Lisa. Paolo. Sara. Ed io.

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Lisa. Paolo. Sara. Ed io.
Lisa. Paolo. Sara. Ed io.
Elio A. Farina
Lisa. Paolo. Sara. Ed io.
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CARERE DEBET OMNI VITIO
QUI IN ALTERUM DICERE PARATUS EST.
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Immagine di copertina: Giulia Vilasco.
Versione: brtitrb1501 ver 1.0 - 2015/04/18.
Lisa.
Allora lo stiamo facendo? disse Lisa.
isa era molto sicura. Paolo si era fin da subito dimostrato disponibile: sì, va bene, facciamolo. Certo non era facile, non tanto
per l’atto in sé, quanto per la gestione dell’emotività. Si trattava
pur sempre di fare un bambino, con tutte le responsabilità che
comporta, che porta e che avrebbe portato e quell’emotività era qualcosa a cui non era ancora preparata, e che voleva avere sotto controllo,
che doveva avere sotto controllo. Ma nonostante tutto questo, sapeva
di volerlo fare. O, forse, soprattutto per tutto questo.
L
Lisa capiva tutte le preoccupazioni di Paolo: mettere al mondo un
figlio.
Un figlio.
In questo mondo.
Assumersi delle responsabilità.
Diventare maturi.
Non è come scegliere di cambiarsi d’abito o di pettinatura.
Ma non erano queste le preoccupazioni maggiori verso cui andavano i nostri pensieri. Lisa si sentiva bene, era nell’età giusta, se un’età
giusta esiste, non aveva nessun problema fisico ed economicamente poteva permetterselo senza troppi pensieri ulteriori. Forse questa è una
descrizione troppo razionale, ma bisogna fare i conti con tutto quando
si prendono certe decisioni.
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Se vogliamo una descrizione meno fredda possiamo provare questa:
Lisa amava e si sentiva amata e protetta. Si può dire che non è poco, no?
Paolo era davvero maturo, perfetto, serio, responsabile, avrebbe voluto bene a tutti, per sempre. Lisa era sicura di questo, si sentiva matura, perfetta, seria, responsabile, e voleva bene a Paolo. Sapeva che la
loro relazione era stabile, era piena d’amore, non era lo stereotipo di
nessuna coppia da film o da pubblicità, o da manifesto politico. Erano,
semplicemente, loro. E nessuno avrebbe potuto giudicare, nessuno ha
mai, né avrebbe mai potuto, fare alcun commento sulle loro scelte: si
volevano bene e questa era l’unica cosa che contasse veramente.
Si erano conosciuti all’università, a giurisprudenza: lui si vedeva come giudice, voleva cambiare il mondo, lei come avvocato, voleva difendere il mondo. Durante gli anni di studio, prima che la laurea arrivi, i
ragazzi maturano e diventano adulti, le passioni inevitabilmente cambiano, l’impeto giovanile un po’ si smorza, i caratteri si affinano. Ma
cambiano insieme, Lisa e Paolo, sono cresciuti insieme in questo passaggio, ed è venuto naturale volersi bene. Molti gli interessi in comune,
un certo modo di scherzare e prendersi sempre in giro, una certa affinità a relazionarsi con il mondo e una certa complicità di coppia che solo
pochi possono sperimentare così pienamente. Questo cammino insieme li ha portati a fare entrambi gli avvocati, non si sa se per rinuncia
di Paolo o per influenza di Lisa: non bisogna sottovalutare l’influenza
di Lisa su Paolo!
Si sono sempre trovati bene. Lisa ha un carattere molto forte, quasi maschile, mentre Paolo è molto dolce. In un certo senso Lisa dà a
Paolo quella piccola parte maschile che gli manca, e Paolo restituisce
un po’ di femminilità a Lisa. Funziona, anche se suona molto strano,
fuori dal tempo e disfunzionale. Si completano, e questo a loro è sempre bastato. E sinceramente anche a noi, che li osserviamo da fuori e li
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conosciamo molto bene. Sono una coppia diversa dalle altre, non vi è
dubbio, ma ti fanno capire cosa serva veramente per volersi bene.
Si sono sempre trovati. Si sono sempre cercati. Quando Lisa ha bisogno di qualcuno, il primo nome in rubrica da chiamare è Paolo. Paolo. Un alfabeto stravolto per permettere al suo nome di essere il primo,
in cui l’ordine è dato dagli affetti, e non dalle lettere. Non c’è neanche
bisogno di cercarlo: rubando il cellulare a Lisa, Paolo risulta essere sempre fra le ultime due chiamate, terzo solo se c’è stata una intensa giornata di lavoro. Paolo. Non importa il resto. Non importano gli altri. È
così anche per lui. Mai scelta poteva essere migliore che quella di essere affiancata da una persona che soprattutto è un amico e, sì, il primo
della lista.
Quando Lisa ha posto a Paolo la domanda, Paolo ha risposto di
sì, così, senza pensarci, come se ormai, dopo anni, fosse nell’aria e il
momento fosse quello giusto. Come se qualunque momento fosse diventato quello giusto, che mancasse soltanto dirselo, e poi farlo. Forse
è stato il carattere maschile di Lisa a prendere il sopravvento e a far sì
che si proponesse lei.
Lo chiederò io a Paolo, ci disse.
Pensammo subito che fosse la cosa più naturale, quasi scontato, come se non ci fosse stato bisogno di ribadirlo: doveva essere così, i ruoli
sono sempre stati quelli.
