La verità è una bugia
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La verità è una bugia
Gaetano Tufano In copertina foto di Valentina Tufano Prima edizione agosto 2012 Seconda edizione ottobre 2012 ii La verità è una bugia La verità è una bugia Gaetano Tufano iii Copyright © 2012 Gaetano Tufano All rights reserved. ISBN: 9788891028457 INDICE Prefazione ................................................................... 7 Parte Prima ................................................................15 Angelus di Pietro II ................................................16 Il primo sogno di Pietro II ......................................35 L’annuncio di Pietro II ...........................................40 Il secondo sogno di Pietro II ...................................56 La morte di Pietro II ...............................................58 Parte Seconda ............................................................59 Riunione del collegio dei cardinali .........................60 Il cardinale Corrado Bonanno.................................66 La partita a scacchi .................................................72 Fortunato Carrolo ...................................................88 Habemus Papam.....................................................94 La verità è una bugia ............................................ 103 Parte Terza .............................................................. 109 Verso l'Oriente arancione .....................................110 Inle Lake .............................................................. 119 Nella terra di Pietro II...........................................128 Solus Ipse ............................................................. 135 Dolce fumo di pipa ............................................... 140 Millenni di polvere ............................................... 148 Epilogo.................................................................157 Parte Quarta ............................................................. 161 Quaderno di appunti di Pietro II ........................... 162 Appunti di Pietro II .............................................. 167 Note .....................................................................190 Gaetano Tufano Prefazione Fausto Tufano vi Prefazione Il romanzo “La verità è una bugia” ha come punto di riferimento centrale il problema dell'esistenza di Cristo. Ma Cristo ha avuto una reale dimensione storica? Cristo è certamente esistito nella creazione "fantastica" e "immaginifica" che ne hanno dato gli evangelisti; è un personaggio che incarna il loro desiderio religioso, il loro bisogno spirituale di dare una risposta ad un'attesa messianica presente in tutta la cultura e la religione giudaica. Risposta che si è articolata differentemente nei vari vangeli che denotano in realtà profonde divergenze, non soltanto tra quelli considerati "canonici" e quelli invece dichiarati "apocrifi" e quindi da nascondere in quanto contrastavano con la dogmatica cristologica e trinitaria che 7 Gaetano Tufano si andava affermando nei vari concili dell'antichità, da quello di Nicea a quelli di Efeso e Calcedonia. Ma sono ravvisabili palesi divergenze tra gli stessi vangeli "canonici" ed in modo particolare tra quelli sinottici di Luca, Matteo e Marco e il vangelo di Giovanni. Cristo però non è esistito come personaggio storico reale; semplicemente perché storicamente non è possibile dimostrare la sua esistenza, non esiste nessun riscontro storicamente determinato della sua esistenza. Nessuno storico, che non sia in preda a balzane o fantasiose concezioni storiografiche, può permettersi di confondere i piani del racconto religioso con quello della fattualità reale e storicamente accertabile e documentabile. Come non è possibile legittimamente pensare, con serietà storiografica, che il personaggio citato come Cristo nella vasta letteratura evangelica sia storicamente esistito. Sarebbe come dichiarare storicamente esistenti gli dei dell'Olimpo in base alla "Teogonia" di Esiodo; oppure affermare l'esistenza storica di divinità egizie come Horus, Iside e Osiride, desumendola dalla vasta mitologia egiziana. Il piano religioso risponde a criteri ed esigenze per quanto legittime distantissime da quelle storiografiche dell'accertamento storicamente determinato dei fatti. L'errore si annida proprio nella confusione tra i diversi piani, come aveva già decisamente richiamato Spinoza nel suo "Tractatus Theologico-Politicus". Spinoza destituì la Bibbia di ogni valenza scientifico-filosofica, separando in maniera netta tra le esigenze etiche di un popolo che si estrinsecano 8 La verità è una bugia nell'obbedienza morale ad alcune regole determinate, ed il piano scientifico del pensiero storico e filosofico. Non soltanto i vangeli, ma l'insieme dei libri che costituiscono la Bibbia, rappresentano le aspirazioni etiche, politiche e sociali di un popolo storicamente determinato, come quello giudaico in vari secoli della propria esistenza. Ma questi dettami etici non hanno alcun rapporto con presunte verità universali di tipo filosofico, né tantomeno con una storicità che esprima criteri tesi all'accertamento documentale di fatti realmente accaduti. Queste considerazioni non hanno come logica inferenza il nichilismo nietzschiano con la conseguente "Morte di Dio", né preludono ai suoi abissali e vertiginosi pensieri sull'universo che privo di qualsiasi fondamento "danza sui piedi del caso". La "Morte di Dio" è un concetto essenzialmente metafisico che si posiziona in un orizzonte di pensiero "ab imis fundamentis" differente dalla concretezza della ricerca storica. Il problema storico dell'esistenza di Cristo non ha nulla a che vedere con il problema filosofico dell'esistenza di Dio. Come l'inesistenza storica di Cristo non inficia il senso del trascendente, l'anelito kantiano all'irraggiungibile "noumeno" ed è ininfluente nei confronti di ogni problematizzazione di tipo metafisico. Pietro II è aperto alla verità, alla ricerca storica dei fatti, non si propone di imporre una nuova ermeneutica o nuovi valori. Egli prende coscienza che il personaggio di Cristo, da lui tanto amato fino a condizionare l'intera sua vita di religioso, non ha una dimensione storica. E' privo di esistenza storica, come lucidamente emerge dalle sue recenti ricerche, perché si rende conto della fondamentale differenza 9 Gaetano Tufano tra racconto religioso e narrazione storica. Da questa nuova coscienza scaturisce tutta una nuova problematicità. Pietro II diventa agnostico, ma con una fondamentale tendenza alla ricerca spregiudicata del vero, come gli aveva insegnato il suo predecessore Paolo VI. Comincia a vedere in modo totalmente nuovo la storia del cristianesimo, che non gli appare più come il dispiegarsi in chiave temporale del "corpo mistico di Cristo", ma come una congerie terribile di errori, che hanno causato lutti e nefandezze all'umanità, di cui si rattrista profondamente e ne percepisce distintamente tutta la negatività. L'uccisione di liberi pensatori, di eretici e libertini, fino allo sterminio degli schiavi del nuovo mondo sono soltanto la brutale espressione di un potere temporale che Pietro II rifiuta, ritenendolo totalmente estraneo ad ogni concezione religiosa. Il cammino della chiesa è piuttosto il cammino dell'errore e della menzogna connaturati alla perpetuazione del potere politico vigente come "Instrumentum regni". La storia della chiesa non rappresenta il cammino della verità che culmina provvidenzialmente nell'agostiniana "Città di Dio" dove le "portae inferi non praevalebunt". Da qui nascono i suoi dubbi, le sue perplessità, essenzialmente di tipo etico. Ma anche una profonda convinzione di smascherare vecchie bugie e "annunciare" nuove verità, che fatalmente lo mettono in contrasto con la sua posizione pontificale appena assunta. Verità che decide di annunciare durante il suo primo "Angelus" e che fatalmente ne determineranno la morte. La Chiesa nel suo lungo e travagliato percorso storico rappresenta una realtà poliedrica, complessa e 10 La verità è una bugia contraddittoria. Vi si intravvedono sicuramente alcune luci come Francesco d’Assisi o l’opera meritoria di San Filippo Neri nella Roma della Controriforma. Ma ancor di più sono le fosche ombre, che si addensano e che culmineranno nelle concezioni dichiaratamente teocratiche di molti papi medievali e nella repressione di ogni libertà di pensiero, con l’instaurazione della Congregazione del Sant'Uffizio. Per molti secoli in Europa fu impedito qualsiasi anelito di libero pensiero, di ricerca scientifica e finanche di esegesi testuale che potesse contraddire il pensiero “unico” del dogma ecclesiastico. Nonostante gli sforzi di una storiografia negazionista e chiaramente apologetica e propagandistica, è documentato che la repressione dell’inquisizione fu capillare, come in qualsiasi sistema dittatoriale, e nel corso di vari secoli si macchiò del sangue di un altissimo numero di vittime. Questo blocco del pensiero che la Chiesa ha rappresentato soprattutto nel Medioevo, ma che è rintracciabile nella totalità del suo processo storico, non è un semplice incidente di percorso. Deriva dallo stretto intreccio che dall’epoca costantiniana viene a determinarsi tra la tradizione ispirata dalle fonti evangeliche e giudaiche e le stesse strutture dell’Impero romano. Dopo Costantino, con l’unica breve parentesi dell’imperatore e filosofo neoplatonico Giuliano l’Apostata, il cristianesimo divenne la nuova espressione ideologica dell’Impero romano. Anche dopo la caduta di Roma in Occidente nel 476 il cristianesimo si affermò come il collante ideologico della civiltà bizantina in Oriente. Con decreto imperiale il Basileus di Costantinopoli Giustiniano nel 529 chiuse definitivamente l’accademia di Atene, fondata circa mille anni prima da 11 Gaetano Tufano Platone. E lo stesso Giustiniano sempre con decreto imperiale stabilì la verità della Trinità e dell’Incarnazione di Cristo già presenti nel "Simbolo niceno", minacciando con pene severe eretici e miscredenti. Ma anche nei regni Romano-barbarici che comparvero in Occidente dopo la caduta di Roma, continuò il processo di secolarizzazione della Chiesa, come dimostra la donazione di Sutri (728) del re longobardo Liutprando. Ma oltre alle donazioni vere vi erano anche quelle fittizie, di cui la curia romana si arrogava il possesso. La più celebre fra queste è la presunta "donazione di Costantino" che avrebbe delegato tutto il potere temporale alla Chiesa sui territori d’Occidente, dopo il trasferimento a Costantinopoli della sede imperiale. Fu il filologo e filosofo umanista Lorenzo Valla a confutare l’autenticità della donazione, con un’ampia disamina filologica del testo in cui evidenziava le contraddizioni, gli anacronismi e la stesura in un latino maccheronico databile tra l’VIII e il IX secolo. Valla con la nuova arma della filologia dimostrò che alcuni testi e lettere scritte dallo stesso Gesù erano in realtà spuri. Fu salvato dall’Inquisizione soltanto per l’intervento del Re aragonese di Napoli Alfonso il Magnanimo di cui era segretario. Insomma il destino della Chiesa dopo Costantino è segnato, non è semplicemente una concezione religiosa che ha qualche legame con il potere politico. E’ il potere politico, che si appresta ad esercitare in tutte le sue sfaccettature, come testimonia la vicenda storica dello “Stato Pontificio". Intende essere nella sua “universalità” espressione di un ordine e di un potere che si manifesta in primis nell’immanenza terrena. E’ molto chiaro Bonifacio VIII quando nella bolla “Unam Sanctam”, 1302, 12 La verità è una bugia ammonisce il re di Francia Filippo IV: Il potere dei regnanti è subordinato a quello universale dei papi che emana direttamente da Dio. Il Sacro Romano Impero era da concepirsi come l’unione della spada spirituale con quella temporale. D’altronde era stato lo stesso Gesù a dire a Pietro: “Pasci il mio gregge”. La Bolla terminava con un monito imperioso: “Noi dichiariamo, stabiliamo, definiamo ed affermiamo che è assolutamente necessario per la salvezza di ogni creatura umana che essa sia sottoposta al Pontefice di Roma”. Ma il povero frate Rosario nell’accedere al soglio pontificale era completamente alieno da queste logiche, come era estranea la sua forma mentis al dogma dell’infallibilità papale stabilito nel “Pastor Aeternus” da Pio IX. La sua ricerca era esposta a dubbi e riflessioni, lontanissime da una pretesa infallibile verità professata "ex cathedra". Per queste ragioni Pietro II, al secolo frate Rosario, viene immolato sul mistico altare dell’unità della Chiesa. Ch’io cadrò morto a terra ben m’accorgo; ma qual vita pareggia il morir mio? La voce del mio cor per l’aria sento: ove mi porti temerario? china, che raro è senza duol troppo ardimento. Non temer, rispond’io, l’alta ruina! Fendi sicur le nubi, e muor contento se il ciel s’illustre morte ne destina. Giordano Bruno, “De gli eroici furori” parte I, dialogo III Fausto Tufano 13 Gaetano Tufano Gaetano Tufano La verità è una bugia Romanzo 14 La verità è una bugia Parte Prima 15 Gaetano Tufano Angelus di Pietro II Pietro II, duecentosessantaseiesimo Papa secondo l’Annuario Pontificio, fu proclamato Vicario di Cristo nel 2021 e consacrato Petrus Romanus II il 5 maggio dello stesso anno. Papa Pietro II, al secolo Rosario Carrolo, era nato in un piccolo borgo del Molise da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Suo padre, Domenico Carrolo, oltre a condurre la sua piccola proprietà, lavorò per tutta la vita come operaio in una azienda che produceva materiali edili. Il padre di Rosario è da tutti ricordato come una persona umilissima e di grande bontà d’animo, infaticabile, molto riservato, di pochissime parole, ma bonario e affabile con tutti. Rosario fin da bambino adorava aiutare suo padre nel lavoro dei campi: il 16 La verità è una bugia sabato e la domenica, soprattutto nei mesi estivi, usciva all’alba a cavallo con il suo adorato padre per aiutarlo nel lavoro e ritornava la sera tardi, stanco, abbronzato e felice come un bambino. Al contrario di Domenico, Rosario era sempre scherzoso e chiassoso, quando rientrava dal lavoro nei campi, ancora pieno di energia e sempre esuberante, adorava prendersi gioco affettuosamente dei fratellini più piccoli. Li prendeva tra le sue forti braccia e li faceva roteare in aria tra risate e strilli. Terminati gli studi superiori, meravigliò tutti dichiarando, per la prima volta serio e con voce grave, che non desiderava andare all’università (cosa che peraltro, scherzando, aveva già tante volte affermato), ma che desiderava pronunciare i voti e raggiungere il monastero benedettino di Montecassino. L’abbazia di Montecassino distava meno di quaranta chilometri dal borgo natio, Rosario confessò di esserci andato più volte a cavallo e di essersi soffermato per ore sotto il monte che ospita l’abbazia. Non era mai riuscito ad arrivare fino al monastero perché, dopo il viaggio, non se la sentiva di chiedere al cavallo di arrampicarsi per quasi dieci chilometri di tornanti. Rosario raccontò che era loro uso fermarsi alla rocca Janula che si trovava molto più in basso. Alla rocca Rosario si rifocillava con formaggio di capra, olive, pane fatto in casa e un buon bicchiere di vino proveniente dall'uva delle loro vigne, che lui stesso aveva spremuto con i piedi secondo l'antica usanza, al cavallo dava dell'ottima biada e carezze sul muso. Poi si addormentavano entrambi sfiniti. I genitori si guardarono stupiti, non sapevano se essere tristi o contenti per questa 17 Gaetano Tufano inattesa esternazione. Poi lentamente Domenico si alzò con una certa solennità e lo baciò teneramente sulla fronte esprimendo così la sua benedizione per questa scelta. La madre pianse, poi lo abbracciò forte come quando era bambino e singhiozzando corse in cucina tenendosi il volto tra le mani. Qualche anno dopo Rosario era un monaco benedettino dedito alla preghiera e al lavoro, e desideroso di darsi anima e corpo alla Regola monachorum. Lentamente però l’intima gioia per aver raggiunto il suo sogno cominciò a lasciare il posto a una dolorosa inconfessabile insoddisfazione, ma molto tempo passò prima che riuscisse a mettere a fuoco i motivi di tale sentimento. Rosario ebbe un sussulto un giorno in occasione di un viaggio presso il convento francescano di Orsogna: l’umiltà e la rinuncia a qualsiasi proprietà personale dei Frati Minori gli procurarono un’ammirazione incondizionata, di fronte ad essi egli sentiva di essere un privilegiato, vergognoso di rivolgere le sue preghiere a Cristo. Di ritorno al suo monastero chiese udienza al suo abate e raccontò dolcemente e tremante i suoi pensieri. L’anno successivo Rosario vestiva il saio francescano e partiva per il suo primo viaggio in Africa, nel Congo Brazzaville. Io credo che questi ricordi, insieme con altri, attraversassero i suoi pensieri mentre quel giorno nella primavera del 2021 si accingeva emozionato ad affacciarsi dalla finestra del suo studio per il primo e ultimo Angelus Domini e per il primo saluto, in bianco abito talare, agli 18 La verità è una bugia innumerevoli fedeli accorsi in piazza San Pietro. Così come credo gli tornassero in mente momenti del suo periodo di missionario: il lento fluire della piroga per ore lungo il fiume Loubi mentre faceva ritorno a Makoua, a nord della savana, nella diocesi di Owando dopo aver visitato e curati bambini orfani, bambini abbandonati, bambini disabili. Pietro II rammentava ad uno ad uno i loro visi allegri nonostante tutto, i loro occhi pieni di mosche che non osavano scacciare. Risentiva il silenzio e i rumori della savana, gli odori forti e pungenti. Riavvertiva i brividi della malaria, di quando febbricitante, vaneggiante, cantava il Cantico delle Creature e si sentiva in perfetta sintonia con quella natura nella quale poteva muoversi come animale tra gli animali, come cosa tra le cose, che poteva usare come cibo o essere cibo per altri, in modo del tutto naturale con una non traumatica violenza. Pietro II si fece forza avanzò di qualche passo e fu davanti alla finestra, un fragoroso boato esplose dalla piazza, dalla folla dei fedeli che riempiva la grande piazza. Pietro II ebbe un tuffo al cuore, il fragore della folla gli richiamò alla mente i rumori della foresta pluviale di Papua Nuova Guinea quando un temporale tropicale, improvvisamente, la investiva con rumorosi scrosci d’acqua. Rosario, infatti, dopo il Congo era stato inviato presso il lebbrosario di Aitape, Papua Nuova Guinea. Egli aveva prontamente obbedito alla richiesta di trasferimento, ma nel lasciare l’Africa era molto triste e quando il suo aereo si alzò in volo, guardò con le lacrime agli occhi l’ultima savana percorsa da un pigro branco di elefanti, 19 Gaetano Tufano seguì il corso del fiume alla ricerca di qualche sornione ippopotamo, scrutò il bush nella speranza di vedere per l’ultima volte il leone, poi quando il piccolo aereo fu troppo alto chiuse gli occhi e ricordò gli anni passati in Africa. Si rivide appena arrivato, insieme affascinato e spaventato da tutto. Il suo primo contatto con l’Africa era stato il Kenia, ricordava il buffo inglese parlato dall’autista che dall’aeroporto lo accompagnava a Nairobi, gli ritornava in mente che in quella automobile del volante erano rimaste le sole razze, e che dal pavimento sfondato sotto i suoi piedi poteva vedere la strada scorrere. L’autista gli diceva che aveva appena ripreso il lavoro dopo una recidiva di malaria, Rosario gli osservava il piede che schiacciava l’acceleratore e si accorgeva di un enorme buco nel calzino, all’altezza del tendine di Achille. Pietro II si scosse e finalmente con la voce rotta dall'emozione, così come si era ripromesso di fare, pose le basi per ciò che nei suoi intenti avrebbe dovuto portare ad una profonda rifondazione della missione della Chiesa che, sempre nei suoi intenti, sarebbe dovuta diventare santuario dell’amore per la verità, baluardo di ricerca spirituale e faro per la fondazione dei costumi e dei principi etici. - “Carissimi fratelli e sorelle! Per la prima volta mi rivolgo a voi da questa finestra. Il mio primo sentimento è di gratitudine verso coloro che in questi giorni mi hanno sostenuto con la preghiera e verso quanti da ogni parte del mondo mi hanno inviato messaggi e voti augurali”. Un nuovo fragoroso boato costrinse il Pontefice ad una 20 La verità è una bugia pausa. Frate Rosario era molto amato e molto popolare. La sua vita dedita alle missioni lo aveva tenuto lontano dalle questioni politiche interne al Vaticano. Inoltre rientrato in Italia definitivamente per ragioni di salute, si era dedicato infaticabilmente, senza risparmiarsi, ad aiutare chiunque avesse bisogno di aiuto, fondando varie comunità in tutta la penisola. Il suo era un aiuto fraterno, incondizionato, spontaneo che proveniva dalla profonda compassione che provava per tutti gli esseri viventi. I motivi della scelta di Frate Rosario alla guida della Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana erano sicuramente da ricercare nella sentita necessità della Chiesa Cattolica di mostrare un’immagine di sé che la riavvicinasse ai suoi fedeli, soprattutto dopo che tale immagine nel decennio precedente era stata oggetto di dissacrazioni dovute a vari e poco edificanti episodi certamente non degni della missione della Santa Sede. In quegli anni la banca del Vaticano fu oggetto di ripetuti scandali finanziari. Importanti vertici del clero romano furono sospettati di legami poco chiari con un boss della malavita romana. Un famoso presbitero della diocesi romana, in un'intervista ad un importante quotidiano nazionale italiano, insinuò che all'interno della città del Vaticano si tenessero messe sataniche. (1;0) Infine sempre in quegli anni vi fu l'imbarazzante caso del “Corvo”, un gruppo di persone che vivevano e operavano all'interno delle mura vaticane che amareggiate e indignate per quanto avveniva all'interno della Santa Sede, decisero di far pervenire all'esterno, ad un giornalista, centinaia di carte riservatissime, provenienti dallo studio del Santo Padre, che misero a nudo le 21 Gaetano Tufano terrene miserie con le quali dovevano confrontarsi i massimi esponenti della parola di Dio. E, in quegli anni in cui anche la vita politica italiana si manifestava in tutto il suo squallore, queste notizie che giravano sui media, facevano sì che anche la Chiesa apparisse molto terrena e fatta degli stessi intrighi di cui tutte le cose umane son fatte. In ogni caso il conclave che portò al Soglio Pontificio il povero Frate Minore fu pressoché unanime. Così come unanime fu il consenso dei fedeli che videro in Rosario un nuovo Giovanni XXIII. «Da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio» (1;1) aveva detto Paolo VI durante l’Omelia del 29 giugno del 1972 e il giovanissimo Rosario non aveva allora saputo spiegarsi queste terribili parole. Gli ritornavano in mente ora, mentre attendeva che gli applausi scemassero. -“Vorrei salutare con affetto le Chiese ortodosse e le Chiese orientali ortodosse. Christós anesti! Sì, Cristo è risorto, questo io oggi vorrei poter dire a voi tutti. Mi perdonerete, io non sono mai stato un uomo di cultura, non sono un teologo come lo era il mio buon predecessore, per questo motivo ho passato questi mesi, da quando sono stato chiamato presso la Santa Sede, nella biblioteca Vaticana. Non vi ero mai stato prima, né avevo mai avuto modo di consultare tanta santa letteratura. Spero vorrete perdonare queste mie lacune, io mi sono dedicato con tutte le mie forze alla missione che sentivo che Dio aveva riservato per me. Ho servito i miei simili e Dio attraverso loro, amandoli e amando Dio attraverso loro più di ogni altra cosa. La mia unica 22 La verità è una bugia compagnia, il mio unico conforto fin ora era stata la mia Bibbia che mi fu regalata da mio padre quando entrai nel monastero benedettino di Montecassino. Laggiù, in Africa, a Papua Nuova Guinea, dove ho trascorso buona parte della mia vita, tra splendide creature incastonate in una splendida e terribile natura che sempre rimarranno nei miei occhi e che sempre riempiranno il mio cuore di dolci ricordi, non vi era molto tempo per la lettura. Allora io preferivo dedicarmi ai compiti che sentivo più vicini all’indole che il Signore mi aveva donato. Oggi, oramai vecchio, qui nella Santa Sede, in questo austero tempio, tabernacolo del sapere cristiano, sono stato preso, e Dio mi perdoni per questo, dal desiderio di colmare queste mie lacune e di conoscere la storia della nostra Confessione”. Gli occhi di Pietro II si riempirono di lacrime. Rivedeva la prima elegante giraffa caracollare verso l’aperta savana, la sua mente correva saltellando veloce e solidale con le miti gazzelle, rabbrividiva al ruggito del leone e al barrito dell’elefante. Il cuore batteva forte in gola come quello dell’antilope braccata dal leopardo. La prima notte nella savana aveva dormito in una tenda, come unica protezione dagli animali una lanterna ad olio lasciata accesa vicino all’accampamento. Di notte si era addormentato ascoltando non senza inquietudine gli ignoti rumori della savana e i passi delle iene che si avvicinavano alle tende in cerca di cibo. Ma Pietro II oggi avrebbe preferito essere solo in mezzo alla savana piuttosto che in piazza San Pietro a Roma. -“Miei carissimi fratelli e sorelle, nella vasta biblioteca 23 Gaetano Tufano vaticana ho passato mesi insonni a compulsare volumi su volumi, avido, Dio mi perdoni, di sapere. Ansioso di colmare quell’abisso che si era spalancato allorché aprii il primo libro che per il suo titolo mi aveva incuriosito”. Pietro II ripensò ai fumi di Satana nel tempio di Dio. Questi miasmi infernali si erano forse impadroniti della sua anima? Forse lui stesso ne era stato vittima e dunque ora era divenuto strumento e veicolo di Satana? -“Miei carissimi fratelli e sorelle," Riprese Pietro II. "oggi io voglio chiedere perdono per gli errori della Chiesa Cristiana nei secoli e nei millenni. Non sono in grado, miei cari fratelli e sorelle, di ripercorrere puntualmente tutti gli errori commessi dai miei fratelli nella fede in Cristo e di rendere così davvero giustizia a tutti coloro ne sono stati vittima. Procederemo dunque per emblemi, ricordando fra tutti, quei casi e quei fatti evidenti, indiscutibili che non possono non suscitare orrore in chiunque sia dotato di sensibilità e di pudore intellettuale. Vi prego miei cari fratelli e sorelle di perdonarmi, a supporto della mia memoria, dovrò fare riferimento a degli appunti che io stesso ho preparato e che desidero trasmettervi”. Pietro II estrasse dei fogli, li appoggiò sul leggio, nel frattempo aveva già inforcato degli occhiali, e prese a leggere con voce grave. -“Già pochi decenni dopo l'editto di Costantino il Grande che pose finalmente fine alle persecuzioni dei primi cristiani, ebbero, di fatto, inizio le altrettanto esecrabili 24 La verità è una bugia persecuzioni dei pagani da parte dei cristiani. Tra il 315 e il sesto secolo furono perseguitati ed uccisi un numero incalcolabile di pagani, numerosi celebri templi pagani furono distrutti: il santuario di Esculapio nell’Egea, il tempio di Afrodite a Golgota, i templi di Afaca nel Libano, il santuario di Eliopoli. Nel 356 venne sancita la pena di morte per chi praticava i riti pagani. L’imperatore cristiano Teodosio fece persino giustiziare bambini, rei di aver giocato con dei resti di statue pagane. All’inizio del quarto secolo, per sobillazione di sacerdoti cristiani, fu giustiziato il filosofo politeista Sopatro. (1;2) Teofilo, Vescovo di Alessandria fece distruggere il maestoso tempio Serapeo (1;3) e l'annessa biblioteca estensione della più famosa biblioteca di Alessandria. Vent'anni dopo il suo successore, il vescovo Cirillo, inviò i suoi monaci parabalani guidati da Pietro il lettore a massacrare Ipazia, figlia del filosofo Teone e a sua volta matematica, astronoma e filosofa neoplatonica, nonché pagana. Ho letto il resoconto di questa vicenda che ne fa Socrate Scolastico (teologo e storico cristiano), il quale racconta che Ipazia fu trascinata giù dalla sua carrozza, portata in chiesa e qui fatta a pezzi con aguzzi cocci e i suoi poveri resti furono poi dati alle fiamme. (1;4) Dio voglia perdonarci tutti per questo orrendo omicidio. Dio perdoni in primo luogo il vescovo Cirillo, mandante di questo brutale assassinio, e perdoni papa Leone XIII che proclamò Cirillo «Dottore della Chiesa», e perdoni il mio pur ottimo predecessore Benedetto XVI (1;5) che ebbe a lodarlo per «la grande energia del suo governo ecclesiastico» 25 Gaetano Tufano ed infine perdoni la Chiesa Cattolica che ancora oggi lo venera santo”. (1;6) La voce di Pietro II era rotta dal pianto, sentiva su di sé i morsi dolorosi dei cocci che avevano dilaniato Ipazia. Vedeva Ipazia cui, mentre ancora respirava, le venivano cavati gli occhi e chiudeva i suoi davanti a una così insopportabile visione. Ancora una volta sentiva il cuore in gola e le tempie pulsare, si aggrappò alla sua ferula con entrambe le mani e vide il capo spinato di Gesù che lo fissava con sguardo sofferente, ma ciononostante sereno e cercò di riprendersi. Da ragazzo ancora prima di entrare nell'abbazia di Montecassino faceva spesso un sogno che lo turbava: una ragazza dai lunghi capelli biondi, alta slanciata che indossava una semplicissima maglietta azzurra e dei pantaloni bluejeans che terminavano a ‘campana’ secondo l'uso del tempo. Il volto della ragazza era dolce e casto i suoi occhi azzurri e luminosi. La ragazza gli si avvicinava lentamente guardandolo e sorridendo, intanto il suo cuore batteva così forte che pareva balzargli fuori dal petto. Era così che Pietro II si raffigurava Ipazia. Ipazia era ricordata come una donna dall'aristocratica bellezza e del tutto virtuosa. I giornalisti che seguivano il discorso del Papa, per lo più ignari di chi fosse Ipazia, presero a consultare internet frettolosamente. La folla dei fedeli applaudiva a questo Papa che riconosceva umilmente passi falsi di remoti uomini di chiesa che, in tempi remoti e oscuri, avevano forse commesso errori certamente dovuti alla mancanza di sensibilità del loro tempo, che non era di sicuro evoluto e civile quanto il nostro. 