La verità è una bugia

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La verità è una bugia
Gaetano Tufano
In copertina foto di Valentina Tufano
Prima edizione agosto 2012
Seconda edizione ottobre 2012
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La verità è una bugia
La verità è una bugia
Gaetano Tufano
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Copyright © 2012 Gaetano Tufano
All rights reserved.
ISBN: 9788891028457
INDICE
Prefazione ................................................................... 7
Parte Prima ................................................................15
Angelus di Pietro II ................................................16
Il primo sogno di Pietro II ......................................35
L’annuncio di Pietro II ...........................................40
Il secondo sogno di Pietro II ...................................56
La morte di Pietro II ...............................................58
Parte Seconda ............................................................59
Riunione del collegio dei cardinali .........................60
Il cardinale Corrado Bonanno.................................66
La partita a scacchi .................................................72
Fortunato Carrolo ...................................................88
Habemus Papam.....................................................94
La verità è una bugia ............................................ 103
Parte Terza .............................................................. 109
Verso l'Oriente arancione .....................................110
Inle Lake .............................................................. 119
Nella terra di Pietro II...........................................128
Solus Ipse ............................................................. 135
Dolce fumo di pipa ............................................... 140
Millenni di polvere ............................................... 148
Epilogo.................................................................157
Parte Quarta ............................................................. 161
Quaderno di appunti di Pietro II ........................... 162
Appunti di Pietro II .............................................. 167
Note .....................................................................190
Gaetano Tufano
Prefazione Fausto Tufano
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Prefazione
Il romanzo “La verità è una bugia” ha come punto di
riferimento centrale il problema dell'esistenza di Cristo. Ma
Cristo ha avuto una reale dimensione storica? Cristo è
certamente esistito nella creazione "fantastica" e
"immaginifica" che ne hanno dato gli evangelisti; è un
personaggio che incarna il loro desiderio religioso, il loro
bisogno spirituale di dare una risposta ad un'attesa
messianica presente in tutta la cultura e la religione
giudaica. Risposta che si è articolata differentemente nei
vari vangeli che denotano in realtà profonde divergenze, non
soltanto tra quelli considerati "canonici" e quelli invece
dichiarati "apocrifi" e quindi da nascondere in quanto
contrastavano con la dogmatica cristologica e trinitaria che
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si andava affermando nei vari concili dell'antichità, da quello
di Nicea a quelli di Efeso e Calcedonia. Ma sono ravvisabili
palesi divergenze tra gli stessi vangeli "canonici" ed in modo
particolare tra quelli sinottici di Luca, Matteo e Marco e il
vangelo di Giovanni. Cristo però non è esistito come
personaggio
storico
reale;
semplicemente
perché
storicamente non è possibile dimostrare la sua esistenza, non
esiste nessun riscontro storicamente determinato della sua
esistenza.
Nessuno storico, che non sia in preda a balzane o
fantasiose concezioni storiografiche, può permettersi di
confondere i piani del racconto religioso con quello della
fattualità reale e storicamente accertabile e documentabile.
Come non è possibile legittimamente pensare, con serietà
storiografica, che il personaggio citato come Cristo nella
vasta letteratura evangelica sia storicamente esistito. Sarebbe
come dichiarare storicamente esistenti gli dei dell'Olimpo in
base alla "Teogonia" di Esiodo; oppure affermare l'esistenza
storica di divinità egizie come Horus, Iside e Osiride, desumendola dalla vasta mitologia egiziana.
Il piano religioso risponde a criteri ed esigenze per
quanto legittime distantissime da quelle storiografiche dell'accertamento storicamente determinato dei fatti.
L'errore si annida proprio nella confusione tra i diversi piani,
come aveva già decisamente richiamato Spinoza nel suo
"Tractatus Theologico-Politicus". Spinoza destituì la Bibbia
di ogni valenza scientifico-filosofica, separando in maniera
netta tra le esigenze etiche di un popolo che si estrinsecano
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La verità è una bugia
nell'obbedienza morale ad alcune regole determinate, ed il
piano scientifico del pensiero storico e filosofico. Non
soltanto i vangeli, ma l'insieme dei libri che costituiscono la
Bibbia, rappresentano le aspirazioni etiche, politiche e sociali di un popolo storicamente determinato, come quello
giudaico in vari secoli della propria esistenza. Ma questi
dettami etici non hanno alcun rapporto con presunte verità
universali di tipo filosofico, né tantomeno con una storicità
che esprima criteri tesi all'accertamento documentale di fatti
realmente accaduti. Queste considerazioni non hanno come
logica inferenza il nichilismo nietzschiano con la conseguente
"Morte di Dio", né preludono ai suoi abissali e vertiginosi
pensieri sull'universo che privo di qualsiasi fondamento
"danza sui piedi del caso". La "Morte di Dio" è un concetto
essenzialmente metafisico che si posiziona in un orizzonte di
pensiero "ab imis fundamentis" differente dalla concretezza
della ricerca storica. Il problema storico dell'esistenza di
Cristo non ha nulla a che vedere con il problema filosofico
dell'esistenza di Dio. Come l'inesistenza storica di Cristo non
inficia il senso del trascendente, l'anelito kantiano
all'irraggiungibile "noumeno" ed è ininfluente nei confronti
di ogni problematizzazione di tipo metafisico.
Pietro II è aperto alla verità, alla ricerca storica dei
fatti, non si propone di imporre una nuova ermeneutica o
nuovi valori. Egli prende coscienza che il personaggio di
Cristo, da lui tanto amato fino a condizionare l'intera sua vita
di religioso, non ha una dimensione storica. E' privo di
esistenza storica, come lucidamente emerge dalle sue recenti
ricerche, perché si rende conto della fondamentale differenza
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tra racconto religioso e narrazione storica. Da questa nuova
coscienza scaturisce tutta una nuova problematicità. Pietro II
diventa agnostico, ma con una fondamentale tendenza alla
ricerca spregiudicata del vero, come gli aveva insegnato il
suo predecessore Paolo VI. Comincia a vedere in modo
totalmente nuovo la storia del cristianesimo, che non gli
appare più come il dispiegarsi in chiave temporale del "corpo
mistico di Cristo", ma come una congerie terribile di errori,
che hanno causato lutti e nefandezze all'umanità, di cui si
rattrista profondamente e ne percepisce distintamente tutta la
negatività. L'uccisione di liberi pensatori, di eretici e
libertini, fino allo sterminio degli schiavi del nuovo mondo
sono soltanto la brutale espressione di un potere temporale
che Pietro II rifiuta, ritenendolo totalmente estraneo ad ogni
concezione religiosa. Il cammino della chiesa è piuttosto il
cammino dell'errore e della menzogna connaturati alla
perpetuazione del potere politico vigente come
"Instrumentum regni". La storia della chiesa non rappresenta
il cammino della verità che culmina provvidenzialmente
nell'agostiniana "Città di Dio" dove le "portae inferi non
praevalebunt". Da qui nascono i suoi dubbi, le sue
perplessità, essenzialmente di tipo etico. Ma anche una
profonda convinzione di smascherare vecchie bugie e
"annunciare" nuove verità, che fatalmente lo mettono in
contrasto con la sua posizione pontificale appena assunta.
Verità che decide di annunciare durante il suo primo
"Angelus" e che fatalmente ne determineranno la morte. La
Chiesa nel suo lungo e travagliato percorso storico
rappresenta una realtà poliedrica, complessa e
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contraddittoria. Vi si intravvedono sicuramente alcune luci
come Francesco d’Assisi o l’opera meritoria di San Filippo
Neri nella Roma della Controriforma. Ma ancor di più sono
le fosche ombre, che si addensano e che culmineranno nelle
concezioni dichiaratamente teocratiche di molti papi
medievali e nella repressione di ogni libertà di pensiero, con
l’instaurazione della Congregazione del Sant'Uffizio. Per
molti secoli in Europa fu impedito qualsiasi anelito di libero
pensiero, di ricerca scientifica e finanche di esegesi testuale
che potesse contraddire il pensiero “unico” del dogma
ecclesiastico. Nonostante gli sforzi di una storiografia
negazionista e chiaramente apologetica e propagandistica, è
documentato che la repressione dell’inquisizione fu
capillare, come in qualsiasi sistema dittatoriale, e nel corso
di vari secoli si macchiò del sangue di un altissimo numero di
vittime. Questo blocco del pensiero che la Chiesa ha rappresentato soprattutto nel Medioevo, ma che è rintracciabile
nella totalità del suo processo storico, non è un semplice
incidente di percorso. Deriva dallo stretto intreccio che
dall’epoca costantiniana viene a determinarsi tra la
tradizione ispirata dalle fonti evangeliche e giudaiche e le
stesse strutture dell’Impero romano. Dopo Costantino, con
l’unica breve parentesi dell’imperatore e filosofo
neoplatonico Giuliano l’Apostata, il cristianesimo divenne la
nuova espressione ideologica dell’Impero romano. Anche
dopo la caduta di Roma in Occidente nel 476 il cristianesimo
si affermò come il collante ideologico della civiltà bizantina
in Oriente. Con decreto imperiale il Basileus di
Costantinopoli Giustiniano nel 529 chiuse definitivamente
l’accademia di Atene, fondata circa mille anni prima da
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Platone. E lo stesso Giustiniano sempre con decreto
imperiale stabilì la verità della Trinità e dell’Incarnazione di
Cristo già presenti nel "Simbolo niceno", minacciando con
pene severe eretici e miscredenti. Ma anche nei regni
Romano-barbarici che comparvero in Occidente dopo la
caduta di Roma, continuò il processo di secolarizzazione
della Chiesa, come dimostra la donazione di Sutri (728) del
re longobardo Liutprando. Ma oltre alle donazioni vere vi
erano anche quelle fittizie, di cui la curia romana si arrogava
il possesso. La più celebre fra queste è la presunta "donazione di Costantino" che avrebbe delegato tutto il potere
temporale alla Chiesa sui territori d’Occidente, dopo il
trasferimento a Costantinopoli della sede imperiale. Fu il
filologo e filosofo umanista Lorenzo Valla a confutare
l’autenticità della donazione, con un’ampia disamina
filologica del testo in cui evidenziava le contraddizioni, gli
anacronismi e la stesura in un latino maccheronico databile
tra l’VIII e il IX secolo. Valla con la nuova arma della
filologia dimostrò che alcuni testi e lettere scritte dallo stesso
Gesù erano in realtà spuri. Fu salvato dall’Inquisizione
soltanto per l’intervento del Re aragonese di Napoli Alfonso
il Magnanimo di cui era segretario. Insomma il destino della
Chiesa dopo Costantino è segnato, non è semplicemente una
concezione religiosa che ha qualche legame con il potere
politico. E’ il potere politico, che si appresta ad esercitare in
tutte le sue sfaccettature, come testimonia la vicenda storica
dello “Stato Pontificio". Intende essere nella sua
“universalità” espressione di un ordine e di un potere che si
manifesta in primis nell’immanenza terrena. E’ molto chiaro
Bonifacio VIII quando nella bolla “Unam Sanctam”, 1302,
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ammonisce il re di Francia Filippo IV: Il potere dei regnanti
è subordinato a quello universale dei papi che emana
direttamente da Dio. Il Sacro Romano Impero era da
concepirsi come l’unione della spada spirituale con quella
temporale. D’altronde era stato lo stesso Gesù a dire a
Pietro: “Pasci il mio gregge”. La Bolla terminava con un
monito imperioso: “Noi dichiariamo, stabiliamo, definiamo
ed affermiamo che è assolutamente necessario per la salvezza
di ogni creatura umana che essa sia sottoposta al Pontefice
di Roma”. Ma il povero frate Rosario nell’accedere al soglio
pontificale era completamente alieno da queste logiche, come
era estranea la sua forma mentis al dogma dell’infallibilità
papale stabilito nel “Pastor Aeternus” da Pio IX. La sua
ricerca era esposta a dubbi e riflessioni, lontanissime da una
pretesa infallibile verità professata "ex cathedra". Per queste
ragioni Pietro II, al secolo frate Rosario, viene immolato sul
mistico altare dell’unità della Chiesa.
Ch’io cadrò morto a terra ben m’accorgo;
ma qual vita pareggia il morir mio?
La voce del mio cor per l’aria sento:
ove mi porti temerario? china,
che raro è senza duol troppo ardimento.
Non temer, rispond’io, l’alta ruina!
Fendi sicur le nubi, e muor contento
se il ciel s’illustre morte ne destina.
Giordano Bruno, “De gli eroici furori” parte I, dialogo III
Fausto Tufano
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Gaetano Tufano
Gaetano Tufano
La verità è una bugia
Romanzo
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La verità è una bugia
Parte Prima
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Angelus di Pietro II
Pietro II, duecentosessantaseiesimo Papa secondo
l’Annuario Pontificio, fu proclamato Vicario di Cristo nel
2021 e consacrato Petrus Romanus II il 5 maggio dello stesso
anno. Papa Pietro II, al secolo Rosario Carrolo, era nato in un
piccolo borgo del Molise da una famiglia di piccoli
proprietari terrieri. Suo padre, Domenico Carrolo, oltre a
condurre la sua piccola proprietà, lavorò per tutta la vita come
operaio in una azienda che produceva materiali edili. Il padre
di Rosario è da tutti ricordato come una persona umilissima e
di grande bontà d’animo, infaticabile, molto riservato, di
pochissime parole, ma bonario e affabile con tutti. Rosario fin
da bambino adorava aiutare suo padre nel lavoro dei campi: il
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La verità è una bugia
sabato e la domenica, soprattutto nei mesi estivi, usciva
all’alba a cavallo con il suo adorato padre per aiutarlo nel
lavoro e ritornava la sera tardi, stanco, abbronzato e felice
come un bambino. Al contrario di Domenico, Rosario era
sempre scherzoso e chiassoso, quando rientrava dal lavoro nei
campi, ancora pieno di energia e sempre esuberante, adorava
prendersi gioco affettuosamente dei fratellini più piccoli. Li
prendeva tra le sue forti braccia e li faceva roteare in aria tra
risate e strilli.
Terminati gli studi superiori, meravigliò tutti
dichiarando, per la prima volta serio e con voce grave, che
non desiderava andare all’università (cosa che peraltro,
scherzando, aveva già tante volte affermato), ma che
desiderava pronunciare i voti e raggiungere il monastero
benedettino di Montecassino. L’abbazia di Montecassino
distava meno di quaranta chilometri dal borgo natio, Rosario
confessò di esserci andato più volte a cavallo e di essersi
soffermato per ore sotto il monte che ospita l’abbazia. Non
era mai riuscito ad arrivare fino al monastero perché, dopo il
viaggio, non se la sentiva di chiedere al cavallo di
arrampicarsi per quasi dieci chilometri di tornanti. Rosario
raccontò che era loro uso fermarsi alla rocca Janula che si
trovava molto più in basso. Alla rocca Rosario si rifocillava
con formaggio di capra, olive, pane fatto in casa e un buon
bicchiere di vino proveniente dall'uva delle loro vigne, che lui
stesso aveva spremuto con i piedi secondo l'antica usanza, al
cavallo dava dell'ottima biada e carezze sul muso. Poi si
addormentavano entrambi sfiniti. I genitori si guardarono
stupiti, non sapevano se essere tristi o contenti per questa
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Gaetano Tufano
inattesa esternazione. Poi lentamente Domenico si alzò con
una certa solennità e lo baciò teneramente sulla fronte
esprimendo così la sua benedizione per questa scelta. La
madre pianse, poi lo abbracciò forte come quando era
bambino e singhiozzando corse in cucina tenendosi il volto
tra le mani.
Qualche anno dopo Rosario era un monaco
benedettino dedito alla preghiera e al lavoro, e desideroso di
darsi anima e corpo alla Regola monachorum. Lentamente
però l’intima gioia per aver raggiunto il suo sogno cominciò a
lasciare il posto a una dolorosa inconfessabile
insoddisfazione, ma molto tempo passò prima che riuscisse a
mettere a fuoco i motivi di tale sentimento. Rosario ebbe un
sussulto un giorno in occasione di un viaggio presso il
convento francescano di Orsogna: l’umiltà e la rinuncia a
qualsiasi proprietà personale dei Frati Minori gli procurarono
un’ammirazione incondizionata, di fronte ad essi egli sentiva
di essere un privilegiato, vergognoso di rivolgere le sue
preghiere a Cristo. Di ritorno al suo monastero chiese udienza
al suo abate e raccontò dolcemente e tremante i suoi pensieri.
L’anno successivo Rosario vestiva il saio francescano e
partiva per il suo primo viaggio in Africa, nel Congo
Brazzaville.
Io credo che questi ricordi, insieme con altri,
attraversassero i suoi pensieri mentre quel giorno nella
primavera del 2021 si accingeva emozionato ad affacciarsi
dalla finestra del suo studio per il primo e ultimo Angelus
Domini e per il primo saluto, in bianco abito talare, agli
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La verità è una bugia
innumerevoli fedeli accorsi in piazza San Pietro.
Così come credo gli tornassero in mente momenti del
suo periodo di missionario: il lento fluire della piroga per ore
lungo il fiume Loubi mentre faceva ritorno a Makoua, a nord
della savana, nella diocesi di Owando dopo aver visitato e
curati bambini orfani, bambini abbandonati, bambini disabili.
Pietro II rammentava ad uno ad uno i loro visi allegri
nonostante tutto, i loro occhi pieni di mosche che non
osavano scacciare. Risentiva il silenzio e i rumori della
savana, gli odori forti e pungenti. Riavvertiva i brividi della
malaria, di quando febbricitante, vaneggiante, cantava il
Cantico delle Creature e si sentiva in perfetta sintonia con
quella natura nella quale poteva muoversi come animale tra
gli animali, come cosa tra le cose, che poteva usare come cibo
o essere cibo per altri, in modo del tutto naturale con una non
traumatica violenza.
Pietro II si fece forza avanzò di qualche passo e fu
davanti alla finestra, un fragoroso boato esplose dalla piazza,
dalla folla dei fedeli che riempiva la grande piazza. Pietro II
ebbe un tuffo al cuore, il fragore della folla gli richiamò alla
mente i rumori della foresta pluviale di Papua Nuova Guinea
quando un temporale tropicale, improvvisamente, la investiva
con rumorosi scrosci d’acqua. Rosario, infatti, dopo il Congo
era stato inviato presso il lebbrosario di Aitape, Papua Nuova
Guinea. Egli aveva prontamente obbedito alla richiesta di
trasferimento, ma nel lasciare l’Africa era molto triste e
quando il suo aereo si alzò in volo, guardò con le lacrime agli
occhi l’ultima savana percorsa da un pigro branco di elefanti,
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seguì il corso del fiume alla ricerca di qualche sornione
ippopotamo, scrutò il bush nella speranza di vedere per
l’ultima volte il leone, poi quando il piccolo aereo fu troppo
alto chiuse gli occhi e ricordò gli anni passati in Africa. Si
rivide appena arrivato, insieme affascinato e spaventato da
tutto. Il suo primo contatto con l’Africa era stato il Kenia,
ricordava il buffo inglese parlato dall’autista che
dall’aeroporto lo accompagnava a Nairobi, gli ritornava in
mente che in quella automobile del volante erano rimaste le
sole razze, e che dal pavimento sfondato sotto i suoi piedi
poteva vedere la strada scorrere. L’autista gli diceva che
aveva appena ripreso il lavoro dopo una recidiva di malaria,
Rosario gli osservava il piede che schiacciava l’acceleratore e
si accorgeva di un enorme buco nel calzino, all’altezza del
tendine di Achille.
Pietro II si scosse e finalmente con la voce rotta
dall'emozione, così come si era ripromesso di fare, pose le
basi per ciò che nei suoi intenti avrebbe dovuto portare ad una
profonda rifondazione della missione della Chiesa che,
sempre nei suoi intenti, sarebbe dovuta diventare santuario
dell’amore per la verità, baluardo di ricerca spirituale e faro
per la fondazione dei costumi e dei principi etici.
- “Carissimi fratelli e sorelle! Per la prima volta mi
rivolgo a voi da questa finestra. Il mio primo sentimento è di
gratitudine verso coloro che in questi giorni mi hanno
sostenuto con la preghiera e verso quanti da ogni parte del
mondo mi hanno inviato messaggi e voti augurali”.
Un nuovo fragoroso boato costrinse il Pontefice ad una
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La verità è una bugia
pausa. Frate Rosario era molto amato e molto popolare. La
sua vita dedita alle missioni lo aveva tenuto lontano dalle
questioni politiche interne al Vaticano. Inoltre rientrato in
Italia definitivamente per ragioni di salute, si era dedicato
infaticabilmente, senza risparmiarsi, ad aiutare chiunque
avesse bisogno di aiuto, fondando varie comunità in tutta la
penisola. Il suo era un aiuto fraterno, incondizionato,
spontaneo che proveniva dalla profonda compassione che
provava per tutti gli esseri viventi.
I motivi della scelta di Frate Rosario alla guida della
Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana erano sicuramente
da ricercare nella sentita necessità della Chiesa Cattolica di
mostrare un’immagine di sé che la riavvicinasse ai suoi
fedeli, soprattutto dopo che tale immagine nel decennio
precedente era stata oggetto di dissacrazioni dovute a vari e
poco edificanti episodi certamente non degni della missione
della Santa Sede. In quegli anni la banca del Vaticano fu
oggetto di ripetuti scandali finanziari. Importanti vertici del
clero romano furono sospettati di legami poco chiari con un
boss della malavita romana. Un famoso presbitero della
diocesi romana, in un'intervista ad un importante quotidiano
nazionale italiano, insinuò che all'interno della città del
Vaticano si tenessero messe sataniche. (1;0) Infine sempre in
quegli anni vi fu l'imbarazzante caso del “Corvo”, un gruppo
di persone che vivevano e operavano all'interno delle mura
vaticane che amareggiate e indignate per quanto avveniva
all'interno della Santa Sede, decisero di far pervenire
all'esterno, ad un giornalista, centinaia di carte riservatissime,
provenienti dallo studio del Santo Padre, che misero a nudo le
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Gaetano Tufano
terrene miserie con le quali dovevano confrontarsi i massimi
esponenti della parola di Dio. E, in quegli anni in cui anche la
vita politica italiana si manifestava in tutto il suo squallore,
queste notizie che giravano sui media, facevano sì che anche
la Chiesa apparisse molto terrena e fatta degli stessi intrighi di
cui tutte le cose umane son fatte.
In ogni caso il conclave che portò al Soglio Pontificio
il povero Frate Minore fu pressoché unanime. Così come
unanime fu il consenso dei fedeli che videro in Rosario un
nuovo Giovanni XXIII.
«Da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel
tempio di Dio» (1;1) aveva detto Paolo VI durante l’Omelia del
29 giugno del 1972 e il giovanissimo Rosario non aveva
allora saputo spiegarsi queste terribili parole. Gli ritornavano
in mente ora, mentre attendeva che gli applausi scemassero.
-“Vorrei salutare con affetto le Chiese ortodosse e le
Chiese orientali ortodosse. Christós anesti! Sì, Cristo è
risorto, questo io oggi vorrei poter dire a voi tutti. Mi
perdonerete, io non sono mai stato un uomo di cultura, non
sono un teologo come lo era il mio buon predecessore, per
questo motivo ho passato questi mesi, da quando sono stato
chiamato presso la Santa Sede, nella biblioteca Vaticana. Non
vi ero mai stato prima, né avevo mai avuto modo di
consultare tanta santa letteratura. Spero vorrete perdonare
queste mie lacune, io mi sono dedicato con tutte le mie forze
alla missione che sentivo che Dio aveva riservato per me. Ho
servito i miei simili e Dio attraverso loro, amandoli e amando
Dio attraverso loro più di ogni altra cosa. La mia unica
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La verità è una bugia
compagnia, il mio unico conforto fin ora era stata la mia
Bibbia che mi fu regalata da mio padre quando entrai nel
monastero benedettino di Montecassino. Laggiù, in Africa, a
Papua Nuova Guinea, dove ho trascorso buona parte della
mia vita, tra splendide creature incastonate in una splendida e
terribile natura che sempre rimarranno nei miei occhi e che
sempre riempiranno il mio cuore di dolci ricordi, non vi era
molto tempo per la lettura. Allora io preferivo dedicarmi ai
compiti che sentivo più vicini all’indole che il Signore mi
aveva donato. Oggi, oramai vecchio, qui nella Santa Sede, in
questo austero tempio, tabernacolo del sapere cristiano, sono
stato preso, e Dio mi perdoni per questo, dal desiderio di
colmare queste mie lacune e di conoscere la storia della
nostra Confessione”.
Gli occhi di Pietro II si riempirono di lacrime.
Rivedeva la prima elegante giraffa caracollare verso l’aperta
savana, la sua mente correva saltellando veloce e solidale con
le miti gazzelle, rabbrividiva al ruggito del leone e al barrito
dell’elefante. Il cuore batteva forte in gola come quello
dell’antilope braccata dal leopardo. La prima notte nella
savana aveva dormito in una tenda, come unica protezione
dagli animali una lanterna ad olio lasciata accesa vicino
all’accampamento. Di notte si era addormentato ascoltando
non senza inquietudine gli ignoti rumori della savana e i passi
delle iene che si avvicinavano alle tende in cerca di cibo. Ma
Pietro II oggi avrebbe preferito essere solo in mezzo alla
savana piuttosto che in piazza San Pietro a Roma.
-“Miei carissimi fratelli e sorelle, nella vasta biblioteca
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Gaetano Tufano
vaticana ho passato mesi insonni a compulsare volumi su
volumi, avido, Dio mi perdoni, di sapere. Ansioso di colmare
quell’abisso che si era spalancato allorché aprii il primo libro
che per il suo titolo mi aveva incuriosito”.
Pietro II ripensò ai fumi di Satana nel tempio di Dio.
Questi miasmi infernali si erano forse impadroniti della sua
anima? Forse lui stesso ne era stato vittima e dunque ora era
divenuto strumento e veicolo di Satana?
-“Miei carissimi fratelli e sorelle," Riprese Pietro II. "oggi io voglio chiedere perdono per gli errori della Chiesa
Cristiana nei secoli e nei millenni. Non sono in grado, miei
cari fratelli e sorelle, di ripercorrere puntualmente tutti gli
errori commessi dai miei fratelli nella fede in Cristo e di
rendere così davvero giustizia a tutti coloro ne sono stati
vittima. Procederemo dunque per emblemi, ricordando fra
tutti, quei casi e quei fatti evidenti, indiscutibili che non
possono non suscitare orrore in chiunque sia dotato di
sensibilità e di pudore intellettuale. Vi prego miei cari fratelli
e sorelle di perdonarmi, a supporto della mia memoria, dovrò
fare riferimento a degli appunti che io stesso ho preparato e
che desidero trasmettervi”.
Pietro II estrasse dei fogli, li appoggiò sul leggio, nel
frattempo aveva già inforcato degli occhiali, e prese a leggere
con voce grave.
-“Già pochi decenni dopo l'editto di Costantino il
Grande che pose finalmente fine alle persecuzioni dei primi
cristiani, ebbero, di fatto, inizio le altrettanto esecrabili
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persecuzioni dei pagani da parte dei cristiani.
Tra il 315 e il sesto secolo furono perseguitati ed uccisi un
numero incalcolabile di pagani, numerosi celebri templi
pagani furono distrutti: il santuario di Esculapio nell’Egea, il
tempio di Afrodite a Golgota, i templi di Afaca nel Libano, il
santuario di Eliopoli. Nel 356 venne sancita la pena di morte
per chi praticava i riti pagani. L’imperatore cristiano
Teodosio fece persino giustiziare bambini, rei di aver giocato
con dei resti di statue pagane. All’inizio del quarto secolo, per
sobillazione di sacerdoti cristiani, fu giustiziato il filosofo
politeista Sopatro. (1;2) Teofilo, Vescovo di Alessandria fece
distruggere il maestoso tempio Serapeo (1;3) e l'annessa
biblioteca estensione della più famosa biblioteca di
Alessandria. Vent'anni dopo il suo successore, il vescovo
Cirillo, inviò i suoi monaci parabalani guidati da Pietro il
lettore a massacrare Ipazia, figlia del filosofo Teone e a sua
volta matematica, astronoma e filosofa neoplatonica, nonché
pagana. Ho letto il resoconto di questa vicenda che ne fa
Socrate Scolastico (teologo e storico cristiano), il quale
racconta che Ipazia fu trascinata giù dalla sua carrozza,
portata in chiesa e qui fatta a pezzi con aguzzi cocci e i suoi
poveri resti furono poi dati alle fiamme. (1;4)
Dio voglia perdonarci tutti per questo orrendo
omicidio. Dio perdoni in primo luogo il vescovo Cirillo,
mandante di questo brutale assassinio, e perdoni papa Leone
XIII che proclamò Cirillo «Dottore della Chiesa», e perdoni il
mio pur ottimo predecessore Benedetto XVI (1;5) che ebbe a
lodarlo per «la grande energia del suo governo ecclesiastico»
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Gaetano Tufano
ed infine perdoni la Chiesa Cattolica che ancora oggi lo
venera santo”. (1;6)
La voce di Pietro II era rotta dal pianto, sentiva su di sé
i morsi dolorosi dei cocci che avevano dilaniato Ipazia.
Vedeva Ipazia cui, mentre ancora respirava, le venivano
cavati gli occhi e chiudeva i suoi davanti a una così
insopportabile visione. Ancora una volta sentiva il cuore in
gola e le tempie pulsare, si aggrappò alla sua ferula con
entrambe le mani e vide il capo spinato di Gesù che lo fissava
con sguardo sofferente, ma ciononostante sereno e cercò di
riprendersi. Da ragazzo ancora prima di entrare nell'abbazia di
Montecassino faceva spesso un sogno che lo turbava: una
ragazza dai lunghi capelli biondi, alta slanciata che indossava
una semplicissima maglietta azzurra e dei pantaloni bluejeans che terminavano a ‘campana’ secondo l'uso del tempo.
Il volto della ragazza era dolce e casto i suoi occhi azzurri e
luminosi. La ragazza gli si avvicinava lentamente
guardandolo e sorridendo, intanto il suo cuore batteva così
forte che pareva balzargli fuori dal petto. Era così che Pietro
II si raffigurava Ipazia. Ipazia era ricordata come una donna
dall'aristocratica bellezza e del tutto virtuosa.
I giornalisti che seguivano il discorso del Papa, per lo
più ignari di chi fosse Ipazia, presero a consultare internet
frettolosamente. La folla dei fedeli applaudiva a questo Papa
che riconosceva umilmente passi falsi di remoti uomini di
chiesa che, in tempi remoti e oscuri, avevano forse commesso
errori certamente dovuti alla mancanza di sensibilità del loro
tempo, che non era di sicuro evoluto e civile quanto il nostro.
26
La verità è una bugia
Pietro II riprese con rinnovato vigore.
- "Anche per le sante Crociate, miei cari fratelli e
sorelle, noi tutti dobbiamo chiedere perdono. In circa 200
anni (tra l'anno 1095 e l'anno 1291), le Crociate furono
responsabili di circa venti milioni di vittime, facendo
riferimento a cronisti cristiani. (1;7) Fra tutti, e solo a titolo di
esempio, desidero ricordare alcuni tra i più nefasti episodi che
la storia ci ha tramandato.
Il massacro di decine di migliaia di musulmani (un
numero compreso tra i diecimila e i sessantamila), a seguito
della conquista di Antiochia da parte delle armate crociate.
Raimondo di Aguilers, cappellano di campo del conte di
Tolosa, riporta che «Sulle piazze si accumulano i cadaveri a
tal punto che, per il tremendo fetore, nessuno poteva resistere
a restare: non v’era nessuna via, in città, che fosse sgombra di
corpi in decomposizione».
Il 15 luglio dell'anno 1098, venne espugnata
Gerusalemme, qui subirono la stessa sorte più di sessantamila
persone, tra ebrei e musulmani, uomini, donne e bambini. Un
testimone oculare riporta: «là (davanti al tempio di Salomone)
si svolse una tale mischia cruenta che i cristiani si
trascinavano nel sangue dei nemici fino alle nocche dei
piedi». L’arcivescovo Guglielmo di Tiro aggiunge: «Felici,
piangenti per l’immensa gioia, i nostri si radunarono quindi
dinanzi alla tomba del nostro salvatore Gesù, per rendergli
omaggio e offrirgli il loro ringraziamento… E non fu soltanto
lo spettacolo dei cadaveri smembrati, sfigurati, irriconoscibili,
a lasciar sbigottito l’osservatore; in realtà, incuteva sgomento
27
Gaetano Tufano
anche l’immagine stessa dei vincitori, grondanti di sangue
dalla testa ai piedi, sicché l’orrore s’impadroniva di tutti
quelli che li incontravano». Il cronista cristiano Eckehard di
Aura testimonia che, ancora durante l’estate successiva
dell’anno 1100, «in tutta la Palestina l’aria era appestata del
lezzo dei cadaveri. Di stragi siffatte nessuno aveva mai visto
o udito l’uguale tra i pagani».
Nella battaglia di Ascalona, il 12 agosto 1099, vennero
uccisi duecentomila infedeli «in nome del nostro signore
Gesù Cristo»“.
Lo sgomento cominciò a serpeggiare tra la folla
accorsa in piazza San Pietro: nessuno mai aveva con tale
cruenta lucidità elencato una così sordida sequenza di eccidi.
Pietro II sollevò per un attimo gli occhi al di sopra degli
occhiali per guardare la folla, ne percepì lo stato d’animo, ma
continuò imperterrito.
