PDF - Copylefteratura

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L’ IN E-DITO NELL’OCCHIO
urticanti scritt-scratt mai pubblicati
2007-2012
by
CYB
Ed. Cose Einaudite
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DOV’ E’ ROSA PREMESSA?
Metto le mani avanti.
L’unica verità certa è che esiste l’incertezza, l’assenza di
punti stabili di riferimento.
Per uno come me che scribacchia spesso del contingente
è una tragedia.
Il cercare di fare satira citando la cronaca è messo a
dura prova ed è sopravanzato dal susseguirsi di nuove realtà
che superano la fantasia, dall’avvicendarsi di personaggi
prima protagonisti e ora soltanto ricordi a vantaggio di nuovi
rampanti primi attori sempre “sereni e fiduciosi nel corso
della giustizia”.
Ecco, dunque, un suggerimento propedeutico per la
lettura di alcuni di questi racconti.
Che si prendano come un’esercitazione della memoria,
un piccolo antidoto all’Alzheimer, una sorta di “memento” per
mantenersi svegli e vigili in ottica esistenzialista vichiana di
corsi e ricorsi storici in salsa di alpeggio (al peggio non c’è
mai peggio).
Il tempo infatti scorre, ma di questi tempi scorre di più.
Tra pochissimi mesi PD sarà la sigla di Partito Derivato,
o Partito Depressogeno o anche Partito Detrito; tra qualche
mese Renzi metterà all’indice Gramsci, magari con un dito
medio poco elegante, per rinnovare la nuova immagine del
sinistrorso, una volta trinariciuto orco mangiabambini, ora
vorace caimano delle Caymans, con il comune denominatore
di un (in)sano appetito.
I grandi vecchi che hanno fatto la storiella dell’Italia, in
disarmo, si dimenticheranno delle loro connotazioni: Bossi,
anche lui con il famoso dito medio, in assoluta smemoratezza
circa significati e provocazioni, si ravanerà naso e orecchie
nel mentre che si sbrodolerà sul bavaglino verde la zuppa di
verza imboccata con devozione da qualche pia donna
piadana.
L’unto, esausto ormai come il suo olio che l’unge da
decenni, lungi dal perdere il vizio, condurrà una vita
monacale e rigida con betoniere di Viagra in qualche
convento permissivo (Olgettine, non Orsoline). Canticchierà
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canzoncine garbate e racconterà ancora barzellette, ma
leggendole, per naturali problemi di memoria. Continuerà ad
aiutare il prossimo, magari acquistando appartamenti come
se fossero regge di Caserta, e soprattutto continuerà ad
aiutare la prossima, chissà, stavolta vietnamita o uzbeka.
I nuovi rampanti, parlanti come Grillo, e parlanti
malissimo come Di Pietro, abbaglieranno il prossimo futuro
fino allo scaricamento delle pile in un bla-bla sempre più
urlato, forse involontariamente comico come il De Mita
glorioso dei lontani tempi andati o lo Scilipoti dei tempi
recenti.
E chi, come me, disilluso da sempre, scribacchia con
cinica gioia del presente per segnalare, irridere, allertare,
sarà costantemente di nuovo scavalcato dagli eventi, magari
dal nipote di Scajola (un nipote a sua insaputa) o da un
nipote di La Russa (da un figlio Geronimo mi aspetto
coerentemente un nipote Banzai, il piccolo Banzai La Russa).
Saranno nuove gesta che poco avranno a che vedere con
l’armi e le gesta ariostesche, ma che continueranno a stupire
nuove generazioni sempre meno divertite e sempre più
incazzate.
Poi ci sarà un Big Bang, ché ce n’è sempre uno ogni
tanto.
E si ricomincerà con il tempo che inizialmente scorrerà
placido per poi accelerare sempre più in frenetica rincorsa di
nuovi eroi.
Cyb
24.10.2012
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IL PIACERE DI UNA CONVERSAZIONE
Gli esordi non furono dei migliori.
Entrai in un bar di periferia, di quelli semibui con la
saletta nel retro per i giocatori di ramino, piccola agenzia di
reclutamento per spacciatori, punto di ritrovo di mala
assortita di quartiere mimetizzata tra vecchie bottiglie di
Crema Cacao e cartoni pieni di Fernet e moka arabica di
dubbia provenienza.
Mi presentai disinvolto.
Poggiai il vistoso registratore sul bancone e rivolsi uno
sguardo amichevole e franco all’energumeno baffuto con
camicia a quadretti sudici che mi fissava soppesando
portafogli e intenzioni.
“Mi dicono che qui si possa bere uno dei migliori caffè
del quartiere…
E’ vero o è una diceria messa in circolo ad arte per una
sorta di pubblicità passaparola?”
L’ominide vicino alla Faema argentata aggrottò le folte
sopracciglia, spiazzato da un idioma scevro di vaffanculo e
porcaputtana, e assunse un’aria diffidente.
Poi notò il registratore sul banco e unì tra loro due
concetti audiovisivi elementari: una mano, la mia, che
premeva un tasto rosso accendendo un led verde, e il
rumore di un ‘clic’ con un leggero ronzio.
“Perché hai acceso quel coso?
Che cazzo devi registrare? Cosa vuoi dimostrare? Sei
uno sbirro? Guarda che qui siamo tutti puliti e ai
rompicoglioni ficchiamo in culo le bottiglie di Vecchia
Romagna, quelle grosse da un litro, tanto per…
Spegni subito quella baracca e vai a farti un giro.
La macchina per il caffè è rotta, anzi, tu non mi piaci
perché parli strano, non mi va di farti il caffè e adesso
chiamo gli amici dietro.
Muoviti ché non è aria.
Sparisci, ficcanaso…”
Avrei potuto spiegare che volevo registrare un poco di
conversazione, magari avrei potuto inventare qualcosa a
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proposito di una ricerca antropologica o sociologica o
ancora di marketing, ma assistetti alla magica epifania di
una mazza da baseball tra le mani dello yeti barista e
preferii scomparire inseguito da una muta rabbiosa di
‘fottiti, bastardo, vaffanculo e non farti più rivedere’ urlati
con astio fin sulla soglia del bar a coprire i rumori della
strada…
Sbagliai semplicemente persona.
Provai ad un cinema d’essai, nel buio, durante la
proiezione del film ‘Blade Runner’.
Il cinema, tuttora in squallido esercizio, è poco più che
un locale-pidocchietto senza pretese, ancora con i sedili di
legno, e chi lo frequenta, in genere, colloca tra le ultime
posizioni della graduatoria la motivazione del vedere un
buon vecchio film.
Il posto è bazzicato da esagitate coppiette limonaie
d’ogni età, ragazzi brufolosi e casinisti in perenne
commento ad alta voce, pensionati nullafacenti all’ultima
spiaggia, pederasti in disarmo.
Non fu un risultato esaltante, anzi, fu piuttosto
deludente.
Il famoso monologo di Roy fu lo sfondo sonoro d’altro
che tutto può definirsi fuorché conversazione.
Io ho...cough, cough (tosse) visto cose che voi umani
toglimi quella mano dalla coscia o ti massacro,
finocchiaccio di merda non potreste immaginarvi.
Aaaeettccciùùùù (starnuto con richiamo di galaverna nel
raggio di quattro sedili limitrofi).
Navi da combattimento Ppprrrrrr
(proprio
da
combattimento, asfissiante) in fiamme al largo dei bastioni
di Orione. Ahahahah (risate di commento per l’originale
modulazione, è il caso di dirlo, cacofonica.
E ho visto i raggi Beta Slurp, slurp, sling, slap (baci
voluttuosi con lingua, in ansimare entusiasta) balenare nel
buio vicino alle porte di Tannhauser.
E tutti quei momenti suoneria di cellulare con voce
menefreghista - pronto, ‘zzo vuoi? Sì, dopo in pizzeria – e un
sommesso bestemmione andranno perduti nel tempo come
lacrime nella pioggia.
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E’ tempo di morire. Commento epitaffio: uffa che palle
‘sta roba.
Spensi il registratore dopo poco scuotendo la testa
insoddisfatto.
Sbagliai semplicemente luogo.
Provai allora direttamente da casa, al telefono.
Chiamai un mio vecchio collega di lavoro, di prima che
andassi in pensione, per cercare d’intrattenerlo in uno
straccio di chiacchierata.
Accesi il registratore e composi il numero.
“Aaarghh, pronto, sssììì…”
“Ciao Giovanni, sono…”
“Ah…, sì…, ciao. Senti, ti richiamo poi: sono molto
impegnato adesso…”
“Ti porto via poco tempo, Giovanni. Volevo solamente
sapere come ti diverti a trascorrere il tempo nei tuoi
momenti liberi, due chiacchiere insomma, tanto per
sapere…”
“Ecco, per farla brevissima, adesso che ho un mio
momento libero ti dico che sto trombando, e anche alla
grande, con una gnocca da competizione, la mia superbotta
di culo stratosferica degli ultimi cinque anni, e non ho
proprio tempo e voglia di fare due chiacchiere con te perché,
lo dovresti capire al volo, ho di meglio da fare. Quindi abbi
tolleranza e non rompermi i coglioni: ti richiamo poi io,
d’accordo?”
Chiuse la comunicazione con un clic secco cui fece
seguito il clic del mio registratore.
Sbagliai semplicemente il momento.
Poi mi perfezionai, forte di queste esperienze.
Comprai, per un approccio più soft, un registratore in
miniatura di quelli piccoli come un pacchetto di sigarette, e
scelsi con maggiore cura luoghi e persone e momenti.
Ho compreso con il tempo, con interminabili
appostamenti e lungo osservare che, per esempio, il
giardino di mattina è un posto fantastico, specialmente in
una giornata di sole, ed è frequentato da mamme e balie
ciarliere con bambini giocherelloni, da pensionati che
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hanno voglia di attaccare bottone, da persone in genere
disponibili a fare due chiacchiere e a raccontare qualcosa di
sé o di quello che pensano d’ogni argomento, ché tutti sono
più o meno tuttologi.
Io volteggio come un condor verso una panchina, metto
un dito nel taschino della giacca, accendo il piccolo
marchingegno a loro insaputa e butto là un argomento
innocente di conversazione cercando di provocare una
interazione, magari talvolta provocando, altre volte
contraddicendo per accendere una discussione dialettica,
altre volte ancora assentendo silenziosamente, ché il mio
interlocutore o interlocutrice è in piena logorrea tracimante.
Qualche volta, invece, vado in centro e prendo uno di
quegli ascensori di grattacieli d’uffici, che portano molto in
alto.
Mi accodo a persone pensierose, immerse in problemi
di lavoro o questioni familiari, e mi stipo con loro in qualche
cabina.
Accendo il mio gioiellino con disinvoltura senza
farmene accorgere e poi, ma non sempre, lascio partire una
loffa, insopportabile per fetore, per provocare una reazione e
qualche scambio di opinioni.
Altre volte fischietto da solo: gli altri sorridono,
sbuffano, qualcuno commenta bendisposto.
Altre volte ancora straparlo da solo, ipereccitato, e uso
abbondante turpiloquio per vedere l’effetto che causa nei
presenti.
Qualcuno reagisce con tolleranza e comprensione
solidale, qualcun altro minaccia e vuole la lite.
Nel
pomeriggio,
infine,
soddisfatto
delle
mie
scorribande qui e là per la città, ritorno a casa.
Comincia la parte più difficile del mio passatempo: la
catalogazione.
Scrivo in bella calligrafia con un pennarello indelebile
la data e il luogo dove è avvenuta la registrazione e
soprattutto l’argomento di cui si tratta.
Incollo l’etichetta alla cassetta registrata e la scaffalo
insieme ad altre centinaia lungo la parete sezionata da
ripiani pieni di altre cassette, la parete miniera del mio
falegname che mi ha estorto un mutuo per questa passione.
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Ho diverse registrazioni che trattano del tempo, altre
dove si parla delle mode correnti, altre ancora del governo o
di politica in generale, e poi dei giovani d’oggi, del pudore, di
cinema, della televisione, di cucina, dei bambini e della loro
educazione.
Ho argomenti tra i più disparati su cui è stata fatta
conversazione.
E ne sono fiero.
Spolvero gli scaffali con un piumino leggero, allineo
meticolosamente cartellini e contenitori e pregusto
soddisfatto il mio dopo cena.
Stasera, per esempio, avrei voglia di parlare di musica
lirica con qualcuno competente.
Mi è venuta la voglia adocchiando la cassetta 403 –
Parma, giardino – Verdi, quella sul terzo ripiano nel settore
musica.
Non vedo l’ora.
Una cenetta frugale e veloce e poi mi accomoderò in
poltrona davanti allo stereo con un bicchiere di amaretto.
E farò conversazione.
Per adesso, mentre riordino e spolvero le mie
testimonianze di socializzazione, ascolto Duke Ellington nel
suo successo “Solitude” e mi chiedo come si possa dare un
titolo così desolante e triste ad un brano così poetico e
catturante.
Anche perché, secondo me, la solitudine non esiste.
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DICK – ORMONAL LIFE
“Come va, Dick?”
Il vecchio si scuote da un torpore pesante, allarga e
stringe le mani nodose a saggiare la consistenza dell’aria,
tasta il letto e mormora in un sussulto stanco:
“Bene, no, anzi, benino, Dick, per non dire maluccio o
addirittura malissimo: ho visto giorni migliori.”
“Cosa vuoi farci, Dick? E’ la natura che rivendica il
potere su tutto. Natura omnicomprensiva, tiranna.
Vogliamo osare anche a definirla bastarda?”
“E il tuo modo di presentarti c’entra qualche cosa in
questo disegno cosmico?”
Il vecchio ridacchia sommesso: un sibilo di iguana
spossato.
Aggiusta la posizione nel letto provando a stirare le
gambe nel camicione largo come una vela e trasparente
come una rete da pesca, con la tensione degli alluci verso il
basso.
“Non saprei, Dick: so che adesso sono così, e basta. Ne
sono abbastanza fiero e non mi sto ponendo problemi se ciò
sia possibile da un punto di vista medico, psicologico,
naturale o meno.
Potrei, potresti, potremmo essere fenomeni da
baraccone o anche questo fa parte della natura.
Mi allieta il pensiero di fare la mia porca figura anche
in un momentaccio come questo.
E dovresti essere contento anche tu, no?”
“Beh, per quello che può essere considerato concetto di
gratificazione…”
Il mormorio è basso, un esalare fiato in maniera
inintelligibile,
di un ironico umore nero, semmai sia
possibile solleticare umore nero in un letto di ospedale nella
penombra e nella solitudine più completa di una stanza
singola, appeso per lacci e tubicini a macchine che ti
fischiettano una messa funebre per bip e orchestra.
“La gratificazione, caro Dick, è sempre dietro l’angolo
ed è più intensa quando meno te l’aspetti.
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S’aprisse la porta adesso ed entrasse l’infermierina
culona, quella con i capelli a caschetto e lo sguardo
malizioso …
Mi immagino una bocca atteggiata a meraviglia e uno
sguardo da Alice.
Poi, magari, qualche pensieraccio goloso, ché tanto qui
non entra nessuno e tu, parlando da un punto di vista
decisionale, stai diventando importante come un
soprammobile.”
“I
soprammobili
si
conservano,
Dick:
non
s’inceneriscono per poi conservarsi dentro una scatoletta di
cedro.”
“Beh, Dick, mettiamola così: non è che ti siano rimaste
poi moltissime risorse di reazione. Per come ne sono
consapevole, non sei ancora un puro vegetale, e io lo
dimostro, ma non sei neanche minimamente candidabile
alla frequentazione annuale di un corso di fitness e
pesistica con saune e bagni turchi comprensivi in ambiente
sessualmente misto.”