26 La verità è una bugia Pietro II riprese con rinnovato vigore. - "Anche per le sante Crociate, miei cari fratelli e sorelle, noi tutti dobbiamo chiedere perdono. In circa 200 anni (tra l'anno 1095 e l'anno 1291), le Crociate furono responsabili di circa venti milioni di vittime, facendo riferimento a cronisti cristiani. (1;7) Fra tutti, e solo a titolo di esempio, desidero ricordare alcuni tra i più nefasti episodi che la storia ci ha tramandato. Il massacro di decine di migliaia di musulmani (un numero compreso tra i diecimila e i sessantamila), a seguito della conquista di Antiochia da parte delle armate crociate. Raimondo di Aguilers, cappellano di campo del conte di Tolosa, riporta che «Sulle piazze si accumulano i cadaveri a tal punto che, per il tremendo fetore, nessuno poteva resistere a restare: non v’era nessuna via, in città, che fosse sgombra di corpi in decomposizione». Il 15 luglio dell'anno 1098, venne espugnata Gerusalemme, qui subirono la stessa sorte più di sessantamila persone, tra ebrei e musulmani, uomini, donne e bambini. Un testimone oculare riporta: «là (davanti al tempio di Salomone) si svolse una tale mischia cruenta che i cristiani si trascinavano nel sangue dei nemici fino alle nocche dei piedi». L’arcivescovo Guglielmo di Tiro aggiunge: «Felici, piangenti per l’immensa gioia, i nostri si radunarono quindi dinanzi alla tomba del nostro salvatore Gesù, per rendergli omaggio e offrirgli il loro ringraziamento… E non fu soltanto lo spettacolo dei cadaveri smembrati, sfigurati, irriconoscibili, a lasciar sbigottito l’osservatore; in realtà, incuteva sgomento 27 Gaetano Tufano anche l’immagine stessa dei vincitori, grondanti di sangue dalla testa ai piedi, sicché l’orrore s’impadroniva di tutti quelli che li incontravano». Il cronista cristiano Eckehard di Aura testimonia che, ancora durante l’estate successiva dell’anno 1100, «in tutta la Palestina l’aria era appestata del lezzo dei cadaveri. Di stragi siffatte nessuno aveva mai visto o udito l’uguale tra i pagani». Nella battaglia di Ascalona, il 12 agosto 1099, vennero uccisi duecentomila infedeli «in nome del nostro signore Gesù Cristo»“. Lo sgomento cominciò a serpeggiare tra la folla accorsa in piazza San Pietro: nessuno mai aveva con tale cruenta lucidità elencato una così sordida sequenza di eccidi. Pietro II sollevò per un attimo gli occhi al di sopra degli occhiali per guardare la folla, ne percepì lo stato d’animo, ma continuò imperterrito. -"Miei carissimi fratelli e sorelle, noi tutti dobbiamo chiedere perdono ai cosiddetti «Buoni Uomini». Nel 1209, miei carissimi fratelli e sorelle, papa Innocenzo III volle inviare una crociata nel sud della Francia, per estirpare l'eresia catara, (1;8) che nei successivi vent’anni devastò l’intera provincia della Linguadoca. Solo nella città di Beziers ventimila persone furono massacrate: donne, bambini, catari e cattolici senza distinzione. «Caedite eos! Novit enim Dominus qui sunt eius», (1;9) «Uccideteli tutti! Dio riconoscerà i suoi», queste furono le terribili indicazioni del legato pontificio al seguito dei crociati. Dieci anni dopo, nel 1219 ci fu un altro massacro a Marmande. (1;10) Desidero rammentare 28 La verità è una bugia questo funesto episodio con le parole della «Chanson de la Croisade Albigeoise» che riferisce l'operato dei crociati cristiani: «Corsero nella città, agitando spade affilate, e fu allora che cominciarono il massacro e lo spaventoso macello. Uomini e donne, baroni, dame, bimbi in fasce vennero tutti spogliati e depredati e passati a fil di spada. Il terreno era coperto di sangue, cervella, frammenti di carne, tronchi senza arti, braccia e gambe mozzate, corpi squartati o sfondati, fegati e cuori tagliati a pezzi o spiaccicati. Era come se fossero piovuti dal cielo. Il sangue scorreva dappertutto per le strade, nei campi, sulla riva del fiume». Che cosa offusca fino a tal punto la mente degli uomini miei cari fratelli e sorelle? Se la cura supera i danni causabili dalla malattia, non è allora preferibile affrontare la malattia? I catari erano nostri fratelli in Cristo, la loro fede derivava anch'essa dai vangeli. Questi nostri fratelli facevano riferimento a passi di uno dei vangeli dove Gesù sottolinea l’opposizione tra il suo regno celeste e il regno di questo mondo. La loro colpa è che questi vangeli, per motivi non del tutto cristallini, non fanno parte di quelli canonici e per questo i catari furono sterminati. Sulla base di detti vangeli, i ‘Buoni Uomini’ professarono quindi un dualismo che vedeva il re d'amore (Dio) e il re del male (Rex mundi) rivaleggiare a pari dignità per il dominio delle anime umane. Questi nostri fratelli, pertanto, rifiutarono i beni materiali e tutte le espressioni della carne. Secondo la loro dottrina, Gesù avrebbe avuto solo in apparenza un corpo mortale, ed è questa 29 Gaetano Tufano una posizione che ritroviamo anche nel vangelo di Pietro. Per i catari, la vittoria massima del Bene contro il Male era la morte, che liberava lo spirito dalla materia. Ai catari era proibito, in qualsiasi modo, collaborare al piano di Satana. Questi cristiani, pur convinti della divinità di Gesù, sostenevano che Egli fosse apparso sulla Terra come un ‘eone’, un angelo emanato dal Dio e dalla Luce per salvare l’umanità. Gesù per i catari, dunque, aveva il compito di insegnare agli uomini la via per raggiungere la gnosi, per far ritorno al pleroma, alla pienezza di Dio. Tali vangeli, cosiddetti gnostici o apocrifi, non sono accettati dalla Chiesa perché attribuiti a fonti non attendibili, ma devo ammettere che, nella mia filologica ignoranza, faccio fatica a comprendere la differente attendibilità di tali scritti rispetto a quella attribuita ai nostri vangeli canonici. I vangeli apocrifi parlano di un Gesù molto diverso da quello che conosciamo e amiamo. Sostanzialmente diverso. Ed io oggi, miei cari fratelli e sorelle, non so più quale sia la verità, non so più quale sia il vero insegnamento di Gesù. Quello che so è che, fin dalla nascita del Cristianesimo, ci fu una cruenta lotta interna tra la corrente gnostica e la corrente che sarebbe poi diventata cristianesimo. Al termine della quale lo gnosticismo fu pressoché spazzato via dalla storia. L’ultimo atto di questa sordida vicenda riguardò proprio la popolazione catara di cui abbiamo accennato. Il dubbio, sappiamo benissimo, miei cari fratelli e sorelle, non costruisce regni, però io ho in mente le parole che 30 La verità è una bugia Paolo VI ebbe a pronunciare ai giovani: «siate onesti, cercate sempre, spingete i vostri dubbi sino alle estreme conseguenze». (1;11) La Chiesa, che io oggi sono chiamato a rappresentare, però, è un regno, e come tale deve fondarsi su certezze e non su dubbi. La Chiesa, infatti, si è fondata fino ad oggi sulla Fede che di per sé non è assoggettabile a procedimenti euristici, e pertanto, essa è stata in grado per duemila anni, di fornire alla Chiesa fondamenta inossidabili. Su siffatte fondamenta è innestata l’organizzazione che sente la responsabilità della perpetuazione di se stessa e degli individui che la compongono. E questa responsabilità, io credo, sia servita a legittimare le azioni dei miei sventurati predecessori, che hanno creduto possibile l’uso della violenza per la difesa della Chiesa. Essi hanno avvertito il male della violenza come una sorta di male necessario, come un dovere per la salvaguardia di questa organizzazione, senza vederne i tragici risvolti e le nefaste conseguenze. Oggi noi, miei cari fratelli e sorelle, vogliamo fondare le nostre azioni, le azioni della nostra Chiesa, e la nostra Chiesa stessa, sulla verità e, se la ricerca della verità deve necessariamente passare attraverso il dubbio, noi vi passeremo e porteremo alle estreme conseguenze la nostra ricerca, secondo la strada indicata da Paolo VI”. La folla dei fedeli, incapace di comprendere l'intrinseco significato e la portata storica del messaggio annunciato, ammirata dal coraggio e dall'onestà di Frate Rosario, di questo novello Papa che annunciava con belle parole un’epoca di verità per la Chiesa, si produsse in uno 31 Gaetano Tufano scrosciante lungo applauso. Nel frattempo nelle redazioni dei giornali i giornalisti che seguivano in diretta la prima omelia di Pietro II, cominciarono a guardarsi con aria interrogativa: dove voleva arrivare questo Papa? Che cosa aveva in mente? Le prime agenzie cominciarono a fare il giro del mondo: la Fede messa in discussione? Il beneficio del dubbio si è fatto largo attraverso i millenari dogmi? Che cosa stava per accadere? Pietro II appoggiata la ferula alla finestra fece segno con entrambe le mani di voler continuare il suo discorso. -"Miei cari fratelli e sorelle, non voglio dilungarmi troppo nel parlarvi della Santa Inquisizione, di cui tutti sappiamo, non posso esimermi, però, dal chiedere perdono per coloro che maggiormente ne sono stati artefici. Mi riferisco a Bernardo Gui, a Nicolau Eymerich, a Nicolas Jacquier, a Tomàs de Torquemada e infine a Jakob Sprenger ed a Heinrich Kramer, per nominare solo coloro che più tristemente sono ricordati dalla nostra storia più cupa. Devo anche ricordare papa Innocenzo IV che nel 1252 con la bolla Ad extirpanda (1;12) autorizzò l'uso della tortura durante l'istruzione dei processi. Una richiesta di ammenda va, infine, a Tommaso d'Aquino, santo e tra i massimi dottori della Chiesa, che nella sua Summa Theologiae affermò: «Per quanto riguarda gli eretici, essi si sono resi colpevoli di un peccato che giustifica che non solo siano espulsi dalla Chiesa con l'interdetto, ma anche che vengano allontanati da questo mondo con la pena di morte». La nostra preghiera di perdono è per tutti questi uomini 32 La verità è una bugia di chiesa, perché hanno ecceduto fino alla più completa cecità e alla più irragionevole abnegazione e dedizione verso il dovere per la loro missione. Dalla fondazione Nobel è stato calcolato che, in quasi cinque secoli di operato della Santa Inquisizione, le vittime furono cinquantasei milioni, di cui tre milioni di donne accusate di stregoneria. (1;13) Io non so se questi numeri siano esagerati, non so se la fonte sia affidabile, ma non ha importanza. Se anche fossero esagerati di parecchi ordini di grandezza, sarebbero comunque più di zero, più di quanto è concesso, a mio parere, di fare alla Chiesa di Dio. Per questo voglio unirmi a Giovanni Paolo II nel chiedere perdono (1;14) per tutti coloro che hanno avuto parte in questo orrendo crimine, e voglio spendere più di una lacrima per tutte le nostre vittime. Il mio rammarico è che non potrò, nella breve vita che ancora mi rimane, chiedere perdono singolarmente a ognuno di essi. Due nomi di vittime che tutti conoscono sento però di dover ricordare: il filosofo Giordano Bruno e il filosofo Giulio Cesare Vanini e per loro voglio ricordare dei versi che il poeta tedesco Friederich Holderlin scrisse in memoria di Vanini”. - « Empio osarono dirti e d'anatemi oppressero il tuo cuore e ti legarono e alle fiamme ti diedero. O uomo sacro! Perché non discendesti in fiamme dal cielo, il capo a colpire ai blasfemi e la tempesta tu non invocasti 33 Gaetano Tufano che spazzasse le ceneri dei barbari dalla patria lontano e dalla terra! Ma pur colei che tu già vivo amasti, sacra Natura te morente accolse, del loro agire dimentica i nemici con te raccolse nell'antica pace. » (1;15) Dalle redazioni di tutti i giornali, tutti i giornalisti si erano fermati e ascoltavano esterrefatti le parole di questo Papa. La folla cominciò a salmodiare il «Te Deum». Pietro II ne approfittò per riprendere fiato e raccogliere i pensieri. Dietro di lui il cardinale Achille Ranghetti si avvicinò a Pietro II, gli toccò la spalla e gli rivolse uno sguardo interrogativo. Pietro II si volse verso di lui e gli rispose con un tranquillizzante sorriso e con un cenno d’intesa del capo. Mentre la folla cantava, Pietro II socchiuse gli occhi, respirò profondamente si lasciò pervadere dalla melodia: «Te Deum laudamus, te Dominum confitemur. Te aeternum patrem, omnis terra veneratur.» e si abbandonò al ricordo di un sogno fatto qualche giorno prima. 34 La verità è una bugia Il primo sogno di Pietro II Pietro II girava affannosamente per le strade di Gerusalemme il 3 aprile del 33 d.C., sapeva che stavano per crocefiggere Gesù e lui voleva a tutti i costi impedirlo. Si era chiesto cosa ne sarebbe stato del Cristianesimo, delle sorti della Chiesa e del destino dell'umanità senza il sacrificio di Gesù, ma la risposta era immediata e senza possibilità d'appello: non poteva acconsentire ad un abominevole assassinio. La morte di Gesù gli aveva sempre trasmesso grande dolore e un indicibile senso di ingiustizia, aggravato dall'ineluttabile senso di impotenza che si ha di fronte all'irreversibilità del tempo. Pietro II sentiva che questa poteva essere l'occasione per impedire questa ingiustizia e correva freneticamente nel timore di arrivare troppo tardi. Il 35 Gaetano Tufano dedalo delle strette vie del centro di Gerusalemme, affollatissimo a quell'ora del mattino, era inestricabile. Pietro II si ritrovava a ripercorrere più volte le stesse vie incapace di districarsi. Sapeva di dover uscire dalla città in direzione di Nord-Ovest per raggiungere la collinetta del Golgota che si trovava appena fuori dalle mura, ma non riusciva ad orientarsi. Provava a chiedere indicazioni ai passanti, ma nessuno lo comprendeva. Si rammaricava di non aver mai imparato né l'ebraico né l'aramaico, ora gli sarebbero serviti a salvare il suo Gesù. Ricordava che Golgota in aramaico si diceva «Gûlgaltâ», e provava a dire a tutti «Gûlgaltâ, Gûlgaltâ», ma nessuno capiva, qualche negoziante lo invitava a entrare nel suo negozio, altri sorridevano guardandogli le vesti. Si accorgeva allora di essere in abito talare, e che questo contribuiva a impacciare la sua corsa, e si rimproverava per non essersi vestito in modo più adeguato alla situazione. Rinunciò a chiedere. Gli venne in mente allora che forse doveva cercare il «Testimonium Flavianum», lui doveva sapere tutto su Gesù, ma chi era questo Testimonium e come trovarlo? Incontrò un drappello di soldati romani che spingevano un prigioniero magro, cencioso, dai lunghi capelli, seguiti da una piccola folla di bambini che inveivano contro il prigioniero. Pietro II fermò il drappello e rivolgendosi sia ai soldati che al prigioniero chiedeva «Yeshua? Yeshua?», il prigioniero scoppiò in un fragorosa risata mostrando una bocca senza denti e uno sguardo da demente, i soldati lo guardarono di sbieco, ma lo salutarono con defezione, forse in virtù della sua immacolata talare, e ripresero il loro cammino spingendo il loro prigioniero. Il 36 La verità è una bugia povero malato di mente, si voltava continuamente per guardare Pietro II, poi con uno scatto fulmineo riuscì a sfuggire ai suoi sorveglianti, gli corse incontro e gli si avvinghiò gridando «Yeshua, Yeshua». I soldati gli furono addosso in un baleno, lo strapparono via tirandolo per i capelli, lo picchiarono e lo trascinarono via. Pietro II per la sorpresa era rimasto immobile, incapace di reagire. Solo quando i soldati furono lontani trovò la forza di gridare: «Non nocere eum», ma subito dopo si chiese se la traduzione latina fosse esatta vista la sua poca dimestichezza con quella lingua. Riavutosi, Pietro II guardò il suo orologio erano quasi le nove del mattino, l'inizio dell'ora terza. Secondo Marco evangelista a quest'ora Gesù sarà crocefisso. (1;16) Pietro II sperava che ad aver ragione fosse Giovanni che fissa l'ora della crocifissione a mezzogiorno, ossia intorno all'ora sesta. (1;17) Poi, però, si ricordò che Giovanni datava la morte di Gesù il 7 aprile del 30 d.C. e dunque, se avesse avuto ragione in tutto e per tutto Giovanni, l'atroce atto aveva già avuto luogo tre anni addietro. Afflitto da questi pensieri, riprese la sua affannosa corsa. Guardava il sole che cominciava a essere alto e fu fulminato da una tardiva idea: avrebbe dovuto seguire i soldati romani che stavano certamente portando il prigioniero alla torre Antonia, sede della guarnigione romana e del prefetto Ponzio Pilato, che si trova a nord-est, proprio a ridosso delle mura orientali. Avrebbe poi potuto seguire le mura verso ovest e trovare così la collina del teschio. Troppo tardi, decise allora di andare in direzione opposta a quella del sole che a quell'ora doveva trovarsi a sud-est. Le vie però non erano così lineari, ogni tanto interruzioni di vario genere lo 37 Gaetano Tufano costringevano a fare larghi giri. Era ormai mezzogiorno, il cielo era terso, il caldo soffocante. Pietro II si sentiva esausto, ma non si curava di sé, pensava alle pene infinitamente superiori che nello stesso momento Gesù stava sopportando. Attraversò un mercato denso di odori di spezie e di sudore, non riusciva a farsi largo, continuava a dire: «Tisllach li», «mi scusi», ma tutti lo guardavano strano. Forse la pronuncia non era esatta, chissà? Come è possibile determinare l’esatta pronuncia della lingua di un popolo così lontano nel tempo, non potendo contare su testimonianze orali? Poi si adirava con se stesso e si diceva che doveva concentrarsi sul suo obiettivo e che non doveva distrarsi con pensieri inutili. Da lontano qualcuno gridò «Yoshua, Yoshua», numerose persone si volsero per vedere se fosse diretto a loro, anche Pietro II si girò a guardare finendo per inciampare in una bancarella che si rovesciò facendo rovinare a terra tutte le carni appese. Il commerciante gridava e si sbracciava, Pietro II cercò nelle tasche dei soldi per ripagare il danno, ma non ne aveva, gli offrì allora il crocefisso d'oro che aveva appeso al collo: stava per vedere il vero Gesù non sentiva più il bisogno di un simulacro. L'ora sesta stava per terminare quando arrivò davanti alla porta di Damasco, ringraziò Iddio, riconobbe la porta e pensò che uscire dalla città fosse la cosa migliore. Avrebbe percorso l'esterno delle mura verso ovest fino ad arrivare all’agognata collinetta. Ma anche l'esterno, purtroppo, non era meno difficoltoso. C'erano ogni sorta di storpi sdraiati lungo le mura e più in là il terreno diventava accidentato. La sete gli ardeva la gola. Oramai l'ora nona era scoccata e proprio allora, quasi in preda alla disperazione, vide la piccola collinetta pietrosa chiamata Golgota. Vi salì 38 La verità è una bugia con il cuore pieno di terrore per essere arrivato troppo tardi, il sole però splendeva imperterrito, non si era oscurato come narrano le sacre scritture, forse c'era ancora tempo. Quando arrivò sulla collinetta, si accorse che era deserta, non vi erano croci. Dunque l'ora riportata da Giovanni non era corretta? Oppure non era corretto il giorno indicato da Marco? Oppure avevano già portato via il corpo per seppellirlo nel santo sepolcro? In quale direzione si trovava il santo sepolcro? Non gli veniva in mente. Ormai era stremato non riusciva a ricordare la posizione del sepolcro rispetto alla collinetta del teschio. Per la verità non sapeva neppure se non riuscisse a ricordare o se non l'avesse neanche mai saputo. Decise allora di fare il giro della sommità e di controllare tutte le direzioni, ma da nord, la stessa parte da cui lui era salito, vide arrivare il folle cencioso incontrato la mattina, inseguito dai soldati romani che gli urlavano dietro ogni genere di minacce. Pietro II cominciò a correre dalla parte opposta per evitare l'incontro, questa volta, però, il folle non voleva lui, desiderava solo sfuggire ai soldati, ma vistosi perduto, decise di lanciarsi nel vuoto sfracellandosi sulle rocce. A questo punto Pietro II si era svegliato sconvolto e turbato. 39 Gaetano Tufano L’annuncio di Pietro II Pietro II attese il termine del Te Deum, poi riprese a parlare. -"Carissimi fratelli e sorelle c'è un'ultima cosa che il mio senso del dovere verso di voi, e verso tutti i miei confratelli nella fede in Cristo, ancora prima di iniziare questo mio pontificato, mi impone di confessarvi. Si tratta di una notizia molto importante, molto dolorosa per noi tutti, difficile da accettare. Dovrete perdonarmi per quanto sto per dirvi, miei cari, ma io sono oltremodo convinto che la Chiesa, se desidera mantenere ancora oggi la sua missione di veicolo di Dio sulla terra, debba rispettare alcuni sacri doveri. La Chiesa deve necessariamente, indiscutibilmente differenziarsi da tutte le altre organizzazioni secolari che, per loro stessa 40 La verità è una bugia natura, devono detenere ed esercitare (giusto o sbagliato che sia) qualche forma di potere. Le organizzazioni secolari, in virtù dei loro stretti legami con le cose terrene e poiché perseguono contingenti fini terreni, è comprensibile che possano acconsentire ad atteggiamenti speculativi mirati ad interessi di parte. La Chiesa deve essere la casa di Dio sulla Terra e la casa di Dio deve essere per tutti, nessuno escluso. Deve pertanto avere, come primo ed irrinunciabile dovere, il dovere della tensione alla verità. Tensione spassionata, non utilitaristica, non finalizzata ad alcunché se non alla verità stessa, perché solo in tal caso potrà pretendere valore universale ed essere da tutti accettata incondizionatamente. Deve avere, in secondo luogo, il dovere del non esercizio del potere. Poiché l'annuncio della parola di Dio non può necessitare dell'uso del potere. Perché la forza stessa della parola di Dio dovrebbe essere condizione sufficiente per indurre tutti gli uomini al suo ascolto. Dovrebbe avere, poi, il dovere dell'esempio, poiché l'esempio da solo dice più di mille parole. Dovrebbe, infine, avere il dovere di offrire aiuto senza pretendere nulla in cambio, perché chiunque creda nella parola di Dio ha già tutto. Naturalmente, miei cari fratelli e sorelle, in considerazione della rilevanza di tali doveri e delle possibili conseguenze, che dall'applicazione di siffatti doveri potrebbero scaturire, molti dubbi mi hanno fatto compagnia, soprattutto in questi ultimi giorni. Il mio più grande dubbio riguardava la convenienza stessa che il Santo Padre esternasse, così direttamente, a tutti voi i suoi più profondi pensieri, esponendovi forse a inimmaginabili rischi. 41 Gaetano Tufano L’alternativa, però, sarebbe stata mentirvi ed io questo non sarò mai disposto a farlo. Tanti altri dubbi, di varia natura, mi hanno accompagnato in questi mesi. Il dubbio io credo abbia molte qualità benefiche, ma in questa occasione, miei cari, per la prima volta nella mia vita di messaggero della parola di Dio, ho avuto dubbi sul messaggio stesso, perché del tutto incerte oggi mi appaiono le sue fonti. Negli ultimi mesi io sono stato dilaniato dai dubbi, ma alla fine non ho potuto fare altro che accettare le conclusioni cui il lavoro di mesi mi aveva portato. Naturalmente, in considerazione dei nuovi orizzonti teologici cui ero giunto, ho anche dubitato della convenienza di accogliere le responsabilità di questo pontificato. Alla fine, però, ho sentito mio dovere continuare nel mio compito di umile messaggero ed ho come sempre docilmente obbedito, accettando questo immeritato onore, mettendomi immediatamente al servizio di tutti voi, miei cari fratelli e sorelle, dando luogo ai miei doveri verso la verità come prima cosa. La nostra esistenza, in questo mondo terreno, non rappresenta che un minuscolo fuoco fatuo acceso per un istante in questo remoto angolo dell'universo, in questo imperscrutabile fenomeno spazio temporale. Noi cristiani siamo stati fino ad oggi salvati dall’orrore che rappresenta la morte che dissolve nel nulla. L’horror vacui non ha mai trovato ricetto nei nostri cuori. Qui sulla Terra, come dice Quasimodo: « Ognuno sta solo sul cuor della terra 42 La verità è una bugia trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera. » (1;18) Ma, dopo la sera, noi cristiani abbiamo sempre saputo che comincerà un eterno giorno di luce che non necessita di raggi. Abbiamo sempre saputo che, naufraghi, approderemo ad una salvifica terra senza tempo. Oggi però il dubbio e l’horror vacui nuovamente s’impossessano dei nostri cuori e non consentono più di abbandonarsi a queste dolci visioni. Ma, miei cari fratelli e sorelle, non abbiamo altra scelta, non possiamo sottrarci ai nostri doveri di uomini abbandonandoci pigramente alla menzogna, rinunciando così, al tentativo di comprendere il fine ultimo della nostra vita. Soprattutto nei riguardi delle questioni fondanti del nostro essere uomini, del nostro destino, del significato della nostra esistenza. Dunque io desidero oggi stesso cominciare ad applicare il primo dei doveri che vi ho annunciato: il dovere della verità”. Pietro II a questo punto fece una pausa, alzò gli occhi al di sopra degli occhiali per guardare l’immensa folla di fedeli davanti a lui, poi con voce ferma e chiara pronunciò la seguente affermazione: -“Carissimi fratelli e sorelle devo annunciarvi che il Gesù Cristo dei Vangeli, che noi abbiamo amato sopra ogni cosa e che rappresenta per noi il fratello che viene a salvarci da tutte le pene. Ebbene tale Gesù Cristo non ha nessun riscontro con alcun personaggio storico, per cui, miei amati fratelli, il Gesù così come noi lo conosciamo e intendiamo non è mai esistito!" 43 Gaetano Tufano La folla ammutolì di colpo e si pose in ascolto come di fronte ad un evento di eccezionale portata, come quando impotenti da lontano si osserva l'eruzione di un vulcano che può portare morte e distruzione e si teme persino per la propria sorte. Il terrore si impossessò dei loro cuori, videro millenarie saggezze sgretolarsi sotto il peso di pesanti parole. Videro eserciti confusi cessare il fuoco contro inesistenti nemici. Videro torrenti di sangue inondare infecondi deserti e forgiare, simili a rose del deserto, antiche città distrutte che, improvvisamente, si rianimavano e riprendevano il loro consueto ritmo. Videro regni sprofondare e altri, prima inabissati, imperturbabilmente prenderne il posto. Videro tutti i loro progenitori, con le orbite vuote, avanzare a tentoni stanchi, consumati, simili a fantasmi, alla ricerca del loro paradiso promesso. -"Miei amati fratelli e sorelle, forse voi potete immaginare quanto io abbia sofferto durante questi mesi in cui ho dovuto lottare contro ogni cellula del mio corpo, in cui portavo scritto il mio millenario credo, con grande incommensurabile dolore. Io fino ad oggi ho sempre trovato, per mia natura, perfetta aderenza tra il mio istintivo amore per i miei simili e il messaggio cristiano. Scoprire quindi, pagina dopo pagina, che le fondamenta stesse del mio credo venivano messe in dubbio e che taluni aspetti dei messaggi cristiani, che istintivamente sentivo profondamente veri, erano in realtà messi in discussione, mi gettava in uno stato di indicibile prostrazione. In pochi mesi, miei cari fratelli e sorelle, ho dovuto 44 La verità è una bugia riconsiderare tutta la mia vita, tutti i miei pensieri e tutto il mio operato. Chiunque mi conosce, sa bene che tutti e tre questi aspetti per me sono sempre stati, fin ad oggi, perfettamente solidali. Ogni parola che leggevo mi sembrava una bestemmia, ogni pensiero espresso un’eresia, eppure dovevo continuare la mia ricerca che, una volta avviata, non poteva essere più abbandonata. Che cosa mi stava accadendo? La mia povera mente, sorretta dalla sola mia povera piccola umana intelligenza, girava velocemente cercando di riconsiderare e vagliare continuamente tutte le possibilità. Mi sembrava di andare ad un ritmo vertiginoso. Ho dormito pochissimo in questi mesi e sempre malissimo. I miei sogni erano tormentati, vedevo il diavolo tentatore avvicinarsi a me. Aveva zoccoli e fumava dalle narici. Egli cercava di ammaliarmi, ma io mi segnavo con il segno della croce di nostro Signore e lui, sciagurato, faceva altrettanto. Gli dicevo «Vade post me Satana» e: «Crux sancta sit mihi lux Non draco sit mihi dux Vade retro satana Numquam suade mihi vana Sunt mala quae libas Ipse venena bibas» (2;1) E lui arretrava, ma tornava subito dopo con l'Index librorum prohibitorum e mi indicava titoli di volumi che io effettivamente desideravo leggere. Altre volte sognavo di aggirarmi per stanze del palazzo apostolico e di incontrare importanti vescovi e cardinali che governano la Chiesa. Io 45 Gaetano Tufano non li conoscevo e li salutavo cristianamente: «Sia lodato Gesù Cristo», ma loro mi guardavano un po' stupiti e mi rispondevano con un meccanico «sempre sia lodato». Poi vedevo che parlottavano a bassa voce, guardandomi come se avessi qualcosa di strano e sentivo qualcuno di essi dire, sempre sottovoce: «Sai, lui è un credente». Un’altra volta sognai che si attentasse alla mia vita (fu quando lessi dei terribili sospetti legati alla morte improvvisa di Giovanni Paolo I, del compianto Albino Luciani). Sognai che tutti mi offrivano del caffè, io adoro questa bevanda, ma l'ho sempre bevuta amara, tutti però cercavano di convincermi a zuccherarla e mi offrivano bustine di zucchero vantando le virtù di questo ingrediente. Alla fine, sfinito, acconsentivo a prenderne una, ma mi accorgevo che la marca dello zucchero era «Cianuro di Potassio». Mi svegliavo sempre di soprassalto, madido di sudore, spaventato. Il primo istinto era di ritornare alla mia missione, tra i miei cari fratelli. Abbandonare tutto! Dimenticare tutto! Avrei potuto dir loro che Roma non fa per me. Che per me, vissuto sempre tra savana e giungla, la mancanza di ampi orizzonti era inaccettabile. Mi avrebbero capito, ma come avrei potuto d'ora innanzi con pura passione operare, sapendo che la nostra storia è dubbia? Dovevo rimanere, dovevo affrontare Satana, dovevo ingaggiare con lui un solitario e terribile braccio di ferro. Io non ho mai avuto paura. Chi ha poco o nulla, ha anche poco o nessuna paura. E allora riprendevo con ostinazione i miei studi febbrili e i miei febbrili sogni. Col passare del tempo, però, tutte le cose cominciavano a ritrovare lentamente un nuovo ordine, un 46 La verità è una bugia ordine insospettato, insospettabile fino a poco tempo prima. Col passare dei giorni, i sogni cominciavano a rasserenarsi, le idee a chiarirsi. Si alternavano però stati di euforia, di esaltazione, ma anche di sconforto e solitudine. Sono approdato, infine, naufrago di una nave sulla quale per tutta la mia esistenza avevo navigato, su una terra sconosciuta fino a quel momento. Una terra di cui non sospettavo l'esistenza. E questa terra è oggi il mio nuovo luogo. Un luogo molto simile a quello da cui provenivo, popolato anch'esso di tanti buoni e retti uomini, che però in virtù delle loro caratteristiche intellettive: intelligenza, creatività, attitudine speculativa non avevano alcuna fede religiosa, ma che, non per questo, erano privi d'amore, privi di principi morali. E' in questo luogo miei cari, amati fratelli e sorelle che desidero condurre voi tutti. Perché la terra da cui proveniamo, miei cari, è una terra che ora, spogliata delle sue apparenti verità, mi appare triste, lugubre, grondante di sangue e di menzogne. Ma lasciate, ora, che continui a narrarvi come sono arrivato in tale luogo, attraverso quali tortuosi e difficili sentieri, a seguito di quali scaturigini del mio pensiero”. La grande piazza rimaneva ammutolita, appesa alle labbra di Pietro II, ognuno guardava con aria interrogativa il proprio vicino. Alcuni, tra i più avveduti, cominciavano già ad azzardare congetture e responsabilità: congiure sioniste o arabe, i servizi segreti (quelli c'entrano sempre), meglio se deviati, la massoneria, la vendetta dei templari, e altro ancora. Il Pontefice però riprese a parlare. 