-"Miei carissimi fratelli e sorelle, noi tutti dobbiamo
chiedere perdono ai cosiddetti «Buoni Uomini». Nel 1209,
miei carissimi fratelli e sorelle, papa Innocenzo III volle
inviare una crociata nel sud della Francia, per estirpare
l'eresia catara, (1;8) che nei successivi vent’anni devastò
l’intera provincia della Linguadoca. Solo nella città di Beziers
ventimila persone furono massacrate: donne, bambini, catari e
cattolici senza distinzione. «Caedite eos! Novit enim
Dominus qui sunt eius», (1;9) «Uccideteli tutti! Dio riconoscerà
i suoi», queste furono le terribili indicazioni del legato
pontificio al seguito dei crociati. Dieci anni dopo, nel 1219 ci
fu un altro massacro a Marmande. (1;10) Desidero rammentare
28
La verità è una bugia
questo funesto episodio con le parole della «Chanson de la
Croisade Albigeoise» che riferisce l'operato dei crociati
cristiani:
«Corsero nella città, agitando spade affilate, e fu allora che
cominciarono il massacro e lo spaventoso macello. Uomini e
donne, baroni, dame, bimbi in fasce vennero tutti spogliati e
depredati e passati a fil di spada. Il terreno era coperto di
sangue, cervella, frammenti di carne, tronchi senza arti,
braccia e gambe mozzate, corpi squartati o sfondati, fegati e
cuori tagliati a pezzi o spiaccicati. Era come se fossero
piovuti dal cielo. Il sangue scorreva dappertutto per le strade,
nei campi, sulla riva del fiume».
Che cosa offusca fino a tal punto la mente degli
uomini miei cari fratelli e sorelle? Se la cura supera i danni
causabili dalla malattia, non è allora preferibile affrontare la
malattia? I catari erano nostri fratelli in Cristo, la loro fede
derivava anch'essa dai vangeli. Questi nostri fratelli facevano
riferimento a passi di uno dei vangeli dove Gesù sottolinea
l’opposizione tra il suo regno celeste e il regno di questo
mondo. La loro colpa è che questi vangeli, per motivi non del
tutto cristallini, non fanno parte di quelli canonici e per questo
i catari furono sterminati. Sulla base di detti vangeli, i ‘Buoni
Uomini’ professarono quindi un dualismo che vedeva il re
d'amore (Dio) e il re del male (Rex mundi) rivaleggiare a pari
dignità per il dominio delle anime umane. Questi nostri
fratelli, pertanto, rifiutarono i beni materiali e tutte le
espressioni della carne. Secondo la loro dottrina, Gesù
avrebbe avuto solo in apparenza un corpo mortale, ed è questa
29
Gaetano Tufano
una posizione che ritroviamo anche nel vangelo di Pietro. Per
i catari, la vittoria massima del Bene contro il Male era la
morte, che liberava lo spirito dalla materia. Ai catari era
proibito, in qualsiasi modo, collaborare al piano di Satana.
Questi cristiani, pur convinti della divinità di Gesù,
sostenevano che Egli fosse apparso sulla Terra come un
‘eone’, un angelo emanato dal Dio e dalla Luce per salvare
l’umanità. Gesù per i catari, dunque, aveva il compito di
insegnare agli uomini la via per raggiungere la gnosi, per far
ritorno al pleroma, alla pienezza di Dio.
Tali vangeli, cosiddetti gnostici o apocrifi, non sono
accettati dalla Chiesa perché attribuiti a fonti non attendibili,
ma devo ammettere che, nella mia filologica ignoranza,
faccio fatica a comprendere la differente attendibilità di tali
scritti rispetto a quella attribuita ai nostri vangeli canonici. I
vangeli apocrifi parlano di un Gesù molto diverso da quello
che conosciamo e amiamo. Sostanzialmente diverso. Ed io
oggi, miei cari fratelli e sorelle, non so più quale sia la verità,
non so più quale sia il vero insegnamento di Gesù. Quello che
so è che, fin dalla nascita del Cristianesimo, ci fu una cruenta
lotta interna tra la corrente gnostica e la corrente che sarebbe
poi diventata cristianesimo. Al termine della quale lo
gnosticismo fu pressoché spazzato via dalla storia. L’ultimo
atto di questa sordida vicenda riguardò proprio la popolazione
catara di cui abbiamo accennato.
Il dubbio, sappiamo benissimo, miei cari fratelli e
sorelle, non costruisce regni, però io ho in mente le parole che
30
La verità è una bugia
Paolo VI ebbe a pronunciare ai giovani: «siate onesti, cercate
sempre, spingete i vostri dubbi sino alle estreme
conseguenze». (1;11) La Chiesa, che io oggi sono chiamato a
rappresentare, però, è un regno, e come tale deve fondarsi su
certezze e non su dubbi. La Chiesa, infatti, si è fondata fino
ad oggi sulla Fede che di per sé non è assoggettabile a
procedimenti euristici, e pertanto, essa è stata in grado per
duemila anni, di fornire alla Chiesa fondamenta inossidabili.
Su siffatte fondamenta è innestata l’organizzazione che sente
la responsabilità della perpetuazione di se stessa e degli
individui che la compongono. E questa responsabilità, io
credo, sia servita a legittimare le azioni dei miei sventurati
predecessori, che hanno creduto possibile l’uso della violenza
per la difesa della Chiesa. Essi hanno avvertito il male della
violenza come una sorta di male necessario, come un dovere
per la salvaguardia di questa organizzazione, senza vederne i
tragici risvolti e le nefaste conseguenze.
Oggi noi, miei cari fratelli e sorelle, vogliamo fondare
le nostre azioni, le azioni della nostra Chiesa, e la nostra
Chiesa stessa, sulla verità e, se la ricerca della verità deve
necessariamente passare attraverso il dubbio, noi vi
passeremo e porteremo alle estreme conseguenze la nostra
ricerca, secondo la strada indicata da Paolo VI”.
La folla dei fedeli, incapace di comprendere
l'intrinseco significato e la portata storica del messaggio
annunciato, ammirata dal coraggio e dall'onestà di Frate
Rosario, di questo novello Papa che annunciava con belle
parole un’epoca di verità per la Chiesa, si produsse in uno
31
Gaetano Tufano
scrosciante lungo applauso. Nel frattempo nelle redazioni dei
giornali i giornalisti che seguivano in diretta la prima omelia
di Pietro II, cominciarono a guardarsi con aria interrogativa:
dove voleva arrivare questo Papa? Che cosa aveva in mente?
Le prime agenzie cominciarono a fare il giro del mondo: la
Fede messa in discussione? Il beneficio del dubbio si è fatto
largo attraverso i millenari dogmi? Che cosa stava per
accadere?
Pietro II appoggiata la ferula alla finestra fece segno
con entrambe le mani di voler continuare il suo discorso.
-"Miei cari fratelli e sorelle, non voglio dilungarmi
troppo nel parlarvi della Santa Inquisizione, di cui tutti
sappiamo, non posso esimermi, però, dal chiedere perdono
per coloro che maggiormente ne sono stati artefici. Mi
riferisco a Bernardo Gui, a Nicolau Eymerich, a Nicolas
Jacquier, a Tomàs de Torquemada e infine a Jakob Sprenger
ed a Heinrich Kramer, per nominare solo coloro che più
tristemente sono ricordati dalla nostra storia più cupa. Devo
anche ricordare papa Innocenzo IV che nel 1252 con la bolla
Ad extirpanda (1;12) autorizzò l'uso della tortura durante
l'istruzione dei processi. Una richiesta di ammenda va, infine,
a Tommaso d'Aquino, santo e tra i massimi dottori della
Chiesa, che nella sua Summa Theologiae affermò: «Per
quanto riguarda gli eretici, essi si sono resi colpevoli di un
peccato che giustifica che non solo siano espulsi dalla Chiesa
con l'interdetto, ma anche che vengano allontanati da questo
mondo con la pena di morte».
La nostra preghiera di perdono è per tutti questi uomini
32
La verità è una bugia
di chiesa, perché hanno ecceduto fino alla più completa cecità
e alla più irragionevole abnegazione e dedizione verso il
dovere per la loro missione.
Dalla fondazione Nobel è stato calcolato che, in quasi
cinque secoli di operato della Santa Inquisizione, le vittime
furono cinquantasei milioni, di cui tre milioni di donne
accusate di stregoneria. (1;13) Io non so se questi numeri siano
esagerati, non so se la fonte sia affidabile, ma non ha
importanza. Se anche fossero esagerati di parecchi ordini di
grandezza, sarebbero comunque più di zero, più di quanto è
concesso, a mio parere, di fare alla Chiesa di Dio. Per questo
voglio unirmi a Giovanni Paolo II nel chiedere perdono (1;14)
per tutti coloro che hanno avuto parte in questo orrendo
crimine, e voglio spendere più di una lacrima per tutte le
nostre vittime. Il mio rammarico è che non potrò, nella breve
vita che ancora mi rimane, chiedere perdono singolarmente a
ognuno di essi.
Due nomi di vittime che tutti conoscono sento però di
dover ricordare: il filosofo Giordano Bruno e il filosofo
Giulio Cesare Vanini e per loro voglio ricordare dei versi che
il poeta tedesco Friederich Holderlin scrisse in memoria di
Vanini”.
- « Empio osarono dirti e d'anatemi
oppressero il tuo cuore e ti legarono
e alle fiamme ti diedero. O uomo
sacro! Perché non discendesti in fiamme
dal cielo, il capo a colpire ai blasfemi
e la tempesta tu non invocasti
33
Gaetano Tufano
che spazzasse le ceneri dei barbari
dalla patria lontano e dalla terra!
Ma pur colei che tu già vivo amasti,
sacra Natura te morente accolse,
del loro agire dimentica i nemici
con te raccolse nell'antica pace. » (1;15)
Dalle redazioni di tutti i giornali, tutti i giornalisti si
erano fermati e ascoltavano esterrefatti le parole di questo
Papa. La folla cominciò a salmodiare il «Te Deum». Pietro II
ne approfittò per riprendere fiato e raccogliere i pensieri.
Dietro di lui il cardinale Achille Ranghetti si avvicinò a Pietro
II, gli toccò la spalla e gli rivolse uno sguardo interrogativo.
Pietro II si volse verso di lui e gli rispose con un
tranquillizzante sorriso e con un cenno d’intesa del capo.
Mentre la folla cantava, Pietro II socchiuse gli occhi, respirò
profondamente si lasciò pervadere dalla melodia: «Te Deum
laudamus, te Dominum confitemur. Te aeternum patrem,
omnis terra veneratur.» e si abbandonò al ricordo di un sogno
fatto qualche giorno prima.
34
La verità è una bugia
Il primo sogno di Pietro II
Pietro II girava affannosamente per le strade di
Gerusalemme il 3 aprile del 33 d.C., sapeva che stavano per
crocefiggere Gesù e lui voleva a tutti i costi impedirlo. Si era
chiesto cosa ne sarebbe stato del Cristianesimo, delle sorti
della Chiesa e del destino dell'umanità senza il sacrificio di
Gesù, ma la risposta era immediata e senza possibilità
d'appello: non poteva acconsentire ad un abominevole
assassinio. La morte di Gesù gli aveva sempre trasmesso
grande dolore e un indicibile senso di ingiustizia, aggravato
dall'ineluttabile senso di impotenza che si ha di fronte
all'irreversibilità del tempo. Pietro II sentiva che questa
poteva essere l'occasione per impedire questa ingiustizia e
correva freneticamente nel timore di arrivare troppo tardi. Il
35
Gaetano Tufano
dedalo delle strette vie del centro di Gerusalemme,
affollatissimo a quell'ora del mattino, era inestricabile.
Pietro II si ritrovava a ripercorrere più volte le stesse
vie incapace di districarsi. Sapeva di dover uscire dalla città
in direzione di Nord-Ovest per raggiungere la collinetta del
Golgota che si trovava appena fuori dalle mura, ma non
riusciva ad orientarsi. Provava a chiedere indicazioni ai
passanti, ma nessuno lo comprendeva. Si rammaricava di non
aver mai imparato né l'ebraico né l'aramaico, ora gli sarebbero
serviti a salvare il suo Gesù. Ricordava che Golgota in
aramaico si diceva «Gûlgaltâ», e provava a dire a tutti
«Gûlgaltâ, Gûlgaltâ», ma nessuno capiva, qualche negoziante
lo invitava a entrare nel suo negozio, altri sorridevano
guardandogli le vesti. Si accorgeva allora di essere in abito
talare, e che questo contribuiva a impacciare la sua corsa, e si
rimproverava per non essersi vestito in modo più adeguato
alla situazione. Rinunciò a chiedere. Gli venne in mente allora
che forse doveva cercare il «Testimonium Flavianum», lui
doveva sapere tutto su Gesù, ma chi era questo Testimonium e
come trovarlo? Incontrò un drappello di soldati romani che
spingevano un prigioniero magro, cencioso, dai lunghi
capelli, seguiti da una piccola folla di bambini che inveivano
contro il prigioniero. Pietro II fermò il drappello e
rivolgendosi sia ai soldati che al prigioniero chiedeva
«Yeshua? Yeshua?», il prigioniero scoppiò in un fragorosa
risata mostrando una bocca senza denti e uno sguardo da
demente, i soldati lo guardarono di sbieco, ma lo salutarono
con defezione, forse in virtù della sua immacolata talare, e
ripresero il loro cammino spingendo il loro prigioniero. Il
36
La verità è una bugia
povero malato di mente, si voltava continuamente per
guardare Pietro II, poi con uno scatto fulmineo riuscì a
sfuggire ai suoi sorveglianti, gli corse incontro e gli si
avvinghiò gridando «Yeshua, Yeshua». I soldati gli furono
addosso in un baleno, lo strapparono via tirandolo per i
capelli, lo picchiarono e lo trascinarono via. Pietro II per la
sorpresa era rimasto immobile, incapace di reagire. Solo
quando i soldati furono lontani trovò la forza di gridare: «Non
nocere eum», ma subito dopo si chiese se la traduzione latina
fosse esatta vista la sua poca dimestichezza con quella lingua.
Riavutosi, Pietro II guardò il suo orologio erano quasi
le nove del mattino, l'inizio dell'ora terza. Secondo Marco
evangelista a quest'ora Gesù sarà crocefisso. (1;16) Pietro II
sperava che ad aver ragione fosse Giovanni che fissa l'ora
della crocifissione a mezzogiorno, ossia intorno all'ora sesta.
(1;17) Poi, però, si ricordò che Giovanni datava la morte di
Gesù il 7 aprile del 30 d.C. e dunque, se avesse avuto ragione
in tutto e per tutto Giovanni, l'atroce atto aveva già avuto
luogo tre anni addietro. Afflitto da questi pensieri, riprese la
sua affannosa corsa. Guardava il sole che cominciava a essere
alto e fu fulminato da una tardiva idea: avrebbe dovuto
seguire i soldati romani che stavano certamente portando il
prigioniero alla torre Antonia, sede della guarnigione romana
e del prefetto Ponzio Pilato, che si trova a nord-est, proprio a
ridosso delle mura orientali. Avrebbe poi potuto seguire le
mura verso ovest e trovare così la collina del teschio. Troppo
tardi, decise allora di andare in direzione opposta a quella del
sole che a quell'ora doveva trovarsi a sud-est. Le vie però non
erano così lineari, ogni tanto interruzioni di vario genere lo
37
Gaetano Tufano
costringevano a fare larghi giri. Era ormai mezzogiorno, il
cielo era terso, il caldo soffocante. Pietro II si sentiva esausto,
ma non si curava di sé, pensava alle pene infinitamente
superiori che nello stesso momento Gesù stava sopportando.
Attraversò un mercato denso di odori di spezie e di sudore,
non riusciva a farsi largo, continuava a dire: «Tisllach li»,
«mi scusi», ma tutti lo guardavano strano. Forse la pronuncia
non era esatta, chissà? Come è possibile determinare l’esatta
pronuncia della lingua di un popolo così lontano nel tempo,
non potendo contare su testimonianze orali? Poi si adirava
con se stesso e si diceva che doveva concentrarsi sul suo
obiettivo e che non doveva distrarsi con pensieri inutili. Da
lontano qualcuno gridò «Yoshua, Yoshua», numerose persone
si volsero per vedere se fosse diretto a loro, anche Pietro II si
girò a guardare finendo per inciampare in una bancarella che
si rovesciò facendo rovinare a terra tutte le carni appese. Il
commerciante gridava e si sbracciava, Pietro II cercò nelle
tasche dei soldi per ripagare il danno, ma non ne aveva, gli
offrì allora il crocefisso d'oro che aveva appeso al collo: stava
per vedere il vero Gesù non sentiva più il bisogno di un
simulacro. L'ora sesta stava per terminare quando arrivò
davanti alla porta di Damasco, ringraziò Iddio, riconobbe la
porta e pensò che uscire dalla città fosse la cosa migliore.
Avrebbe percorso l'esterno delle mura verso ovest fino ad
arrivare all’agognata collinetta. Ma anche l'esterno,
purtroppo, non era meno difficoltoso. C'erano ogni sorta di
storpi sdraiati lungo le mura e più in là il terreno diventava
accidentato. La sete gli ardeva la gola. Oramai l'ora nona era
scoccata e proprio allora, quasi in preda alla disperazione,
vide la piccola collinetta pietrosa chiamata Golgota. Vi salì
38
La verità è una bugia
con il cuore pieno di terrore per essere arrivato troppo tardi, il
sole però splendeva imperterrito, non si era oscurato come
narrano le sacre scritture, forse c'era ancora tempo. Quando
arrivò sulla collinetta, si accorse che era deserta, non vi erano
croci. Dunque l'ora riportata da Giovanni non era corretta?
Oppure non era corretto il giorno indicato da Marco? Oppure
avevano già portato via il corpo per seppellirlo nel santo
sepolcro? In quale direzione si trovava il santo sepolcro? Non
gli veniva in mente. Ormai era stremato non riusciva a
ricordare la posizione del sepolcro rispetto alla collinetta del
teschio. Per la verità non sapeva neppure se non riuscisse a
ricordare o se non l'avesse neanche mai saputo. Decise allora
di fare il giro della sommità e di controllare tutte le direzioni,
ma da nord, la stessa parte da cui lui era salito, vide arrivare il
folle cencioso incontrato la mattina, inseguito dai soldati
romani che gli urlavano dietro ogni genere di minacce. Pietro
II cominciò a correre dalla parte opposta per evitare
l'incontro, questa volta, però, il folle non voleva lui,
desiderava solo sfuggire ai soldati, ma vistosi perduto, decise
di lanciarsi nel vuoto sfracellandosi sulle rocce. A questo
punto Pietro II si era svegliato sconvolto e turbato.
39
Gaetano Tufano
L’annuncio di Pietro II
Pietro II attese il termine del Te Deum, poi riprese a
parlare.
-"Carissimi fratelli e sorelle c'è un'ultima cosa che il
mio senso del dovere verso di voi, e verso tutti i miei
confratelli nella fede in Cristo, ancora prima di iniziare questo
mio pontificato, mi impone di confessarvi. Si tratta di una
notizia molto importante, molto dolorosa per noi tutti,
difficile da accettare. Dovrete perdonarmi per quanto sto per
dirvi, miei cari, ma io sono oltremodo convinto che la Chiesa,
se desidera mantenere ancora oggi la sua missione di veicolo
di Dio sulla terra, debba rispettare alcuni sacri doveri. La
Chiesa deve necessariamente, indiscutibilmente differenziarsi
da tutte le altre organizzazioni secolari che, per loro stessa
40
La verità è una bugia
natura, devono detenere ed esercitare (giusto o sbagliato che
sia) qualche forma di potere. Le organizzazioni secolari, in
virtù dei loro stretti legami con le cose terrene e poiché
perseguono contingenti fini terreni, è comprensibile che
possano acconsentire ad atteggiamenti speculativi mirati ad
interessi di parte. La Chiesa deve essere la casa di Dio sulla
Terra e la casa di Dio deve essere per tutti, nessuno escluso.
Deve pertanto avere, come primo ed irrinunciabile dovere, il
dovere della tensione alla verità. Tensione spassionata, non
utilitaristica, non finalizzata ad alcunché se non alla verità
stessa, perché solo in tal caso potrà pretendere valore
universale ed essere da tutti accettata incondizionatamente.
Deve avere, in secondo luogo, il dovere del non esercizio del
potere. Poiché l'annuncio della parola di Dio non può
necessitare dell'uso del potere. Perché la forza stessa della
parola di Dio dovrebbe essere condizione sufficiente per
indurre tutti gli uomini al suo ascolto. Dovrebbe avere, poi, il
dovere dell'esempio, poiché l'esempio da solo dice più di
mille parole. Dovrebbe, infine, avere il dovere di offrire aiuto
senza pretendere nulla in cambio, perché chiunque creda nella
parola di Dio ha già tutto.
Naturalmente, miei cari fratelli e sorelle, in
considerazione della rilevanza di tali doveri e delle possibili
conseguenze, che dall'applicazione di siffatti doveri
potrebbero scaturire, molti dubbi mi hanno fatto compagnia,
soprattutto in questi ultimi giorni. Il mio più grande dubbio
riguardava la convenienza stessa che il Santo Padre
esternasse, così direttamente, a tutti voi i suoi più profondi
pensieri, esponendovi forse a inimmaginabili rischi.
41
Gaetano Tufano
L’alternativa, però, sarebbe stata mentirvi ed io questo non
sarò mai disposto a farlo.
Tanti altri dubbi, di varia natura, mi hanno
accompagnato in questi mesi. Il dubbio io credo abbia molte
qualità benefiche, ma in questa occasione, miei cari, per la
prima volta nella mia vita di messaggero della parola di Dio,
ho avuto dubbi sul messaggio stesso, perché del tutto incerte
oggi mi appaiono le sue fonti. Negli ultimi mesi io sono stato
dilaniato dai dubbi, ma alla fine non ho potuto fare altro che
accettare le conclusioni cui il lavoro di mesi mi aveva portato.
Naturalmente, in considerazione dei nuovi orizzonti teologici
cui ero giunto, ho anche dubitato della convenienza di
accogliere le responsabilità di questo pontificato. Alla fine,
però, ho sentito mio dovere continuare nel mio compito di
umile messaggero ed ho come sempre docilmente obbedito,
accettando
questo
immeritato
onore,
mettendomi
immediatamente al servizio di tutti voi, miei cari fratelli e
sorelle, dando luogo ai miei doveri verso la verità come prima
cosa.
La nostra esistenza, in questo mondo terreno, non
rappresenta che un minuscolo fuoco fatuo acceso per un
istante in questo remoto angolo dell'universo, in questo
imperscrutabile fenomeno spazio temporale. Noi cristiani
siamo stati fino ad oggi salvati dall’orrore che rappresenta la
morte che dissolve nel nulla. L’horror vacui non ha mai
trovato ricetto nei nostri cuori. Qui sulla Terra, come dice
Quasimodo:
« Ognuno sta solo sul cuor della terra
42
La verità è una bugia
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera. » (1;18)
Ma, dopo la sera, noi cristiani abbiamo sempre saputo
che comincerà un eterno giorno di luce che non necessita di
raggi. Abbiamo sempre saputo che, naufraghi, approderemo
ad una salvifica terra senza tempo. Oggi però il dubbio e
l’horror vacui nuovamente s’impossessano dei nostri cuori e
non consentono più di abbandonarsi a queste dolci visioni.
Ma, miei cari fratelli e sorelle, non abbiamo altra scelta, non
possiamo sottrarci ai nostri doveri di uomini abbandonandoci
pigramente alla menzogna, rinunciando così, al tentativo di
comprendere il fine ultimo della nostra vita. Soprattutto nei
riguardi delle questioni fondanti del nostro essere uomini, del
nostro destino, del significato della nostra esistenza. Dunque
io desidero oggi stesso cominciare ad applicare il primo dei
doveri che vi ho annunciato: il dovere della verità”.
Pietro II a questo punto fece una pausa, alzò gli occhi al
di sopra degli occhiali per guardare l’immensa folla di fedeli
davanti a lui, poi con voce ferma e chiara pronunciò la
seguente affermazione:
-“Carissimi fratelli e sorelle devo annunciarvi che il Gesù
Cristo dei Vangeli, che noi abbiamo amato sopra ogni cosa e
che rappresenta per noi il fratello che viene a salvarci da tutte
le pene. Ebbene tale Gesù Cristo non ha nessun riscontro con
alcun personaggio storico, per cui, miei amati fratelli, il Gesù
così come noi lo conosciamo e intendiamo non è mai
esistito!"
43
Gaetano Tufano
La folla ammutolì di colpo e si pose in ascolto come di
fronte ad un evento di eccezionale portata, come quando
impotenti da lontano si osserva l'eruzione di un vulcano che
può portare morte e distruzione e si teme persino per la
propria sorte. Il terrore si impossessò dei loro cuori, videro
millenarie saggezze sgretolarsi sotto il peso di pesanti parole.
Videro eserciti confusi cessare il fuoco contro inesistenti
nemici. Videro torrenti di sangue inondare infecondi deserti e
forgiare, simili a rose del deserto, antiche città distrutte che,
improvvisamente, si rianimavano e riprendevano il loro
consueto ritmo. Videro regni sprofondare e altri, prima
inabissati, imperturbabilmente prenderne il posto. Videro tutti
i loro progenitori, con le orbite vuote, avanzare a tentoni
stanchi, consumati, simili a fantasmi, alla ricerca del loro
paradiso promesso.
-"Miei amati fratelli e sorelle, forse voi potete
immaginare quanto io abbia sofferto durante questi mesi in
cui ho dovuto lottare contro ogni cellula del mio corpo, in cui
portavo scritto il mio millenario credo, con grande
incommensurabile dolore. Io fino ad oggi ho sempre trovato,
per mia natura, perfetta aderenza tra il mio istintivo amore per
i miei simili e il messaggio cristiano. Scoprire quindi, pagina
dopo pagina, che le fondamenta stesse del mio credo
venivano messe in dubbio e che taluni aspetti dei messaggi
cristiani, che istintivamente sentivo profondamente veri,
erano in realtà messi in discussione, mi gettava in uno stato di
indicibile prostrazione.
In pochi mesi, miei cari fratelli e sorelle, ho dovuto
44
La verità è una bugia
riconsiderare tutta la mia vita, tutti i miei pensieri e tutto il
mio operato. Chiunque mi conosce, sa bene che tutti e tre
questi aspetti per me sono sempre stati, fin ad oggi,
perfettamente solidali. Ogni parola che leggevo mi sembrava
una bestemmia, ogni pensiero espresso un’eresia, eppure
dovevo continuare la mia ricerca che, una volta avviata, non
poteva essere più abbandonata. Che cosa mi stava accadendo?
La mia povera mente, sorretta dalla sola mia povera piccola
umana intelligenza, girava velocemente cercando di
riconsiderare e vagliare continuamente tutte le possibilità. Mi
sembrava di andare ad un ritmo vertiginoso. Ho dormito
pochissimo in questi mesi e sempre malissimo. I miei sogni
erano tormentati, vedevo il diavolo tentatore avvicinarsi a me.
Aveva zoccoli e fumava dalle narici. Egli cercava di
ammaliarmi, ma io mi segnavo con il segno della croce di
nostro Signore e lui, sciagurato, faceva altrettanto. Gli dicevo
«Vade post me Satana» e:
«Crux sancta sit mihi lux
Non draco sit mihi dux
Vade retro satana
Numquam suade mihi vana
Sunt mala quae libas
Ipse venena bibas» (2;1)
E lui arretrava, ma tornava subito dopo con l'Index
librorum prohibitorum e mi indicava titoli di volumi che io
effettivamente desideravo leggere. Altre volte sognavo di
aggirarmi per stanze del palazzo apostolico e di incontrare
importanti vescovi e cardinali che governano la Chiesa. Io
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Gaetano Tufano
non li conoscevo e li salutavo cristianamente: «Sia lodato
Gesù Cristo», ma loro mi guardavano un po' stupiti e mi
rispondevano con un meccanico «sempre sia lodato». Poi
vedevo che parlottavano a bassa voce, guardandomi come se
avessi qualcosa di strano e sentivo qualcuno di essi dire,
sempre sottovoce: «Sai, lui è un credente». Un’altra volta
sognai che si attentasse alla mia vita (fu quando lessi dei
terribili sospetti legati alla morte improvvisa di Giovanni
Paolo I, del compianto Albino Luciani). Sognai che tutti mi
offrivano del caffè, io adoro questa bevanda, ma l'ho sempre
bevuta amara, tutti però cercavano di convincermi a
zuccherarla e mi offrivano bustine di zucchero vantando le
virtù di questo ingrediente. Alla fine, sfinito, acconsentivo a
prenderne una, ma mi accorgevo che la marca dello zucchero
era «Cianuro di Potassio».
Mi svegliavo sempre di soprassalto, madido di sudore,
spaventato. Il primo istinto era di ritornare alla mia missione,
tra i miei cari fratelli. Abbandonare tutto! Dimenticare tutto!
Avrei potuto dir loro che Roma non fa per me. Che per me,
vissuto sempre tra savana e giungla, la mancanza di ampi
orizzonti era inaccettabile. Mi avrebbero capito, ma come
avrei potuto d'ora innanzi con pura passione operare, sapendo
che la nostra storia è dubbia? Dovevo rimanere, dovevo
affrontare Satana, dovevo ingaggiare con lui un solitario e
terribile braccio di ferro. Io non ho mai avuto paura. Chi ha
poco o nulla, ha anche poco o nessuna paura. E allora
riprendevo con ostinazione i miei studi febbrili e i miei
febbrili sogni. Col passare del tempo, però, tutte le cose
cominciavano a ritrovare lentamente un nuovo ordine, un
46
La verità è una bugia
ordine insospettato, insospettabile fino a poco tempo prima.
Col passare dei giorni, i sogni cominciavano a rasserenarsi, le
idee a chiarirsi. Si alternavano però stati di euforia, di
esaltazione, ma anche di sconforto e solitudine.
Sono approdato, infine, naufrago di una nave sulla
quale per tutta la mia esistenza avevo navigato, su una terra
sconosciuta fino a quel momento. Una terra di cui non
sospettavo l'esistenza. E questa terra è oggi il mio nuovo
luogo. Un luogo molto simile a quello da cui provenivo,
popolato anch'esso di tanti buoni e retti uomini, che però in
virtù delle loro caratteristiche intellettive: intelligenza,
creatività, attitudine speculativa non avevano alcuna fede
religiosa, ma che, non per questo, erano privi d'amore, privi di
principi morali. E' in questo luogo miei cari, amati fratelli e
sorelle che desidero condurre voi tutti. Perché la terra da cui
proveniamo, miei cari, è una terra che ora, spogliata delle sue
apparenti verità, mi appare triste, lugubre, grondante di
sangue e di menzogne. Ma lasciate, ora, che continui a
narrarvi come sono arrivato in tale luogo, attraverso quali
tortuosi e difficili sentieri, a seguito di quali scaturigini del
mio pensiero”.
La grande piazza rimaneva ammutolita, appesa alle
labbra di Pietro II, ognuno guardava con aria interrogativa il
proprio vicino. Alcuni, tra i più avveduti, cominciavano già
ad azzardare congetture e responsabilità: congiure sioniste o
arabe, i servizi segreti (quelli c'entrano sempre), meglio se
deviati, la massoneria, la vendetta dei templari, e altro ancora.
Il Pontefice però riprese a parlare.
47
Gaetano Tufano
-"Dovete sapere, miei cari fratelli e sorelle che Rudolf
Schnackenburg, tra i più importanti esegeti cattolici di lingua
tedesca della seconda metà del XX secolo, alla fine della sua
grande opera «La persona di Gesù Cristo nei quattro
Vangeli», opera che rappresenta il risultato di una ricerca
durata tutta la vita, afferma: «Mediante gli sforzi della ricerca
coi metodi storico-critici non si riesce o si riesce solo in
misura insufficiente a raggiungere una visione affidabile della
figura storica di Gesù di Nazareth». (1;19)
Un altro importante dato è che nell'impero romano,
negli anni in cui Gesù sarebbe vissuto, vivevano e operavano
numerosi storici e nessuno di loro fa diretta menzione del
nostro Gesù. La testimonianza storica più vicina ci è data da
Giuseppe Flavio, storico di origine ebraica, nato nel 37 d.C. e
quindi solo pochi anni dopo la data della presunta morte di
Gesù. Giuseppe Flavio nella sua voluminosa opera «Le
Antichità Giudaiche», di circa milleduecento pagine, dedica
alla figura di Gesù meno di dieci righe, che oltretutto da molti
storici, per comprensibili e appropriati motivi, non sono
ritenute autentiche. (1;20)
Non voglio andare oltre, posso solo ripetervi con
somma tristezza che il nostro Gesù, così come noi lo abbiamo
conosciuto ed amato non è mai esistito. E dunque devo
concordare con quanto affermato da Benedetto XVI nel suo
«Gesù di Nazareth» quando dice: «Per la fede biblica, infatti,
è fondamentale il riferimento a eventi storici reali», per
concludere poco oltre che «Se mettiamo da parte questa
storia, la fede cristiana in quanto tale viene eliminata e
48
La verità è una bugia
trasformata in un’altra religione». (1,21)
Dunque miei cari fratelli e sorelle, questa è la verità
che oggi volevo annunciarvi. Di fatto le uniche testimonianze
cui veramente possiamo aggrapparci sono i Vangeli, che non
sono opera di storici. Essi appaiono essere un insieme di
racconti letterari, che si riferiscono alla vita e agli
insegnamenti di un Gesù che non ha, ahimè, sufficienti
riscontri con la realtà storica. Non sono in grado di raccontare
dettagli da esegeta, né sarebbe possibile farlo qui ed ora. Ho
cercato di annotare tutto quanto ho potuto scoprire in questi
mesi, rinchiuso nella biblioteca del Vaticano e ho riportato i
dati più significativi e le fonti di quanto vi racconto in un
“Quaderno di Appunti” che sarà reso pubblico a breve.