“Ritorniamo all’infermierina, Dick, così, tanto per
distrarmi da questo doloraccio al petto che scava come un
chiodo arrugginito: potresti anche giocarmi un brutto tiro,
in soprassalto di modestia o vergogna, o anche solamente
perché la natura fino a un minuto prima era distratta da
altro e ora deve correggere prospettive secondo canonicità
classiche.
Non si è più sicuri di nulla, caro Dick, e meno che
meno in frangenti come il mio, con questo ‘bip’ che
m’innervosisce e pare scandire un conto alla rovescia.
E poi che bello: con le cannule nel naso, le palpebre a
mezz’asta e la pelle flaccida e grigia.”
“Tutti alibi, caro Dick, a supportare il tuo essere
rinunciatario, insicuro, sconfitto di sempre.
Perché non provi a considerare altra retorica, la retorica
dell’amore per la vita, dell’aggrapparsi con volitiva
disperazione alle ultime occasioni per assaporare ancora
soddisfazioni?
Una infermiera è allenata ad affrontare le situazioni più
imprevedibili e ha una sensibilità che probabilmente, in
frangenti pratici, è di un altro pianeta molto più evoluto.
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Quella del primario di psichiatria del piano di sotto, in
confronto, è sensibilità di carta vetrata.
La nostra culona ti ammirerebbe, probabilmente, e
magari sarebbe colta dalla sindrome della buona
samaritana e…”
“Sei proprio un porco in ogni occasione, Dick.”
“Se porco vuole dire amare la vita sopra ogni altra cosa,
ebbene, sono allora un gran porco, caro Dick.
E risparmiami discorsi di carattere spirituale, morale,
filosofico, sociale.
Non venirtene fuori con la storia che caschetto è troppo
giovane, è troppo sposata, è troppo sola, è troppo pietosa o
altre amenità sul tuo stato, la tua età, il tuo
rincoglionimento o quant’altro di negativo tu sappia
inventarti per giustificare il tuo essere coniglietto.”
“Stai dicendo tutto tu, Dick: io a mala pena respiro e ti
sento.
Ti sento vampiro. Non so fino a che punto nella scala
della giustizia.
Mi soffermo solamente su considerazioni varie rispetto
al concetto di ridicolaggine…
Sto tirando l’anima coi denti e il ‘bip’ mi assomiglia
sempre di più ad una campana a morto.”
“Beh, caro Dick: meno male che ci sono io a resistere,
allora.
Il concetto di ridicolaggine, per come la vedo io, è
uguale a certi macigni che riguardano la paura di morire e
l’aggrapparsi alla fede.
Invecchi e hai paura di morire, diventi un baciapile, osservi
i comandamenti che non hai mai osservato fino a pochi
anni prima, ti raccomandi l’anima a Dio, ti riempi di piità,
senti che vocabolo pulcinesco ahahah…
Piità, piità, un’assonanza da pollaio con pietà che ha
dell’inquietante.
Oppure alzi paletti, palizzate, muraglie.
La pelle del vecchio fa schifo, l’alito è da fogna, l’occhio
è liquido, l’odore del corpo assomiglia ad un qualcosa di
indefinibilmente rancido, le sinapsi cerebrali sono tarde e
risibili.
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Tutto vero, se la rigiri per qualche verso che ti
accarezza la pigrizia e la irrefrenabile pudicizia che non
ammette brutte figure.
Ma, e questo ma è un solco.
Non è maschilismo spicciolo, questo, bada bene.
Esiste anche una insopprimibile voglia permanente di
vita indipendentemente dall’età.
La vita è cibo.
E’ socializzazione complice.
E’ ormone.
E’ figa. La santissima Figa che tutto asperge con i suoi
umori creando vita che genera amore per la vita. Un circolo
virtuoso, vizioso, virtuvizioso, saldato solidissimamente, che
ti sfido a discernere.
Ed è un assioma indipendente dall’età.
Le donne sono meno sceme di quello che tu credi, e lo
sanno, per fortuna.
Comprendono.
Si incuriosiscono per comprendere meglio.
Forse non tutte.
Ma te ne basta una, no?
Ce ne basta una, no? Per me ed il mio amore per la vita
e per te e il tuo amore per la vita: amori così diversi e così
simili, carnale e spirituale, ché quel coglione che ha
cominciato a fare distinzioni aveva il cervello in pappa.
Dai, Dick, resisti. Resistiamo alla morte con la gioia e
l’amore per la vita.”
“Fino a che ce la farai: io ho idea che tra poco passo…”
“Sforzati un poco, allora, e pensa al figurone del ‘rigor
mortis’: l’angelo della corsia con le lacrime agli occhi per
una occasioncella perduta…”
“Vaffanculo, Dick…Per te sono tutte troie.”
“Macché dici, Dick. Povero te ché sei arrivato a questa
età e non hai capito nulla della vita.”
“…E’ ora. Spero che qualcuno, se esiste, mi protegga e
abbia pietà di me…”
Il vecchio ha un soprassalto tirato e si rilascia.
Anche le cannule e i tubicini sembrano allentarsi sul
letto e il camicione sembra svuotarsi.
Almeno in parte.
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Qualche tempo dopo entra nella stanza per un
controllo una infermiera coi capelli a caschetto, piuttosto
ampia di bacino, e scuote la testa mestamente nel notare la
macchina silenziosa e il vecchio Dick terreo immobile
disteso sul letto con il suo camicione largo.
Il morto sembra sorridere: una specie di ghigno
sospeso tra il perfido e il divertito, anche se qualche ruga
spianata denuncia una rassegnazione perdente che
potrebbe confondersi con una comprensibile paura.
Ha le mani serrate all’inguine, Dick.
Artigli. Eppure sono mani che contengono, che non
imprigionano.
A dispetto dell’età e chissà per quale possibile o
impossibile legge naturale, fa mostra di sé di una
prorompente erezione.
Seppure postuma.
L’infermiera ha un pallido sorriso, indecifrabile,
femminile, e copre con il lenzuolo i due Dick.
Con delicatezza.
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BRACCHI E DUGONGHI
Il dugongo è caposala: si evince dal golfino blu che
fascia una divisa immacolata.
Legge le analisi senza tradire emozioni.
Il degente interessato, di fronte a lei, si rassetta
nervosamente il pigiama cascante sul corpo scheletrico e si
passa una mano sui pochi capelli residui.
La caposala sorride al mughetto balsamico, equa e
solidale.
“Bene, benissimo, caro: adesso l’accompagnerò nel
laboratorio analisi per qualche altro prelievo. Lei è una
roccia. Nulla di preoccupante.”
Il paziente, vecchio bracco mansueto, annuisce
speranzoso: se avesse la coda, l’agiterebbe festosamente
mendicando con lo sguardo una grattata dietro le orecchie.
Il dugongo assume un’aria marziale stringendo al petto
la cartella clinica e modula l’espressione secondo il
protocollo ‘indiscutibilmente professionale’.
Flauteggia con voce che non ammette repliche:
“Mi segua da vicino. Dobbiamo andare solamente in
fondo al corridoio.”
Il malato uggiola in annuire sommesso.
La caposala spalanca la porta e s’immette nel corridoio
che è invaso da carrozzelle, lettini, infermieri affaccendati,
parenti di pazienti, bimbi queruli, madri lacrimanti, uomini
pensierosi, medici veloci in movimenti galvanici.
Il degente si rattrappisce dietro il golfino blu che fende
la calca, Pollicino di corsia.
La caposala è un bulldozer, ma il corridoio è davvero
intasato d’ogni genere di umanità.
Il dugongo barrisce:
“Permesso, fate largo. Fate largo! Attenzione: uomo
morto che cammina. Uomo morto che cammina…”
I presenti si appiattiscono verso le pareti e con sguardi
sgomenti accarezzano il piccolo bracco che si guarda
intorno frastornato.
Il dugongo si volge indietro con un’impercettibile
strizzata d’occhio che vorrebbe essere complice.
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Così almeno recepisce, spera, il già prima definito
roccia.
Molto confuso.
Con un groppo alla gola e la proiezione, in pochi attimi,
di un’intera vita sullo sfondo del corridoio, sulla porta del
laboratorio analisi.
La voce insiste:
“Permesso, fate largo: uomo morto che cammina…”
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CASTING
Al centro del salone l’enorme tavolo di palissandro
scintilla sotto le lampade alogene e riverbera i bagliori dei
portacenere di cristallo e delle bottiglie di acqua minerale
disseminate qua e là.
Sta per cominciare una riunione per definire il cast di
una popolare trasmissione di prima serata.
Il capo emerge da volute di fumo azzurrino, grintoso
con la mascella quadrata e il ghigno dello squalo.
I collaboratori, quasi tutti sulla trentina, hanno uno
sguardo di sottomissione fanatica rivolto alternativamente
al loro guru a capotavola e alle scartoffie davanti a loro.
Sfogliano plichi, consultano appunti, blocchi notes
zeppi di scarabocchi e geroglifici, e si soffermano su
fotografie che sono sicuramente costate ore di estenuanti
prove in ricerche di espressioni e luci e sfondi.
Il brusio viene rotto da un autorevole colpo di tosse e
da un messaggio programmatico.
“Bene, ragazzi: per l’edizione di quest’anno voglio cose
mai viste, e spero che abbiate da proporre protagonisti
assolutamente originali.
Basta con le solite comparse trite e ritrite senza
personalità: la quarantaquattresima edizione del Grande
Fratello dovrà essere unica e dovrà essere rimpianta per i
prossimi dieci anni.
Allora: chi comincia a esporre la sua mercanzia?”
Si alzano diverse mani, ma una voce buca l’uniformità
di atteggiamento e attira maggiormente l’attenzione.
“Ecco, capo, partirei io, se vuoi, ché ho un asso nella
manica che farà scalpore e indici di gradimento mai visti…”
“E chi sarà mai? Il Papa?”
Mugolio similorgasmico del collaboratore che si stira in
un sorriso fosforescente.
“Quasi, capo. E’ stato trombato all’ultimo conclave per
una manciata di voti. Potremmo chiamarlo il vicepapa
eheheh…”
“Non mi dirai che…”
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Sorriso abbagliante da lenti affumicate e falsa
modestia.
“Sì. Proprio lui. Il Cardinale Benedetto Qualchevolta,
detto Monsignor One o anche, meglio, Mons. One, per il suo
carisma che lo porta sempre a primeggiare e soprattutto per
il suo irrefrenabile meteorismo.”
Silenzio di invidioso rispetto di tutti, risatine maliziose.
Poi lo squalo:
“Cacchiarola, bimbo, ma questo è un colpaccio, anche
se, dopo attenta riflessione, non so, dati certi precedenti
pedofili, non sono così sicuro…”
Querulo e appassionato, il collaboratore è convinto
della bontà della sua scelta:
“Ma capo, ma questa è la pedofilia dal volto umano.
Mons.One, tra una trombetta e l’altra, ha cattivi
pensieri, ma poi si pente e si castiga. Ha un gatto a nove
code con cui si flagella le terga e i marroni e il manico del
gatto lo usa per autosodomizzarsi.. Provate tutti a pensare
al successo di una sua convocazione nel confessionale, tra
una scoreggia, un pensieraccio su qualche bimbo ed una
immediata reprimenda anale di pentimento e castigo.”
Un aggrottare di ciglia a schernire del boss:
“Sarò cinico, ma penso che col gatto a nove code di
dietro magari ci gode. Non è credibile.”
Collaboratore trionfale:
“Sbagli capo. Il manico del gatto a nove code, e si dirà a
voce piena e con sottotitoli lampeggianti a scorrimento, è
rivestito di carta vetrata ed è cosparso di polvere di
peperoncino: un castigo epocale che neanche Giobbe.”
“E come la mettiamo con la fascia protetta?”
“Mandiamo in onda dei bip di messa solenne cantata e
sfochiamo l’immagine con la vaselina.”
Interloquisce un collega ammirato, molto preparato in
burocrazia.
“Ha ragione, capo. E poi con le nuove leggi rielaborate
quattro anni fa per la tutela dei minori, un moccolo in
diretta o una bestemmia si potrebbero configurare nel
programma di approfondimento filologico della lingua
italiana.”
Lo squalo capitola con malcelata soddisfazione.
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“Va bene ragazzi, mi avete convinto, anche se alla
produzione costerà un mutuo di vaselina: vada per
Mons.One.
Pretendo, però, nero su bianco davanti al notaio, la
rivelazione nel confessionale di qualche succoso retroscena
sulla riunione del conclave, per esempio un trenino tra
cardinali o una tresca con monache o guardie svizzere,
qualche ricordo languido e morigeratamente erotico
d’esperienza con gli orfanelli del Gabon e un numero
minimo di sei sette scoregge polifoniche durante i
collegamenti e almeno un crepitacolo lungo nel
confessionale, con ovvio atto di contrizione e scuse con
battitura del petto. Chiaro?
Andiamo avanti. Raccontaci tu, Laura, chi hai per le
mani.”
Laura ha la capacità di trovare inusualità sparse per il
globo, ragazza molto intraprendente e senza scrupoli.
“Una coppia strana e indivisibile, capo, un insieme di
pietoso e torbido che affascinerà i telespettatori.”
“Spara, dai.”
“ Ecco, capo, ho contattato una ninfomane…”
“E’ pieno di ninfomani, soprattutto oggi che girano certi
cardinali.”
“Aspetta, capo: è focomelica, quasi senza braccia e
mani, ed è accompagnata sempre, dico sempre, da una
badante tedesca assai rigida e lesbica, tale Ilde Kameron,
che la scarrozza dappertutto con una divisa da gestapo
nazista dei filmetti degli anni settanta. Il fascino del proibito
attuale nell’uniforme del paleozoico a reminiscenza
pruriginosa della terza e quarta età che non hanno
dimenticato i filmetti di una volta: un nostro target.”
Può ruggire di ingordigia uno squalo? Questo sì.
“La ninfomane pensa di esibirsi? Come si chiama?”
“Si chiama Eva, God Eva, e altroché, se pensa di
esibirsi, capo. L’unico inconveniente è che non riesce
ovviamente a spogliarsi da sola.”
“E presumo che l’aiuterà Ilde Kameron, vero?”
“Garantito al limone, capo, sbottonandola coi denti…
La tedesca se ne approfitta ad ogni occasione anche
se ha una maschera dura e inespressiva che all’inizio non
23
eccita granché. Però ogni tanto uggiola… come un pastore
tedesco, appunto, e la repressione delle sue pulsazioni
diventa un top che titilla indifferentemente uomini e
donne.”
“Argh, argh, argh…questa cosa mi illibidinisce assai.
Brava Laura.”
“Grazie boss.”
Lo sguardo del capo si posa paterno su un ragazzotto
dall’aria apparentemente innocua.
In realtà è un’anima nera che passa ore su internet alla
ricerca di messaggi rivelatori per suoi disegni di
reclutamento.
“Passiamo al perfido Puccio. Tu chi proponi?”
“Ho per le mani un anglo-brasiliano bellissimo, mulatto
con gli occhi azzurri. Parla molto bene l’italiano e ha due
caratteristiche interessantissime. Grattatevi o toccate
ferro…
E’ un menagramo della madonna, e ci prende sempre o
quasi, ed è un esibizionista da competizione.”
“Beh, Puccio, da te mi sarei aspettato di meglio. Mi
pare tutto molto banale.”
“Aspetta, capo. Il tizio si chiama Mortimer, Mort Accy
do Interomundo, un nome e una garanzia: ha già causato
due infarti per anoressia ad un raduno di bulimici,
un’epidemia di colera in un Club Mediterranèe in Finlandia,
e ha mandato in corto diversi impianti elettrici con vari
difficoltosi interventi dei vigili del fuoco a domare i relativi
incendi. Inutile dire che le case erano tutte di legno
stagionato nel mezzo di intricate foreste. Ettari in fumo.