47 Gaetano Tufano -"Dovete sapere, miei cari fratelli e sorelle che Rudolf Schnackenburg, tra i più importanti esegeti cattolici di lingua tedesca della seconda metà del XX secolo, alla fine della sua grande opera «La persona di Gesù Cristo nei quattro Vangeli», opera che rappresenta il risultato di una ricerca durata tutta la vita, afferma: «Mediante gli sforzi della ricerca coi metodi storico-critici non si riesce o si riesce solo in misura insufficiente a raggiungere una visione affidabile della figura storica di Gesù di Nazareth». (1;19) Un altro importante dato è che nell'impero romano, negli anni in cui Gesù sarebbe vissuto, vivevano e operavano numerosi storici e nessuno di loro fa diretta menzione del nostro Gesù. La testimonianza storica più vicina ci è data da Giuseppe Flavio, storico di origine ebraica, nato nel 37 d.C. e quindi solo pochi anni dopo la data della presunta morte di Gesù. Giuseppe Flavio nella sua voluminosa opera «Le Antichità Giudaiche», di circa milleduecento pagine, dedica alla figura di Gesù meno di dieci righe, che oltretutto da molti storici, per comprensibili e appropriati motivi, non sono ritenute autentiche. (1;20) Non voglio andare oltre, posso solo ripetervi con somma tristezza che il nostro Gesù, così come noi lo abbiamo conosciuto ed amato non è mai esistito. E dunque devo concordare con quanto affermato da Benedetto XVI nel suo «Gesù di Nazareth» quando dice: «Per la fede biblica, infatti, è fondamentale il riferimento a eventi storici reali», per concludere poco oltre che «Se mettiamo da parte questa storia, la fede cristiana in quanto tale viene eliminata e 48 La verità è una bugia trasformata in un’altra religione». (1,21) Dunque miei cari fratelli e sorelle, questa è la verità che oggi volevo annunciarvi. Di fatto le uniche testimonianze cui veramente possiamo aggrapparci sono i Vangeli, che non sono opera di storici. Essi appaiono essere un insieme di racconti letterari, che si riferiscono alla vita e agli insegnamenti di un Gesù che non ha, ahimè, sufficienti riscontri con la realtà storica. Non sono in grado di raccontare dettagli da esegeta, né sarebbe possibile farlo qui ed ora. Ho cercato di annotare tutto quanto ho potuto scoprire in questi mesi, rinchiuso nella biblioteca del Vaticano e ho riportato i dati più significativi e le fonti di quanto vi racconto in un “Quaderno di Appunti” che sarà reso pubblico a breve. Infine, anche volendo ipotizzare l’esistenza storica di Gesù, e quindi che i vangeli siano effettivamente frutto della sua parola, l’insegnamento che se ne desume, considerandoli nella loro totalità, non è per nulla assimilabile alla nostra confessione. L’insieme dei vangeli appare una disorganica congerie di scritti. Anche facendo riferimento soltanto a quelli canonici, si vedrà che le discordanze e le difformità fra di essi, soprattutto tra quelli sinottici di Marco, Luca e Matteo e il quarto, attribuito a Giovanni, sono tali da esigere uno sforzo di normalizzazione, a mio parere, ardito e inammissibile. Se si acconsente, poi, a considerare i vangeli canonici non miracolosamente disgiunti da tutti gli altri vangeli, l’impresa diventa addirittura impossibile, rendendo intollerabile qualsiasi semplicistico approccio inteso a salvaguardare l’interpretazione operata dal cristianesimo. Per completare un 49 Gaetano Tufano quadro già complesso e confuso, occorre notare che, come si può facilmente immaginare a questo punto, vi è grande disaccordo tra gli storici anche per quanto concerne le figure stesse degli evangelisti, figure molto poco determinabili storicamente. Solo a titolo di puro esempio vi racconterò che un giorno, durante le mie peripezie in biblioteca, ho scoperto l’esistenza di un vangelo attribuito a Pietro, di cui ignoravo l'esistenza. Io ho sempre amato Pietro perché come lui io mi sono sempre sentito «Kefa» (roccia) e «agrammatos» (incolto) e a lui ho desiderato ispirarmi assumendo il suo nome. Con mio grande stupore dovetti constatare, però, che sebbene stando ai Vangeli Canonici, Pietro abbia effettivamente conosciuto Gesù e quindi meglio di chiunque altro dovrebbe riportare la sua parola, ciononostante il vangelo a lui attribuito è considerato dalla Chiesa apocrifo, da nascondere, perché intriso di Docetismo. Tale dottrina, miei cari fratelli e sorelle, è una interpretazione cristologica, nata nell'ambito delle comunità gnostiche agli inizi dell'era cristiana, che ritiene Gesù incorporeo. Una interpretazione secondo la quale Gesù solo in apparenza avrebbe patito la passione e la crocifissione, salvando così l'umanità dal cosiddetto “scandalo della crocifissione” e affrancandone la coscienza da questo pesante, inaudito deicidio. Ma, molto stranamente, è proprio il vangelo attribuito a Pietro, che direttamente avrebbe conosciuto Gesù, a sostenerlo. Un altro aspetto singolare riguarda il criterio di determinazione dei vangeli canonici che durante i primi 50 La verità è una bugia concili dell’antichità decise l'affermazione dei vangeli di Marco, Matteo, Luca e Giovanni rispetto alla totalità dei vangeli e l'esclusione degli altri (alcune decine, contando solamente quelli a noi pervenuti). La nostra confessione è stata quindi fondata su una piccola parte di tutti gli scritti che parlano degli insegnamenti e della vita di Gesù. Mentre, come abbiamo visto, la religione che emerge dalla sintesi di tutti i vangeli, miei cari fratelli e sorelle, è molto diversa da quella cristiana-cattolica e racconta un Gesù molto diverso da quello che conosciamo. Uno di questi vangeli, trovato in Egitto nel 1978, racconta gli ultimi giorni della vita terrena del nostro Gesù in modo molto diverso rispetto ai vangeli canonici. Gesù appare in contrasto con le usanze e i culti comuni e con gli stessi discepoli, che ritiene incapaci di comprendere il vero spirito della sua religione. Tra essi, solo Giuda è ritenuto in grado di servire veramente Dio e di mettere in atto i suoi propositi. Gesù chiede dunque a Giuda di favorire la sua cattura e la sua morte, che lo libererà dal corpo, considerato un inutile involucro in opposizione alla vera spiritualità. In un altro vangelo, quello attribuito a Tommaso, anch'esso però non accettabile per la Chiesa, sebbene secondo le sacre scritture Tommaso fosse uno dei dodici apostoli di Gesù, emerge la visione che il Regno di Dio è già presente sulla Terra e che la luce divina, presente in tutti gli uomini, può permettere loro di vedere il Regno ed entrarvi. Capite, miei cari fratelli e sorelle, l’imbarazzo in cui io, povero frate francescano, mi sono immediatamente 51 Gaetano Tufano ritrovato: l’essenza stessa della nostra dottrina appare confusa. Essa sembra essere stata distillata da una diversa filosofia per separazione di elementi. Ma quale criterio ha determinato la decisione del punto di ebollizione? E, quale sia stato il metodo, è mai concepibile l’applicazione di procedimenti discriminatori ad una dottrina? Sfrondando elementi considerati spuri, non ne deriva forse una dottrina del tutto nuova e diversa, non più fedele quindi agli insegnamenti del suo fondatore? La Chiesa considera ‘ispirati’ i vangeli canonici, ma quale giudizio, non arbitrario, ha stabilito quali fossero ispirati? Vi sono numerose teorie riguardo ai criteri di determinazione di queste scelte, tutte però a mio avviso insoddisfacenti e inaccettabili. Probabilmente il vescovo Ireneo di Lione ebbe una parte significativa in questo vaglio, ma non ne ho conferme. Così come ad una prima disamina parrebbe che Paolo di Tarso dovette avere molta influenza nell’orientare la dottrina originaria nel senso in cui noi la conosciamo. Tanto che qualcuno ha potuto affermare che il vero fondatore del cristianesimo fu proprio San Paolo. Vedete dunque, miei cari fratelli e sorelle, che anche nel caso dell’ipotesi dell’esistenza storica di Gesù, permarrebbero legittime e inquietanti domande sulla nostra religione. Quale è stato il vero insegnamento di nostro Signore? E, di conseguenza, qual è la strada che devo seguire? Non ho trovato risposte, miei cari fratelli e sorelle, e non credo sia ormai possibile dare una risposta definitiva ed esauriente a tali domande, poiché oramai, dopo duemila anni, le fonti, laddove esistessero ancora, sarebbero troppo contaminate e lascerebbero eccessivi margini di interpretazione”. 52 La verità è una bugia La folla, fin ora muta, aveva cominciato a manifestare qualche disappunto, qualcuno gridò che si stava avverando la profezia di San Malachia di Armag sull’ultimo Papa, ma Pietro II continuò imperterrito a parlare. -"Miei cari fratelli e sorelle, dobbiamo ora con coraggio affrontare queste verità e con altrettanto coraggio dobbiamo prendere in mano il nostro destino. Io sono vecchio oramai, ho passato l'intera mia vita a servire Dio e ad amare un fratello inesistente, ma badate, io oggi non mi sento orfano. Certamente mi sento ingannato da quanti, prima di me, forse già conoscevano queste verità e le hanno taciute, ma per quanto riguarda la mia esistenza, sono felice di averla spesa a favore del mio prossimo. Ripensandoci, nessuna delle mie azioni è stata compiuta nella speranza di una ultraterrena ricompensa, ma per amore. E devo ora ammettere che la mia compassione cristiana, è in realtà una spontanea solidarietà per il mio prossimo. E’ compassione nel suo significato etimologico di «comunanza di dolore», compassione dovuta al fatto che noi tutti esseri viventi veniamo «gettati» su questa terra senza conoscere né il senso, né il fine di questa esistenza. In aggiunta, come tutti sperimentiamo, è un’esistenza non facile, a volte gioiosa, certo, ma altre volte piena di sofferenze di cui non sappiamo l’origine e il significato. E infine, di questa nostra esistenza, di questo nostro stare al mondo, miei cari fratelli e sorelle, dobbiamo ammettere di sapere molto poco. Io credo che sebbene noi uomini oggi possediamo grande conoscenza dell'ambiente fisico che ci circonda, sebbene abbiamo fatto grandi e prodigiose scoperte circa l’universo in cui viviamo, se 53 Gaetano Tufano chiedessimo a noi stessi risposte alle uniche domande che contano, scopriremmo di saperne quanto il seme di grano che viene gettato dal contadino durante la semina perché germogli e produca spighe di grano. Esso una volta nella terra farà del suo meglio per non essere mangiato dagli uccelli, per impiantare le sue radici, per resistere alle malattie, per farsi grande, bello e forte, ma senza conoscerne il motivo, né il fine ultimo. Scopriremmo di saperne quanto il sasso che rotola giù dalla montagna, chiamato a valle da una forza sconosciuta, cui ciecamente obbedisce, non opponendo resistenza alcuna, senza neppure domandarsi se esista una diversa possibilità. Questa è la condizione in cui ci troviamo e che ci accomuna, miei cari fratelli e sorelle, e per questo motivo, io credo, noi dobbiamo essere solidali tra di noi. Noi non possiamo sapere se qualcuno, all'infuori di noi stessi possa darci aiuto e conforto. Miei cari fratelli e sorelle andate ora, fate ritorno alle vostre case, abbracciate i vostri figli, consapevoli finalmente di voi stessi, senza più alcun alibi, padroni del vostro destino, ma ricordate sempre che noi tutti esseri viventi siamo come fratelli, inseparabili compagni di questa meravigliosa e terribile avventura che è l'esistenza”. Piazza San Pietro ormai era un turbinio di pianti inconsolabili, ma Pietro II non ascoltava più. Sorrideva con gli occhi fissi verso un punto indefinito del cielo, i suoi ricordi veleggiavano tra le verdi colline e i regolari campi coltivati, irrigati da interminabili condotte d'acqua, che erano stati gli orizzonti della sua infanzia. Pietro II volava sopra le 54 La verità è una bugia cascate Vittoria, che aveva potuto osservare da un piccolo aereo mentre raggiungeva la sua missione. Volava sulle acacie ombrellifere della sua savana e sui fiumi melmosi che avevano accompagnato la sua opera di missionario da adulto. Si rivide bambino timido e impacciato, poi giovane pieno d'energia e d'ideali, poi maturo, caritatevole e in profonda e sconfortata pena verso ogni suo simile, infine si rivide vecchio, stanco e deluso. Pietro II alzò la mano destra in segno di benedizione verso i suoi cari fratelli e sorelle, chiuse gli occhi stanco e sognò. 55 Gaetano Tufano Il secondo sogno di Pietro II Si sentiva aquila, volava alto nel cielo contemplando felice la natura sottostante. Avvertiva dentro di sé tutta la sua forza, la sua bellezza. Amava volare lassù perché gli sembrava di aderire al suo istinto di allontanarsi dalle cose terrene per diventare etereo, incorporeo. Volava veloce, sempre più veloce fino a sentire che il suo corpo diventare quasi immateriale, che si liberava per mezzo dell'attrito con l'aria tersa di tutte le sue impurità. Passava vicinissimo alle pareti e velocissimo lungo le pendici delle montagne esplorando il territorio. Fino a che avvistava laggiù una lepre che gli rammentava il suo istinto di predatore: piombare inaspettato sulla preda. Ma subito dopo si ritrovava a combattere con questo istinto, lui desiderava essere aquila per 56 La verità è una bugia volare non per uccidere. Nel dibattimento interiore si riscopriva, di colpo, lepre minacciata dall'aquila e correva con il cuore in gola nel prato aperto in cui si era avventurata, finendo però per essere agguantata dalle forti zampe dell'aquila. Il dolore era forte, ma ancora più forte era il dolore per i suoi piccoli, che non avrebbe più rivisto e che senza la loro madre sarebbero sicuramente morti. Nel frattempo erano giunti nel nido dell'aquila, dove dei piccoli rapaci attendevano il cibo, e allora la lepre capì che sarebbe stata il loro pasto e che sarebbe stata lacerata dai loro becchi taglienti. La lepre sentì ancora una volta i morsi dei cocci che avevano ucciso Ipazia, sentì il suo petto sfondarsi sotto i colpi possenti dei becchi e sentì estrarre il suo cuore ancora palpitante. Ebbe il tempo di chiedersi la ragione della sua trasformazione da aquila a lepre, ma non d'immaginare la risposta. La vista si offuscò, l'ultima cosa che vide, prima di chiudere per sempre gli occhi, fu un balenio metallico, lontano, davanti a sé e se ne meravigliò. 57 Gaetano Tufano La morte di Pietro II Pietro II era stato ucciso da un colpo di fucile di precisione in pieno petto. Poco dopo un laconico comunicato stampa della Santa Sede dichiarava che il pontefice Pietro II era stato stroncato da un non meglio precisato malore, e che la sua omelia era da ritenersi frutto dell'obnubilazione dovuta all'incipiente malore. 58 La verità è una bugia Parte Seconda 59 Gaetano Tufano Riunione del collegio dei cardinali Il cardinale camerlengo di Santa Romana Chiesa e decano del consiglio dei cardinali, Corrado Bonanno, il giorno successivo alla morte di Pietro II convocò la riunione del collegio cardinalizio per informare della morte del Santo Padre. Successivamente, la Congregazione Cardinalizia si sarebbe riunita per decidere le date dei funerali solenni e per dare inizio ai novendiali, dopodiché un nuovo conclave, a così breve distanza dal precedente, sarebbe potuto essere convocato. Il Sacro Collegio era preoccupato e in tensione per le voci che circolavano sulla morte del Pontefice. Già la sera precedente però c'era stata una riunione molto ristretta di cardinali e vescovi, sempre indetta da Sua Eminenza Corrado Bonanno e protrattasi fino a notte fonda, durante la quale 60 La verità è una bugia furono stabilite le posizioni ufficiali della Santa Sede sulla morte di Pietro II. Fu subito chiaro che il primo laconico comunicato emesso, che attribuiva le cause del decesso ad un imprecisato malore, fosse in realtà insostenibile: l'evento era stato registrato dalle televisioni e la brusca e improvvisa caduta all'indietro del Pontefice, come fosse stato spinto da un violento pugno, era incompatibile con qualsiasi tipo di malore. Neppure era possibile oramai ritornare sui propri passi e riformulare il precedente comunicato: il tentativo di mistificazione sarebbe risultato oltremodo sospetto e avrebbe alimentato pericolosi dubbi. La posizione da prendere era chiara ed obbligata: confermare ufficialmente il primo comunicato alla stampa, ma far immediatamente trapelare la notizia che i vertici della Santa Sede, accertato che si era trattato di un assassinio, stessero in realtà dissimulando per il bene comune. Facendo immaginare che essi stessi brancolassero nel buio più assoluto, incapaci di immaginare chi avesse potuto concepire un così abominevole atto, potenziale causa di gravissime conseguenze. Quale potenza straniera poteva annidarsi dietro il grilletto dell'arma che aveva causato la morte di frate Rosario? Quali interessi e fini perseguiva? Il defunto Papa stava scuotendo "ab imis fundamentis" la Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana, chi poteva desiderare che ciò non accadesse? Queste erano le domande che Corrado Bonanno desiderava suscitare nell'opinione pubblica, forte della posizione al di sopra di ogni plausibile sospetto di cui godeva la Chiesa e sicuro pertanto che nessuno alla domanda Cui prodest? Potesse davvero in cuor suo rispondere: alla Chiesa Cattolica! 61 Gaetano Tufano Con queste premesse e queste posizioni in mente il ristretto circolo di cardinali e vescovi incontrarono il Sacro Collegio. Avrebbero quindi ammesso l'inaudito, inspiegabile, inconfessabile assassinio del Papa da parte di entità sconosciute. Avrebbero, poi, avanzato plausibili e strampalate ipotesi miscelate sapientemente. E, infine, avrebbero raccomandato, per il bene di tutta l'umanità in primo luogo e della Santa Chiesa subito dopo, di non far trapelare in alcun modo questa atroce insopportabile verità, confermando, invece, pienamente, l'ipotesi del malore. Il porporato poteva avere così la statistica certezza che alcuni di essi avrebbero goffamente cercato di confermare la tesi ufficiale, che la maggior parte avrebbe cercato ostinatamente di eludere qualsiasi genere di domanda, e che, infine, qualcuno di loro avrebbe in realtà confessato la verità, ingenuamente e vanamente pregando di mantenere riservata l'estirpata esternazione. Il collegio dei cardinali attendeva impazientemente e addolorato la relazione sull'accaduto. Nessuno aveva potuto dare credito al comunicato ufficiale, troppi erano stati i testimoni della morte, troppe ed insistenti voci erano circolate sul sangue che aveva imbrattato il bianco abito talare del Pontefice. I cardinali temevano di doversi confrontare con inaccettabili posizioni ufficiali lungi dalle evidenze e dalla verità, ma dovettero ricredersi di fronte alla appassionata addolorata ammissione dell'assassinio del loro amato frate Rosario. Così come dovettero ammettere con rasserenante soddisfazione l'assoluta liceità delle varie ipotesi, ed anzi essi stessi ne avanzarono delle nuove, secondo le loro personali 62 La verità è una bugia esperienze e le loro personali analisi politiche. Molte delle loro ipotesi furono di fatto ammesse tra quelle plausibili. Il cardinale Bonanno intimamente soddisfatto dell'andamento dell'inclito consiglio osservò con enfasi: "Ora che sappiamo che la nostra Santa Chiesa ha dei nemici noi tutti dobbiamo essere più forti e uniti e dobbiamo molto pregare affinché, con l'aiuto di Nostro Signore, gli oscuri disegni che aleggiano sopra la Santa Sede siano portati alla luce e dissolti come tenebre di fronte al sole. Non sappiamo chi abbia indotto il nostro amato Pontefice, di indubbia fede e sempre vissuto secondo la più completa carità cristiana, che da sempre contraddistingue l'ordine cui apparteneva, a dire tali terribili menzogne, e non sappiamo chi abbia voluto porre fine alla sua vita proprio durante l'Angelus. Sono state aperte delle indagini su tutto quanto accaduto. Pietro II è stato costretto a leggere un documento preparato da qualcuno, ma non sappiamo chi. Il discorso originale era stato condiviso e concordato come di consueto. Il Papa deve essere stato posto sotto minaccia diretta oppure indiretta per mezzo di qualche suo caro. Il nostro capo della sicurezza si è immediatamente messo al lavoro e ci fornisce continui aggiornamenti. Sono sicuro che presto saremo in grado di conoscere i responsabili. Nello stesso tempo preghiamo per il nostro Santo Padre Pietro II, diamo luogo ai solenni funerali e ai novendiali. Sono sicuro di non aver bisogno di ricordare che quanto qui affermato è della massima riservatezza, e che per il bene dell'umanità e della nostra Santa Chiesa, nessuna informazione deve trapelare fuori da questo santo capitolo”. 63 Gaetano Tufano Il Segretario di Stato, il cardinale Achille Ranghetti, volle aggiungere che "In fondo non conoscevamo così bene il nostro Santo Padre, egli ha vissuto la maggior parte della sua vita in paesi lontani frequentando potenzialmente agenti stranieri con chissà quali interessi e fini. Potrebbero esserci aspetti della sua vita che non ci sono noti, dobbiamo ora agire con la massima prudenza e confidare nell'aiuto di Nostro Signore per la salvezza della Sua Chiesa. Ora più che mai dobbiamo essere uniti affinché la forza di mutua congiunzione unisca le membra tra loro in modo che, pur agendo come un unico corpo vivificato dallo Spirito Santo, le singole membra godano comunque della loro propria personalità. Andiamo in pace”. Tutti assentirono e si separarono. Pochi giorni dopo numerose illazioni sarebbero circolate amplificate e circostanziate su tutti i giornali. Mentre la posizione ufficiale veniva mantenuta coerente con il primo breve comunicato. Come sempre accade in questi casi, tutto lo spettro delle possibili interpretazioni degli avvenimenti viene dipanato e l'opinione pubblica si dispone secondo la nota curva gaussiana. Si noterà così che ad un estremo della curva una bassa percentuale della popolazione accetta acriticamente il comunicato ufficiale, non opponendo alcun dubbio e alcuna obiezione. Un'altrettanta bassa percentuale di popolazione scettica si pone all'estremo opposto della curva, non dando alcun credito al comunicato ufficiale e avanzando le più disparate ipotesi, mentre la maggioranza della popolazione si pone tra i due opposti coprendo l'intero ventaglio delle 64 La verità è una bugia posizioni moderate ed innocue tra i due estremi. A tutti è evidente che le uniche opinioni temibili sono quelle degli scettici, ma in realtà, solo una parte di esse sono potenzialmente pericolose, quelle che individuano la verità. Tutti sanno, però, che per neutralizzarle, è sufficiente mettere in giro informazioni e ipotesi fantasiose e strampalate. In tal modo le ipotesi più accreditate e plausibili, e quindi potenzialmente pericolose, si perderanno nel magma delle stravaganti congetture e saranno così disinnescate. Corrado Bonanno, pur avendo una vasta cultura e una grandissima esperienza, su talune questioni preferiva affidarsi al suo fiuto politico. Egli aveva quella rara innata capacità, che solo i politici di talento hanno, di saper istintivamente valutare gli effetti delle loro azioni sull'opinione pubblica. Sapeva intuitivamente usare la comunicazione per ottenere i risultati auspicati. I suoi pensieri si disponevano naturalmente sulle posizioni più adeguate ai fini ultimi e né a lui stesso, né agli altri apparivano mistificatori della realtà. Egli aveva quel naturale carisma che gli consentiva di essere spontaneamente convincente, tanto da far apparire la sua posizione non soltanto l'unica sostenibile e l'unica da sostenere, ma anche che fosse l’unica inopinatamente corretta e aderente alla realtà. 65 Gaetano Tufano Il cardinale Corrado Bonanno Corrado Bonanno era nato in Sicilia, ma la sua famiglia si era ben presto trasferita a Roma, suo zio paterno era parroco di una parrocchia nella zona di Roma Torre Gaia, nell'area est della capitale, a ridosso ed esternamente al Grande Raccordo Anulare. Corrado negli anni della scuola dimostrò grande acume e amore per lo studio, soprattutto per le materie umanistiche, per la Storia in particolare e per la Filosofia in secondo luogo. Di natura era riservato, quasi introverso, partecipava poco alla vita della classe e, per lo più, dai suoi compagni era tenuto in considerazione quasi unicamente per la sua disponibilità a passare informazioni 66 La verità è una bugia durante i compiti in classe. Per tutto il periodo del liceo fu intimamente, inconfessabilmente innamorato di una sua compagna di classe. Lei era molto bella, i suoi boccoli d'oro su di un viso vivo e intelligente, il suo carattere estroverso, sempre allegro, sempre al centro delle premure di tutti, la rendevano irrimediabilmente lontana, inarrivabile. Corrado trascorse gli anni del liceo nel culto dei due amori della sua vita. Da un lato, nel culto e nella adorazione di lei, di ogni suo movimento, di ogni piega dei suoi dolci capelli, dall'altro lato coltivava i suoi studi storici, che amava, ma che gli servivano anche per non pensare troppo alla sua amata, quando la mancanza di lei si faceva sentire troppo. Corrado sapeva sprofondare in ricerche storiche i cui risultati stupivano gli stessi suoi insegnati per la sua spiccata capacità di mettere insieme una grande quantità di informazioni ben collegate tra di loro, traendone originali significati, magari non sempre ortodossi, ma sempre acuti e pieni di spunti interessanti e originali. Lucrezia, così si chiamava la sua bella, gli capitava a volte di incrociarla al mattino andando a scuola. Arrivavano sulla strada che portava al liceo da opposte direzioni, quando capitava che nello stesso istante entrambi sbucassero sull'ultimo pezzo di strada, incrociandosi, Corrado la fissava negli occhi, raggiante di gioia, ma teso a non dimostrarlo in alcun modo, e con gli occhi le parlava. Le parlava per brevi intensissimi istanti, e a volte gli pareva che lei capisse i suoi occulti messaggi, che lei provasse le sue stesse emozioni e che rispondesse, ma forse era solo suggestione. Corrado, 67 Gaetano Tufano bisogna dirlo, era un bel ragazzo, era alto, aveva un buon fisico, gli occhi e i capelli neri, lo sguardo profondo. Era dunque un tipo che può senz’altro piacere a una ragazza, ma il suo carattere eccessivamente introverso e timido, l’assenza di qualsiasi interesse per tutto ciò cui i suoi coetanei erano normalmente interessati a favore dell’interesse per i suoi studi, lo facevano probabilmente sembrare altrettanto distante, ma in una direzione opposta rispetto a quella di Lucrezia. L'ultimo anno di scuola Corrado fu assalito dalla terribile consapevolezza che al termine dell'anno scolastico la magia di quegli incontri sarebbe finita per sempre. Che non avrebbe più potuto per un'intera mattinata gioire, bearsi della sua presenza, ascoltare la sua voce. Corrado malediva la sua natura, in cinque anni non era mai stato capace di rivolgerle la parola se non per qualche breve e timido saluto. L'anno terminò, arrivarono gli esami di maturità e terminarono anche questi. A fine luglio ricevette una telefonata, era Lucrezia, gli chiedeva di andare a trovarla a casa sua perché aveva deciso di iscriversi alla facoltà di Filosofia. Intendeva chiedergli qualche consiglio. L’appuntamento fu fissato per il pomeriggio del giorno successivo. Corrado riappese la cornetta in un indescrivibile stato di esaltazione, i suoi pensieri vagliarono più volte in pochi istanti tutte le possibili interpretazioni di una tale telefonata, compresa l’eventualità che fosse un crudele scherzo goliardico. Inutile dire che trascorse agitatissimo il tempo che lo 68 La verità è una bugia separava da Lucrezia. Doveva restare calmo e non farsi eccessive illusioni, questo si diceva, tanto, anche solo rivederla era già un insperato traguardo. Se poi davvero lei avesse scelto la facoltà di Filosofia avrebbero sicuramente avuto modo di incontrarsi a qualche lezione, fare insieme un intero corso, magari preparare insieme un esame, chissà? Il giorno successivo Corrado con la morte nel cuore si avviò verso la casa della sua bella. Lucrezia lo accolse con molta cortesia, e, come era nella sua natura espansiva, gli fece delle feste come se finalmente rivedesse il migliore dei suoi amici dopo anni. Lucrezia gli confidò le sue intenzioni e i suoi dubbi. Temeva l’eccessiva difficoltà di taluni esami presenti nel corso di studi che predilegeva. Si confrontarono, Corrado mostrò tutta la sua competenza in materia, egli ovviamente intendeva iscriversi alla stessa facoltà per seguire essenzialmente corsi di Storia, ma senz’altro avrebbe seguito più di un corso di Filosofia. Presero alcuni accordi: Corrado non avrebbe mai lasciato Lucrezia da sola con alcuni filosofi particolarmente ostici e Lucrezia si sarebbe sottoposta alla lettura propedeutica di qualche manuale di filosofia che gli aveva consigliato. Concordarono di ritrovarsi dopo le vacanze per andare insieme a iscriversi ai primi corsi. Lucrezia era raggiante, Corrado veleggiava con la mente sopra un mare trasparente, in direzione dell’ultimo dei cieli, illuminato da un sole che emanava raggi di mille sfavillanti colori. Si salutarono calorosamente abbracciandosi, entrambi colmi di gioia per aver trovato una così insperata sintonia, e Lucrezia nella sua espansività, sulla soglia di casa, prima di lasciarlo gli stampò sulla bocca un appassionato indimenticabile bacio. 69 Gaetano Tufano Era fatta. Corrado fece le scale in preda alla più dolce e tenera sensazione mai provata. Tutti i suoi sensi erano inebriati di Lucrezia. Lucrezia, Lucrezia, questo immenso astro che sorridente spandeva gioia nel mondo intero. Chiudeva gli occhi per concentrarsi e riusciva così a risentire il sapore delle sue labbra. Aveva toccato per un attimo i suoi capelli d’oro prezioso e fra le sue dita gliene era rimasto l’inebriante odore. Risentiva la sua cara vibrante voce che, promettendogli di chiamarlo appena rientrata dalle vacanze, gli prometteva il paradiso. Che cos’è un mese? Erano trascorsi cinque anni nell’adorazione di una irraggiungibile dea, non lo spaventava aspettare un mese, e poi aveva dolcissimi ricordi con cui passare il tempo nell’attesa di lei. E agosto trascorse come previsto. A fine agosto Corrado venne a sapere che Lucrezia durante le vacanze era stata vittima di un incidente. Nessuno aveva saputo dirgli bene cosa fosse accaduto esattamente, riscontrava una strana reticenza durante i resoconti, come se ci fosse qualcosa da nascondere. Una mattina dei primi giorni di settembre Corrado andò a cercarla al cimitero del Verano. La trovò. La foto sulla lapide la ricordava in tutta la sua fiorente giovinezza. Era ancora estate e la foto di Lucrezia e il caldo sole d'inizio settembre si contrapponevano inconciliabilmente con il silenzio di quei luoghi. Una leggera brezza gli portava, soffocati, i rumori della città appena fuori dalle mura, avvertiva un lontano pianto. Corrado chiuse gli occhi pieni di lacrime e immaginò di non poter sperare migliore sorte per lui 70 La verità è una bugia che quella di essere anche lui morto e anche lui sepolto accanto a lei. Ritornato a casa Corrado dovette subire suo padre che da qualche tempo tentava di convincere suo figlio a scegliere la facoltà di giurisprudenza anziché quella di Lettere e Filosofia. Suo padre quel giorno, contrariamente al solito, trovò Corrado molto accondiscendente e arrendevole, atteggiamento lontanissimo dal suo carattere, solitamente testardo e sicuro di sé. Corrado accettò di iscriversi a legge, frequentò con profitto e si laureò con il massimo dei voti, ma quando si trattò di entrare nell'ufficio legale del padre si oppose con fermezza, rifiutando anche qualsiasi altra ipotesi di impiego. Infine, incalzato dalla continua prevaricante insistenza del padre, Corrado si recò alla parrocchia di suo zio e a questi chiese consigli su come intraprendere la carriera ecclesiastica. Qualche anno dopo Corrado fu ordinato sacerdote. Corrado ebbe modo di perfezionare i suoi studi storici frequentando assiduamente biblioteche e archivi sia in Italia sia all'estero. Per i suoi meriti divenne prefetto di una delle più importanti biblioteche di Roma. Corrado fu sempre apprezzato per la sua vasta erudizione, ebbe una carriera folgorante, fu uno dei più giovani cardinali e all'epoca in cui sono accaduti i fatti qui riportati, era considerato uno degli uomini di maggiore influenza nella gestione politica ed economica dello Stato Pontificio. 