Infine, anche volendo ipotizzare l’esistenza storica di
Gesù, e quindi che i vangeli siano effettivamente frutto della
sua parola, l’insegnamento che se ne desume, considerandoli
nella loro totalità, non è per nulla assimilabile alla nostra
confessione. L’insieme dei vangeli appare una disorganica
congerie di scritti. Anche facendo riferimento soltanto a quelli
canonici, si vedrà che le discordanze e le difformità fra di
essi, soprattutto tra quelli sinottici di Marco, Luca e Matteo e
il quarto, attribuito a Giovanni, sono tali da esigere uno sforzo
di normalizzazione, a mio parere, ardito e inammissibile. Se
si acconsente, poi, a considerare i vangeli canonici non
miracolosamente disgiunti da tutti gli altri vangeli, l’impresa
diventa addirittura impossibile, rendendo intollerabile
qualsiasi semplicistico approccio inteso a salvaguardare
l’interpretazione operata dal cristianesimo. Per completare un
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Gaetano Tufano
quadro già complesso e confuso, occorre notare che, come si
può facilmente immaginare a questo punto, vi è grande
disaccordo tra gli storici anche per quanto concerne le figure
stesse degli evangelisti, figure molto poco determinabili
storicamente.
Solo a titolo di puro esempio vi racconterò che un
giorno, durante le mie peripezie in biblioteca, ho scoperto
l’esistenza di un vangelo attribuito a Pietro, di cui ignoravo
l'esistenza. Io ho sempre amato Pietro perché come lui io mi
sono sempre sentito «Kefa» (roccia) e «agrammatos»
(incolto) e a lui ho desiderato ispirarmi assumendo il suo
nome. Con mio grande stupore dovetti constatare, però, che
sebbene stando ai Vangeli Canonici, Pietro abbia
effettivamente conosciuto Gesù e quindi meglio di chiunque
altro dovrebbe riportare la sua parola, ciononostante il
vangelo a lui attribuito è considerato dalla Chiesa apocrifo, da
nascondere, perché intriso di Docetismo. Tale dottrina, miei
cari fratelli e sorelle, è una interpretazione cristologica, nata
nell'ambito delle comunità gnostiche agli inizi dell'era
cristiana, che ritiene Gesù incorporeo. Una interpretazione
secondo la quale Gesù solo in apparenza avrebbe patito la
passione e la crocifissione, salvando così l'umanità dal
cosiddetto “scandalo della crocifissione” e affrancandone la
coscienza da questo pesante, inaudito deicidio. Ma, molto
stranamente, è proprio il vangelo attribuito a Pietro, che
direttamente avrebbe conosciuto Gesù, a sostenerlo.
Un altro aspetto singolare riguarda il criterio di
determinazione dei vangeli canonici che durante i primi
50
La verità è una bugia
concili dell’antichità decise l'affermazione dei vangeli di
Marco, Matteo, Luca e Giovanni rispetto alla totalità dei
vangeli e l'esclusione degli altri (alcune decine, contando
solamente quelli a noi pervenuti). La nostra confessione è
stata quindi fondata su una piccola parte di tutti gli scritti che
parlano degli insegnamenti e della vita di Gesù. Mentre, come
abbiamo visto, la religione che emerge dalla sintesi di tutti i
vangeli, miei cari fratelli e sorelle, è molto diversa da quella
cristiana-cattolica e racconta un Gesù molto diverso da quello
che conosciamo.
Uno di questi vangeli, trovato in Egitto nel 1978,
racconta gli ultimi giorni della vita terrena del nostro Gesù in
modo molto diverso rispetto ai vangeli canonici. Gesù appare
in contrasto con le usanze e i culti comuni e con gli stessi
discepoli, che ritiene incapaci di comprendere il vero spirito
della sua religione. Tra essi, solo Giuda è ritenuto in grado di
servire veramente Dio e di mettere in atto i suoi propositi.
Gesù chiede dunque a Giuda di favorire la sua cattura e la sua
morte, che lo libererà dal corpo, considerato un inutile
involucro in opposizione alla vera spiritualità. In un altro
vangelo, quello attribuito a Tommaso, anch'esso però non
accettabile per la Chiesa, sebbene secondo le sacre scritture
Tommaso fosse uno dei dodici apostoli di Gesù, emerge la
visione che il Regno di Dio è già presente sulla Terra e che la
luce divina, presente in tutti gli uomini, può permettere loro
di vedere il Regno ed entrarvi.
Capite, miei cari fratelli e sorelle, l’imbarazzo in cui
io, povero frate francescano, mi sono immediatamente
51
Gaetano Tufano
ritrovato: l’essenza stessa della nostra dottrina appare
confusa. Essa sembra essere stata distillata da una diversa
filosofia per separazione di elementi. Ma quale criterio ha
determinato la decisione del punto di ebollizione? E, quale sia
stato il metodo, è mai concepibile l’applicazione di
procedimenti discriminatori ad una dottrina? Sfrondando
elementi considerati spuri, non ne deriva forse una dottrina
del tutto nuova e diversa, non più fedele quindi agli
insegnamenti del suo fondatore? La Chiesa considera
‘ispirati’ i vangeli canonici, ma quale giudizio, non arbitrario,
ha stabilito quali fossero ispirati? Vi sono numerose teorie
riguardo ai criteri di determinazione di queste scelte, tutte
però a mio avviso insoddisfacenti e inaccettabili.
Probabilmente il vescovo Ireneo di Lione ebbe una parte
significativa in questo vaglio, ma non ne ho conferme. Così
come ad una prima disamina parrebbe che Paolo di Tarso
dovette avere molta influenza nell’orientare la dottrina
originaria nel senso in cui noi la conosciamo. Tanto che
qualcuno ha potuto affermare che il vero fondatore del
cristianesimo fu proprio San Paolo. Vedete dunque, miei cari
fratelli e sorelle, che anche nel caso dell’ipotesi dell’esistenza
storica di Gesù, permarrebbero legittime e inquietanti
domande sulla nostra religione. Quale è stato il vero
insegnamento di nostro Signore? E, di conseguenza, qual è la
strada che devo seguire? Non ho trovato risposte, miei cari
fratelli e sorelle, e non credo sia ormai possibile dare una
risposta definitiva ed esauriente a tali domande, poiché
oramai, dopo duemila anni, le fonti, laddove esistessero
ancora, sarebbero troppo contaminate e lascerebbero eccessivi
margini di interpretazione”.
52
La verità è una bugia
La folla, fin ora muta, aveva cominciato a manifestare
qualche disappunto, qualcuno gridò che si stava avverando la
profezia di San Malachia di Armag sull’ultimo Papa, ma
Pietro II continuò imperterrito a parlare.
-"Miei cari fratelli e sorelle, dobbiamo ora con
coraggio affrontare queste verità e con altrettanto coraggio
dobbiamo prendere in mano il nostro destino. Io sono vecchio
oramai, ho passato l'intera mia vita a servire Dio e ad amare
un fratello inesistente, ma badate, io oggi non mi sento
orfano. Certamente mi sento ingannato da quanti, prima di
me, forse già conoscevano queste verità e le hanno taciute,
ma per quanto riguarda la mia esistenza, sono felice di averla
spesa a favore del mio prossimo. Ripensandoci, nessuna delle
mie azioni è stata compiuta nella speranza di una ultraterrena
ricompensa, ma per amore. E devo ora ammettere che la mia
compassione cristiana, è in realtà una spontanea solidarietà
per il mio prossimo. E’ compassione nel suo significato
etimologico di «comunanza di dolore», compassione dovuta
al fatto che noi tutti esseri viventi veniamo «gettati» su questa
terra senza conoscere né il senso, né il fine di questa
esistenza. In aggiunta, come tutti sperimentiamo, è
un’esistenza non facile, a volte gioiosa, certo, ma altre volte
piena di sofferenze di cui non sappiamo l’origine e il
significato. E infine, di questa nostra esistenza, di questo
nostro stare al mondo, miei cari fratelli e sorelle, dobbiamo
ammettere di sapere molto poco. Io credo che sebbene noi
uomini oggi possediamo grande conoscenza dell'ambiente
fisico che ci circonda, sebbene abbiamo fatto grandi e
prodigiose scoperte circa l’universo in cui viviamo, se
53
Gaetano Tufano
chiedessimo a noi stessi risposte alle uniche domande che
contano, scopriremmo di saperne quanto il seme di grano che
viene gettato dal contadino durante la semina perché germogli
e produca spighe di grano. Esso una volta nella terra farà del
suo meglio per non essere mangiato dagli uccelli, per
impiantare le sue radici, per resistere alle malattie, per farsi
grande, bello e forte, ma senza conoscerne il motivo, né il
fine ultimo. Scopriremmo di saperne quanto il sasso che
rotola giù dalla montagna, chiamato a valle da una forza
sconosciuta, cui ciecamente obbedisce, non opponendo
resistenza alcuna, senza neppure domandarsi se esista una
diversa possibilità. Questa è la condizione in cui ci troviamo e
che ci accomuna, miei cari fratelli e sorelle, e per questo
motivo, io credo, noi dobbiamo essere solidali tra di noi. Noi
non possiamo sapere se qualcuno, all'infuori di noi stessi
possa darci aiuto e conforto.
Miei cari fratelli e sorelle andate ora, fate ritorno alle
vostre case, abbracciate i vostri figli, consapevoli finalmente
di voi stessi, senza più alcun alibi, padroni del vostro destino,
ma ricordate sempre che noi tutti esseri viventi siamo come
fratelli, inseparabili compagni di questa meravigliosa e
terribile avventura che è l'esistenza”.
Piazza San Pietro ormai era un turbinio di pianti
inconsolabili, ma Pietro II non ascoltava più. Sorrideva con
gli occhi fissi verso un punto indefinito del cielo, i suoi
ricordi veleggiavano tra le verdi colline e i regolari campi
coltivati, irrigati da interminabili condotte d'acqua, che erano
stati gli orizzonti della sua infanzia. Pietro II volava sopra le
54
La verità è una bugia
cascate Vittoria, che aveva potuto osservare da un piccolo
aereo mentre raggiungeva la sua missione. Volava sulle
acacie ombrellifere della sua savana e sui fiumi melmosi che
avevano accompagnato la sua opera di missionario da adulto.
Si rivide bambino timido e impacciato, poi giovane pieno
d'energia e d'ideali, poi maturo, caritatevole e in profonda e
sconfortata pena verso ogni suo simile, infine si rivide
vecchio, stanco e deluso. Pietro II alzò la mano destra in
segno di benedizione verso i suoi cari fratelli e sorelle, chiuse
gli occhi stanco e sognò.
55
Gaetano Tufano
Il secondo sogno di Pietro II
Si sentiva aquila, volava alto nel cielo contemplando
felice la natura sottostante. Avvertiva dentro di sé tutta la sua
forza, la sua bellezza. Amava volare lassù perché gli
sembrava di aderire al suo istinto di allontanarsi dalle cose
terrene per diventare etereo, incorporeo. Volava veloce,
sempre più veloce fino a sentire che il suo corpo diventare
quasi immateriale, che si liberava per mezzo dell'attrito con
l'aria tersa di tutte le sue impurità. Passava vicinissimo alle
pareti e velocissimo lungo le pendici delle montagne
esplorando il territorio. Fino a che avvistava laggiù una lepre
che gli rammentava il suo istinto di predatore: piombare
inaspettato sulla preda. Ma subito dopo si ritrovava a
combattere con questo istinto, lui desiderava essere aquila per
56
La verità è una bugia
volare non per uccidere. Nel dibattimento interiore si
riscopriva, di colpo, lepre minacciata dall'aquila e correva con
il cuore in gola nel prato aperto in cui si era avventurata,
finendo però per essere agguantata dalle forti zampe
dell'aquila. Il dolore era forte, ma ancora più forte era il
dolore per i suoi piccoli, che non avrebbe più rivisto e che
senza la loro madre sarebbero sicuramente morti. Nel
frattempo erano giunti nel nido dell'aquila, dove dei piccoli
rapaci attendevano il cibo, e allora la lepre capì che sarebbe
stata il loro pasto e che sarebbe stata lacerata dai loro becchi
taglienti. La lepre sentì ancora una volta i morsi dei cocci che
avevano ucciso Ipazia, sentì il suo petto sfondarsi sotto i colpi
possenti dei becchi e sentì estrarre il suo cuore ancora
palpitante. Ebbe il tempo di chiedersi la ragione della sua
trasformazione da aquila a lepre, ma non d'immaginare la
risposta. La vista si offuscò, l'ultima cosa che vide, prima di
chiudere per sempre gli occhi, fu un balenio metallico,
lontano, davanti a sé e se ne meravigliò.
57
Gaetano Tufano
La morte di Pietro II
Pietro II era stato ucciso da un colpo di fucile di
precisione in pieno petto. Poco dopo un laconico comunicato
stampa della Santa Sede dichiarava che il pontefice Pietro II
era stato stroncato da un non meglio precisato malore, e che
la sua omelia era da ritenersi frutto dell'obnubilazione dovuta
all'incipiente malore.
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La verità è una bugia
Parte Seconda
59
Gaetano Tufano
Riunione del collegio dei cardinali
Il cardinale camerlengo di Santa Romana Chiesa e
decano del consiglio dei cardinali, Corrado Bonanno, il
giorno successivo alla morte di Pietro II convocò la riunione
del collegio cardinalizio per informare della morte del Santo
Padre. Successivamente, la Congregazione Cardinalizia si
sarebbe riunita per decidere le date dei funerali solenni e per
dare inizio ai novendiali, dopodiché un nuovo conclave, a
così breve distanza dal precedente, sarebbe potuto essere
convocato. Il Sacro Collegio era preoccupato e in tensione per
le voci che circolavano sulla morte del Pontefice. Già la sera
precedente però c'era stata una riunione molto ristretta di
cardinali e vescovi, sempre indetta da Sua Eminenza Corrado
Bonanno e protrattasi fino a notte fonda, durante la quale
60
La verità è una bugia
furono stabilite le posizioni ufficiali della Santa Sede sulla
morte di Pietro II. Fu subito chiaro che il primo laconico
comunicato emesso, che attribuiva le cause del decesso ad un
imprecisato malore, fosse in realtà insostenibile: l'evento era
stato registrato dalle televisioni e la brusca e improvvisa
caduta all'indietro del Pontefice, come fosse stato spinto da un
violento pugno, era incompatibile con qualsiasi tipo di
malore. Neppure era possibile oramai ritornare sui propri
passi e riformulare il precedente comunicato: il tentativo di
mistificazione sarebbe risultato oltremodo sospetto e avrebbe
alimentato pericolosi dubbi. La posizione da prendere era
chiara ed obbligata: confermare ufficialmente il primo
comunicato alla stampa, ma far immediatamente trapelare la
notizia che i vertici della Santa Sede, accertato che si era
trattato di un assassinio, stessero in realtà dissimulando per il
bene comune. Facendo immaginare che essi stessi
brancolassero nel buio più assoluto, incapaci di immaginare
chi avesse potuto concepire un così abominevole atto,
potenziale causa di gravissime conseguenze. Quale potenza
straniera poteva annidarsi dietro il grilletto dell'arma che
aveva causato la morte di frate Rosario? Quali interessi e fini
perseguiva? Il defunto Papa stava scuotendo "ab imis
fundamentis" la Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana,
chi poteva desiderare che ciò non accadesse? Queste erano le
domande che Corrado Bonanno desiderava suscitare
nell'opinione pubblica, forte della posizione al di sopra di
ogni plausibile sospetto di cui godeva la Chiesa e sicuro
pertanto che nessuno alla domanda Cui prodest? Potesse
davvero in cuor suo rispondere: alla Chiesa Cattolica!
61
Gaetano Tufano
Con queste premesse e queste posizioni in mente il
ristretto circolo di cardinali e vescovi incontrarono il Sacro
Collegio. Avrebbero quindi ammesso l'inaudito, inspiegabile,
inconfessabile assassinio del Papa da parte di entità
sconosciute. Avrebbero, poi, avanzato plausibili e strampalate
ipotesi miscelate sapientemente. E, infine, avrebbero
raccomandato, per il bene di tutta l'umanità in primo luogo e
della Santa Chiesa subito dopo, di non far trapelare in alcun
modo questa atroce insopportabile verità, confermando,
invece, pienamente, l'ipotesi del malore. Il porporato poteva
avere così la statistica certezza che alcuni di essi avrebbero
goffamente cercato di confermare la tesi ufficiale, che la
maggior parte avrebbe cercato ostinatamente di eludere
qualsiasi genere di domanda, e che, infine, qualcuno di loro
avrebbe in realtà confessato la verità, ingenuamente e
vanamente pregando di mantenere riservata l'estirpata
esternazione.
Il collegio dei cardinali attendeva impazientemente e
addolorato la relazione sull'accaduto. Nessuno aveva potuto
dare credito al comunicato ufficiale, troppi erano stati i
testimoni della morte, troppe ed insistenti voci erano circolate
sul sangue che aveva imbrattato il bianco abito talare del
Pontefice. I cardinali temevano di doversi confrontare con
inaccettabili posizioni ufficiali lungi dalle evidenze e dalla
verità, ma dovettero ricredersi di fronte alla appassionata
addolorata ammissione dell'assassinio del loro amato frate
Rosario. Così come dovettero ammettere con rasserenante
soddisfazione l'assoluta liceità delle varie ipotesi, ed anzi essi
stessi ne avanzarono delle nuove, secondo le loro personali
62
La verità è una bugia
esperienze e le loro personali analisi politiche. Molte delle
loro ipotesi furono di fatto ammesse tra quelle plausibili.
Il cardinale Bonanno intimamente
soddisfatto
dell'andamento dell'inclito consiglio osservò con enfasi: "Ora
che sappiamo che la nostra Santa Chiesa ha dei nemici noi
tutti dobbiamo essere più forti e uniti e dobbiamo molto
pregare affinché, con l'aiuto di Nostro Signore, gli oscuri
disegni che aleggiano sopra la Santa Sede siano portati alla
luce e dissolti come tenebre di fronte al sole. Non sappiamo
chi abbia indotto il nostro amato Pontefice, di indubbia fede e
sempre vissuto secondo la più completa carità cristiana, che
da sempre contraddistingue l'ordine cui apparteneva, a dire
tali terribili menzogne, e non sappiamo chi abbia voluto porre
fine alla sua vita proprio durante l'Angelus. Sono state aperte
delle indagini su tutto quanto accaduto. Pietro II è stato
costretto a leggere un documento preparato da qualcuno, ma
non sappiamo chi. Il discorso originale era stato condiviso e
concordato come di consueto. Il Papa deve essere stato posto
sotto minaccia diretta oppure indiretta per mezzo di qualche
suo caro. Il nostro capo della sicurezza si è immediatamente
messo al lavoro e ci fornisce continui aggiornamenti. Sono
sicuro che presto saremo in grado di conoscere i responsabili.
Nello stesso tempo preghiamo per il nostro Santo Padre Pietro
II, diamo luogo ai solenni funerali e ai novendiali.
Sono sicuro di non aver bisogno di ricordare che quanto
qui affermato è della massima riservatezza, e che per il bene
dell'umanità e della nostra Santa Chiesa, nessuna
informazione deve trapelare fuori da questo santo capitolo”.
63
Gaetano Tufano
Il Segretario di Stato, il cardinale Achille Ranghetti, volle
aggiungere che "In fondo non conoscevamo così bene il
nostro Santo Padre, egli ha vissuto la maggior parte della sua
vita in paesi lontani frequentando potenzialmente agenti
stranieri con chissà quali interessi e fini. Potrebbero esserci
aspetti della sua vita che non ci sono noti, dobbiamo ora agire
con la massima prudenza e confidare nell'aiuto di Nostro
Signore per la salvezza della Sua Chiesa. Ora più che mai
dobbiamo essere uniti affinché la forza di mutua
congiunzione unisca le membra tra loro in modo che, pur
agendo come un unico corpo vivificato dallo Spirito Santo, le
singole membra godano comunque della loro propria
personalità. Andiamo in pace”.
Tutti assentirono e si separarono. Pochi giorni dopo
numerose illazioni sarebbero circolate amplificate e
circostanziate su tutti i giornali. Mentre la posizione ufficiale
veniva mantenuta coerente con il primo breve comunicato.
Come sempre accade in questi casi, tutto lo spettro delle
possibili interpretazioni degli avvenimenti viene dipanato e
l'opinione pubblica si dispone secondo la nota curva
gaussiana. Si noterà così che ad un estremo della curva una
bassa percentuale della popolazione accetta acriticamente il
comunicato ufficiale, non opponendo alcun dubbio e alcuna
obiezione. Un'altrettanta bassa percentuale di popolazione
scettica si pone all'estremo opposto della curva, non dando
alcun credito al comunicato ufficiale e avanzando le più
disparate ipotesi, mentre la maggioranza della popolazione si
pone tra i due opposti coprendo l'intero ventaglio delle
64
La verità è una bugia
posizioni moderate ed innocue tra i due estremi. A tutti è
evidente che le uniche opinioni temibili sono quelle degli
scettici, ma in realtà, solo una parte di esse sono
potenzialmente pericolose, quelle che individuano la verità.
Tutti sanno, però, che per neutralizzarle, è sufficiente mettere
in giro informazioni e ipotesi fantasiose e strampalate. In tal
modo le ipotesi più accreditate e plausibili, e quindi
potenzialmente pericolose, si perderanno nel magma delle
stravaganti congetture e saranno così disinnescate. Corrado
Bonanno, pur avendo una vasta cultura e una grandissima
esperienza, su talune questioni preferiva affidarsi al suo fiuto
politico. Egli aveva quella rara innata capacità, che solo i
politici di talento hanno, di saper istintivamente valutare gli
effetti delle loro azioni sull'opinione pubblica. Sapeva
intuitivamente usare la comunicazione per ottenere i risultati
auspicati. I suoi pensieri si disponevano naturalmente sulle
posizioni più adeguate ai fini ultimi e né a lui stesso, né agli
altri apparivano mistificatori della realtà. Egli aveva quel
naturale carisma che gli consentiva di essere spontaneamente
convincente, tanto da far apparire la sua posizione non
soltanto l'unica sostenibile e l'unica da sostenere, ma anche
che fosse l’unica inopinatamente corretta e aderente alla
realtà.
65
Gaetano Tufano
Il cardinale Corrado Bonanno
Corrado Bonanno era nato in Sicilia, ma la sua
famiglia si era ben presto trasferita a Roma, suo zio paterno
era parroco di una parrocchia nella zona di Roma Torre Gaia,
nell'area est della capitale, a ridosso ed esternamente al
Grande Raccordo Anulare. Corrado negli anni della scuola
dimostrò grande acume e amore per lo studio, soprattutto per
le materie umanistiche, per la Storia in particolare e per la
Filosofia in secondo luogo. Di natura era riservato, quasi
introverso, partecipava poco alla vita della classe e, per lo più,
dai suoi compagni era tenuto in considerazione quasi
unicamente per la sua disponibilità a passare informazioni
66
La verità è una bugia
durante i compiti in classe. Per tutto il periodo del liceo fu
intimamente, inconfessabilmente innamorato di una sua
compagna di classe. Lei era molto bella, i suoi boccoli d'oro
su di un viso vivo e intelligente, il suo carattere estroverso,
sempre allegro, sempre al centro delle premure di tutti, la
rendevano irrimediabilmente lontana, inarrivabile.
Corrado trascorse gli anni del liceo nel culto dei due
amori della sua vita. Da un lato, nel culto e nella adorazione
di lei, di ogni suo movimento, di ogni piega dei suoi dolci
capelli, dall'altro lato coltivava i suoi studi storici, che amava,
ma che gli servivano anche per non pensare troppo alla sua
amata, quando la mancanza di lei si faceva sentire troppo.
Corrado sapeva sprofondare in ricerche storiche i cui risultati
stupivano gli stessi suoi insegnati per la sua spiccata capacità
di mettere insieme una grande quantità di informazioni ben
collegate tra di loro, traendone originali significati, magari
non sempre ortodossi, ma sempre acuti e pieni di spunti
interessanti e originali.
Lucrezia, così si chiamava la sua bella, gli capitava a
volte di incrociarla al mattino andando a scuola. Arrivavano
sulla strada che portava al liceo da opposte direzioni, quando
capitava che nello stesso istante entrambi sbucassero
sull'ultimo pezzo di strada, incrociandosi, Corrado la fissava
negli occhi, raggiante di gioia, ma teso a non dimostrarlo in
alcun modo, e con gli occhi le parlava. Le parlava per brevi
intensissimi istanti, e a volte gli pareva che lei capisse i suoi
occulti messaggi, che lei provasse le sue stesse emozioni e
che rispondesse, ma forse era solo suggestione. Corrado,
67
Gaetano Tufano
bisogna dirlo, era un bel ragazzo, era alto, aveva un buon
fisico, gli occhi e i capelli neri, lo sguardo profondo. Era
dunque un tipo che può senz’altro piacere a una ragazza, ma
il suo carattere eccessivamente introverso e timido, l’assenza
di qualsiasi interesse per tutto ciò cui i suoi coetanei erano
normalmente interessati a favore dell’interesse per i suoi
studi, lo facevano probabilmente sembrare altrettanto
distante, ma in una direzione opposta rispetto a quella di
Lucrezia.
L'ultimo anno di scuola Corrado fu assalito dalla
terribile consapevolezza che al termine dell'anno scolastico la
magia di quegli incontri sarebbe finita per sempre. Che non
avrebbe più potuto per un'intera mattinata gioire, bearsi della
sua presenza, ascoltare la sua voce. Corrado malediva la sua
natura, in cinque anni non era mai stato capace di rivolgerle la
parola se non per qualche breve e timido saluto.
L'anno terminò, arrivarono gli esami di maturità e
terminarono anche questi. A fine luglio ricevette una
telefonata, era Lucrezia, gli chiedeva di andare a trovarla a
casa sua perché aveva deciso di iscriversi alla facoltà di
Filosofia.
Intendeva
chiedergli
qualche
consiglio.
L’appuntamento fu fissato per il pomeriggio del giorno
successivo. Corrado riappese la cornetta in un indescrivibile
stato di esaltazione, i suoi pensieri vagliarono più volte in
pochi istanti tutte le possibili interpretazioni di una tale
telefonata, compresa l’eventualità che fosse un crudele
scherzo goliardico.
Inutile dire che trascorse agitatissimo il tempo che lo
68
La verità è una bugia
separava da Lucrezia. Doveva restare calmo e non farsi
eccessive illusioni, questo si diceva, tanto, anche solo
rivederla era già un insperato traguardo. Se poi davvero lei
avesse scelto la facoltà di Filosofia avrebbero sicuramente
avuto modo di incontrarsi a qualche lezione, fare insieme un
intero corso, magari preparare insieme un esame, chissà?
Il giorno successivo Corrado con la morte nel cuore si
avviò verso la casa della sua bella. Lucrezia lo accolse con
molta cortesia, e, come era nella sua natura espansiva, gli fece
delle feste come se finalmente rivedesse il migliore dei suoi
amici dopo anni. Lucrezia gli confidò le sue intenzioni e i
suoi dubbi. Temeva l’eccessiva difficoltà di taluni esami
presenti nel corso di studi che predilegeva. Si confrontarono,
Corrado mostrò tutta la sua competenza in materia, egli
ovviamente intendeva iscriversi alla stessa facoltà per seguire
essenzialmente corsi di Storia, ma senz’altro avrebbe seguito
più di un corso di Filosofia. Presero alcuni accordi: Corrado
non avrebbe mai lasciato Lucrezia da sola con alcuni filosofi
particolarmente ostici e Lucrezia si sarebbe sottoposta alla
lettura propedeutica di qualche manuale di filosofia che gli
aveva consigliato. Concordarono di ritrovarsi dopo le vacanze
per andare insieme a iscriversi ai primi corsi. Lucrezia era
raggiante, Corrado veleggiava con la mente sopra un mare
trasparente, in direzione dell’ultimo dei cieli, illuminato da un
sole che emanava raggi di mille sfavillanti colori. Si
salutarono calorosamente abbracciandosi, entrambi colmi di
gioia per aver trovato una così insperata sintonia, e Lucrezia
nella sua espansività, sulla soglia di casa, prima di lasciarlo
gli stampò sulla bocca un appassionato indimenticabile bacio.
69
Gaetano Tufano
Era fatta. Corrado fece le scale in preda alla più dolce
e tenera sensazione mai provata. Tutti i suoi sensi erano
inebriati di Lucrezia. Lucrezia, Lucrezia, questo immenso
astro che sorridente spandeva gioia nel mondo intero.
Chiudeva gli occhi per concentrarsi e riusciva così a risentire
il sapore delle sue labbra. Aveva toccato per un attimo i suoi
capelli d’oro prezioso e fra le sue dita gliene era rimasto
l’inebriante odore. Risentiva la sua cara vibrante voce che,
promettendogli di chiamarlo appena rientrata dalle vacanze,
gli prometteva il paradiso.
Che cos’è un mese? Erano trascorsi cinque anni
nell’adorazione di una irraggiungibile dea, non lo spaventava
aspettare un mese, e poi aveva dolcissimi ricordi con cui
passare il tempo nell’attesa di lei.
E agosto trascorse come previsto. A fine agosto
Corrado venne a sapere che Lucrezia durante le vacanze era
stata vittima di un incidente. Nessuno aveva saputo dirgli
bene cosa fosse accaduto esattamente, riscontrava una strana
reticenza durante i resoconti, come se ci fosse qualcosa da
nascondere. Una mattina dei primi giorni di settembre
Corrado andò a cercarla al cimitero del Verano. La trovò. La
foto sulla lapide la ricordava in tutta la sua fiorente
giovinezza. Era ancora estate e la foto di Lucrezia e il caldo
sole d'inizio settembre si contrapponevano inconciliabilmente
con il silenzio di quei luoghi. Una leggera brezza gli portava,
soffocati, i rumori della città appena fuori dalle mura,
avvertiva un lontano pianto. Corrado chiuse gli occhi pieni di
lacrime e immaginò di non poter sperare migliore sorte per lui
70
La verità è una bugia
che quella di essere anche lui morto e anche lui sepolto
accanto a lei.
Ritornato a casa Corrado dovette subire suo padre che
da qualche tempo tentava di convincere suo figlio a scegliere
la facoltà di giurisprudenza anziché quella di Lettere e
Filosofia. Suo padre quel giorno, contrariamente al solito,
trovò Corrado molto accondiscendente e arrendevole,
atteggiamento lontanissimo dal suo carattere, solitamente
testardo e sicuro di sé. Corrado accettò di iscriversi a legge,
frequentò con profitto e si laureò con il massimo dei voti, ma
quando si trattò di entrare nell'ufficio legale del padre si
oppose con fermezza, rifiutando anche qualsiasi altra ipotesi
di impiego. Infine, incalzato dalla continua prevaricante
insistenza del padre, Corrado si recò alla parrocchia di suo zio
e a questi chiese consigli su come intraprendere la carriera
ecclesiastica. Qualche anno dopo Corrado fu ordinato
sacerdote.
Corrado ebbe modo di perfezionare i suoi studi storici
frequentando assiduamente biblioteche e archivi sia in Italia
sia all'estero. Per i suoi meriti divenne prefetto di una delle
più importanti biblioteche di Roma. Corrado fu sempre
apprezzato per la sua vasta erudizione, ebbe una carriera
folgorante, fu uno dei più giovani cardinali e all'epoca in cui
sono accaduti i fatti qui riportati, era considerato uno degli
uomini di maggiore influenza nella gestione politica ed
economica dello Stato Pontificio.
71
Gaetano Tufano
La partita a scacchi
Il cardinale Ranghetti e il cardinale Bonanno spesso si
ritrovavano la sera per una partita a scacchi. Entrambi erano
degli abili giocatori. Amavano disputare una buona partita,
discorrere amabilmente di questioni politiche e magari
sorseggiare una buona grappa d'annata. Il segretario di stato,
cardinale Achille Ranghetti, recuperò da un armadio una
bellissima scacchiera di legno con il piano in alabastro e i
pezzi in ottone. Dispose con cura i pezzi, mettendo ciascuno
di essi ben in centro alla sua casa, prese quindi posto dalla
parte del nero e invitò il suo avversario a fare la prima mossa.
-"Caro Bonanno, sono giorni difficili, sembra però,
72
La verità è una bugia
devo dire, che la situazione sia per il momento controllabile e
che le conseguenze forse potranno non essere così gravi come
abbiamo temuto in un primissimo momento. Certo le
discussioni in corso in questi giorni su tutti i media e su tutti i
network in gran parte del mondo, fanno tremare queste mura
dalle fondamenta come e più di un terremoto, ma le azioni
messe in atto per adesso stanno mantenendo le discussioni
entro limiti circoscritti ed accettabili.
Molti network televisivi, già da ieri sera, stanno
trasmettendo documentari che dimostrano l'esistenza storica
di Nostro Signore Gesù Cristo. Tra ieri e oggi si susseguono
dibattiti televisivi in cui storici laici, anche non credenti, per
lo più italiani, francesi e tedeschi avallano la tesi
dell'esistenza portando a testimonianza prove inconfutabili e
ridicolizzando la posizione dell’inesistenza.