E Lisa è felice. Felice per tutto: per lei, per il bambino, per Paolo,
per noi. È di una felicità contagiosa, ed era da tanto che non la vedevo
così, forse addirittura dall’università, nel periodo in cui conobbe me,
e poi Sara. Non che Lisa non sia una persona ottimista e sorridente: lo
è sempre. E non che Lisa non sia contagiosa: è un virus che ti aggredisce e per cui non c’è cura. In parte è perché ha rilassato le esuberanze
giovanili per vestire una più pacata divisa di lavoro. E poi perché ognu3
no di noi è fatto anche di momenti meno ottimisti e meno sorridenti,
è fatto anche di serietà e di controllo, di ruoli e istituzioni. A volte la
felicità è di facciata, anche se sincera. A volte è costruita, artefatta. A
volte è comandata dalla situazione, e non da uno stato d’animo interiore. Questa però non è una felicità banale, una felicità momentanea,
un godere di un momento che passa e che anticipa solo il riportarti alla
normalità, uno stato dell’anima che prima o poi verrà soppiantato da
altri stati nell’eterna alternanza delle emozioni. Come se le nostre sensazioni fossero sempre così, come se fossero gli eventi che ci circondano
a comandare cosa noi dobbiamo provare. Perché divertirsi ed essere allegri non corrisponde sempre all’essere felici. Questa volta no, non è
una di quelle: questa è come un pezzo di memoria che non puoi cancellare. Lisa non è divertita o allegra. No. Lisa è felice. È invasa da un
tipo di felicità che fa radici, e anche nei momenti più tristi, e negativi,
in quegli istanti bui che spengono tutte le emozioni positive che puoi
provare, quella felicità, quel tipo di felicità, comunque, non svanisce.
E se sei bravo a farla riaffiorare alla memoria quando serve, allora, beh,
puoi solo guardare avanti con ottimismo.
Ma Lisa è anche mille pensieri. È naturale, no? Non potrò mai essere nella sua testa, posso solo capirlo di riflesso.
Nei pensieri di Lisa il sesso era il sesso. Puoi chiamarlo come vuoi,
ma rimane pur sempre sesso. Se non piace, se quella parola ti opprime,
allora puoi chiamarlo fare l’amore. Ma il sesso per fare figli le suonava
un po’ diverso, dal fare l’amore. Forse perché non l’aveva mai provato. Forse perché era un po’ diverso. Doveva sicuramente essere diverso.
Perché il tuo pensiero è solo lì, indirizzato a quello. Lisa non sapeva come le altre coppie l’affrontassero, non è un discorso che si fa di solito,
quello sul cosa pensa una coppia mentre sta facendo sesso per fare un
bambino, o come lo vuoi chiamare. Quello che si pensa, quando fai ses4
so per fare un bambino, nessuno lo sa e nessuno te lo dice. Non è solo
una questione di intimità, è tutto il trasporto che carica dentro. I comici ti dicono che quella è l’unica parte bella del mettere al mondo un
figlio: il sesso. Il comico fa pausa, ammicca al pubblico, scatta la risata.
È solo che subito dopo arrivano i dolori, il comico dice. E scatta l’applauso. E forse un po’, Lisa, l’ha anche pensato, ma il pensiero non la fa
troppo sorridere. Lei non le chiama difficoltà. I difficili, così li chiama.
Difficoltà è femminile, dice, ma i problemi li creano i maschi, quindi
usa una parola al maschile. Il primo difficile è la gravidanza, dove qualunque cosa diventa una preoccupazione. Poi arriva il difficile della nascita e dello sviluppo, di quando piangono inconsolabili, di quando
ogni cosa che fanno c’è il timore che si facciano male. Quando smettono di piangere e parlano, inizia un nuovo difficile. Quando crescono
ed entrano nella pubertà, ecco che tutte le strategie vanno riadattate, e
qui i difficili diventano sempre più degli imprevedibili. Non parliamo
poi dell’adolescenza. E quando finalmente superano il conflitto contro
di te genitore diventano persone adorabili, e i difficili diventano tante
manifestazioni dell’essere fiero genitore di un figlio cresciuto, si spera
bene. Si spera in bene. Si spera sempre in bene. Ma in poco tempo sei
tu che diventi un difficile, perché invecchi. Il tempo che te li godi come persone normali, adulte, con cui relazionarsi è ridotto al minimo,
perché poi loro si allontanano, tu sei troppo vecchio, e diventi il loro difficile. Ma forse, dopo tutto e prima di tutto, il difficile iniziale è
decidersi, prendere coscienza, realizzare, ponderare. E proporsi.
Nei pensieri di Lisa non c’era l’esigenza di fare un figlio. Non è mai
stato l’obiettivo della sua vita, non è stata fra le cose per cui sentirsi
realizzata. Era nei suoi progetti, è normale, come molte ragazze che
diventano adulte, un passaggio naturale, ma non obbligato. Lo voleva,
certo, e ha pensato che fosse bello farlo, e farlo adesso. Questo doveva
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essere il momento giusto: quando una cosa la vuoi, ma non hai fretta
di averla e non la rincorri a forza da una vita pilotando le tue scelte
in quella direzione, se a un tratto senti che questo è il momento, beh,
allora questo è il momento. Se ci si pensa troppo, il momento sfuma
mentre sale l’ansia. Se ci si pensa poco, allora non è quello il momento:
è un capriccio, è un fare tanto per fare, è un fare perché così si fa, anche
se ti racconti il contrario.
Nei pensieri di Lisa c’era la paura di rimanere sola col bambino, ma
sapeva che non poteva essere vero, sapeva che Paolo ci sarebbe sempre
stato. Se si dà ascolto a qualunque cosa passi come notizia, che sia una
statistica interpretata male o un pettegolezzo superfluo, si finisce col
dubitare di tutto e di tutti, si finisce per farsi domande che sono però affermazioni, per giunta sbagliate. No, Paolo lo conosceva troppo
bene, poteva fidarsi, poteva contare su di lui in qualunque momento.
È sempre stato così, non poteva immaginare che qualcosa, anche solo una piccola cosa, potesse cambiare, senza motivo, in peggio. No, va
bene farsi prendere dai cattivi pensieri, ma Lisa non è persona da farsi
sovrastare. Anche nel domani, sapeva che non sarebbe stato un difficile, non sarebbe stato difficile per niente. E poi c’è comunque anche
Sara, e ci sono io.
