmento di percorso
anche come lavoro autonomo, di livello basso o suscettibile si approfondimenti e di sviluppi in più
direzioni.)
Sulla base di tali conoscenze si può prendere in esame lo scenario del Quarto Stato per
comprenderne i contenuti:
Al primo approccio, tipo composizione di fumetto, che costringe i ragazzi ad un’osservazione
diretta di atteggiamenti, gesti ed espressioni dei personaggi, segue l’analisi guidata dei particolari e
dell’insieme (che può essere condotta con un esercizio vero-falso), attraverso la quale si
comprendono i significati simbolici e la finalità comunicativa della grande scena:
Le tenebre dello sfondo e la luminosità del primo piano segnano l’evoluzione dal passato al futuro.
Al centro, nel presente, sta la marcia partecipata, consapevole e pacifica della massa dei lavoratori,
che nella condivisione di una nuova identità di classe, trova le ragioni della propria forza e della
fiducia verso il cambiamento.
E’ questo un pensiero responsabile di progresso, frutto di una maturità acquisita sia nell’ambito del
dibattito politico del tempo, sia nell’evoluzione umana e artistica del pittore.
Ne danno testimonianza i ripensamenti sul soggetto, dal suo concepimento alla realizzazione finale.
Nei nove anni di elaborazione iconografica e di ricerca stilistica Pellizza passò dalla
rappresentazione di una ribellione isolata e scomposta (Gli ambasciatori della fame), alla protesta di
massa (Fiumana) alla richiesta di diritti collettiva, consapevole, composta e pacifica del Quarto
Stato.
Ambasciatori della fame 1892
Fiumana 1895-97
Quarto Stato 1898-1901
L’operazione didattica può partire da un testo ( dalla pagina di diario in cui Pellizza elabora il suo
progetto) e concretizzarsi nel riconoscimento di persistenze e mutamenti nei tre dipinti (affidata, ad
esempio, a un diagramma di Venn).
L’insegnante potrà guidare la discussione in classe per far riconoscere nelle rappresentazioni di
Pellizza l’evoluzione politica della lotta di classe, e ricordare gli eventi che ne hanno segnato le
tappe.
Ad un livello alto e avanzato, potrà inoltre introdurre la discussione sulla evoluzione degli “stati” e
sulla loro frantumazione e difficile individuazione nell’attuale società.
Così un dipinto dell’inizio del Novecento può essere utilizzato anche per migliorare la
consapevolezza storica del presente.
Con lo stesso interesse affrontiamo brevemente le altre opere.
Guernica.
Il dipinto ebbe un immediato e forte impatto emotivo, allorché fu presentato all’Esposizione
nazionale di Parigi nel luglio del 1937, a soli sei mesi di distanza dagli eventi bellici a cui era
ispirato. Notoriamente realizzato a seguito del bombardamento degli aerei tedeschi sulla cittadina
5
spagnola di Guernica, è anch’esso impostato su una tela di dimensioni inusuali ( 354 x 782), capaci
di tradurre il contenuto eroico del dramma rappresentato.
Fu tenuto lontano dalla Spagna all’epoca di Franco, rimase al Museum of Modern Art di New York
fino al 1981, quando ritornò in patria dopo la morte del dittatore. Anche in questo caso l’avventura
del quadro consente una riflessione storica di lungo periodo.
La lettura del dipinto può essere condotta a vari livelli.
Non può prescindere dal contenuto iconografico e iconologico generale e dalla riflessione sull’uso
della tecnica cubista.
Picasso sceglie l’assenza di volume e il limite cromatico del bianco-nero-grigio, il non colore, come
segni di violenza agli elementi essenziali della natura e della vita stessa. Ne deriva il significato
della guerra come espressione di imbarbarimento, di rinuncia alla civiltà.
Con esercizi mirati si può individuare lo schema compositivo e decifrare contenuti, significati,
ritmo emotivo.
Il crescendo di sentimenti, dall’eroismo del soldato in primo piano, al grido della madre che tiene
tra le braccia il figlio morto e delle donne che fuggono dalla casa che crolla, culmina nel nitrito
centrale del cavallo che riassume lo strazio dell’umanità sacrificata alla forza bruta, espressa dal
toro spagnolo che si presenta sulla scena. Il fiore stretto nella mano del soldato morente lascia
aperta una speranza.
L’artista è consapevole del suo ruolo sociale e della efficacia del suo strumento di comunicazione,
allorché si definisce "un essere politico, costantemente vigile davanti ai laceranti, ardenti o dolci
avvenimenti del mondo”.
A noi in particolare interessano due quesiti. Il primo, qual è la novità di Guernica nella storia del
Novecento; il secondo, quale traccia è rimasta della grande scena di Picasso nel nostro tempo.