71 Gaetano Tufano La partita a scacchi Il cardinale Ranghetti e il cardinale Bonanno spesso si ritrovavano la sera per una partita a scacchi. Entrambi erano degli abili giocatori. Amavano disputare una buona partita, discorrere amabilmente di questioni politiche e magari sorseggiare una buona grappa d'annata. Il segretario di stato, cardinale Achille Ranghetti, recuperò da un armadio una bellissima scacchiera di legno con il piano in alabastro e i pezzi in ottone. Dispose con cura i pezzi, mettendo ciascuno di essi ben in centro alla sua casa, prese quindi posto dalla parte del nero e invitò il suo avversario a fare la prima mossa. -"Caro Bonanno, sono giorni difficili, sembra però, 72 La verità è una bugia devo dire, che la situazione sia per il momento controllabile e che le conseguenze forse potranno non essere così gravi come abbiamo temuto in un primissimo momento. Certo le discussioni in corso in questi giorni su tutti i media e su tutti i network in gran parte del mondo, fanno tremare queste mura dalle fondamenta come e più di un terremoto, ma le azioni messe in atto per adesso stanno mantenendo le discussioni entro limiti circoscritti ed accettabili. Molti network televisivi, già da ieri sera, stanno trasmettendo documentari che dimostrano l'esistenza storica di Nostro Signore Gesù Cristo. Tra ieri e oggi si susseguono dibattiti televisivi in cui storici laici, anche non credenti, per lo più italiani, francesi e tedeschi avallano la tesi dell'esistenza portando a testimonianza prove inconfutabili e ridicolizzando la posizione dell’inesistenza. Cosa molto importante, siamo riusciti a orientare le discussioni sulla questione dell’esistenza di Nostro Signore deviandole il più possibile dall’ipotesi dell’assassinio del Santo Padre e dai sospetti di possibili responsabilità della Santa Sede. Moltissimi storici anche laici e non credenti sono comunque dalla nostra parte. In ogni caso la questione dell’esistenza di Nostro Signore è un argomento così complesso che consentirà ai nostri oppositori di consumare tutte le loro energie nel tentativo di dimostrarne l’inesistenza. Alla fine la questione diventerà oziosa, noiosa e si spegnerà”. -“Ottimo lavoro, caro Ranghetti. Questa volta Apertura Inglese: Pedone in ‘c4’”. 73 Gaetano Tufano -“Un’altra buona notizia è che siamo riusciti a bloccare la diretta televisiva in quasi tutti i paesi dell’America Latina, prima che il discorso di frate Rosario raggiungesse argomenti troppo compromettenti, dunque da quell’area ci dovremo aspettare minori reazioni, la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica è stata preservata. Pedone in ‘c5’”. -“Caro Ranghetti, Lei avrebbe dovuto ascoltarmi quando le ho detto che occorreva porre immediatamente fine al discorso del nostro buon Rosario. Cavallo in ‘f3’. -“In tutta onestà non pensavo sarebbe giunto fino a quel punto. In uno dei momenti cruciali gli avevo toccato una spalla, mi aveva risposto con un sorriso rassicurante, mi ero fidato. Non lo ritenevo capace di tanto. Cavallo in ‘f6’”. -“Tutti ci siamo sbagliati. Cavallo in ‘c3’”. -“Mi sento comunque in difetto, Lei me lo aveva affidato. Io avrei potuto impedire tutto questo. Mi sento responsabile per la sua morte. Pedone in ‘d5’”. -“Non ci pensi. Tutti sbagliano. Nelle nostre delicate posizioni gli errori hanno spesso pesanti conseguenze, non dobbiamo farci coinvolgere troppo, mio caro Ranghetti, altrimenti noi stessi ne siamo travolti. Se così dovesse accadere sarebbe finita, non solo per noi stessi, ma anche per ciò che noi rappresentiamo. In questi momenti bisogna rimanere saldi nella propria posizione e non lasciarsi trasportare dalla corrente. Mi prenderò il Suo Pedone in ‘d5’, con il Suo permesso”. 74 La verità è una bugia -“Lei va subito al dunque, come sempre, ebbene ecco Cavallo in ‘d5’ e riprendo il mio pedone”. -“Del resto, Rosario stesso ha ricordato quanto hanno dovuto fare i nostri predecessori, nei secoli e nei millenni, per usare le stesse sue parole, per la salvaguardia della nostra Chiesa. Dunque era consapevole dei pesanti oneri di cui ci si fa carico quando si è a capo di una qualsivoglia organizzazione. Oneri tanto più pesanti quanto più grande e importante è l’organizzazione. Sappiamo tutti che occorre un enorme senso di responsabilità, e occorre a volte sacrificare se stessi e l'interesse dei singoli, per perseguire fini superiori. La Chiesa è una delle organizzazioni terrene più longeve in assoluto e tra le più importanti. Non so quale altra organizzazione sia durata per oltre duemila anni. Non tutti sono in grado di sopportare l’enorme responsabilità che ne deriva. Pedone in ‘e4’”. -“E’ così, mio caro Bonanno. Il fine superiore è di gran lunga più importante del destino dei singoli. Probabilmente saremmo ancora nelle caverne se l’essere umano non avesse abbracciato questo semplice principio. Il nostro buon frate Rosario non l’aveva capito. Cavallo in b4’”. -“Frate Rosario era un puro e i puri possono essere molto pericolosi, vanno utilizzati con grande attenzione. Molti puri nella storia hanno fatto grandi cose, pensi a Gandhi, tanto per citarne uno. Lui però era consapevole dei suoi limiti. Sapeva che il suo potere gli derivava dalla sua straordinaria coerenza. Sapeva che se avesse accettato posizioni di potere avrebbe dovuto scendere a compromessi con la sua coscienza, per 75 Gaetano Tufano seguire ‘I Fini Superiori’ perdendo così la sua intima coerenza, fonte di ogni suo carismatico potere. Nella vita occorre fare delle scelte, mio caro Ranghetti. Gandhi non era né uno stupido né un ingenuo. Il nostro Rosario ha peccato di grande ingenuità o di poca intelligenza. Non posso dire. Non ho potuto conoscerlo così bene. Alfiere bianco in ‘c4’”. -“Condivido la Sua analisi. Il suo pensiero è tranchant come questa Sua mossa. La mia risposta è Pedone in 'e6', caro Bonanno'". -"Ottima risposta, carissimo. Tornando a noi, direi che, comunque sia andata, è stato un vero peccato aver perduto un uomo del valore di Rosario. Nella sua precedente posizione aveva reso grandi servigi alla Chiesa. Sapeva farsi amare, la sua opera è stata molto apprezzata e ha guadagnato moltissimi nuovi fedeli e innumerevoli consensi anche tra laici e tra i nostri consueti oppositori. Ce ne vorrebbero di più di uomini così. Ora devo arroccare”. -"La domanda che mi pongo è: dove sperava di poter arrivare? Non è in alcun modo pensabile di sovvertire un ordine durato duemila anni con una esternazione di un'ora o poco più. La storia ha una sua complessa dinamica, le innovazioni prima di portare i frutti sperati, vanno digerite, metabolizzate devono diventare parte di noi stessi. Occorrono centinaia di anni affinché un'idea diventi patrimonio di tutti. Cavallo da ‘b8’ a ‘c6'“. -"Lei ha fatto una mossa impegnativa, caro Ranghetti, poco prudente, direi. E noi dobbiamo essere molto prudenti ora. 76 La verità è una bugia Ogni nostra azione deve ora essere guidata da mano sicura e consapevole. Perché io temo che in realtà il nostro Rosario sia riuscito a gettare il seme che genererà la nostra fine, certo non immediata, ma temo che abbia dato inizio ad un processo inarrestabile, che possiamo solo cercare di procrastinare il più possibile. Grazie alle azioni poste già in atto e ad altre che attueremo a mano a mano che si presenterà il caso, non vi saranno gravi conseguenze nell'immediato, come Lei dice, caro Ranghetti, occorreranno centinaia di anni, ma temo proprio che questo evento abbia segnato l'inizio dell'era della decadenza della Chiesa. La mia mossa è Pedone in ‘d3'“. -"Lei mi spaventa Caro Bonanno. Si spieghi meglio. Muovo il Cavallo in ‘d4'“. -"Le conviene stare più attento al gioco, caro Ranghetti, altrimenti questa partita la perderà. Ha dovuto fare una mossa forzata. Lei, mi perdoni, questa sera mi sembra un po' distratto. Le prendo il suo Cavallo in ‘d4’ con il mio Cavallo in ‘f3', se permette”. -"Va bene. Ma, mi perdoni, io non so Lei come faccia a rimanere così imperturbabile di fronte ad eventi di tale portata. Ad ogni buon conto le rendo pane per focaccia e con il mio Pedone in ‘c5’ mi prendo il Suo buon Cavallo in 'd4', Caro Bonanno”. -"Muoverò il Cavallo restante in 'e2', allora. -"La mia risposta è Pedone in 'a6'“. -"Risposta necessaria, caro Ranghetti. Ora porterò il mio 77 Gaetano Tufano Cavallo in 'g3'“. -"Per un attimo mi sono illuso che stesse scappando con quel suo Cavallo. Svilupperò il mio Alfiere nero in 'd6'“. -"Non si perda d'animo Lei è perfettamente all'altezza della situazione. Muovo il Pedone in ‘f4'“. -"Arrocco. Ma mi dica almeno una cosa, caro Bonanno, Lei che ha una così vasta cultura, come giudica dal punto di vista storico il discorso di frate Rosario, ci trova inesattezze, errori?" -"Mi costringe a riflettere. Le dirò, caro Ranghetti, i riferimenti storici sono sufficientemente corretti, i numeri riportati sono probabilmente esagerati in eccesso, ma questo è irrilevante, le interpretazioni forse un po' frettolose e grossolane, ma anch'esse sono sostanzialmente corrette. Ovviamente non concordo nel modo più completo con le conclusioni che Rosario ne ha tratto. E' il momento della Regina, mio buon Ranghetti: Regina in 'f3'“. -"Posso chiederle di esplicitare meglio il suo pensiero? Intanto sposto leggermente il Re in ‘h8’”. "Volentieri. Le farò qualche esempio. Pensi allo scontro tra il cristianesimo e il paganesimo, Rosario se ne è lamentato. Rosario, credo di aver capito, di questo scontro biasimasse l’operato dei cristiani che professando una religione d’amore, di perdono, di compassione avrebbero dovuto avere un comportamento ‘cristiano’, mi perdoni il gioco di parole, nei confronti dei loro nemici, consono al messaggio evangelico di 78 La verità è una bugia fratellanza e di pace. Invece i primi cristiani, appena poterono, ebbero un atteggiamento verso i pagani del tutto simile a quello che i pagani stessi avevano appena finito di riservare ai cristiani. Ed io capisco che questo possa indignare, che possa deludere. Un animo così genuinamente buono e puro come quello di Rosario ne rimane sicuramente lacerato. Ma proviamo a considerare la cosa da un altro punto di vista. Prima però mi lasci fare la mia mossa. Ecco, muoverò il mio Alfiere nero in ‘d2’”. -“Certo, capisco benissimo. Dal punto di vista teologico il cristianesimo è sicuramente più profondo e più spirituale del paganesimo di origine greca. Risponde molto meglio alle esigenze etico religioso di un popolo di quanto possa fare il paganesimo. Gli dei pagani con i loro tratti così umani hanno ben poco di trascendente. Inoltre, se si considera il punto di vista storico, devo ancora una volta darle ragione: frate Rosario non ha voluto tenere in buon conto le differenze storico socio culturale che, in uno scontro di civiltà come quello avvenuto duemila anni fa, hanno pesantemente condizionato e determinato l’agire politico. Culturalmente, oggi, considerando il grado di sensibilità raggiunto, il Senso Comune, per dirla con Gianbattista Vico, fortunatamente, non approverebbe comportamenti come quelli tenuti dai protocristiani. La mia mossa è Pedone in ‘f5’”. -“Più o meno è come dice Lei caro Ranghetti. Io però non volevo scomodare né il piano teologico, né quello storico. Preferivo, molto più banalmente, fare qualche considerazione sotto il profilo, diciamo così, sociale. Ma visto che ha 79 Gaetano Tufano accennato ai piani teologici e storici tengo a farle notare, a parziale rettifica di quanto da Lei sostenuto, che dal punto di vista teologico se è pur vero, come Lei giustamente afferma, che il cristianesimo è teologicamente più articolato rispetto al paganesimo, il quale appare essere primitivo ed eccessivamente ingenuo, è anche vero che il paganesimo, essendo scomparso duemila anni fa, è rimasto qual era. Mentre il cristianesimo, bisogna ammettere, ha potuto beneficiare, in questi duemila anni, di numerosi aggiornamenti dottrinali per opera di tutti i filosofi cristiani, sopratutto San Tommaso d’Aquino, Sant’Agostino e tutti i filosofi scolastici e patristici nell’antichità. Più vicino ai nostri giorni beneficia continuamente dei vari Concili Ecumenici. Questo va detto per onestà. Così come va anche osservato che nonostante tali aggiornamenti la nostra confessione risente ancora di posizioni eccessivamente prudenti che rischiano di relegarci ad un ruolo di ostinati conservatori incapaci di interpretare correttamente l’attualità. Pensi soltanto, a titolo di esempio, al campo della Morale, ai tanti studi soprattutto di filosofi del ventesimo e del ventunesimo secolo, che noi, pur conoscendo benissimo, fingiamo di ignorare. Questo alla lunga, temo, ci causerà qualche problema, mio caro Ranghetti. Stavo pensando, a tal proposito, che potremmo effettivamente in un prossimo Concilio cercare di far nostre e rielaborare alcune di queste tesi, anche se, devo dire, per alcune di esse (e penso a qualche filosofo tedesco) occorrerà non poca fatica. Riguardo invece le differenze di Senso Comune, tra periodi storici così lontani, certo Lei ha ragione è senz’altro così, anche se ogni tanto anche oggi registriamo di tanto in tanto episodi di intolleranza religiosa che fanno 80 La verità è una bugia pensare che non siamo, culturalmente parlando, così distanti da duemila anni fa, mio caro Ranghetti”. -“Mio caro amico, Lei mi spaventa, io temo le rivoluzioni. Le rivoluzioni sono portatrici di sangue e di morte”. -“Le rivoluzioni possono essere evitate agendo per tempo”. A proposito di tempo, ora mi tocca muovere altrimenti perderò la partita proprio a causa del tempo. Non starà mica puntando a questo con tutte le Sue domande?” -“Lei ha scoperto la mia strategia, caro Bonanno, ma Lei mi insegna che nel gioco degli scacchi la psicologia riveste grande importanza. Comunque, poiché Lei mi ha scoperto, non cercherò più di dissimulare le mie intenzioni e apertamente cercherò di distrarLa. Lei, ha lasciato non chiarita la Sua posizione sul punto di vista che Lei stesso ha chiamato ‘Sociale’. Potrebbe essere così cortese da distrarsi dal gioco quel tanto che basta per illustrare al Suo povero amico che cosa intendeva esattamente?” -“Certamente. Come Lei sa benissimo, caro Ranghetti, il più grosso innegabile merito del protocristianesimo, rispetto al paganesimo, fu proprio la sua funzione sociale. Il cristianesimo predicava la bontà, la carità, la solidarietà, inoltre tendeva ad eliminare la differenza tra le classi sociali. I cristiani predicavano l’amore per il prossimo e attraverso le elemosine e la carità, in qualche modo, prendevano dai ricchi per aiutare poveri. Era una religione salvifica per l’intera l'umanità, ma innanzitutto per i poveri e i diseredati. Portava con sé un grande tema di giustizia sociale. Il paganesimo per 81 Gaetano Tufano contro era una religione aristocratica fatta per l'aristocrazia, molto spesso prevedeva riti iniziatici riservati a pochi. Pensi quale sarebbe stato il mondo occidentale se ancora oggi, pur con duemila anni di rivisitazioni, il paganesimo fosse la nostra religione. Torre colonna 'a' in 'e1'“. -"Assolutamente vero, parole sante caro Bonanno. Questo è innegabile. A questa stregua un’altra grossa ingenuità di frate Rosario secondo me riguarda il suo giudizio sugli albigesi. E’ pur vero secondo me che i massacri di Marmande e di Beziers occorreva cercare in tutti i modi di evitarli, bisognava piuttosto fare operazioni di tipo chirurgico, ma a volte può accadere che la situazione sfugga di mano, altre volte può capitare che sotto l’impeto della forza della ragione ci si lasci prendere la mano. In ogni caso è sicuro che qualcosa fosse necessario fare per ricondurre i càtari sulla retta via. Il catarismo, a mio avviso, è stato una delle peggiori eresie che il cristianesimo abbia conosciuto. Una religione e una filosofia veramente pericolose per l’umanità. I càtari di fatto rifiutavano la vita. Concediamo che si possa essere a favore della più assoluta povertà, concediamo che si possa rifiutare qualsiasi cibo di provenienza animale, ma la castità per esempio non può diventare un valore universale, si porrebbe fine all’umanità intera. Ricordiamoci che la perfezione per i càtari consisteva nell’endura, una forma estrema di negazione di sé stessi e di separazione dal mondo materiale, che consisteva in un digiuno totale di cibo e acqua, fino lasciarsi morire. Cavallo in ‘c6’”. -“E’ un po’ che non mi parla di Suo fratello, caro Ranghetti, 82 La verità è una bugia come sta? Come va la sua missione in Brasile? Torre in ‘e2’”. -“Sta bene, sta bene, la pecora nera della famiglia. Si ricorderà che l’anno scorso si è fatto mordere da una Phoneutria nigriventer, il cosiddetto ragno delle banane. Se l’era vista brutta, ma per fortuna non ne ha avuto conseguenze. Che cosa vuole Le dica? E’ un idealista anche lui. Io cerco sempre di aiutarlo come posso, sia economicamente sia cercando di appoggiare i suoi progetti, lui però non è mai contento, sembra sempre che si faccia troppo poco. Non che si lamenti con me, anzi lui non si lamenta mai, ma io lo conosco, leggo tra le rughe della sua fronte corrugata i suoi pregiudizi su di me. Credo che non mi perdoni il fatto di non essere lì con lui. Non vuole rendersi conto che se non ci fossero persone come me, qui a occuparsi del governo della Chiesa, lui e tutti quelli come lui, non potrebbero essere in giro per il mondo a fare i missionari. Non si rende conto che a volte essere in certe posizioni significa prendere decisioni che non vorresti mai dover prendere. Non cambierà mai. Anche quando eravamo bambini, lui si divertiva a fare il testardo, il capriccioso, l’irresponsabile mentre io dovevo invece fargli da fratello maggiore, aiutarlo, sostenerlo. Ora muoverò la Regina in 'c7', caro Bonanno”. -"Lo sapevo, caro Ranghetti, Lei, quando parla di Suo fratello, si agita e commette errori, ecco qua Le prenderò il Pedone in ‘f5’, ho anch’io le mie strategie”. -"Ho visto. Lei è un demonio, caro Bonanno, allora non mi farò scrupolo di chiederle di chiarirmi perché ritiene che frate 83 Gaetano Tufano Rosario abbia innescato l'inizio della decadenza della nostra amata Santa Chiesa. Bene, sono dunque costretto a prendere il Suo Pedone in ‘f5’”. -"Innanzitutto penso che un atto così clamoroso come quello di un Papa che dichiara, Urbi et Orbi, che Nostro Signore Gesù Cristo non è mai esistito e che i Vangeli sono dei racconti artistici a sfondo religioso, non riusciremo mai ad occultarlo completamente. Se fossimo stati in epoche in cui la comunicazione era lenta e si fermava agli strati più colti della società civile sarebbe stato un gioco controllarla. Oggi la televisione e Internet diffondono capillarmente le informazioni, inoltre, chiunque incuriosito dalle dichiarazioni può fare ricerche e arrivare ben presto alle conclusioni. È dunque solo questione di tempo, l'informazione si tramuterà lentamente in consapevolezza, la consapevolezza consentirà il coraggio di affrontare la verità, e una volta raggiunta la verità tutti vedranno che 'Il re è nudo', come si suole dire. Il resto lo aggiunga Lei mio caro Ranghetti. Dunque ecco la mia grande mossa: Cavallo in ‘h1’”. -"Notevole la Sua mossa, eccentrica e misteriosa! Noi però possiamo fare un nuovo piano di contro informazione e perfezionare quello già in atto. Ci verranno in mente altre idee, siamo solo agli inizi. Risponderò con Alfiere bianco in ‘d7’”. -“Le dirò che qualcosa ho già in mente. Questa mattina mi sono svegliato prestissimo, ho riletto il discorso di Rosario e ho fatto qualche correzione qui e là. Ho lasciato così com’è tutta la parte degli errori commessi dalla Chiesa, perché sono 84 La verità è una bugia stati già metabolizzati nei secoli, non fanno più sensazione. Ho ‘alleggerito’ le posizioni di Rosario circa il primato della Ragione sulla Fede e ho fatto correzioni qui e là quando si parla dell’inesistenza di Gesù Cristo e delle incongruenze dei Vangeli. A volte basta sostituire una parola con una che le assomiglia ma che ha diverso significato, altre volte basta aggiungere una negazione davanti ad una frase per invertirne il significato. Infine ho modificato anche la parte in cui Rosario fa le sue considerazioni e trae le sue conclusioni, in questa parte purtroppo ho dovuto operare un po’ più pesantemente. Alcune parti, non riuscendo a ‘convertirle’, ho dovuto eliminarle. Ho qui una bozza del discorso modificato, Le chiederei di leggerla con attenzione e di dirmi cosa ne pensa. Lei è molto abile con le parole, potrebbe darmi una mano, io credo che sia un’operazione possibile. Cavallo in ‘f2’”. -“Questa sera per la seconda volta devo dirle che Lei è un demonio caro Bonanno. Darò volentieri un occhio alla Sua bozza e domani Le farò avere una mia versione. Ma anche se saremo così bravi da limitare al massimo le modifiche, c’è la registrazione fatta dalla televisione, dalla radio, come pensa che riusciremo a far passare il fatto che sono diverse? Torre colonna ‘a’ in ‘e8’”. -“Certo, non possiamo sperare tanto. Dunque, in primo luogo ci limiteremo a dichiarare che questo è il documento originale del discorso, che era stato condiviso con il Consiglio dei Cardinali e cercheremo di evitare qualsiasi commento. Dopodiché ognuno penserà ciò che meglio crede. Secondo me 85 Gaetano Tufano una buona parte confiderà comunque nella assoluta onestà della Santa Chiesa e darà credito a questa versione, in tal modo recupereremo facilmente molta parte di opinione pubblica. Per quanto riguarda i nostri oppositori, semplicemente avranno una freccia in più nella loro faretra. Loro non mi preoccupano, più perduti di così non possono diventare. Anzi, se esagereranno con le accuse contro la Santa Chiesa, ad un certo punto il loro fazioso livore infastidirà l’opinione pubblica consentendoci di recuperarne un’altra parte. La mia mossa è Torre colonna ‘f’ in ‘e1’”. -“Lei caro Bonanno è un genio politico. Molti stati vorrebbero averLa al loro servizio. Dunque con questa Sua mossa dovremmo riuscire a neutralizzare definitivamente gli effetti del discorso di frate Rosario. Pensa che con questo riusciremo a scongiurare anche che il processo di decadenza della Santa Chiesa, cui Lei ha accennato, abbia inizio? Con la mia Torre colonna ‘e’ Le prenderò la Sua Torre in ‘e2’”. -“Questo, temo non sia possibile. Lo rallenterà, ma questa del nostro buon Rosario è una verità che, temo, metterà radici profondi e alla lunga si affermerà. Del resto sulla Terra nulla è eterno, anche la nostra Santa Chiesa prima o poi dovrà cessare di esistere. E’ comunque solo una questione di tempo. Diciamo che ciò che mi dispiace è che tale processo di decadenza debba iniziare proprio in mano nostra. Come Le dicevo prima, se fossimo stati in altre epoche saremmo sicuramente riusciti a controllarne e limitarne gli effetti, come del resto vi sono riusciti tanti nostri predecessori di fronte a questioni anche più gravi di quella che noi ci troviamo ad 86 La verità è una bugia affrontare, ma oggi l’informazione è troppo capillare e troppo veloce. C’è un’altra cosa molto importante che dobbiamo fare e che consentirà di rallentare molto tale processo: mandare al Soglio Pontificio la persona giusta che non commetta altri errori, caro Ranghetti. Ricambio prendendomi la Sua Torre in ‘e2’ con la mia”. -“Se è questo che desidera, posso facilmente operare affinché Lei venga eletto, caro Bonanno, sarei ben felice che Lei fosse il nuovo Papa. Cavallo in ‘d8’”. -“No. Lei deve essere il nuovo Papa, mio caro Ranghetti. Cavallo in ‘h3’”. -“Sono spacciato! Mi scusi, mi riferivo alla partita. E’ sicuro di quello che dice? Io Papa? Alfiere bianco in ‘c6’”. -“Chi meglio di Lei, Sua Santità? Regina in ‘h5’”. -“Obbedisco Sua Eminenza. Pedone in ‘g6’”. I cardinali proseguirono la partita in perfetto silenzio, ripensando ognuno da un lato agli eventi, alle decisioni prese e alle azioni da porre in atto, dall’altro lato alla partita. Alla quarantaseiesima mossa il cardinale Achille Ranghetti dovette abbandonare. 87 Gaetano Tufano Fortunato Carrolo Nella calda sera di inizio maggio il tramonto scendeva su Roma, il colonnato di piazza San Pietro si colorava di luci calde. Una settimana era trascorsa dalla morte di Pietro II. Un uomo percorreva l'ampia piazza d'Oltretevere in direzione di via della Conciliazione. Era alto, indossava un elegante completo blu, i capelli completamente bianchi, lo sguardo severo e pensieroso. Poteva avere sulla sessantina. Era Fortunato Carrolo, fratello di Rosario. Fortunato era docente di Filosofia e di Storia, insegnava in un liceo del capoluogo molisano, aveva scritto un manuale di Storia per i licei e si era procurata una discreta notorietà negli ambienti accademici. Era venuto a Roma la settimana precedente per assistere al 88 La verità è una bugia primo Angelus di suo fratello. Aveva praticamente vissuto in diretta l'assassinio di suo fratello sebbene anche lui, come quasi tutta la folla presente in Piazza San Pietro, non avesse compreso quanto realmente accaduto. Aveva appreso del malore e della morte di Rosario la sera, nella sua camera di albergo, dal telegiornale. Fortunato era uomo schivo, come suo padre, riservato e di poche parole. Era venuto a Roma senza dire nulla a suo fratello perché, da un lato non voleva essere in alcun modo di peso, dall'altro lato voleva compiacersi dello spettacolo del suo immenso fratello che dal soglio di Pietro parlava ad una immensa folla, come semplice spettatore, confuso tra la gente. Era rimasto esterrefatto nel sentire il Santo Padre, suo fratello, accusare la Chiesa di tanti crimini, anteporre la ragione alla fede ed infine proclamare l'inesistenza storica di Cristo. Ma aveva continuato ad ascoltarlo e a guardarlo con crescente orgoglio. Orgoglio di fratello, ma anche orgoglio di studioso di storia e di filosofia che riconosceva in suo fratello l’onestà intellettuale e l’amore per la verità. Valori che, a ben vedere, gli aveva sempre riconosciuto, banalmente aveva temuto che, nel suo nuovo compito di guida della Santa Chiesa, si fosse trovato nella condizione di doverli far precedere da altri valori quali la Ragion di Stato, il Fine Superiore. Fortunato, il giorno successivo alla morte di Rosario, si era recato in Vaticano e aveva chiesto udienza al Cardinale Camerlengo. Finalmente oggi, dopo una settimana, gli era stata concessa. Era arrivato puntualissimo e dopo la consueta attesa incontrò il cardinale Bonanno. Il nostro professore non sapeva cosa attendersi, da questo incontro. Voleva capire cosa 89 Gaetano Tufano fosse accaduto esattamente a suo fratello, ne aveva il diritto. Le voci sui giornali, sulle reti televisive e in Internet erano le più disparate. Fortunato si era reso immediatamente conto che la vulgata del malore era in realtà insostenibile, ma lui stesso non riusciva a concepire che si fosse arrivati al punto di assassinare il Papa. Il colloquio con il Cardinale Camerlengo fu più deludente di quanto potesse aspettarsi. Bonanno fu molto distaccato e sbrigativo, persino poco comprensivo per il dolore per la perdita di un fratello. Il porporato tenne una rigida impostazione istituzionale, confermando l’ipotesi del malore e, solo sotto le ripetute insistenze di Fortunato che si dichiarava incredulo, ammise sotto voce e guardandosi intorno, che per il momento non poteva dire altro. Lo congedò facendo appello alla sua gentilezza, affinché potesse perdonarlo per il poco tempo che i suoi numerosi impegni gli avevano permesso di dedicargli, e pregandolo di fargli nuovamente visita. Il professore lasciò lo studio afflitto e sdegnato. Sentiva pesare su di sé tutta l’ingiustizia di cui era stato vittima Rosario. Raggiunse sovrappensiero il suo piccolo albergo non lontano dalla Città del Vaticano, salì in camera senza cenare, accese il suo computer e cominciò a navigare sulla Rete in cerca di informazioni. Scandagliava siti su siti, il primo obiettivo che si era dato era raccogliere e catalogare tutte le differenti plausibili ipotesi. Successivamente, per ognuno di essa, avrebbe vagliato prove e testimonianze. Un approccio sistematico era assolutamente necessario e doveroso. Sicuramente occorreva scongiurare il rischio di orientare i risultati a causa del suo coinvolgimento affettivo. Inoltre, 90 La verità è una bugia vista la sua opinione di studioso, che non gli consentiva giudizi lusinghieri nei confronti dell’operato della Chiesa nel corso della Storia, non voleva rischiare di formarsi giudizi ex ante, preconcetti, perché sarebbero stati sicuramente del tutto favorevoli alle tesi accusatorie. Da storico qual era, Fortunato, conosceva gli equilibri sui quali si reggeva la Santa Sede, e considerava le dinamiche dei suoi meccanismi unicamente al servizio della funzione di pacificazione sociale, la cui utilità, come è noto, in fin dei conti fa comodo a tutti. Per fortuna, avendo una certa familiarità con gli strumenti informatici, riusciva ad essere molto veloce nella catalogazione delle diverse opinioni e delle diverse fonti. Come secondo obiettivo si era posto, una volta catalogate tutte le differenti posizioni, di vagliarle e verificarle ad una ad una, soprattutto mediante l’analisi e l’attendibilità delle fonti. Dovette però subito rendersi conto che si trovava di fronte a un lavoro immane, in pochi giorni nel Mare Magnum di Internet era comparsa una sconfinata letteratura sull’argomento. Nel giro di pochissimo tempo erano già stati pubblicati libri che promettevano tutta la verità sulla morte del Santo Padre. Libri che, partendo da assunti diversi e percorrendo strade parallele, approdavano a differenti conclusioni. Fortunato non si scoraggiava. Si era ripromesso di ritornare dal cardinale Bonanno preparato e documentato. Passavano i giorni. In capo a due settimane di febbrile lavoro aveva identificato e catalogato tre o quattro principali interpretazioni dei fatti considerate attendibili, ognuna delle 91 Gaetano Tufano quali aveva, però, numerose varianti che a loro volta potevano ancora essere suddivise in sottovarianti. Si ritrovava così ad aver catalogato un centinaio di possibili cronistorie. Troppe per vagliarle tutte dettagliatamente. Decise quindi di tagliare rami di poca importanza che introducevano piccole ininfluenti varianti nell’economia degli avvenimenti. Il lavoro si alleggeriva, ma restava comunque alquanto oneroso. Un altro fatto fu subito evidente: ogni giorno sui vari media nuovi elementi venivano aggiunti, molto spesso marginali, ma ogni tanto ve n’era qualcuno particolarmente rilevante che costringeva ad andare a ritroso e a riconsiderare in modo diverso precedenti interpretazioni. Era la guerra a bassa tensione che informazione e controinformazione si fanno quotidianamente su qualsiasi argomento. La verità di conseguenza sembra fluttuare su un Oceanum Procellarum. Ora portata in alto su spumeggianti flutti, ora soffocata sotto decine di metri di pesante e turbolenta acqua, ora risucchiata verso gli abissi per ritornare poi traballante in cresta ad un’onda proveniente da lontano. Ma lo spettatore la perde continuamente di vista, spesso la confonde. I più si arrendono e la dichiarano morta, pochi sono in grado di seguirla ovunque. Infine, quando la tempesta si placa, se non è morta, a volte, ma non sempre, la verità viene a galla, ma oramai è senza forze, è diventata inutile, non serve più allo scopo, ha solo valenza storica. Il professore queste cose le sapeva bene. Lavorava contro il tempo, per salvare la verità. Per mantenere in vita l’operato di tutta una vita di suo fratello Rosario. Soprattutto il suo ultimo grande e coraggioso atto. Per evitare che fosse 92 La verità è una bugia vanificato e consegnato alla Storia miscelato all’interno di un indistinguibile magma di possibili e plausibili ipotesi, in cui la verità viene infine fagocitata, triturata ed eguagliata alle bugie. 