Nei pensieri di Lisa non c’era l’ansia, perché sapeva che la natura le
avrebbe dato nove mesi per adattarsi. Aveva tutto il tempo per crescere,
imparare e gestire l’arrivo, più le emozioni che la genitorialità. Aveva
tutto il tempo per maturare di un altro passo, ogni giorno, di un passo
alla volta, e ad ogni passo una sfida, e ad ogni sfida vinta una conquista,
un segnalibro che ti dice dove sei arrivata nelle pagine della vita. Della
sua vita, della loro vita. Aveva tutto il tempo, e aveva deciso di goderselo tutto, aveva deciso di spostare quel segnalibro con calma e godersi
la lettura su una poltrona, la sera, con la lampada accesa alle sue spalle
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e il buio della quiete. Di quei segnalibri che sposti in avanti in un libro di cui ti piace, ogni tanto, tornare indietro per rileggere le pagine
più belle, sottolinearle, e pensare che i ricordi non tengono ancorati al
passato, ma ti proiettano verso il futuro.
A volte, certo, Lisa si faceva prendere dallo sconforto nel pensare
che non sarebbe stata una buona mamma. Ma Paolo la rincuorava: sarai perfetta. Anche io, anche Sara, tutti le dicevamo che se al mondo
fossero rimaste solo le buoni madri, lei ne avrebbe fatto parte, di quel
mondo. Non lo sapevamo, non potevamo saperlo, era una scommessa
a scatola chiusa, ma la conoscevamo, e sapevamo per certi che sarebbe
stato così.
Nei pensieri di Lisa c’era la paura di mettere al mondo un bimbo
non sano. Ma lei ha sempre sostenuto che la normalità non esiste: qualunque cosa esiste allora è normale, deve essere normale, altrimenti
non esisterebbe. Qualunque cosa la natura ti dà, la natura nel darla ha
stabilito che è normale, altrimenti la natura non la creerebbe. La natura e l’esistenza delle cose stabiliscono la norma delle cose. È anormale
qualunque cosa non esista, non lo decide il pensiero della maggioranza, labile ed effimero, non lo decide la storia, non lo decide la media
e la moda, non di certo le sovrastrutture culturali create dalla società.
Quelle sono leggi, e le leggi non stabiliscono la normalità. Le leggi le
stabilisce l’uomo, non le crea la natura. E le leggi sono fatte anche per
essere infrante, cambiate, e mutano nello spazio e nel tempo. Divertente, sentirlo dire direttamente da un avvocato. Lei poi non poteva
giudicare: ha subito troppi giudizi nella vita, troppi sguardi, troppe
cattiverie per poter essere lei, adesso, a ributtarle sugli altri. Accusata
di essere immorale e di non essere normale, sapeva bene cosa voleva
dire: lei si sentiva naturalmente normale nella sua dichiarata, pubblica, anormalità. No. Lisa avrebbe amato e avrebbe dato al mondo un
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bambino. E come naturale che sia, per lei, l’avrebbe difeso da tutto e
da tutti.
Lisa sa però che oltre ai pensieri, oltre ai difficili, alle ansie, alle preoccupazioni, ai giudizi, agli sguardi, ci sono tante, tantissime soddisfazioni. Ogni giorno è una sfida, vero, lei lo sa bene, ma ogni sfida è una
vittoria, anche eventualmente nella sconfitta, ogni occasione è buona
per imparare e andare avanti. E sa che le emozioni positive supereranno tutte quelle negative. Lo sa, perché sa che selezioniamo i ricordi,
e quelli brutti hanno una potenza maggiore e stazionano, per venire
fuori nei momenti peggiori. Lisa invece vuole tenere solo quelli belli,
ma non con ingenuità o negazione, ma con forza che sovrasta. E questa apparente ingenuità che nasconde decisione e presa di coscienza, è
qualcosa che ha imparato da Sara.
Perché lo vuole. Perché lo vogliono. Perché lei è così.
- Come facciamo?
- Perché, come fai di solito?
Effettivamente non fu così facile come Lisa credeva: il pensiero del
bambino era così forte che superava tutto. Superava il fatto che lei era
lì, con Paolo. Superava chi li stava aspettando, quelli che sapevano della loro scelta, Sara, io, quelli più fidati del gruppo, come se fossimo
tutti fuori dalla loro porta in sala d’attesa. Superava la nudità, superava l’atto, superava il destino. Il pensiero del bambino era così forte che
sembrava che Paolo, oltre al seme e alla sua presenza, avesse regalato
a Lisa emozioni che non poteva spiegare e che a tratti aveva paura di
non saper gestire.
- Come è stata?
- Come come è stata? Mi stai chiedendo se mi è piaciuto?
- No, volevo sapere: senti che è la volta buona?
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- E come faccio a saperlo?
- Hai bisogno di qualcosa?
- Sì, che mi abbracci.
Se qualcuno li avesse sorpresi così, nudi e abbracciati, non avrebbe
visto l’oscenità dell’atto sessuale, non avrebbe visto l’impurità morbosa di due corpi, non avrebbe scoperto l’intimità di due amanti nascosti
al mondo. Quelle, proprio quelle, sono le sovrastrutture della società,
avrebbe detto Lisa. Quelle sovrastrutture che decidono cosa è giusto
e cosa è sbagliato, cosa è normale e cosa non lo è, se stai sotto o sopra
la media. Avrebbe invece visto la sconvolgente natura, avrebbe visto la
rumorosa tenerezza, avrebbe visto la banale, quotidiana, normale normalità. Due persone, due amici e un progetto insieme. Tutto il resto
sarebbe stato solo nei filtri di chi guarda, nelle mutabili leggi morali
dell’uomo, da cambiare, e se non si possono cambiare, da infrangere,
divertendosi.
I calcoli di Lisa si rivelarono giusti, incredibilmente, per sollievo di
Paolo. La probabilità, il giusto evento, la giovane età, la fortuna, quello che volete voi: Lisa rimase incinta subito. Paolo non era lì con lei
quando fece il test di gravidanza, ma fu il primo che chiamò, come era
prevedibile.
- Sono incinta. Aspettiamo un bambino.
