l`italia della moto divisa tra chi cresce e fa cassa e chi
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l`italia della moto divisa tra chi cresce e fa cassa e chi
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Sono arrivato al rifugio alle 6 di sera, a 4100 metri, con un vento gelido che mi frustava di brividi, il tramonto pennellava di rosso i massicci che spuntavano dal tappeto di nuvole sopra la pianura. Uno spettacolo da cartolina, seguito poi dall’incontro con il guardiano del rifugio, Michelangelo, un piatto di minestra provvidenziale e delle buone storie da raccontarci. Durante la notte tutto è volto al peggio e la montagna incantata con le sue ire ci ha risvegliato presto presentandoci un paesaggio totalmente diverso. Poca visibilità, nebbia densa come vapore e un freddo clamoroso, meno 5 gradi, che nemmeno in Canada avevo mai dovuto sopportare. Che fare? Qui inizia il racconto: Michelangelo mi chiede compagnia per andare a prendere dell’acqua in una fonte nascosta dove si ritrovano gli sciamani per i riti di primavera. Un gruppo di statunitensi ci segue, sono tutti amareggiati dal dover annullare il trekking che avevano programmato per via delle condizioni climatiche. La moto non parte e la radio gracchia di un fronte di freddo che dall’Alaska avanza facendo crollare le colonnine di mercurio di mezzo continente. A denti stretti e con una giacca prestata camminiamo fino alla fonte, facendo un pezzo in macchina dove le buche che avevo già assaggiato in moto all’andata ci fanno rimbalzare come fiammiferi in una scatolina. Il crinale della montagna si affossa ripido creando piccole valli dove l’erba alta e gialla si muove alla forza del vento scuotendosi in ciuffi di capelli. Prendiamo l’acqua ma non tocchiamo le coppe, i calici, i fiori secchi e i piccoli giunchi annodati che troviamo quali reliquie dei cerimoniali segreti. Quando torno al rifugio saluto e prendo la moto deciso a rischiare subito la discesa in queste condizioni atmosferiche prima di stare a vedere quale nuova sorpresa la montagna tirerà fuori dal cilindro. La neve è un presagio che si percepisce nell’aria gelida ed è meglio tagliare la corda prima che arrivi. Con scongiuri e tanti buoni ampere della batteria riesco a rianimare il povero biclindrico. Saggia l’idea di avergli trapanato le teste prima di partire per mettergli le seconde candele. Scendo piano piano, vedo solo a pochi metri di distanza, il vento prima mi spazza via la nebbia, poi me ne trascina davanti un nuovo banco. Non fosse per il freddo crederei di essere in un bagno turco. Mi consola solo l’idea di scendere e perdere quota e riscaldarmi e lasciare la montagna. TURISMO Il viaggio di Claudio Cacahuamilpa – Teotitlan: 70 km La piramide dei piccoli carnivori di Claudio Giovenzana - www.longwalk.it Arrivo alle grotte ed entro in una gola rocciosa che pare il set di “Viaggio al centro della terra”. Sono estasiato, sudato, affaticato. Popocatepetl – Cacahuamilpa: 85 km Verso le grotte più grandi del mondo Lo sterrato svanisce dopo il passaggio a livello del parco, le nebbie avvolgono la guardiola vuota, la sbarra me la devo alzare da me, con la cintura blocco il contrappeso a un ferro per terra, poi prendo la moto e la spingo dall’altra parte. L’asfalto mi rimette sereno, è andata!Ho rischiato qualche scivolone ma nulla di serio. Ripasso mentalmente la direzione di massima per raggiungere le grotte di Cacahuamilpa, per la precisione un complesso di grotte lungo più di 2 km e alto da 20 a 80 metri! Tra le più grandi del mondo. Qui troverò caldo sino a grondare sudore. Scendo dal Popo verso Amecameca, tra le curve soavi si respira resina d’abete, ci sono cartelli che annunciano piccoli giardini dove si vendono pini nani per addobbare la casa durante il Natale. La strada per Cautla è monotona ma più il vulcano è lontano e più la temperatura si alza. I cilindri riprendono un bollore