93 Gaetano Tufano Habemus Papam Nel frattempo il nuovo conclave era stato riunito e il cardinale protodiacono Guillaume Dumoulin dalla loggia centrale della Basilica di San Pietro in Vaticano proclamò il nuovo Papa secondo l’antica formula: «Annuntio vobis gaudium magnum: Habemus Papam! Eminentissimum ac reverendissimum Dominum Dominum Achilles, Sanctæ Romanæ Ecclesiæ Cardinalem Ranghetti, Qui sibi nomen imposuit Leonis XIV.» Il nuovo Pontefice nella sua benedizione Urbi et Orbi, non fece alcun cenno agli accadimenti delle ultime settimane. 94 La verità è una bugia Si limitò a ricordare con dolore la prematura scomparsa dell’amatissimo Santo Padre suo predecessore, di cui si dichiarò non degno successore. Annunciò speranza di pace per tutti i fedeli e promise un nuovo Concilio Ecumenico nel quale la Chiesa avrebbe riaffermato i suoi saldi principi cristiani. Piazza San Pietro rispose unanimemente rincuorata, bisognosa di Fede e di Speranza. Il cardinale Bonanno non era presente alla cerimonia. Si era dovuto assentare per un importante impegno. Fortunato, solo in fondo alla piazza, non applaudiva. Non attese la fine della benedizione, lasciò la piazza e si diresse con la sua auto verso nord, sentiva la necessità di allontanarsi dalla folla. Al primo semaforo gli si affiancò un'auto scura, senza insegne, senza scorta, ma era chiaramente un'auto di rappresentanza, con autista. Guardò dentro per curiosità e gli parve di riconoscere una figura nota. Decise di seguire l'auto. Si diressero verso est, costeggiarono Villa Borghese, infilarono Corso d'Italia e infine girarono a destra per viale Pretoriano. Erano arrivati al cimitero del Verano. L'auto scura entrò all'interno del cimitero. Il professore dovette frettolosamente parcheggiare fuori ed entrare a piedi. Da lontano scorse la figura del cardinale Bonanno in abiti civili che si incamminava all'interno del cimitero accompagnato da un prelato, probabilmente il suo segretario personale. Fortunato si teneva a distanza. Dopo qualche minuto arrivarono presso una tomba molto vecchia, ma molto curata, fresca di fiori, la foto era di una giovane ragazza. Era Lucrezia. Il Cardinale si raccolse in silenzio, con il capo chino, mentre il segretario addobbava di nuovi fiori la tomba, 95 Gaetano Tufano la ripuliva di quelli vecchi, accendeva lumini e rassettava. Bonanno rimase fermo nella stessa posizione per un buon quarto d'ora, mentre il nostro professore si teneva a rispettosa distanza. Al termine delle preghiere il Cardinale, si inginocchiò, diede un leggero bacio sulla punta delle dita e sfiorò appena la foto di Lucrezia. Subito dopo Bonanno si alzò, spolverò i pantaloni all’altezza delle ginocchia e s'incamminò con gli occhi bassi verso l'uscita. Nei pressi del termine del vialetto che immetteva sul viale principale, Bonanno notò la figura di un uomo che gli chiudeva la strada, si fermò, alzò gli occhi e incontrò lo sguardo severo di Fortunato. -"Buon giorno, Sua Eminenza”. -"Buon giorno professor Carrolo. Grazie per la Sua discrezione, deve sapere che oggi è l’anniversario della morte di mia madre. Come mai da queste parti? Suo fratello non è qui”. -"L'ho seguita Sua Eminenza”. -"Eccomi. Sono qui, mi dica”. -"Voi avete ucciso mio fratello". Bonanno rimase in silenzio, senza minimamente scomporsi per qualche istante, poi fissò sommessamente negli occhi il suo interlocutore, lo affiancò e gli fece cenno di camminare insieme verso l’uscita, poi con voce bassa e facendo pausa quasi ad ogni parola, disse”. -"Lei dovrebbe sapere che a volte vittima e carnefice sono una cosa sola e che, senza l'uno, non vi sarebbe l'altro”. 96 La verità è una bugia -"La prego Sua Eminenza, neppure il Suo Dio La lascerebbe nascondere dietro la tesi della «coincidentia oppositorum». -"Che cosa L'ha condotta fino a me, caro professore?" -"La verità era ben nascosta tra mille bugie, ma ho avuto tempo, metodo e un pizzico di fortuna e alla fine sono arrivato da qualcuno che ha potuto confermare le mie congetture”. -"Le posso chiedere di chi si tratta, caro professore?" -"Di Lei, Sua Eminenza, qui ed ora. Come avete potuto?" -"Suo fratello, caro professore, si era messo nel posto sbagliato. Il posto di Suo fratello erano le missioni nel terzo mondo, è laggiù che la Chiesa di Roma ha bisogno di uomini come lui. Noi abbiamo sbagliato a non capirlo, ma anche Suo fratello aveva fatto male i suoi calcoli, finendo per mettersi, lui stesso, esattamente sulla traiettoria del proiettile. Lei, questo, non può essere così ingenuo da non comprenderlo. I proiettili esistono, caro professore, ed è loro intrinseca natura avere delle traiettorie. E’ buona norma conoscere le traiettorie dei proiettili”. -"La Chiesa che immaginava Rosario, non contemplava proiettili. La Chiesa di Rosario era fatta solo di amore e di compassione”. -"Rosario, come già abbiamo avuto modo di costatare, era un cristiano della razza più pura, ma la Chiesa ha la responsabilità di oltre un miliardo di credenti, che confidano nella sua alta missione, nel suo aiuto materiale, morale e 97 Gaetano Tufano spirituale e non può permettersi tentennamenti. La Chiesa di Pietro è edificata con la pietra, è pertanto anche soggetta a leggi terrene, mio caro professore”. -“La Pietra, per usare la Sua espressione, deve essere assoggettata al bene del singolo e dell’umanità tutta e non viceversa, Eminenza”. -“A volte il singolo deve sacrificarsi o essere sacrificato per il bene dell’umanità”. -“Non so se il Gesù Cristo predicato dalla Chiesa avrebbe approvato questo punto di vista. A proposito, Eminenza, mio fratello aveva regione quando ha parlato dell’inesistenza storica della figura di Cristo, non è vero?” -“Mio caro professore, Lei mi insegna che tutte le verità storiche sono passibili di dubbi e di interpretazioni. Il mio rammarico è di non essermi accorto dei dubbi che stavano nascendo e crescendo in Suo fratello. Se avessi potuto parlargli prima che arrivasse a quelle terribili conclusioni, sono certo, avremmo chiarito insieme i ogni dubbio in materia”. -“Eminenza, come può fondare tutta la Sua opera, che coincide con l’opera stessa della Santa Chiesa, su tali pochi e dubitabili elementi storici riguardo alla figura del fondatore stesso della Sua Confessione? Come può accettare che il Suo stesso destino e quello di oltre un miliardo di vostri proseliti si basi su una così traballante ermeneutica dei testi sacri?” -“Caro professore, come tutti su questa terra, anche noi 98 La verità è una bugia operiamo su postulati. Il nostro postulato è la Fede. Anche Lei deve pur basare le Sue azioni su qualche assunto”. -“Certamente. Cerco però di rimanere aperto al nuovo. Il mio postulato è in movimento, e dipende dai risultati della ricerca. La ricerca della verità è il mio dogma, questo è il mio unico punto fermo. Tutto il resto ne consegue”. -“Capisco. Che cosa intende fare ora, caro professore?” -“Continuerò l’opera iniziata da mio fratello. Sto completando la raccolta delle testimonianze, porterò tutto alla luce, dovrà essere chiaro a tutti qual è il modo di procedere della Santa Chiesa. Inoltre, per la massima trasparenza, Le confesserò, Sua Eminenza, che porterò a compimento anche gli studi sul protocristianesimo iniziati da Rosario. Ho intenzione di dimostrare scientificamente le affermazioni fatte dal Santo Padre durante il famoso Angelus. Da parte vostra, invece, Eminenza, cosa ne sarà della memoria di mio fratello?” -“Stiamo preparando la versione ufficiale del discorso di Pietro II, a breve sarà resa pubblica. Il Santo Padre Pietro II non ha lasciato disposizioni sul luogo preferito di sepoltura, Egli sarà tumulato, come vuole la tradizione, nelle grotte del Vaticano. Pietro II sarà consegnato alla storia come duecentosessantaseiesimo Pontefice di Nostra Santa Romana Chiesa Cattolica ed Apostolica, sfortunatamente morto per un malore proprio al termine del suo primo Angelus. Pietro II è da tutti ricordato per le sue opere missionarie, per la sua grande carità cristiana. La sua opera è sempre stata 99 Gaetano Tufano considerata emblema della missione del cristianesimo nel mondo contemporaneo e il suo accorato ultimo discorso conferma la genuina passione che lo ha sempre animato. Per queste ragioni stiamo anche pensando ad una sua precoce canonizzazione. Salvo che Lei non voglia con le Sue rivelazioni mutare il corso degli eventi”. Bonanno, si soffermò un attimo ad attendere una eventuale reazione da parte del suo interlocutore. Fortunato però rimase impassibile, si limitò a fissarlo negli occhi cercando di evitare che i suoi pensieri, le sue intenzioni fossero percepite. Il Cardinale, non ricevendo risposte, ne approfittò per congedarsi. “Carissimo professore, resterei ancora a lungo a discorrere così amabilmente con Lei, ma purtroppo gli impegni mi richiamano all’ordine: ho il mio primo appuntamento con il nuovo eletto Papa. La prego di venirmi ancora a trovare, caro professore, potremo approfondire gli argomenti che a Lei più interessano e, se lo desidera, decidere insieme i dettagli per la beatificazione e successivamente per la canonizzazione di Pietro II”. Fortunato si arrestò, alquanto confuso e senza parole. Bonanno lo salutò con un rapido cenno del capo, si avviò verso la sua auto e prese posto sui sedili posteriori. Fortunato, riuscì soltanto a proferire un rauco: “Arrivederci, Sua Eminenza”. Rimase a guardare la grossa auto scura uscire dal cimitero e infilarsi nel caotico traffico di Roma. Poi si sedette 100 La verità è una bugia su una panchina a riflettere. Si sentiva frastornato. Non era così che aveva immaginato il dialogo con il suo nemico. Non era così che avrebbe dovuto essere. Si era lasciato confondere dall’indubbio carisma di Bonanno. Riavutosi, fu preso dalla curiosità di andare a vedere la tomba della madre del Cardinale. Si avviò verso il punto in cui l’aveva visto pregare. Quando fu sulla tomba si rese immediatamente conto che non poteva trattarsi di sua madre ed esclamò a denti stretti: “Dannato prete!”. Intanto Bonanno, appena arrivato al palazzo apostolico, si fece annunciare al Papa che lo ricevette subito. -“Carissimo Bonanno, come sta? La stavo cercando”. Bonanno si avvicinò al suo amico Ranghetti appellandolo ”Beatissimo Padre” e inchinandosi per baciargli l’Anello del Pescatore, ma il Papa ritraendo la mano esclamò: -“Suvvia Bonanno, La prego. Dov’è stato questa mattina, perché non è venuto alla benedizione?" -“Mi perdoni, ho avuto un incontro con il fratello di Rosario”. -“Non mi aveva detto che lo avrebbe incontrato, come è andata? -“Bene, credo. Aveva intenzioni bellicose, ma penso di avergli fornito qualche elemento di riflessione. Potrebbe essere che debba incontrarlo nuovamente, La terrò informato”. -“Bene, bene, caro Bonanno. L’aspetto questa sera per cena e 101 Gaetano Tufano poi per la nostra consueta partita a scacchi”. -“Ci sarò, Santo Padre”. 102 La verità è una bugia La verità è una bugia Fortunato rientrò in albergo molto pensieroso. Per quella sera preferì riposarsi e non pensare alle sue ricerche. Decise di uscire per concedersi una buona cena al ristorante. Fece una rapida doccia, si preparò e uscì a piedi in direzione di Trastevere. Laggiù conosceva un ottimo ristorante dove avrebbe potuto distrarsi con un buon piatto di spaghetti cacio e pepe, dei carciofi in fricassea con un immancabile contorno di cicoria, il tutto innaffiato da un fresco vino bianco di uva Pecorino. Camminava lentamente, cercando di distrarsi immergendosi nella vita di Trastevere, ma ogni tanto tornava ad incupirsi al ricordo della conversazione avuta la mattina con il cardinale Bonanno. Dopo circa quaranta minuti arrivò in via Delle Fratte, nel piccolo ristorante fu accolto con la 103 Gaetano Tufano solita calda cortesia romana. Il professore si sedette ad un tavolo da cui poteva guardare la televisione. Ordinò a memoria senza consultare il menù, poi cercò di guardare la televisione, ma stava per iniziare uno di quei programmi sportivi che commentano le partite di calcio della domenica e a lui il calcio non era mai interessato. Dal piccolo zainetto che portava con sé estrasse quindi il suo tablet e diede una rapida scorsa ai titoli delle prime pagine dei maggiori quotidiani. Oramai, a distanza di tre settimane dalla morte, più nessun quotidiano parlava di Rosario. La bufera si era di fatto placata. Certo le posizioni assunte dai media anticlericali, erano state di decisa condanna. Le conclusioni erano state perentorie e severe, papa Pietro II veniva dipinto come un martire della verità. Il cosiddetto "Annuncio di Pietro II" era stato definito atto di estremo coraggio da parte di un Papa moderno e illuminato. Ovviamente la tesi del malore non trovava nessun credito presso questi media, mentre, per quanto riguardava le cause della morte, la tesi più accreditata era quella dell'omicidio per mano di chi temeva gli enormi contraccolpi derivanti dall'affermazione dei principi contenuti nell'annuncio fatto da Pietro II. Contraccolpi che avrebbero sicuramente destabilizzato dalle fondamenta tutte le nazioni di religione cristiana cattolica, ma più in generale, anche quelle di religione cristiano ortodosse e cristiano protestanti. Ma come aveva previsto Bonanno: anche i media più agguerriti contro la Chiesa, si rendevano conto che l'eccessiva insistenza e il duro accanimento degli affondi giornalistici potevano in realtà alla lunga causare un effetto boomerang. 104 La verità è una bugia Il professore aveva raccolto oramai numerosissimi elementi. Aveva in mente, una volta ordinato il tutto e aver costruito il fil rouge, ovvero la tesi che avrebbe tenuto assieme tutti gli elementi e fornito una solida interpretazione alla vicenda, di pubblicare il tutto. Sicuramente un libro firmato dal fratello di Pietro II, non legato peraltro ad ambienti anticlericali e in nessun modo ad essi riconducibile, sarebbe stato decisivo nell'orientare l'opinione pubblica anche quella poco attenta. Inoltre, adesso, dopo il fortuito incontro al Verano, avrebbe potuto aggiungere la determinante conversazione avuta con il cardinale camerlengo Bonanno. Una testimonianza di tutto rispetto, visto che il porporato sicuramente avrebbe assunto anche la carica di Segretario di Stato, diventando quindi, dopo il Papa, suo amico, il numero due della Santa Sede. Certo non avrebbe potuto addurre prove a suo favore sul contenuto del colloquio, si sarebbe trattato di una parola contro l'altra, ma insomma, una testimonianza del fratello dell'ex Papa, qualcosa avrebbe pur significato. Fortunato, però, dopo questa conversazione continuava a chiedersi cosa fosse più conveniente fare. Bonanno gli aveva prospettato l'intenzione della Chiesa di voler consegnare alla storia suo fratello come Papa e come Santo, se avesse pubblicato la sua versione dei fatti, quali sarebbero state le conseguenze? Sicuramente, e questo gliel'aveva fatto ben capire Bonanno, non ci sarebbe stata nessuna canonizzazione e magari sarebbe stato scomunicato, ricordato come un traditore o chissà cos'altro. Il "dannato prete" con i suoi toni concilianti, aveva di fatto proposto al nostro professore un complicato dilemma. Da un lato Fortunato 105 Gaetano Tufano sapeva che la verità era un'altra e che per questa verità suo fratello era morto. D'altro canto si chiedeva che cosa potesse davvero sperare di ottenere. L'annuncio della verità fatto da suo fratello, nella posizione di Pontefice, aveva avuto una risonanza infinitamente superiore a quella che lui poteva sperare di ottenere pur lottando per anni, eppure già dopo poche settimane la Chiesa era riuscita a disinnescare il grosso delle conseguenze. Che cosa avrebbe ottenuto lui con le sue rivelazioni? Non sarebbe magari riuscito soltanto a nuocere alla memoria di suo fratello? Si guardava intorno. Guardava gli avventori del ristorante seduti ai vari tavoli: coppiette parlavano a bassa voce e si sorridevano teneramente, gruppi di amici commentavano le partite di calcio, il ristoratore passava orgoglioso con una principesca portata di abbacchio allo scottadito, la cameriera gli chiedeva giudizi sui carciofi preparati in casa. Si rattristò. Che cos’era poi questa verità? Qual era il suo valore? Perché inseguirla a tutti i costi? Perché a tutti i costi cercare di affermarla? Contro la volontà di tutti, contro l'evidente convenienza per tutti di una sana, comoda e vantaggiosa menzogna rispetto ad una nuda, cruda e difficile verità. Forse peccava di inutile e cinico eccesso di zelo. Forse non vedeva ragioni che altri vedono e che permettono loro di convivere serenamente con malcelati cumuli di menzogne. Perché non riusciva a conformarsi alla moltitudine di fedeli che acriticamente accettano gl’indubbi privilegi della fede? Perché non poteva come tutti adagiarsi su docili correnti che seguono percorsi di minor resistenza? Sarebbe stato molto più semplice, per lui e per tutti. In fondo nessuno si aspettava 106 La verità è una bugia alcunché da lui, anzi tutti, lui compreso, ne avrebbero giovato se avesse deciso di non perseguire la verità a tutti i costi. E tutto sommato sarebbe stato molto più semplice che sobbarcarsi sicure fatiche e sicuri oneri senza alcuna evidente, utile contropartita. Così come sarebbe stato molto più semplice per suo fratello, una volta eletto Papa, dismettere inutili velleità e concludere la sua vita nel pur nobile destino di Pontefice della Santa Chiesa. Così come sarebbe stato più semplice per Giordano Bruno abiurare, ed evitare anni di prigione, di torture ed un'orrenda morte. Così come sarebbe stato più semplice per Socrate accettare il piano di fuga preparato dai suoi discepoli che lo avrebbe salvato dall'ingiusta cicuta. Tutte queste domande, tutte queste sacrosante istanze pur attentamente valutate e considerate non trovavano però appiglio possibile in Fortunato. Scivolavano sul piano inclinato della sua innata profonda propensione alla ricerca della verità. La verità, l'alétheia greca collegata in qualche modo al concetto di onestà, di sincerità e dunque al carattere etico della verità. La verità come svelamento, (aléthos) della realtà, la necessità quindi di aderire alla realtà. Oppure la verità come coerenza all'interno di un sistema. Questi erano concetti di verità accettabili per Fortunato. Il concetto di verità come convenienza, come pragmatica valutazione delle conseguenze pratiche di un idea, erano lontanissimi dai suoi modi di pensare. La verità, infine, per Fortunato, in nessun modo poteva essere una bugia. Chiuse il tablet, e cercò di seguire la televisione per non pensare. Il programma sportivo era terminato, qualcuno stava cambiando canale e si era soffermato su di un notiziario 107 Gaetano Tufano televisivo che stava trasmettendo un servizio su una missione di frati francescani appena istituita in una località sul lago Inle in Myanmar. Il frate intervistato parlava entusiasta delle loro attività, raccontava delle necessità della missione in quello sperduto angolo di mondo. Fortunato riconobbe nell’intervistato frate Guglielmo, amico carissimo di Rosario e rimase ad ascoltarlo con molto interesse. Finita l’intervista, al nostro professore balenò in mente l’idea che poteva essergli di grande aiuto andare a trovare frate Guglielmo. Avrebbe potuto confidarsi con lui che era stato così amico di suo fratello. Avrebbe avuto la possibilità di condividere con qualcuno le decisioni sul da farsi. Chi, oltre a lui, poteva essere interessato a tramandare la più appropriata e corretta memoria di suo fratello se non i suoi migliori amici? 108 La verità è una bugia Parte Terza 109 Gaetano Tufano Verso l'Oriente arancione La settimana successiva il nostro professore era in volo per Kuala Lumpur, prima tappa del viaggio verso il Myanmar. A Kuala Lumpur si sarebbe fermato una notte per proseguire il giorno successivo per Yangon. Durante il lungo viaggio in aereo da Roma a Kuala Lumpur, Fortunato dormì parecchio. Le ultime settimane erano state molto faticose per le tante emozioni, per il grande dolore per la scomparsa di suo fratello e per la grande mole di lavoro che si era sobbarcato. Quando si svegliò, era mattina presto, l’aereo stava sorvolando la penisola di Malacca e aveva già iniziato la discesa verso il KLIA, l’aeroporto di Kuala Lumpur. Appena atterrati e svolte le formalità doganali Fortunato fece un veloce salto in albergo, poi ridiscese per fare un giro per il 110 La verità è una bugia centro della città. Si diresse subito verso la Chinatown, il cuore pulsante di Kuala Lumpur e gli piacque perdersi tra le pittoresche e coloratissime vie cinesi, gremite di bancarelle e di ogni sorta di umanità, soprattutto cinesi, ma anche di malesi, indiani e turisti di ogni parte del mondo. La città è un vero crogiolo di razze, di culture e di religioni. Nella stessa via, è possibile incontrare a breve distanza l’una dall’altra un tempio Indù, una moschea musulmana, un tempio buddista, una chiesa cristiana. Fortunato, sebbene amasse viaggiare, fino ad allora aveva solamente avuto occasione di visitare l’Europa. Ora proiettato di colpo in Estremo Oriente, a diecimila chilometri dall’Europa, si sentiva come un bambino in un negozio di giocattoli, attratto da mille luci e mille colori ed incuriosito da qualsiasi cosa. Decise di entrare in un tempio buddista da cui sentiva provenire un coro di voci che pregava. Probabilmente stavano recitando il Daimoku: “Nam-myoho-renge-kyo”. Il nostro professore avvertì tutto il fascino di questi esotici suoni. Sono indubbiamente suggestivi. Normalmente può accadere di sentirli in qualche documentario, ma Fortunato si rese subito conto che essere immersi di persona in quei suoni è cosa del tutto diversa, da far accapponare la pelle. Tutto contribuisce a creare un’atmosfera magica: le tuniche di un arancione sgargiante dei monaci, le loro teste perfettamente rasate, le statue dorate dei numerosi Buddha sparsi sul fondo del tempio, i rossi drappeggi, i fumi degli incensi. Fortunato si pose in rispettoso silenzio all’ingresso del tempio e osservava e ascoltava emozionato, in qualche modo partecipe della preghiera che si levava da quei cori. Ben presto, però, 111 Gaetano Tufano qualcuno dei monaci si accorse della sua presenza e, senza smettere di pregare, gli fece un gentile segno di saluto e di consenso con il capo, abbozzando anche un leggero sorriso. Fortunato ne fu lusingato e rispose allo stesso identico modo. Poco dopo la preghiera terminò e tutti corsero a conoscere questo sconosciuto visitatore. Il monaco più anziano parlava un discreto inglese e rivolse al visitatore le domande di rito. -“Where do you come from?” -“Italy, do you know?” -“Yes, sure: Paris”. -“I’m sorry Paris is in France, Rome is in Italy” -“No problem, no problem, are you Buddhist? -“Actually not, but I like your religion very much. I found it amazing” -“Yes, No problem, are you Christian?” A questa domanda il nostro professore si rattristò. Aveva letto che per gli orientali in genere, ma soprattutto per i buddisti essere atei è inconcepibile. Per loro qualsiasi religione è degna e accettabile, purché si abbia un qualsivoglia credo, e allora a malincuore doveva scegliere: mentirgli oppure dargli un dispiacere. -“Yes, I’m Christian”. Il vecchio monaco sorrise dolcemente e congedò Fortunato augurandogli buon viaggio e salutandolo con la formula di rito: “Namasté”. Fortunato uscì dal tempio nello stesso tempo triste e 112 La verità è una bugia contento. Triste per aver mentito a quel sant’uomo, contento per aver incontrato delle così belle persone. Era ora di cena, il professore alla complicata cucina cinese prediligeva quella indiana, in particolare quella vegetariana. Prese un risciò a motore e si diresse verso la Little India, il quartiere indiano della capitale malese. Trovò un ottimo e tranquillo ristorantino proprio accanto ad uno splendido tempio Indù, brulicante di statue coloratissime, dove poté cenare a base di ottime melanzane al curry e chapati. Rientrò in albergo e, mentre cercava con difficoltà di prender sonno a causa del jet-lag, rifletteva sulla libertà di espressione religiosa, sulla capacità di convivenza pacifica delle differenti razze e delle differenti religioni di questa tollerante Malaysia che ora gli sembrava essere quanto di più auspicabile il futuro potesse riservare all’umanità. Nello stesso tempo, neanche a farlo apposta, il Muezzin, dall’alto del suo Minareto a due passi dall’albergo, cominciò a salmodiare uno dei cinque richiami giornalieri che ricorda l’obbligo della preghiera islamica: Ašhadu an lā ilāh illā Allāh Ašhadu an lā ilāh illā Allāh Ašhadu anna Muhammadan Rasul Allāh Ašhadu anna Muhammadan Rasul Allāh Hayya ˁalā al-salāt Hayya ˁalā al-salāt Hayya ˁalā l-falāh Hayya ˁalā l-falāh 113 Gaetano Tufano Allāhu Akbar Allāhu Akbar Lā ilāh illā Allāh (2;2) Il giorno dopo Fortunato volò in Myanmar, era sera quando atterrò all'aeroporto di Yangon, prese un taxi e chiese di andare in un hotel in città. Yangon era quasi completamente al buio a causa dell'energia elettrica razionata. Arrivò in albergo sfinito. Neppure uscì per cena. Si addormentò stanco per il viaggio, per il fuso orario cui non si era ancora del tutto abituato, frastornato dai tanti, troppi, stimoli cui era stato sottoposto in questi primi due giorni di viaggio. La mattina appena sveglio, si domandò dove si trovasse. Come accade a chi viaggia frequentemente, gli ci volle qualche istante prima di rendersene conto. Doveva alzarsi. Doveva trovare il modo di arrivare sul lago Inle. Questo singolare e ameno luogo del Myanmar non è lontanissimo da Yangon, si trova a poco più di seicento chilometri a nord, ma per le strade birmane è una distanza notevole, occorrono circa dieci stancanti ore di autobus. Dopo un’ottima e abbondante colazione con uova al bacon, toast con burro e marmellata e qualche fetta di papaya, salì su uno di quei piccoli taxi a tre ruote e si fece portare alla stazione degli autobus. Le corriere per il lago partivano la mattina presto. Acquistò un biglietto per il primo mezzo in partenza il giorno successivo. Aveva dunque un solo giorno per visitare Yangon. 114 La verità è una bugia Voleva approfittarne per vedere la Shwedagon Paya. Era conosciuta come uno dei più bei templi d’Oriente, non voleva perdersela. L'antica pagoda dei Mon, in effetti, da sola poteva valere l'intero viaggio. Fortunato girovagò per più di un’ora, ammirato e stupito ad ogni passo, lungo i vari templi che compongono l'ampio complesso della Shwedagon, scattando di tanto in tanto qualche foto. Il sole era già cocente, l'aria pregna di umidità. Accaldato, Fortunato, si sedette all'ombra e restò per qualche ora ad osservare i birmani girovagare intorno alla loro bella pagoda. Passavano intere famiglie con bambini al seguito, mai capricciosi, mai lamentevoli. Passavano piccole ragazze sorridenti nei loro coloratissimi sari, ognuna con il proprio ombrellino per il sole, altrettanto colorato. Passavano giovanissimi monaci buddisti anch'essi sorridenti nei loro allegri sai arancioni. Ogni tanto Fortunato scattava qualche foto, gli spunti erano infiniti e tutti molto fotografici. Qua e là nei vari templi si soffermavano piccole comitive: scolaresche, famiglie, gruppi di amici e amiche. Tutti vivevano il tempio con allegra naturalezza. Alcuni pregavano seduti per terra, ma tenendo entrambe le gambe bene di lato e facendo attenzione a non puntare i piedi verso il Buddha. Altri facevano spuntini. Altri ancora chiacchieravano e ridevano, sempre compiti però, mai molesti. Il professore conosceva abbastanza bene il buddismo dai libri, ma come sempre l'esperienza diretta può comunicare in modi che nessun libro, nessun documentario televisivo potrà mai fare, perché investe contemporaneamente tutte le nostre terminazioni conoscitive e non solo il pensiero. Tutti i sensi vengono investiti da odori, rumori, suoni, colori, la sfera delle emozioni è a sua volta investita da piaceri, paure, desideri, 115 Gaetano Tufano l'esperienza diretta è assolutamente, definitivamente e totalmente coinvolgente. Ora capiva perché un suo amico, appassionato di viaggi, soprattutto nell’Africa sub sahariana, quando gli si chiedeva, com'era la Tanzania, piuttosto che lo Zimbabwe, o il Kenya lui rispondeva: "Vai a vederla". Sia come sia, ciò che maggiormente stupiva Fortunato era il sereno, allegro, apparentemente non problematico rapporto che gli orientali di fede buddista hanno con la loro religione e quanto, questo modo di vivere la religione, fosse di fatto diverso dal modo in cui noi occidentali viviamo la nostra. Per lo meno, così era stato per Fortunato. Egli da ragazzino, nel suo paesello in Molise era stato chierichetto. Ricordava il senso di oppressione che gli comunicavano le statue dei vari santi. Molti di essi erano dei martiri che indecorosamente mostravano i segni del loro martirio. Fra tutti ricordava Santa Lucia con gli occhi strappati e messi in evidenza su un piatto. Oppure santi che mostravano le loro sofferenze, come San Lazzaro, pieno di piaghe. Ma la più triste e più terribile di tutte era proprio la statua di Gesù, morto sulla croce, con il capo spinato, le ferite sulle costole e le mani e i piedi bucati da grossi chiodi che lo fissavano orrendamente al patibulum e allo stipes. Cercò di non pensarci per non contaminare l'incanto di quel luogo. Rimase a lungo a fissare la punta dorata della pagoda stagliarsi contro i bianchissimi cumuli che tappezzavano l’azzurro cielo, poi prese il suo tablet e scrisse questi versi. Come l’asceta ora ho visioni Quando guardo il fiume fangoso 116 La verità è una bugia Come il tempo io scorro mentre l’acqua bruna è ferma Sovvertirò l’ordine delle cose invertirò il tempo e colmerò le distanze non è difficile in fondo Ma devo esser solo Lasciatemi dunque, abbandonatemi. Si era fatto tardi. A malincuore si separò dalla Shwedagon, si ripromise di visitarla nuovamente al ritorno dal lago Inle. Si fermò a rifocillarsi velocemente in uno dei tipici locali birmani: la sala da tè. Dove oltre a questa tradizionale bevanda si possono assaggiare ottimi dolci, tutti molto particolari. Più tardi dovette recarsi all’ufficio postale per una commissione. Per andarci superò la sua ritrosia a prendere un risciò a pedali. Cercò in giro e trovò due conducenti che stavano amichevolmente discorrendo tra di loro. Concordò con uno di loro la cifra e salì. Il collega e amico del suo conducente decise che era terminata la sua giornata di lavoro e li seguì per poi tornare a casa insieme al suo amico. Yangon ogni tanto ha qualche strada non perfettamente in piano, Fortunato quando vedeva il suo magrissimo conducente arrancare per la fatica scendeva dal risciò permettendogli di superare più facilmente la salita. Quando arrivarono Fortunato pagò, ringraziò e stava per salutare come al solito con le mani giunte e con un leggero inchino del capo, quando il suo conducente esordì con il fatidico: “Where do you come from?”, incipit di qualsiasi conversazione da quella parte del mondo. Restarono qualche tempo a chiacchierare fraternamente, scoprendo con stupore e piacere tante similitudini, pur nell’abissale differenza e 117 Gaetano Tufano distanza delle loro culture e dei loro luoghi d’origine. Anche l’altro conducente si era unito alla conversazione. Parlavano della differenza di costumi tra l’Occidente e il Myanmar, uno dei due diceva: “Noi lo sappiamo che voi occidentali siete ricchi, avete belle case, belle auto, non vi manca nulla, ma noi abbiamo il tempo. Io, per esempio, appena ho guadagnato il necessario per me, mia moglie e i miei bambini, posso decidere di smettere di lavorare e andare con il mio amico a bere un tè e trascorrere il resto del giorno lavorativo a parlare di filosofia”. Fortunato dovette incassare e ammettere che qualche ragione il suo buon conducente ce la doveva avere. Era ormai quasi sera. Fortunato si affrettò a cercare, tra i pochi locali illuminati, dove poter mangiare qualcosa di veloce prima che fosse eccessivamente buio. Subito dopo cena si avviò verso il suo alberghetto, chiedendosi che diavolo potesse significare una missione cristiana in quell’oceano buddista. Cosa poteva voler dire per un birmano diventare cristiano? Quale senso poteva mai avere? Il suo anziano albergatore lo aspettava paziente all’entrata della piccola guesthouse, minuscolo di statura e magro, nel suo tradizionale abito birmano e lo accoglieva con un sorriso e con un inchino che lo inteneriva e gli faceva venire voglia di abbracciarlo. Qualche tempo dopo Fortunato scoprì che tutto il Myanmar era disseminato di simpatici manifesti che in lingua e caratteri birmani recitavano: “Se incontri qualcuno privo di sorriso, regalagliene uno dei tuoi”. Era proprio uno splendido paese, abitato da splendida gente. 