Il sorriso sulla bocca di Lisa era incontenibile. Come per quella felicità che non si sradica, qualunque emozione Lisa provi, lo sappiamo
bene, riesce a trasmetterla anche se non vuole, anche attraverso un telefono o lo schermo di un computer. Io so che, per almeno qualche
minuto, rimase ferma a sorridere, seduta per terra, la schiena contro la
parete del bagno e il test di gravidanza in mano. Chiunque fosse stato
in quella stanza ne sarebbe uscito cambiato e sconvolto dalla sola vista
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del suo viso. Poi, come una qualunque sostanza che smette di fare effetto, il sorriso scomparve per lasciare il posto alla responsabilità, al senso
del dovere, alla vita. Il portare avanti una gravidanza. Il farlo nascere.
Il farlo crescere. Non sono sola, pensò Lisa. Non sono sola in questa
stanza, non sono sola nella vita. Ma adesso sono sola coi miei pensieri,
questo sì.
Il bambino è nato sano, non troppo tempo fa, alla fine di una gravidanza, questa sì, normale, tra i soliti alti e bassi. Tra la paura di Lisa perché sentiva che qualcosa non andava e le rassicurazioni di tutti: guarda
che sta solo scalciando. Esami nella norma, al lavoro fino all’ultimo.
Solo il travaglio è stato un po’ più lungo ed estenuante di quanto ci
aspettassimo, ma niente che una volta superato non si possa guardare
come ad una prova che proietta verso un’altra prova.
E adesso Lisa tiene la mano di Paolo, e insieme guardano il bimbo
che dorme nella culla di fianco.
- Cosa fai lì sulla porta, entra no?
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Paolo.
Allora lo stiamo facendo? disse Lisa.
aolo non era molto sicuro. Gli sembrava che non fosse il tempo
giusto, le modalità corrette, tutto sbagliato: non è così che certe
cose vanno fatte, almeno ai primi tempi la pensava così. Voleva
tanto bene a Lisa, e questo è indubbio, si era anche dimostrato d’accordo, ma non era del tutto convinto. Forse quando Lisa glielo
chiese sembrava più l’euforia del momento che non la reale volontà: sì,
va bene, facciamolo. Poi, quando tutto deve essere materialmente fatto, sono salite le preoccupazioni, i dubbi, l’ansia, la paura. Non è una
cosa che si fa così per così. Non erano gli stessi dubbi di Lisa: Lisa aveva paura del durante, del dopo, della gestione, Paolo aveva più paura
del prima, di non essere esattamente la persona giusta, che sa fare le
cose giuste, al momento giusto. Paolo, in un certo senso, aveva paura
dell’atto in sé. Ma Lisa lo vuole e Paolo non potrebbe esserne più felice. Non è solo una questione di farsi contagiare: Lisa ha scelto lui, per
avere un bambino.
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Ma tutti i dubbi che la testa esplode non li ha detti a lei: li ha detti a
me, ovviamente. Perché non voleva essere lui ad amplificare le possibili
paure di lei, non voleva essere lui a rovinare qualcosa che lei sentiva, e
voleva. Passato il primo momento, quando siamo stati soli si è lasciato
andare e si è sfogato. I primi istanti li ho passati a chiedere tutto bene? perché capisci che c’è qualcosa che è sospesa, ma ho ricevuto solo
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risposte a mezza bocca, come se fossi invadente a chiedere, come se fosse evidente che no, va tutto bene. È il contrario, non va tutto proprio
bene, ma non lo si vuole dire per paura di essere invadente a dichiarare che c’è qualcosa che non va, a dire la verità che non credi gli altri
vogliano sentire, anche se è chiaro a tutti che sì, non va tutto bene.
- A Lisa non lo posso dire, hai visto com’è bella adesso che le ho
detto sì?
Lo conosco molto bene, Paolo. So già che subito si fa prendere dall’euforia, ma poi se lo lasci lì, a decantare, si fa detonare. Se vuoi che
Paolo faccia qualcosa di fuori dall’ordinario per te, lo devi prendere subito. È una persona che per te, subito, d’istinto, farebbe qualsiasi cosa:
ruberebbe, spaccherebbe, scapperebbe per te. Ma è istintivo però solo nei primi minuti, a volte ore, ma raramente giorni. Lasciato poi coi
suoi pensieri, gli sale quel senso di responsabilità e dovere, forse ancora
il retaggio di quando voleva fare il giudice, e si pone mille domande e
interrogativi, perché vuole arrivare a una risposta, oltre ogni ragionevole dubbio. Non vuole i dati, come me, vuole le prove. Vuole che tutti
i tasselli siano al posto giusto, al momento giusto, che non ci sia niente
di sospeso, che non ci sia niente di lasciato al caso. Se vede un solo spiraglio di possibilità negativa, deve analizzarlo, risolverlo, scomporlo in
tutti i particolari e arrivare a una soluzione. E in questo processo inizia
a sentirsi sempre più colpevole e inadeguato.
Io lo dissi a Lisa:
- Prendilo subito, o ti scapperà. Lui è la persona perfetta per voi due,
ma tu lo conosci meglio di me: se gli lasci il tempo di pensare, lui
scappa.
- Lo so, ma come sai non posso fare come voglio, la natura non
funziona così. Non posso schioccare le dita e rimango incinta. Devo calcolare tempi, modalità. Non dico che voglio una cosa con
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le candele profumate, ma rispettare i tempi questo sì e i tempi,
purtroppo, non dipendono da me.
- Gli parlerò io.
E gli parlai. Paolo non sarebbe mai stato convinto del tutto, ma
l’importante era che fosse convinto quando sarebbe servito. Gli piace
pensare di avere sempre a portata di mano il bottone rosso che ferma
le macchine appena lo schiacci: non che lo devi per forza usare, che
per forza qualcosa di brutto deve succedere, ma sapere che c’è, che è lì,
che è facile da raggiungere ti restituisce un po’ di sicurezza. Non voleva
scappare, non voleva ritirarsi dalle responsabilità, non voleva fermare
la produzione, voleva solo rifletterci meglio di quanto non avesse fatto rispondendo d’istinto. Feci leva proprio su quello, sul suo senso di
responsabilità: aveva accettato, e in fondo lo voleva. Non si trattava di
fare il padre, il padre a tempo pieno, non aveva paura di quello e non
era nei suoi pensieri, e Lisa poi non era il tipo di persona che pretende:
ti contagia ma non ti forza. Era tutto il resto, e io sul resto non avrei
avuto niente in contrario. Lo sapeva, ma doveva convincersene anche
lui. Perché Lisa era una mia amica, e sapevo cosa sarebbe successo fra
loro due. Sapevo che erano persone mature, e sapevo che avrebbero
affrontato il tutto da persone mature, e non per questo io mi sarei mai
sentito tradito. Non mi sarei di certo messo in mezzo con l’invidia o la
gelosia, non mi sarei mai sentito abbandonato e messo in disparte.