E poi quando fa l’esibizionista è da sballo.”
“Che ha di così speciale?”
Pausa ad effetto e voce profonda ad evocare
fenomenologie straordinarie.
“In mezzo alle gambe ha una murena. Lo tiene con due
mani e quello sporge ancora, di parecchio, e ondeggia a
destra e a sinistra minacciosamente.
Si è fatto fare, infatti, quattro piercing e pare proprio che ti
guardi con due occhi di giada e che ti voglia mordere con
due denti affusolati come chiodi: Uno spettacolo.”
“E la fascia protetta, Puccio?”
24
Interviene l’esperto di burocrazia.
“Approfondimenti di storia naturale, capo, ché poi si
può solamente immaginare che possa avere tra le mani il
suo affare. In realtà, da come dice Puccio e da come si vede
in fotografia, è fuori di ogni misura e sembra proprio una
murena viva…”
Il boss sfrigola idee su idee meditando ad alta voce
sotto lo sguardo rapito dei convocati.
“Mmmmhhh, sto pensando a gare competitive nel
giardino della casa del Grande Fratello, tipo a chi piscia più
lontano, per il titolo di padrone di casa, magari con riprese
di traverso a inquadrare solamente gli zampilli, per
salvaguardare la fascia protetta: rumori di scrosci, e vaiii...
Sììì: magari anche una crisi mistica di un mini dotato
che vorrà tentare il suicidio in diretta inspirando forte nelle
vicinanze del cardinale Mons.One, oppure un gesto
inconsulto di una concorrente che rimane appesa ai chiodi
della murena in dilettantesca avance.
Si dovrà stabilire solamente da che parte rimane
appesa…argh, argh, argh…
Bello, sì, cacchiarola, ma voglio assolutamente in
studio i nipoti di Alessandro Meluzzi e del sessuologo Willy
Pasini, quel tanto da illuminare i telespettatori su
gestualità, misure standard, zone erogene e comportamenti
compulsivi e ossessivi: tutti i telespettatori maschi
dovranno misurarsi il pisello preoccupati sotto lo sguardo
ironico delle mogli.
Giààààà…E poi bisognerebbe trovare una ragazza
molto timida, la vittima classica, che si strappa i capelli
ogni volta che vede la murena, cogli occhi sbarrati e insane
voglie frenate da una pudicizia da orsolina. Potrete trovarla
una simile?”
Coro determinato unanime.
“Difficilissimo, capo, ma ci proveremo.”
Il capo è mansueto come un alligatore dopo
abbondante pasto e offre paternalistici suggerimenti.
“Deve essere brutta, brufolosa, con i capelli
esageratamente oleosi, ché quando se li tira si devono
vedere le mani scivolare, mi raccomando, e deve urlare e
gemere nel sonno in preda a incubi erotici di cose volute e
25
temute: i tecnici dovranno dare il massimo di loro stessi
nelle riprese notturne agli infrarossi.”
Laura ha gli occhi lucidi, ma è realista.
“Capo, dovremo pescare in qualche baita da yeti:
ragazze così non esistono più. Anche Heidi s’è rivelata una
troia con i capretti che non facevano solo ciao.
Piuttosto ci pensi ai numeri con God Eva e Ilde
Kameron?”
“Sì, Laura: quando si dice sinergia eheheh.
Forza, proponetemi altri eroi o eroine…”
Interviene un tipetto mite con due occhialoni da miope.
“Ecco, capo, io ho uno che sembra dire poco, ma
potrebbe promettere sviluppi considerevoli…”
Diffidenza, ma solo di circostanza: la talpa è molto
intelligente e sorprende sempre alla distanza, come un
diesel.
“Cha fa il tizio?”
“E’ un ex tecnico di laboratorio analisi: si chiama Elio
Filizzato. E’ fuori di melone dopo avere provato tutti i tipi
conosciuti di droghe leggere e pesanti. Completamente fatto
e sempre più ossessionato dalla ricerca di una dose di
qualsiasi cosa.”
“Visto e stravisto anche alla Tv dei ragazzi. E allora?”
“E allora, capo, questo pazzo ha scoperto qualche cosa
che fa sballare, innocua apparentemente, ma che lo manda
nel pallone, tanto da non controllarsi più.
Se trova del cartongesso, lo sbriciola e lo mescola con
bicarbonato e qualche altra polverina. Poi lo sgranocchia
fino a che non vede la fine…”
Gorgoglio di conferma del capo, sempre ammirato verso
la talpa che colpisce a scoppio ritardato.
“Ahhhh, sei proprio un essere acuto: la casa è quasi
tutta in cartongesso. Previsione di finali apocalittici con
tutti i concorrenti all’aperto sotto finte bufere o sole
canicolare.
Prendete nota d’allertare il tecnico degli effetti speciali
per grandinate bibliche e anche tempeste di sabbia.”
“Già, capo, e poi suggerirei d’affiancargli un
concorrente profondo conoscitore della psicologia, una
specie del vecchio Hannibal di buona memoria, che istilli in
26
Elio Filizzato strane idee sulle proprietà sballanti del corpo
umano: un caso di cannibalismo in diretta farebbe
impennare gli indici di gradimento a millanta.”
“Oh già, già, ragazzo, bravo. Se fosse vivo nonno Paolo
Crepet, lo farei partecipare d’imperio: invece abbiamo il
nipotino in studio per fare lezioncine teoriche, puah…
E magari, ditemi che è un’ottima idea, il carismatico
psicologo potrebbe dirottare le attenzioni del drogato sulla
racchia vittima oleosa, magari dopo l’eliminazione della
murena che porta sfiga.
Un’eliminazione dietro l’altra, già tutte elaborate a
tavolino senza che i concorrenti subodorino qualcosa: il
trionfo dell’inconsapevolezza.
Mi pare un inizio promettente.
E poi? E poi?”
Alza la mano un ragazzo che sembra uscito da un ritiro
spirituale.
“Capo, sto lavorando su un terminale.”
Fastidio.
“Che c’è di strano, moccioso: tutti abbiamo il
computer…”
Gioiosa ripicca.
“Su un malato terminale, capo, per la partecipazione a
questa edizione. Si Chiama Agostino Nia, ma gli amici lo
chiamano Ago. E’ dentro un polmone d’acciaio e si sta
sgretolando poco a poco alternando momenti di lucidità, in
cui è tagliente e odioso contro tutto e tutti, da vero stronzo
obiettivo, a momenti di narcolessia totale in cui i
concorrenti potrebbero sfogarsi con calci al polmone per gli
insulti ricevuti precedentemente nei momenti di lucidità.”
Il fastidio ha lasciato il posto ad una irrefrenabile
curiosità.
“Un’ideuzza fresca e sbarazzina, bene.
Potremmo abbinare al sondaggio sulla eliminazione dei
concorrenti anche un sondaggio parallelo, quasi un
totoscommesse sulla giornaliera capacità di sopravvivenza
del terminale.
Prendi nota: contattare i familiari per eventuale
eliminazione ufficiale in diretta, ovviamente a tariffa
sindacale, tre o quattro onorevoli di media popolarità
27
contrari alla partecipazione del malato e altri tre o quattro
contrari all’eliminazione, che minaccino tutti eventuali
referendum. Non può assolutamente mancare un membro
della C.E.I. che lanci tuoni fulmini e scomuniche.
Mettere sull’avviso l’ufficio stampa circa la promozione
di forum e di dibattiti sull’argomento.
Contattare anche Mort Accy do Interomundo come
carta estrema per risolvere il problema, ma senza murena
in questo caso. L’ideale sarebbe una morte per asfissia
durante una confessione con Mons. One… Sondate,
sondate…”
“Sì capo: ti adoro.”
Sguardo affettuoso ad abbracciare tutta la sala.
“Abbiamo altro, marmocchi?
Forza, ché siamo sulla buona strada, ma mancano
ancora diverse figure di contorno e di protagonisti.
Vi suggerisco anche un paradosso: trovate un
concorrente normale, senza vizi e senza virtù, ma che abbia
la schiera di parenti più impestata del pianeta.
Dai, ragazzi, datevi da fare: un laureando in teologia
ancora vergine, ma con sorella mignotta, padre coatto e
mamma spacciatrice di extasy.
Magari anche con una zia in premenopausa che dal
vivo e dall’esterno sbavi e faccia la corte alla murena di
Mort Accy, in calze a rete e trucco esagerato.
O anche un fratello transgender che dichiari di volere
intraprendere una relazione con Mons.One e che spera
nella vittoria del laureando per avere in dono una maschera
antigas per affrontare il prelato.
Dai, ragazzi: affinatevi e sappiate che la gente vuole
vedere cose nuove e sempre più mirabolanti.
Portatemi qualche mostro, cacchiarola, o qualche
deviato. Approfondite le conoscenze dei concorrenti scelti:
pensate alla goduria se tutti fossero del Milan e un solo
concorrente fosse un ultrà orgoglioso dell’Inter, o che tutti
fossero della destra più picchiatrice e un concorrente fosse
bertinottiano in pieno outing proselitista.
Bene. Ho fiducia in voi.
28
Ci aggiorniamo a domani per parlare del resto. Mi
aspetto grandi cose. Non vorrei buttare nella mischia il
peggiore di voi per fare numero argh, argh, argh…”
Si ride nervosamente, qualcuno smadonnando,
qualcun altro divertito dell’idea mentre pensa al collega di
fianco.
Tutti si alzano e raccolgono cartelle e plichi dal tavolo
mentre il capo si dissolve con un immaginario movimento di
pinna caudale nel fumo che ormai è nebbia.
Nell’aria si respira, oltre la nicotina, consapevolezza e
determinazione: si sta formando un cast.
29
30
ECHI DI ECOFUTURO INSOSTENIBILE
“Allora è pronto questo volantino?”
“Quasi: i compagni del collettivo C.E.S.S.O. stanno
approntando il testo.”
“Forza, ché è sempre più necessario dare voce alla
protesta.”
“Ancora un poco di pazienza e siamo pronti.”
“Leggi, dai…”
“Sì, dunque: abbiamo un titolo che dovrebbe
traumatizzare il lettore con una forte provocazione.”
“Occacchio, dai, leggi.”
“Basta mangiare merda!!! E’ il titolo…
Il C.E.S.S.O., Comitato Ecocombattente Sotto Spasmo
Opercolare degli anarchici di sottosopra dappertutto indice
un corteo di protesta contro la nuova politica governativa in
materia di riciclaggio e riorganizzazione dell’ecosistema,
politica che puzza di manovre poco chiare e mesta nel
torbido.
Non siamo disposti alla regressione alimentare e non
tollereremo le solite speculazioni governative in conflitto
d’interesse a danno del popolo.
Partecipate numerosi per far sentire la vostra
presenza.”
“Mi sembra che possa andare… Speriamo che non
finisca tutto in merda…”
***
Una offerta veramente speciale!
Da oggi fino alla fine dell’anno, grazie agli ecoincentivi
statali,
potrete
acquistare,
pagando
fino
a
duecentoventicinque comode rate mensili senza interessi
particolarmente rilevanti, SPLOF, il bioconvertitore di
nuovissima generazione capace di ridurre gli sprechi
organici fino al sessanta per cento rispetto ai bioconvertitori
sperimentali degli anni passati.
31
Una occasione da non perdere e un risparmio che si
traduce anche in maggiore potere d’acquisto per tutte le
famiglie.
Approfittatene!!!
Il bioconvertitore SPLOF cambierà in meglio il vostro
modo di vivere.
***
“Come va?”
“Malissimo: sono in crisi, depresso come non mai.”
“Che succede?”
“Non vado da tre giorni, ho una fame nera e al mercato
vendono solo verze che mi procurano acidità e che non
digerisco; e poi sono verze rinsecchite e striminzite, e
costano un occhio della testa.”
“Ah: un problema serio, dunque…”
“Molto serio, anche perché questi bioconvertitori, se
non si attivano regolarmente, potrebbero bloccarsi.
La portiera del mio stabile, una stitica da competizione,
ne ha buttati alla discarica già due, ché non esistevano
ancora le rottamazioni dei bioconvertitori, e con quello che
costano questi accidenti di cazzobubboli, incentivazioni o
meno…”
“Dio, come è vero! E come pensi di risolverla?”
“Sto pellegrinando di farmacia in farmacia alla ricerca
di un lassativo, una purga, della magnesia, ma sono finite
tutte le scorte. Mi accontenterei anche della scialappa per i
cavalli, ma nulla.
Gli enteroclismi sono scomparsi da mesi e poi non so
neanche se possano andare bene o inquinare.”
“Hai provato con i vecchi rimedi della nonna? Le
prugne secche? La frutta cotta? Acqua e limone bollente?”
“Seee lalléro: e dove le trovi le prugne secche, la frutta
e anche i limoni? Ci solo in giro soltanto verze e cipolle, ma
in quell’aggeggio infernale le risultanze delle cipolle vanno
bene solo per il riscaldamento o come deodoranti
dell’ambiente o al massimo come insetticida.”
“Coraggio, non ti abbattere. Ti mando da un medico
che conosco: è un essere diabolico che vende alla borsa
32
nera confetti Falqui, Dolci Euchessine e gelatine Rim. Il
furbacchione sta facendo una barca di soldi, proprio vero
che la merda porta denaro, ma se gli dici che ti mando io
magari ti fa uno sconticino…
Pensa: mi ha riempito di Fave di Fuca e mi sento come
Ambrogio, quello che va come un orologio.”
“Grazie, grazie: sei un fratello. Già quello che dici mi
rimescola lo stomaco…”
* * *
“Nonna, nonna, stasera ho amici a cena e ho il
bioconvertitore fuori uso: povera me!”
“Ma cara: corri subito a comprare SPLOF. E’ in offerta
specialissima con ecoincentivi governativi.”
“Ma costerà un pozzo, nonna! Posso rateizzarlo?”
“Ma certamente, cara, fino a duecentoventicinque mesi
con mutuo quasi agevolato e inoltre, ma solo per questo
mese, sei anche omaggiata di due quintali di zucchine
idroponiche di dubbia falda acquifera e di un quintale di
prugne secche sotto solfati di conserva a norma di legge,
tutto disinfettato con la mia vecchia e buona candeggina:
imperdibile, no?”
“Ah, ma allora corro al più vicino rivenditore SPLOF…”
* * *
“Cari radiospettatori buonasera. Quest’oggi abbiamo
come ospite il ministro per l’ambiente che risponderà ai
quesiti del pubblico presente in sala riguardo alla nuova
campagna civiltà e progresso inerente i nuovi bioconvertitori
SPLOF.
Buonasera, signor ministro. Mi tolga una curiosità
prima di cominciare: cosa significa SPLOF?.”
“Buonasera. Colgo l’occasione per salutare i
radiospettatori e per augurare a tutti un sereno futuro
nonostante questi bui periodi di crisi da cui usciremo
brillantemente, ché già stiamo meglio di paesi emergenti
come l’Angola, il Burkina Faso e le isole Tonga
semisommerse ahahah.
33
Ottimismo, dunque, ottimismo…ahahah”
APPLAUSI APPLAUSI - BASTARDI DATECI SOTTO
“Grazie, grazie.
Bene, per soddisfare la sua legittima curiosità, le dirò
che la sigla SPLOF è un riferimento, sotto forma di
contrazione letterale, al primitivo concetto circa le
funzionalità per cui era stata progettata la macchina:
SPLOF come Spremi Loffe.
Il progetto iniziale prevedeva un congruo risparmio
energetico e contemplava la bioconversione delle cosiddette
emissioni gassose intestinali silenziose, le loffe appunto, più
dense e ricche dei classici rumorosi peti, in energia pulita
per il riscaldamento dell’ambiente con l’integrazione di una
componente deodorante.