118 La verità è una bugia Inle Lake Il giorno dopo Fortunato, dopo un faticosissimo e interminabile viaggio di una decina di ore in autobus, arrivò a Nyaungshwe, una piccola località del lago Inle. Trovò posto in un piccolo albergo fatto di palafitte sul laghetto. Cenò in un ristorantino affacciato sul lago, il sole al tramonto infuocava il piccolo tempio dorato sulla riva opposta e creava un incantevole scenario. Fortunato si rammaricava di essere solo a godere di tali spettacoli, di non poterli condividere con nessuno. Pensò a frate Guglielmo, il giorno successivo probabilmente sarebbe riuscito, dopo tanto viaggiare, ad incontrarlo. Non aveva mai conosciuto frate Guglielmo, ma suo fratello si era spesso prodigato in racconti della loro fraterna amicizia e gli aveva mostrato foto che li ritraevano insieme nella missione di Papua Nuova Guinea. 119 Gaetano Tufano Il giorno successivo Fortunato, impaziente di incontrare finalmente il suo uomo per potersi infine confrontare con lui sulle decisioni da prendere, si alzò di buona lena e si mise in viaggio. Egli contava soprattutto sulla diversa conoscenza che frate Guglielmo poteva avere di suo fratello. Una conoscenza, per così dire, professionale. Avevano vissuto insieme una vita, avevano lavorato insieme con in mente lo stesso credo, le stesse finalità, gli stessi obiettivi. Avevano senz'altro condiviso eventuali dubbi sulla loro missione, sul senso del loro operato e più in generale sulla loro fede e sulla loro confessione. Anche, e soprattutto, in considerazione del fatto che si trovavano immersi in realtà così lontane dalle radici del cristianesimo. La missione era poverissima, essenzialmente un edificio con piccole camere per i frati, una sala da pranzo, una piccola cucina, due bagni con doccia. L'arredamento delle camere era ancora da provvedere. In un altro piccolo edificio c'erano un'infermeria, cinque piccole stanze da letto, dove era possibile ospitare fino a dieci malati avendo disposto nelle cinque camere un letto a castello. C’era infine uno stanzone per le funzioni religiose. I frati, da non molto approdati in Myanmar, erano ancora impegnati nell'apprendimento della cultura e della lingua locale e contemporaneamente si prodigavano nel servizio di accoglienza verso quanti si presentavano, fornendo cure mediche, medicine e aiuti di vario genere. Domandò di frate Guglielmo, corsero a chiamarlo. Arrivò un anziano frate, con barba e capelli lunghi, 120 La verità è una bugia completamente canuto, magro, alto, con un leggero saio marrone sgualcito e cinto in vita con il classico cordiglio. Arrivò con passo spedito, con sguardo aperto e sorridente, strinse calorosamente la mano di Fortunato chiedendogli il motivo della sua visita. -"Sono Fortunato, il fratello di Rosario, caro frate Guglielmo”. L'anziano frate, restò per un attimo senza parole, poi abbracciò forte il fratello del suo caro amico e scoppiò in un accorato pianto. -"Buon Dio, ti ringrazio. Sono felice di vederti. Come mai in questo sperduto angolo di mondo? Che cosa è accaduto al Santo Padre, al mio carissimo amico? Abbiamo saputo della terribile notizia della sua morte solo una settimana fa'. Devi sapere che qui le notizie arrivano con molto ritardo e con il contagocce. Vieni, accomodati nella nostra povera casa. Sarai stanco, hai sete? Hai fame? -"Caro frate Guglielmo, sono felice di conoscerLa" -"Dammi del tu, ti prego, sei come un fratello”. -"Va bene. Dopo la morte di Rosario ho pensato di fare un viaggio. Avevo bisogno di riflettere e di distrarmi nello stesso tempo. Quale miglior luogo di questa splendida terra? Ho saputo che qui c'era il carissimo amico di mio fratello e ho pensato di venirti a trovare. -"Questo mi riempie di gioia". 121 Gaetano Tufano -"Frate Tommaso e frate Alessio sono anche loro qui?" -"Certamente, noi siamo una squadra inseparabile e sono sicuro che anche tuo fratello sarebbe stato più contento di restare con noi alla vecchia missione piuttosto che andare a vivere a Roma, in Vaticano. Vieni che te li presento, saranno felici di conoscerti. Frate Guglielmo lo condusse all'interno del primo edificio, in cucina, e mandò un ragazzino a cercare gli altri due frati che erano presi nelle loro faccende quotidiane. Fortunato notò subito un grande quadro con la foto di Rosario fatta il giorno in cui fu eletto Papa. Era raffigurato in abito talare, con la mitra in testa, la ferula nella mano sinistra, mentre con la mano destra accennava a una benedizione. La foto era firmata da Rosario e c'era una dedica al suo caro fratello Guglielmo. -"Rosario fu così caro da mandarci una sua foto appena proclamato Papa. Ne mandò una copia diversa ad ognuno di noi”. Disse frate Guglielmo accortosi che Fortunato guardava la foto di suo fratello. Nel frattempo erano arrivati frate Tommaso e frate Alessio che gli fecero una gran festa, con lunghe strette di mano, abbracci e domande di rito. Insistettero perché si fermasse con loro a pranzo, poi nel pomeriggio gli avrebbero fatto visitare la piccola missione e, l'indomani, sarebbe potuto andare con loro nel giro di visite che periodicamente facevano nei piccoli villaggi di montagna sparsi intorno al lago. Fortunato accettò volentieri. Già si sentiva benissimo 122 La verità è una bugia insieme a questi cari e operosi frati. Per la preparazione del pranzo Fortunato si offerse di aiutare. Memore delle richieste fatte da Guglielmo durante l’intervista trasmessa dalla televisione, Fortunato, prima di partire, aveva avuto cura di spedire un pacco di provviste, di medicine e altri generi di necessità al fermo posta di Yangon, che aveva poi recuperato appena arrivato. Aveva quindi con sé ogni ben di Dio proveniente dall'Italia. I frati furono entusiasti di questo. Raramente capitava loro di avere in tavola cibi italiani. Fortunato preparò il pranzo per tutti, compresi gli altri ospiti della missione, poi pranzarono insieme allegramente. Decisero persino, per l'occasione, di aprire anche una delle bottiglie di vino contenute nel pacco italiano. Ovviamente tutti i discorsi a tavola furono pressoché a senso unico, i frati narravano aneddoti riguardanti frate Rosario, e ve n'erano tanti poiché tanti erano gli anni che avevano trascorso insieme. Fortunato ascoltava divertito e di tanto in tanto narrava aneddoti di quando erano bambini e di quanto Rosario fosse stato bambino allegro e pieno di vita. Il professore si era però immediatamente reso conto che gli amici di suo fratello nulla sapevano del cosiddetto “Annuncio di Pietro II”. L'unica cosa che a loro era arrivata era che il Papa era stato colto da un malore proprio al termine del suo primo Angelus, a meno di una settimana dalla sua consacrazione a quell'alto ufficio. E, a pensarci bene, non c’era molto da meravigliarsene. Anzi, visto da quello sperduto luogo del lago Inle in Myanmar, c’era finanche da stupirsi che una qualsivoglia notizia fosse arrivata. Il 123 Gaetano Tufano Myanmar era stato un paese sostanzialmente isolato per circa cinquant’anni. Dalla metà del ventunesimo secolo, e fino ad una decina di anni prima dell’epoca in cui questi fatti si svolsero, il Myanmar non aveva avuto molti scambi con l’esterno, quasi nessuno con l’Occidente. Le cose cominciarono un po’ a cambiare con la liberazione di Aung San Suu Kyi nel 2012, nel senso di una maggiore distensione del governo birmano nei confronti dell’Occidente, ma sarebbero occorsi verosimilmente decenni per colmare mezzo secolo di lacune. In ogni caso, tornando a noi, Fortunato si rese anche immediatamente conto del fatto che, con tutta probabilità, non se la sarebbe mai sentita di essere proprio lui a raccontarglielo, facendo così crollare loro un edificio costruito nel corso di un un'intera vita. Come avrebbero preso una notizia del genere? Avrebbe certo fatto svanire il seducente mito del loro grande amico Papa ma, sopratutto, avrebbe forse instillato in loro un dubbio che forse quei cari vecchietti non potevano più permettersi, data la loro veneranda età. Concluse di prendere tempo e di riflettere bene prima di decidere. Il giorno seguente Fortunato accompagnò Guglielmo in un paio di villaggi. Anziché la barca a motore, che aveva preso il giorno prima, fecero uso delle tipiche imbarcazioni usate dalla gente del lago. Delle lunghe e strette piroghe manovrate stando in piedi su di una sola gamba all’estremità della poppa, mentre l’altra gamba, avvolta intorno al lungo remo e tenuto con entrambe le mani, veniva usata per spingere il remo in acqua. Il lago era cosparso di orti galleggianti, composti da giunchi di erba e terra, che i 124 La verità è una bugia contadini usavano per la coltivazione di ortaggi e fiori. Arrivati nel punto del lago più vicino al villaggio da visitare, si ormeggiava la piroga e si proseguiva a piedi lungo un sentiero in compagnia di montanari. Lungo i canali formati dal lago si era tenuto il solito pittoresco mercato sulle barche che i pochi turisti occidentali chiamavano floating market, ed ora i montanari facevano ritorno ai loro villaggi carichi delle mercanzie acquistate. Vi si incontravano ragazzine e bambine con le guance ricoperte di thanaka, il tradizionale cosmetico ricavato dal legno di sandalo, con pacchi di cheerots (grossi sigari fatti a mano), invenduti e signore di mezza età con in testa grandi ceste di verdure. Nel villaggio Guglielmo e Fortunato furono accolti con affetto e calore. Guglielmo dispensò medicine, vestiti, caramelle per bambini e tante buone parole, in cambio ricevette promesse di visita alla loro missione per la santa messa. Fortunato rientrato nella piccola missione trascorse la notte insonne. L’indomani sarebbe ripartito, non aveva più molto tempo, doveva decidere come comportarsi con i suoi tre nuovi amici. E, per quanto si dicesse che era per lui un dovere informarli della verità, per onestà, per non ingannarli, alla fine si ritrovava a pensare che erano tutti e tre oramai anziani, e che non avrebbero potuto sopravvivere a una notizia del genere. Come sarebbe stata la sua partenza il giorno dopo? Come li avrebbe lasciati? Non sarebbe stato meglio, per quei tre vecchietti, se Fortunato non fosse mai venuto? Provava ad immaginare la scena della partenza: se ne 125 Gaetano Tufano andava, contento di aver portato a termine il suo compito, lasciandoli soli in questo sperduto, remoto angolo di terra a mani vuote, soli, senza più speranze. Risvegliati, a poca distanza dalla loro morte, da un sogno durato tutta la vita. Incapaci di riaddormentarsi nello stesso sogno, senza il tempo necessario per costruire un nuovo sogno. Il lavoro, l’opera di una vita svuotati di significato. Vedeva la loro missione trasformarsi in un architrave le cui colonne portanti stessero per sgretolarsi. Il loro coraggioso insediamento religioso, bizzarro faro cristiano in un mare buddista, appariva ora una piccola imbarcazione senza più bandiera in un lontano oceano sconosciuto. Una leggera scialuppa, in balia delle onde, manovrata da deboli uomini i cui sguardi, perduti nel vuoto, non facevano ben sperare sulla loro sorte. Qualsiasi direzione era ora densa di incognite e di nebbie e indietro non si poteva più ritornare. Fortunato continuava a rigirarsi nel letto, sudato per il caldo e per il conflitto dei contrastanti pensieri. Ad un certo punto si sorprese a chiedere consiglio a suo fratello morto, a pregarlo di aiutarlo. Si svegliò di soprassalto. Era questa una preghiera? Era così dunque che erano nate le preghiere? E’ dunque dal culto dei morti che si generavano le religioni? In qualche modo aveva quindi ragione Feuerbach quando affermava che “Non è Dio che crea la natura, ma la natura che spinge l’uomo a creare Dio”? Avrebbe preferito sentire il passo del boia che veniva per metterlo a morte, piuttosto che sentire il gallo annunciare l’alba e ricordare che era arrivato il momento di alzarsi e di decidere. Ma sapeva benissimo, del resto, anche avendo più tempo, non sarebbe mai riuscito a dipanare quell’inestricabile 126 La verità è una bugia groviglio di pensieri ed emozioni. Siamo fatti così. La logica è chiara ed evidente e non pone dubbi a patto che non la si mischi con i sentimenti. Quando questo accade, non v’è altra possibilità, occorre scegliere tra le ferree conseguenze che la logica impone e la pietosa indulgenza verso l’argomentazione sentimentale. Fortunato preparò mestamente le sue cose, lasciò alla missione la sua personale borsa di medicine di emergenza, i vestiti non ancora utilizzati e tutto quanto non era strettamente necessario per il viaggio di ritorno. Andò in cucina dove già si sentiva odore di caffè e trovò i tre vecchietti rattristati per la partenza del loro nuovo amico. La colazione fu un ripromettersi unico di risentirsi e rivedersi. Venne il momento dei saluti. Frate Guglielmo gli affidò una piccola cassetta di lettere che Rosario aveva scritto loro dall’Italia e alcuni quaderni contenenti diari che risalivano al periodo in cui Rosario era in missione in Africa e a Papua Nuova Guinea. Dopo lunghi abbracci e trattenute lacrime, Fortunato salì sulla barca a motore e, con la mano alzata in segno di saluto, restò ad osservare i tre vecchietti diventare sempre più piccoli, sempre più piccoli fino a scomparire. 127 Gaetano Tufano Nella terra di Pietro II Fortunato cercò di rientrare a Roma il più in fretta possibile. Volle solo, una volta a Yangon, ritornare a rivedere la Shwedagon Paya, così come si era ripromesso di fare. Una volta a Roma gli ci vollero parecchi giorni per riprendersi emotivamente dal viaggio. Doveva aprire la cassetta di Rosario, ma aspettava a farlo, voleva prima riacquistare, per quanto gli fosse possibile, un po’ di serenità. Inoltre desiderava leggere il contenuto della cassetta una volta rientrato nella sua terra, nella silenziosa terra di Pietro II, laggiù nel verde Molise. Alla fine della settimana prese il treno per ritornare nella sua città. Fortunato abitava da solo in un piccolo appartamento nel centro della cittadina. La sua casa era stracolma di libri. 128 La verità è una bugia Nel soggiorno una enorme libreria campeggiava lungo il muro più lungo, piena zeppa di libri di letteratura soprattutto russa, tedesca, francese e italiana ovviamente. Da un’altra parte vi erano tutti i classici di poesia e di letteratura latina e greca. Numerosissimi i volumi di filosofia a partire dai greci fino ai contemporanei. Vi erano anche numerose opere storiche dei massimi storici di tutti i tempi. Anche il piccolo studio era invaso dai libri. E anche qui soprattutto i classici la facevano da padrone. Pochi, pochissimi gli autori contemporanei nel campo della letteratura, mentre, in campo scientifico e filosofico, vi si trovavano anche moltissimi autori contemporanei. Fortunato, soprattutto dopo la perdita della sua prima fidanzata, e fino al fatidico incontro con la sua Rebecca, aveva avuto molto tempo a disposizione per gli studi, quasi vent'anni. A questo punto credo sia utile ricordare alcuni fatti della vita di Fortunato che permettono di capire meglio chi, veramente, egli fosse. Fortunato all'età di diciannove anni si era invaghito di una ragazza, Francesca, con cui ebbe un amore molto sofferto. Fu alla fine di questa tormentata e dolorosa storia che Fortunato decise di trasferirsi a Londra, dove oltre a fare qualche lavoretto per mantenersi, continuò gli studi fino alla laurea e al dottorato in Storia. Francesca, era probabilmente una ragazza eccessivamente vivace per il pacato carattere del nostro futuro professore. Dopo alcuni intensi mesi di appassionato amore, Francesca, sebbene ancora innamorata di Fortunato, cominciò ad avvertire la stanchezza di un amore forse monotono, probabilmente privo delle emozioni di cui sentiva l’esigenza. Da allora per Fortunato si spalancarono le porte delle pene d'amore: 129 Gaetano Tufano Francesca cominciò a tradirlo. Fortunato, non immediatamente, ma ad un certo punto se ne rese conto, però, pur soffrendo e non sopportando la situazione, non riusciva a lasciarla. La stessa cosa accadeva a Francesca, che al termine delle sue scappatelle finiva per sentire il bisogno di una relazione forte, duratura e solida come quella che Fortunato era in grado di darle. Qui di seguito è riportato un frammento di lettera che Fortunato scrive al suo carissimo amico Vittorio, nella quale spiega le ragioni della sua improvvisa partenza per Londra. “Mio carissimo Vittorio, perdonami se non ho potuto salutarti prima della partenza, sono a tutti gli effetti scappato via. Dovevo farlo. Non potevo più restare in quella situazione che tu conosci benissimo, sarei impazzito. Tu sai quanto io ami Francesca e quanto io abbia accettato di patire pur di restare con lei. Questa volta però è finita davvero e per evitare ogni possibile ripensamento sono partito in fretta e furia. Mi soffermo insieme a te a riflettere e a cercare di riconsiderare gli ultimi avvenimenti della mia storia con Francesca secondo una diversa chiave di lettura: Francesca si era stufata definitivamente di me e aveva cercato un nuovo amore? Oppure ero stato io a stufarmi definitivamente di lei e a spingerla a fare una vacanza da sola, sperando finalmente di perderla? La sera stessa, appena dopo la sua partenza per l’isola d’Elba, dove avrebbe trovato un nuovo amore, tornai a casa in lacrime. La gelosia mi mordeva l’animo. La mia 130 La verità è una bugia provvida immaginazione frustava i miei umidi occhi con crudeli scene di sesso: Francesca nuda e impudica nelle braccia del suo nuovo amante. Mi addormentai pieno di angoscia, ricordo che feci brutti sogni, al centro dei quali era sempre Francesca. Io ho sempre subito il suo innegabile fascino che rimescola il sangue, ma nel sogno perdeva la sua aura di dea della bellezza scivolando nell’eccessivamente frivolo, in un’ostentata ed esagerata lascivia. Sognai che eravamo usciti insieme ed avevamo incontrato dei comuni amici. Al termine della serata le dissi che intendevo tornare a casa e aspettai che mi seguisse, ma lei con mio sommo stupore mi rispose con uno sguardo malizioso e ammiccante: ‘Vai pure, io resto ancora’. Avrei voluto fulminarla con uno sguardo, ma con i miei soliti modi misurati le risposi: ‘Come desideri’ e ritornai a casa da solo. A questo punto del sogno mi svegliai sconvolto e piansi, poi piangendo mi riaddormentai e feci un altro sogno. Sognai che doveva uscire con ‘l’altro suo fidanzato’. Lei me ne parlava come se fosse una cosa del tutto naturale avere due fidanzati e come se io ne fossi già a conoscenza e lo avessi accettato serenamente. Io, nel sogno, inorridii a questa notizia, mi sentii lacerare. Non capivo cosa stesse succedendo. Come avevo potuto accettare l’idea di condividerla? Oppure non lo sapevo e lei stava barando? Oppure me lo aveva detto, ma io pietosamente lo avevo dimenticato? Mi svegliai sudato e tremante. Nei giorni successivi mi prese una strana tranquillità, non avvertivo più nessun fastidio per il fatto che Francesca fosse partita senza di me, nessuna gelosia per il fatto che si trovasse al mare, sicuramente in compagnia di qualche ragazzo. Quando infine al suo ritorno, in lacrime, mi disse che mi aveva tradito e che 131 Gaetano Tufano mi lasciava, accolsi la notizia freddamente, solo con una leggera mestizia. Teneramente baciavo le sue lacrime quasi per consolarla di avermi tradito. Alla fine riaccompagnandola per l’ultima volta a casa la tenevo per mano come sempre, come nulla fosse accaduto, ma in cuor mio sapevo tristemente e fermamente che non l’avrei più rivista. La sera stessa, appena rientrato a casa, mi dissi che avevo bisogno di distrarmi e che dovevo inventare qualcosa per non pensare più a lei, per non vederla più. Il giorno successivo andai in agenzia e comprai un biglietto per Londra”. Seguono dettagli di poco conto e i saluti. Dopo questa scioccante avventura, Fortunato non mostrò più alcun interesse per le donne e per circa vent’anni si dedicò completamente ai suoi studi, fino a quando incontrò la sua Rebecca. Per lei Fortunato perse completamente la testa. Rebecca era più giovane di lui di nove anni, ma dimostrava molto meno della sua età, tanto è vero che molto spesso la scambiavano per sua figlia. Per circa dieci anni ebbero una intensa e profonda storia. Furono sicuramente gli anni più felici per Fortunato. Nonostante il loro grande amore, però, non si decisero mai a sposarsi, anche quando, dopo dieci, anni arrivò la loro prima figlia. Inspiegabilmente, anche dopo questo importante evento, continuarono a vivere ognuno nella propria casa, ma vedendosi comunque il più possibile. La situazione non cambiò anche quando ebbero la seconda e la terza figlia. Fortunato e Rebecca ebbero, dunque, alla fine tre splendide, simpaticissime e adorabilissime creature: Bianca, Sabrina e Alice. Fortunato, ancora prima che 132 La verità è una bugia nascessero, già avvertiva per loro un tenerissimo amore. Come spesso accade ai candidati padri, usava parlare con loro mentre ancora erano nella pancia di Rebecca. Quando finalmente nascevano se ne innamorava perdutamente e provava per loro una sconfinata tenerezza e una profonda compartecipazione ad ogni loro pur minuscola sofferenza. Non appena diventavano abbastanza grandicelle per giocare, Fortunato ritornava bambino insieme a loro. Adorava giocare con le sue bambine e passava con loro tutto il tempo che poteva. Appena arrivato in città, Fortunato, come prima cosa, andò immediatamente dalle sue amate bambine e dalla sua Rebecca. Aveva per loro numerosi regali comprati durante i suoi viaggi. Cercava di farsi perdonare, con grandi sincere effusioni d’affetto, la sua prolungata assenza. Quella notte rimase a dormire da loro. Rientrò nel suo appartamento la sera del giorno seguente, molto tardi. Era esausto, aveva bisogno di riordinare le idee. Andò a letto subito, dormire gli avrebbe fatto bene. La mattina successiva si svegliò prestissimo. Era impaziente di aprire la cassetta che gli era stata affidata da Guglielmo e dagli altri frati. La cassetta conteneva parecchie bellissime lettere di Rosario ai suoi amici frati. In alcune di esse, quelle più recenti, inviate quando si trovava presso la Santa Sede, Rosario si rammaricava di non poter essere con loro alla missione. Trovò anche con suo grande stupore delle poesie e dei racconti, soprattutto giovanili, scritti da suo fratello. Rosario non gliene aveva mai parlato. In particolare fu colpito da un breve racconto intitolato: “Solus Ipse”. Un originalissimo scritto in cui un dio pasticcione confessa 133 Gaetano Tufano d’aver creato un mondo imperfetto, si rende conto di conseguenza di essere egli stesso imperfetto, e di essere condannato a perire insieme alla difettosa creatura uscita dalle sue mani. 134 La verità è una bugia Solus Ipse “Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas; et si tuam naturam mutabilem inveneris, trascende temetipsum". (2;3) Aurelio Agostino, De vera religione 135 Gaetano Tufano Quando creai questo mondo ero ancora ingenuo ed inesperto. Adesso, credo, avrei predisposto molte cose in modo diverso. L’ammirazione che ho per me stesso non mi consente di ammettere facilmente i miei errori e in generale non amo l'autocritica. Questa volta però non debbo combattere col mio narcisismo per affermare che mi sono sbagliato su talune cose. Col passare del tempo e col maturare dei miei pensieri, dei miei sentimenti e avendo acquisito a mano a mano consapevolezza delle cose che ho creato, il mio pensiero ha perduto la sua naturale arroganza. In particolare, esso è venuto meno del coraggio e del ferreo rigore che aveva dato vita al tutto. Ora, solo a tratti, ritrovo, le polverose vestigia dell'antico rigoroso volere che mi animava, del quale, per altro, subito dopo mi pento. Posso ancora dire che qualcosa della mia forza intellettuale sia tuttora viva, ma forse sarebbe più giusto definirla: “Indomito e inutile cinismo”. Infine, ho disgusto di me stesso e di ciò che ho costruito. Ho però delle attenuanti per la mia coscienza, non è facile creare. La materia sfugge molto 136 spesso dalle mani La verità è una bugia dell'artefice. Vi è perciò bisogno di una continua attenzione e di una ferma concentrazione. E' anche vero quindi che non tutto è andato come io desideravo. Tutto ebbe inizio quando, molto tempo fa, nacqui alla mia coscienza. Non credo ve ne sia bisogno, ma ricorderò ugualmente che essa preesisteva a me stesso. Iniziai allora la mia riflessione. Dapprima su me stesso, standomene immobile, senza vedere, senza udire, lasciando che il mio pensiero prendesse coscienza di me. Fu in uno di questi momenti, probabilmente di particolare euforia, che decisi di creare il mondo. Durante i lunghissimi millenni in cui pensavo me stesso, imparai moltissime cose. Ipotizzai allora un mondo perfetto, complesso e infinitamente vario, tanto che mi ci volle parecchio tempo prima di concepirlo e delinearlo in tutte le sue sfumature. Nuovamente confesso, che durante la creazione, faticosa e snervante, mi è capitato, a volte, di avere qualche attimo di smarrimento dovuto alla stanchezza per la prolungata concentrazione. E ciò probabilmente ha lasciato spazio alla creazione di materia informe, senza contenuto informativo, permettendo quindi all'odiata entropia di fare ingresso nel mio assoluto ed eterno sistema. Ma purtroppo questo non è stato l'unico causa a inficiare la nascita e la formazione del mio mondo. A ciò sarebbe stato relativamente semplice riparare. Prima che l’entropia, vero e proprio cancro dei sistemi chiusi, si 137 Gaetano Tufano diffondesse e portasse alla morte valori essenziali e necessari alla perfezione del mio creato, avrei distrutto per sempre le cellule cancerogene uscite dalle mie mani. Purtroppo vi fu dell’altro. Vi furono gravi ed imperdonabili errori di valutazione. Forse a confondermi fu l'eccessiva gioia che provavo nel creare le cose così come le avevo concepite. Avvertivo, infatti, un singolare piacere nel dare forma ai miei pensieri, nel modellarli, fino a che diventassero l'immagine riflessa della mia suprema volontà. Infine, molti dei miei errori, devo ammettere, sono da imputare alla mia debolezza, conseguenza, forse, della mia infinita bontà. Nella mia colpevole cecità, impiegai infiniti millenni prima di accorgermi che la mia creatura fosse minata. Quando ne ebbi finalmente chiara coscienza, per altrettanti infiniti millenni lottai contro l'evidenza, negandola, in nome di un infinito amore e di una speranza impossibile. Quando, infine, con sommo, indicibile dolore, riconobbi i miei errori, non ebbi il coraggio di intervenire subito con mano decisa per fermare il Caos che oramai imperava nell'universo. Rimasi così, spettatore impotente, fino ad oggi, giorno in cui la profonda pietà ha lasciato posto alla ragionevolezza, affinché finalmente e definitivamente si decretasse la morte del mio sistema. 138 La verità è una bugia Resterò impassibile davanti alla fine, ma giacché ho fallito, giacché ho creato qualcosa di imperfetto, giacché la creazione non fu, come alcuni filosofi antichi affermavano, una degenerazione del mio essere, ma una oggettivazione di esso, dovuta allo straripante amore che avevo concepito, ne deriva che la mia stessa natura è imperfetta e quindi seguirò il destino del creato. Così il mio stesso essere, per definizione negentropico, eterno ed assoluto che era fonte ineffabile e inestinguibile cui tutto il creato poteva attingere, è ora necessariamente divenuto un sistema soggetto all'entropia e alla terribile degenerazione che essa porta con sé. Ben presto, dunque, la Regina della Quiete verrà a portare il silenzio su tutto. Allora non resterà più niente e null'altro esisterà se non l'Infinito Orizzonte delle Possibilità. C’è da sperare, dunque, che un giorno un nuovo Dio voglia ripetere la magia della creazione. E c’è da sperare che non abbia a commettere gli stessi errori che io ho commesso. 