Li ho conosciuti al terzo anno di università. Io studiavo ingegneria,
frequentavamo la stessa aula studio. Prima di conoscerli io studiavo
in biblioteca, ma non mi trovavo bene: troppe voci, troppo rumore,
troppa confusione, mi sentivo osservato anche dai libri sugli scaffali.
Lì invece potevo essere me stesso, in un ambiente completamente differente, governato da un’altro tipo di confusione, di quel tipo di con13
fusione creativa che ti fa sentire accettato. E loro due, in quei locali, in
quelle aule, erano al centro dell’attenzione, erano il centro dell’attenzione ovunque andassero: perfetti, sempre insieme, lui bellissimo, lei
solare.
Era naturale che finisse così, con loro due ad avere un bambino. Lo
sapevamo tutti che sarebbe successo, bastava guardarli. Loro due insieme mettono gelosia ed invidia alle altre coppie che si chiedono quale
possa essere il segreto del loro successo. La genitorialità non era un discorso che affrontavamo spesso, ma tra i vari argomenti che la maturità ti porta a dover discutere, quello è naturale salti fuori. Matrimonio,
adozioni, nascite. Diritti e doveri. Singoli e società. Poi i semplici accenni diventano chiacchierate. Le chiacchierate diventano discorsi. Se
non si è d’accordo si passa subito alle discussioni. Ognuno ha la sua
idea, ognuno porta in campo la propria esperienza. All’inizio non la
pensavamo tutti uguale, come è normale, ma non so chi per primo
cambiò idea sull’argomento. Di sicuro non io: io sono sempre stato
favorevole.
Se per tutti però la cosa è semplice e banale, per il nostro quartetto
non poteva esserlo. Doveva per forza essere tutto molto strano, fuori
dal tempo, disfunzionale, complicato e calcolato e, se visto da fuori,
quasi innaturale. Puoi fare tutti i discorsi che vuoi, parlare dei massimi
sistemi, leggi, etica, morale. Ma poi. . .
- . . . come facciamo?
- Perché, come fai di solito?
- Cosa c’entra. È diverso. Stiamo facendo un bambino.
- E cosa ci sarebbe di diverso, me lo spieghi?
- Non fare la spiritosa che hai capito benissimo.
- Sei sempre in tempo a dire di no e tirarti indietro.
- Lo so, ma lo voglio. E poi hai calcolato così tutto alla perfezione.
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È solo che non hai pensato a questo momento.
Quando me l’ha raccontato ho riso tantissimo. Il racconto di Paolo
era così preciso e dettagliato. Non nelle cose intime, ma nell’atmosfera.
Le cose intime non le ho volute sapere, dovevano restare fra loro due,
ma le emozioni, questo sì: volevo essere attaccato alle emozioni. Volevo
respirare la stessa aria che hanno respirato loro, anche se solo quella
vibrata dai racconti di Paolo. Prima di andare da lei Paolo è passato da
casa e si è sfogato di tutte le sue paure. Dopo è tornato subito da me.
Sembrava spaesato, come se non l’avesse mai fatto, come se fosse stata
la prima volta, come se fosse stato diverso da tutte le altre.
- Le hai chiesto se le è piaciuto?
- Le ho detto che se le era piaciuto io non l’avrei rifatto. Una mi è
bastata.
- Che scemo che sei. E lei?
- Lei ha scherzato, ha detto che le era piaciuto.
- Beh, sei un bel ragazzo, lo sai che piaci per forza.
- Non me lo starai chiedendo pure tu, di fare un bambino con me?
- Stupido, no. Al massimo io lo faccio con Sara, no? E poi?
- Poi mi ha chiesto di abbracciarla.
- E l’hai abbracciata?
- Cosa dovevo fare, lasciarla lì sul letto, dire è stato bello e andarmene?
- No, hai fatto bene. . .
. . . ma sentivo che in Paolo quell’abbraccio era forzato. Aveva abbracciato Lisa una infinità di volte, ma quello sembrava più dovuto che
voluto, come fosse stato una sorta di passaggio di consegne, un limite per affermare va bene, il mio l’ho fatto, questo è l’ultima cosa che
mi chiedi che posso fare. Non era così, non era così anaffettivo, ma era
come se lo fosse stato, legato alla paura, ai pensieri, e alla novità: un
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gesto così naturale, così ripetuto, ma così diverso. Non si può negare che per quanto bello, voluto, cercato, deciso, risaputo, analizzato,
giudicato, qualcosa di diverso era scattato.
Paolo stava lavorando quando Lisa lo chiamò qualche settimana
dopo.
- Ti disturbo?
- Tu non mi disturbi mai, amore.
- Lo sai cosa ho fatto oggi?
- Il test?
- Sono incinta. Aspettiamo un bambino.
Avrei tanto voluto essere davanti a Paolo per vedere la sua faccia.
Peccato, sono momenti che non si possono riavere. Se mi fosse stato
chiesto: dove vuoi stare? Prendere il sorriso di Lisa o la paura di Paolo?
Io avrei scelto Paolo: molto più divertente.
Paolo mi ha chiamato subito dopo:
- Lisa è incinta, aspettiamo un bambino.
Quando Paolo non poteva, e Sara era impegnata, sono stato felice
di aiutare Lisa durante la gravidanza. Bastava una chiamata, anche io
volevo essere parte di tutto questo processo. Era il primo bambino all’interno della nostra amicizia, forse sarebbe stato l’unico, e io volevo
fare sicuramente da zio prima, durante e dopo. Ero quello meno in
causa, meno responsabile, ma volevo essere presente anche io, in ogni
fase. Senza essere invadente, senza voler essere al centro dell’attenzione.