Ulteriori prove di laboratorio hanno successivamente
squarciato orizzonti impensabili ampliando a dismisura le
funzioni della SPLOF e oggi tutti conoscono le potenzialità
di questo rivoluzionario elettrodomestico insostituibile per
una decente qualità di vita, tanto che, come tutti sanno, il
Governo
sta lanciando
una massiccia
campagna
pubblicitaria con lo slogan ‘Una SPLOF per tutti’.”
“Bene, grazie signor ministro. Cominciamo dalla prima
domanda, del signor Vacca Carlo di Caccamo.”
“Buonasera, signor Ministro. Ecco, vorrei sapere se
SPLOF funziona anche immettendo come materia prima
semplice diarrea o qualche sbroffo sporadico.”
“La ringrazio della domanda che mi consente di fare
chiarezza, una volta per tutte, sgombrando il campo da ogni
equivoco.
Sì. SPLOF funziona anche a diarrea e sbroffi. E’ stato
positivamente testato addirittura con semplici tracce di
sgommate nelle mutande, estratte mediante uno spatolino
che è stato poi aggiunto alla pur ricca dotazione di
accessori. E’ infatti provvisto di un solidificatore automatico
che interagisce con il convertitore e il forno a microonde in
una armonica sinergia creativa.
E’ sufficiente programmare i giusti tasti seguendo la
pagina dei menu sul comodo display amichevole: da una
scarica diarroica media, e questa è fonte ufficiale del
Ministero della Sanità, si possono ricavare fino a cinque
34
gustosissimi pasticcini al gusto di vera pasta di mandorle
siciliana o anche, in alternativa prevista dal menu, una
sogliola media, a vapore o alla mugnaia con una
spolverizzata di prezzemolo, oppure due cannelloni belli
caldi ripieni di spinaci e ricotta.”
“Grazie, signor ministro.”
“Passiamo alla seconda domanda della signora Leica
Cava in Piazza, di Meda.
“Signor Ministro, il marchingegno funziona immettendo
deiezioni di qualsiasi genere? Cioè, deiezioni ottenute da
qualsiasi alimento? E anche deiezioni di animali
d’appartamento o di campagna o selvatici?”
“Domanda molto interessante signora Caca”
“Cava, signor Ministro, in Piazza.”
“Sì, Cava, Leica Cava, scusi. SPLOF funziona con
qualsiasi tipo di deiezione. E’ stato testato con immissioni
di materiali ottenuti dall’elaborazione intestinale di crusca,
surgelati ancora gelati e anche squagliati dopo prolungato
black out elettrico, verdura e frutta, fresche e anche marce,
suole di scarpe bollite, segatura a vapore, cartongesso in
umido e calcina sbriciolata saltata in padella con porri
passati nel senso di appassiti quasi decomposti.
Funziona egregiamente, grazie ad un programmatore di
conversione assolutamente versatile: da un paio di suole di
scarpe, faticosamente espulse in un processo peristaltico
doloroso assai, ché era rimasto anche qualche chiodino, è
stato programmato un tiramisu di pasticceria artigianale al
caffè che ha poi ottenuto due cappelli di cuoco dalla guida
Michelin.
La conversione può avvenire programmando, oltre il
sapore fondamentale,
la consistenza del prodotto e il
colore.
Si può variare da una consistenza polentacea ad una
granulacea, micro e macro, fino alla variante filamentosa
che richiama visualmente gli spaghetti. E’ prevista anche
una consistenza croccante, un’altra secca e una
gradevolmente agrodolce.
I colori programmabili vanno da un brillante giallo
paglierino fino ad un verde smeraldo che i tecnici
assicurano assai vivace.
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Una sostanziosa e allegra cenetta trasgressiva
contempla addirittura i colori violetto e verdino
fosforescente insieme ad uno stupefacente rosso fucsia.
Una serie di meraviglie, dunque, in questa sciccheria di
indispensabile elettrodomestico per la casa, ché la vita,
come dice la pubblicità progresso, con SPLOF, è davvero
degna di essere vissuta.
Inoltre il bioconvertitore SPLOF è stato testato su
inconsapevoli volontari disoccupati disorganizzati e in
ospedale su pazienti terminali, in accanimento terapeutico,
con ricordini di cani, gatti, scimmie, bovini equini suini e
ovini, castori e criceti e anche topi e coccodrilli. Il risultato
non cambia: il convertitore compie magicamente il suo
dovere e il menu di programmazione è assolutamente
fantasioso e molto vario. Lei pensi che dalle risultanze
intestinali di un procione è stato prodotto un appetitoso
pastone al gusto di timballo alla norcina con abbondante
spolverizzata di parmigiano grattugiato, tartufi neri e la
salsa bechamel.
Non è meraviglioso?”
“Grazie, signor ministro. E ora un’ultima domanda del
signor Tino Tenue di Belsedere, in provincia di Siena.”
“Signor ministro, il bioconvertitore SPLOF è prodotto
solamente dallo Stato o, come si vocifera, la sua costruzione
e distribuzione è appaltata alla stessa ditta che ha prodotto
molti anni fa i decoder per la televisione digitale?”
“Con lei non parlo, cribbio!
Lei è un provocatore comunista e un terrorista senza
Dio e mi rifiuto di rispondere a questa domanda capziosa.
Mi meraviglio che qualcuno le abbia dato il pass per questa
trasmissione e trasecolo che lei sia ancora a piede libero e
non sia stato trasformato in polpettinaggio per la filiera
governativa.”
“Polpettinaggio?”
“Giààà, caro il mio terrorista: polpettinaggio per i cani
da guardia del Primo Ministro, feroci molossi colagoghi, che
poi produrranno come bisonti il materiale da bioconvertire
in braciole al sangue per le guardie di scorta…”
“Vigilanza, per favore, fermate quell’uomo, il
terrorisTino.
36
Sono mortificato con il ministro per l’intrusione
inaspettata.
La trasmissione volge al termine con i soliti
inconvenienti della diretta di cui mi scuso ancora.
Un saluto cordiale e un arrivederci alla prossima.
Sigla, sigla.”
* * *
Leggere attentamente.
La ringraziamo d’avere scelto il bioconvertitore SPLOF.
Il bioconvertitore SPLOF, di ultima generazione, è
provvisto di un meccanismo di omogeneizzazione della
deiezione
permettendo
la
conversione
ottimale
indipendentemente dalla consistenza del materiale organico
immesso e anche in presenza di residui mal digeriti come
bucce di peperoni, chicchi di mais e foglie di cavolo.
Il bioconvertitore SPLOF, di ultima generazione, accetta
materiale organico deiettivo di qualunque specie animale
anche se si suggerisce una certa cautela operativa rispetto
a granchi, scorpioni, serpenti velenosi, vedove nere e
rinoceronti.
Il bioconvertitore SPLOF, di ultima generazione, è
provvisto di forno a microonde per la cottura e il
riscaldamento del prodotto bioconvertito e anche di un grill
elettrico per la tostatura e la gratinatura.
Può essere usato anche come pratico scongelatore in
pochi istanti e anche come termosifone e deodorante
dell’ambiente in cui vivete o diffusore di insetticida
In questo ultimo utilizzo arieggiare a lungo l’ambiente
prima di soggiornarvi.
Il bioconvertitore SPLOF, di ultima generazione, è
dotato, nella sua elegante confezione, di un inesauribile
ricettario per le programmazioni più sofisticate e fantasiose
del materiale introdotto e suggerisce in automatico le giuste
modalità di presentazione del prodotto bioconvertito.
Farete una eccellente figura con i vostri ospiti o i vostri
cari: ogni giorno una specialità nuova di cucina
internazionale o regionale. Basterà seguire le istruzioni di
programmazione utilizzando i tasti descritti e la vostra
37
tavola sarà imbandita con le più squisite leccornie che mai
potreste immaginare.
E vi potrete anche sbizzarrire creativamente con
l’accluso divertente set di formine in melanina, mono e
pluriporzione, e lo spatolino per la raccolta di esigue tracce
corporali, e anche miscelando colori e consistenza in
‘nouvelle cuisine’, divertendovi a ribaltare luoghi comuni
circa il colore e la compattezza del polpettone alla casalinga
o del tacchino ripieno.
Si raccomanda di detergere il bioconvertitore SPLOF
con una spugna morbida o una mappina da W.C. e con una
soluzione di lisoformio e ammoniaca diluiti in acqua.
Non esporre a fonti di calore o in ambiente umido.
Tenere fuori la portata dei bambini.
* * *
“Mio nonno buonanima mi diceva che nella vita, tutti i
giorni, bisogna mangiare un cucchiaino di merda per
sopravvivere, temprarsi e farsi crescere il pelo sullo
stomaco…”
“Mi viene da ridere e da piangere insieme: se ci vedesse
adesso…”
“Giààà. Ne ingurgitiamo certe vagonate giornaliere che
sembriamo tutti dei piccoli yeti, altro che pelo sullo
stomaco… Ma hanno il gusto di macedonia al limone e di
zampone con le lenticchie.”
“Speriamo solamente che non si guasti mai il
bioconvertitore, con quello che costa.
Un mio vicino di casa, povero, che non può permettersi
di riacquistarne uno nuovo dopo la rottura del suo, sta
imparando a farne a meno, a prezzo di enormi sacrifici e di
una ammirevole capacità di adattamento, ma dice, assai
sconsolato, che è una indubbia vitaccia di merda!!!”
38
LA DIGNITA’
“Aziz Tuluk.”
“Presente, inch’ Allah.”
“Basta dire presente e basta, Tuluk.”
“Presente e basta, inch’ Allah.”
“Tuluk: ne riparleremo alla ricreazione, magari dopo la
tua preghierina sul tappeto rivolto alla Mecca, va bene?”
“D’accordo signor maestro, inch’ Allah.”
“Ayala Augustin.”
“Esto. Presente.”
“Benhim Ibrhaim.”
“Presente.”
“Brambilla Giovanni.”
“Sun chi, prof.. Presente.”
“Sono un semplice maestro, non prof., e tu puoi
rispondere solamente presente.”
“Pota.”
“Corcovado Osvaldinho.”
“E’ malato: ha il dengue.”
“Darak Vladislaw.”
“Pressente.”
…
…
…
* * *
“Dobbiamo ritornarci su, Silvio.”
“Posso anche comprenderti, Umberto ma, cribbio, non
è così semplice come dici tu…”
“Tutte le difficoltà che vuoi, Silvio, ma non sarà
problema eludibile per i veri verdi duri e puri.”
* * *
“Ephrem Tarek.”
“Assente: è andato a trovare il papà che è a San
Vittore.”
39
“Per cosa?”
“Lavaggio vetri abusivo al semaforo e spaccio menta.”
“Hu Shu Ping.”
“Plesente.”
“Laganà Carmelo Crocefisso.”
“Presente. Dissi ‘bbene a voscienza?”
“Chiamami signor maestro, Carmelo.”
“Occhei, a voscienza signor maestro.”
“La Scortecciata Cosimino.”
“Sugnu ‘cca.”
“Si dice ‘presente’, Cosimino.”
“Sugnu ‘cca presente, signor maestro.”
…
…
…
* * *
“Umberto, te lo dico con il cuore, in confidenza e da
amico: non puoi continuare a rompermi i coglioni con
richieste sempre più pressanti. Prima il federalismo
geografico, poi il federalismo fiscale, poi le ronde padane. E
nessuno sa, per tua fortuna, che hai chiesto anche
deportazioni forzate dei terroni del Nord Italia e schedature
obbligatorie degli italiani dall’Umbria in giù. Ma insomma,
cribbio, non esistono mica solamente i padani, sai…”
“Ascolta, Silvio. Risolviamo quest’ultimo problema e poi
penso che ci si possa considerare tutti soddisfatti.”
“Ma cosa vado a raccontare a Giovanardi, seppure per
quello che può contare uno come Giovanardi? O a quella
faccia da prete di Bondi?
E poi come mi vado a porre con quel boyscout di
Franceschini?
E chi lo sente Casini? Lo sai che sta aspettando come
una faina con gli unghioli affilati che io faccia qualche
cappella?
E il Clemente Mastella? Quello risalta da un’altra parte
ancora: non ho ancora capito se è un canguro con la faccia
come il culo o un mix di puntarelle e catalogna in padella
con aglio e acciughe. Salta sempre, e risalta ancora…
40
Te lo ripeto,
Umberto…”
consentimi:
non
è
così
semplice,
* * *
“Lao Xin.”
“Plesente, signol maestlo.”
“Ling Yu Tao.”
“E’ assente con la febble alta: ha l’avialia…folse.”
“Malawi Malek Maluk.”
“Brezende.”
“Moldan Dragoslaw.”
“Io essere qui.”
“Si dice semplicemente ‘presente’, Dragoslaw.”
“Vaaaa beeeneee. Preeesssenteee.”
“Bravo, Dragoslaw, ma non farti uscire gli occhi di
fuori.”
…
…
…
* * *
“E poi, Umbertone, benedetta anima di me e grande
figlio di buona donna che sei, cribbio, con che fondo tinta
rimetto tutto in discussione dopo che vado in giro a
difendere da solo quel nazi che sparacchia cazzate
ecumeniche in Africa?
Qui perdiamo la faccia tutti, lo capisci?
E con quello che costa il cerone e l’estetista…”
“Quelli della sinistra sarebbero sicuramente d’accordo,
al di là dei nostri motivi, per i loro motivi. E abbiamo
l’appoggio della destra, Silvio, di tutta la destra, se parliamo
alle sensibilità e ai cuori di onore, di samurai, di
spiritualismo e purezza d’animo e di intenti.
Coi miei me la vedo io: abbiamo il valore sacrosanto di
preservarci da contaminazioni e di difenderci in qualche
modo da questa invasione.
Vorrei vedere se tua figlia Marina avesse per amico un
Amba Aradam qualsiasi…
41
Mi ci viene quasi da ridere, sai?”
“Ci sarebbe poco da ridere, soprattutto per il
carbonella: gli farei spezzare le braccine dalle mie guardie
del corpo…”
* * *
“Netzprotehwski Zbwignerslavdt.”
“Presente, signor maestro.”
“Ah, questi polacchi: padroni di tutte le lingue! Chissà
come mai…”
“Radomir Radovan.”
“Assente: è andato a portare vestiti, bende e scatole di
cerotti al cugino nel Centro di Accoglienza.”
“Di Rado presente, di rado presente, non se ne parla,
eh? Cugino senza permesso di soggiorno?”
“Senza tutto, signor maestro, a parte i lividi: di quelli
ne ha in abbondanza, ché una Guardia del Centro la
chiamano Hulk, anzi, Hulkedolore.”
“Rustu Yader.”
“E’ assente: lo hanno incastrato per uno stupro il
giorno in cui era con noi in gita scolastica.”
“Stupro? Ma avete tutti sette anni…e poi era appunto
con noi in gita scolastica…”
“Mah, non so, signor maestro: dicono che c’è di mezzo
il dna o il favoreggiamento, non ho ben capito, sembra che
sia stato preso per un nano di circo da una signora di
ottanta anni ipovedente…”
“Mah: misteri della fedina…
Shamalayandrawana Botziwanismelin.”
“Sì, sono assolutamente presente in fisico e spirito,
onorabilissimo signor maestro di questa rispettabilissima
scuola elementare inserita in questo accogliente e civile
paese che ci offre occasioni di prosperità ed integrazione
sociale.”
“Ehm, da oggi ti chiamo semplicemente Botzi e ti prego
di essere sintetico come il tuo nuovo soprannome.
Il primo che sento chiamarlo ‘malgascio di merda’ se la
vedrà con me e con il mio tortòre di tek.”