139 Gaetano Tufano Dolce fumo di pipa Fortunato era oltremodo meravigliato da uno scritto del genere da parte di suo fratello, da parte di un membro del clero cristiano cattolico. Questo racconto era, a tutti gli effetti, uno scritto che faceva pensare più a un demiurgo dell’antico gnosticismo piuttosto che a un dio cristiano cattolico. Un demiurgo che oltretutto dimostrava una commovente coscienza dei suoi errori. Erano questi i sentimenti più profondi di Rosario nonostante la sua confessione? Fortunato si mise alacremente al lavoro senza chiedersi oltre cosa fosse giusto fare. Nell’arco di sei mesi ricostruì la vicenda dell’assassinio di Pietro II. Mise insieme tutti i 140 La verità è una bugia segnali e gli indizi accumulati ricavandone incontrovertibili prove. Riportò, inoltre, testualmente anche la conversazione avuta con il cardinale Bonanno al cimitero del Verano. Ricostruì la vita di suo fratello facendone una sorta di biografia utile per far comprendere i passaggi psicologici e ideologici che portarono Pietro II al grande gesto di quella storica domenica del famoso “Annuncio”. Fortunato però, come aveva annunciato a Bonanno voleva andare oltre. Desiderava anche dimostrare secondo modalità e approcci sistematici, scientifici, da storico, che le tesi costituenti il grande messaggio di suo fratello trovavano effettivi e fondati riscontri storici. Pertanto, quella indicata da suo fratello, sarebbe dovuta essere l’unica strada possibile e percorribile per la Chiesa di Roma. Per far questo, però, occorreva condurre approfondite e complesse ricerche storiche. Era assolutamente necessario poter consultare fonti di non facile accesso, non facilmente reperibili e scritte in antiche lingue, ai più incomprensibili. Per questo motivo pensò di ricorrere a un docente dell’università di Roma, raffinato conoscitore di antiche lingue semitiche e di greco ellenistico, che aveva avuto modo di conoscere tempo addietro. Lo chiamò, gli chiese un incontro e si recò a Roma per incontrarlo. Voleva proporgli un sodalizio. Avrebbero insieme scritto un’opera storica unica che avrebbe dimostrato senza ulteriori ombre di dubbio le tesi postulate. Il docente lo accolse con molto calore, gli fece strada fino al suo studio, si sedette su una comoda sedia dietro a una pesante e ampia scrivania di legno massiccio e fece 141 Gaetano Tufano accomodare il suo ospite su una delle due poltrone poste davanti alla scrivania. Poi con gesti misurati, sapienti e scrupolosi si accese la pipa e cominciò a tirare spargendo tutt’intorno del buon profumo di tabacco olandese. Solo a questo punto chiese al suo ospite il motivo della visita. -“Ho intenzione di scrivere un’opera storica su Gesù Cristo. Sto cercando aiuto, ho bisogno di accedere alle fonti in lingua originale”. Confessò subito Fortunato. -“Opera storica su Gesù? Ma che cosa vuole dimostrare?” -“Avrà sentito parlare del famoso “Annuncio di Pietro II”. -“Certamente. E’ stato un atto molto coraggioso, di potenziale portata storica, ma penso che finirà nel nulla”. -“Pietro II era mio fratello, voglio dimostrare storicamente le sue tesi”. -“Interessante. Se ha qualche particolare problema di interpretazione dei testi, sarò lieto di aiutarLa, farò del mio meglio”. -“Per la verità contavo su una collaborazione, pensavo a un’opera a quattro mani”. Il docente si fece serio, si alzò lentamente dalla sua sedia, passò lentamente davanti a Fortunato tirando alcune boccate di fumo, poi appoggiò la pipa ancora accesa su di un portapipe di legno da tavolo, si sedette sull’altra poltrona posta proprio di fronte al suo interlocutore, appoggiò i gomiti sulle ginocchia, strinse le mani per formare pugni, le portò 142 La verità è una bugia proprio sotto il mento e vi appoggiò sopra la testa, e infine si chinò in avanti verso Fortunato. A questo punto la sua testa si trovava a dieci centimetri dalla testa di Fortunato che lo osservava incuriosito da quella teatrale operazione. Il docente fissò Fortunato negli occhi e con aria di chi la sa lunga, chiese: -“Che cosa crede di poter fare?” -“Fortunato, un po’ disorientato da tutta quella inaspettata e plateale manovra, rispose ingenuamente: -“Semplicemente dimostrare la verità”. -“E Lei crede di poterlo fare sic et simpliciter?” Fortunato continuava a non capire. -“Con il Suo aiuto penso proprio di si”. -“Non facevo riferimento a difficoltà tecniche, io e Lei potremmo scrivere qualsiasi opera storica. Mi dica, che cosa è accaduto a Suo fratello?” Lo sguardo di Fortunato si aprì, e rispose: -“Capisco”. -“Mi perdoni, professore, a chi ritiene possa giovare stabilire la verità su tali argomenti? Ma, ancora più importante, io credo che non troverà nessuno disposto a perdere il proprio tempo a cercare di scoprire l’acqua calda, mi passi la banalizzazione. Abbia pazienza, nessuno dotato di normale senno spenderebbe mai anni di lavoro per dimostrare 143 Gaetano Tufano l’inesistenza di Babbo Natale, con l’unico risultato, oltretutto, di attirarsi le ire dei commercianti di Napapijri, e magari anche quelle di torme di bambini inferociti perché Lei gli ha distrutto un sogno. Caro professore, mi dispiace, ma non posso proprio aiutarla”. Fortunato, era attonito, ammutolito. Tutto si sarebbe aspettato fuorché una reazione del genere. Si alzò, porse la mano, ringraziò per il tempo dedicatogli e salutò cordialmente. Il docente nel salutarlo gli disse: -“Non se la prenda”. Fortunato uscì da quel colloquio più determinato e ostinato che mai. Era fuori di sé. Si rimproverava di essere stato, come sempre, troppo polite. Forse sarebbe stato molto meglio se gli avesse risposto: -“Ma è questo che Lei insegna ai suoi studenti? Ma che cosa possono sperare di imparare da Lei i suoi studenti? E perché allora non continuiamo ad insegnare loro che il mondo è fatto a forma di tabernacolo come affermava nel medioevo Cosma Indicopleuste? E’ una bellissima immagine poetica e un impagabile argomento a favore della religiosa cristiana, tanto nessuno dei nostri studenti si alzerà in volo così in alto da accorgersi che è una frottola. Era così innervosito che non voleva restare a Roma un minuto di più. Ma a volte sembra davvero che la fortuna aiuti gli audaci. Mentre camminava velocemente in direzione della fermata della metropolitana, un giovane gli chiese se sapeva dove si trovasse una certa via. La via era proprio quella da cui lui proveniva, dove abitava il docente appena incontrato. 144 La verità è una bugia Fortunato notò che il giovane aveva sottobraccio un libro di filologia classica e gli chiese se andasse a trovare il professor Andretti. Il giovane spiegò che stava preparando con lui la sua tesi. Fortunato si disse che il caso a volte non sta molto attento a dissimulare i suoi fini. E confidò al giovane che stava proprio cercando una collaborazione con un filologo di lingue antiche. Qualche colloquio di reciproca esplorazione e il sodalizio fu presto stabilito. Il mese successivo Fortunato e Gabriele cominciarono a lavorare insieme. Per circa un anno e mezzo, Fortunato con il valido aiuto di Gabriele condusse alacremente, instancabilmente approfondite ricerche storiche. Con il prezioso aiuto di amici della comunità accademica, il nostro professore e il suo nuovo amico e collaboratore, poterono accedere alle più lontane fonti del protocristianesimo. In capo a un anno e mezzo il lavoro fu completato. Fortunato si riteneva sufficientemente soddisfatto dei risultati. Lui e Gabriele si dissero che a meno di costruire una macchina del tempo che consentisse loro di andare a vedere di persona come si erano svolti taluni fatti, questo era quanto di meglio si potesse fare sull’argomento. Tutto questo, sempre posponendo la cruciale domanda su cosa fare una volta completati tutti questi lavori. Fortunato era comunque, indipendentemente da tutto, uno studioso, sentiva che la verità doveva assolutamente essere stabilita. Che cosa farne, però, di questa verità una volta afferrata, rimaneva un fatto da decidere. Sapeva per certo che questa decisione rimaneva per lui il compito più difficile, più 145 Gaetano Tufano faticoso, più ingrato. Sapeva anche che laggiù, sul lago Inle, alla fine aveva preferito non usarla la verità. Ripensava alle promesse del cardinale Bonanno circa la canonizzazione di suo fratello, si chiedeva la reale affidabilità delle promesse di “quel dannato prete”. Quando ebbe terminato tutti i lavori era oramai primavera inoltrata. Erano passati quasi due interi anni dalla morte di suo fratello e dall’inizio di tutta la sua personale avventura. Fortunato, si sentiva affaticato. Erano stati due anni molto intensi, aveva lavorato molto e aveva visto poco la sua famiglia. Preso da quella che oramai riteneva una specie di doverosa missione, in questi due anni, non sempre era riuscito, come sua consuetudine, a passare tutti i giorni da casa di Rebecca per vedere lei e le sue amatissime bambine. Per trascorrere con loro la serata, per farsi raccontare com’era andata la scuola, metterle a letto e raccontare loro bellissime storie inventate al momento. Di tutto ciò, Fortunato, si rammaricava molto. Era venerdì sera, il professore preparò la sua borsa con il necessario per fermarsi a dormire per il fine settimana a casa di Rebecca, con la sua famiglia, come accadeva da sempre. Fortunato, in queste giornate, si mostrò molto più gioviale e partecipe della vita della famiglia rispetto agli ultimi due anni, durante i quali, forse preso dai suoi studi, era apparso spesso preoccupato e taciturno. Era primavera inoltrata, Fortunato propose di partire per il mare il sabato mattina e di rientrare la domenica sera. Rebecca e le bambine acconsentirono entusiaste. Fortunato era veramente felice di stare con loro. 146 La verità è una bugia Il lunedì successivo Fortunato aveva un impegno a Roma. Un po’ meccanicamente, senza averne la piena convinzione, come quando si mette in atto una azione decisa tempo addietro e che ora non si ha voglia di rimettere in discussione, passò dal suo appartamento e prese tutti gli stampati e le copie elettroniche dei suoi scritti, frutto di tanto lavoro. Decise di lasciare la sua auto in garage, non aveva voglia di guidare, e salì sul primo treno per la capitale. 147 Gaetano Tufano Millenni di polvere Il treno era molto poco affollato, il professore aveva occupato uno scompartimento pressoché vuoto. Approfittava del tempo a disposizione per dare ancora una scorsa agli stampati delle sue opere alla ricerca dei maledetti refusi, che hanno la capacità di nascondersi, mimetizzarsi e annidarsi dappertutto, quando qualcuno gli si sedette proprio di fronte. Era un prete. Fortunato ebbe per la prima volta un senso di fastidio nel vedere un rappresentante del clero. Fino a quel momento, a pensarci bene, sebbene fosse sempre stato su posizioni agnostiche, aveva sempre e comunque avuto rispetto per i rappresentanti della Chiesa. Dopo uno stentato saluto, cercò di non guardarlo ulteriormente, per evitare di doversi intrattenere con lui. Ma uno degli stampati che aveva 148 La verità è una bugia sulle gambe gli cadde per terra , il prete lo raccolse e, dopo aver gettato un involontario sguardo alla copertina e aver colto il titolo, lo riconsegnò al suo compagno di viaggio. Fortunato ringraziò e cercò di immergersi nuovamente nella sua lettura. Il prete però aveva indovinato dal titolo che si trattava di studi storici sulla figura di Cristo e, giustamente incuriosito, dopo un attimo di esitazione, domandò: -“Voglia perdonare la mia indiscrezione, involontariamente ho colto dal titolo che si tratta di un’opera storica su Nostro Signore Gesù Cristo. Le posso chiedere se il Suo studio apporta nuovi contributi riguardo a tesi, dati storici, testimonianze o altro?” Fortunato, dopo un attimo di riflessione, rispose seccamente: -“Sì, Padre, di nuovo c’è la dimostrazione storica dell’inesistenza del Suo Gesù, così come Lei lo conosce”. Il prete non si scompose, evidentemente nella sua lunga carriera dovevano essergliene capitate tante altre di situazioni analoghe, con ogni genere di miscredenti. -“Capisco. Dunque Lei ha speso tempo della Sua vita a cercare di dimostrare quello che con tutta probabilità già supponeva prima ancora di cominciare le Sue ricerche. Non è così?” -“E’ così, Padre. Ma, mi perdoni, non sono in vena di sofismi, 149 Gaetano Tufano dove vuole arrivare?”. -“Ha ragione, mi scusi, il fatto è che mi aspetterei che un ateo o un agnostico convinto delle proprie posizioni, come immagino Lei sia, desideri spendere diversamente il suo tempo. Il tempo è prezioso per tutti e vale la pena di spenderlo solo per cose necessarie, interessanti o utili. Mi chiedevo Lei per quale di questi motivi ha speso il Suo tempo”. -“Dovendo scegliere tra le Sue categorie, direi che sono stato mosso dalla necessità”. -“Come sospettavo. Ho l’impressione che la necessità da cui è stato animato altro non sia che un’esigenza di spiritualità. Una spiritualità negata dalla sua ragione, ma che cerca in tutti i modi di farsi largo attraverso le maglie della Sua razionalità, anelando ad elevarsi al di sopra delle cose, alla ricerca del sovrannaturale. Una esigenza di spiritualità che l’ha, di fatto, costretta a spendere molto tempo della Sua vita chino su antiche storie”. -“La mia spiritualità è stata soffocata dalle bugie, Padre”. -“Scusi se mi permetto, La trovo molto in collera nei confronti della nostra religione. Se sono inopportuno, me lo dica, La lascerò in pace”. -“Perdoni la mia animosità, Padre, non è intesa nei Suoi riguardi”. -“Le posso chiedere che cosa Le ha fatto perdere la fede?” 150 La verità è una bugia -“Una volta, fino a non molto tempo fa, ritenevo fosse a causa della mia ragione non incline ad atteggiamenti fideistici ora, dopo le mie ultime ricerche, si è aggiunta una causa determinante e definitiva: è venuto a mancare il motivo fondante della fede. Il Cristo, nella cui parola dovremmo avere fede, secondo i miei studi, non trova gli adeguati e necessari riscontri storici, pertanto, con nostro sommo dispiacere viene a cadere ogni presupposto della fede”. -“Cosa ne pensa della famosa ‘Scommessa di Pascal’? Non ritiene tale argomento filosofico, sufficientemente convincente, in assenza di prove adeguate alla Sua ragione?” -“Padre, quell’argomento potrebbe avere un lontano senso nel caso di dubbi sulla parola di Cristo, ma se il dubbio riguarda l’esistenza stessa del redentore, concorderà con me che il valore di tale ‘Scommessa’ si sgretola”. -“Non del tutto: anche ammesso e non concesso che Nostro Signore Gesù Cristo non sia esistito, ciò non vuol dire che non esista un dio e quindi in ogni caso Le conviene credere, piuttosto di correre i gravi rischi che comporta per la Sua anima il non credere”. -“Certamente. Lei ha perfettamente ragione, l’inesistenza storica di Cristo nulla ha a che vedere con l’esistenza di un dio. Deve però concordare con me, caro Padre, che in tal caso, l’eventuale dio avrà attributi, con tutta probabilità, completamente diversi da quelli stabiliti dalla sua confessione. Inoltre, sono costretto a farle osservare che, con il decadimento della figura storica di Cristo, tutta la morale 151 Gaetano Tufano cristiana è messa in discussione. Pertanto, per quanto ne sappiamo, potrebbe darsi il caso che di fronte a questo eventuale dio, Lei potrebbe avere costumi meno appropriati dei miei alle leggi di questo dio, potrebbe pertanto risultare più in difetto di me ai suoi occhi. Non crede? Chi può dirlo”. -“Non voglio discutere dei meriti che questo eventuale dio sicuramente Le troverà, ma deve considerare che io, poiché religioso, ho comunque vissuto una vita di dedizione al mio prossimo, una vita fatta di carità, di amore e di compassione. Avrò certo anche commesso dei peccati, ma pentendomi sempre dei miei errori. Penso in ogni caso di poter affermare di non aver fatto granché male nella mia vita”. -“Caro Padre, Le faccio un banale esempio. Lei con tutta probabilità, come Le concede la Sua religione, si ciberà di carni animali, supponga per un attimo che la morale di questo eventuale dio preveda di non uccidere, né tantomeno di mangiare, nessun essere vivente, che cosa potrà dire, in tal caso, a Sua discolpa?” -“E va bene, concedo anche questo argomento a Suo favore. Mi lasci però obiettare che, se non altro, essere cristiani, e quindi osservare una morale che trova i suoi capisaldi nella bontà, nella carità, nella compassione sia comunque da considerarsi positivamente”. -“Non posso concederglielo. Nessuno può escludere che questo eventuale dio, creatore del nostro mondo e di tutti noi, non sia un burlone, o un pasticcione o che abbia in realtà un animo cattivo. Chi può dirlo?” 152 La verità è una bugia -“La prego, non si può scherzare su Dio. Lei sta bestemmiando”. -“Ascolti, io non sto scherzando su Dio. Anzi sto proprio lasciando al nostro eventuale dio la libertà di essere quello che meglio gli aggrada. Immagine che in quanto Dio se lo possa permettere”. -“Lei gioca con le parole. L’esistenza di Dio…” A questo punto Fortunato interruppe bruscamente il prete. -“Ascolti, il punto per me non è se Dio esista o no. Per secoli i filosofi si sono dibattuti con il problema dell’esistenza di Dio. Penso a Sant’Anselmo, alla sua prova ontologica dell’esistenza di Dio e alla rielaborazione che ne ha fatto Cartesio. Penso alle cinque vie di Tommaso d’Aquino che provano l’esistenza di Dio quale primo motore immobile, rivisitato alla luce dei principi cristiani. Penso ai tentativi di John Locke di dimostrarne l’esistenza per mezzo di inferenze razionali che, basandosi su conoscenze intuitive, pervengono alla conclusione dell’esistenza di Dio in quanto causa del mondo e dell’intelligenza in esso presente: ex nihilo nihil fit. Penso a Immanuel Kant che, pur postulandone l’esistenza dal punto di vista morale, si è sforzato di confutare le tante dimostrazioni che gli sono pervenute per la semplice ragione che riteneva indimostrabile l’esistenza di Dio. Per arrivare più vicino ai nostri giorni, penso alla dimostrazione che Kurt Gödel, uno dei più grandi logici di tutti i tempi, ha tentato nel 1941 nel suo trattato ‘Ontologisches beweis’. Ma, caro Padre, io credo che, di fatto, il problema dell’esistenza di Dio sia un 153 Gaetano Tufano falso problema. Un problema futile, ozioso, vano, inconcludente, persino stupido. Quand’anche attraverso inoppugnabili, ineccepibili dimostrazioni logiche riuscissimo a dimostrarne l’esistenza, cosa potremmo inferirne? Cosa potremmo affermare su di lui, sulla sua natura, sui suoi fini, e di conseguenza cosa ne sapremmo in più su di noi, sulle nostre finalità, sul significato della nostra esistenza? A me, caro Padre, non interessa sapere se Dio esista o no, a me interessa sapere chi sono, perché sono qui, qual è il mio scopo, qual è il senso della mia vita. E’ stato Dio a crearmi? Ebbene, ne so quanto prima. A questo punto, ho bisogno di sapere perché lo ha fatto? Che cosa vuole da me? Che cosa si aspetta da me? Qual è lo scopo di questa mia esistenza? A quale fine devo tendere? Quale deve essere la mia condotta su questa terra? E a queste domande, caro padre, quand’anche fossi certo dell’esistenza di Dio, non troverei alcuna risposta. A questo punto, però, noi uomini, indipendentemente dall’esistenza di Dio, abbiamo di fronte il non facile dilemma di decidere le nostre azioni, di fare delle scelte etiche, di fondare una morale. Una morale che, però, non derivi da falsi miti, mio caro Padre. Occorre ripensare ad una libera morale, che tenga conto delle tradizioni, ma non dei suoi pesanti retaggi. Che affondi le sue feconde radici nella nostra storia, senza però che ne venga mortalmente avviluppata. E se si vuole tentare una morale che abbia parvenza di universalità, occorre includere tutte le tradizioni, tutti i costumi e non solo quelli occidentali. Mi dirà che questo è un compito difficile, forse impossibile. Ebbene, visto che questo riguarda la nostra stessa rappresentazione escatologica, che è cosa innegabilmente più importante in assoluto per ciascun essere 154 La verità è una bugia umano, perché lo coinvolge totalmente, poiché riguarda non solo tutta la sua vita, ma anche la sua morte, e riguarda la vita e la morte di tutti i suoi cari. Ebbene, caro Padre, rispetto all’obiettivo di tentare risposte a questo genere di domande, nessun compito deve sembrarci troppo arduo. Anzi, mi verrebbe da dire che in questo caso, il peccato coincide con l’abbandonarsi al lassismo morale, come conseguenza dell’idea della non perseguibilità del fine preposto. Ma veniamo alla Sua religione, Padre, essa ha dato delle risposte a queste domande, è vero. Ma poiché i postulati su cui queste risposte si basano sono, ahimè, crollati sotto il peso schiacciante di prove che dimostrano la loro inattendibilità, oggi queste risposte non sono più presentabili, e ben presto non saranno più accettate. Esse, oggi, appaiono indecenti di fronte ad una ragione che abbia mantenuto intatto il suo pudore e la sua onestà intellettuale. E, caro Padre, la morale che ancora oggi la Sua Chiesa si ostina a propinare ci appare inadeguata, ricoperta da millenaria polvere, degna di essere pietosamente consegnata alla Storia, dopo duemila anni di, più o meno, onorato servizio”. Fortunato si arrestò di colpo, aveva parlato velocissimo, senza tregua, senza dare al suo compagno di viaggio alcuna possibilità di replica, se ne rese conto e terminò dicendogli: “Mi perdoni, forse sono stato un po’ brusco, non è mia abitudine. Forse sono solo stanco”. Il prete era alquanto attonito, aveva gli occhi sbarrati, restò in silenzio per interminabili istanti con lo sguardo fisso sul suo interlocutore. Poi provò a dire: 155 Gaetano Tufano -“Lei, mi pare di capire, è alla ricerca del Suo dio, una ricerca che forse Lei, in ragione delle Sue facoltà intellettuali può permettersi, ma pensi a quanti sarebbero perduti senza l’aiuto della Chiesa. La Chiesa si erge a baluardo di dottrina riguardo ai destini dell’uomo e dell’universo, cui tutti gli uomini possono aggrapparsi in mancanza di altro”. -“Mi dispiace, Padre, ma la Chiesa, non essendo nella verità, non ha nessun ragionevole motivo di arrogarsi questo diritto. E’ giunto il tempo in cui la Chiesa capisca che deve lasciare nelle mani di ogni uomo le redini del suo destino”. Nel frattempo il treno era entrato alla stazione Termini di Roma e si stava fermando, il prete prese frettolosamente le sue cose, salutò velocemente e scese dal treno di corsa, rischiando di inciampare. Fortunato restò ad osservarlo dal finestrino mentre correva, voltandosi di tanto in tanto. 156 La verità è una bugia Epilogo Fortunato scese dal treno con estrema calma. Si diresse verso piazza dei Cinquecento. Era il tramonto. Il giorno successivo sarebbe stato il secondo anniversario dell’assassinio di Pietro II. Si fermò davanti alla piazza. Amava questa città. Aveva sempre ritenuto piacevole fare ritorno a Roma. Fortunato guardava i tetti arrossati dal sole cadente, la gente affrettarsi alla ricerca dei taxi, o infilarsi nei sottopassaggi che portano alla stazione metropolitana. Guardava le auto e gli autobus incrociarsi, sorpassarsi, fermarsi ai semafori e poi ripartire. Chiuse gli occhi per assaporare il momento. Per un attimo gli sembrò che tutto questo pullulare fosse l’unico senso della nostra vita: nascere, correre con gli occhi bendati e morire, non c’è altro senso, si 157 Gaetano Tufano disse, e se per caso un senso ci dovesse essere, sarebbe davvero difficile trovarlo. Si rendeva conto che tutto il lavoro fatto fin qui, iniziato da suo fratello e portato a termine da lui e da Gabriele, era un solo lavoro di decostruzione di millenarie impalcature. Che ora ci si trovava di fronte al compito ben più arduo di ricostruire, di sostituire la logora morale cristiana e la non più accettabile posizione fideistica, con un’etica e una filosofia aconfessionali e scevre da ossessioni ultraterrene. Consapevoli del mistero della vita senza esserne soggiogate. Un’etica e una filosofia che, pur dovendo postulare valori fondanti l’esistenza umana, lasciassero spazio al vivifico attuarsi dell’infinito orizzonte delle possibilità. Osservò, ad una ad una, le facce che gli passavano davanti chiedendosi quanti di loro fossero realmente credenti. Quale significato rivestisse per loro la fede religiosa? Non era forse per loro semplicemente una polizza assicurativa cui demandare tutte le preoccupazioni e le ansie? Il manuale di istruzioni mancante di questa nostra esistenza? Si chiedeva se, e come, avessero sopportato il peso e la fatica di mettersi alla guida della propria esistenza, fino ad oggi demandata ad altri. Provava grande pena per tutti i suoi simili. Gli vennero in mente dei versi di Guido Gozzano: “…ma laggiù, oltre i colli dilettosi, c'è il Mondo: quella cosa tutta piena di lotte e di commerci turbinosi, la cosa tutta piena di quei «cosi con due gambe» che fanno tanta pena...” (2;4) 158 La verità è una bugia Fortunato si scosse, doveva andare velocemente a cena e subito dopo in albergo a dormire, il giorno successivo sarebbe stato di grande importanza. La mattina si svegliò di buon ora e ben riposato. Aveva un appuntamento con una casa editrice con la quale aveva già preso accordi precedentemente. Andò all’appuntamento con tutto il prezioso, faticoso e pesantissimo fardello. Lo consegnò. Ascoltò accondiscendente tutte le oziose condizioni contrattuali e le proposte sulle percentuali di royalty e le accettò senza battere ciglio, chiedendo solo di dividere i compensi tra lui e Gabriele e di indirizzare i propri a nome di sua moglie Rebecca per motivi fiscali. Uscì dalla casa editrice rasserenato. Proprio come quando dopo lungo tempo ci si liberi da un insopportabile peso. Così, leggero e appagato, si avviò in direzione di via delle Fratte per concedersi una buona cena dopo tante fatiche. Si sedette al solito posto e ordinò distrattamente le sue pietanze preferite. Il ristoratore che lo aveva riconosciuto subito, gli chiese notizie della sua lunga assenza. Fortunato non volendo suscitare curiosità sulle sue opere che immancabilmente lo avrebbe esposto a domande sui contenuti, pose soprattutto l’accento sul viaggio in Malaysia e in Myanmar dell’anno precedente. Il ristoratore, ascoltata la breve sintesi, gli disse: “Dottore la trovo più sereno, si vede che questi viaggi che ha fatto le hanno fatto proprio bene”. Fortunato sembrava effettivamente più sollevato rispetto al solito. Si concesse addirittura di terminare la bottiglia di vino 159 Gaetano Tufano bianco benché, pur apprezzando il vino, solitamente bevesse sempre con moderazione. Terminata la cena, rientrò a piedi in albergo, lentamente. Salì senza indugi le scale, entrò in camera e controllò se nel cassetto della scrivania la pistola che vi aveva riposto fosse ancora al suo posto. Era lì, per fortuna. Si disse che in effetti era stato un po’ incosciente a lasciarla così, incustodita. Si sdraiò sul letto con la compiaciuta sensazione di chi abbia assolto a tutti i propri doveri, senza aver nulla lasciato in sospeso, senza aver nulla lasciato al caso. La mattina dopo la signora delle pulizie, pensando che la camera fosse vuota, entrò per rassettarla e vide Fortunato disteso sul letto, in posizione supina, con gli occhi sbarrati e il volto insanguinato. 160 La verità è una bugia Parte Quarta 161 Gaetano Tufano Quaderno di appunti di Pietro II In questo quaderno di appunti ho voluto riportare alcuni fra i principali dati, e loro fonti, che ho potuto acquisire durante le mie insonni notti passate nella biblioteca del Vaticano. Qui ho potuto accedere a una sconfinata quantità di libri di tutte le epoche. Ho anche potuto accedere a libri messi all'indice dalla Chiesa (Index librorum prohibitorum). Iniziai allora il mio tentativo di acquisire più approfondite conoscenze sulla storia della nostra Religione, consultando febbrilmente volumi su volumi essendo rimandato di continuo da questi a quel libro. Poi ho cercato di procedere in modi più ordinati, imparando a mie spese quanto sia infruttuoso un approccio poco sistematico. Ovviamente non ho potuto colmare le lacune di una vita, così come non posso dire di aver chiaro la storia della nostra Confessione, 162 La verità è una bugia soprattutto a riguardo della figura di Gesù e della nascita del Cristianesimo, ma penso di aver acquisito sufficienti informazioni per poter affermare quale per certo non è la verità. Su tali informazioni affondano le riflessioni che intendo esternare durante il mio primo Angelus nella mia nuova veste di guida della Santa Romana Chiesa. Gli appunti che seguono non sono, non vogliono essere, ma soprattutto non possono essere un elenco esaustivo degli argomenti che riguardano la nostra Confessione, ma sono degli elementi a mio parere significativi, che a mano a mano procedevo nelle mie letture, ho voluto appuntarmi. Essenzialmente ho voluto riportare a beneficio della mia memoria solo i fatti che maggiormente hanno colpito la mia sensibilità, la mia soggettività. La letteratura che ho trovato su tali argomenti è sconfinata. Essa attraversa gli ultimi due millenni e dunque non bastano pochi mesi di affannata consultazione per conoscerla tutta, ma soprattutto tale letteratura presume la conoscenza delle lingue antiche: il greco, l'aramaico, l'ebraico, il copto, il latino, pena l'impossibilità di accedere direttamente alle fonti. Pur avendo le necessarie basi culturali, occorrono, probabilmente, anni per arrivare a una esaustiva, sistematica esegesi di tutte le fonti. Non avendone, occorre affidarsi alle traduzioni e ai lavori dei tanti storici che hanno affrontato tali argomenti. Ed è ciò che ho fatto, ma anche questo non è compito facile. Una diversa interpretazione di una parola, di un fatto conduce per strade che alla fine raggiungeranno conclusioni opposte. 163 Gaetano Tufano Mi sono reso conto in questi mesi di quanto il lavoro dello storico sia difficile e importante. Quante volte in questi mesi ho pensato a mio fratello Fortunato che di questo mestiere ne ha fatto la sua vita. Forse se fossi ricorso a lui, sarebbe per me stato molto più agevole arrivare alla verità, ma non potevo né volevo coinvolgerlo in questo mio progetto. A lui vanno comunque i miei ringraziamenti per gli insegnamenti che a sua insaputa di tanto in tanto mi ha fornito sul suo difficile mestiere. Inoltre, tornando a noi, occorre considerare che, come dirà lo storico cristiano Rudolf Schnackenburg, i dati storici sulla figura di Cristo sono del tutto insufficienti. Da soli non bastano a confermarne l'esistenza. Se dovessimo basarci solo su questi, il lavoro sarebbe presto fatto e porterebbe a conclusioni definitive e del tutto contrarie all'esistenza storica di Gesù. Esistono però le sacre scritture, ma queste non sono di per sé materiale affidabile per uno storico. Esse sono narrazione acritica di fatti e personaggi che paiono vivere solo all'interno delle scritture stesse con poche, insufficienti, inesatte e contraddittorie relazioni con il mondo esterno. Taluni storici le hanno assimilate a narrazione di miti. Affidarsi acriticamente ad esse sarebbe come prendere per buona ogni parola dell'Iliade, ivi compresa l'esistenza degli dei, solo perché, Heinrich Schliemann, basandosi su di essa trovò effettivamente il tesoro di Priamo. Inoltre le scritture (considerando non solo quelle canoniche), a differenza dei dati storici, sono numerosissime, scritte nell'arco di oltre due o tre secoli, e, fatto ancora più importante, esse non concordano sostanzialmente su nulla tra di loro. Non concordano sui pur pochi dati biografici riportati sulla figura 164 La verità è una bugia di Cristo, non concordano con i pur pochi riferimenti storici, ma soprattutto neppure concordano sulla dottrina insegnata da questo, oramai posso dire mitico, Gesù. Dunque è così che devo concludere questa mia ricerca. Una ricerca, iniziata per meglio prepararmi ad affrontare i nuovi difficili compiti che la Chiesa mi stava affidando, conclusasi con il crollo di ogni mia più profonda e sostanziale convinzione. Mi ritrovo oggi dunque, alla vigilia, del mio primo (e probabilmente anche ultimo) Angelus con le mani vuote, solo. Solo con la mia coscienza di uomo, solo con i miei dubbi di uomo, solo di fronte a duemila anni di storia che mi guardano grondanti di sangue, duemila anni di storia che chiedono verità, giustizia. I dubbi. Certamente ho dubbi. Mi chiedo che ne sarà di quanti si affidano alle parole della Chiesa, di quanti trovano in essa conforto nella malattia, nella miseria, nel dramma di un'esistenza svuotata di quel senso cui la teleologia cristiana aveva abituato. Ripenso al conforto delle cerimonie funebri per i miei cari genitori: la mia incommensurabile sofferenza per la loro perdita era per un attimo lenita solamente per un istante dalla recita del De profundis durante la liturgia funebre. Ripenso in questo momento con affetto ai miei cari fratelli rimasti nelle missioni: al caro frate Guglielmo così mite, così intimamente pervaso di naturale bontà, al buon frate Tommaso la cui estrema sensibilità rende così fragile, al 165 Gaetano Tufano caro frate Alessio che aveva del mondo una così dolce visione nonostante gli orrori cui a volte ci toccava assistere. Sono sicuro però che loro mi comprenderanno, perché sanno qual è lo spirito che mi anima e mi conoscono e sapranno per certo che nessun diabolico miasma si è impadronito dei miei pensieri. E penso che per loro, per noi, nulla comunque cambierà perché l'amore per il nostro prossimo ci viene dal profondo senso di comunione che sentiamo verso i nostri simili. Infine, debbo con forza affermare che la menzogna non può sperare di trovare nessun ricetto presso di noi. E non v’è nessuna plausibile giustificazione che consenta di albergarla presso di noi. Poiché, se questa nostra esistenza, ha un significato, e se noi desideriamo cercarlo, è solo tenendo libera la mente e gli occhi da qualsiasi impostura che possiamo sperare di trovarlo. E soprattutto, se un dio, in qualche luogo, in qualche modo, dovesse esistere l'unica speranza di trovarlo è liberarsi dai falsi miti. Che Egli voglia aiutarci a trovarlo! 