Per affrontare il primo quesito è necessario guidare le riflessioni dei ragazzi sugli scenari delle
guerre precedenti, far riflettere sui molteplici aspetti della guerra, comprese le tipologie degli
eserciti e le tecniche militari.
Arriveranno a comprendere che l’evento dell’eccidio di Guernica segnava una svolta: era la prima
volta che il mondo assisteva a un conflitto armato in cui con l’impiego di pochi aerei, e quindi di
pochissimi militari, si era verificata una strage di civili: era uno stravolgimento del modo di fare la
guerra, un modo incontrollabile che seminava panico e prospettava un futuro di orrori.
Questo il senso di quel nitrito straziante.
Dalla discussione in classe può nascere la consapevolezza che quella tragedia non è stata elaborata e
non saputo generare soluzioni condivise alternative alla distruzione.
(Potrebbe aprirsi una pista di approfondimento sulle guerre attuali)
I quadri che compongono la grande scenografia della guerra in parte appartengono a iconografie del
passato ( cfr. la Pietà di Michelangelo o l’Incendio di Borgo di Raffaello).
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Per noi quei particolari diventano più interessanti nel rapporto con il presente:
“Le istantanee di guerra” di Guernica creano una trama di situazioni che consolidano nel tempo, più
o meno consapevolmente, la retorica del conflitto armato, come oggi ci viene presentato dai media.
I ragazzi potranno arrivare autonomamente a questa conclusione se sollecitati ad analizzare le
immagini prodotte dalla televisione, piuttosto che dalla stampa o da internet per rappresentare le
guerre in corso. Troveranno giovani vite stroncate, case abbattute, gente che scappa sotto esplosioni
improvvise, e toni accesi, urlati.
Guernica può essere letto come un archetipo ideale della comunicazione del nostro tempo.
Ma oggi altro potrebbe essere il modo di parlare di guerra, abbandonando gli scoop sulle “guerre
spettacolo”, e chiedendosi, per esempio, come tutelare la vita, senza priorità di appartenenze, o con
quali poteri sovranazionali far rispettare le regole….
(lasciamo l’iniziativa all’insegnante e alla sua programmazione).
L’opera di Picasso contiene anche un messaggio di speranza, sul quale vale la pena di
lavorare con i ragazzi: il fiore nel pugno del soldato morente che stringe la spada
spezzata.
Si può stimolare una ricerca sugli eventi , anche di cronaca, che lasciano credere in
soluzioni di pace o, più semplicemente e creativamente, far costruire nuovi simboli.
Il Museo ebraico di Berlino.
Un altro momento che ha segnato pesantemente la storia del Novecento è stato l’antisemitismo e lo
sterminio degli ebrei in Germania.
Tanto è stato documentato e scritto in proposito che certamente sul piano didattico non manca
materiale su cui impostare un percorso.
La mia proposta, riguarda un’architettura contemporanea, realizzata a Berlino: il nuovo Museo
ebraico progettato di Daniel Libenskind, un edificio che traduce simbolicamente nel suo disegno il
racconto della sorte toccata agli ebrei sotto il regime nazista.
La costruzione, decisa nel 1988 prima della caduta del muro, ebbe un’inaugurazione senza clamori
nel 2001, nei giorni difficili della guerra del Golfo ( la concomitanza dei due eventi varrebbe da sola
una riflessione storica).
La pianta suggerisce l’idea di una stella di David spezzata, di un fulmine che si staglia nella città,
mentre l’esterno, abbagliante, appunto come un fulmine, per il rivestimento di zinco, è tagliato da
fessure che si intersecano, apparentemente in modo scomposto, come fratture che presagiscono un
crollo.
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Ripercorrendo la storia degli ebrei a Berlino non è difficile per i ragazzi mettere in relazione simboli
ed eventi.
All’interno, il percorso del sotterraneo è segnato la un’intersezione di luci che tracciano un bivio
(fig.1): una direttrice porta all’esterno, al cosiddetto “ giardino dell’esilio”(fig.2), la seconda
conduce ad un’alta torre dal soffitto nero (figg.2-3) a cui si accede passando attraverso una porta
che si chiude con un tonfo inquietante alle spalle del visitatore.
fig.4
fig.1
fig.2
fig 3
Anche qui simboli riconoscibili e traducibili dai ragazzi: nel giardino dell’esilio le piante nascono
sospese sopra innaturali pilastri di cemento, posti in perfetto ordine ortogonale, ma inclinati e come
tali capaci di disorientare chi ne percorre la fitta rete.
Nella torre, dalle alte pareti chiuse, si intravede in alto uno spiraglio di luce in posizione
irraggiungibile se non attraverso una scala, che inizia oltre l’altezza dell’uomo: è la torre
dell’olocausto (fig.3).
Esiste la terza via, quella che nel museo porta alle sale espositive,dove sono raccolte le
testimonianze della popolazione ebraica. L’architetto ha voluto tracciare la via della “convivenza
civile” che nell’esposizione museale, come nella vita reale, si traduce in arricchimento culturale.