dimenticato nei due giorni precedenti, gli scarichi tornano a borbottare tronfi, sul Popo tossivano. Tra sospensioni a pacco sui dossi, qualche insulto e poi l’allegria del vagabondo senza sosta, continuo a macinare strada. Vedo un cartello “Grutas”, prendo la deviazione e passo campi ingialliti, una calvizie della natura che interrompe la folta macchia con prati di erba trascurata. Arrivo alle grotte, parcheggio, prendo atto che qualcosa del genere non l’ho mai visto, sto ridefinendo il concetto di speleologia. Pago la quota ed entro in una gola roc- 144 FEBBRAIO 2K10 ciosa che pare il set cinematografico di “Viaggio al centro della terra”, solo più grande. Nondimeno le atmosfere di questo ventre roccioso hanno ospitato in concerto la voce di Pavarotti, Bocelli e Miguel Bosè. Sono estasiato, sono sudato, sono affaticato dal calore, maledico l’obbiettivo che non capta nel buio quello che vedo a occhio nudo. La roccia si protunde dal basso e dall’alto in forme modellate dai millenni. Fa strutture imponenti come stalattiti e stalagmiti di 10 o 15 metri, intarsia le pareti e scolpisce le formazioni calcaree che interpreto come le nuvole. Un inglese si avventurò con il suo cane dentro le grotte di Cacahuamilpa. Cadde e perse conoscenza, il suo fedele amico trovò l’uscita dalle grotte, corse nel paesino adiacente abbaiando a perdifiato. I latrati vennero interpretati come i segni di un’anima indemoniata che impossessatasi del cane lo faceva correre impazzito per le strade. Nessuno capì. Vedo la tomba dell’inglese, un tumulo di pietre con una croce, vicino c’è un’altro piccolo tumulo per il suo amico che tornò alla grotta per morire con lui. Qui gli esploratori usano ancora le torce al carburo che si affievoliscono in carenza di ossigeno prevenendo svenimenti da ipossia. Alcune zone sono inaccessibili a causa dei gas prodotti dagli escrementi di pipistrello e dalla mancanza di ossigeno. Per questo motivo alcune zone mi sono interdette e posso camminare dentro per “solo” due km. Credo che in Italia non esista niente di tale grandezza. P***** G** GUIDA ALLA LETTURA Tappa per tappa, indichiamo il chilometraggio da percorrere e una valutazione del “gusto” dell’itinerario. I voti sono espressi con le stellette, da 1 a 5: “P” per panoramicità del tragitto e “G” per piacere di guida. Si racconta che ci sia una piramide a Teotitlan costruita dagli indiani Mechica sulla cima della montagna. Voglio andare a vedere. Non sono ancora a digiuno di montagna nonostante il Volcan Popo con i suoi sterrati a 4000 metri. Questa volta voglio guadagnarmi la vetta camminando. Ma prima mi aspettano decine di chilometri in moto. Guido disimpegnato tra le curve, con il consueto sfilare di paesini uno dopo l’altro. Enormi tralicci reggono i fili dell’alta tensione che danno elettricità ai centri abitati approfittando delle depressioni dolci e favo- revoli che creano spazi edificabili nella sierra. Il sole si abbassa nel rosa e fa ombre nere come il carbone. Le curve finiscono col finire del giorno, per fortuna. Guido tranquillo sino all’arrivo a Teotitlan. Pianto la tenda nel cortile di una cascina adibita a parcheggio, per pochi pesos trovo ricovero anche per la moto: la infilo in un cespuglio perché non mi concedono un “posto auto”. Passeggio per le strade dove le file di bancarelle stanno per essere smontate. Con la mattina salgo a piedi la montagna che sovrasta Teotitlan. Porto un quarto di litro d’acqua pensando siano 10 minuti di trekking. Ripido e impegnativo il sentiero è una scalinata aperta tra le rocce TURISMO Il viaggio di Claudio che dura quasi un’ora. Sono esausto già a metà salita. Quelli che scendono raccontano balle a quelli che salgono per non scoraggiarli, così mi sento dire più volte che manca solo “un quarto d’ora all’arrivo”. La salita è una specie di scala che sale per più di un chilometro fin dentro la gola rocciosa fatta da due crinali