“Cosa essele toltòle, signol maestlo?”
42
“Randello in romanesco, non romanescu, Hu, landello.
Tu capile antifona?”
“Pelfettamente,
signol
maestlo.
Anzi,
dichialo
esplessamente che pel me Botzi essele flatello quasi di
sangue: io spelale, pelò, che non sia infetto…”
* * *
“Dai, Silvio, ragiona: c’è arrivata anche quella cima, di
broccolo, della Gelmini, che ha provato ad arginare al trenta
per cento. Ma lo sappiamo tutti, sia te che io che
Gianfranco. E se Gasparri continua a fare lo gnorri
toccandosi le palle nell’illusione di essere spiritoso, tutti gli
altri sanno che il problema sarà irrisolvibile e l’invasione
sarà impossibile da arginare.
E dunque, parliamone, prima che si può anziché dopo,
ché si creeranno casi giudiziari spinosi, altro che Englaro.
E ai filoclericali mandiamo in famiglia qualche negretto
lebbroso o impestato oppure qualche rumeno dalle mani
lunghe o un polacchino ubriaco che pulisca anche i vetri
degli occhiali e lo specchio del cesso.
Lo sai anche tu: l’esigenza è improcrastinabile.
Cazzarola, Silvio: il problema mi sta così a cuore che
dico anche delle parole tostissime senza sputacchiare e
senza balbuzie. Non ho fatto neanche la bava e la
schiumetta…
Guarda, la ripeto, hop: improcrastinabile. Uelà, bella
robina, neh? Ci faccio la mia porca figura, pota…”
“Ci penserò, Umbertone. Sei un bauscia rompiballe, ma
hai le tue ragioni.
Ne riparleremo…”
“No, Silvio. Voglio una tua parola ora. Mica dico, hop,
‘improcrastinabile’ (cazzarola, se mi stupisco, ché mi riesce
benissimo anche più volte) così per dire, neh…
Parliamo di eutanasia, una volta per tutte.
E approviamola.”
* * *
“Suognamiglio Salvatore.”
43
“Minchia, presente.”
“Salvatore, la minchia portacela a tua sorella. Qui
rispondi solamente presente, d’accordo?”
“Mi scusi, signor maestro, e s’‘abbenedica…”
“Talik Berek.”
“Brezende, zignor maesdro.”
“Yussu Medir Answad.”
“Etneserp.”
“Yussu, qui siamo in Italia e si scrive da sinistra a
destra.”
“Ah, sì, presente.”
“Xin Xiao.”
“Plesente.”
“Bene, ragazzi.
Oggi parlerete, in un breve componimento, del vostro
maestro.
Nessun luogo comune, però. Parlerete di quello che vi
sembra buono in lui e di quello che non vi piace.
Evitate i soliti luoghi comuni sul colore della pelle, sul
fatto che sono negro e che provengo dal Camerun anche se
sono venticinque anni che sono in Italia e parlo l’italiano
meglio di Di Pietro o di De Mita.
Evitate anche giochi di parole sul mio nome datomi da
un missionario, ché se lo ritrovo lo impalo, e non con il
tortòre: Enoc Signovinces.
Parlate di me solamente da un punto di vista di
impressioni che avete circa la scuola, l’imparare, la cultura,
l’ambiente, il paese che vi ospita.
Va bene?”
* * *
“Allora, Silvio, hai capito?
Vogliamo avere il diritto di morire con dignità e onore
da legaioli duri e puri, verdi e padani, senza
imbastardimenti che porterebbero solamente sofferenze
indicibili e condizioni di vita inumane, se non subumane.
Vogliamo avere il diritto di morire senza dovere
espatriare in qualche clinica svizzera inseguiti da nugoli di
zingarelli queruli con la mano tesa per l’elemosina che ti
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strattonano e ti attaccano le piattole e qualche malattia
infettiva.
Lì, dai nostri fratelli formaggiari, peraltro, ti danno il
succo di frutta al cianuro, che fa veramente cagare.
Qui potremmo morire padanamente assistiti in un
alpeggio da qualche vero mandriano di malga che non si
lava da quindici giorni, mediante inspirazione, convogliata
direttamente nei bronchi, di vapori di caciotta andata a
male da tre anni di invecchiamento in grotte sbagliate.
Una morte rapida, indolore, con effluvi che prendono il
cervello rendendolo insensibile e che portano al coma e poi
alla morte in un amen, anzi, in un ‘pota’: il diritto di poter
morire con un sorriso bergamasco sulle labbra.
E almeno rimarremo, seppure come ricordo nel tempo,
quelli che siamo sempre stati, con dignità.
E il povero Giuanin Brambilla saprà che non è solo tra
tanti stranieri e vivrà, per come saprà e potrà, contento e
sicuro di una estrema possibilità redentrice, fiero della sua
identità.”
“Umbertone, mi stai mettendo con le spalle al muro,
ché sto cominciando a commuovermi anche io, se penso al
nipotino
del
mio
maggiordomo
di
Arcore,
di
Castelpusterlengo, a scuola con mezzo Mozambico, cribbio.
Vedrò di fare il possibile e comincerò a lavorarmi ai
fianchi il Gasparri, magari guardandolo negli occhi, anche
se so che abbasserà subito i suoi a palletta da rubagalline.
Mi sentirà, oh se mi sentirà: gli starò col fiato sul collo,
anzi no, gli metterò dietro, col fiato sul collo, due o tre
senegalesi superdotati e in astinenza da quattro mesi.
Così si renderà conto anche lui.
E farò dirottare la barchetta di Pierferdy in acque
libiche a ridosso di otto gommoni che lo assedino per
qualche settimana come caimani.
E’ una promessa, Umberto.
Per tutti i Brambilla superstiti sperduti nelle classi
multietniche delle nostre scuole.
Si potrà morire tutti, infine, amorevolmente e
federalmente assistiti, con un soprassalto d’orgoglio e di
dignità.
E in culo a tutti gli altri.”
45
46
NESSUN ALLARMISMO
Chiunque tu sia, aiutami, ti prego: sono di strutto.
Sono insaccato e depresso, anzi soppressato, da
interrogativi, da ipotesi, da informazioni martellanti, da
un’angoscia esistenziale che tormenta nell’associazione di
idee tra un semplice brutta fine, ad esempio quella di un
maialetto infartato (esistono gli infarti suinidi?), e un
insopportabile dolore, ad esempio lo stesso maialetto,
magari alla sagra del maialetto (dal punto di vista del
piccolo suino: che cazzo di festa eh?), macellato in presenza
di tutti e soprattutto senza anestesia.
Sono perseguitato da immagini, da ultime notizie di
agenzia, da un insistente a fastidioso chiacchiericcio
tuttologo senza riscontri e senza certezze.
E le immagini si fondono con altre immagini in
surrealtà che assumono contorni quasi comici.
Nelle mie fantasie mi vedo alzare la coppa al cielo, in
una botta di culatello, da vincitore di non so che cosa,
mentre in realtà sono sdraiato sul letto e guardo un film
esorcizzante, “Prosciutto, prosciutto”, senza riuscire ad
apprezzarlo, troppo catturato dai meta contenuti, tanto da
sorvolare su quella porchetta d’attrice e su quell’altra faccia
di salame dell’imbranato protagonista maschile.
E il guanciale mi sembra troppo duro, stagionato
quasi, e mi giro e mi rigiro nel letto con un forte dolore tra
capo e collo.
Gli è che tutto quanto stiamo vivendo mi sembra
genericamente una grande porcata, tout court, una storia a
vellicare gli istinti dei maiali ai giardinetti, quelli che
grugniscono dietro alle giovani balie rumene pensieracci
sconci sulla propria salsiccia più o meno piccante che
invece è obiettivamente soltanto un cicciolo.
Cerco di distrarmi, ma la goccia cinese colpisce
inesorabile e ripetutamente con cadenza esasperante.
I morti diventano, ora dopo ora, sempre di più, sparsi
nel porcile globale, e se ne sanno anche i nomi e se ne
conoscono anche i connotati e le abitudini: lo dice lo speck
47
con una voce di circostanza che grufola nelle trombe di
Eustachio con insistenza graffiante.
Tizio nel Texas faceva il porco con quella maiala di sua
zia, grande troia.
Padre O’ Sempronio faceva il maiale con quattro o
cinque ragazzini dell’oratorio della sua parrocchia.
In Nuova Zelanda qualcuno si rode il fegatello, in
Messico ci si guarda con occhi porcini.
In Italia, per ora, grazie al monitoraggio degli organi
sani preposti, i porcini si raccolgono e basta.
Tra qualche giorno si potrebbero raccogliere,
accatastare su un carro di monatti, e bruciare in qualche
discarica costruita per una vita migliore non da maiali.
Si stanno coniando slogans governativi: Mai alimentare
paure.
Fioriscono già le leggende metropolitane: bisogna
guardare particolarmente sui nei… o suini…
A Roma già mandano li mortacci suini contro il mondo.
Mai le bestemmie e le interazioni offensive a base di
porco sono state così attuali.
Ed è la nemesi del porco che pretende la pari dignità
con l’uomo.
Del resto, a ben intendere il linguaggio dei maiali,
soprattutto quando s’incazzano tra di loro, le interiezioni
Dio Uomo, Umana Puttana Eva, Uomo Governo Ladro, sono
molto frequenti, quasi quanto i vari ‘porci’ urlacchiati in
qualche bettola di periferia urbana.
Gli organi di informazione integrano, approfondiscono,
richiamano come un inesistente o inefficace vaccino,
tranquillizzano col paradosso dello spavento o spaventano
col paradosso della tranquillità ostentata come un ciuffo di
setole pubiche di porco esibizionista convinto della
naturalezza maestosa del suo cazzo a cavaturaccioli.
Ho pruriti diffusi, somatizzazione dell’angoscia nutrita
da articoli doviziosi di particolari, e mi gratto in
continuazione la pancetta, dadolandomela con gli unghioli.
Mi sto facendo un sanguinaccio nero nero di paura in
quesiti universali esistenziali da porci e sottoporci.
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Si dice che il virus sia un incrocio tra peste suina e
febbre aviaria: un poco come se un corvo si sia ingroppato
una scrofa senza preservativo impestandola.
Non voglio sapere, non voglio mutare.
Già adesso, confusionario, sto accarezzando l’idea di
integrazione da esprimere con un nuovo nome: Salvatore
Ame, detto Sal Ame, o anche meglio Sal Amen per tutti i
secoli dei secoli. Fossi donna mi chiamerei Maya Lona, con
l’invidia del salame al pepe.
L’Ungheria a ferro e fuoco e il paese di Felino e le città
di Milano e di Praga rase al suolo e bruciate per
precauzione, a frenare il contagio. Parma, Modena e
Piacenza bombardate.
Giustiziati erodianamente sulla pubblica piazza in
esecuzione sommaria tutti i figli dei cacciatori, i
cacciatorini.
Mi vedo tra i boia con qualcuno di questi, che l’ardo a
Colonnata.
Si affastellano luoghi comuni con immaginari articoli
prossimi futuri.
Ecco la foto della Morta della Madonna di Ferragosto, e
giù, particolari raccapriccianti su pustole, sui nei (sì, lo so,
mi ripeto, ma è una persecuzione) su testine e nervetti e su
zamponi affaticati da troppo camminare da casa a ospedale
e ospedale a casa per antivirali e mascherine per respirare
più tranquilli, senza garanzie, anche se sono di cotica,
cotenna, budellino.
Aiutami, ché non ce la faccio più!
Sono terrorizzato e mi ausculto ogni cinque minuti la
soppressata, pardon, la pressione.
Ma il termometro è diventato un wurstel di Merano:
sai? Quelli lunghi e fini.
E tutto muta in nuance con l’epoca in cui vivo e la
procella fuori, un semplice temporale che batte a raffica da
qualche giorno, diviene la porcella, e i porcellini che
inserzionano su siti di scambisti, di là che siano bisex o
rigorosamente etero, sempre comunque solari e mai lunari,
mi sono sempre più rosei e fratelli di specie.
Aiutami: penso che farò uno sproposito.
49
Giro nudo per casa specchiandomi di tanto in tanto di
profilo, con il coltello da affettati in mano, pronto per
qualsiasi evenienza, e mi scruto lo scroto e tutto il resto con
maschia determinazione funerea.
Quando vedrò crescermi la coda a ricciolo sopra il culo
mi macellerò.
50
FAI L’IRRIVERENZA, PAGA PENITENZA
Pirlandelliana Stragedia in matto unico, anzi no
L’inguacchio a seguire è un parto, nel senso di partire di
testa, concepito inizialmente come atto unico teatrale per
cercare di emulare un lavoro a quattro mani che ho divorato
con curiosità ed interesse, intitolato “Drammaiale”, di Malos
Mannaja e Lapo Orage, ai quali va l’affettuosa dedica di
quanto scritto.
Col tempo, lo sfrigolare delle idee in una parvenza di
caotico ordine mi ha fatto considerare l’ipotesi espressiva di
una struttura più aperta, ‘hellzapoppiniana’ o, per dirla
meglio,
ma
senza
allarmare
troppo,
anarcoitoinsurrezionalista.
Le famose unità aristoteliche sono state prepensionate
senza neanche la mobilità da un desiderio di surrealismo
ioperrealista (non è un refuso) che mi ha consentito maggiore
libertà di movimento senza costrizioni.
La pièce è divenuta un insieme di sipari fuori contesto,
legati tra di loro nel loro essere slegati. Ogni scena galleggia
nel vuoto del nulla o si confonde nel tutto del tutto: un
insieme di eventi in tragedia, senza punti di riferimento
esistenzialmente certi, un poco come nella vita, ma con i miei
limiti espressivi: per l’appunto una stragedia pirlandelliana
in atto unico, anzi no, come da sottotitolo.
* * *
Personaggi e interpreti
L’INTERVISTATORE, alias il giornalista o i giornalisti,
alias lo psicanalista, alias la coscienza, alias il confessore,
alias il medico, alias la vicina di casa della porta accanto,
alias a scelta… E’ il provocatore-spalla di quel dialogo che
tanto piace a qualcuno per vivacizzare i pensieri
L’INTERVISTATO: spesso cybbolo, a volte casualmente
qualcun altro a misura di cybbolo. L’essenza del narcisista
o dell’affogando che chiede un salvagente senza amarena
51
IL CORIFEO: tipico di ogni tragedia che si rispetti,
composto di quattro omologatti più quattro veteri inani,
ovviamente complementari
* * *
S’alza il sipario sulla scena nera.
Dal buio si fa strada una fioca luce che disegna la
sagoma di una persona che si sporge verso un’altra con un
registratore portatile.
Rumore di mormorii, di orchestra che è in procinto di
eseguire un concerto, di urla lontane di bambini d’asilo
miste a urla di manifestazione o di protesta a scelta: contro
il precariato, per la pace nel mondo o la difesa del
difendibile indifeso, contro la cassa integrazione, in corteo
oppure in girotondo insieme ai bimbi di poco prima,
pacificamente o sgrillettando contro le forze del bene e delle
more del partito dell’amore.
Silenzio all’improvviso mentre mugghia il corifeo dei
quattro omologatti con i quattro veteri inani, gli uni che
scandiscono slogans pubblicità progresso:
Due fustini is mej che uan,
Ma fan finta, fioei d’un can
mentre i veteri inani controcantano, con alzate di spalle
gobbartritiche, interiezioni celtiche del tipo “vadavielcu” in
accordo minore, per l’impossibilità di comprendere,
essenzialmente per pigrizia o egoistica distrazione, le ultime
funzionalità informatiche, motoristiche, televisive, e relativi
libretti di istruzioni.
Le scosciature delle veline, inoltre, sempre più
inguinaluterine, incupiscono i veteri inani.