Cosa molto importante, siamo riusciti a orientare le
discussioni sulla questione dell’esistenza di Nostro Signore
deviandole il più possibile dall’ipotesi dell’assassinio del
Santo Padre e dai sospetti di possibili responsabilità della
Santa Sede. Moltissimi storici anche laici e non credenti sono
comunque dalla nostra parte. In ogni caso la questione
dell’esistenza di Nostro Signore è un argomento così
complesso che consentirà ai nostri oppositori di consumare
tutte le loro energie nel tentativo di dimostrarne l’inesistenza.
Alla fine la questione diventerà oziosa, noiosa e si spegnerà”.
-“Ottimo lavoro, caro Ranghetti. Questa volta Apertura
Inglese: Pedone in ‘c4’”.
73
Gaetano Tufano
-“Un’altra buona notizia è che siamo riusciti a bloccare la
diretta televisiva in quasi tutti i paesi dell’America Latina,
prima che il discorso di frate Rosario raggiungesse argomenti
troppo compromettenti, dunque da quell’area ci dovremo
aspettare minori reazioni, la stragrande maggioranza
dell’opinione pubblica è stata preservata. Pedone in ‘c5’”.
-“Caro Ranghetti, Lei avrebbe dovuto ascoltarmi quando le
ho detto che occorreva porre immediatamente fine al discorso
del nostro buon Rosario. Cavallo in ‘f3’.
-“In tutta onestà non pensavo sarebbe giunto fino a quel
punto. In uno dei momenti cruciali gli avevo toccato una
spalla, mi aveva risposto con un sorriso rassicurante, mi ero
fidato. Non lo ritenevo capace di tanto. Cavallo in ‘f6’”.
-“Tutti ci siamo sbagliati. Cavallo in ‘c3’”.
-“Mi sento comunque in difetto, Lei me lo aveva affidato. Io
avrei potuto impedire tutto questo. Mi sento responsabile per
la sua morte. Pedone in ‘d5’”.
-“Non ci pensi. Tutti sbagliano. Nelle nostre delicate
posizioni gli errori hanno spesso pesanti conseguenze, non
dobbiamo farci coinvolgere troppo, mio caro Ranghetti,
altrimenti noi stessi ne siamo travolti. Se così dovesse
accadere sarebbe finita, non solo per noi stessi, ma anche per
ciò che noi rappresentiamo. In questi momenti bisogna
rimanere saldi nella propria posizione e non lasciarsi
trasportare dalla corrente. Mi prenderò il Suo Pedone in ‘d5’,
con il Suo permesso”.
74
La verità è una bugia
-“Lei va subito al dunque, come sempre, ebbene ecco Cavallo
in ‘d5’ e riprendo il mio pedone”.
-“Del resto, Rosario stesso ha ricordato quanto hanno dovuto
fare i nostri predecessori, nei secoli e nei millenni, per usare
le stesse sue parole, per la salvaguardia della nostra Chiesa.
Dunque era consapevole dei pesanti oneri di cui ci si fa carico
quando si è a capo di una qualsivoglia organizzazione. Oneri
tanto più pesanti quanto più grande e importante è
l’organizzazione. Sappiamo tutti che occorre un enorme senso
di responsabilità, e occorre a volte sacrificare se stessi e
l'interesse dei singoli, per perseguire fini superiori. La Chiesa
è una delle organizzazioni terrene più longeve in assoluto e
tra le più importanti. Non so quale altra organizzazione sia
durata per oltre duemila anni. Non tutti sono in grado di
sopportare l’enorme responsabilità che ne deriva. Pedone in
‘e4’”.
-“E’ così, mio caro Bonanno. Il fine superiore è di gran lunga
più importante del destino dei singoli. Probabilmente
saremmo ancora nelle caverne se l’essere umano non avesse
abbracciato questo semplice principio. Il nostro buon frate
Rosario non l’aveva capito. Cavallo in b4’”.
-“Frate Rosario era un puro e i puri possono essere molto
pericolosi, vanno utilizzati con grande attenzione. Molti puri
nella storia hanno fatto grandi cose, pensi a Gandhi, tanto per
citarne uno. Lui però era consapevole dei suoi limiti. Sapeva
che il suo potere gli derivava dalla sua straordinaria coerenza.
Sapeva che se avesse accettato posizioni di potere avrebbe
dovuto scendere a compromessi con la sua coscienza, per
75
Gaetano Tufano
seguire ‘I Fini Superiori’ perdendo così la sua intima
coerenza, fonte di ogni suo carismatico potere. Nella vita
occorre fare delle scelte, mio caro Ranghetti. Gandhi non era
né uno stupido né un ingenuo. Il nostro Rosario ha peccato di
grande ingenuità o di poca intelligenza. Non posso dire. Non
ho potuto conoscerlo così bene. Alfiere bianco in ‘c4’”.
-“Condivido la Sua analisi. Il suo pensiero è tranchant come
questa Sua mossa. La mia risposta è Pedone in 'e6', caro
Bonanno'".
-"Ottima risposta, carissimo. Tornando a noi, direi che,
comunque sia andata, è stato un vero peccato aver perduto un
uomo del valore di Rosario. Nella sua precedente posizione
aveva reso grandi servigi alla Chiesa. Sapeva farsi amare, la
sua opera è stata molto apprezzata e ha guadagnato moltissimi
nuovi fedeli e innumerevoli consensi anche tra laici e tra i
nostri consueti oppositori. Ce ne vorrebbero di più di uomini
così. Ora devo arroccare”.
-"La domanda che mi pongo è: dove sperava di poter
arrivare? Non è in alcun modo pensabile di sovvertire un
ordine durato duemila anni con una esternazione di un'ora o
poco più. La storia ha una sua complessa dinamica, le
innovazioni prima di portare i frutti sperati, vanno digerite,
metabolizzate devono diventare parte di noi stessi. Occorrono
centinaia di anni affinché un'idea diventi patrimonio di tutti.
Cavallo da ‘b8’ a ‘c6'“.
-"Lei ha fatto una mossa impegnativa, caro Ranghetti, poco
prudente, direi. E noi dobbiamo essere molto prudenti ora.
76
La verità è una bugia
Ogni nostra azione deve ora essere guidata da mano sicura e
consapevole. Perché io temo che in realtà il nostro Rosario sia
riuscito a gettare il seme che genererà la nostra fine, certo non
immediata, ma temo che abbia dato inizio ad un processo
inarrestabile, che possiamo solo cercare di procrastinare il più
possibile. Grazie alle azioni poste già in atto e ad altre che
attueremo a mano a mano che si presenterà il caso, non vi
saranno gravi conseguenze nell'immediato, come Lei dice,
caro Ranghetti, occorreranno centinaia di anni, ma temo
proprio che questo evento abbia segnato l'inizio dell'era della
decadenza della Chiesa. La mia mossa è Pedone in ‘d3'“.
-"Lei mi spaventa Caro Bonanno. Si spieghi meglio. Muovo il
Cavallo in ‘d4'“.
-"Le conviene stare più attento al gioco, caro Ranghetti,
altrimenti questa partita la perderà. Ha dovuto fare una mossa
forzata. Lei, mi perdoni, questa sera mi sembra un po'
distratto. Le prendo il suo Cavallo in ‘d4’ con il mio Cavallo
in ‘f3', se permette”.
-"Va bene. Ma, mi perdoni, io non so Lei come faccia a
rimanere così imperturbabile di fronte ad eventi di tale
portata. Ad ogni buon conto le rendo pane per focaccia e con
il mio Pedone in ‘c5’ mi prendo il Suo buon Cavallo in 'd4',
Caro Bonanno”.
-"Muoverò il Cavallo restante in 'e2', allora.
-"La mia risposta è Pedone in 'a6'“.
-"Risposta necessaria, caro Ranghetti. Ora porterò il mio
77
Gaetano Tufano
Cavallo in 'g3'“.
-"Per un attimo mi sono illuso che stesse scappando con quel
suo Cavallo. Svilupperò il mio Alfiere nero in 'd6'“.
-"Non si perda d'animo Lei è perfettamente all'altezza della
situazione. Muovo il Pedone in ‘f4'“.
-"Arrocco. Ma mi dica almeno una cosa, caro Bonanno, Lei
che ha una così vasta cultura, come giudica dal punto di vista
storico il discorso di frate Rosario, ci trova inesattezze,
errori?"
-"Mi costringe a riflettere. Le dirò, caro Ranghetti, i
riferimenti storici sono sufficientemente corretti, i numeri
riportati sono probabilmente esagerati in eccesso, ma questo è
irrilevante, le interpretazioni forse un po' frettolose e
grossolane, ma anch'esse sono sostanzialmente corrette.
Ovviamente non concordo nel modo più completo con le
conclusioni che Rosario ne ha tratto. E' il momento della
Regina, mio buon Ranghetti: Regina in 'f3'“.
-"Posso chiederle di esplicitare meglio il suo pensiero?
Intanto sposto leggermente il Re in ‘h8’”.
"Volentieri. Le farò qualche esempio. Pensi allo scontro tra il
cristianesimo e il paganesimo, Rosario se ne è lamentato.
Rosario, credo di aver capito, di questo scontro biasimasse
l’operato dei cristiani che professando una religione d’amore,
di perdono, di compassione avrebbero dovuto avere un
comportamento ‘cristiano’, mi perdoni il gioco di parole, nei
confronti dei loro nemici, consono al messaggio evangelico di
78
La verità è una bugia
fratellanza e di pace. Invece i primi cristiani, appena
poterono, ebbero un atteggiamento verso i pagani del tutto
simile a quello che i pagani stessi avevano appena finito di
riservare ai cristiani. Ed io capisco che questo possa
indignare, che possa deludere. Un animo così genuinamente
buono e puro come quello di Rosario ne rimane sicuramente
lacerato. Ma proviamo a considerare la cosa da un altro punto
di vista. Prima però mi lasci fare la mia mossa. Ecco,
muoverò il mio Alfiere nero in ‘d2’”.
-“Certo, capisco benissimo. Dal punto di vista teologico il
cristianesimo è sicuramente più profondo e più spirituale del
paganesimo di origine greca. Risponde molto meglio alle
esigenze etico religioso di un popolo di quanto possa fare il
paganesimo. Gli dei pagani con i loro tratti così umani hanno
ben poco di trascendente. Inoltre, se si considera il punto di
vista storico, devo ancora una volta darle ragione: frate
Rosario non ha voluto tenere in buon conto le differenze
storico socio culturale che, in uno scontro di civiltà come
quello avvenuto duemila anni fa, hanno pesantemente
condizionato e determinato l’agire politico. Culturalmente,
oggi, considerando il grado di sensibilità raggiunto, il Senso
Comune, per dirla con Gianbattista Vico, fortunatamente, non
approverebbe comportamenti come quelli tenuti dai
protocristiani. La mia mossa è Pedone in ‘f5’”.
-“Più o meno è come dice Lei caro Ranghetti. Io però non
volevo scomodare né il piano teologico, né quello storico.
Preferivo, molto più banalmente, fare qualche considerazione
sotto il profilo, diciamo così, sociale. Ma visto che ha
79
Gaetano Tufano
accennato ai piani teologici e storici tengo a farle notare, a
parziale rettifica di quanto da Lei sostenuto, che dal punto di
vista teologico se è pur vero, come Lei giustamente afferma,
che il cristianesimo è teologicamente più articolato rispetto al
paganesimo, il quale appare essere primitivo ed
eccessivamente ingenuo, è anche vero che il paganesimo,
essendo scomparso duemila anni fa, è rimasto qual era.
Mentre il cristianesimo, bisogna ammettere, ha potuto
beneficiare, in questi duemila anni, di numerosi
aggiornamenti dottrinali per opera di tutti i filosofi cristiani,
sopratutto San Tommaso d’Aquino, Sant’Agostino e tutti i
filosofi scolastici e patristici nell’antichità. Più vicino ai nostri
giorni beneficia continuamente dei vari Concili Ecumenici.
Questo va detto per onestà. Così come va anche osservato che
nonostante tali aggiornamenti la nostra confessione risente
ancora di posizioni eccessivamente prudenti che rischiano di
relegarci ad un ruolo di ostinati conservatori incapaci di
interpretare correttamente l’attualità. Pensi soltanto, a titolo di
esempio, al campo della Morale, ai tanti studi soprattutto di
filosofi del ventesimo e del ventunesimo secolo, che noi, pur
conoscendo benissimo, fingiamo di ignorare. Questo alla
lunga, temo, ci causerà qualche problema, mio caro
Ranghetti. Stavo pensando, a tal proposito, che potremmo
effettivamente in un prossimo Concilio cercare di far nostre e
rielaborare alcune di queste tesi, anche se, devo dire, per
alcune di esse (e penso a qualche filosofo tedesco) occorrerà
non poca fatica. Riguardo invece le differenze di Senso
Comune, tra periodi storici così lontani, certo Lei ha ragione è
senz’altro così, anche se ogni tanto anche oggi registriamo di
tanto in tanto episodi di intolleranza religiosa che fanno
80
La verità è una bugia
pensare che non siamo, culturalmente parlando, così distanti
da duemila anni fa, mio caro Ranghetti”.
-“Mio caro amico, Lei mi spaventa, io temo le rivoluzioni. Le
rivoluzioni sono portatrici di sangue e di morte”.
-“Le rivoluzioni possono essere evitate agendo per tempo”. A
proposito di tempo, ora mi tocca muovere altrimenti perderò
la partita proprio a causa del tempo. Non starà mica puntando
a questo con tutte le Sue domande?”
-“Lei ha scoperto la mia strategia, caro Bonanno, ma Lei mi
insegna che nel gioco degli scacchi la psicologia riveste
grande importanza. Comunque, poiché Lei mi ha scoperto,
non cercherò più di dissimulare le mie intenzioni e
apertamente cercherò di distrarLa. Lei, ha lasciato non
chiarita la Sua posizione sul punto di vista che Lei stesso ha
chiamato ‘Sociale’. Potrebbe essere così cortese da distrarsi
dal gioco quel tanto che basta per illustrare al Suo povero
amico che cosa intendeva esattamente?”
-“Certamente. Come Lei sa benissimo, caro Ranghetti, il più
grosso innegabile merito del protocristianesimo, rispetto al
paganesimo, fu proprio la sua funzione sociale. Il
cristianesimo predicava la bontà, la carità, la solidarietà,
inoltre tendeva ad eliminare la differenza tra le classi sociali. I
cristiani predicavano l’amore per il prossimo e attraverso le
elemosine e la carità, in qualche modo, prendevano dai ricchi
per aiutare poveri. Era una religione salvifica per l’intera
l'umanità, ma innanzitutto per i poveri e i diseredati. Portava
con sé un grande tema di giustizia sociale. Il paganesimo per
81
Gaetano Tufano
contro era una religione aristocratica fatta per l'aristocrazia,
molto spesso prevedeva riti iniziatici riservati a pochi. Pensi
quale sarebbe stato il mondo occidentale se ancora oggi, pur
con duemila anni di rivisitazioni, il paganesimo fosse la
nostra religione. Torre colonna 'a' in 'e1'“.
-"Assolutamente vero, parole sante caro Bonanno. Questo è
innegabile. A questa stregua un’altra grossa ingenuità di frate
Rosario secondo me riguarda il suo giudizio sugli albigesi. E’
pur vero secondo me che i massacri di Marmande e di Beziers
occorreva cercare in tutti i modi di evitarli, bisognava
piuttosto fare operazioni di tipo chirurgico, ma a volte può
accadere che la situazione sfugga di mano, altre volte può
capitare che sotto l’impeto della forza della ragione ci si lasci
prendere la mano. In ogni caso è sicuro che qualcosa fosse
necessario fare per ricondurre i càtari sulla retta via. Il
catarismo, a mio avviso, è stato una delle peggiori eresie che
il cristianesimo abbia conosciuto. Una religione e una
filosofia veramente pericolose per l’umanità. I càtari di fatto
rifiutavano la vita. Concediamo che si possa essere a favore
della più assoluta povertà, concediamo che si possa rifiutare
qualsiasi cibo di provenienza animale, ma la castità per
esempio non può diventare un valore universale, si porrebbe
fine all’umanità intera. Ricordiamoci che la perfezione per i
càtari consisteva nell’endura, una forma estrema di negazione
di sé stessi e di separazione dal mondo materiale, che
consisteva in un digiuno totale di cibo e acqua, fino lasciarsi
morire. Cavallo in ‘c6’”.
-“E’ un po’ che non mi parla di Suo fratello, caro Ranghetti,
82
La verità è una bugia
come sta? Come va la sua missione in Brasile? Torre in ‘e2’”.
-“Sta bene, sta bene, la pecora nera della famiglia. Si
ricorderà che l’anno scorso si è fatto mordere da una
Phoneutria nigriventer, il cosiddetto ragno delle banane. Se
l’era vista brutta, ma per fortuna non ne ha avuto
conseguenze. Che cosa vuole Le dica? E’ un idealista anche
lui. Io cerco sempre di aiutarlo come posso, sia
economicamente sia cercando di appoggiare i suoi progetti,
lui però non è mai contento, sembra sempre che si faccia
troppo poco. Non che si lamenti con me, anzi lui non si
lamenta mai, ma io lo conosco, leggo tra le rughe della sua
fronte corrugata i suoi pregiudizi su di me. Credo che non mi
perdoni il fatto di non essere lì con lui. Non vuole rendersi
conto che se non ci fossero persone come me, qui a occuparsi
del governo della Chiesa, lui e tutti quelli come lui, non
potrebbero essere in giro per il mondo a fare i missionari.
Non si rende conto che a volte essere in certe posizioni
significa prendere decisioni che non vorresti mai dover
prendere. Non cambierà mai. Anche quando eravamo
bambini, lui si divertiva a fare il testardo, il capriccioso,
l’irresponsabile mentre io dovevo invece fargli da fratello
maggiore, aiutarlo, sostenerlo. Ora muoverò la Regina in 'c7',
caro Bonanno”.
-"Lo sapevo, caro Ranghetti, Lei, quando parla di Suo
fratello, si agita e commette errori, ecco qua Le prenderò il
Pedone in ‘f5’, ho anch’io le mie strategie”.
-"Ho visto. Lei è un demonio, caro Bonanno, allora non mi
farò scrupolo di chiederle di chiarirmi perché ritiene che frate
83
Gaetano Tufano
Rosario abbia innescato l'inizio della decadenza della nostra
amata Santa Chiesa. Bene, sono dunque costretto a prendere il
Suo Pedone in ‘f5’”.
-"Innanzitutto penso che un atto così clamoroso come quello
di un Papa che dichiara, Urbi et Orbi, che Nostro Signore
Gesù Cristo non è mai esistito e che i Vangeli sono dei
racconti artistici a sfondo religioso, non riusciremo mai ad
occultarlo completamente. Se fossimo stati in epoche in cui la
comunicazione era lenta e si fermava agli strati più colti della
società civile sarebbe stato un gioco controllarla. Oggi la
televisione e Internet diffondono capillarmente le
informazioni, inoltre, chiunque incuriosito dalle dichiarazioni
può fare ricerche e arrivare ben presto alle conclusioni. È
dunque solo questione di tempo, l'informazione si tramuterà
lentamente in consapevolezza, la consapevolezza consentirà il
coraggio di affrontare la verità, e una volta raggiunta la verità
tutti vedranno che 'Il re è nudo', come si suole dire. Il resto lo
aggiunga Lei mio caro Ranghetti. Dunque ecco la mia grande
mossa: Cavallo in ‘h1’”.
-"Notevole la Sua mossa, eccentrica e misteriosa! Noi però
possiamo fare un nuovo piano di contro informazione e
perfezionare quello già in atto. Ci verranno in mente altre
idee, siamo solo agli inizi. Risponderò con Alfiere bianco in
‘d7’”.
-“Le dirò che qualcosa ho già in mente. Questa mattina mi
sono svegliato prestissimo, ho riletto il discorso di Rosario e
ho fatto qualche correzione qui e là. Ho lasciato così com’è
tutta la parte degli errori commessi dalla Chiesa, perché sono
84
La verità è una bugia
stati già metabolizzati nei secoli, non fanno più sensazione.
Ho ‘alleggerito’ le posizioni di Rosario circa il primato della
Ragione sulla Fede e ho fatto correzioni qui e là quando si
parla dell’inesistenza di Gesù Cristo e delle incongruenze dei
Vangeli. A volte basta sostituire una parola con una che le
assomiglia ma che ha diverso significato, altre volte basta
aggiungere una negazione davanti ad una frase per invertirne
il significato. Infine ho modificato anche la parte in cui
Rosario fa le sue considerazioni e trae le sue conclusioni, in
questa parte purtroppo ho dovuto operare un po’ più
pesantemente. Alcune parti, non riuscendo a ‘convertirle’, ho
dovuto eliminarle. Ho qui una bozza del discorso modificato,
Le chiederei di leggerla con attenzione e di dirmi cosa ne
pensa. Lei è molto abile con le parole, potrebbe darmi una
mano, io credo che sia un’operazione possibile. Cavallo in
‘f2’”.
-“Questa sera per la seconda volta devo dirle che Lei è un
demonio caro Bonanno. Darò volentieri un occhio alla Sua
bozza e domani Le farò avere una mia versione. Ma anche se
saremo così bravi da limitare al massimo le modifiche, c’è la
registrazione fatta dalla televisione, dalla radio, come pensa
che riusciremo a far passare il fatto che sono diverse? Torre
colonna ‘a’ in ‘e8’”.
-“Certo, non possiamo sperare tanto. Dunque, in primo luogo
ci limiteremo a dichiarare che questo è il documento originale
del discorso, che era stato condiviso con il Consiglio dei
Cardinali e cercheremo di evitare qualsiasi commento.
Dopodiché ognuno penserà ciò che meglio crede. Secondo me
85
Gaetano Tufano
una buona parte confiderà comunque nella assoluta onestà
della Santa Chiesa e darà credito a questa versione, in tal
modo recupereremo facilmente molta parte di opinione
pubblica. Per quanto riguarda i nostri oppositori,
semplicemente avranno una freccia in più nella loro faretra.
Loro non mi preoccupano, più perduti di così non possono
diventare. Anzi, se esagereranno con le accuse contro la Santa
Chiesa, ad un certo punto il loro fazioso livore infastidirà
l’opinione pubblica consentendoci di recuperarne un’altra
parte. La mia mossa è Torre colonna ‘f’ in ‘e1’”.
-“Lei caro Bonanno è un genio politico. Molti stati
vorrebbero averLa al loro servizio. Dunque con questa Sua
mossa dovremmo riuscire a neutralizzare definitivamente gli
effetti del discorso di frate Rosario. Pensa che con questo
riusciremo a scongiurare anche che il processo di decadenza
della Santa Chiesa, cui Lei ha accennato, abbia inizio? Con la
mia Torre colonna ‘e’ Le prenderò la Sua Torre in ‘e2’”.
-“Questo, temo non sia possibile. Lo rallenterà, ma questa del
nostro buon Rosario è una verità che, temo, metterà radici
profondi e alla lunga si affermerà. Del resto sulla Terra nulla
è eterno, anche la nostra Santa Chiesa prima o poi dovrà
cessare di esistere. E’ comunque solo una questione di tempo.
Diciamo che ciò che mi dispiace è che tale processo di
decadenza debba iniziare proprio in mano nostra. Come Le
dicevo prima, se fossimo stati in altre epoche saremmo
sicuramente riusciti a controllarne e limitarne gli effetti, come
del resto vi sono riusciti tanti nostri predecessori di fronte a
questioni anche più gravi di quella che noi ci troviamo ad
86
La verità è una bugia
affrontare, ma oggi l’informazione è troppo capillare e troppo
veloce. C’è un’altra cosa molto importante che dobbiamo fare
e che consentirà di rallentare molto tale processo: mandare al
Soglio Pontificio la persona giusta che non commetta altri
errori, caro Ranghetti. Ricambio prendendomi la Sua Torre in
‘e2’ con la mia”.
-“Se è questo che desidera, posso facilmente operare affinché
Lei venga eletto, caro Bonanno, sarei ben felice che Lei fosse
il nuovo Papa. Cavallo in ‘d8’”.
-“No. Lei deve essere il nuovo Papa, mio caro Ranghetti.
Cavallo in ‘h3’”.
-“Sono spacciato! Mi scusi, mi riferivo alla partita. E’ sicuro
di quello che dice? Io Papa? Alfiere bianco in ‘c6’”.
-“Chi meglio di Lei, Sua Santità? Regina in ‘h5’”.
-“Obbedisco Sua Eminenza. Pedone in ‘g6’”.
I cardinali proseguirono la partita in perfetto silenzio,
ripensando ognuno da un lato agli eventi, alle decisioni prese
e alle azioni da porre in atto, dall’altro lato alla partita. Alla
quarantaseiesima mossa il cardinale Achille Ranghetti dovette
abbandonare.
87
Gaetano Tufano
Fortunato Carrolo
Nella calda sera di inizio maggio il tramonto scendeva
su Roma, il colonnato di piazza San Pietro si colorava di luci
calde. Una settimana era trascorsa dalla morte di Pietro II. Un
uomo percorreva l'ampia piazza d'Oltretevere in direzione di
via della Conciliazione. Era alto, indossava un elegante
completo blu, i capelli completamente bianchi, lo sguardo
severo e pensieroso. Poteva avere sulla sessantina. Era
Fortunato Carrolo, fratello di Rosario. Fortunato era docente
di Filosofia e di Storia, insegnava in un liceo del capoluogo
molisano, aveva scritto un manuale di Storia per i licei e si era
procurata una discreta notorietà negli ambienti accademici.
Era venuto a Roma la settimana precedente per assistere al
88
La verità è una bugia
primo Angelus di suo fratello. Aveva praticamente vissuto in
diretta l'assassinio di suo fratello sebbene anche lui, come
quasi tutta la folla presente in Piazza San Pietro, non avesse
compreso quanto realmente accaduto. Aveva appreso del
malore e della morte di Rosario la sera, nella sua camera di
albergo, dal telegiornale. Fortunato era uomo schivo, come
suo padre, riservato e di poche parole. Era venuto a Roma
senza dire nulla a suo fratello perché, da un lato non voleva
essere in alcun modo di peso, dall'altro lato voleva
compiacersi dello spettacolo del suo immenso fratello che dal
soglio di Pietro parlava ad una immensa folla, come semplice
spettatore, confuso tra la gente. Era rimasto esterrefatto nel
sentire il Santo Padre, suo fratello, accusare la Chiesa di tanti
crimini, anteporre la ragione alla fede ed infine proclamare
l'inesistenza storica di Cristo. Ma aveva continuato ad
ascoltarlo e a guardarlo con crescente orgoglio. Orgoglio di
fratello, ma anche orgoglio di studioso di storia e di filosofia
che riconosceva in suo fratello l’onestà intellettuale e l’amore
per la verità. Valori che, a ben vedere, gli aveva sempre
riconosciuto, banalmente aveva temuto che, nel suo nuovo
compito di guida della Santa Chiesa, si fosse trovato nella
condizione di doverli far precedere da altri valori quali la
Ragion di Stato, il Fine Superiore.
Fortunato, il giorno successivo alla morte di Rosario, si
era recato in Vaticano e aveva chiesto udienza al Cardinale
Camerlengo. Finalmente oggi, dopo una settimana, gli era
stata concessa. Era arrivato puntualissimo e dopo la consueta
attesa incontrò il cardinale Bonanno. Il nostro professore non
sapeva cosa attendersi, da questo incontro. Voleva capire cosa
89
Gaetano Tufano
fosse accaduto esattamente a suo fratello, ne aveva il diritto.
Le voci sui giornali, sulle reti televisive e in Internet erano le
più disparate. Fortunato si era reso immediatamente conto che
la vulgata del malore era in realtà insostenibile, ma lui stesso
non riusciva a concepire che si fosse arrivati al punto di
assassinare il Papa. Il colloquio con il Cardinale Camerlengo
fu più deludente di quanto potesse aspettarsi. Bonanno fu
molto distaccato e sbrigativo, persino poco comprensivo per il
dolore per la perdita di un fratello. Il porporato tenne una
rigida impostazione istituzionale, confermando l’ipotesi del
malore e, solo sotto le ripetute insistenze di Fortunato che si
dichiarava incredulo, ammise sotto voce e guardandosi
intorno, che per il momento non poteva dire altro. Lo
congedò facendo appello alla sua gentilezza, affinché potesse
perdonarlo per il poco tempo che i suoi numerosi impegni gli
avevano permesso di dedicargli, e pregandolo di fargli
nuovamente visita.
Il professore lasciò lo studio afflitto e sdegnato. Sentiva
pesare su di sé tutta l’ingiustizia di cui era stato vittima
Rosario. Raggiunse sovrappensiero il suo piccolo albergo non
lontano dalla Città del Vaticano, salì in camera senza cenare,
accese il suo computer e cominciò a navigare sulla Rete in
cerca di informazioni. Scandagliava siti su siti, il primo
obiettivo che si era dato era raccogliere e catalogare tutte le
differenti plausibili ipotesi. Successivamente, per ognuno di
essa, avrebbe vagliato prove e testimonianze. Un approccio
sistematico era assolutamente necessario e doveroso.
Sicuramente occorreva scongiurare il rischio di orientare i
risultati a causa del suo coinvolgimento affettivo. Inoltre,
90
La verità è una bugia
vista la sua opinione di studioso, che non gli consentiva
giudizi lusinghieri nei confronti dell’operato della Chiesa nel
corso della Storia, non voleva rischiare di formarsi giudizi ex
ante, preconcetti, perché sarebbero stati sicuramente del tutto
favorevoli alle tesi accusatorie. Da storico qual era, Fortunato,
conosceva gli equilibri sui quali si reggeva la Santa Sede, e
considerava le dinamiche dei suoi meccanismi unicamente al
servizio della funzione di pacificazione sociale, la cui utilità,
come è noto, in fin dei conti fa comodo a tutti.
Per fortuna, avendo una certa familiarità con gli
strumenti informatici, riusciva ad essere molto veloce nella
catalogazione delle diverse opinioni e delle diverse fonti.
Come secondo obiettivo si era posto, una volta catalogate
tutte le differenti posizioni, di vagliarle e verificarle ad una ad
una, soprattutto mediante l’analisi e l’attendibilità delle fonti.
Dovette però subito rendersi conto che si trovava di fronte a
un lavoro immane, in pochi giorni nel Mare Magnum di
Internet era comparsa una sconfinata letteratura
sull’argomento. Nel giro di pochissimo tempo erano già stati
pubblicati libri che promettevano tutta la verità sulla morte
del Santo Padre. Libri che, partendo da assunti diversi e
percorrendo strade parallele, approdavano a differenti
conclusioni.
Fortunato non si scoraggiava. Si era ripromesso di
ritornare dal cardinale Bonanno preparato e documentato.
Passavano i giorni. In capo a due settimane di febbrile lavoro
aveva identificato e catalogato tre o quattro principali
interpretazioni dei fatti considerate attendibili, ognuna delle
91
Gaetano Tufano
quali aveva, però, numerose varianti che a loro volta potevano
ancora essere suddivise in sottovarianti. Si ritrovava così ad
aver catalogato un centinaio di possibili cronistorie. Troppe
per vagliarle tutte dettagliatamente. Decise quindi di tagliare
rami di poca importanza che introducevano piccole ininfluenti
varianti nell’economia degli avvenimenti. Il lavoro si
alleggeriva, ma restava comunque alquanto oneroso. Un altro
fatto fu subito evidente: ogni giorno sui vari media nuovi
elementi venivano aggiunti, molto spesso marginali, ma ogni
tanto ve n’era qualcuno particolarmente rilevante che
costringeva ad andare a ritroso e a riconsiderare in modo
diverso precedenti interpretazioni. Era la guerra a bassa
tensione che informazione e controinformazione si fanno
quotidianamente su qualsiasi argomento. La verità di
conseguenza sembra fluttuare su un Oceanum Procellarum.
Ora portata in alto su spumeggianti flutti, ora soffocata sotto
decine di metri di pesante e turbolenta acqua, ora risucchiata
verso gli abissi per ritornare poi traballante in cresta ad
un’onda proveniente da lontano. Ma lo spettatore la perde
continuamente di vista, spesso la confonde. I più si arrendono
e la dichiarano morta, pochi sono in grado di seguirla
ovunque. Infine, quando la tempesta si placa, se non è morta,
a volte, ma non sempre, la verità viene a galla, ma oramai è
senza forze, è diventata inutile, non serve più allo scopo, ha
solo valenza storica.
Il professore queste cose le sapeva bene. Lavorava contro
il tempo, per salvare la verità. Per mantenere in vita l’operato
di tutta una vita di suo fratello Rosario. Soprattutto il suo
ultimo grande e coraggioso atto. Per evitare che fosse
92
La verità è una bugia
vanificato e consegnato alla Storia miscelato all’interno di un
indistinguibile magma di possibili e plausibili ipotesi, in cui
la verità viene infine fagocitata, triturata ed eguagliata alle
bugie.
93
Gaetano Tufano
Habemus Papam
Nel frattempo il nuovo conclave era stato riunito e il
cardinale protodiacono Guillaume Dumoulin dalla loggia
centrale della Basilica di San Pietro in Vaticano proclamò il
nuovo Papa secondo l’antica formula:
«Annuntio vobis gaudium magnum:
Habemus Papam!
Eminentissimum ac reverendissimum Dominum
Dominum Achilles,
Sanctæ Romanæ Ecclesiæ Cardinalem Ranghetti,
Qui sibi nomen imposuit Leonis XIV.»
Il nuovo Pontefice nella sua benedizione Urbi et Orbi,
non fece alcun cenno agli accadimenti delle ultime settimane.