Un percorso di direttrici che animano gli spazi interni ha lo scopo di raggiungere idealmente, i
luoghi appartenuti ad artisti ebrei e distrutti con la guerra (fig.4).
L’architettura è di grande valore artistico e di grande portata storica, non solo perché racconta il
passato, ma perché lo elabora nel presente, con la volontà, gli strumenti e le risorse intellettuali del
presente.
Keith Haring
I conflitti mondiali del Novecento ci introducono alla realtà d’oltreoceano. I mezzi di
comunicazione aprono nuovi scenari e allargano le coscienze. Gli Stati Uniti diventano un modello
di società con cui nel corso del secolo più volte ci si confronta, su cui comunque si esprimono
giudizi.
Tentiamo di osservare dall’interno un segmento della storia di questo paese, attraverso la
produzione di un artista: Keith Haring.
Attivo negli anni Ottanta a New York, egli ci offre lucidamente l’immagine della società in cui è
inserito, frenetica e tecnologicamente avanzata, ma socialmente problematica.
In un contesto in cui l’intelligenza delle macchine ha il sopravvento sulla manualità e si apre la
nuova era dell’informatica ( la Microsoft nasce nel 1976), Haring ( 1958-1990), propone un
linguaggio alternativo, basato sul disegno creativo e sul tratto personale.
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Keith arriva a New York, ventenne, per completare i suoi studi artistici. Nella metropoli resta
affascinato dai graffiti, che occupano i grandi spazi destinati alla pubblicità. Coglie in
quell’ espressione popolare la forte capacità di avvicinare la gente comune, in tempo reale, senza
passare attraverso il filtro della critica o del mercato d’arte, rivolti a un pubblico selezionato.
Fig.2
Fig.1
Fig.3
Comincia ad eseguire disegni col gesso bianco sul cartone nero predisposto per accogliere i
manifesti pubblicitari nei tunnel della metropolitana. I suoi graffiti diventano parte della vita
quotidiana della gente che si affretta al lavoro, prende la metropolitana, va al cinema; attirano
l’attenzione offrendo la piacevolezza del disegno, del movimento veloce e del colore vivace, del
materiale povero e occasionale (gesso, cartone, acrilico, intonaco); si inseriscono in un ambiente
“reale”. Comunicano messaggi, spesso alternativi ai modelli dei consumi materiali e intellettuali.
Fig.4
Fig.5
Ecco allora che ironizza con la pubblicità che rende l’uomo simile a un robot (fig.2), con la
televisione e con il cinema che celebrano l’azione al di sopra del pensiero (fig.3), col computer che
travolge le menti trascinandole nell’universo economico (fig.4).
Dalla testimonianza dell’artista emerge anche uno spaccato di società che vive al suo interno i forti
squilibri: è l’epoca dell’amministrazione Reagan e della sua politica neoliberista, che sottrae risorse
alla spesa pubblica (fig.5).
Sul piano personale Haring si dichiara consapevole di appartenere al suo tempo: nato nell’età
spaziale, vissuto nell’era tecnologica e atomica, con le fragilità e le paure della sua generazione,
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condivide gli stimoli di quella parte di umanità che sfida il trascorrere del tempo esaltando un eterno
presente (fig.6).
Fig.8
Fig.6
Fig.7
Eppure offre ragioni per riflettere e si investe della responsabilità di comunicare ideali umanitari.
Partecipa in prima persona alle battaglie a favore della libertà, dell’uguaglianza )Fig.7), della
solidarietà fra i popoli e della pace (fig.8). Non sarà difficile nell’attività didattica individuare forme
e contenuti che vanno in questa direzione.
Il successo delle opere di Keith Haring è stato fortemente determinato dalla immediatezza della
percezione visiva, capace di superare ogni barriera culturale.
Se applichiamo questa valenza positiva dell’immagine alla didattica, possiamo sperare di facilitare
la comprensione della Storia ai giovani, che sono immersi in un mondo di immagini.
Questo è il mio pensiero conclusivo.
Nell’ottica di un coinvolgimento ancora maggiore e più concreto, credo che ci si dovrebbe
orientare verso la fruizione diretta dell’opera d’arte e auspicare nella didattica la consuetudine di
alternare al lavoro sulle immagini, insostituibili nella pratica reale in classe, percorsi rivolti al
museo e al territorio, al fine di creare circuiti complessi di conoscenze.
Non è facile la selezione delle opere, in quanto non tutte hanno le stesse potenzialità didattiche:
grandi capolavori possono essere meno interessanti, per i nostri fini, di più modeste opere, dense di
suggerimenti. Anche in queste scelte dobbiamo mediare, tenendo conto del giudizio estetico
implicito nell’opera d’arte e dell’opportunità pedagogica di educazione al bello.
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