che finiscono per toccarsi. Passati i pertugi e le strettoie, superata una via ferrata, raggiungo la cima disidratato come una clessidra di sabbia. La piramide è un banale blocco di roccia, che in sé non offre nulla di speciale se non il sentiero per arrivarci. Il protagonista locale è invece il Tejon, un piccolo carnivoro dall’aria tanto selvaggia ma, in fondo, ben abituato alla presenza dei turisti al punto da non esserne infastidito ma infastidirli a sua volta fino a fregar loro i panini e ciucciare l’acqua direttamente dalla bottiglia. Anche se si fa avvicinare non deve trovarmi molto interessante, almeno dal momento in cui capisce che il teleobiet- tivo che gli sto puntando sul muso non si mangia. Un Tejon per così dire “turisticizzato”, e anche un poco snaturato visto che sulle guide si legge: “molto raro vederlo di giorno, è un animale selvatico, riservato che esce dalla tana sotterranea con il crepuscolo”. È mezzogiorno e mi ha pisciato sulla scarpa. P*** G**** Teotitlan – Salamanca: 250 km A caccia di vulcani Lasciati i Tejon e la piccola piramide, prendo la moto e mi lancio sulla bellissima federale che da Curnavaca porta a Toluca. Vita contadina tutt’intorno. Non vedo moto ma solo camion con balle di fieno e carretti ricolmi di verdure tirati dall’asino. Le signore adagia- te tra i sacchi di fagioli e riso sorridono mentre procedo con discrezione. Da Toluca a Queretaro la strada è fastidiosa, una “rompicabeza”, come dicono i locali. Se non vai sull’autostrada ce ne vuola a trovare la giusta direzione nelle labirintiche strade secondarie. Il “nevado di Toluca”, alto quasi quanto il Popo, raffredda di nuovo l’aria con brezze che vengono giù dai crinali come cavalleria all’attacco. A Salamanca cerco il “rincon del Parangueo”, un lago salato formatosi nella bocca di un vulcano spento. Meraviglia delle meraviglie. Da mesi colleziono vulcani: il Popo, il Paranguo, il San Pedro e altri minori. In culture che parlano con gli spiriti della terra un vulcano è come una bibbia e la sua è terrosa: aperta con dinamite e piccone non ha cemento o volte di supporto che ne prevengano il crollo. Vedo la fine del tunnel, senza misticismi, c’è la luce bianca ma dall’altra parte un messicano incazzato mi dice: “non hai letto che è vietato accendere il motore?”. Io cercavo un cartello convenzionale quando il divieto era dipinto sulla parete come A Salamanca cerco il “rincon del Parangueo”, un lago salato formatosi nella bocca di un vulcano spento: meraviglia delle meraviglie. bellezza è venerata anche da me che, più laicamente, ne faccio scorta con occhi e pellicola fotografica. C’è un tunnel lungo 400 metri per accedere al lago di Parangueo, largo un metro e mezzo circa. Un cunicolo. Inizio a fare le debite misure, quanto è larga la moto da borsa a borsa e quali possibilità ho di non incastrarmici. Pare che ce la possa fare. Chiedo a una signora che mi misura con l’occhio di un sarto e mi dà il benestare per l’impresa. Ovviamente se mi sbaglio dovrò farmi 400 metri in retro per uscire. Inizio a camminare nel tunnel a cavalcioni sulla moto. Mi stufo e accendo il motore, anche se mi sembra strano che non ci sia il divieto di farlo visto che la roccia intorno 146 FEBBRAIO 2K10 un murales. Mi scuso e già so che al ritorno avrò da spingere il ferro per 400 metri. Di fronte a me si apre il lago salato, una sabbia bianca pastosa copre il centro della valle, la bocca enorme del vulcano. Parcheggio la moto e corro sulla sabbia salina, faccio foto, prendo il sole, mi ustiono. C’è pace e silenzio. Mi sdraio per terra, ho un jeans e una maglietta rossa. Paio un arlecchino disegnato su un foglio. Tutto è bianco, mi ricorda il Salar de Uyuni in Bolivia, un lago salato di 120 km di diametro che visitai anni fa. Prima o poi lo raggiungerò, ma ora mi godo i pochi mesi di Messico che rimangono prima di partire per “il grande Sud del mondo”. P***** G***