Si sentono infatti defraudati degli ultimi brandelli di
moralità moralista e vedono rosso come il mancante bollino
televisivo preservinfanti. Esiste tuttavia anche una
possibilità di bieca semplice invidia andropausica.
Ammutolisce, infine, anche il corifeo variegato e scende
un silenzio carico di aspettative.
Poi la voce, beffarda, giornalistica, paracula.
52
“Da dove vogliamo cominciare?”
“Direi ‘(z)ab ovo’: il mio zabaione esistenziale preferito,
energetico e sferzante.
Dall’alba dei dinosauri che è già confluita, ma che per
me confluisce ancora e forse confluirà anche in eterno, nel
tramonto dei dinosauri.
Siamo tutti dinosauri, del resto: da sempre e per
sempre.
Abbiamo un premier tirannosauro, fortunatamente rex
solo in pectore, almeno per ora; e siamo circondati da
brontosauri erbivori ingombranti e inconcludenti e da tanti
dimetrodonti che pignoleggiano su tutto lo scibile
puntualizzabile…”
“Tu che dinosauro pensi di essere?”
“Uno stego… no: un misegosauro, nel senso che mi
sfinisco di pippe mentali ponendomi quesiti esistenziali che
vanno dall’alba dei tempi alla fine del mio tempo.”
“Beh, è coerente: un misegosauro eccitato da fantasie a
tripla ics d’alto contenuto egotico vietate ai minori di
diciotto eoni, pardon, neuroni.”
“Guarda che io sono di una umiltà cosmica: è mio
padre che si preoccupa del genere umano tra quattromila
anni e ha aneliti di sofferenza all’idea di una estinzione
dello stesso, neanche fossero tutti sua progenie da uno
spermatozoo di centoventisette chilometri, del peso di
qualche tonnellata.”
“Che fregnaccia!”
“Appunto: quella che mai potrebbe accogliere quella
bestia mostruosa. In questo caso, altro che pillola abortiva:
ci vorrebbe un quintale di dinamite.”
“Torniamo alla tua comica umiltà cosmica…”
“Mica del tutto vera, ora che ci penso meglio. Alterno
umiltà a coscienza democritea, quella della scintilla divina,
per poi ritornare sinusoidale all’umiltà, in pianto e stridore
di denti al buio, ché la scintilla fa sempre cilecca dopo
qualche punto interrogativo e mi si bagnano le polveri
sottili.”
“Beh, te ne devi rendere conto: non sei divino, ma sei
umano, no?”
53
“Più che umano, upiede, anzi uàllera, ché i quesiti
irrisolti lasciano l’autostima in guardaroba e perdi anche lo
scontrino per ritirarla.”
“Sei già stanco di parlare, vero?”
“Non saprei. Il fatto è che da sempre, a livello
semiconscio, e da tempi recenti, addentato da un nano ad
un polpaccio, modello in cretaceo, tanto per continuare a
dinosaurizzare, pensierini sotto la cenere cui ritornerò, e
immagino e sogghigno con simpatia per il mio lettore
contento e solidale cui dedicherò questo coacervo di lucciole
semidee che sono null’altro che risultanze di simbiosi
scambiate in regolari telefonate settimanali e troppo rari
incontri di persona, assai ricchi.
Parto bello carico, stavolta, forte di accumuli in mesi di
riflessione e di astinenza vergale, (Ahahah che hai capito?
Non scrivo da tanto tempo).
Voglio divertirmi con giochi di parole meditati, con
accostamenti metadialettici arditi e sorprendenti, con la
memoria rivolta a tante concettualità scambiate come le
figurine, riguardanti il tutto e il nulla, cui mi piace
aggiungere o togliere paradossalmente ancora un qualcosa
anche se qualcuno, lo so, scuoterà la testa.
Epperò ecco che capolineggia di nuovo l’umiltà: cui
prodest questa torrenziale eiaculazione?
Una terapia antidepressiva a surrogare un periodo di
solitudine o a festeggiare un ritorno d’euforia?
Un dispiegare le ali di pavone per sollecitare applausi o
quanto meno benevola attenzione di qualche cricca come
quella di Mirò?
Ah, queste esigenze di catalogare, di definire…
Mi chiedo, e questa è una ulteriore domanda, che
senso abbia che io esprima i miei tormenti, anche perché
prima di me ben più brillantemente sono passati Geremia,
Torless e Portnoy e financo Marcello Marchesi mallopparo
oltre a chissà quanti altri ancora.
Continuo, dunque, solo per vedere l’effetto che fa.
E continuo anche per fare un minimo d’ordine per
iscritto, una sorta di testamento spirituale, se vuoi, da
rileggermi tra quindici o venti anni, scandalizzatissimo e
devastato dalla demenza senile.
54
Invece, magari per scherzo del destino, mi applaudirò
fino a spellarmi le mani, radicato in convinzioni che ora
sono solamente intuizioni che mi vedono titubante.
Sempre da vedere, beninteso, di arrivarci…”
“Allora vai avanti e la butti sul filosofico?”
“Sai, per Hobbes, partendo dal semplice clito, l’origine
del mondo, ché amo la carnalità edonista della vita, sono
approdato a Eraclito, già scherzo paradossale profetico e
semantico.
Mi sono detto: sciò, sciò filosofia, ma Schopenauer,
equivocando su un possibile richiamo, si è inserito nel
Cartesio lasciandomi rose e Spinoza in esigenze
trascendenti ancorché confuse.
Hai voglia a dire Kant che ti passa: un Vico secco!
E il vecchio Karl è stato, ahimé, soppiantato dal più
frizzante Groucho. Poi sono sopraggiunti i cinepanettoni e
Boldi, Bondi, non ricordo bene, e tutto è precipitato, ma
questo è un altro discorso.”
***
Nel gioco delle luci e delle ombre, dopo che si è
ripristinato il sipario, precipitato anche lui alla parola
Bondi, una sorta di jattura in lingua antica mai del tutto
decifrata, il registratore si trasforma in una penna.
Il giornalista si siede su una poltrona ora visibile e
prende appunti, assorto, divenendo un analista.
L’intervistato si sdraia su un divanetto materializzatosi
dal nulla: ecco, occasionalmente, un esempio di nulla con
l’aggiunta di qualche cosa (ahahah).
Il corifeo swingeggia, per quanto riguarda i quattro
omologatti:
I tormenti della filosofia
Nulla son per la buonanima di zia
E per quanto si discerna su Platone
Nulla esime dal sentirsi un po’ coglione
L’altra metà del corifeo semplicemente flatuleggia
all’unisono, ché i quattro veteri inani sono diventati
55
superficiali circa la filosofia, troppo presi come sono dal
mantenersi abbarbicati alla vita, e il vecchio adagio “Tromba
di culo, sanità di corpo: chi non scoreggia è un uomo morto” è
divenuto il loro nuovo vangelo esemplificato, abbozzo
d’avanguardia del ministro delle esemplificazioni circa i
nuovi rapporti con la Santa Sede, da definire.
C’è da dire che lo scatolone dei ricordi, dopo un certo
crinale anagrafico, si riempie di scatologia spicciola di varia
consistenza, sempre più unico e interesse vitale pressante
in tutti i sensi.
E’ da notare, comunque, che in impeto di fattiva
collaborazione, vanno a tempo, in levare aria, come
similtromboni d’orchestrina dixieland.
“Dunque lei pare che stia divenendo aggressivo, vero?
Si sente aggressivo?”
“In un certo senso sì.
Anzi. In più di un certo senso: in tanti sensi.”
“Mi spieghi, per favore: la ascolto.”
“Cominciamo con il dire che non so nuotare e che
tuttavia vivo perennemente a galla sul livello del bicchiere
mezzo pieno o mezzo vuoto. Galleggio, sentendomi anche
naturalmente un poco stronzo, riflettendo sul fatto che mi
girano gli zebedei per la vita che mi abbandona poco a poco,
mentre mi piacerebbe vivere a lunghissimo, ma in salute e
vigoria, fisiche e mentali.
E allo stesso tempo rimugino sul fatto che tutto questo
non ha un senso e che sono prigioniero di parole, luoghi
comuni, regole scritte e non scritte, bon ton, modi di dire e
di fare, baciare, lettera e testamento, retorica, lapidi di
lemmi scolpiti nella storia che sono quanto di più vuoto ed
inutile, spesso utopico, anzi tricerautopico, tanto per
rinfrescare di nuovo l’allegro mondo dei dinosauri e non
recidere il filo erettile.
E io da misegosauro mi trasformo in apatosauro
(esiste, esiste) senza più voglie.”
“Quindi una sorta di dibattimento tra lo spassarsela,
con la consapevolezza che non durerà efficientemente in
eterno, e l’approfondimento sul perché si possa o meno
spassarsela, mantenendo la stessa consapevolezza alla
56
quale se ne aggiungono altre che riguardano l’ignoranza,
l’utopia, l’impotenza circa il padroneggiare lo spasso.
Mi aiuti: è così?”
“Più o meno: diciamo che è un incubo per come la si
rigira. Più passa il tempo e sempre meno efficacia hanno
certi luoghi comuni riguardanti la primavera in fiore, il
sorriso di un bimbo, il cinguettare di un uccellino, il sentirsi
leggero dopo una buona azione, lo sguardo di un cane, il
profumo rasserenante del pane fresco, il tepore di un corpo
accanto, etc., etc., etc…. datemi un secchio ché vomito…”
“E questo monta malumore?”
“Monta a neve una incazzatura che guarnisce tutti i
possibili tiramisu della migliore pasticceria del paese, per
essere proprio sinceri.”
“Ha voglia di scendere in dettagli, in esempi?”
“Adesso proprio no: sono sfiancato. L’argomento in sé,
lo scegliere le parole accuratamente, il riguardare più volte
quello che si è scritto attento alle sfumature, il cercare di
non ripetersi in maniera arteriosclerotica: sono tutte
operazioni che liofilizzano qualche etto di neuroni.
Aggiunga che devo porgermi in maniera interessante,
magari anche molto autoironico, ché fa simpatia, e allora si
renderà conto che lo sforzo è davvero da ernia al lobo
frontale, semmai esista, ché ho a che fare pure con un
lettore medico puntiglioso.
Ma tanto è metafora…
Mi viene in mente Nicola Insauna, un personaggio del
brano teatrale Grammaiale: mi sento a lui affine, in qualche
modo, con le idee che mi sfuggono metafora dalla fontanella
riapertasi sulla sommità del cranio. E non c’è verso di
riprenderle se non già cambiate e spesso quasi
irriconoscibili: tutto scorre, compresa la memoria.
Ed ecco l’umiltà cosmica che sopraggiunge di nuovo: le
mie idee sono probabili cazzate che spuntano metafora
dalla patta dei pantaloni lasciata aperta per l’incipiente
smemorellite
acuta
detta
anche
più
volgarmente
rincoglionimento.”
Il Corifeo, con i soli veteri inani, si produce in una
salva di pernacchie ad esaltare lo scorrimento del tutto.
57
Gli omologatti ridacchiano, amari come cavoli, alla loro
prima resipiscenza di tante future altre: la resipiscenza nel
culo, che assai li forgerà.
“Rimandiamo a domani quello che si può fare male
oggi: lo faremo peggio, o meglio, a seconda delle prospettive
che, però, non sono incoraggianti.”
La luce cala velocemente mentre tutto il Corifeo, voci in
falsetto miagolanti dei quattro omologatti, e baritonali
scatarranti dei quattro veteri inani, intona una ninna
nanna seguita da melodie zuccherose oltre la soglia
diabetica del tipo ‘Bella, dolce cara mammina, la più bella
del mondo, duduuannnnnn…’.
Poi attaccano, chansonniers citazionisti di Gipo
Farassino, il celebre motivetto: ‘Sono contento di morire, ma
mi dispiaceee. Mi dispiace di morire, ma son contentooo…’,
ma sullo stile di un austero funebre coro greco-ortodosso.
* * *
E’ ora di un momento di digressione per conoscere
meglio il Corifeo di questa stragedia pirlandelliana.
I quattro omologatti, una volta detti anche quattro mici
al bar, sono giovani cespuglioni brufolosi con una bella aria
da boyscout e un’espressione vitellonesca innocua, dallo
sguardo occhialuto sospeso tra speranza e meraviglia, quel
tipico connubio che produce nel tempo i veri figliendrocchia
con un pulloverino di pelo sullo stomaco.
Per ora indossano magliette variopinte che ricordano la
bandiera della pace e credono a buona parte di tutto anche
se non proprio tutto, ché, per esempio, tale Noemi è
incredibile e anche indifendibile insieme a papy.
I quattro veteri inani sono gli omologatti di cinquanta
anni prima, all’ultimo stadio di cinismo sorretto da
problemi
intestinali
e
vascolari
che
richiedono
concentrazione nel disperato tentativo di restare aggrappati
alla vita. Ci sarebbero anche diversi problemi cerebrali
nell’alveo della demenza senile, ma questi riguardano
sempre altri.
Non hanno più rispetto, inibizioni e buona creanza,
all’insegna del “tanto c’è chi fa peggio di me, meno male che
58
Silvio c’è” da cantare stipati in sei milioni dentro una
piazza, da fonte di questore ubriaco, accompagnati da la
russa con un bocchino, grattandosi i maroni mordicchiati
da formiconi verdini...
Sono brutti, non di natura, ma imbruttiti da gocce
cinesi d’esperienza che hanno scavato rughe, sollevato
gobbe e acceso dolori reumatici.
Non parlano: borbottano acri, meteorizzano maligni per
far sapere quanto “sa di sale lo pane altrui”.
Guardano storti, ascoltano male e quasi soltanto quello
che riguarda loro e basta.
Tutti e otto, pazienti ancora per poco e spazientiti da
tanto, provengono dal medesimo studio, dallo stesso
protolaboratorio ancestrale pieno di fiale, pasticche,
gabbiette, manuali e mangimi promozionali, una stanzetta
con un lettino di metallo, un microscopio e un computer a
registrare le diagnosi perfide per il Fido di turno e una
stampante ad emettere ricevute fiscali, sempre, come rese
di conti.
Coesistono tutti e otto, con i primi a cercare
d’apprendere dai secondi, pessimi maestri. Sono tutti uniti
da qualche cosa di estemporaneo costante, come profughi
di un’ennesima isola dei Famosinonfamosichisselifrega,
l’isola che in realtà non c’è, ora neanche più nelle favole, e
cercano di sopravvivere rompendosi a vicenda le noci di
cocco.
Il Corifeo offre loro un’occasione di visibilità nell’ambito
della comunicazione di un disagio e di una protesta, ma il
ministro
dell’esemplificazione
sta
riducendo
loro
progressivamente ogni spazio vitale e ogni parte per
qualunque tragedia, perché tutto va bene, madama la
marchesa, e bisogna pensare in rosa capezzone, pardon,
capezzolo, sorridendo positivi, anche se sieropositivi.
Il Corifeo sarà dunque destinato in futuro a
comparsate, magari in supplenza di qualche corista
influenzato, durante l’esecuzione pubblica dell’inno della
libertà di Goffredo Apicella.
* * *
59
Lo sparo accende il buio.
Esplode il silenzio a cancellare urla scomposte e brusii
poi sostituiti da un ronzio uniforme metallico.
Poi, di nuovo buio in sala, rotto dal solo ronzio
continuo fastidioso.
Solo voci nel nero.
“Dove sono? C’è qualcuno?”
“Stai calmo: ci sono io.”
“Chi sei? Non riesco a vedere nulla…”
“Ah, l’umana curiosità irrefrenabile. Mi senti e siamo al
buio: accontentati almeno per ora.”
“Cosa è successo?”
“Hai urtato una pallottola.”
“Sono morto? Siamo nell’aldilà? Sei Dio? San Pietro?