94
La verità è una bugia
Si limitò a ricordare con dolore la prematura scomparsa
dell’amatissimo Santo Padre suo predecessore, di cui si
dichiarò non degno successore. Annunciò speranza di pace
per tutti i fedeli e promise un nuovo Concilio Ecumenico nel
quale la Chiesa avrebbe riaffermato i suoi saldi principi
cristiani. Piazza San Pietro rispose unanimemente rincuorata,
bisognosa di Fede e di Speranza. Il cardinale Bonanno non
era presente alla cerimonia. Si era dovuto assentare per un
importante impegno. Fortunato, solo in fondo alla piazza, non
applaudiva. Non attese la fine della benedizione, lasciò la
piazza e si diresse con la sua auto verso nord, sentiva la
necessità di allontanarsi dalla folla. Al primo semaforo gli si
affiancò un'auto scura, senza insegne, senza scorta, ma era
chiaramente un'auto di rappresentanza, con autista. Guardò
dentro per curiosità e gli parve di riconoscere una figura nota.
Decise di seguire l'auto. Si diressero verso est, costeggiarono
Villa Borghese, infilarono Corso d'Italia e infine girarono a
destra per viale Pretoriano.
Erano arrivati al cimitero del Verano. L'auto scura
entrò all'interno del cimitero. Il professore dovette
frettolosamente parcheggiare fuori ed entrare a piedi. Da
lontano scorse la figura del cardinale Bonanno in abiti civili
che si incamminava all'interno del cimitero accompagnato da
un prelato, probabilmente il suo segretario personale.
Fortunato si teneva a distanza. Dopo qualche minuto
arrivarono presso una tomba molto vecchia, ma molto curata,
fresca di fiori, la foto era di una giovane ragazza. Era
Lucrezia. Il Cardinale si raccolse in silenzio, con il capo
chino, mentre il segretario addobbava di nuovi fiori la tomba,
95
Gaetano Tufano
la ripuliva di quelli vecchi, accendeva lumini e rassettava.
Bonanno rimase fermo nella stessa posizione per un buon
quarto d'ora, mentre il nostro professore si teneva a rispettosa
distanza. Al termine delle preghiere il Cardinale, si
inginocchiò, diede un leggero bacio sulla punta delle dita e
sfiorò appena la foto di Lucrezia. Subito dopo Bonanno si
alzò, spolverò i pantaloni all’altezza delle ginocchia e
s'incamminò con gli occhi bassi verso l'uscita. Nei pressi del
termine del vialetto che immetteva sul viale principale,
Bonanno notò la figura di un uomo che gli chiudeva la strada,
si fermò, alzò gli occhi e incontrò lo sguardo severo di
Fortunato.
-"Buon giorno, Sua Eminenza”.
-"Buon giorno professor Carrolo. Grazie per la Sua
discrezione, deve sapere che oggi è l’anniversario della morte
di mia madre. Come mai da queste parti? Suo fratello non è
qui”.
-"L'ho seguita Sua Eminenza”.
-"Eccomi. Sono qui, mi dica”.
-"Voi avete ucciso mio fratello".
Bonanno rimase in silenzio, senza minimamente
scomporsi per qualche istante, poi fissò sommessamente negli
occhi il suo interlocutore, lo affiancò e gli fece cenno di
camminare insieme verso l’uscita, poi con voce bassa e
facendo pausa quasi ad ogni parola, disse”.
-"Lei dovrebbe sapere che a volte vittima e carnefice sono
una cosa sola e che, senza l'uno, non vi sarebbe l'altro”.
96
La verità è una bugia
-"La prego Sua Eminenza, neppure il Suo Dio La lascerebbe
nascondere dietro la tesi della «coincidentia oppositorum».
-"Che cosa L'ha condotta fino a me, caro professore?"
-"La verità era ben nascosta tra mille bugie, ma ho avuto
tempo, metodo e un pizzico di fortuna e alla fine sono
arrivato da qualcuno che ha potuto confermare le mie
congetture”.
-"Le posso chiedere di chi si tratta, caro professore?"
-"Di Lei, Sua Eminenza, qui ed ora. Come avete potuto?"
-"Suo fratello, caro professore, si era messo nel posto
sbagliato. Il posto di Suo fratello erano le missioni nel terzo
mondo, è laggiù che la Chiesa di Roma ha bisogno di uomini
come lui. Noi abbiamo sbagliato a non capirlo, ma anche Suo
fratello aveva fatto male i suoi calcoli, finendo per mettersi,
lui stesso, esattamente sulla traiettoria del proiettile. Lei,
questo, non può essere così ingenuo da non comprenderlo. I
proiettili esistono, caro professore, ed è loro intrinseca natura
avere delle traiettorie. E’ buona norma conoscere le traiettorie
dei proiettili”.
-"La Chiesa che immaginava Rosario, non contemplava
proiettili. La Chiesa di Rosario era fatta solo di amore e di
compassione”.
-"Rosario, come già abbiamo avuto modo di costatare, era un
cristiano della razza più pura, ma la Chiesa ha la
responsabilità di oltre un miliardo di credenti, che confidano
nella sua alta missione, nel suo aiuto materiale, morale e
97
Gaetano Tufano
spirituale e non può permettersi tentennamenti. La Chiesa di
Pietro è edificata con la pietra, è pertanto anche soggetta a
leggi terrene, mio caro professore”.
-“La Pietra, per usare la Sua espressione, deve essere
assoggettata al bene del singolo e dell’umanità tutta e non
viceversa, Eminenza”.
-“A volte il singolo deve sacrificarsi o essere sacrificato per il
bene dell’umanità”.
-“Non so se il Gesù Cristo predicato dalla Chiesa avrebbe
approvato questo punto di vista. A proposito, Eminenza, mio
fratello aveva regione quando ha parlato dell’inesistenza
storica della figura di Cristo, non è vero?”
-“Mio caro professore, Lei mi insegna che tutte le verità
storiche sono passibili di dubbi e di interpretazioni. Il mio
rammarico è di non essermi accorto dei dubbi che stavano
nascendo e crescendo in Suo fratello. Se avessi potuto
parlargli prima che arrivasse a quelle terribili conclusioni,
sono certo, avremmo chiarito insieme i ogni dubbio in
materia”.
-“Eminenza, come può fondare tutta la Sua opera, che
coincide con l’opera stessa della Santa Chiesa, su tali pochi e
dubitabili elementi storici riguardo alla figura del fondatore
stesso della Sua Confessione? Come può accettare che il Suo
stesso destino e quello di oltre un miliardo di vostri proseliti
si basi su una così traballante ermeneutica dei testi sacri?”
-“Caro professore, come tutti su questa terra, anche noi
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La verità è una bugia
operiamo su postulati. Il nostro postulato è la Fede. Anche
Lei deve pur basare le Sue azioni su qualche assunto”.
-“Certamente. Cerco però di rimanere aperto al nuovo. Il mio
postulato è in movimento, e dipende dai risultati della ricerca.
La ricerca della verità è il mio dogma, questo è il mio unico
punto fermo. Tutto il resto ne consegue”.
-“Capisco. Che cosa intende fare ora, caro professore?”
-“Continuerò l’opera iniziata da mio fratello. Sto
completando la raccolta delle testimonianze, porterò tutto alla
luce, dovrà essere chiaro a tutti qual è il modo di procedere
della Santa Chiesa. Inoltre, per la massima trasparenza, Le
confesserò, Sua Eminenza, che porterò a compimento anche
gli studi sul protocristianesimo iniziati da Rosario. Ho
intenzione di dimostrare scientificamente le affermazioni fatte
dal Santo Padre durante il famoso Angelus. Da parte vostra,
invece, Eminenza, cosa ne sarà della memoria di mio
fratello?”
-“Stiamo preparando la versione ufficiale del discorso di
Pietro II, a breve sarà resa pubblica. Il Santo Padre Pietro II
non ha lasciato disposizioni sul luogo preferito di sepoltura,
Egli sarà tumulato, come vuole la tradizione, nelle grotte del
Vaticano. Pietro II sarà consegnato alla storia come
duecentosessantaseiesimo Pontefice di Nostra Santa Romana
Chiesa Cattolica ed Apostolica, sfortunatamente morto per un
malore proprio al termine del suo primo Angelus. Pietro II è
da tutti ricordato per le sue opere missionarie, per la sua
grande carità cristiana. La sua opera è sempre stata
99
Gaetano Tufano
considerata emblema della missione del cristianesimo nel
mondo contemporaneo e il suo accorato ultimo discorso
conferma la genuina passione che lo ha sempre animato. Per
queste ragioni stiamo anche pensando ad una sua precoce
canonizzazione. Salvo che Lei non voglia con le Sue
rivelazioni mutare il corso degli eventi”.
Bonanno, si soffermò un attimo ad attendere una
eventuale reazione da parte del suo interlocutore. Fortunato
però rimase impassibile, si limitò a fissarlo negli occhi
cercando di evitare che i suoi pensieri, le sue intenzioni
fossero percepite. Il Cardinale, non ricevendo risposte, ne
approfittò per congedarsi.
“Carissimo professore, resterei ancora a lungo a
discorrere così amabilmente con Lei, ma purtroppo gli
impegni mi richiamano all’ordine: ho il mio primo
appuntamento con il nuovo eletto Papa. La prego di venirmi
ancora a trovare, caro professore, potremo approfondire gli
argomenti che a Lei più interessano e, se lo desidera, decidere
insieme i dettagli per la beatificazione e successivamente per
la canonizzazione di Pietro II”.
Fortunato si arrestò, alquanto confuso e senza parole.
Bonanno lo salutò con un rapido cenno del capo, si avviò
verso la sua auto e prese posto sui sedili posteriori. Fortunato,
riuscì soltanto a proferire un rauco: “Arrivederci, Sua
Eminenza”.
Rimase a guardare la grossa auto scura uscire dal
cimitero e infilarsi nel caotico traffico di Roma. Poi si sedette
100
La verità è una bugia
su una panchina a riflettere. Si sentiva frastornato. Non era
così che aveva immaginato il dialogo con il suo nemico. Non
era così che avrebbe dovuto essere. Si era lasciato confondere
dall’indubbio carisma di Bonanno. Riavutosi, fu preso dalla
curiosità di andare a vedere la tomba della madre del
Cardinale. Si avviò verso il punto in cui l’aveva visto pregare.
Quando fu sulla tomba si rese immediatamente conto che non
poteva trattarsi di sua madre ed esclamò a denti stretti:
“Dannato prete!”.
Intanto Bonanno, appena arrivato al palazzo apostolico, si
fece annunciare al Papa che lo ricevette subito.
-“Carissimo Bonanno, come sta? La stavo cercando”.
Bonanno si avvicinò al suo amico Ranghetti appellandolo
”Beatissimo Padre” e inchinandosi per baciargli l’Anello del
Pescatore, ma il Papa ritraendo la mano esclamò:
-“Suvvia Bonanno, La prego. Dov’è stato questa mattina,
perché non è venuto alla benedizione?"
-“Mi perdoni, ho avuto un incontro con il fratello di Rosario”.
-“Non mi aveva detto che lo avrebbe incontrato, come è
andata?
-“Bene, credo. Aveva intenzioni bellicose, ma penso di
avergli fornito qualche elemento di riflessione. Potrebbe
essere che debba incontrarlo nuovamente, La terrò
informato”.
-“Bene, bene, caro Bonanno. L’aspetto questa sera per cena e
101
Gaetano Tufano
poi per la nostra consueta partita a scacchi”.
-“Ci sarò, Santo Padre”.
102
La verità è una bugia
La verità è una bugia
Fortunato rientrò in albergo molto pensieroso. Per
quella sera preferì riposarsi e non pensare alle sue ricerche.
Decise di uscire per concedersi una buona cena al ristorante.
Fece una rapida doccia, si preparò e uscì a piedi in direzione
di Trastevere. Laggiù conosceva un ottimo ristorante dove
avrebbe potuto distrarsi con un buon piatto di spaghetti cacio
e pepe, dei carciofi in fricassea con un immancabile contorno
di cicoria, il tutto innaffiato da un fresco vino bianco di uva
Pecorino. Camminava lentamente, cercando di distrarsi
immergendosi nella vita di Trastevere, ma ogni tanto tornava
ad incupirsi al ricordo della conversazione avuta la mattina
con il cardinale Bonanno. Dopo circa quaranta minuti arrivò
in via Delle Fratte, nel piccolo ristorante fu accolto con la
103
Gaetano Tufano
solita calda cortesia romana. Il professore si sedette ad un
tavolo da cui poteva guardare la televisione. Ordinò a
memoria senza consultare il menù, poi cercò di guardare la
televisione, ma stava per iniziare uno di quei programmi
sportivi che commentano le partite di calcio della domenica e
a lui il calcio non era mai interessato. Dal piccolo zainetto che
portava con sé estrasse quindi il suo tablet e diede una rapida
scorsa ai titoli delle prime pagine dei maggiori quotidiani.
Oramai, a distanza di tre settimane dalla morte, più
nessun quotidiano parlava di Rosario. La bufera si era di fatto
placata. Certo le posizioni assunte dai media anticlericali,
erano state di decisa condanna. Le conclusioni erano state
perentorie e severe, papa Pietro II veniva dipinto come un
martire della verità. Il cosiddetto "Annuncio di Pietro II" era
stato definito atto di estremo coraggio da parte di un Papa
moderno e illuminato. Ovviamente la tesi del malore non
trovava nessun credito presso questi media, mentre, per
quanto riguardava le cause della morte, la tesi più accreditata
era quella dell'omicidio per mano di chi temeva gli enormi
contraccolpi derivanti dall'affermazione dei principi contenuti
nell'annuncio fatto da Pietro II. Contraccolpi che avrebbero
sicuramente destabilizzato dalle fondamenta tutte le nazioni
di religione cristiana cattolica, ma più in generale, anche
quelle di religione cristiano ortodosse e cristiano protestanti.
Ma come aveva previsto Bonanno: anche i media più
agguerriti contro la Chiesa, si rendevano conto che l'eccessiva
insistenza e il duro accanimento degli affondi giornalistici
potevano in realtà alla lunga causare un effetto boomerang.
104
La verità è una bugia
Il professore aveva raccolto oramai numerosissimi
elementi. Aveva in mente, una volta ordinato il tutto e aver
costruito il fil rouge, ovvero la tesi che avrebbe tenuto
assieme tutti gli elementi e fornito una solida interpretazione
alla vicenda, di pubblicare il tutto. Sicuramente un libro
firmato dal fratello di Pietro II, non legato peraltro ad
ambienti anticlericali e in nessun modo ad essi riconducibile,
sarebbe stato decisivo nell'orientare l'opinione pubblica anche
quella poco attenta. Inoltre, adesso, dopo il fortuito incontro
al Verano, avrebbe potuto aggiungere la determinante
conversazione avuta con il cardinale camerlengo Bonanno.
Una testimonianza di tutto rispetto, visto che il porporato
sicuramente avrebbe assunto anche la carica di Segretario di
Stato, diventando quindi, dopo il Papa, suo amico, il numero
due della Santa Sede. Certo non avrebbe potuto addurre prove
a suo favore sul contenuto del colloquio, si sarebbe trattato di
una parola contro l'altra, ma insomma, una testimonianza del
fratello dell'ex Papa, qualcosa avrebbe pur significato.
Fortunato, però, dopo questa conversazione continuava
a chiedersi cosa fosse più conveniente fare. Bonanno gli
aveva prospettato l'intenzione della Chiesa di voler
consegnare alla storia suo fratello come Papa e come Santo,
se avesse pubblicato la sua versione dei fatti, quali sarebbero
state le conseguenze? Sicuramente, e questo gliel'aveva fatto
ben capire Bonanno, non ci sarebbe stata nessuna
canonizzazione e magari sarebbe stato scomunicato, ricordato
come un traditore o chissà cos'altro. Il "dannato prete" con i
suoi toni concilianti, aveva di fatto proposto al nostro
professore un complicato dilemma. Da un lato Fortunato
105
Gaetano Tufano
sapeva che la verità era un'altra e che per questa verità suo
fratello era morto. D'altro canto si chiedeva che cosa potesse
davvero sperare di ottenere. L'annuncio della verità fatto da
suo fratello, nella posizione di Pontefice, aveva avuto una
risonanza infinitamente superiore a quella che lui poteva
sperare di ottenere pur lottando per anni, eppure già dopo
poche settimane la Chiesa era riuscita a disinnescare il grosso
delle conseguenze. Che cosa avrebbe ottenuto lui con le sue
rivelazioni? Non sarebbe magari riuscito soltanto a nuocere
alla memoria di suo fratello?
Si guardava intorno. Guardava gli avventori del
ristorante seduti ai vari tavoli: coppiette parlavano a bassa
voce e si sorridevano teneramente, gruppi di amici
commentavano le partite di calcio, il ristoratore passava
orgoglioso con una principesca portata di abbacchio allo
scottadito, la cameriera gli chiedeva giudizi sui carciofi
preparati in casa. Si rattristò. Che cos’era poi questa verità?
Qual era il suo valore? Perché inseguirla a tutti i costi? Perché
a tutti i costi cercare di affermarla? Contro la volontà di tutti,
contro l'evidente convenienza per tutti di una sana, comoda e
vantaggiosa menzogna rispetto ad una nuda, cruda e difficile
verità. Forse peccava di inutile e cinico eccesso di zelo. Forse
non vedeva ragioni che altri vedono e che permettono loro di
convivere serenamente con malcelati cumuli di menzogne.
Perché non riusciva a conformarsi alla moltitudine di fedeli
che acriticamente accettano gl’indubbi privilegi della fede?
Perché non poteva come tutti adagiarsi su docili correnti che
seguono percorsi di minor resistenza? Sarebbe stato molto più
semplice, per lui e per tutti. In fondo nessuno si aspettava
106
La verità è una bugia
alcunché da lui, anzi tutti, lui compreso, ne avrebbero giovato
se avesse deciso di non perseguire la verità a tutti i costi. E
tutto sommato sarebbe stato molto più semplice che
sobbarcarsi sicure fatiche e sicuri oneri senza alcuna evidente,
utile contropartita. Così come sarebbe stato molto più
semplice per suo fratello, una volta eletto Papa, dismettere
inutili velleità e concludere la sua vita nel pur nobile destino
di Pontefice della Santa Chiesa. Così come sarebbe stato più
semplice per Giordano Bruno abiurare, ed evitare anni di
prigione, di torture ed un'orrenda morte. Così come sarebbe
stato più semplice per Socrate accettare il piano di fuga
preparato dai suoi discepoli che lo avrebbe salvato
dall'ingiusta cicuta. Tutte queste domande, tutte queste
sacrosante istanze pur attentamente valutate e considerate non
trovavano però appiglio possibile in Fortunato. Scivolavano
sul piano inclinato della sua innata profonda propensione alla
ricerca della verità. La verità, l'alétheia greca collegata in
qualche modo al concetto di onestà, di sincerità e dunque al
carattere etico della verità. La verità come svelamento, (aléthos) della realtà, la necessità quindi di aderire alla realtà.
Oppure la verità come coerenza all'interno di un sistema.
Questi erano concetti di verità accettabili per Fortunato. Il
concetto di verità come convenienza, come pragmatica
valutazione delle conseguenze pratiche di un idea, erano
lontanissimi dai suoi modi di pensare. La verità, infine, per
Fortunato, in nessun modo poteva essere una bugia.
Chiuse il tablet, e cercò di seguire la televisione per
non pensare. Il programma sportivo era terminato, qualcuno
stava cambiando canale e si era soffermato su di un notiziario
107
Gaetano Tufano
televisivo che stava trasmettendo un servizio su una missione
di frati francescani appena istituita in una località sul lago
Inle in Myanmar. Il frate intervistato parlava entusiasta delle
loro attività, raccontava delle necessità della missione in
quello sperduto angolo di mondo. Fortunato riconobbe
nell’intervistato frate Guglielmo, amico carissimo di Rosario
e rimase ad ascoltarlo con molto interesse. Finita l’intervista,
al nostro professore balenò in mente l’idea che poteva essergli
di grande aiuto andare a trovare frate Guglielmo. Avrebbe
potuto confidarsi con lui che era stato così amico di suo
fratello. Avrebbe avuto la possibilità di condividere con
qualcuno le decisioni sul da farsi. Chi, oltre a lui, poteva
essere interessato a tramandare la più appropriata e corretta
memoria di suo fratello se non i suoi migliori amici?
108
La verità è una bugia
Parte Terza
109
Gaetano Tufano
Verso l'Oriente arancione
La settimana successiva il nostro professore era in volo
per Kuala Lumpur, prima tappa del viaggio verso il
Myanmar. A Kuala Lumpur si sarebbe fermato una notte per
proseguire il giorno successivo per Yangon. Durante il lungo
viaggio in aereo da Roma a Kuala Lumpur, Fortunato dormì
parecchio. Le ultime settimane erano state molto faticose per
le tante emozioni, per il grande dolore per la scomparsa di suo
fratello e per la grande mole di lavoro che si era sobbarcato.
Quando si svegliò, era mattina presto, l’aereo stava
sorvolando la penisola di Malacca e aveva già iniziato la
discesa verso il KLIA, l’aeroporto di Kuala Lumpur. Appena
atterrati e svolte le formalità doganali Fortunato fece un
veloce salto in albergo, poi ridiscese per fare un giro per il
110
La verità è una bugia
centro della città. Si diresse subito verso la Chinatown, il
cuore pulsante di Kuala Lumpur e gli piacque perdersi tra le
pittoresche e coloratissime vie cinesi, gremite di bancarelle e
di ogni sorta di umanità, soprattutto cinesi, ma anche di
malesi, indiani e turisti di ogni parte del mondo. La città è un
vero crogiolo di razze, di culture e di religioni. Nella stessa
via, è possibile incontrare a breve distanza l’una dall’altra un
tempio Indù, una moschea musulmana, un tempio buddista,
una chiesa cristiana.
Fortunato, sebbene amasse viaggiare, fino ad allora
aveva solamente avuto occasione di visitare l’Europa. Ora
proiettato di colpo in Estremo Oriente, a diecimila chilometri
dall’Europa, si sentiva come un bambino in un negozio di
giocattoli, attratto da mille luci e mille colori ed incuriosito da
qualsiasi cosa. Decise di entrare in un tempio buddista da cui
sentiva provenire un coro di voci che pregava. Probabilmente
stavano recitando il Daimoku: “Nam-myoho-renge-kyo”. Il
nostro professore avvertì tutto il fascino di questi esotici
suoni. Sono indubbiamente suggestivi. Normalmente può
accadere di sentirli in qualche documentario, ma Fortunato si
rese subito conto che essere immersi di persona in quei suoni
è cosa del tutto diversa, da far accapponare la pelle. Tutto
contribuisce a creare un’atmosfera magica: le tuniche di un
arancione sgargiante dei monaci, le loro teste perfettamente
rasate, le statue dorate dei numerosi Buddha sparsi sul fondo
del tempio, i rossi drappeggi, i fumi degli incensi. Fortunato
si pose in rispettoso silenzio all’ingresso del tempio e
osservava e ascoltava emozionato, in qualche modo partecipe
della preghiera che si levava da quei cori. Ben presto, però,
111
Gaetano Tufano
qualcuno dei monaci si accorse della sua presenza e, senza
smettere di pregare, gli fece un gentile segno di saluto e di
consenso con il capo, abbozzando anche un leggero sorriso.
Fortunato ne fu lusingato e rispose allo stesso identico modo.
Poco dopo la preghiera terminò e tutti corsero a conoscere
questo sconosciuto visitatore. Il monaco più anziano parlava
un discreto inglese e rivolse al visitatore le domande di rito.
-“Where do you come from?”
-“Italy, do you know?”
-“Yes, sure: Paris”.
-“I’m sorry Paris is in France, Rome is in Italy”
-“No problem, no problem, are you Buddhist?
-“Actually not, but I like your religion very much. I found it
amazing”
-“Yes, No problem, are you Christian?”
A questa domanda il nostro professore si rattristò.
Aveva letto che per gli orientali in genere, ma soprattutto per
i buddisti essere atei è inconcepibile. Per loro qualsiasi
religione è degna e accettabile, purché si abbia un
qualsivoglia credo, e allora a malincuore doveva scegliere:
mentirgli oppure dargli un dispiacere.
-“Yes, I’m Christian”.
Il vecchio monaco sorrise dolcemente e congedò
Fortunato augurandogli buon viaggio e salutandolo con la
formula di rito: “Namasté”.
Fortunato uscì dal tempio nello stesso tempo triste e
112
La verità è una bugia
contento. Triste per aver mentito a quel sant’uomo, contento
per aver incontrato delle così belle persone.
Era ora di cena, il professore alla complicata cucina
cinese prediligeva quella indiana, in particolare quella
vegetariana. Prese un risciò a motore e si diresse verso la
Little India, il quartiere indiano della capitale malese. Trovò
un ottimo e tranquillo ristorantino proprio accanto ad uno
splendido tempio Indù, brulicante di statue coloratissime,
dove poté cenare a base di ottime melanzane al curry e
chapati.
Rientrò in albergo e, mentre cercava con difficoltà di
prender sonno a causa del jet-lag, rifletteva sulla libertà di
espressione religiosa, sulla capacità di convivenza pacifica
delle differenti razze e delle differenti religioni di questa
tollerante Malaysia che ora gli sembrava essere quanto di più
auspicabile il futuro potesse riservare all’umanità. Nello
stesso tempo, neanche a farlo apposta, il Muezzin, dall’alto
del suo Minareto a due passi dall’albergo, cominciò a
salmodiare uno dei cinque richiami giornalieri che ricorda
l’obbligo della preghiera islamica:
Ašhadu an lā ilāh illā Allāh
Ašhadu an lā ilāh illā Allāh
Ašhadu anna Muhammadan Rasul Allāh
Ašhadu anna Muhammadan Rasul Allāh
Hayya ˁalā al-salāt
Hayya ˁalā al-salāt
Hayya ˁalā l-falāh
Hayya ˁalā l-falāh
113
Gaetano Tufano
Allāhu Akbar
Allāhu Akbar
Lā ilāh illā Allāh (2;2)
Il giorno dopo Fortunato volò in Myanmar, era sera
quando atterrò all'aeroporto di Yangon, prese un taxi e chiese
di andare in un hotel in città. Yangon era quasi
completamente al buio a causa dell'energia elettrica razionata.
Arrivò in albergo sfinito. Neppure uscì per cena. Si
addormentò stanco per il viaggio, per il fuso orario cui non si
era ancora del tutto abituato, frastornato dai tanti, troppi,
stimoli cui era stato sottoposto in questi primi due giorni di
viaggio.
La mattina appena sveglio, si domandò dove si
trovasse. Come accade a chi viaggia frequentemente, gli ci
volle qualche istante prima di rendersene conto. Doveva
alzarsi. Doveva trovare il modo di arrivare sul lago Inle.
Questo singolare e ameno luogo del Myanmar non è
lontanissimo da Yangon, si trova a poco più di seicento
chilometri a nord, ma per le strade birmane è una distanza
notevole, occorrono circa dieci stancanti ore di autobus. Dopo
un’ottima e abbondante colazione con uova al bacon, toast
con burro e marmellata e qualche fetta di papaya, salì su uno
di quei piccoli taxi a tre ruote e si fece portare alla stazione
degli autobus. Le corriere per il lago partivano la mattina
presto. Acquistò un biglietto per il primo mezzo in partenza il
giorno successivo.
Aveva dunque un solo giorno per visitare Yangon.
114
La verità è una bugia
Voleva approfittarne per vedere la Shwedagon Paya. Era
conosciuta come uno dei più bei templi d’Oriente, non voleva
perdersela. L'antica pagoda dei Mon, in effetti, da sola poteva
valere l'intero viaggio. Fortunato girovagò per più di un’ora,
ammirato e stupito ad ogni passo, lungo i vari templi che
compongono l'ampio complesso della Shwedagon, scattando
di tanto in tanto qualche foto. Il sole era già cocente, l'aria
pregna di umidità. Accaldato, Fortunato, si sedette all'ombra e
restò per qualche ora ad osservare i birmani girovagare
intorno alla loro bella pagoda. Passavano intere famiglie con
bambini al seguito, mai capricciosi, mai lamentevoli.
Passavano piccole ragazze sorridenti nei loro coloratissimi
sari, ognuna con il proprio ombrellino per il sole, altrettanto
colorato. Passavano giovanissimi monaci buddisti anch'essi
sorridenti nei loro allegri sai arancioni. Ogni tanto Fortunato
scattava qualche foto, gli spunti erano infiniti e tutti molto
fotografici. Qua e là nei vari templi si soffermavano piccole
comitive: scolaresche, famiglie, gruppi di amici e amiche.
Tutti vivevano il tempio con allegra naturalezza. Alcuni
pregavano seduti per terra, ma tenendo entrambe le gambe
bene di lato e facendo attenzione a non puntare i piedi verso il
Buddha. Altri facevano spuntini. Altri ancora chiacchieravano
e ridevano, sempre compiti però, mai molesti. Il professore
conosceva abbastanza bene il buddismo dai libri, ma come
sempre l'esperienza diretta può comunicare in modi che
nessun libro, nessun documentario televisivo potrà mai fare,
perché investe contemporaneamente tutte le nostre
terminazioni conoscitive e non solo il pensiero. Tutti i sensi
vengono investiti da odori, rumori, suoni, colori, la sfera delle
emozioni è a sua volta investita da piaceri, paure, desideri,
115
Gaetano Tufano
l'esperienza diretta è assolutamente, definitivamente e
totalmente coinvolgente. Ora capiva perché un suo amico,
appassionato di viaggi, soprattutto nell’Africa sub sahariana,
quando gli si chiedeva, com'era la Tanzania, piuttosto che lo
Zimbabwe, o il Kenya lui rispondeva: "Vai a vederla".
Sia come sia, ciò che maggiormente stupiva Fortunato
era il sereno, allegro, apparentemente non problematico
rapporto che gli orientali di fede buddista hanno con la loro
religione e quanto, questo modo di vivere la religione, fosse
di fatto diverso dal modo in cui noi occidentali viviamo la
nostra. Per lo meno, così era stato per Fortunato. Egli da
ragazzino, nel suo paesello in Molise era stato chierichetto.
Ricordava il senso di oppressione che gli comunicavano le
statue dei vari santi. Molti di essi erano dei martiri che
indecorosamente mostravano i segni del loro martirio. Fra
tutti ricordava Santa Lucia con gli occhi strappati e messi in
evidenza su un piatto. Oppure santi che mostravano le loro
sofferenze, come San Lazzaro, pieno di piaghe. Ma la più
triste e più terribile di tutte era proprio la statua di Gesù,
morto sulla croce, con il capo spinato, le ferite sulle costole e
le mani e i piedi bucati da grossi chiodi che lo fissavano
orrendamente al patibulum e allo stipes. Cercò di non
pensarci per non contaminare l'incanto di quel luogo. Rimase
a lungo a fissare la punta dorata della pagoda stagliarsi contro
i bianchissimi cumuli che tappezzavano l’azzurro cielo, poi
prese il suo tablet e scrisse questi versi.
Come l’asceta ora ho visioni
Quando guardo il fiume fangoso
116
La verità è una bugia
Come il tempo io scorro mentre l’acqua bruna è ferma
Sovvertirò l’ordine delle cose
invertirò il tempo e colmerò le distanze
non è difficile in fondo
Ma devo esser solo
Lasciatemi dunque, abbandonatemi.
Si era fatto tardi. A malincuore si separò dalla
Shwedagon, si ripromise di visitarla nuovamente al ritorno
dal lago Inle. Si fermò a rifocillarsi velocemente in uno dei
tipici locali birmani: la sala da tè. Dove oltre a questa
tradizionale bevanda si possono assaggiare ottimi dolci, tutti
molto particolari. Più tardi dovette recarsi all’ufficio postale
per una commissione. Per andarci superò la sua ritrosia a
prendere un risciò a pedali. Cercò in giro e trovò due
conducenti che stavano amichevolmente discorrendo tra di
loro. Concordò con uno di loro la cifra e salì. Il collega e
amico del suo conducente decise che era terminata la sua
giornata di lavoro e li seguì per poi tornare a casa insieme al
suo amico. Yangon ogni tanto ha qualche strada non
perfettamente in piano, Fortunato quando vedeva il suo
magrissimo conducente arrancare per la fatica scendeva dal
risciò permettendogli di superare più facilmente la salita.
Quando arrivarono Fortunato pagò, ringraziò e stava per
salutare come al solito con le mani giunte e con un leggero
inchino del capo, quando il suo conducente esordì con il
fatidico: “Where do you come from?”, incipit di qualsiasi
conversazione da quella parte del mondo. Restarono qualche
tempo a chiacchierare fraternamente, scoprendo con stupore e
piacere tante similitudini, pur nell’abissale differenza e
117
Gaetano Tufano
distanza delle loro culture e dei loro luoghi d’origine. Anche
l’altro conducente si era unito alla conversazione. Parlavano
della differenza di costumi tra l’Occidente e il Myanmar, uno
dei due diceva: “Noi lo sappiamo che voi occidentali siete
ricchi, avete belle case, belle auto, non vi manca nulla, ma noi
abbiamo il tempo. Io, per esempio, appena ho guadagnato il
necessario per me, mia moglie e i miei bambini, posso
decidere di smettere di lavorare e andare con il mio amico a
bere un tè e trascorrere il resto del giorno lavorativo a parlare
di filosofia”. Fortunato dovette incassare e ammettere che
qualche ragione il suo buon conducente ce la doveva avere.