Ci sono state delle volte che sembravo più io il padre, che non Paolo,
ma quando era il momento mi tiravo indietro senza problemi e lasciavo il campo ai genitori.
Appena Lisa è entrata in travaglio, Paolo mi ha chiamato subito.
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È sempre stata questa la gerarchia: Lisa, Paolo, io, Sara. Io sono corso
in ospedale appena ho potuto, ma senza troppa fretta. Intanto era un
evento gioioso e non grave. In più non ero io quello che doveva tenere
la mano a Lisa, gliel’avrei tenuta volentieri, ma nell’ordine in questo
tipo di gerarchia ero sicuramente l’ultimo. E poi avevo paura di dover
stare in sala d’attesa per ore con una noia totale. E così me la sono presa con calma, anche eccessiva, che vista da fuori poteva assomigliare
più a gelosia o disinteresse che a realismo di calcolo. Ho anche finto di
essere altruista e chiedere di cosa avrebbero avuto bisogno che venendo da fuori e avendo più tempo a disposizione di loro sarei passato a
prenderlo. E così, con tutta tranquillità, il bimbo era già nato quando
sono arrivato, confermando di aver sbagliato ancora una volta tempi
e previsioni.
È un maschio, e ho perso la scommessa, di nuovo.
Non sono entrato subito nella stanza di Lisa. Ho corso nel finale,
perché Paolo mi ha scritto subito un messaggio e ho dovuto accelerare
un po’. Ma una volta arrivato all’altezza della porta, mi sono calmato.
Ho respirato. Ho aspettato. E mi trovo qui, fuori, tagliato a metà dallo
stipite della porta a cui sono appoggiato, a guardarli.
Lei sdraiata a letto, lui nella stanza, si tengono per mano e guardano il bimbo che dorme nella culla di fianco, tutti in silenzio, tutto in
silenzio. È una scena che rilascia pace interiore. Sono fuori dalla porta,
non oso entrare, non posso rovinare questa atmosfera. Paolo si gira e
mi vede.
- Cosa fai lì sulla porta, entra no?
- Non volevo rovinare questo quadretto. Siete così belli. Posso dare
un bacio alla mamma?
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Sara.
Allora lo stiamo facendo? disse Lisa.
ara era convinta. A lei sarebbe spettato il compito più ingrato di
tutti, almeno all’inizio, e forse anche dopo. Doveva fra tutti forse
essere quella più convinta. Alla fine, a guardarla sotto altri aspetti, lei aveva tutto il diritto di sentirsi tradita, e di non essere considerata pienamente. In realtà fu lei a proporlo, quasi sommessamente.
Non è mai stata gelosa del rapporto fra Lisa e Paolo: si conoscono, loro
due, da così tanto tempo che mostrare gelosia, o anche solo provarla
di nascosto, sarebbe stato fuori luogo. A volte un po’ di invidia, forse
sì. Sara sentiva che da Lisa non avrebbe potuto avere sempre la stessa
Lisa, perché Paolo è sempre stato altro, e solo Paolo poteva averla così pura. Sara sapeva che Lisa non le avrebbe mai detto ti amo più di
Paolo. E quando Lisa le disse allora lo stiamo facendo? Sara sorrise, la
guardò negli occhi, prese un lungo respiro e disse Sì, lo stiamo facendo.
E si presero per mano.
S
Sara, a differenza di Lisa, ha sempre voluto fare la mamma. Forse
proprio da quando scoprì che non poteva avere bambini, forse proprio perché scoprì che non poteva avere bambini. Sarà una mamma
perfetta, e in tutto questo periodo di pensieri, trambusti, decisioni e
atti, Sara anche lei ha avuto il tempo per realizzare, ponderare, decidere. Ha pensato a lungo all’adozione, ma il processo sarebbe stato troppo complesso e snervante, e avrebbe significato sottoporsi ad ulteriori
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giudizi e sguardi fuori luogo. Affidarsi alla medicina poteva portare
solo a delusioni, soprattutto perché avrebbe significato viaggiare, spostarsi, spendere, con il rischio di frustrazioni e con un investimento
di tempo che avrebbe tolto tutto l’aspetto affettivo ed emotivo. Non
che fosse contraria né all’adozione, né al ricorso alla inseminazione artificiale, o che lo giudicasse sbagliato, ma si è pensato che forse fosse
più facile così, almeno come primo tentativo. Si è sempre fatto così, da
milioni di anni.
Decisamente, molto più facile così. Più facile, davvero? Se tutti sono d’accordo. Per questo, dopo tanti pensieri, è stata Sara ad insinuarsi
per prima. Perché voleva che tutto fosse naturale, anche se molto strano, fuori dal tempo, disfunzionale e tutto il resto. Voleva fecondare le
emozioni, almeno voleva provarci, e non aveva paura di questo. Non
voleva la sterilità dei documenti, delle provette, finché poteva starne
lontana, e questo sarebbe stato l’unico modo, o per lo meno, il modo
che a tutti parve più ovvio, ad un certo punto. Di quei pensieri che
sono nell’aria, che arrivano a tutti nello stesso momento, che sono così
certi che nessuno ha il coraggio di parlare per primo, perché si ha paura
che gli altri stiano pensando esattamente alla stessa cosa, ma in termini
contrari. Ne parlò prima con me, perché lei sapeva che io sono sempre
stato quello da subito favorevole e voleva avere un alleato, per potersi
dire che era giusto così e farsi forza. Poi con me e Lisa insieme, perché
mi voleva al suo fianco, qualora Lisa non avesse reagito come sperato.
Invece reagì nel migliore dei modi, e fu lì che Lisa disse lo chiederò io
a Paolo. E Sara la accompagnò.
- Tu sapevi già tutto?
mi disse Paolo.
- Io so sempre già tutto, mio caro. E quindi, cosa le hai detto?
- Sì, va bene, facciamolo.
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-
Tutto qui?
Tutto qui.
E va tutto bene?
Sì, è ok.
Fui io a presentare Sara a Lisa e Paolo. Sara frequentava il mio stesso
liceo, ma dopo la maturità ci perdemmo di vista. Ci rincontrammo
qualche anno dopo, mentre eravamo a un incontro del gruppo.