Berlusconi? Bonaiuti? Pupo?”
“Come corri. Diciamo che sei in una situazione per cui
sarai obbligato a fare delle scelte: una specie di Lascia o
Raddoppia, di Rischiatutto, di elezione anticipata per
autoincaprettamento in lodi vari e assortiti o anche per
scandalo con veline o escort bituminose. Una situazione, a
seconda di come la vuoi vedere, magmatica o smegmatica,
mi capisci?”
“Beato te che sei così allegronzo. Io ho mal di testa e
tanta confusione. Cosa dovrei scegliere?”
“Se vivere o morire, per esempio.”
“Ah!... Ma non è già tutto scritto?”
“Certo che lo è, ma manca la tua certificazione ufficiale,
il tuo ‘Dichiaro di voler vivere’ oppure ‘Fanculo a tutti, sono
troppo stanco per continuare’.”
“Una specie di ’notaio conferma’? Lo sai? Mi stai
cominciando a divertire oltre che ad affascinare: chi
cazzarola sei?”
“Sono te: è per questo che ti piaccio…”
“Se così fosse, mi staresti sulle scatole: io mi odio
alquanto.”
“Frasi di circostanza, bello. Vittimismo e falsa
modestia.
In realtà ti ritieni simpatico, divertente, più intelligente
della media a rasentare lo snobismo più sarcastico. Sei un
istrione innamorato di te stesso, cioè anche di me.”
60
“Dio, che confusione. Mi pare di comprendere, dunque,
che siamo in coma e che devo scegliere se uscirne da vivo o
da cadavere, vero?”
“Siamo, siamo: parole scomposte. Sei in coma. Io ti sto
assistendo.”
“Ah: sei la mia coscienza allora, eh?”
“Chiamami come vuoi: coscienza, aura, angelo custode,
spirito guida turistica, tutor, carta jolly, ospite d’onore, voce
interiore a recuperare…”
“I valori di una volta.”
“Non farmi ridere, vecchio maiale. Tu conoscevi solo Iva
e Lori, quella coppia scambista di Cantù molto disponibile.
Tu non devi recuperare nulla. Devi solo scegliere se
continuare a vivere o se vuoi morire.”
“E’ allora tempo di bilanci? Come si può riflettere e fare
un bilancio con questo ronzio del cacchio che mi trapana il
cervello?”
“Il ronzio del cacchio serve a farti respirare e tu sei
stato trapanato da un calibro trentotto.”
“Chi è stato il bastardo? Perché? Così gratuitamente…
E perché riesco a ragionare compiutamente nonostante
tutto?”
“Ha qualche importanza? Non depistare il tuo scopo.
Pensa ad una stigmata larga come un buco di culo
piacerecentrico, da portare con una certa dignità almeno
fino alla tua scelta.”
“Va bene: allora bilancio sia.”
“Mi fa piacere sentirti propositivo: forza, cominciamo…”
“Da dove cominciamo?”
“Suggerirei il sistema frattale, minimalista, quello
secondo il quale tutte le strade portano a Roma, se non
altro per muoversi dall’impantanamento su problematiche
da massimi sistemi.”
“A parte che ho perplessità notevoli proprio circa i
massimi sistemi, ché non ho capito a cosa serva la mia
certificazione di scelta su un qualcosa di già scelto: il solito
sgaiattolare confessionale eh? Un colpo al divino e un colpo
all’umano, eh?
61
Beh, comunque non vorrei partire dalla vecchia megera
che sgrulla tutte le mattine il suo lercio tappeto dalla
finestra proprio mentre passo io sotto…”
“E perché no? Un frattale vale l’altro: la vecchia
megera, il truzzo che ti imbottiglia con l’auto in doppia fila
per fare colazione, l’onorevole che parla di moralità dopo
avere patteggiato una, si badi bene, modesta condanna per
qualcosa di famigerato e schifoso, la biondina del Grande
Fratello, il bavoso senza arte né parte, essenzialmente ricco
solamente di sfiga, che rifiuta l’offerta di quindicimila euro
nella speranza di pescare un pacco da mezzo milione alla
trasmissione a premi, e poi ancora ed ancora ed ancora…
Hai solo l’imbarazzo della scelta circa il punto di
partenza del bilancio.”
“Sai cosa c’è? Una estrema confusione.
E’ lei che comanda e soffoca. Parto da stupidaggini che
mi creano malessere e mi dirigo come un salmone isterico
per la riproduzione verso la sorgente dei soliti triti e ritriti
problemi esistenziali con gli annessi quesiti classici: chi
sono, da dove vengo, perché, per come, e compagnia bella.
Poi ritorno sulla terra davanti alla venditrice di broccoli al
mercato rionale, che ti frega sistematicamente dieci o venti
centesimi con la bilancia truccata o con il resto sbagliato,
una specie di giochino delle tre carte, e mi carpio in doppio
avvitamento verso l’alto per cercare di riuscire a carpire
anche solo un sommesso russare di Dio, o dio, o quello che
sia, senza esito, ovviamente.
Intanto irritano i confronti con i cari, coi meno cari, coi
carini, coi cariati, tanto per aggiungere confusione alla
confusione.”
“Che vuoi dire?”
“Lo sai meglio di me che cosa voglio dire, per tutti quei
mal di stomaco dal nervoso che mi sono sorbito. Il concetto
lo abbiamo di comune accordo battezzato paura della
proiezione.
Vedi un vecchio, noti le sue manie, pensi che prima o
poi succederà anche a te, semmai arriverai ad essere
vecchio.
Ma è paura generica: il vecchio è un bavoso
sconosciuto con lo sguardo privo di familiarità.
62
Poi posi gli occhi su tuo padre, o tua madre, o
qualcuno di conosciuto di famiglia in odore prossimo
(pessimo) di pannolone.
E la paura, che nel frattempo si è evoluta in sommarie
conoscenze della legge del Mendel, diviene terrore al
pensiero che proprio quelle odiosità, odiosità odiose per
affetto, possano trasferirsi come un raffreddore nel tuo
cervello che ha già qualche crepa di suo per un discorso
semplicemente anagrafico. E da qui la consapevolezza che
tutto gira fuori della tua logica che cerca una scappatoia
soprannaturale senza trovarla e s’impegola sempre più nelle
contraddizioni della realtà che assomiglia sempre più ad un
incubo.
O anche viceversa.”
“Continua che mi interessi: sono cose già dette
un’enormità di volte come un disco rotto, ma stavolta ci stai
mettendo espressività. La potenza di un buco nel costato
che arieggia meglio i tessuti e ossigena con corrente d’aria
fresca ahahah.”
“Sarai anche la mia coscienza, ma sei davvero stronzo.”
“Più o meno quanto te, caro Agostino in sedicesimo...”
Qualsiasi metodologia volta alla ricerca di risposte
riguardo il libero arbitrio del comatoso viene a cadere per la
rottura della macchina che tiene in vita lo sfigato con il
ronzio fastidioso.
Il rumore cessa allargando il silenzio nella sala
semibuia del teatro, sgomentando il pubblico.
Perfino il Corifeo rimane silente e disarmato.
* * *
La scena muta nella penombra con la comparsa d’un
confessionale.
La voce, inizialmente beffarda, poi interessata, poi
ancora complice, diviene apprensiva, di quell’appiccicoso
che vorrebbe essere samaritano.
“Parlami, dunque, figliolo, diletto cybbolo, e liberati…”
“Cominciamo con il dire che non sono solo, ma siamo
tanti cybboli, quasi tutti molto incazzati, anche coscienti
che forse di questi tempi, invece di chiamarla ‘padre’,
63
preferiremmo essere orfani. Noi siamo, alla facciazza sua,
Legione.”
“Ommisignur, Madonnina benedetta, sant’Alfonso de’
Liguori protettore del prepuzio! Percepisco dell’astio…”
“Astiooo? Ostiaaa, altroché, papy.
Mi fioriscono battute che scambio con
il più
anticlericale di noi: lo sa perché piazza San Pietro è
interdetta alle automobili? Perché è zona pedo-nale: del
resto i bimbetti a piedi si brancicano meglio di quelli col
motorino…”
“Figliolo, figlioli, turba, legione, ascoltatemi…”
“Ci dica, ci dica, papy.”
“Siamo tutti addolorati, qualcuno di noi s’è anche
beccato l’AIDS o l’epatite, ché i bambini di oggi sono
promiscui e poco amanti dell’igiene. Io ho il petto
sanguinante e il fiato corto e mi prostro di fronte
all’umanità per scusarmi a nome di tutti gli altri servi di
Dio.”
“Lei ha il petto sanguinante per giochetti sadomaso di
frusta o di alabarda spaziale con qualche moccioso
travestito da Goldrake, ha il fiato corto postorgasmo da
rotterdam di implumi terga e l’unica cosa credibile che
possiamo prendere per buona riguarda la prostrazione della
sua prostata infiammata dall’abuso dell’uso del fuso.
Circa i servi di Dio, ci piacerebbe che Dio cambiasse
impresa di pulizia.
Ci sono ancora, secondo lei, margini di dialogo?”
Il confessore singhiozza sommessamente mentre si
levano cori gregoriani da parte del Corifeo, dagli omologatti
con voci squillanti e apocalittiche:
Dio vi vede, Dio vi vede
Mentre vi ingroppate prede
Tenerelle ed innocenti,
Mentre digrignate i denti
ai quali rispondono gravi i veteri inani, in sinergia
complementare coi bietoloni, carichi di sguardi livorosi
verso il confessionale che si restringe fino ad apparire come
una bara, ingobbiti vieppiù:
64
Dio potrebbe incenerirvi
Bombardarvi, annichilirvi
Ed invece nel clichè
Siete vivi e Lui non c’è
La scena cambia in porpora a confondere il porporato
nella cassa che si dissolve poi nel buio più siderale.
* * *
Dopo buio e brusio, utili a cambiare la scena, spiove
una luce verdina di neon su uno studio medico.
La voce è professionale ed è una voce difficilissima da
riprodurre: curiosa, ma il più possibile asettica,
tranquillizzante, ma acoinvolta, anche se forse è tutto un
cine, circa l’assenza di coinvolgimento, ché certi medici si
sentono, e fortunatamente lo sono, buoni pastori.
“…Allora, mi dica ancora: va di corpo?”
“Faccio lo stronzo molto spesso, dottore, anche se uno
stronzo diverso rispetto a quello galleggiante nel bicchiere
dell’analista, lì inteso come idiota o come uno che si sente
tale nell’impotenza.
In altre contingenze faccio lo stronzo in tutti i sensi.
In senso metaforico paraculeggio con il debole per
ritirarmi col forte, al volante, al bar, dove posso,
trascurando rispetto ed elargendo pietà a mio piacimento:
nessun problema di stitichezza, ché faccio lo stronzo tutti i
giorni, magari anche senza saperlo. Stronzeggio regolare.
In senso classico, invece, tanto per aumentare
l’autostima, una sorta di guardarsi allo specchio e farsi
l’occhiolino ammiccando, mi sollevo dalla tazza e guardo
quel piccolo relitto in sessantaquattresimo della Moby
Prince adagiato su un fianco. Lo contemplo con aria
accigliata e poi esclamo con disprezzo malcelante trionfo e
orgoglio: ‘Sei proprio uno stronzo’.
E tiro la catena rinfrancato.”
“Allora i suoi problemi non sono intestinali… Lei ha
qualche difficoltà in campo emozionale… soggetto ansioso…
autostima… depressogeno… “
65
“Mi sa di sì, dottore, e lo dovrebbe evincere dallo
sguardo fiducioso di bracco che rivolgo a lei come ad un
demiurgo.
Lo sa? Un mio amico, suo collega, mi chiama Pippo,
Pippo Condriaco, per le mie ansie, ubbie, per il mio
preoccuparmi d’ogni sensazione fuori posto spiata con zelo.
E il bello della faccenda è che penso tutti i santi giorni alla
morte sperando che sia lieve, improvvisa, apoplettica, che
non mi faccia soffrire, ché ho terrore del dolore.
E poi scaturiscono domande. Perché si deve soffrire?
Che senso ha? Credo che il ministro della esemplificazione,
figura che mi colpisce tanto di questi tempi complicatissimi,
sia in ferie alle Canarie o a bruciare scartoffie con il
cannello dell’acetilene e non può rispondere. Neanche lei
può rispondere. E il quesito ne genera altri a macchia d’olio,
tutti viscidi e soffocanti.
La decisione di soffrire o non soffrire a chi spetta?
Parliamo di Nonno Libero Arbitrio e della sua fiction?
Subire: la parola da tanti milioni in montepremi, che
pochi conoscono nel suo peso che sotterra. Perché subire?
In ossequio a quale legge galattica non scritta e forse mai
neanche spiegata per saecula et saeculorum?
Io sono magnanimo, a volte. Posso comprendere il
subire una classe politica che viaggia in auto blu con la
ruota d’escort e pretende di darci lezioni di morale, posso
comprendere una prevaricazione che mi possa inquadrare
come vittima, un sacrificio, una restrizione, finanche
Brunetta che mi prende per invidia a calci negli stinchi o a
testate nelle palle, ché sono un omone di un metro e
ottanta, ma perché devo subire dolore e striature cocenti
nell’animo in contemplazione di un non sense generale su
come va il mondo e su come va la mia persona invecchiando
e perdendo denti, capelli e colpi di tutti i generi?”
“Lei è torrenziale, amico mio, e fagocitante: la sala
d’aspetto è stracolma di supposte, di bustine, di
viagradipendenti, di sartani (sarta chi può e chi non può
zompa). Lei sta facendo subire ad un microcosmo, senza
rendersene conto, una sfibrante attesa che nessuna rivista
di Novella Duemila o Panorama può anestetizzare o quanto
meno lenire …”
66
“Ci ho pensato, invece, e mi sono detto ‘vai in monade’.
Siamo troppi e forse potrei dare l’esempio e togliermi
dai coglioni per primo, ma senza soffrire, istantaneo come
un caffè che non sa di nulla…”
“Ma no, è tutto molto più semplice: le prescrivo delle
goccine che la metteranno in condizione di combattere le
sue ansie e paranoie fregandosene bellamente.”
“Ma le goccine, dottore, sono un interruttore on/off…
Leggo ogni tanto che scoprono sempre nuovi
interruttori: la molecola x aumenta la voglia di trombare, il
gene z inibisce la voglia di mangiare, la molecola pdl
aumenta appetiti di onnipotenza, la molecola pd provoca
piacere nel tafazzarsi lo scroto. Sono sgomento, dottore: è
mai esistita una reale, autonoma, sana voglia di decidere
senza condizionamenti chimici, naturali o artificiali che
siano, senza un codice genetico, senza una educazione
precotta precostituita preprostituita? Che disegno c’è sotto?
Si muore in ansia e di ansia: hanno provato a
tranquillizzarci fin da bambini con le caprette che fanno
ciao a Heidi, ma io sono sempre atterrito da Heidegger.
Aiuto, dottore: risposte, non farmaci…”
“Prenda queste gocce e se ne faccia una ragione…”
“Questa è dipendenza. Ho smesso di fumare, per paura
di soffrire nel soffiare, ho smesso di bere, per paura della
dipendenza dalla pendenza, e lei me ne offre un’altra sotto
forma di gocce per stare tranquillo? Non potrebbe darmi
l’eutanasia, o almeno l’ignoranza, o l’oblio, o il ritorno ad
uno stato fetale predinosaurico al di fuori del nulla o del
tutto?
Va bene, va bene: considererò la sua prescrizione come
un
vaccino,
come
un
training
autogeno,
come
un’anticamera, rispetto ad un qualcosa di più definitivo…”
Il medico sorride pallido e benevolo alzandosi dalla
sedia e accompagnando gentilmente alla porta il paziente
che sventola come un ventaglio i fogli rossi delle ricette per
l’ipertensione, per la depressione, per il morbo di e per la
sindrome di, perlana, ammorbidito, ma anche confuso e
felice per una vita di plastica.