Era ormai quasi sera. Fortunato si affrettò a cercare,
tra i pochi locali illuminati, dove poter mangiare qualcosa di
veloce prima che fosse eccessivamente buio. Subito dopo
cena si avviò verso il suo alberghetto, chiedendosi che
diavolo potesse significare una missione cristiana in
quell’oceano buddista. Cosa poteva voler dire per un birmano
diventare cristiano? Quale senso poteva mai avere? Il suo
anziano albergatore lo aspettava paziente all’entrata della
piccola guesthouse, minuscolo di statura e magro, nel suo
tradizionale abito birmano e lo accoglieva con un sorriso e
con un inchino che lo inteneriva e gli faceva venire voglia di
abbracciarlo. Qualche tempo dopo Fortunato scoprì che tutto
il Myanmar era disseminato di simpatici manifesti che in
lingua e caratteri birmani recitavano: “Se incontri qualcuno
privo di sorriso, regalagliene uno dei tuoi”. Era proprio uno
splendido paese, abitato da splendida gente.
118
La verità è una bugia
Inle Lake
Il giorno dopo Fortunato, dopo un faticosissimo e
interminabile viaggio di una decina di ore in autobus, arrivò a
Nyaungshwe, una piccola località del lago Inle. Trovò posto
in un piccolo albergo fatto di palafitte sul laghetto. Cenò in un
ristorantino affacciato sul lago, il sole al tramonto infuocava
il piccolo tempio dorato sulla riva opposta e creava un
incantevole scenario. Fortunato si rammaricava di essere solo
a godere di tali spettacoli, di non poterli condividere con
nessuno. Pensò a frate Guglielmo, il giorno successivo
probabilmente sarebbe riuscito, dopo tanto viaggiare, ad
incontrarlo. Non aveva mai conosciuto frate Guglielmo, ma
suo fratello si era spesso prodigato in racconti della loro
fraterna amicizia e gli aveva mostrato foto che li ritraevano
insieme nella missione di Papua Nuova Guinea.
119
Gaetano Tufano
Il giorno successivo Fortunato, impaziente di
incontrare finalmente il suo uomo per potersi infine
confrontare con lui sulle decisioni da prendere, si alzò di
buona lena e si mise in viaggio. Egli contava soprattutto sulla
diversa conoscenza che frate Guglielmo poteva avere di suo
fratello. Una conoscenza, per così dire, professionale.
Avevano vissuto insieme una vita, avevano lavorato insieme
con in mente lo stesso credo, le stesse finalità, gli stessi
obiettivi. Avevano senz'altro condiviso eventuali dubbi sulla
loro missione, sul senso del loro operato e più in generale
sulla loro fede e sulla loro confessione. Anche, e soprattutto,
in considerazione del fatto che si trovavano immersi in realtà
così lontane dalle radici del cristianesimo.
La missione era poverissima, essenzialmente un
edificio con piccole camere per i frati, una sala da pranzo, una
piccola cucina, due bagni con doccia. L'arredamento delle
camere era ancora da provvedere. In un altro piccolo edificio
c'erano un'infermeria, cinque piccole stanze da letto, dove era
possibile ospitare fino a dieci malati avendo disposto nelle
cinque camere un letto a castello. C’era infine uno stanzone
per le funzioni religiose. I frati, da non molto approdati in
Myanmar, erano ancora impegnati nell'apprendimento della
cultura e della lingua locale e contemporaneamente si
prodigavano nel servizio di accoglienza verso quanti si
presentavano, fornendo cure mediche, medicine e aiuti di
vario genere.
Domandò di frate Guglielmo, corsero a chiamarlo.
Arrivò un anziano frate, con barba e capelli lunghi,
120
La verità è una bugia
completamente canuto, magro, alto, con un leggero saio
marrone sgualcito e cinto in vita con il classico cordiglio.
Arrivò con passo spedito, con sguardo aperto e sorridente,
strinse calorosamente la mano di Fortunato chiedendogli il
motivo della sua visita.
-"Sono Fortunato, il fratello di Rosario, caro frate
Guglielmo”.
L'anziano frate, restò per un attimo senza parole, poi
abbracciò forte il fratello del suo caro amico e scoppiò in un
accorato pianto.
-"Buon Dio, ti ringrazio. Sono felice di vederti. Come mai in
questo sperduto angolo di mondo? Che cosa è accaduto al
Santo Padre, al mio carissimo amico? Abbiamo saputo della
terribile notizia della sua morte solo una settimana fa'. Devi
sapere che qui le notizie arrivano con molto ritardo e con il
contagocce. Vieni, accomodati nella nostra povera casa. Sarai
stanco, hai sete? Hai fame?
-"Caro frate Guglielmo, sono felice di conoscerLa"
-"Dammi del tu, ti prego, sei come un fratello”.
-"Va bene. Dopo la morte di Rosario ho pensato di fare un
viaggio. Avevo bisogno di riflettere e di distrarmi nello stesso
tempo. Quale miglior luogo di questa splendida terra? Ho
saputo che qui c'era il carissimo amico di mio fratello e ho
pensato di venirti a trovare.
-"Questo mi riempie di gioia".
121
Gaetano Tufano
-"Frate Tommaso e frate Alessio sono anche loro qui?"
-"Certamente, noi siamo una squadra inseparabile e sono
sicuro che anche tuo fratello sarebbe stato più contento di
restare con noi alla vecchia missione piuttosto che andare a
vivere a Roma, in Vaticano. Vieni che te li presento, saranno
felici di conoscerti.
Frate Guglielmo lo condusse all'interno del primo
edificio, in cucina, e mandò un ragazzino a cercare gli altri
due frati che erano presi nelle loro faccende quotidiane.
Fortunato notò subito un grande quadro con la foto di Rosario
fatta il giorno in cui fu eletto Papa. Era raffigurato in abito
talare, con la mitra in testa, la ferula nella mano sinistra,
mentre con la mano destra accennava a una benedizione. La
foto era firmata da Rosario e c'era una dedica al suo caro
fratello Guglielmo.
-"Rosario fu così caro da mandarci una sua foto appena
proclamato Papa. Ne mandò una copia diversa ad ognuno di
noi”. Disse frate Guglielmo accortosi che Fortunato guardava
la foto di suo fratello. Nel frattempo erano arrivati frate
Tommaso e frate Alessio che gli fecero una gran festa, con
lunghe strette di mano, abbracci e domande di rito.
Insistettero perché si fermasse con loro a pranzo, poi nel
pomeriggio gli avrebbero fatto visitare la piccola missione e,
l'indomani, sarebbe potuto andare con loro nel giro di visite
che periodicamente facevano nei piccoli villaggi di montagna
sparsi intorno al lago.
Fortunato accettò volentieri. Già si sentiva benissimo
122
La verità è una bugia
insieme a questi cari e operosi frati. Per la preparazione del
pranzo Fortunato si offerse di aiutare. Memore delle richieste
fatte da Guglielmo durante l’intervista trasmessa dalla
televisione, Fortunato, prima di partire, aveva avuto cura di
spedire un pacco di provviste, di medicine e altri generi di
necessità al fermo posta di Yangon, che aveva poi recuperato
appena arrivato. Aveva quindi con sé ogni ben di Dio
proveniente dall'Italia. I frati furono entusiasti di questo.
Raramente capitava loro di avere in tavola cibi italiani.
Fortunato preparò il pranzo per tutti, compresi gli altri ospiti
della missione, poi pranzarono insieme allegramente.
Decisero persino, per l'occasione, di aprire anche una delle
bottiglie di vino contenute nel pacco italiano.
Ovviamente tutti i discorsi a tavola furono pressoché a
senso unico, i frati narravano aneddoti riguardanti frate
Rosario, e ve n'erano tanti poiché tanti erano gli anni che
avevano trascorso insieme. Fortunato ascoltava divertito e di
tanto in tanto narrava aneddoti di quando erano bambini e di
quanto Rosario fosse stato bambino allegro e pieno di vita.
Il professore si era però immediatamente reso conto
che gli amici di suo fratello nulla sapevano del cosiddetto
“Annuncio di Pietro II”. L'unica cosa che a loro era arrivata
era che il Papa era stato colto da un malore proprio al termine
del suo primo Angelus, a meno di una settimana dalla sua
consacrazione a quell'alto ufficio. E, a pensarci bene, non
c’era molto da meravigliarsene. Anzi, visto da quello
sperduto luogo del lago Inle in Myanmar, c’era finanche da
stupirsi che una qualsivoglia notizia fosse arrivata. Il
123
Gaetano Tufano
Myanmar era stato un paese sostanzialmente isolato per circa
cinquant’anni. Dalla metà del ventunesimo secolo, e fino ad
una decina di anni prima dell’epoca in cui questi fatti si
svolsero, il Myanmar non aveva avuto molti scambi con
l’esterno, quasi nessuno con l’Occidente. Le cose
cominciarono un po’ a cambiare con la liberazione di Aung
San Suu Kyi nel 2012, nel senso di una maggiore distensione
del governo birmano nei confronti dell’Occidente, ma
sarebbero occorsi verosimilmente decenni per colmare mezzo
secolo di lacune. In ogni caso, tornando a noi, Fortunato si
rese anche immediatamente conto del fatto che, con tutta
probabilità, non se la sarebbe mai sentita di essere proprio lui
a raccontarglielo, facendo così crollare loro un edificio
costruito nel corso di un un'intera vita. Come avrebbero preso
una notizia del genere? Avrebbe certo fatto svanire il
seducente mito del loro grande amico Papa ma, sopratutto,
avrebbe forse instillato in loro un dubbio che forse quei cari
vecchietti non potevano più permettersi, data la loro
veneranda età. Concluse di prendere tempo e di riflettere bene
prima di decidere.
Il giorno seguente Fortunato accompagnò Guglielmo
in un paio di villaggi. Anziché la barca a motore, che aveva
preso il giorno prima, fecero uso delle tipiche imbarcazioni
usate dalla gente del lago. Delle lunghe e strette piroghe
manovrate stando in piedi su di una sola gamba all’estremità
della poppa, mentre l’altra gamba, avvolta intorno al lungo
remo e tenuto con entrambe le mani, veniva usata per
spingere il remo in acqua. Il lago era cosparso di orti
galleggianti, composti da giunchi di erba e terra, che i
124
La verità è una bugia
contadini usavano per la coltivazione di ortaggi e fiori.
Arrivati nel punto del lago più vicino al villaggio da visitare,
si ormeggiava la piroga e si proseguiva a piedi lungo un
sentiero in compagnia di montanari. Lungo i canali formati
dal lago si era tenuto il solito pittoresco mercato sulle barche
che i pochi turisti occidentali chiamavano floating market, ed
ora i montanari facevano ritorno ai loro villaggi carichi delle
mercanzie acquistate. Vi si incontravano ragazzine e bambine
con le guance ricoperte di thanaka, il tradizionale cosmetico
ricavato dal legno di sandalo, con pacchi di cheerots (grossi
sigari fatti a mano), invenduti e signore di mezza età con in
testa grandi ceste di verdure.
Nel villaggio Guglielmo e Fortunato furono accolti con
affetto e calore. Guglielmo dispensò medicine, vestiti,
caramelle per bambini e tante buone parole, in cambio
ricevette promesse di visita alla loro missione per la santa
messa.
Fortunato rientrato nella piccola missione trascorse la
notte insonne. L’indomani sarebbe ripartito, non aveva più
molto tempo, doveva decidere come comportarsi con i suoi
tre nuovi amici. E, per quanto si dicesse che era per lui un
dovere informarli della verità, per onestà, per non ingannarli,
alla fine si ritrovava a pensare che erano tutti e tre oramai
anziani, e che non avrebbero potuto sopravvivere a una
notizia del genere. Come sarebbe stata la sua partenza il
giorno dopo? Come li avrebbe lasciati? Non sarebbe stato
meglio, per quei tre vecchietti, se Fortunato non fosse mai
venuto? Provava ad immaginare la scena della partenza: se ne
125
Gaetano Tufano
andava, contento di aver portato a termine il suo compito,
lasciandoli soli in questo sperduto, remoto angolo di terra a
mani vuote, soli, senza più speranze. Risvegliati, a poca
distanza dalla loro morte, da un sogno durato tutta la vita.
Incapaci di riaddormentarsi nello stesso sogno, senza il tempo
necessario per costruire un nuovo sogno. Il lavoro, l’opera di
una vita svuotati di significato. Vedeva la loro missione
trasformarsi in un architrave le cui colonne portanti stessero
per sgretolarsi. Il loro coraggioso insediamento religioso,
bizzarro faro cristiano in un mare buddista, appariva ora una
piccola imbarcazione senza più bandiera in un lontano oceano
sconosciuto. Una leggera scialuppa, in balia delle onde,
manovrata da deboli uomini i cui sguardi, perduti nel vuoto,
non facevano ben sperare sulla loro sorte. Qualsiasi direzione
era ora densa di incognite e di nebbie e indietro non si poteva
più ritornare. Fortunato continuava a rigirarsi nel letto, sudato
per il caldo e per il conflitto dei contrastanti pensieri. Ad un
certo punto si sorprese a chiedere consiglio a suo fratello
morto, a pregarlo di aiutarlo. Si svegliò di soprassalto. Era
questa una preghiera? Era così dunque che erano nate le
preghiere? E’ dunque dal culto dei morti che si generavano le
religioni? In qualche modo aveva quindi ragione Feuerbach
quando affermava che “Non è Dio che crea la natura, ma la
natura che spinge l’uomo a creare Dio”?
Avrebbe preferito sentire il passo del boia che veniva
per metterlo a morte, piuttosto che sentire il gallo annunciare
l’alba e ricordare che era arrivato il momento di alzarsi e di
decidere. Ma sapeva benissimo, del resto, anche avendo più
tempo, non sarebbe mai riuscito a dipanare quell’inestricabile
126
La verità è una bugia
groviglio di pensieri ed emozioni. Siamo fatti così. La logica
è chiara ed evidente e non pone dubbi a patto che non la si
mischi con i sentimenti. Quando questo accade, non v’è altra
possibilità, occorre scegliere tra le ferree conseguenze che la
logica impone e la pietosa indulgenza verso l’argomentazione
sentimentale.
Fortunato preparò mestamente le sue cose, lasciò alla
missione la sua personale borsa di medicine di emergenza, i
vestiti non ancora utilizzati e tutto quanto non era
strettamente necessario per il viaggio di ritorno. Andò in
cucina dove già si sentiva odore di caffè e trovò i tre
vecchietti rattristati per la partenza del loro nuovo amico. La
colazione fu un ripromettersi unico di risentirsi e rivedersi.
Venne il momento dei saluti. Frate Guglielmo gli
affidò una piccola cassetta di lettere che Rosario aveva scritto
loro dall’Italia e alcuni quaderni contenenti diari che
risalivano al periodo in cui Rosario era in missione in Africa e
a Papua Nuova Guinea. Dopo lunghi abbracci e trattenute
lacrime, Fortunato salì sulla barca a motore e, con la mano
alzata in segno di saluto, restò ad osservare i tre vecchietti
diventare sempre più piccoli, sempre più piccoli fino a
scomparire.
127
Gaetano Tufano
Nella terra di Pietro II
Fortunato cercò di rientrare a Roma il più in fretta
possibile. Volle solo, una volta a Yangon, ritornare a rivedere
la Shwedagon Paya, così come si era ripromesso di fare.
Una volta a Roma gli ci vollero parecchi giorni per
riprendersi emotivamente dal viaggio. Doveva aprire la
cassetta di Rosario, ma aspettava a farlo, voleva prima riacquistare, per quanto gli fosse possibile, un po’ di serenità.
Inoltre desiderava leggere il contenuto della cassetta una volta
rientrato nella sua terra, nella silenziosa terra di Pietro II,
laggiù nel verde Molise. Alla fine della settimana prese il
treno per ritornare nella sua città.
Fortunato abitava da solo in un piccolo appartamento
nel centro della cittadina. La sua casa era stracolma di libri.
128
La verità è una bugia
Nel soggiorno una enorme libreria campeggiava lungo il
muro più lungo, piena zeppa di libri di letteratura soprattutto
russa, tedesca, francese e italiana ovviamente. Da un’altra
parte vi erano tutti i classici di poesia e di letteratura latina e
greca. Numerosissimi i volumi di filosofia a partire dai greci
fino ai contemporanei. Vi erano anche numerose opere
storiche dei massimi storici di tutti i tempi. Anche il piccolo
studio era invaso dai libri. E anche qui soprattutto i classici la
facevano da padrone. Pochi, pochissimi gli autori
contemporanei nel campo della letteratura, mentre, in campo
scientifico e filosofico, vi si trovavano anche moltissimi
autori contemporanei.
Fortunato, soprattutto dopo la perdita della sua prima
fidanzata, e fino al fatidico incontro con la sua Rebecca,
aveva avuto molto tempo a disposizione per gli studi, quasi
vent'anni. A questo punto credo sia utile ricordare alcuni fatti
della vita di Fortunato che permettono di capire meglio chi,
veramente, egli fosse. Fortunato all'età di diciannove anni si
era invaghito di una ragazza, Francesca, con cui ebbe un
amore molto sofferto. Fu alla fine di questa tormentata e
dolorosa storia che Fortunato decise di trasferirsi a Londra,
dove oltre a fare qualche lavoretto per mantenersi, continuò
gli studi fino alla laurea e al dottorato in Storia. Francesca, era
probabilmente una ragazza eccessivamente vivace per il
pacato carattere del nostro futuro professore. Dopo alcuni
intensi mesi di appassionato amore, Francesca, sebbene
ancora innamorata di Fortunato, cominciò ad avvertire la
stanchezza di un amore forse monotono, probabilmente privo
delle emozioni di cui sentiva l’esigenza. Da allora per
Fortunato si spalancarono le porte delle pene d'amore:
129
Gaetano Tufano
Francesca
cominciò
a
tradirlo.
Fortunato,
non
immediatamente, ma ad un certo punto se ne rese conto, però,
pur soffrendo e non sopportando la situazione, non riusciva a
lasciarla. La stessa cosa accadeva a Francesca, che al termine
delle sue scappatelle finiva per sentire il bisogno di una
relazione forte, duratura e solida come quella che Fortunato
era in grado di darle. Qui di seguito è riportato un frammento
di lettera che Fortunato scrive al suo carissimo amico
Vittorio, nella quale spiega le ragioni della sua improvvisa
partenza per Londra.
“Mio carissimo Vittorio,
perdonami se non ho potuto salutarti prima della
partenza, sono a tutti gli effetti scappato via. Dovevo farlo.
Non potevo più restare in quella situazione che tu conosci
benissimo, sarei impazzito. Tu sai quanto io ami Francesca e
quanto io abbia accettato di patire pur di restare con lei.
Questa volta però è finita davvero e per evitare ogni possibile
ripensamento sono partito in fretta e furia. Mi soffermo
insieme a te a riflettere e a cercare di riconsiderare gli ultimi
avvenimenti della mia storia con Francesca secondo una
diversa chiave di lettura: Francesca si era stufata
definitivamente di me e aveva cercato un nuovo amore?
Oppure ero stato io a stufarmi definitivamente di lei e a
spingerla a fare una vacanza da sola, sperando finalmente di
perderla? La sera stessa, appena dopo la sua partenza per
l’isola d’Elba, dove avrebbe trovato un nuovo amore, tornai a
casa in lacrime. La gelosia mi mordeva l’animo. La mia
130
La verità è una bugia
provvida immaginazione frustava i miei umidi occhi con
crudeli scene di sesso: Francesca nuda e impudica nelle
braccia del suo nuovo amante. Mi addormentai pieno di
angoscia, ricordo che feci brutti sogni, al centro dei quali era
sempre Francesca. Io ho sempre subito il suo innegabile
fascino che rimescola il sangue, ma nel sogno perdeva la sua
aura di dea della bellezza scivolando nell’eccessivamente
frivolo, in un’ostentata ed esagerata lascivia. Sognai che
eravamo usciti insieme ed avevamo incontrato dei comuni
amici. Al termine della serata le dissi che intendevo tornare a
casa e aspettai che mi seguisse, ma lei con mio sommo
stupore mi rispose con uno sguardo malizioso e ammiccante:
‘Vai pure, io resto ancora’. Avrei voluto fulminarla con uno
sguardo, ma con i miei soliti modi misurati le risposi: ‘Come
desideri’ e ritornai a casa da solo. A questo punto del sogno
mi svegliai sconvolto e piansi, poi piangendo mi
riaddormentai e feci un altro sogno. Sognai che doveva uscire
con ‘l’altro suo fidanzato’. Lei me ne parlava come se fosse
una cosa del tutto naturale avere due fidanzati e come se io ne
fossi già a conoscenza e lo avessi accettato serenamente. Io,
nel sogno, inorridii a questa notizia, mi sentii lacerare. Non
capivo cosa stesse succedendo. Come avevo potuto accettare
l’idea di condividerla? Oppure non lo sapevo e lei stava
barando? Oppure me lo aveva detto, ma io pietosamente lo
avevo dimenticato? Mi svegliai sudato e tremante. Nei giorni
successivi mi prese una strana tranquillità, non avvertivo più
nessun fastidio per il fatto che Francesca fosse partita senza di
me, nessuna gelosia per il fatto che si trovasse al mare,
sicuramente in compagnia di qualche ragazzo. Quando infine
al suo ritorno, in lacrime, mi disse che mi aveva tradito e che
131
Gaetano Tufano
mi lasciava, accolsi la notizia freddamente, solo con una
leggera mestizia. Teneramente baciavo le sue lacrime quasi
per consolarla di avermi tradito. Alla fine riaccompagnandola
per l’ultima volta a casa la tenevo per mano come sempre,
come nulla fosse accaduto, ma in cuor mio sapevo tristemente
e fermamente che non l’avrei più rivista. La sera stessa,
appena rientrato a casa, mi dissi che avevo bisogno di
distrarmi e che dovevo inventare qualcosa per non pensare
più a lei, per non vederla più. Il giorno successivo andai in
agenzia e comprai un biglietto per Londra”.
Seguono dettagli di poco conto e i saluti.
Dopo questa scioccante avventura, Fortunato non
mostrò più alcun interesse per le donne e per circa vent’anni
si dedicò completamente ai suoi studi, fino a quando incontrò
la sua Rebecca. Per lei Fortunato perse completamente la
testa. Rebecca era più giovane di lui di nove anni, ma
dimostrava molto meno della sua età, tanto è vero che molto
spesso la scambiavano per sua figlia. Per circa dieci anni
ebbero una intensa e profonda storia. Furono sicuramente gli
anni più felici per Fortunato. Nonostante il loro grande amore,
però, non si decisero mai a sposarsi, anche quando, dopo
dieci, anni arrivò la loro prima figlia. Inspiegabilmente, anche
dopo questo importante evento, continuarono a vivere ognuno
nella propria casa, ma vedendosi comunque il più possibile.
La situazione non cambiò anche quando ebbero la seconda e
la terza figlia. Fortunato e Rebecca ebbero, dunque, alla fine
tre splendide, simpaticissime e adorabilissime creature:
Bianca, Sabrina e Alice. Fortunato, ancora prima che
132
La verità è una bugia
nascessero, già avvertiva per loro un tenerissimo amore.
Come spesso accade ai candidati padri, usava parlare con loro
mentre ancora erano nella pancia di Rebecca. Quando
finalmente nascevano se ne innamorava perdutamente e
provava per loro una sconfinata tenerezza e una profonda
compartecipazione ad ogni loro pur minuscola sofferenza.
Non appena diventavano abbastanza grandicelle per giocare,
Fortunato ritornava bambino insieme a loro. Adorava giocare
con le sue bambine e passava con loro tutto il tempo che
poteva.
Appena arrivato in città, Fortunato, come prima cosa,
andò immediatamente dalle sue amate bambine e dalla sua
Rebecca. Aveva per loro numerosi regali comprati durante i
suoi viaggi. Cercava di farsi perdonare, con grandi sincere
effusioni d’affetto, la sua prolungata assenza. Quella notte
rimase a dormire da loro. Rientrò nel suo appartamento la
sera del giorno seguente, molto tardi. Era esausto, aveva
bisogno di riordinare le idee. Andò a letto subito, dormire gli
avrebbe fatto bene.
La mattina successiva si svegliò prestissimo. Era impaziente di aprire la cassetta che gli era stata affidata da
Guglielmo e dagli altri frati. La cassetta conteneva parecchie
bellissime lettere di Rosario ai suoi amici frati. In alcune di
esse, quelle più recenti, inviate quando si trovava presso la
Santa Sede, Rosario si rammaricava di non poter essere con
loro alla missione. Trovò anche con suo grande stupore delle
poesie e dei racconti, soprattutto giovanili, scritti da suo
fratello. Rosario non gliene aveva mai parlato. In particolare
fu colpito da un breve racconto intitolato: “Solus Ipse”. Un
originalissimo scritto in cui un dio pasticcione confessa
133
Gaetano Tufano
d’aver creato un mondo imperfetto, si rende conto di
conseguenza di essere egli stesso imperfetto, e di essere
condannato a perire insieme alla difettosa creatura uscita dalle
sue mani.
134
La verità è una bugia
Solus Ipse
“Noli foras ire, in te ipsum redi,
in interiore homine habitat veritas;
et si tuam naturam mutabilem inveneris,
trascende temetipsum". (2;3)
Aurelio Agostino, De vera religione
135
Gaetano Tufano
Quando creai questo mondo ero ancora ingenuo ed
inesperto. Adesso, credo, avrei predisposto molte cose in
modo diverso.
L’ammirazione che ho per me stesso non mi consente
di ammettere facilmente i miei errori e in generale non amo
l'autocritica. Questa volta però non debbo combattere col mio
narcisismo per affermare che mi sono sbagliato su talune
cose.
Col passare del tempo e col maturare dei miei pensieri,
dei miei sentimenti e avendo acquisito a mano a mano
consapevolezza delle cose che ho creato, il mio pensiero ha
perduto la sua naturale arroganza.
In particolare, esso è venuto meno del coraggio e del
ferreo rigore che aveva dato vita al tutto.
Ora, solo a tratti, ritrovo, le polverose vestigia
dell'antico rigoroso volere che mi animava, del quale, per
altro, subito dopo mi pento.
Posso ancora dire che qualcosa della mia forza
intellettuale sia tuttora viva, ma forse sarebbe più giusto
definirla: “Indomito e inutile cinismo”. Infine, ho disgusto di
me stesso e di ciò che ho costruito.
Ho però delle attenuanti per la mia coscienza, non è
facile creare.
La
materia
sfugge
molto
136
spesso
dalle
mani
La verità è una bugia
dell'artefice. Vi è perciò bisogno di una continua attenzione e
di una ferma concentrazione. E' anche vero quindi che non
tutto è andato come io desideravo.
Tutto ebbe inizio quando, molto tempo fa, nacqui alla
mia coscienza. Non credo ve ne sia bisogno, ma ricorderò
ugualmente che essa preesisteva a me stesso. Iniziai allora la
mia riflessione. Dapprima su me stesso, standomene
immobile, senza vedere, senza udire, lasciando che il mio
pensiero prendesse coscienza di me.
Fu in uno di questi momenti, probabilmente di
particolare euforia, che decisi di creare il mondo.
Durante i lunghissimi millenni in cui pensavo me
stesso, imparai moltissime cose. Ipotizzai allora un mondo
perfetto, complesso e infinitamente vario, tanto che mi ci
volle parecchio tempo prima di concepirlo e delinearlo in
tutte le sue sfumature.
Nuovamente confesso, che durante la creazione,
faticosa e snervante, mi è capitato, a volte, di avere qualche
attimo di smarrimento dovuto alla stanchezza per la
prolungata concentrazione. E ciò probabilmente ha lasciato
spazio alla creazione di materia informe, senza contenuto
informativo, permettendo quindi all'odiata entropia di fare
ingresso nel mio assoluto ed eterno sistema.
Ma purtroppo questo non è stato l'unico causa a
inficiare la nascita e la formazione del mio mondo. A ciò
sarebbe stato relativamente semplice riparare. Prima che
l’entropia, vero e proprio cancro dei sistemi chiusi, si
137
Gaetano Tufano
diffondesse e portasse alla morte valori essenziali e necessari
alla perfezione del mio creato, avrei distrutto per sempre le
cellule cancerogene uscite dalle mie mani.
Purtroppo vi fu dell’altro. Vi furono gravi ed
imperdonabili errori di valutazione. Forse a confondermi fu
l'eccessiva gioia che provavo nel creare le cose così come le
avevo concepite.
Avvertivo, infatti, un singolare piacere nel dare forma
ai miei pensieri, nel modellarli, fino a che diventassero
l'immagine riflessa della mia suprema volontà.
Infine, molti dei miei errori, devo ammettere, sono da
imputare alla mia debolezza, conseguenza, forse, della mia
infinita bontà.
Nella mia colpevole cecità, impiegai infiniti millenni
prima di accorgermi che la mia creatura fosse minata.
Quando ne ebbi finalmente chiara coscienza, per
altrettanti infiniti millenni lottai contro l'evidenza, negandola,
in nome di un infinito amore e di una speranza impossibile.
Quando, infine, con sommo, indicibile dolore,
riconobbi i miei errori, non ebbi il coraggio di intervenire
subito con mano decisa per fermare il Caos che oramai
imperava nell'universo.
Rimasi così, spettatore impotente, fino ad oggi,
giorno in cui la profonda pietà ha lasciato posto alla
ragionevolezza, affinché finalmente e definitivamente si
decretasse la morte del mio sistema.
138
La verità è una bugia
Resterò impassibile davanti alla fine, ma giacché ho
fallito, giacché ho creato qualcosa di imperfetto, giacché la
creazione non fu, come alcuni filosofi antichi affermavano,
una degenerazione del mio essere, ma una oggettivazione di
esso, dovuta allo straripante amore che avevo concepito, ne
deriva che la mia stessa natura è imperfetta e quindi seguirò il
destino del creato.
Così il mio stesso essere, per definizione
negentropico, eterno ed assoluto che era fonte ineffabile e
inestinguibile cui tutto il creato poteva attingere, è ora
necessariamente divenuto un sistema soggetto all'entropia e
alla terribile degenerazione che essa porta con sé.
Ben presto, dunque, la Regina della Quiete verrà a
portare il silenzio su tutto. Allora non resterà più niente e
null'altro esisterà se non l'Infinito Orizzonte delle Possibilità.
C’è da sperare, dunque, che un giorno un nuovo Dio
voglia ripetere la magia della creazione.
E c’è da sperare che non abbia a commettere gli stessi
errori che io ho commesso.
139
Gaetano Tufano
Dolce fumo di pipa
Fortunato era oltremodo meravigliato da uno scritto
del genere da parte di suo fratello, da parte di un membro del
clero cristiano cattolico. Questo racconto era, a tutti gli effetti,
uno scritto che faceva pensare più a un demiurgo dell’antico
gnosticismo piuttosto che a un dio cristiano cattolico. Un
demiurgo che oltretutto dimostrava una commovente
coscienza dei suoi errori.
Erano questi i sentimenti più profondi di Rosario
nonostante la sua confessione?
Fortunato si mise alacremente al lavoro senza chiedersi
oltre cosa fosse giusto fare. Nell’arco di sei mesi ricostruì la
vicenda dell’assassinio di Pietro II. Mise insieme tutti i
140
La verità è una bugia
segnali e gli indizi accumulati ricavandone incontrovertibili
prove. Riportò, inoltre, testualmente anche la conversazione
avuta con il cardinale Bonanno al cimitero del Verano.
Ricostruì la vita di suo fratello facendone una sorta di
biografia utile per far comprendere i passaggi psicologici e
ideologici che portarono Pietro II al grande gesto di quella
storica domenica del famoso “Annuncio”.
Fortunato però, come aveva annunciato a Bonanno
voleva andare oltre. Desiderava anche dimostrare secondo
modalità e approcci sistematici, scientifici, da storico, che le
tesi costituenti il grande messaggio di suo fratello trovavano
effettivi e fondati riscontri storici. Pertanto, quella indicata da
suo fratello, sarebbe dovuta essere l’unica strada possibile e
percorribile per la Chiesa di Roma. Per far questo, però,
occorreva condurre approfondite e complesse ricerche
storiche. Era assolutamente necessario poter consultare fonti
di non facile accesso, non facilmente reperibili e scritte in
antiche lingue, ai più incomprensibili. Per questo motivo
pensò di ricorrere a un docente dell’università di Roma,
raffinato conoscitore di antiche lingue semitiche e di greco
ellenistico, che aveva avuto modo di conoscere tempo
addietro. Lo chiamò, gli chiese un incontro e si recò a Roma
per incontrarlo. Voleva proporgli un sodalizio. Avrebbero
insieme scritto un’opera storica unica che avrebbe dimostrato
senza ulteriori ombre di dubbio le tesi postulate.
Il docente lo accolse con molto calore, gli fece strada
fino al suo studio, si sedette su una comoda sedia dietro a una
pesante e ampia scrivania di legno massiccio e fece
141
Gaetano Tufano
accomodare il suo ospite su una delle due poltrone poste
davanti alla scrivania. Poi con gesti misurati, sapienti e
scrupolosi si accese la pipa e cominciò a tirare spargendo
tutt’intorno del buon profumo di tabacco olandese. Solo a
questo punto chiese al suo ospite il motivo della visita.
-“Ho intenzione di scrivere un’opera storica su Gesù Cristo.
Sto cercando aiuto, ho bisogno di accedere alle fonti in lingua
originale”. Confessò subito Fortunato.
-“Opera storica su Gesù? Ma che cosa vuole dimostrare?”
-“Avrà sentito parlare del famoso “Annuncio di Pietro II”.
-“Certamente. E’ stato un atto molto coraggioso, di potenziale
portata storica, ma penso che finirà nel nulla”.
-“Pietro II era mio fratello, voglio dimostrare storicamente le
sue tesi”.
-“Interessante. Se ha qualche particolare problema di
interpretazione dei testi, sarò lieto di aiutarLa, farò del mio
meglio”.