- Anche tu qui?
- Beh, dai, adesso non dirmi che non l’hai mai saputo.
- Intuire è una cosa, sapere è un’altra.
- Hai ragione.
- E non ti sorprende che anche io sia qui?
- No, dai, al liceo lo sapevamo tutti. E tu non lo nascondevi di certo.
Introdurla nel trio è stato facile. Sara sa farsi ben volere da tutti.
E non passa troppo tempo perché chiunque si innamori di lei. Sara è
bellissima: minuta, delicata ma risoluta, bionda riccia con il viso rotondo, è la ragazza che tutti vorrebbero avere al proprio fianco. È proprio
quello che non è Lisa, per questo si completano. Io non sono come
Paolo, sono più come Lisa. Sarà forse banale, gli uguali che si respingono, io voglio molto bene a Lisa, ma spesso fra me e lei ci sono scontri,
come nelle normali discussioni fra amici. Non con Sara, che è sempre
molto dolce ed è impossibile litigare con lei: Sarà è il silenzio di cui hai
bisogno dopo il rumore, Sara è il divano su cui vuoi sdraiarti appena
rientrato a casa dopo una giornata difficile, Sara è il tuo piatto preferito cucinato bene quando hai fame, Sara è la tua canzone preferita che
senti per caso alla radio poco prima di spegnere l’auto. Non è facile litigare neanche con Paolo, che vuole avere tutto sotto controllo, ma che
sa anche essere delicato quando serve e ascoltarti quando hai bisogno.
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Tutto finisce sempre come deve finire: bene. In meglio. Siamo due belle coppie, e insieme, siamo un bel gruppetto di quattro sbandati alla
ricerca delle nostre identità. Vedere Sara e Lisa insieme poi è un piacere
per gli occhi, e per l’anima. Fu Lisa a corteggiare Sara: per lei fu amore a
prima vista, per Sara, abituata alle attenzioni, c’è voluta la sicurezza di
sapere che non era solo una sfida, una sfizio sulla bellezza, ma qualcosa
di vero e irrinunciabile.
Sara non hai mai avuto un vacillamento, un pizzico di invidia, un
sentirsi messa in disparte, anche solo per un secondo, anche solo per
l’atto. No. E ne avrebbe avuto tutto il diritto. Era lei quella che avrebbe
voluto fare la mamma, portare in grembo un bambino, vederlo crescere dentro di sé, ma vedere Lisa così la realizzava. Qui non c’entrava
niente la contagiosità di Lisa, qui c’entrava l’aver raggiunto un sogno,
anche se per mezzo di altri. Sara non ha mai avuto dubbi, è sempre stata convinta, è sempre stata sicura che sarebbe stata una buona madre.
Dietro l’aria eterea, Sara nasconde molto bene un carattere deciso che
l’aiuta a non avere troppe preoccupazioni. Ha dei punti fermi nella vita e li tiene ben stretti, e l’aiutano ad andare avanti. Alla fine non era
lei quella che doveva partorire, ma quel figlio sarebbe stato comunque
anche suo. I figli sono di chi li cresce, li ama e li vuole, prima che di chi
li fa. Prima soprattutto di tutto il resto, del sesso, della morbosità, delle attenzioni. Anche Sara avrebbe avuto i suoi nove mesi, il suo libro
della vita e i suoi segnalibri da spostare.
Non voglio sapere come Lisa ha raccontato a Sara la sera con Paolo:
discorsi fra donne, spero che nessuno li tiri mai fuori. A me basta conoscere la versione di Paolo. Dalle battute, dai discorsi lasciati a metà,
so che Sara sa molte più cose di quante non ne sappia io; credo che sia
normale, fra maschi e fra femmine. A volte ammetto che mi sento un
po’ lasciato in disparte, ma non ne sono geloso. Il fatto è che sono io
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quello che deve sempre sapere tutto, quello in mezzo alle contese, quello che ascolta le parti di tutti, quello che vuole conoscere le versioni di
tutti, raccogliere i dati da analizzare prima di trarre un conclusione,
ma questa volta quei piccoli pezzi che mi mancano li devo ricostruire
da solo, e su alcuni, questa volta, ho paura di chiedere e approfondire
e non sono sempre sicuro né delle risposte che mi danno, né delle risposte che ricostruisco da solo. Ma voglio troppo bene a tutti e tre per
rovinare tutto con la meschinità e il mio bisogno di protagonismo, e
di avere sempre ragione, alla fine. Tutti dovevamo essere d’accordo, e
io ne ero entusiasta. Una volta mi provocò:
- Se vuoi pareggiare i conti, mi disse, io a una notte con te sono
disponibile.
- Oh, Sara, non ti offendere, sei bellissima, saresti la donna dei miei
sogni, ma mi è bastato provarlo una volta nella vita e mai più.
Lisa non voleva fare il test di gravidanza senza Sara: aveva bisogno
di lei, e solo di lei, per quel momento. Questa volta il primo nome della
rubrica doveva essere Sara, e non Paolo. Perché da quella risposta, da lì,
da quell’istante, ogni nuova pagina sarebbe stata una pagina del loro
libro, che lei voleva scrivessero insieme.
- E allora? Un minuto è passato. . .
- Sara. Sono incinta. Aspettiamo un bambino.
- Devi chiamare subito Paolo.
Fu Sara che chiamò me, mentre Lisa era appoggiata al muro a parlare con Paolo, e mi raccontò tutto con un suono di voce che solo quello
bastava a descrivere la situazione, anche se filtrato dal telefono. Mi raccontò dell’attesa, del sorriso di Lisa, delle preoccupazioni che le stavano
salendo, del fatto che doveva lasciarmi per starle accanto, perché non
voleva che rimanesse sola coi suoi pensieri.
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E Paolo mi chiamò subito dopo:
- Lisa è incinta, aspettiamo un bambino.
- Lo so, io so sempre tutto.
- Ma come?
- Mi ha chiamato Sara. E sentivo la voce di Lisa in sottofondo, e
sono sicuro che fosse al telefono con te. Sei contento, vero?