166 La verità è una bugia Appunti di Pietro II (1;0) Messe sataniche in Vaticano. Intervista a padre Gabriele Amorth. “Satanisti in Vaticano? «Sì, anche in Vaticano ci sono membri di sètte sataniche». E chi vi è coinvolto? Si tratta di preti o di semplici laici? «Ci sono preti, monsignori e anche cardinali! ». Mi perdoni, don Gabriele, ma Lei come lo sa? «Lo so dalle persone che me l’hanno potuto riferire perché hanno avuto modo di saperlo direttamente. Ed è una cosa ‘confessata’ più volte dal demonio stesso sotto obbedienza durante gli esorcismi». Il Papa ne è informato? «Certo che ne è stato informato! Ma fa quello che può. E’ una cosa agghiacciante. Tenga presente poi che Benedetto XVI è un 167 Gaetano Tufano Papa tedesco, viene da una nazione decisamente avversa a queste cose. In Germania infatti praticamente non ci sono esorcisti, eppure il Papa ci crede: ho avuto occasione di parlare con lui tre volte, quando ancora era prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Altroché se ci crede! E ne ha parlato esplicitamente in pubblico parecchie volte. Ci ha ricevuto, come associazione di esorcisti, ha fatto anche un bel discorso, incoraggiandoci e elogiando il nostro apostolato. E non dimentichiamo che del diavolo e dell’esorcismo moltissimo ne ha parlato anche Giovanni Paolo II». Allora è vero quello che diceva Paolo VI: che il fumo di Satana è entrato nella chiesa? «E’ vero, purtroppo, perché anche nella chiesa ci sono adepti alle sètte sataniche. Questo particolare del ‘fumo di Satana’ lo riferì Paolo VI il 29 giugno 1972. Poi, siccome questa frase ha creato uno scandalo enorme, il 15 novembre dello stesso 1972 ha dedicato tutto un discorso del mercoledì al demonio, con frasi fortissime. Certo, ha rotto il ghiaccio, sollevando un velo di silenzio e censura che durava da troppo tempo, però non ha avuto conseguenze pratiche. Ci voleva uno come me, che non valeva niente, per spargere l’allarme, per ottenere conseguenze pratiche»“. Pubblicato su “Il Foglio”, giovedì 25 febbraio 2010 (1;1) «Da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio.» “Riferendosi alla situazione della Chiesa di oggi, il Santo Padre afferma di avere la sensazione che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio». C’è il 168 La verità è una bugia dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida più della Chiesa; ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula della vera vita. E non avvertiamo di esserne invece già noi padroni e maestri. È entrato il dubbio nelle nostre coscienze, ed è entrato per finestre che invece dovevano essere aperte alla luce”. Omelia di Paolo VI del 29 giugno 1972 (1;2) Primi integralismi da parte del cristianesimo appena affermato. “Tra il 315 e il sesto secolo furono perseguitati ed uccisi un numero incalcolabile di pagani, numerosi celebri templi pagani furono distrutti: il santuario di Esculapio nell’Egea, il tempio di Afrodite a Golgota, i templi di Afaca nel Libano, il santuario di Eliopoli. Nel 356 venne sancita la pena di morte per chi praticava i riti pagani. L’imperatore cristiano Teodosio fece persino giustiziare bambini, rei di aver giocato coi resti delle statue pagane. All’inizio del quarto secolo, per sobillazione di sacerdoti cristiani, fu giustiziato il filosofo politeista Sopatro”. Karl-Heinz Deschner, „Abermals krähte der Hahn“, Stuttgart 1962. (1;3) Distruzione del Serapeo. “All'epoca Teofilo, il vescovo dei cristiani, «troneggiava come una specie di Eurimedonte sui Giganti alteri», deplora 169 Gaetano Tufano Eunapio. E quegli esseri, accanendosi rabbiosamente sui luoghi a noi sacri come muratori su rozza pietra [...], demolirono il tempio di Serapide [...] e fecero guerra ai suoi tesori e alle sue statue, sgominandole come avversari che non potevano opporre resistenza”. Silvia Ronchey, "Ipazia" (1;4) Responsabilità di Cirillo nell'uccisione di Ipazia. “...si legge in Suida, Cirillo [...] avendo domandato che cosa mai fosse quella folla, e il perché di un tale andirivieni intorno alla casa, si sentì dire che era il giorno in cui Ipazia riceveva, che la casa era la sua. Saputo ciò, Cirillo, si sentì mordere l'anima: fu per questo motivo che organizzò ben presto l'assassinio di lei. [....] narra Suida con Damascio, che Una moltitudine di uomini imbestialiti piombò improvvisamente addosso a Ipazia un giorno che come al solito tornava a casa da una delle sue pubbliche apparizioni. La figlia di Teone è tirata giù dalla carrozza e trascinata, riferisce Socrate, «alla chiesa che prende il nome del cesare imperatore» e cioè nel Cesareo, da poco trasformato in chiesa cristiana. Qui, 170 La verità è una bugia incuranti della vendetta dei numi e degli umani questi veri sciagurati, massacrarono la filosofa, denuncia il pagano Damascio, aggiungendo: E mentre ancora respirava un po' le cavarono gli occhi. E il cristiano Socrate: La spogliarono delle vesti, la massacrarono usando cocci aguzzi (ostraka), la fecero a brandelli. E trasportati quei resti al cosiddetto Cinaron, li diedero alle fiamme”. Silvia Ronchey , "Ipazia” (1;5) Benedetto XVI e Cirillo: “Alla morte dello zio Teofilo, l’ancora giovane Cirillo nel 412 fu eletto Vescovo dell’influente Chiesa di Alessandria, che governò con grande energia per trentadue anni, mirando sempre ad affermarne il primato in tutto l’Oriente, forte anche dei tradizionali legami con Roma”. Udienza generale di Benedetto XVI - Piazza San Pietro Mercoledì, 3 ottobre 2007 (1;6) Papa Leone XIII e Cirillo: “Venerato come Santo sia in Oriente che in Occidente, nel 1882 san Cirillo fu proclamato Dottore della Chiesa dal Papa Leone XIII”. Udienza generale di Benedetto XVI - Piazza San Pietro Mercoledì, 3 ottobre 2007 171 Gaetano Tufano (1;7) Le crociate. “Le crociate tra il 1095 e il 1291 furono responsabili di circa 20 milioni di vittime secondo cronisti cristiani. Uccisi tra i 10.000 e i 60.000 musulmani durante la conquista di Antiochia. Raimondo di Aguilers, cappellano di campo del conte di Tolosa: «Sulle piazze si accumulano i cadaveri a tal punto che, per il tremendo fetore, nessuno poteva resistere a restare: non v’era nessuna via, in città, che fosse sgombra di corpi in decomposizione». Il 15 luglio dell'anno 1098, venne espugnata Gerusalemme, morirono 60.000 persone, tra ebrei e musulmani, uomini, donne e bambini. Un testimone oculare riporta: «là (davanti al tempio di Salomone) si svolse una tale mischia cruenta che i cristiani si trascinavano nel sangue dei nemici fino alle nocche dei piedi». L’arcivescovo Guglielmo di Tiro: «Felici, piangenti per l’immensa gioia, i nostri si radunarono quindi dinanzi alla tomba del nostro salvatore Gesù, per rendergli omaggio e offrirgli il loro ringraziamento… E non fu soltanto lo spettacolo dei cadaveri smembrati, sfigurati, irriconoscibili, a lasciar sbigottito l’osservatore; in realtà, incuteva sgomento anche l’immagine stessa dei vincitori, grondanti di sangue dalla testa ai piedi, sicché l’orrore s’impadroniva di tutti 172 La verità è una bugia quelli che li incontravano». Il cronista cristiano Eckehard di Aura testimonia che, ancora durante l’estate successiva dell’anno 1100, «in tutta la Palestina l’aria era appestata del lezzo dei cadaveri. Di stragi siffatte nessuno aveva mai visto o udito l’uguale tra i pagani». Nella battaglia di Ascalona, il 12 agosto 1099, vennero uccisi 200.000 infedeli «in nome del nostro Signore Gesù Cristo»“. Karl-Heinz Deschner, «Abermals krähte der Hahn», Stuttgart 1962. (1;8) Crociata contro i catari. “Nel 1208, per ordine del papa Innocenzo III - il massimo genocida prima di Hitler - incominciò la crociata contro gli eretici albigesi. La città di Beziérs (nel sud della Francia) venne rasa al suolo il 22 luglio 1209, tutti gli abitanti massacrati, compresi i cattolici, che avevano rifiutato l’estradizione degli eretici. Il numero dei morti viene stimato tra 20.000 e 70.000. Nella stessa crociata, dopo la presa di Carcassonne (15 agosto 1209), caddero ancora migliaia di ribelli, e la stessa sorte toccò a molte altre città. Nei successivi vent’anni di guerra, tutta la regione fu devastata, quasi tutti i Catari (quasi la metà della popolazione della Linguadoca, nella Francia meridionale) vennero sconfitti, lapidati, annegati, messi al rogo”. 173 Gaetano Tufano H. Wollschläger, «Die bewaffneten Wallfahrten gen Jerusalem», (I pellegrinaggi armati contro Gerusalemme), Zürich 1973 (1;9) Parole del legato pontificio al seguito dei crociati. “«Caedite eos! Novit enim Dominus qui sunt eius », Uccideteli tutti! Il Signore sceglierà i suoi”. Rapporto di Amaury al papa, lettera dell'agosto 1209 (1;10) Massacro di Marmande. Crociata contro gli albigesi. “Nel 1219 ci fu un'altro massacro ricordato «Chanson de la Croisade Albigeoise». «Corsero nella città, agitando spade affilate, e fu allora che cominciarono il massacro e lo spaventoso macello. Uomini e donne, baroni, dame, bimbi in fasce vennero tutti spogliati e depredati e passati a fil di spada. Il terreno era coperto di sangue, cervella, frammenti di carne, tronchi senza arti, braccia e gambe mozzate, corpi squartati o sfondati, fegati e cuori tagliati a pezzi o spiaccicati. Era come se fossero piovuti dal cielo. Il sangue scorreva dappertutto per le strade, nei campi, sulla riva del fiume »“. Guilhèm de Tudèla, Gui de Cavalhon,"Chanson de la Croisade Albigeoise", verso il 1213. (1;11) Papa Paolo VI agli studenti. Paolo VI ebbe a pronunciare ai giovani: 174 «siate onesti, La verità è una bugia cercate sempre, spingete i vostri dubbi sino alle estreme conseguenze». “«Prolungate sino al convincimento la vostra vigilia [di studio e di ricerca], ma siate onesti, cercate sempre, spingete i vostri dubbi sino alle estreme conseguenze»” Paolo VI, “ Cappella dell'Università di Roma”, 1964 (1;12) Bolla Ad extirpanda. Papa Innocenzo IV nel 1252 con la bolla «Ad extirpanda» autorizzò l'uso della tortura durante l'istruzione dei processi. « (26) Teneatur praeterea Potestas, seu Rector omnes haereticos,quos captos habuerit, cogere citra membri diminutionem, et mortis periculum, tamquam vere latrones, et homicidas animarum, et fures sacramentorum Dei, et Fidei Christianae, errores suos expresse fateri, et accusare alios haereticos, quos sciunt, et bona eorum, et credentes, et receptatores, et defensores eorum, sicut coguntur fures, et latrones rerum temporalium, accusare suos complices, et fateri maleficia, quae fecerunt.» Canone 26 della bolla Ad Extirpanda (1;13) Vittime dell'Inquisizione “Dalla fondazione Nobel è stato calcolato che in quasi 500 anni di operato dell'inquisizione le vittime furono 56.000.000, di cui 3.000.000 di donne accusate di stregoneria”. Archivio sull’inquisizione della Fondazione Nobel – 175 Gaetano Tufano Stoccolma Archivio di stato di Bamberg – Baviera - Germania Staatsbibliothek Bamberg – Deutchland (1;14) Giovanni Paolo II chiede perdono per le vittime dell'inquisizione. "Oggi in San Pietro Giovanni Paolo II, dopo aver chiesto sette volte perdono per le «colpe» storiche e attuali dei «figli della Chiesa», abbraccerà e bacerà il Crocifisso: sarà il gesto più originale del Grande Giubileo e forse l' atto più importante di tutto l'attuale Pontificato. Quella di oggi si chiama «giornata del perdono». Non tutti - nella Curia romana e tra i cardinali - hanno condiviso l'intenzione del Papa di procedere a questo «mea culpa» epocale, riguardante duemila anni di storia, annunciata sei anni fa con la lettera apostolica «Tertio millennio adveniente» (Avvicinandosi il Terzo millennio). Ma toccherà proprio a sette cardinali capi-dicastero leggere, durante la messa papale di oggi, le sette «invocazioni» di perdono, a ognuna delle quali risponderà il Papa con altrettanti impegni - a nome della Chiesa - perché simili errori non vengano «mai più» compiuti. La celebrazione (che sarà trasmessa in Mondovisione da Rai 1) inizierà alle 9.30 con una processione penitenziale, al canto delle «litanie dei santi». Dopo una «statio» (cioè una sosta) davanti alla Pietà di Michelangelo, la processione si avvierà all'altare, aperta dalla Croce, seguita da sette candelabri e dal Libro dei Vangeli. Dopo l'omelia - nella quale il Papa motiverà la decisione di questo «atto penitenziale» senza precedenti 176 La verità è una bugia storici - e dopo il «Credo», avrà luogo «la confessione delle colpe e la richiesta di perdono». Si tratterà di una «preghiera universale» simile a quella del venerdì santo, divisa in sette invocazioni, intercalate dal canto del «Kyrie eleison» (Signore pietà). La prima invocazione è come una premessa generale: invita a confessare i peccati, a purificare la memoria e a impegnarsi «in un cammino di vera conversione». Seguono sei specifiche confessioni di peccato, per altrettante «colpe» storiche e attuali, che illustriamo nei riquadri di questa pagina: peccati commessi usando la forza e la violenza a servizio della fede, nelle divisioni tra Chiese accompagnate da scomuniche e persecuzioni, con l'antigiudaismo che ha dato luogo a vere e proprie persecuzioni degli ebrei, operando conversioni forzate, predicando la sottomissione delle donne e giustificando lo schiavismo, rendendosi corresponsabili di ingiustizie sociali”. […] “«Memoria e riconciliazione, la Chiesa e le colpe del passato» I PECCATI L' intolleranza, le violenze e i soprusi durante le Crociate e nell' Inquisizione «Peccati commessi nel servizio della verità: intolleranza e violenza contro i dissidenti, guerre di religione, violenze e soprusi nelle crociate, metodi coattivi nell' inquisizione»” (Testi a cura di Luigi Accattoli) Pagina 9 (12 marzo 2000) - Corriere della Sera Archivio storico del Corriere della Sera 177 Gaetano Tufano (1;15) Vanini « Empio osarono dirti e d'anatemi oppressero il tuo cuore e ti legarono e alle fiamme ti diedero. O uomo sacro! perché non discendesti in fiamme dal cielo, il capo a colpire ai blasfemi e la tempesta tu non invocasti che spazzasse le ceneri dei barbari dalla patria lontano e dalla terra! Ma pur colei che tu già vivo amasti, sacra Natura te morente accolse, del loro agire dimentica i nemici con te raccolse nell'antica pace. » F. Hölderlin, «Tutte le liriche», Milano, 2001 (1;16) Ora terza, secondo Marco evangelista a quest'ora Gesù sarà crocifisso. «Marco 15:25 - Or era l'ora di terza, quando lo crocefissero.» Vangelo secondo Marco (1;17) Giovanni che fissa l'ora della crocifissione a mezzogiorno, ovvero intorno all'ora sesta, il 7 aprile del 30 d.C. «Giovanni 19:14 - (or era la preparazione della pasqua, ed era intorno all'ora sesta); e disse a' Giudei: Ecco il vostro Re. 178 La verità è una bugia Giovanni 19:15 - Ma essi gridarono: Togli, togli, crocifiggilo. Pilato disse loro: Crocifiggerò io il vostro Re? I principali sacerdoti risposero: Noi non abbiamo altre re che Cesare.» Vangelo secondo Giovanni (1;18) Ed è subito sera « Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera. » Salvatore Quasimodo, «Ed è subito sera», Milano 1942 (1;19) Posizione storico cristiano sull'esistenza di Gesù Cristo. «Mediante gli sforzi della ricerca coi metodi storico-critici non si riesce o si riesce solo in misura insufficiente a raggiungere una visione affidabile della figura storica di Gesù di Nazareth» Rudolf Schnackenburg, «La persona di Gesù Cristo nei quattro Vangeli» (1;20) Giuseppe Flavio: «Testimonium Flavianum». Molti storici ritengono questo passo una interpolazione successiva di copisti cristiani. Alcune delle prove riguardano differenze di stile e il fatto che Origene, pur conoscendo le opere di Giuseppe Flavio, sostiene che questi non conoscesse la figura di Cristo. 179 Gaetano Tufano «A quel tempo visse Gesù, un uomo saggio, se pure si può chiamarlo uomo: perché compì opere straordinarie, e insegnò a coloro che amavano la verità. Egli portò a sé molti Ebrei e molti Gentili. Egli era il Cristo. E quando Pilato udì che era accusato dai nostri governanti, lo condannò alla croce. Coloro che lo avevano amato dagli inizi non persero la fede in lui, ed egli apparve loro redivivo i terzo giorno, perché i profeti avevano previsto questa e altre mille meraviglie su di lui. E la tribù dei Cristiani, che prende il nome da lui, non si è estinta fino a oggi.» Giuseppe Flavio, «Le Antichità Giudaiche». Storici contemporanei e appena successivi di Gesù. Insufficienza di dati storici esterni alle sacre scritture. "Nei documenti storici contemporanei o poco successivi all'epoca di Gesù, di lui non si parla mai. In seguito, solo quattro storici fanno qualche riferimento: Flavio Giuseppe, Plinio il Giovane, Svetonio e Tacito. [...] Questi sono dunque i brani non cristiani dell'antichità che citano in qualche maniera Gesù: certamente troppo pochi, vaghi e indiretti, per poter costituire una convincente prova esterna della sua esistenza”. Piergiorgio Odifreddi, «Perché non possiamo essere cristiani» (1;21) Benedetto XVI concorda che la fede necessita di fondamenta storiche. «Per la fede biblica, infatti, è fondamentale il riferimento a 180 La verità è una bugia eventi storici reali [....] Se mettiamo da parte questa storia, la fede cristiana in quanto tale viene eliminata e trasformata in un altra religione». Benedetto XVI, «Gesù di Nazareth», BUR, Marzo 2011 (1;22) Vittime del cristianesimo nel Nuovo Mondo. "Su ogni isola su cui mette piede Colombo traccia una croce sul terreno e «dà lettura della rituale dichiarazione ufficiale» (il cosiddetto Requerimiento) al fine di prender possesso del territorio da parte della Spagna, nel nome dei suoi Cattolici Signori. Contro di che «nessuno aveva da obiettare». Qualora gli Indios negassero il loro assenso (soprattutto perché non comprendevano semplicemente una parola di spagnolo), il Requerimiento recitava così: «Con ciò garantisco e giuro che, con l’aiuto di Dio e con la nostra forza, penetreremo nella vostra terra e condurremo guerra contro di voi (…) per sottomettervi al giogo e al potere della Santa Chiesa (…) infliggendovi ogni danno possibile e di cui siamo capaci, come si conviene a vassalli ostinati e ribelli che non riconoscono il loro Signore e non vogliono ubbidire, bensì a lui contrapporsi»" D. Stannard, «American Holocaust», Oxford University Press 1992. (1;23) Vittime del cristianesimo nel Nuovo Mondo. "Intanto, prima ancora che si venisse alle armi, due terzi 181 Gaetano Tufano della popolazione indigena cadeva vittima del vaiolo importato dagli Europei. Il che era interpretato dai cristiani, manco a dirlo, come «un segno prodigioso dell’incommensurabile bontà e provvidenza di Dio»!. Così, ad esempio, scriveva nel 1634 il governatore del Massachussets: «Quanto agli indigeni, sono morti quasi tutti contagiati dal vaiolo, e per tal modo il SIGNORE ha confermato il nostro diritto ai nostri possedimenti». Sulla sola isola di Hispaniola, dopo le prime visite di Colombo, gli indigeni Arawak - un popolo inerme e relativamete felice che viveva delle risorse del loro piccolo paradiso - lamentarono presto la perdita di 50.000 vite. In pochi decenni, gli Indios sopravvissuti caddero vittime di assalti, stragi, strupri e riduzione in schiavitù da parte degli Spagnoli. Dalla cronaca d’un testimone oculare: «Furono uccisi tanti indigeni da non potersi contare. Dappertutto, sparsi per la regione, si vedevano innumerevoli cadaveri di indiani. Il fetore era penetrante e pestilenziale». Il capo indiano Hatuey riuscì a fuggire col suo popolo, ma fu catturato e bruciato vivo. «Quando lo legarono al patibolo, un frate francescano lo pregò insistentemente di aprire il suo cuore a Gesù affinché la sua anima potesse salire in cielo anziché precipitare nella perdizione. Hatuey ribatté che se il il cielo è il luogo riservato ai cristiani, lui preferiva di gran lunga l’inferno»“. 182 La verità è una bugia D. Stannard, «American Holocaust», Oxford University Press 1992. (1;24) Vittime del cristianesimo nel Nuovo Mondo. “«La popolazione dell’isola, stimata di circa otto milioni all’arrivo di Colombo, era scemata già della metà o di due terzi, ancor prima che finisse l’anno 1496». Finalmente, dopo che gli abitanti dell’isola furono quasi sterminati, gli Spagnoli si videro “costretti” a importare i loro schiavi da altre isole dei Caraibi, ai quali toccò peraltro la medesima sorte. In tal modo «milioni di autoctoni della regione caraibica vennero effettivamente liquidati in meno d’un quarto di secolo». «Così, in un tempo minore della durata normale d’una esistenza umana, fu annientata un’intera civiltà di milioni di persone che per migliaia di anni erano stanziate nella loro terra»“. D. Stannard, «American Holocaust», Oxford University Press 1992. (1;25) Vittime del cristianesimo nel Nuovo Mondo. "Hernando Cortez, Francisco Pizarro, Hernando De Soto e centinaia di altri Conquistadores spagnoli saccheggiarono e annientarono - in nome del loro Signor Gesù Cristo - molte grandi civiltà dell’America centrale e meridionale (De Soto saccheggiò inoltre la Florida, regione « fiorente»). «Mentre il secolo XVI volgeva al termine, quasi 200.000 spagnoli si erano stabiliti nel Nuovo Mondo. In questo 183 Gaetano Tufano periodo, in conseguenza dell’invasione, si stima che avessero già perso la vita oltre 60 milioni di indigeni»“. D. Stannard, «American Holocaust», Oxford University Press 1992. (1;26) Citazione di Mosè «Delle città di questi popoli, che il Signore tuo Dio ti dà in retaggio, non devi lasciare in vita nulla di quanto respira. Ma dovrai invece destinarle alla distruzione, così come il Signore tuo Dio ti ha dato per dovere» «Mosé», V 20 (1;27) Vecchio Testamento. Il sostantivo dio nel vecchio testamento è scritto al plurale, ad indicare un origine politeistica. "...Bershit barà Elohim il verbo barà è singolare, ma il soggetto Elohim è plurale. La traduzione corretta dovrebbe dunque essere: «In principio gli dei creò il cielo e la terra». [...] che cosa significa, infatti, che fin dalla sua prima apparizione biblica «Dio» si manifesti in realtà come «gli dei»? [...] Qualche cristiano se la cava dicendo che un sostantivo plurale retto da un verbo singolare è una prefigurazione della Trinità: di un dio, cioè, che dovrebbe essere allo stesso uno e molti. Ma chi non crede ammetterà che il plurale è un fossile del politeismo che vigeva nella terra di Canaan, e che fu evidentemente ereditato dagli Ebrei del regno settentrionale di Israele. 184 La verità è una bugia Piergiorgio Odifreddi, «Perché non possiamo essere cristiani» (1;28) Commenti di Bertrand Russell sulla morale cristiana. "Frasi di questo genere hanno recato paura e terrore all'umanità, e non mi sento di riconoscere un'eccezionale bontà in chi le pronunciò. E ancora: «Il Figlio dell'Uomo invierà i suoi angeli, ed essi raduneranno tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente. Ivi sarà pianto e stridor di denti». [...] Ai cattivi dirà: «'Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno.' E questi andranno nel fuoco eterno»“. Bertrand Russell, «Perché non sono cristiano», Longanesi, Milano, 1960 (1;30) Cronache dal Vaticano. “Ieri mattina sono andato alla Sistina a votare tranquillamente. Mai avrei immaginato quello che stava per succedere!”, è il 26 agosto 1978 quando Albino Luciani pronuncia queste parole. Il 28 settembre muore. Il referto parla di “infarto miocardico acuto”. E all’inizio nessuno dubita. Quel Papa dai modi miti, si dice, stroncato da una tensione insostenibile. Il tempo, però, rivela altro: Luciani si preparava a essere un Pontefice innovatore, con il desiderio di riportare la Chiesa alla semplicità originaria. Un impegno, però, che doveva scontrarsi le influenti gerarchie vaticane abituate a gestire 185 Gaetano Tufano potere e centinaia di miliardi. Saranno le inchieste giornalistiche a pronunciare per la prima volta la parola ‘omicidio’. Ne parlerà a Paolo Borsellino anche un pentito di mafia, Vincenzo Calcara. Emersero così alcune circostanze mai chiarite: alla morte di Luciani fu deciso di non effettuare l’autopsia. Non fu mai chiarito del tutto chi ritrovò il corpo. Si raccontò poi di un incontro che il Papa aveva appena avuto per verificare le finanze della Chiesa. Infine, si è parlato della lista di nomine (e rimozioni) che avrebbe dovuto essere comunicata proprio il giorno della morte. Piazza San Pietro, 13 maggio 1981, attentato a papa Wojtyla . L’unica cosa certa è che a sparare fu Mehmet Ali Agca (condannato all’ergastolo e graziato nel 2000). Le sue dichiarazioni contraddittorie hanno lasciato intravvedere perfino complici in Vaticano. L’ipotesi più seguita parla di un attentato progettato dal Kgb insieme con la Stasi della Germania Est. I servizi comunisti si sarebbero serviti di terroristi bulgari e dei Lupi Grigi turchi. Ma il pentito Calcara sosteneva che la mafia aveva avuto un ruolo nella vicenda. A gettare una luce – o un’ombra – diversa sui gialli del Vaticano sono gli scandali che vedono collegati Ior (l’Istituto Opere Religiose), Paul Marcinkus, Michele Sindona e P2. Dalle inchieste sul crack emerse che lo Ior avrebbe fornito una copertura per drenare 1. 500 miliardi dalle casse dell’Ambrosiano. Non solo: Calcara sostenne che Marcinkus era a contatto anche con ambienti di Cosa Nostra. Uno scandalo, quello del Banco Ambrosiano, finito nel sangue con 186 La verità è una bugia le morti di Roberto Calvi, della sua segretaria e di Michele Sindona. Oltre a Giorgio Ambrosoli che stava cercando di fare chiarezza sull’Ambrosiano. E Marcinkus? Annullata sulla base dei Patti Lateranensi la richiesta di estradizione, morì con i suoi segreti a Sun City, in Arizona, a 84 anni. Emanuela Orlandi ha 15 anni quando scompare il 22 giugno 1983. Da quel giorno comincia una storia infinita di depistaggi, di piste che non si sa mai se siano vere o false. È Giovanni Paolo II nell’Angelus del 3 luglio 1983 a dire per primo pubblicamente che si tratta di un sequestro. Intanto è un supplizio continuo di telefonate anonime. Prima tocca a Pierluigi e Mario (telefonisti legati, pare, alla Banda della Magliana) che vorrebbero far credere alla fuga. Poi tocca a un uomo dall’accento americano che qualcuno sostiene fosse Marcinkus. Quindi spunta il possibile collegamento con la Magliana che si dice volesse chiedere la restituzione dei miliardi investiti nello Ior. I testimoni raccontano di aver visto Emanuela per l’ultima volta a due passi dalla Basilica di Sant’Apollinare. C’è chi sostiene che fosse con un uomo che somigliava a Renatino De Pedis, uno dei capi della Banda. Proprio lui che incredibilmente è sepolto all’interno della Basilica. Sabrina Minardi, ex moglie del giocatore Bruno Giordano in quegli anni legata a De Pedis, sostiene di aver assistito alla sepoltura di Emanuela. Agca invece assicura: ‘Emanuela è viva’. Un sedicente ex agente del Sismi sostiene si trovi in un manicomio inglese. Mille piste, nessuna verità. Alois Estermann viene nominato capo delle Guardie Svizzere 187 Gaetano Tufano la mattina del 4 maggio 1998. La sera viene ucciso con la moglie Gladys Meza Romero e con la guardia Cedric Tornay. La soluzione ufficiale del giallo arriva dopo poche ore di indagine condotta tutta dentro le Mura Vaticane: Tornay era un ragazzo instabile, fumava canne. Aveva una cisti nel cervello che lo avrebbe reso più aggressivo. Cedric avrebbe ucciso Estermann per vendicarsi di una promozione negata. La moglie dell’ufficiale si sarebbe trovata nel posto sbagliato. Un mare di prove (troppe hanno pensato in molti). Testimoni che spariscono e riemergono anni dopo accanto al Papa. Il 27 marzo 2011 monsignor Carlo Maria Viganò, all’epoca segretario generale del Governatorato (che gestisce le casse vaticane) scrive a Benedetto XVI. Viganò, chiamato un anno prima dal Papa a rimettere in sesto le finanze vaticane, lancia un allarme: vogliono di rimuovermi, (sic) ma “un mio trasferimento provocherebbe smarrimento in quanti hanno creduto fosse possibile risanare tante situazioni di corruzione e prevaricazione”. Viganò ha portato i conti da 8 milioni di perdite a 34, 4 di avanzo. Il monsignore accusa “grandi banchieri che sono risultati fare più il loro interesse che i nostri”. Il 18 ottobre Viganò viene nominato nunzio apostolico a Washington dal segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Una destinazione di prestigio. E lontana dai conti del Vaticano. Ma il programma ‘Gli Intoccabili’ scopre la storia”. Ferruccio Sansa, «Il Fatto quotidiano», 10 febbraio 2012 (1;31) Posizione di Tommaso d'Aquino sulla pena di morte. 188 La verità è una bugia Tommaso d'Aquino nella sua «Summa Theologiae afferma»: «Per quanto riguarda gli eretici, essi si sono resi colpevoli di un peccato che giustifica che non solo siano espulsi dalla Chiesa con l'interdetto, ma anche che vengano allontanati da questo mondo con la pena di morte». Tommaso d'Aquino, «Summa Theologiae» 189 Gaetano Tufano Note (2;1) Espressione inserita in una formula di esorcismo. «Crux sancta sit mihi lux Non draco sit mihi dux Vade retro satana Numquam suade mihi vana Sunt mala quae libas Ipse venena bibas» Traduzione: «Croce santa sia la mia luce, non sia il drago la mia guida, retrocedi, Satana, non tentare mai di persuadermi, sono cose vane, sono cose male quelle che offri, bevi tu stesso i veleni». (2;2) «Attesto che non v'è dio se non Iddio (due volte) Attesto che Muhammad è l'Inviato di Dio (due volte) Orsù alla preghiera (due volte) Orsù alla salvezza (due volte) Iddio è Sommo (due volte) Non v'è dio se non Iddio». (2;3) «Non uscire fuori di te, ritorna in te stesso: nell’interiorità dell’uomo abita la verità, 190 La verità è una bugia e se troverai la tua natura mutabile, trascendi anche te stesso». Aurelio Agostino, “De vera religione” (2;4) Guido Gozzano, da “I Colloqui” La Signorina Felicita. 191 L’AUTORE Gaetano Tufano vive e lavora nei pressi di Milano. E’ manager in una multinazionale di prodotti e servizi informatici, ma ha dedicato molta parte della sua vita alle sue passioni: la letteratura, la poesia e la filosofia. Questo romanzo è il frutto di appassionate riflessioni sulle religioni in generale e, in particolare, sul cristianesimo e sulle sue mistificazioni. 192 La verità è una bugia Ringraziamenti A Fausto per la consulenza storica e filosofica, per gli incoraggiamenti e il supporto morale A Valentina per la veste grafica A Giada e Ambra per aver sempre prontamente distolto l’attenzione dalla loro preziosa attività ludica per darmi consulenza sui nomi A Monica per i preziosi consigli 193 Gaetano Tufano 194 La verità è una bugia 195