-“Per la verità contavo su una collaborazione, pensavo a
un’opera a quattro mani”.
Il docente si fece serio, si alzò lentamente dalla sua sedia,
passò lentamente davanti a Fortunato tirando alcune boccate
di fumo, poi appoggiò la pipa ancora accesa su di un
portapipe di legno da tavolo, si sedette sull’altra poltrona
posta proprio di fronte al suo interlocutore, appoggiò i gomiti
sulle ginocchia, strinse le mani per formare pugni, le portò
142
La verità è una bugia
proprio sotto il mento e vi appoggiò sopra la testa, e infine si
chinò in avanti verso Fortunato. A questo punto la sua testa si
trovava a dieci centimetri dalla testa di Fortunato che lo
osservava incuriosito da quella teatrale operazione. Il docente
fissò Fortunato negli occhi e con aria di chi la sa lunga,
chiese:
-“Che cosa crede di poter fare?”
-“Fortunato, un po’ disorientato da tutta quella inaspettata e
plateale manovra, rispose ingenuamente:
-“Semplicemente dimostrare la verità”.
-“E Lei crede di poterlo fare sic et simpliciter?”
Fortunato continuava a non capire.
-“Con il Suo aiuto penso proprio di si”.
-“Non facevo riferimento a difficoltà tecniche, io e Lei
potremmo scrivere qualsiasi opera storica. Mi dica, che cosa è
accaduto a Suo fratello?”
Lo sguardo di Fortunato si aprì, e rispose:
-“Capisco”.
-“Mi perdoni, professore, a chi ritiene possa giovare stabilire
la verità su tali argomenti? Ma, ancora più importante, io
credo che non troverà nessuno disposto a perdere il proprio
tempo a cercare di scoprire l’acqua calda, mi passi la
banalizzazione. Abbia pazienza, nessuno dotato di normale
senno spenderebbe mai anni di lavoro per dimostrare
143
Gaetano Tufano
l’inesistenza di Babbo Natale, con l’unico risultato, oltretutto,
di attirarsi le ire dei commercianti di Napapijri, e magari
anche quelle di torme di bambini inferociti perché Lei gli ha
distrutto un sogno. Caro professore, mi dispiace, ma non
posso proprio aiutarla”.
Fortunato, era attonito, ammutolito. Tutto si sarebbe
aspettato fuorché una reazione del genere. Si alzò, porse la
mano, ringraziò per il tempo dedicatogli e salutò
cordialmente. Il docente nel salutarlo gli disse: -“Non se la
prenda”.
Fortunato uscì da quel colloquio più determinato e
ostinato che mai. Era fuori di sé. Si rimproverava di essere
stato, come sempre, troppo polite. Forse sarebbe stato molto
meglio se gli avesse risposto: -“Ma è questo che Lei insegna
ai suoi studenti? Ma che cosa possono sperare di imparare da
Lei i suoi studenti? E perché allora non continuiamo ad
insegnare loro che il mondo è fatto a forma di tabernacolo
come affermava nel medioevo Cosma Indicopleuste? E’ una
bellissima immagine poetica e un impagabile argomento a
favore della religiosa cristiana, tanto nessuno dei nostri
studenti si alzerà in volo così in alto da accorgersi che è una
frottola.
Era così innervosito che non voleva restare a Roma un
minuto di più. Ma a volte sembra davvero che la fortuna aiuti
gli audaci. Mentre camminava velocemente in direzione della
fermata della metropolitana, un giovane gli chiese se sapeva
dove si trovasse una certa via. La via era proprio quella da cui
lui proveniva, dove abitava il docente appena incontrato.
144
La verità è una bugia
Fortunato notò che il giovane aveva sottobraccio un libro di
filologia classica e gli chiese se andasse a trovare il professor
Andretti. Il giovane spiegò che stava preparando con lui la
sua tesi. Fortunato si disse che il caso a volte non sta molto
attento a dissimulare i suoi fini. E confidò al giovane che
stava proprio cercando una collaborazione con un filologo di
lingue antiche. Qualche colloquio di reciproca esplorazione e
il sodalizio fu presto stabilito. Il mese successivo Fortunato e
Gabriele cominciarono a lavorare insieme.
Per circa un anno e mezzo, Fortunato con il valido
aiuto di Gabriele condusse alacremente, instancabilmente
approfondite ricerche storiche. Con il prezioso aiuto di amici
della comunità accademica, il nostro professore e il suo
nuovo amico e collaboratore, poterono accedere alle più
lontane fonti del protocristianesimo. In capo a un anno e
mezzo il lavoro fu completato. Fortunato si riteneva
sufficientemente soddisfatto dei risultati. Lui e Gabriele si
dissero che a meno di costruire una macchina del tempo che
consentisse loro di andare a vedere di persona come si erano
svolti taluni fatti, questo era quanto di meglio si potesse fare
sull’argomento.
Tutto questo, sempre posponendo la cruciale domanda
su cosa fare una volta completati tutti questi lavori. Fortunato
era comunque, indipendentemente da tutto, uno studioso,
sentiva che la verità doveva assolutamente essere stabilita.
Che cosa farne, però, di questa verità una volta afferrata,
rimaneva un fatto da decidere. Sapeva per certo che questa
decisione rimaneva per lui il compito più difficile, più
145
Gaetano Tufano
faticoso, più ingrato. Sapeva anche che laggiù, sul lago Inle,
alla fine aveva preferito non usarla la verità. Ripensava alle
promesse del cardinale Bonanno circa la canonizzazione di
suo fratello, si chiedeva la reale affidabilità delle promesse di
“quel dannato prete”.
Quando ebbe terminato tutti i lavori era oramai
primavera inoltrata. Erano passati quasi due interi anni dalla
morte di suo fratello e dall’inizio di tutta la sua personale
avventura. Fortunato, si sentiva affaticato. Erano stati due
anni molto intensi, aveva lavorato molto e aveva visto poco la
sua famiglia. Preso da quella che oramai riteneva una specie
di doverosa missione, in questi due anni, non sempre era
riuscito, come sua consuetudine, a passare tutti i giorni da
casa di Rebecca per vedere lei e le sue amatissime bambine.
Per trascorrere con loro la serata, per farsi raccontare com’era
andata la scuola, metterle a letto e raccontare loro bellissime
storie inventate al momento. Di tutto ciò, Fortunato, si
rammaricava molto. Era venerdì sera, il professore preparò la
sua borsa con il necessario per fermarsi a dormire per il fine
settimana a casa di Rebecca, con la sua famiglia, come
accadeva da sempre. Fortunato, in queste giornate, si mostrò
molto più gioviale e partecipe della vita della famiglia rispetto
agli ultimi due anni, durante i quali, forse preso dai suoi studi,
era apparso spesso preoccupato e taciturno. Era primavera
inoltrata, Fortunato propose di partire per il mare il sabato
mattina e di rientrare la domenica sera. Rebecca e le bambine
acconsentirono entusiaste. Fortunato era veramente felice di
stare con loro.
146
La verità è una bugia
Il lunedì successivo Fortunato aveva un impegno a
Roma. Un po’ meccanicamente, senza averne la piena
convinzione, come quando si mette in atto una azione decisa
tempo addietro e che ora non si ha voglia di rimettere in
discussione, passò dal suo appartamento e prese tutti gli
stampati e le copie elettroniche dei suoi scritti, frutto di tanto
lavoro. Decise di lasciare la sua auto in garage, non aveva
voglia di guidare, e salì sul primo treno per la capitale.
147
Gaetano Tufano
Millenni di polvere
Il treno era molto poco affollato, il professore aveva
occupato uno scompartimento pressoché vuoto. Approfittava
del tempo a disposizione per dare ancora una scorsa agli
stampati delle sue opere alla ricerca dei maledetti refusi, che
hanno la capacità di nascondersi, mimetizzarsi e annidarsi
dappertutto, quando qualcuno gli si sedette proprio di fronte.
Era un prete. Fortunato ebbe per la prima volta un senso di
fastidio nel vedere un rappresentante del clero. Fino a quel
momento, a pensarci bene, sebbene fosse sempre stato su
posizioni agnostiche, aveva sempre e comunque avuto
rispetto per i rappresentanti della Chiesa. Dopo uno stentato
saluto, cercò di non guardarlo ulteriormente, per evitare di
doversi intrattenere con lui. Ma uno degli stampati che aveva
148
La verità è una bugia
sulle gambe gli cadde per terra , il prete lo raccolse e, dopo
aver gettato un involontario sguardo alla copertina e aver
colto il titolo, lo riconsegnò al suo compagno di viaggio.
Fortunato ringraziò e cercò di immergersi nuovamente nella
sua lettura. Il prete però aveva indovinato dal titolo che si
trattava di studi storici sulla figura di Cristo e, giustamente
incuriosito, dopo un attimo di esitazione, domandò:
-“Voglia
perdonare
la
mia
indiscrezione,
involontariamente ho colto dal titolo che si tratta di un’opera
storica su Nostro Signore Gesù Cristo. Le posso chiedere se il
Suo studio apporta nuovi contributi riguardo a tesi, dati
storici, testimonianze o altro?”
Fortunato, dopo un attimo di riflessione, rispose seccamente:
-“Sì, Padre, di nuovo c’è la dimostrazione storica
dell’inesistenza del Suo Gesù, così come Lei lo conosce”.
Il prete non si scompose, evidentemente nella sua lunga
carriera dovevano essergliene capitate tante altre di situazioni
analoghe, con ogni genere di miscredenti.
-“Capisco. Dunque Lei ha speso tempo della Sua vita a
cercare di dimostrare quello che con tutta probabilità già
supponeva prima ancora di cominciare le Sue ricerche. Non è
così?”
-“E’ così, Padre. Ma, mi perdoni, non sono in vena di sofismi,
149
Gaetano Tufano
dove vuole arrivare?”.
-“Ha ragione, mi scusi, il fatto è che mi aspetterei che un ateo
o un agnostico convinto delle proprie posizioni, come
immagino Lei sia, desideri spendere diversamente il suo
tempo. Il tempo è prezioso per tutti e vale la pena di
spenderlo solo per cose necessarie, interessanti o utili. Mi
chiedevo Lei per quale di questi motivi ha speso il Suo
tempo”.
-“Dovendo scegliere tra le Sue categorie, direi che sono stato
mosso dalla necessità”.
-“Come sospettavo. Ho l’impressione che la necessità da cui è
stato animato altro non sia che un’esigenza di spiritualità.
Una spiritualità negata dalla sua ragione, ma che cerca in tutti
i modi di farsi largo attraverso le maglie della Sua razionalità,
anelando ad elevarsi al di sopra delle cose, alla ricerca del
sovrannaturale. Una esigenza di spiritualità che l’ha, di fatto,
costretta a spendere molto tempo della Sua vita chino su
antiche storie”.
-“La mia spiritualità è stata soffocata dalle bugie, Padre”.
-“Scusi se mi permetto, La trovo molto in collera nei
confronti della nostra religione. Se sono inopportuno, me lo
dica, La lascerò in pace”.
-“Perdoni la mia animosità, Padre, non è intesa nei Suoi
riguardi”.
-“Le posso chiedere che cosa Le ha fatto perdere la fede?”
150
La verità è una bugia
-“Una volta, fino a non molto tempo fa, ritenevo fosse a causa
della mia ragione non incline ad atteggiamenti fideistici ora,
dopo le mie ultime ricerche, si è aggiunta una causa
determinante e definitiva: è venuto a mancare il motivo
fondante della fede. Il Cristo, nella cui parola dovremmo
avere fede, secondo i miei studi, non trova gli adeguati e
necessari riscontri storici, pertanto, con nostro sommo
dispiacere viene a cadere ogni presupposto della fede”.
-“Cosa ne pensa della famosa ‘Scommessa di Pascal’? Non
ritiene tale argomento filosofico, sufficientemente
convincente, in assenza di prove adeguate alla Sua ragione?”
-“Padre, quell’argomento potrebbe avere un lontano senso nel
caso di dubbi sulla parola di Cristo, ma se il dubbio riguarda
l’esistenza stessa del redentore, concorderà con me che il
valore di tale ‘Scommessa’ si sgretola”.
-“Non del tutto: anche ammesso e non concesso che Nostro
Signore Gesù Cristo non sia esistito, ciò non vuol dire che
non esista un dio e quindi in ogni caso Le conviene credere,
piuttosto di correre i gravi rischi che comporta per la Sua
anima il non credere”.
-“Certamente. Lei ha perfettamente ragione, l’inesistenza
storica di Cristo nulla ha a che vedere con l’esistenza di un
dio. Deve però concordare con me, caro Padre, che in tal
caso, l’eventuale dio avrà attributi, con tutta probabilità,
completamente diversi da quelli stabiliti dalla sua
confessione. Inoltre, sono costretto a farle osservare che, con
il decadimento della figura storica di Cristo, tutta la morale
151
Gaetano Tufano
cristiana è messa in discussione. Pertanto, per quanto ne
sappiamo, potrebbe darsi il caso che di fronte a questo
eventuale dio, Lei potrebbe avere costumi meno appropriati
dei miei alle leggi di questo dio, potrebbe pertanto risultare
più in difetto di me ai suoi occhi. Non crede? Chi può dirlo”.
-“Non voglio discutere dei meriti che questo eventuale dio
sicuramente Le troverà, ma deve considerare che io, poiché
religioso, ho comunque vissuto una vita di dedizione al mio
prossimo, una vita fatta di carità, di amore e di compassione.
Avrò certo anche commesso dei peccati, ma pentendomi
sempre dei miei errori. Penso in ogni caso di poter affermare
di non aver fatto granché male nella mia vita”.
-“Caro Padre, Le faccio un banale esempio. Lei con tutta
probabilità, come Le concede la Sua religione, si ciberà di
carni animali, supponga per un attimo che la morale di questo
eventuale dio preveda di non uccidere, né tantomeno di
mangiare, nessun essere vivente, che cosa potrà dire, in tal
caso, a Sua discolpa?”
-“E va bene, concedo anche questo argomento a Suo favore.
Mi lasci però obiettare che, se non altro, essere cristiani, e
quindi osservare una morale che trova i suoi capisaldi nella
bontà, nella carità, nella compassione sia comunque da
considerarsi positivamente”.
-“Non posso concederglielo. Nessuno può escludere che
questo eventuale dio, creatore del nostro mondo e di tutti noi,
non sia un burlone, o un pasticcione o che abbia in realtà un
animo cattivo. Chi può dirlo?”
152
La verità è una bugia
-“La prego, non si può scherzare su Dio. Lei sta
bestemmiando”.
-“Ascolti, io non sto scherzando su Dio. Anzi sto proprio
lasciando al nostro eventuale dio la libertà di essere quello
che meglio gli aggrada. Immagine che in quanto Dio se lo
possa permettere”.
-“Lei gioca con le parole. L’esistenza di Dio…”
A questo punto Fortunato interruppe bruscamente il prete.
-“Ascolti, il punto per me non è se Dio esista o no. Per secoli
i filosofi si sono dibattuti con il problema dell’esistenza di
Dio. Penso a Sant’Anselmo, alla sua prova ontologica
dell’esistenza di Dio e alla rielaborazione che ne ha fatto
Cartesio. Penso alle cinque vie di Tommaso d’Aquino che
provano l’esistenza di Dio quale primo motore immobile,
rivisitato alla luce dei principi cristiani. Penso ai tentativi di
John Locke di dimostrarne l’esistenza per mezzo di inferenze
razionali che, basandosi su conoscenze intuitive, pervengono
alla conclusione dell’esistenza di Dio in quanto causa del
mondo e dell’intelligenza in esso presente: ex nihilo nihil fit.
Penso a Immanuel Kant che, pur postulandone l’esistenza dal
punto di vista morale, si è sforzato di confutare le tante
dimostrazioni che gli sono pervenute per la semplice ragione
che riteneva indimostrabile l’esistenza di Dio. Per arrivare più
vicino ai nostri giorni, penso alla dimostrazione che Kurt
Gödel, uno dei più grandi logici di tutti i tempi, ha tentato nel
1941 nel suo trattato ‘Ontologisches beweis’. Ma, caro Padre,
io credo che, di fatto, il problema dell’esistenza di Dio sia un
153
Gaetano Tufano
falso problema. Un problema futile, ozioso, vano,
inconcludente, persino stupido. Quand’anche attraverso
inoppugnabili, ineccepibili dimostrazioni logiche riuscissimo
a dimostrarne l’esistenza, cosa potremmo inferirne? Cosa
potremmo affermare su di lui, sulla sua natura, sui suoi fini, e
di conseguenza cosa ne sapremmo in più su di noi, sulle
nostre finalità, sul significato della nostra esistenza? A me,
caro Padre, non interessa sapere se Dio esista o no, a me
interessa sapere chi sono, perché sono qui, qual è il mio
scopo, qual è il senso della mia vita. E’ stato Dio a crearmi?
Ebbene, ne so quanto prima. A questo punto, ho bisogno di
sapere perché lo ha fatto? Che cosa vuole da me? Che cosa si
aspetta da me? Qual è lo scopo di questa mia esistenza? A
quale fine devo tendere? Quale deve essere la mia condotta su
questa terra? E a queste domande, caro padre, quand’anche
fossi certo dell’esistenza di Dio, non troverei alcuna risposta.
A questo punto, però, noi uomini, indipendentemente
dall’esistenza di Dio, abbiamo di fronte il non facile dilemma
di decidere le nostre azioni, di fare delle scelte etiche, di
fondare una morale. Una morale che, però, non derivi da falsi
miti, mio caro Padre. Occorre ripensare ad una libera morale,
che tenga conto delle tradizioni, ma non dei suoi pesanti
retaggi. Che affondi le sue feconde radici nella nostra storia,
senza però che ne venga mortalmente avviluppata. E se si
vuole tentare una morale che abbia parvenza di universalità,
occorre includere tutte le tradizioni, tutti i costumi e non solo
quelli occidentali. Mi dirà che questo è un compito difficile,
forse impossibile. Ebbene, visto che questo riguarda la nostra
stessa rappresentazione escatologica, che è cosa
innegabilmente più importante in assoluto per ciascun essere
154
La verità è una bugia
umano, perché lo coinvolge totalmente, poiché riguarda non
solo tutta la sua vita, ma anche la sua morte, e riguarda la vita
e la morte di tutti i suoi cari. Ebbene, caro Padre, rispetto
all’obiettivo di tentare risposte a questo genere di domande,
nessun compito deve sembrarci troppo arduo. Anzi, mi
verrebbe da dire che in questo caso, il peccato coincide con
l’abbandonarsi al lassismo morale, come conseguenza
dell’idea della non perseguibilità del fine preposto. Ma
veniamo alla Sua religione, Padre, essa ha dato delle risposte
a queste domande, è vero. Ma poiché i postulati su cui queste
risposte si basano sono, ahimè, crollati sotto il peso
schiacciante di prove che dimostrano la loro inattendibilità,
oggi queste risposte non sono più presentabili, e ben presto
non saranno più accettate. Esse, oggi, appaiono indecenti di
fronte ad una ragione che abbia mantenuto intatto il suo
pudore e la sua onestà intellettuale. E, caro Padre, la morale
che ancora oggi la Sua Chiesa si ostina a propinare ci appare
inadeguata, ricoperta da millenaria polvere, degna di essere
pietosamente consegnata alla Storia, dopo duemila anni di,
più o meno, onorato servizio”.
Fortunato si arrestò di colpo, aveva parlato
velocissimo, senza tregua, senza dare al suo compagno di
viaggio alcuna possibilità di replica, se ne rese conto e
terminò dicendogli: “Mi perdoni, forse sono stato un po’
brusco, non è mia abitudine. Forse sono solo stanco”.
Il prete era alquanto attonito, aveva gli occhi sbarrati,
restò in silenzio per interminabili istanti con lo sguardo fisso
sul suo interlocutore. Poi provò a dire:
155
Gaetano Tufano
-“Lei, mi pare di capire, è alla ricerca del Suo dio, una ricerca
che forse Lei, in ragione delle Sue facoltà intellettuali può
permettersi, ma pensi a quanti sarebbero perduti senza l’aiuto
della Chiesa. La Chiesa si erge a baluardo di dottrina riguardo
ai destini dell’uomo e dell’universo, cui tutti gli uomini
possono aggrapparsi in mancanza di altro”.
-“Mi dispiace, Padre, ma la Chiesa, non essendo nella verità,
non ha nessun ragionevole motivo di arrogarsi questo diritto.
E’ giunto il tempo in cui la Chiesa capisca che deve lasciare
nelle mani di ogni uomo le redini del suo destino”.
Nel frattempo il treno era entrato alla stazione Termini
di Roma e si stava fermando, il prete prese frettolosamente le
sue cose, salutò velocemente e scese dal treno di corsa,
rischiando di inciampare. Fortunato restò ad osservarlo dal
finestrino mentre correva, voltandosi di tanto in tanto.
156
La verità è una bugia
Epilogo
Fortunato scese dal treno con estrema calma. Si diresse
verso piazza dei Cinquecento. Era il tramonto. Il giorno
successivo sarebbe stato il secondo anniversario
dell’assassinio di Pietro II. Si fermò davanti alla piazza.
Amava questa città. Aveva sempre ritenuto piacevole fare
ritorno a Roma. Fortunato guardava i tetti arrossati dal sole
cadente, la gente affrettarsi alla ricerca dei taxi, o infilarsi nei
sottopassaggi che portano alla stazione metropolitana.
Guardava le auto e gli autobus incrociarsi, sorpassarsi,
fermarsi ai semafori e poi ripartire. Chiuse gli occhi per
assaporare il momento. Per un attimo gli sembrò che tutto
questo pullulare fosse l’unico senso della nostra vita: nascere,
correre con gli occhi bendati e morire, non c’è altro senso, si
157
Gaetano Tufano
disse, e se per caso un senso ci dovesse essere, sarebbe
davvero difficile trovarlo. Si rendeva conto che tutto il lavoro
fatto fin qui, iniziato da suo fratello e portato a termine da lui
e da Gabriele, era un solo lavoro di decostruzione di
millenarie impalcature. Che ora ci si trovava di fronte al
compito ben più arduo di ricostruire, di sostituire la logora
morale cristiana e la non più accettabile posizione fideistica,
con un’etica e una filosofia aconfessionali e scevre da
ossessioni ultraterrene. Consapevoli del mistero della vita
senza esserne soggiogate. Un’etica e una filosofia che, pur
dovendo postulare valori fondanti l’esistenza umana,
lasciassero spazio al vivifico attuarsi dell’infinito orizzonte
delle possibilità.
Osservò, ad una ad una, le facce che gli passavano
davanti chiedendosi quanti di loro fossero realmente credenti.
Quale significato rivestisse per loro la fede religiosa? Non era
forse per loro semplicemente una polizza assicurativa cui
demandare tutte le preoccupazioni e le ansie? Il manuale di
istruzioni mancante di questa nostra esistenza? Si chiedeva se,
e come, avessero sopportato il peso e la fatica di mettersi alla
guida della propria esistenza, fino ad oggi demandata ad altri.
Provava grande pena per tutti i suoi simili. Gli vennero
in mente dei versi di Guido Gozzano:
“…ma laggiù, oltre i colli dilettosi,
c'è il Mondo: quella cosa tutta piena
di lotte e di commerci turbinosi,
la cosa tutta piena di quei «cosi
con due gambe» che fanno tanta pena...” (2;4)
158
La verità è una bugia
Fortunato si scosse, doveva andare velocemente a cena
e subito dopo in albergo a dormire, il giorno successivo
sarebbe stato di grande importanza.
La mattina si svegliò di buon ora e ben riposato. Aveva
un appuntamento con una casa editrice con la quale aveva già
preso accordi precedentemente. Andò all’appuntamento con
tutto il prezioso, faticoso e pesantissimo fardello. Lo
consegnò. Ascoltò accondiscendente tutte le oziose
condizioni contrattuali e le proposte sulle percentuali di
royalty e le accettò senza battere ciglio, chiedendo solo di
dividere i compensi tra lui e Gabriele e di indirizzare i propri
a nome di sua moglie Rebecca per motivi fiscali.
Uscì dalla casa editrice rasserenato. Proprio come
quando dopo lungo tempo ci si liberi da un insopportabile
peso. Così, leggero e appagato, si avviò in direzione di via
delle Fratte per concedersi una buona cena dopo tante fatiche.
Si sedette al solito posto e ordinò distrattamente le sue
pietanze preferite. Il ristoratore che lo aveva riconosciuto
subito, gli chiese notizie della sua lunga assenza. Fortunato
non volendo suscitare curiosità sulle sue opere che
immancabilmente lo avrebbe esposto a domande sui
contenuti, pose soprattutto l’accento sul viaggio in Malaysia e
in Myanmar dell’anno precedente. Il ristoratore, ascoltata la
breve sintesi, gli disse: “Dottore la trovo più sereno, si vede
che questi viaggi che ha fatto le hanno fatto proprio bene”.
Fortunato sembrava effettivamente più sollevato rispetto al
solito. Si concesse addirittura di terminare la bottiglia di vino
159
Gaetano Tufano
bianco benché, pur apprezzando il vino, solitamente bevesse
sempre con moderazione.
Terminata la cena, rientrò a piedi in albergo,
lentamente. Salì senza indugi le scale, entrò in camera e
controllò se nel cassetto della scrivania la pistola che vi aveva
riposto fosse ancora al suo posto. Era lì, per fortuna. Si disse
che in effetti era stato un po’ incosciente a lasciarla così,
incustodita. Si sdraiò sul letto con la compiaciuta sensazione
di chi abbia assolto a tutti i propri doveri, senza aver nulla
lasciato in sospeso, senza aver nulla lasciato al caso.
La mattina dopo la signora delle pulizie, pensando che
la camera fosse vuota, entrò per rassettarla e vide Fortunato
disteso sul letto, in posizione supina, con gli occhi sbarrati e il
volto insanguinato.
160
La verità è una bugia
Parte Quarta
161
Gaetano Tufano
Quaderno di appunti di Pietro II
In questo quaderno di appunti ho voluto riportare
alcuni fra i principali dati, e loro fonti, che ho potuto acquisire
durante le mie insonni notti passate nella biblioteca del
Vaticano. Qui ho potuto accedere a una sconfinata quantità di
libri di tutte le epoche. Ho anche potuto accedere a libri messi
all'indice dalla Chiesa (Index librorum prohibitorum).
Iniziai allora il mio tentativo di acquisire più
approfondite conoscenze sulla storia della nostra Religione,
consultando febbrilmente volumi su volumi essendo
rimandato di continuo da questi a quel libro. Poi ho cercato di
procedere in modi più ordinati, imparando a mie spese quanto
sia infruttuoso un approccio poco sistematico. Ovviamente
non ho potuto colmare le lacune di una vita, così come non
posso dire di aver chiaro la storia della nostra Confessione,
162
La verità è una bugia
soprattutto a riguardo della figura di Gesù e della nascita del
Cristianesimo, ma penso di aver acquisito sufficienti
informazioni per poter affermare quale per certo non è la
verità. Su tali informazioni affondano le riflessioni che
intendo esternare durante il mio primo Angelus nella mia
nuova veste di guida della Santa Romana Chiesa.
Gli appunti che seguono non sono, non vogliono
essere, ma soprattutto non possono essere un elenco esaustivo
degli argomenti che riguardano la nostra Confessione, ma
sono degli elementi a mio parere significativi, che a mano a
mano procedevo nelle mie letture, ho voluto appuntarmi.
Essenzialmente ho voluto riportare a beneficio della mia
memoria solo i fatti che maggiormente hanno colpito la mia
sensibilità, la mia soggettività.
La letteratura che ho trovato su tali argomenti è
sconfinata. Essa attraversa gli ultimi due millenni e dunque
non bastano pochi mesi di affannata consultazione per
conoscerla tutta, ma soprattutto tale letteratura presume la
conoscenza delle lingue antiche: il greco, l'aramaico,
l'ebraico, il copto, il latino, pena l'impossibilità di accedere
direttamente alle fonti. Pur avendo le necessarie basi culturali,
occorrono, probabilmente, anni per arrivare a una esaustiva,
sistematica esegesi di tutte le fonti. Non avendone, occorre
affidarsi alle traduzioni e ai lavori dei tanti storici che hanno
affrontato tali argomenti. Ed è ciò che ho fatto, ma anche
questo non è compito facile. Una diversa interpretazione di
una parola, di un fatto conduce per strade che alla fine
raggiungeranno conclusioni opposte.
163
Gaetano Tufano
Mi sono reso conto in questi mesi di quanto il lavoro
dello storico sia difficile e importante. Quante volte in questi
mesi ho pensato a mio fratello Fortunato che di questo
mestiere ne ha fatto la sua vita. Forse se fossi ricorso a lui,
sarebbe per me stato molto più agevole arrivare alla verità,
ma non potevo né volevo coinvolgerlo in questo mio
progetto. A lui vanno comunque i miei ringraziamenti per gli
insegnamenti che a sua insaputa di tanto in tanto mi ha fornito
sul suo difficile mestiere. Inoltre, tornando a noi, occorre
considerare che, come dirà lo storico cristiano Rudolf
Schnackenburg, i dati storici sulla figura di Cristo sono del
tutto insufficienti. Da soli non bastano a confermarne
l'esistenza. Se dovessimo basarci solo su questi, il lavoro
sarebbe presto fatto e porterebbe a conclusioni definitive e del
tutto contrarie all'esistenza storica di Gesù. Esistono però le
sacre scritture, ma queste non sono di per sé materiale
affidabile per uno storico. Esse sono narrazione acritica di
fatti e personaggi che paiono vivere solo all'interno delle
scritture stesse con poche, insufficienti, inesatte e
contraddittorie relazioni con il mondo esterno. Taluni storici
le hanno assimilate a narrazione di miti. Affidarsi
acriticamente ad esse sarebbe come prendere per buona ogni
parola dell'Iliade, ivi compresa l'esistenza degli dei, solo
perché, Heinrich Schliemann, basandosi su di essa trovò
effettivamente il tesoro di Priamo. Inoltre le scritture
(considerando non solo quelle canoniche), a differenza dei
dati storici, sono numerosissime, scritte nell'arco di oltre due
o tre secoli, e, fatto ancora più importante, esse non
concordano sostanzialmente su nulla tra di loro. Non
concordano sui pur pochi dati biografici riportati sulla figura
164
La verità è una bugia
di Cristo, non concordano con i pur pochi riferimenti storici,
ma soprattutto neppure concordano sulla dottrina insegnata da
questo, oramai posso dire mitico, Gesù.
Dunque è così che devo concludere questa mia ricerca.
Una ricerca, iniziata per meglio prepararmi ad affrontare i
nuovi difficili compiti che la Chiesa mi stava affidando,
conclusasi con il crollo di ogni mia più profonda e sostanziale
convinzione.
Mi ritrovo oggi dunque, alla vigilia, del mio primo (e
probabilmente anche ultimo) Angelus con le mani vuote, solo.
Solo con la mia coscienza di uomo, solo con i miei dubbi di
uomo, solo di fronte a duemila anni di storia che mi guardano
grondanti di sangue, duemila anni di storia che chiedono
verità, giustizia.
I dubbi. Certamente ho dubbi. Mi chiedo che ne sarà di
quanti si affidano alle parole della Chiesa, di quanti trovano
in essa conforto nella malattia, nella miseria, nel dramma di
un'esistenza svuotata di quel senso cui la teleologia cristiana
aveva abituato.
Ripenso al conforto delle cerimonie funebri per i miei
cari genitori: la mia incommensurabile sofferenza per la loro
perdita era per un attimo lenita solamente per un istante dalla
recita del De profundis durante la liturgia funebre.
Ripenso in questo momento con affetto ai miei cari
fratelli rimasti nelle missioni: al caro frate Guglielmo così
mite, così intimamente pervaso di naturale bontà, al buon
frate Tommaso la cui estrema sensibilità rende così fragile, al
165
Gaetano Tufano
caro frate Alessio che aveva del mondo una così dolce visione
nonostante gli orrori cui a volte ci toccava assistere. Sono
sicuro però che loro mi comprenderanno, perché sanno qual è
lo spirito che mi anima e mi conoscono e sapranno per certo
che nessun diabolico miasma si è impadronito dei miei
pensieri. E penso che per loro, per noi, nulla comunque
cambierà perché l'amore per il nostro prossimo ci viene dal
profondo senso di comunione che sentiamo verso i nostri
simili.
Infine, debbo con forza affermare che la menzogna
non può sperare di trovare nessun ricetto presso di noi. E non
v’è nessuna plausibile giustificazione che consenta di
albergarla presso di noi. Poiché, se questa nostra esistenza, ha
un significato, e se noi desideriamo cercarlo, è solo tenendo
libera la mente e gli occhi da qualsiasi impostura che
possiamo sperare di trovarlo. E soprattutto, se un dio, in
qualche luogo, in qualche modo, dovesse esistere l'unica
speranza di trovarlo è liberarsi dai falsi miti.
Che Egli voglia aiutarci a trovarlo!
166
La verità è una bugia
Appunti di Pietro II
(1;0) Messe sataniche in Vaticano. Intervista a padre
Gabriele Amorth.
“Satanisti in Vaticano? «Sì, anche in Vaticano ci sono
membri di sètte sataniche». E chi vi è coinvolto? Si tratta di
preti o di semplici laici? «Ci sono preti, monsignori e anche
cardinali! ». Mi perdoni, don Gabriele, ma Lei come lo sa?