- Come no, dai. Se non andava questa volta, la prossima la facevi tu.
- Scemo, sai di cosa parlo.
- Certo che sono contento. Potrei non essere contento?
Sara è sempre stata di fianco a Lisa in tutti i momenti in cui lei aveva bisogno. E quando chiamava Paolo, o me, per essere sostituita, si
assicurava sempre che noi fossimo disposti ad aiutare, non voleva essere invadente e disturbarci, non voleva che per noi fosse un obbligo.
Con me soprattutto, perché Paolo si sentiva quasi in dovere, mentre
io alla fine ero solo lo zio. Invece lo facevamo con piacere, anche forse
ammaliati dalla sua serenità, o anche solo eccitati dalla novità. Alla fine
sì, eravamo eccitati anche noi, che entrambi ci sentivamo più padri che
zii: se il bambino avrà due madri, è giusto che abbia anche due padri,
scherzavamo sempre per non farla troppo preoccupare. E poi quale
peso può mai esserci nello stare a fianco delle persone che si ama?
Avevano deciso che nessuno doveva sapere il sesso del bambino, lo
avrebbero scoperto appena nato. Morivamo dalla voglia di saperlo, e
aprimmo ufficialmente le scommesse, fra di noi, ma anche fra gli altri
del giro, coi ragazzi del gruppo, coi colleghi e parenti.
Per quanto puoi calcolare, e sperare, Lisa è entrata in travaglio che
Sara stava lavorando. Era fuori città, e aveva parlato al figlio, nella pancia, forte per farsi sentire: non uscire, fai il bravo, aspetta fino a che
torno. Da qualche giorno, all’avvicinarsi della scadenza, parlava sempre
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alla pancia, soprattutto quando doveva allontanarsi un po’ per lavoro.
Io gliel’avevo detto: basso di tono che vibri, non forte di volume. Ma
lei non voleva ascoltarmi, perché io devo sempre sapere tutto, e infatti
non ha funzionato.
Sapeva che c’eravamo noi, ma è chiaro che voleva esserci lei, in sala
parto. Ma non poteva neanche non lavorare, o chiedere un permesso.
Stai tranquilla, ché tanto ci sono quei due là, diceva Lisa per rassicurarla, dipingendoci a metà fra persone responsabili e una macchietta da
avanspettacolo. Lisa non si prendeva gioco di noi, è chiaro, ma è un gioco divertente esasperare le parti, quando sai che te lo puoi permettere
e, soprattutto, quando lo sai fare.
Sara non voleva essere rassicurata, era tranquilla verso di noi, ma è
chiaro che avrebbe voluto essere mamma fin da subito, non a partire
da qualche minuto dopo.
- Mi spiace che sia io a doverti chiamare, ma stai per diventare mamma.
- Perché non mi hanno chiamato?
- Perché dicevano che il tuo cellulare non prendeva, ci hanno provato per ore, poi sono entrati in ospedale. . .
- Ero in galleria e stavo guidando.
- Lo so. Non ci pensare adesso, dai che forse ti aspetta. E comunque
c’è Paolo con lei. . .
- . . . ma volevo esserci io.
- Lo so. Pensa che tu ci sarai quando inizierà a camminare. E ci sarai
quando parlerà. E ci sarai quando dirà mamma, e tu dirai che l’ha
detto a te e non a Lisa.
- Lo so, è solo che. . .
- Sara, Sara. Sara. Pensa invece a noi, che dovremo sorbirci le foto e
i filmatini di lui che prova a camminare, e che vi vedremo un po’
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di meno.
- Ti voglio bene.
- Anch’io, Sara.
Ho fatto prima io di Sara. Io con tutta tranquillità, lei guidando
come una pazza.
- Cosa fai lì sulla porta, entra no?
- Non volevo rovinare questo quadretto. Siete così belli.
- Hai chiamato Sara? Io ci ho provato, ma il suo telefono non prendeva. Poi siamo entrati in sala parto. E adesso ho paura che possa
rispondere mentre sta guidando. . .
- L’ho chiamata io, tranquilli. Adesso arriva.
- Dai vieni a vedere il bambino.
- Posso dare un bacio alla mamma, prima?
- No, vorrei darlo prima io.
Appena Sara compare sulla porta, Lisa lascia la mano di Paolo, come d’istinto. Ha tenuto la sua mano tantissime volte, ma questa è
come fosse un tradimento.
- Eccoti, sei arrivata.
- Scusami, non è stata colpa mia, è che. . .
- Non importa, dai, vieni qui a vedere nostro figlio.
Sara entra e riesce solo a dire allora è un maschio, con il suo filo di
voce a cui siamo abituati. Paolo si stacca dolcemente dal letto e si avvicina a me molto lentamente, senza allontanare lo sguardo dalla culla,
camminando all’indietro. Gli prendo la mano, e lo guido per avvicinarlo a me. Sara e Lisa si baciano, e Sara accarezza i capelli di Lisa. Glieli
toglie da davanti agli occhi, in un gesto che solo a lei, e non a Paolo,
è concesso fare. La guarda, sorride, con quel sorriso che se mi chiede25
te di chiudere gli occhi e di immaginarmi lei, riesco solo a visualizzare
le sue labbra. E le dice ti amo, sussurrato, non per vergogna, non per
non farsi sentire, ma per rispettare la pace, la serenità e la santità del
luogo. Chiudono lentamente gli occhi, insieme, e avvicinano le loro
fronti. E quando li riaprono dopo un forte sospiro, insieme si girano
per guardare il bambino, il loro bambino.
Io piego la mia testa di lato e l’avvicino alla spalla di Paolo.
- Non vorrai rovinare tutto questo quadretto baciandomi, vero?
- Beh, sì. In realtà sì. . .
e ci baciamo.
- E non vorrai un figlio da me adesso, vero?
- No. Non è con un bacio fra due uomini che si rimane incinti. È
solo che mi stavo domandando: com’è che questo bambino assomiglia di più a Sara?
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Lisa. Paolo. Sara. Ed io.
Elio A. Farina
CARERE DEBET OMNI VITIO
QUI IN ALTERUM DICERE PARATUS
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