«Lo so dalle persone che me l’hanno potuto riferire perché
hanno avuto modo di saperlo direttamente. Ed è una cosa
‘confessata’ più volte dal demonio stesso sotto obbedienza
durante gli esorcismi». Il Papa ne è informato? «Certo che ne
è stato informato! Ma fa quello che può. E’ una cosa
agghiacciante. Tenga presente poi che Benedetto XVI è un
167
Gaetano Tufano
Papa tedesco, viene da una nazione decisamente avversa a
queste cose. In Germania infatti praticamente non ci sono
esorcisti, eppure il Papa ci crede: ho avuto occasione di
parlare con lui tre volte, quando ancora era prefetto della
Congregazione per la dottrina della fede. Altroché se ci
crede! E ne ha parlato esplicitamente in pubblico parecchie
volte. Ci ha ricevuto, come associazione di esorcisti, ha fatto
anche un bel discorso, incoraggiandoci e elogiando il nostro
apostolato. E non dimentichiamo che del diavolo e
dell’esorcismo moltissimo ne ha parlato anche Giovanni
Paolo II». Allora è vero quello che diceva Paolo VI: che il
fumo di Satana è entrato nella chiesa? «E’ vero, purtroppo,
perché anche nella chiesa ci sono adepti alle sètte sataniche.
Questo particolare del ‘fumo di Satana’ lo riferì Paolo VI il
29 giugno 1972. Poi, siccome questa frase ha creato uno
scandalo enorme, il 15 novembre dello stesso 1972 ha
dedicato tutto un discorso del mercoledì al demonio, con frasi
fortissime. Certo, ha rotto il ghiaccio, sollevando un velo di
silenzio e censura che durava da troppo tempo, però non ha
avuto conseguenze pratiche. Ci voleva uno come me, che non
valeva niente, per spargere l’allarme, per ottenere
conseguenze pratiche»“.
Pubblicato su “Il Foglio”, giovedì 25 febbraio 2010
(1;1) «Da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel
tempio di Dio.»
“Riferendosi alla situazione della Chiesa di oggi, il Santo
Padre afferma di avere la sensazione che «da qualche fessura
sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio». C’è il
168
La verità è una bugia
dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine,
l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida più della
Chiesa; ci si fida del primo profeta profano che viene a
parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per
rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula della vera vita. E
non avvertiamo di esserne invece già noi padroni e maestri. È
entrato il dubbio nelle nostre coscienze, ed è entrato per
finestre che invece dovevano essere aperte alla luce”.
Omelia di Paolo VI del 29 giugno 1972
(1;2) Primi integralismi da parte del cristianesimo appena
affermato.
“Tra il 315 e il sesto secolo furono perseguitati ed uccisi un
numero incalcolabile di pagani, numerosi celebri templi
pagani furono distrutti: il santuario di Esculapio nell’Egea, il
tempio di Afrodite a Golgota, i templi di Afaca nel Libano, il
santuario di Eliopoli. Nel 356 venne sancita la pena di morte
per chi praticava i riti pagani. L’imperatore cristiano
Teodosio fece persino giustiziare bambini, rei di aver giocato
coi resti delle statue pagane. All’inizio del quarto secolo, per
sobillazione di sacerdoti cristiani, fu giustiziato il filosofo
politeista Sopatro”.
Karl-Heinz Deschner, „Abermals krähte der Hahn“,
Stuttgart 1962.
(1;3) Distruzione del Serapeo.
“All'epoca Teofilo, il vescovo dei cristiani, «troneggiava
come una specie di Eurimedonte sui Giganti alteri», deplora
169
Gaetano Tufano
Eunapio.
E quegli esseri, accanendosi rabbiosamente sui luoghi a noi
sacri come muratori su rozza pietra [...], demolirono il
tempio di Serapide [...] e fecero guerra ai suoi tesori e alle
sue statue, sgominandole come avversari che non potevano
opporre resistenza”.
Silvia Ronchey, "Ipazia"
(1;4) Responsabilità di Cirillo nell'uccisione di Ipazia.
“...si legge in Suida,
Cirillo [...] avendo domandato che cosa mai fosse quella
folla, e il perché di un tale andirivieni intorno alla casa, si
sentì dire che era il giorno in cui Ipazia riceveva, che la casa
era la sua. Saputo ciò, Cirillo, si sentì mordere l'anima: fu
per questo motivo che organizzò ben presto l'assassinio di lei.
[....]
narra Suida con Damascio, che
Una
moltitudine
di
uomini
imbestialiti
piombò
improvvisamente addosso a Ipazia un giorno che come al
solito tornava a casa da una delle sue pubbliche apparizioni.
La figlia di Teone è tirata giù dalla carrozza e trascinata,
riferisce Socrate, «alla chiesa che prende il nome del cesare
imperatore» e cioè nel Cesareo, da poco trasformato in
chiesa cristiana. Qui,
170
La verità è una bugia
incuranti della vendetta dei numi e degli umani questi veri
sciagurati, massacrarono la filosofa,
denuncia il pagano Damascio, aggiungendo:
E mentre ancora respirava un po' le cavarono gli occhi.
E il cristiano Socrate:
La spogliarono delle vesti, la massacrarono usando cocci
aguzzi (ostraka), la fecero a brandelli. E trasportati quei resti
al cosiddetto Cinaron, li diedero alle fiamme”.
Silvia Ronchey , "Ipazia”
(1;5) Benedetto XVI e Cirillo:
“Alla morte dello zio Teofilo, l’ancora giovane Cirillo nel
412 fu eletto Vescovo dell’influente Chiesa di Alessandria,
che governò con grande energia per trentadue anni, mirando
sempre ad affermarne il primato in tutto l’Oriente, forte
anche dei tradizionali legami con Roma”.
Udienza generale di Benedetto XVI - Piazza San Pietro Mercoledì, 3 ottobre 2007
(1;6) Papa Leone XIII e Cirillo:
“Venerato come Santo sia in Oriente che in Occidente, nel
1882 san Cirillo fu proclamato Dottore della Chiesa dal
Papa Leone XIII”.
Udienza generale di Benedetto XVI - Piazza San Pietro Mercoledì, 3 ottobre 2007
171
Gaetano Tufano
(1;7) Le crociate.
“Le crociate tra il 1095 e il 1291 furono responsabili di circa
20 milioni di vittime secondo cronisti cristiani.
Uccisi tra i 10.000 e i 60.000 musulmani durante la conquista
di Antiochia.
Raimondo di Aguilers, cappellano di campo del conte di
Tolosa: «Sulle piazze si accumulano i cadaveri a tal punto
che, per il tremendo fetore, nessuno poteva resistere a
restare: non v’era nessuna via, in città, che fosse sgombra di
corpi in decomposizione».
Il 15 luglio dell'anno 1098, venne espugnata Gerusalemme,
morirono 60.000 persone, tra ebrei e musulmani, uomini,
donne e bambini.
Un testimone oculare riporta: «là (davanti al tempio di
Salomone) si svolse una tale mischia cruenta che i cristiani si
trascinavano nel sangue dei nemici fino alle nocche dei
piedi».
L’arcivescovo Guglielmo di Tiro: «Felici, piangenti per
l’immensa gioia, i nostri si radunarono quindi dinanzi alla
tomba del nostro salvatore Gesù, per rendergli omaggio e
offrirgli il loro ringraziamento… E non fu soltanto lo
spettacolo dei cadaveri smembrati, sfigurati, irriconoscibili, a
lasciar sbigottito l’osservatore; in realtà, incuteva sgomento
anche l’immagine stessa dei vincitori, grondanti di sangue
dalla testa ai piedi, sicché l’orrore s’impadroniva di tutti
172
La verità è una bugia
quelli che li incontravano».
Il cronista cristiano Eckehard di Aura testimonia che, ancora
durante l’estate successiva dell’anno 1100, «in tutta la
Palestina l’aria era appestata del lezzo dei cadaveri. Di
stragi siffatte nessuno aveva mai visto o udito l’uguale tra i
pagani».
Nella battaglia di Ascalona, il 12 agosto 1099, vennero uccisi
200.000 infedeli «in nome del nostro Signore Gesù Cristo»“.
Karl-Heinz Deschner, «Abermals krähte der Hahn»,
Stuttgart 1962.
(1;8) Crociata contro i catari.
“Nel 1208, per ordine del papa Innocenzo III - il massimo
genocida prima di Hitler - incominciò la crociata contro gli
eretici albigesi. La città di Beziérs (nel sud della Francia)
venne rasa al suolo il 22 luglio 1209, tutti gli abitanti
massacrati, compresi i cattolici, che avevano rifiutato
l’estradizione degli eretici. Il numero dei morti viene stimato
tra 20.000 e 70.000.
Nella stessa crociata, dopo la presa di Carcassonne (15
agosto 1209), caddero ancora migliaia di ribelli, e la stessa
sorte toccò a molte altre città.
Nei successivi vent’anni di guerra, tutta la regione fu
devastata, quasi tutti i Catari (quasi la metà della
popolazione della Linguadoca, nella Francia meridionale)
vennero sconfitti, lapidati, annegati, messi al rogo”.
173
Gaetano Tufano
H. Wollschläger, «Die bewaffneten Wallfahrten gen
Jerusalem», (I pellegrinaggi armati contro Gerusalemme),
Zürich 1973
(1;9) Parole del legato pontificio al seguito dei crociati.
“«Caedite eos! Novit enim Dominus qui sunt eius »,
Uccideteli tutti! Il Signore sceglierà i suoi”.
Rapporto di Amaury al papa, lettera dell'agosto 1209
(1;10) Massacro di Marmande. Crociata contro gli albigesi.
“Nel 1219 ci fu un'altro massacro ricordato «Chanson de la
Croisade Albigeoise».
«Corsero nella città, agitando spade affilate, e fu allora che
cominciarono il massacro e lo spaventoso macello. Uomini e
donne, baroni, dame, bimbi in fasce vennero tutti spogliati e
depredati e passati a fil di spada. Il terreno era coperto di
sangue, cervella, frammenti di carne, tronchi senza arti,
braccia e gambe mozzate, corpi squartati o sfondati, fegati e
cuori tagliati a pezzi o spiaccicati. Era come se fossero
piovuti dal cielo. Il sangue scorreva dappertutto per le strade,
nei campi, sulla riva del fiume »“.
Guilhèm de Tudèla, Gui de Cavalhon,"Chanson de la
Croisade Albigeoise", verso il 1213.
(1;11) Papa Paolo VI agli studenti.
Paolo VI ebbe a pronunciare ai giovani:
174
«siate onesti,
La verità è una bugia
cercate sempre, spingete i vostri dubbi sino alle estreme
conseguenze».
“«Prolungate sino al convincimento la vostra vigilia [di
studio e di ricerca], ma siate onesti, cercate sempre, spingete
i vostri dubbi sino alle estreme conseguenze»”
Paolo VI, “ Cappella dell'Università di Roma”, 1964
(1;12) Bolla Ad extirpanda.
Papa Innocenzo IV nel 1252 con la bolla «Ad extirpanda»
autorizzò l'uso della tortura durante l'istruzione dei processi.
« (26) Teneatur praeterea Potestas, seu Rector omnes
haereticos,quos captos habuerit, cogere citra membri
diminutionem, et mortis periculum, tamquam vere latrones, et
homicidas animarum, et fures sacramentorum Dei, et Fidei
Christianae, errores suos expresse fateri, et accusare alios
haereticos, quos sciunt, et bona eorum, et credentes, et
receptatores, et defensores eorum, sicut coguntur fures, et
latrones rerum temporalium, accusare suos complices, et
fateri maleficia, quae fecerunt.»
Canone 26 della bolla Ad Extirpanda
(1;13) Vittime dell'Inquisizione
“Dalla fondazione Nobel è stato calcolato che in quasi 500
anni di operato dell'inquisizione le vittime furono 56.000.000,
di cui 3.000.000 di donne accusate di stregoneria”.
Archivio sull’inquisizione della Fondazione Nobel –
175
Gaetano Tufano
Stoccolma
Archivio di stato di Bamberg – Baviera - Germania
Staatsbibliothek Bamberg – Deutchland
(1;14) Giovanni Paolo II chiede perdono per le vittime
dell'inquisizione.
"Oggi in San Pietro Giovanni Paolo II, dopo aver chiesto
sette volte perdono per le «colpe» storiche e attuali dei «figli
della Chiesa», abbraccerà e bacerà il Crocifisso: sarà il
gesto più originale del Grande Giubileo e forse l' atto più
importante di tutto l'attuale Pontificato. Quella di oggi si
chiama «giornata del perdono». Non tutti - nella Curia
romana e tra i cardinali - hanno condiviso l'intenzione del
Papa di procedere a questo «mea culpa» epocale,
riguardante duemila anni di storia, annunciata sei anni fa
con la lettera apostolica «Tertio millennio adveniente»
(Avvicinandosi il Terzo millennio). Ma toccherà proprio a
sette cardinali capi-dicastero leggere, durante la messa
papale di oggi, le sette «invocazioni» di perdono, a ognuna
delle quali risponderà il Papa con altrettanti impegni - a
nome della Chiesa - perché simili errori non vengano «mai
più» compiuti. La celebrazione (che sarà trasmessa in
Mondovisione da Rai 1) inizierà alle 9.30 con una
processione penitenziale, al canto delle «litanie dei santi».
Dopo una «statio» (cioè una sosta) davanti alla Pietà di
Michelangelo, la processione si avvierà all'altare, aperta
dalla Croce, seguita da sette candelabri e dal Libro dei
Vangeli. Dopo l'omelia - nella quale il Papa motiverà la
decisione di questo «atto penitenziale» senza precedenti
176
La verità è una bugia
storici - e dopo il «Credo», avrà luogo «la confessione delle
colpe e la richiesta di perdono». Si tratterà di una «preghiera
universale» simile a quella del venerdì santo, divisa in sette
invocazioni, intercalate dal canto del «Kyrie eleison»
(Signore pietà). La prima invocazione è come una premessa
generale: invita a confessare i peccati, a purificare la
memoria e a impegnarsi «in un cammino di vera
conversione». Seguono sei specifiche confessioni di peccato,
per altrettante «colpe» storiche e attuali, che illustriamo nei
riquadri di questa pagina: peccati commessi usando la forza
e la violenza a servizio della fede, nelle divisioni tra Chiese
accompagnate da scomuniche e persecuzioni, con
l'antigiudaismo che ha dato luogo a vere e proprie
persecuzioni degli ebrei, operando conversioni forzate,
predicando la sottomissione delle donne e giustificando lo
schiavismo, rendendosi corresponsabili di ingiustizie
sociali”. […] “«Memoria e riconciliazione, la Chiesa e le
colpe del passato» I PECCATI L' intolleranza, le violenze e i
soprusi durante le Crociate e nell' Inquisizione «Peccati
commessi nel servizio della verità: intolleranza e violenza
contro i dissidenti, guerre di religione, violenze e soprusi
nelle crociate, metodi coattivi nell' inquisizione»”
(Testi a cura di Luigi Accattoli)
Pagina 9 (12 marzo 2000) - Corriere della Sera
Archivio storico del Corriere della Sera
177
Gaetano Tufano
(1;15) Vanini
« Empio osarono dirti e d'anatemi
oppressero il tuo cuore e ti legarono
e alle fiamme ti diedero. O uomo
sacro! perché non discendesti in fiamme
dal cielo, il capo a colpire ai blasfemi
e la tempesta tu non invocasti
che spazzasse le ceneri dei barbari
dalla patria lontano e dalla terra!
Ma pur colei che tu già vivo amasti,
sacra Natura te morente accolse,
del loro agire dimentica i nemici
con te raccolse nell'antica pace. »
F. Hölderlin, «Tutte le liriche», Milano, 2001
(1;16) Ora terza, secondo Marco evangelista a quest'ora
Gesù sarà crocifisso.
«Marco 15:25 - Or era l'ora di terza, quando lo
crocefissero.»
Vangelo secondo Marco
(1;17) Giovanni che fissa l'ora della crocifissione a
mezzogiorno, ovvero intorno all'ora sesta, il 7 aprile del 30
d.C.
«Giovanni 19:14 - (or era la preparazione della pasqua, ed
era intorno all'ora sesta); e disse a' Giudei: Ecco il vostro
Re.
178
La verità è una bugia
Giovanni 19:15 - Ma essi gridarono: Togli, togli,
crocifiggilo. Pilato disse loro: Crocifiggerò io il vostro Re? I
principali sacerdoti risposero: Noi non abbiamo altre re che
Cesare.»
Vangelo secondo Giovanni
(1;18) Ed è subito sera
« Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera. »
Salvatore Quasimodo, «Ed è subito sera», Milano 1942
(1;19) Posizione storico cristiano sull'esistenza di Gesù
Cristo.
«Mediante gli sforzi della ricerca coi metodi storico-critici
non si riesce o si riesce solo in misura insufficiente a
raggiungere una visione affidabile della figura storica di
Gesù di Nazareth»
Rudolf Schnackenburg, «La persona di Gesù Cristo nei
quattro Vangeli»
(1;20) Giuseppe Flavio: «Testimonium Flavianum». Molti
storici ritengono questo passo una interpolazione successiva
di copisti cristiani. Alcune delle prove riguardano differenze
di stile e il fatto che Origene, pur conoscendo le opere di
Giuseppe Flavio, sostiene che questi non conoscesse la figura
di Cristo.
179
Gaetano Tufano
«A quel tempo visse Gesù, un uomo saggio, se pure si può
chiamarlo uomo: perché compì opere straordinarie, e
insegnò a coloro che amavano la verità. Egli portò a sé molti
Ebrei e molti Gentili. Egli era il Cristo. E quando Pilato udì
che era accusato dai nostri governanti, lo condannò alla
croce. Coloro che lo avevano amato dagli inizi non persero la
fede in lui, ed egli apparve loro redivivo i terzo giorno,
perché i profeti avevano previsto questa e altre mille
meraviglie su di lui. E la tribù dei Cristiani, che prende il
nome da lui, non si è estinta fino a oggi.»
Giuseppe Flavio, «Le Antichità Giudaiche».
Storici contemporanei
e appena successivi di Gesù.
Insufficienza di dati storici esterni alle sacre scritture.
"Nei documenti storici contemporanei o poco successivi
all'epoca di Gesù, di lui non si parla mai. In seguito, solo
quattro storici fanno qualche riferimento: Flavio Giuseppe,
Plinio il Giovane, Svetonio e Tacito. [...] Questi sono dunque
i brani non cristiani dell'antichità che citano in qualche
maniera Gesù: certamente troppo pochi, vaghi e indiretti, per
poter costituire una convincente prova esterna della sua
esistenza”.
Piergiorgio Odifreddi, «Perché non possiamo essere
cristiani»
(1;21) Benedetto XVI concorda che la fede necessita di
fondamenta storiche.
«Per la fede biblica, infatti, è fondamentale il riferimento a
180
La verità è una bugia
eventi storici reali [....] Se mettiamo da parte questa storia, la
fede cristiana in quanto tale viene eliminata e trasformata in
un altra religione».
Benedetto XVI, «Gesù di Nazareth», BUR, Marzo 2011
(1;22) Vittime del cristianesimo nel Nuovo Mondo.
"Su ogni isola su cui mette piede Colombo traccia una croce
sul terreno e «dà lettura della rituale dichiarazione ufficiale»
(il cosiddetto Requerimiento) al fine di prender possesso del
territorio da parte della Spagna, nel nome dei suoi Cattolici
Signori. Contro di che «nessuno aveva da obiettare».
Qualora gli Indios negassero il loro assenso (soprattutto
perché non comprendevano semplicemente una parola di
spagnolo), il Requerimiento recitava così:
«Con ciò garantisco e giuro che, con l’aiuto di Dio e con la
nostra forza, penetreremo nella vostra terra e condurremo
guerra contro di voi (…) per sottomettervi al giogo e al
potere della Santa Chiesa (…) infliggendovi ogni danno
possibile e di cui siamo capaci, come si conviene a vassalli
ostinati e ribelli che non riconoscono il loro Signore e non
vogliono ubbidire, bensì a lui contrapporsi»"
D. Stannard, «American Holocaust», Oxford University
Press 1992.
(1;23) Vittime del cristianesimo nel Nuovo Mondo.
"Intanto, prima ancora che si venisse alle armi, due terzi
181
Gaetano Tufano
della popolazione indigena cadeva vittima del vaiolo
importato dagli Europei. Il che era interpretato dai cristiani,
manco
a
dirlo,
come
«un
segno
prodigioso
dell’incommensurabile bontà e provvidenza di Dio»!.
Così, ad esempio, scriveva nel 1634 il governatore del
Massachussets: «Quanto agli indigeni, sono morti quasi tutti
contagiati dal vaiolo, e per tal modo il SIGNORE ha
confermato il nostro diritto ai nostri possedimenti».
Sulla sola isola di Hispaniola, dopo le prime visite di
Colombo, gli indigeni Arawak - un popolo inerme e
relativamete felice che viveva delle risorse del loro piccolo
paradiso - lamentarono presto la perdita di 50.000 vite.
In pochi decenni, gli Indios sopravvissuti caddero vittime di
assalti, stragi, strupri e riduzione in schiavitù da parte degli
Spagnoli.
Dalla cronaca d’un testimone oculare: «Furono uccisi tanti
indigeni da non potersi contare. Dappertutto, sparsi per la
regione, si vedevano innumerevoli cadaveri di indiani. Il
fetore era penetrante e pestilenziale».
Il capo indiano Hatuey riuscì a fuggire col suo popolo, ma fu
catturato e bruciato vivo. «Quando lo legarono al patibolo,
un frate francescano lo pregò insistentemente di aprire il suo
cuore a Gesù affinché la sua anima potesse salire in cielo
anziché precipitare nella perdizione. Hatuey ribatté che se il
il cielo è il luogo riservato ai cristiani, lui preferiva di gran
lunga l’inferno»“.
182
La verità è una bugia
D. Stannard, «American Holocaust», Oxford University
Press 1992.
(1;24) Vittime del cristianesimo nel Nuovo Mondo.
“«La popolazione dell’isola, stimata di circa otto milioni
all’arrivo di Colombo, era scemata già della metà o di due
terzi, ancor prima che finisse l’anno 1496». Finalmente, dopo
che gli abitanti dell’isola furono quasi sterminati, gli
Spagnoli si videro “costretti” a importare i loro schiavi da
altre isole dei Caraibi, ai quali toccò peraltro la medesima
sorte. In tal modo «milioni di autoctoni della regione
caraibica vennero effettivamente liquidati in meno d’un
quarto di secolo».
«Così, in un tempo minore della durata normale d’una
esistenza umana, fu annientata un’intera civiltà di milioni di
persone che per migliaia di anni erano stanziate nella loro
terra»“.
D. Stannard, «American Holocaust», Oxford University
Press 1992.
(1;25) Vittime del cristianesimo nel Nuovo Mondo.
"Hernando Cortez, Francisco Pizarro, Hernando De Soto e
centinaia di altri Conquistadores spagnoli saccheggiarono e
annientarono - in nome del loro Signor Gesù Cristo - molte
grandi civiltà dell’America centrale e meridionale (De Soto
saccheggiò inoltre la Florida, regione « fiorente»).
«Mentre il secolo XVI volgeva al termine, quasi 200.000
spagnoli si erano stabiliti nel Nuovo Mondo. In questo
183
Gaetano Tufano
periodo, in conseguenza dell’invasione, si stima che avessero
già perso la vita oltre 60 milioni di indigeni»“.
D. Stannard, «American Holocaust», Oxford University
Press 1992.
(1;26) Citazione di Mosè
«Delle città di questi popoli, che il Signore tuo Dio ti dà in
retaggio, non devi lasciare in vita nulla di quanto respira. Ma
dovrai invece destinarle alla distruzione, così come il Signore
tuo Dio ti ha dato per dovere»
«Mosé», V 20
(1;27) Vecchio Testamento. Il sostantivo dio nel vecchio
testamento è scritto al plurale, ad indicare un origine
politeistica.
"...Bershit barà Elohim il verbo barà è singolare, ma il
soggetto Elohim è plurale. La traduzione corretta dovrebbe
dunque essere: «In principio gli dei creò il cielo e la terra».
[...] che cosa significa, infatti, che fin dalla sua prima
apparizione biblica «Dio» si manifesti in realtà come «gli
dei»? [...] Qualche cristiano se la cava dicendo che un
sostantivo plurale retto da un verbo singolare è una
prefigurazione della Trinità: di un dio, cioè, che dovrebbe
essere allo stesso uno e molti. Ma chi non crede ammetterà
che il plurale è un fossile del politeismo che vigeva nella
terra di Canaan, e che fu evidentemente ereditato dagli Ebrei
del regno settentrionale di Israele.
184
La verità è una bugia
Piergiorgio Odifreddi, «Perché non possiamo essere
cristiani»
(1;28) Commenti di Bertrand Russell sulla morale cristiana.
"Frasi di questo genere hanno recato paura e terrore
all'umanità, e non mi sento di riconoscere un'eccezionale
bontà in chi le pronunciò. E ancora: «Il Figlio dell'Uomo
invierà i suoi angeli, ed essi raduneranno tutti gli operatori di
iniquità e li getteranno nella fornace ardente. Ivi sarà pianto
e stridor di denti». [...] Ai cattivi dirà: «'Andate via da me,
maledetti, nel fuoco eterno.' E questi andranno nel fuoco
eterno»“.
Bertrand Russell, «Perché non sono cristiano», Longanesi,
Milano, 1960
(1;30) Cronache dal Vaticano.
“Ieri mattina sono andato alla Sistina a votare
tranquillamente. Mai avrei immaginato quello che stava per
succedere!”, è il 26 agosto 1978 quando Albino Luciani
pronuncia queste parole. Il 28 settembre muore. Il referto
parla di “infarto miocardico acuto”. E all’inizio nessuno
dubita. Quel Papa dai modi miti, si dice, stroncato da una
tensione insostenibile.
Il tempo, però, rivela altro: Luciani si preparava a essere un
Pontefice innovatore, con il desiderio di riportare la Chiesa
alla semplicità originaria. Un impegno, però, che doveva
scontrarsi le influenti gerarchie vaticane abituate a gestire
185
Gaetano Tufano
potere e centinaia di miliardi. Saranno le inchieste
giornalistiche a pronunciare per la prima volta la parola
‘omicidio’. Ne parlerà a Paolo Borsellino anche un pentito di
mafia, Vincenzo Calcara. Emersero così alcune circostanze
mai chiarite: alla morte di Luciani fu deciso di non effettuare
l’autopsia. Non fu mai chiarito del tutto chi ritrovò il corpo.
Si raccontò poi di un incontro che il Papa aveva appena
avuto per verificare le finanze della Chiesa. Infine, si è
parlato della lista di nomine (e rimozioni) che avrebbe dovuto
essere comunicata proprio il giorno della morte.
Piazza San Pietro, 13 maggio 1981, attentato a papa Wojtyla
. L’unica cosa certa è che a sparare fu Mehmet Ali Agca
(condannato all’ergastolo e graziato nel 2000). Le sue
dichiarazioni contraddittorie hanno lasciato intravvedere
perfino complici in Vaticano. L’ipotesi più seguita parla di un
attentato progettato dal Kgb insieme con la Stasi della
Germania Est. I servizi comunisti si sarebbero serviti di
terroristi bulgari e dei Lupi Grigi turchi. Ma il pentito
Calcara sosteneva che la mafia aveva avuto un ruolo nella
vicenda.
A gettare una luce – o un’ombra – diversa sui gialli del
Vaticano sono gli scandali che vedono collegati Ior (l’Istituto
Opere Religiose), Paul Marcinkus, Michele Sindona e P2.
Dalle inchieste sul crack emerse che lo Ior avrebbe fornito
una copertura per drenare 1. 500 miliardi dalle casse
dell’Ambrosiano. Non solo: Calcara sostenne che Marcinkus
era a contatto anche con ambienti di Cosa Nostra. Uno
scandalo, quello del Banco Ambrosiano, finito nel sangue con
186
La verità è una bugia
le morti di Roberto Calvi, della sua segretaria e di Michele
Sindona. Oltre a Giorgio Ambrosoli che stava cercando di
fare chiarezza sull’Ambrosiano. E Marcinkus? Annullata
sulla base dei Patti Lateranensi la richiesta di estradizione,
morì con i suoi segreti a Sun City, in Arizona, a 84 anni.
Emanuela Orlandi ha 15 anni quando scompare il 22 giugno
1983. Da quel giorno comincia una storia infinita di
depistaggi, di piste che non si sa mai se siano vere o false. È
Giovanni Paolo II nell’Angelus del 3 luglio 1983 a dire per
primo pubblicamente che si tratta di un sequestro. Intanto è
un supplizio continuo di telefonate anonime. Prima tocca a
Pierluigi e Mario (telefonisti legati, pare, alla Banda della
Magliana) che vorrebbero far credere alla fuga. Poi tocca a
un uomo dall’accento americano che qualcuno sostiene fosse
Marcinkus. Quindi spunta il possibile collegamento con la
Magliana che si dice volesse chiedere la restituzione dei
miliardi investiti nello Ior. I testimoni raccontano di aver
visto Emanuela per l’ultima volta a due passi dalla Basilica
di Sant’Apollinare. C’è chi sostiene che fosse con un uomo
che somigliava a Renatino De Pedis, uno dei capi della
Banda. Proprio lui che incredibilmente è sepolto all’interno
della Basilica. Sabrina Minardi, ex moglie del giocatore
Bruno Giordano in quegli anni legata a De Pedis, sostiene di
aver assistito alla sepoltura di Emanuela. Agca invece
assicura: ‘Emanuela è viva’. Un sedicente ex agente del
Sismi sostiene si trovi in un manicomio inglese. Mille piste,
nessuna verità.
Alois Estermann viene nominato capo delle Guardie Svizzere
187
Gaetano Tufano
la mattina del 4 maggio 1998. La sera viene ucciso con la
moglie Gladys Meza Romero e con la guardia Cedric Tornay.
La soluzione ufficiale del giallo arriva dopo poche ore di
indagine condotta tutta dentro le Mura Vaticane: Tornay era
un ragazzo instabile, fumava canne. Aveva una cisti nel
cervello che lo avrebbe reso più aggressivo. Cedric avrebbe
ucciso Estermann per vendicarsi di una promozione negata.
La moglie dell’ufficiale si sarebbe trovata nel posto
sbagliato. Un mare di prove (troppe hanno pensato in molti).
Testimoni che spariscono e riemergono anni dopo accanto al
Papa.
Il 27 marzo 2011 monsignor Carlo Maria Viganò, all’epoca
segretario generale del Governatorato (che gestisce le casse
vaticane) scrive a Benedetto XVI. Viganò, chiamato un anno
prima dal Papa a rimettere in sesto le finanze vaticane,
lancia un allarme: vogliono di rimuovermi, (sic) ma “un mio
trasferimento provocherebbe smarrimento in quanti hanno
creduto fosse possibile risanare tante situazioni di corruzione
e prevaricazione”. Viganò ha portato i conti da 8 milioni di
perdite a 34, 4 di avanzo. Il monsignore accusa “grandi
banchieri che sono risultati fare più il loro interesse che i
nostri”. Il 18 ottobre Viganò viene nominato nunzio
apostolico a Washington dal segretario di Stato, Tarcisio
Bertone. Una destinazione di prestigio. E lontana dai conti
del Vaticano. Ma il programma ‘Gli Intoccabili’ scopre la
storia”.
Ferruccio Sansa, «Il Fatto quotidiano», 10 febbraio 2012
(1;31) Posizione di Tommaso d'Aquino sulla pena di morte.
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La verità è una bugia
Tommaso d'Aquino nella sua «Summa Theologiae afferma»:
«Per quanto riguarda gli eretici, essi si sono resi colpevoli di
un peccato che giustifica che non solo siano espulsi dalla
Chiesa con l'interdetto, ma anche che vengano allontanati da
questo mondo con la pena di morte».
Tommaso d'Aquino, «Summa Theologiae»
189
Gaetano Tufano
Note
(2;1)
Espressione inserita in una formula di esorcismo.
«Crux sancta sit mihi lux
Non draco sit mihi dux
Vade retro satana
Numquam suade mihi vana
Sunt mala quae libas
Ipse venena bibas»
Traduzione:
«Croce santa sia la mia luce, non sia il drago la mia guida,
retrocedi, Satana, non tentare mai di persuadermi, sono cose
vane, sono cose male quelle che offri, bevi tu stesso i veleni».
(2;2)
«Attesto che non v'è dio se non Iddio (due volte)
Attesto che Muhammad è l'Inviato di Dio (due volte)
Orsù alla preghiera (due volte)
Orsù alla salvezza (due volte)
Iddio è Sommo (due volte)
Non v'è dio se non Iddio».
(2;3)
«Non uscire fuori di te, ritorna in te stesso:
nell’interiorità dell’uomo abita la verità,
190
La verità è una bugia
e se troverai la tua natura mutabile,
trascendi anche te stesso».
Aurelio Agostino, “De vera religione”
(2;4)
Guido Gozzano, da “I Colloqui” La Signorina Felicita.
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L’AUTORE
Gaetano Tufano vive e lavora nei pressi di Milano. E’ manager in una
multinazionale di prodotti e servizi informatici, ma ha dedicato molta
parte della sua vita alle sue passioni: la letteratura, la poesia e la filosofia.
Questo romanzo è il frutto di appassionate riflessioni sulle religioni in
generale e, in particolare, sul cristianesimo e sulle sue mistificazioni.
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La verità è una bugia
Ringraziamenti
A Fausto per la consulenza storica e filosofica, per gli incoraggiamenti e
il supporto morale
A Valentina per la veste grafica
A Giada e Ambra per aver sempre prontamente distolto l’attenzione
dalla loro preziosa attività ludica per darmi consulenza sui nomi
A Monica per i preziosi consigli
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Gaetano Tufano
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La verità è una bugia
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