Cala la luce e sopraggiunge il nero.
67
* * *
E’ d’uopo, ora, una breve digressione sul pubblico
presente in sala, mentre si approntano cambiamenti alla
scenografia.
Quelli del pubblico con simpatie politiche destrorse,
maggiori o minori che siano, tranne qualche eccezione
conciliante o in preda a sonno comatoso, sono già usciti dal
teatro, smadonnando in celtico, sghignazzando in sfida
sguaiati, battendo ironicamente le mani, soprattutto
spernacchiando, e non sempre nello stesso tempo e a
tempo del Corifeo dei veteri inani.
Qualcuno pronuncia oscure minacce, qualcun altro
grida il solito crudo messaggio ‘andate a lavorare’, qui molto
più innocuo e comodo rispetto al contesto dell’ex carcere
della Maddalena.
Lì, a fronte dello stesso messaggio, si trascorrerebbe la
notte combattendo i morsi della fame e del gelo con spiedini
alla brace di destrorsi imprudenti: sarebbe l’evoluzione della
specie che una volta mangiava bambini, perché oggi i
bambini, per moda, sono solamente abusati, proprio nel
senso di buso.
E comunque la sala si è tristemente svuotata di più
della metà degli spettatori, come da abituale ‘trend’ di
partecipazione elettorale.
Chi rimane pisola, applaude fuori tempo, sempre o
quasi sulle scoregge dei veteri inani già troppo citati, (lo
scatologico è sulcesso) oppure annuisce scuotendo la testa
in complicità fittizia, ridacchia nervosamente perché non
capisce il vero senso di quanto recitato. O perché, più
semplicemente, si annoia, ma non trova elegante gridare
che il re è nudo ad una pièce teatrale dove dal palcoscenico
si grida in continuazione che il re è nudo.
Si informa anche, en passant, che certi re, escludendo
l’ovvio Pipino il Breve, hanno anche il pisello piccolo, ma
assai vorace, ma questo è un altro breve, di altezza, ma
purtroppo non di durata governativa.
Poi, tra i rimanenti, c’è quello attento, quello che è
arrivato a leggere fino a qui, e l’altro attento, a non dire
68
minchiate, che sono io che sto concludendo la digressione
col dubbio di avere detto già troppe minchiate…
* * *
L’intervistatore di turno si è moltiplicato per
intervistogenesi ed è un folto gruppo di persone armate di
microfoni davanti ad una tribuna alla Cetto la qualunque
da dove uno ieratico similcybbolo nero, e non soltanto di
umore, sta per declamare.
“I have a dream. Ho fatto un sogno. E non sono
Veltroni.
Ho visto distintamente un’assemblea di vassalli in
riunione di condominio (riunione protetta) per la
discussione del tema: lotti(mi)zzazione delle potenzialità del
paese.
Tal Calderoli, con Brunetta al fianco come una spina,
ad altezza fegato, con un Tremonti al tramonto della sua
inventiva in finanza creativa, e un Sacconi con quel testone
buono pieno di segatura cattiva, e la Gelmini appena
rientrata dal suo viaggio di nozze. Ha tagliato anche questo
di quattro giorni come tutte le spedizioni di cartoline, per
una certa coerenza comportamentale coi tagli alla scuola. Si
mormora che per risparmiare vieppiù si sia tagliata da sola
i suoi reggiseni con le forbicine delle unghie e li abbia fatti
cucire da una bidella precaria di una scuola materna di
Cinisello Balsamo. Si teme, o forse si auspica, che possa
decidere di tagliarsi in futuro prossimo anche le vene.
Sono tutti seduti intorno ad un tavolo, con il solo
Brunetta in piedi ancorché apparentemente seduto.
I dialoganti verranno citati per comodità con la sola
iniziale, per esemplificare, come richiede da subito
Calderoli.
C.: “Vorrei parlare subito del recupero funzionale della
Rupe Tarpea per l’esemplificazione di alcuni problemi
d’ordine sociale e sanitario, circa gli immigrati clandestini e
coloro che gravano enormemente sul bilancio delle spese
sanitarie con handicap di vario genere, fastidiosi per tutti,
ma soprattutto per gli albergatori delle nostre belle valli.
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Avrei tuttavia in animo una prioritaria interrogazione
alla signora collega G. circa un problema ipotetico di
confusione o sovrapposizione nell’ambito del mio progetto di
esemplificazione del linguaggio. Se chiamassi il ministero
dell’esemplificazione con il più semplice ministero dell’Es.
incorrerei in spiacevoli equivoci psicanalitici?”
G.: “Non saprei, caro C., e dovrei approfondire il
problema dall’alto della mia incommensurabile ignoranza,
che mi scuso se non è pari alla sua, ma penso che non
dovrebbero sussistere problemi.
Al massimo, in eventualità negative da accertare, si
potrebbe esemplificare in altro modo grafico, per esempio in
ministero del Les…”
S. scuote il testone in diniego con curioso rumore di
sfregamento di segatura su acciottolato: “Assolutamente
non è possibile questa ultima proposta: si potrebbero
ingenerare equivoci con una patologia chiamata appunto
Les, una malattia autoimmune, il Lupus Eritematosus. Sai
che tristezza fare le esemplificazioni con la fiamma
ossidrica, roba da pianto greco, affetti dalla sindrome di
Sjogren, senza una lacrima da poter versare, oppure
esemplificare il giro delle escort con la sindrome sicca, che
poi è una banale, ma in questo caso disastrosa, secchezza
delle fauci che dovrebbero essere sbavanti all’inverosimile.
No, no, assolutamente no…”
B.: ”E se esemplificassimo con creatività, quindi non
necessariamente dall’inizio, e partissimo da qualche sillaba
dopo, chessò, a caso, da fica? Suona anche bene, stimola i
bamboccioni e i fannulloni e s’armonizza con il partito
dell’amore: il ministero della fica. Eh? Eh?”
C.: ”Non mi opporrei: è anche celodurismo padano
ahahah.
Che ne pensi T.?”
T.: ”Intevessante. Penso agli sviluppi pev un dopo, pev
un futuvo migliove. Una tassazione sui pvoventi della fica…
in genevale, in pavticolave.”
C.: ”Guarda che sono ministro senza portafoglio…”
T.: ”Tu sì, ma tutti i puttanievi che conosciamo…”
70
B.: ”Non pensiamo a loro, ché tanto non pagheranno
mai neanche se intercettati, ma ai bamboccioni segaioli
senza la paghetta di papà per andare a puttane…”
T.: ”Geniale, B.: aumentiamo il salavio ai padvi facendo
contenti anche i sindacati e tutte le pavti sociali e poi
istituiamo una tassa sulle paghette ai bamboccioni e una
tassa sulle fvequentazioni mignottesche, da suddiviveve tva
clienti e, vivaddio, anche sulle tvoie, ché è ova che paghino
le tasse anche lovo. La cavtolavizzazione del mevetvicio,
sbav, sbav, sbav...”
G.: ”Sì, che paghino, paghino anche loro, che
guadagnano un pozzo senza un minimo d’istruzione
promuovendomi un sistema culturalfilosofico alternativo, a
me antagonista…”
C.: ”Allora vada per il ministero della fica?
B.S.G.T. in coro: “Vada, vada…”
C.: ”Sarà contento anche il boss. Me lo vedo con gli
occhi lucidi che annuncia in conferenza stampa il
perfezionamento del primo parto del partito dell’amore: il
ministero della fica. Pota, che spettacolo! Altro che aborti!
Bersani morirà di pugnette ahahah.”
B.: ”Sta già morendo di pugnette, se hai visto le borse
sotto gli occhi dopo le elezioni… indipendentemente…”
Rumore caotico dei giornalisti che si sovrappongono in
una babele di domande e richieste di spiegazioni sul sogno.
Il similcybbolo nero, in realtà, ha voluto soltanto fare
una discutibile satira becera di alleggerimento apparente
che ha svegliato gli ultimi due destrorsi del pubblico, quelli
in sonno letargico, che sono usciti senza rimpianti
nonostante la chiusa impietosa sul povero Bersani che
avrebbe dovuto strappare almeno un ghigno.
Il Corifeo, che in genere dovrebbe esaltare gli eventi,
dorme in una massa informe quasi fusa di omologatti e
veteri inani tra fischi, sibili e squittii da incubi ingestibili.
Tutto diventa nero come il similcybbolo.
* * *
Dal buio delle quinte emergono due sagome di porte
aperte.
71
Davanti a una c’è il cybbolo in tuta vecchia riciclata per
casa, piena di buchetti vari che lo rendono triste come un
Tuttouncamolo imbalsamato.
Davanti l’altra c’è un meraviglioso mammifero di sesso
femminile completamente nudo che squadra la mummia
con occhi maliziosi e tette che sfidano la legge di gravità e
un triangolo di peli così bello da sembrare trascendente.
La nuda cinguetta con voce velinica:
“Salveee, sono la sua vicina di casa, l’innocente ragazza
della porta accanto. Piaceeereee della sua conoscenza…”
“Salve… Sono frastornato per tutto questo bendidio e
non mi capacito: sogno o son desto? Sa, io sono molto
spesso dietrologo…”
“Ehhhh, come corre, porcellino. Già s’interessa a
pratiche trasgressive sul lato B?”
“Nooo, per carità, per quanto, ora che mi ci fa
pensare…No, mi scusi: è che sono sospettoso, diffidente,
credo sempre meno a tutto, compresi i colpi di fortuna, e
temo soprattutto l’invidia degli dei.
Poi credo nella legge di compensazione per cui a fronte
di una botta di culo simile, il suo culo per l’appunto, dovrò
per lo meno prendermi un ictus da priapismo (sarà mai
possibile?) o un’infezione venerea o anche soltanto un
definitivo banalissimo infarto…
E poi, soprattutto, queste cose non accadono mai nella
realtà. Quindi sto vivendo un sogno, ma Calderon e William
mi stanno pungolando i neuroni in cavalcate selvagge e
quindi mi comincia a scoppiare la testa nel tentare di
discernere… Mi capisce?”
“Veramente no: io sono solamente l’innocente ragazza
della porta accanto e la guardo con fare ammiccante. Lei mi
capisce?…”
“Forse sì, forse no. Forse lei è il risultato di un
rimescolamento galattico molecolare, un’allucinazione da
peperonata, forse la realtà è altro: lei è una stortignaccola
gobba cingalese che mi sta tendendo la mano scheletrica
per avere un tozzo di pane. Oppure forse lei è Madre Teresa
resuscitata che vuole sottopormi a qualche prova a premi
metafisici e io confondo tutto con il sogno di Pamela
72
Anderson sull’isola deserta sola con me in pratiche fellone
di fellatio.
O viceversa, of course.”
“Ma che dice? Sono vera, autentica, se mi permette, e
anche soda: tocchi, tocchi, sprimacci …”
“Lo farei a piene mani invocando come attenuante
generica la Bibbia, i grappoli d’uva, le spighe e i covoni, ma
ho paura che ci si stia muovendo in terreno acquitrinoso
malsano. Già mi pare di sentire accuse di maschilismo,
nonostante non sia ben chiaro se questo è sogno o realtà.
Sento le voci: ‘ecco, ecco: sempre la solita situazione della
femmina puttana e del maschio cacciatore che subisce
fascini e feromoni’.”
“Guardi che questo è solo uno spettacolo: mi trasformo
istantaneamente in maschione con tre gambe, l’innocente
ragazzo della porta accanto con lo straripante manico del
macho vileda tra le mani…Cambio anche voce, baritonale
come una carta vetrata… Ssalve, piacere della sua
conoscenza: che fa? Guarda il pacco?”
“Salve… Sono frastornato per tutto questo bendidio e
non mi capacito: sogno o son desto? Sa, io sono molto
spesso dietrologo…”
“Stiamo ricominciando in loop? Si sta alloopando?”
“No, guardi sono confuso, sempre più confuso. Adesso
dovrei, per par condicio, rispondere da verginella con
vampate di rossore e le sise tremolanti d’emozione…
Mi sta scoppiando un mal di testa terribile. Quel
cacchio di William con tutte le sue fisime sulle
rappresentazioni, le maschere, le trasposizioni tra sogni e
realtà, oddio…
Credo che mangiasse davvero pesante…
Fosse vivo oggi, lo tratterei come John Lennon.
Da ammirato fan, rovinato nell’esistenza per tutta la
vita che potrei vivere beatamente seguendo la ruota della
Fortuna e Chi vuol esser miliardario.
E invece ancora quesiti…
“Ritorno la ragazza innocente della porta accanto, tanto
per non stressarla ulteriormente.
73
E mi vesto istantaneamente per non procurarle crisi da
misegosauro, ché la conosco, sa, e ho tenerezza e pietà per
lei…”
“Che ne sa un sogno di ciò che è reale?
E come si può pilotare un sogno verso i propri desideri?
Lo sa? Matrix, il film, per me è quasi istigazione al
suicidio, forse perché le scene sono più romanticamente
grandiose di quelle di un Capezzone decadente che con la
faccia del bravo compunto ragazzo fa il punto della
situazione bacchettando qui e là e dando ganascini a destra
e mai a manca.
Con Capezzone, con i portavoce in genere, ché anche di
là non si scherza, più che suicidarsi viene voglia di ridere.
Amaro, ma ridere.
Credo che si possa morire dalle risate amare, per un
attacco di bile mentre ci si strozza increduli e indecisi se
considerare tutto questo come tutto o nulla, sogno o realtà,
con tutti gli annessi e connessi del totem del non sense,
della sofferenza, degli accostamenti bizzarri tra una realtà
birmana, tanto per dire, e un week end di ferragosto sulla
Salerno-Reggio Calabria…”
“Si calmi, si calmi, caro vicino di casa. Guardi: mi sto
incartapecorendo per solidarizzare con lei e le sfodero un
mesto sorriso guardandola con occhi stanchi mentre mi
ravvio la crocchia grigia: è contento?”
“Vaffanculo, vicina di casa della porta accanto,
chiunque tu sia.
Sto esplodendo di cose trattenute non dette che
faticano a essere vomitate fuori. Mi sembra d’essere stato
già fin troppo esaustivo, oltre che estenuante. Mi sento
anche io una istigazione al suicidio, seppure vivente…”
“Si calmi, la prego, le sto anche tremoleggiando la
voce…”
“Vaffanculo al quadrato!
Qui tutto sta divenendo paradossale e stanno
mancando punti di riferimento, certezze, verità.
Deflagrano i luoghi comuni e il frocio è anche di destra,
il razzista è di sinistra, il pacifista è armato.
Tra qualche anno ci sarà financo l’ostensione
alternativa da parte di una mafia inequivocabilmente
74
imperante senza dubbi alcuni: sarà l’ostensione della
tazzina da caffé con le impronte corporali di Sindona.
La verità unica e assoluta è l’assenza di verità unica e
assoluta e da tutto questo, dal tutto, scaturisce il nulla più
totale.
Mi dica, caro essere innocente della porta accanto: io
dove sono? E soprattutto: che ci faccio? E ancora: perché?”
“Non ho risposte per lei, caro vicino della porta
accanto.
Le volevo solamente fare compagnia per rendere meno
paurosa l’esistenza, stordendola con la mia innocenza
pelosa e poco innocenteeeeee… “
Le figure sbiadiscono nel buio mentre si chiudono le
porte con due tonfi sommessi e la scena ritorna nera come
l’anima di chi scrive, ammesso che esista un’anima.
* * *
Il corifeo ormai tace, ché nulla è più da evidenziare e
nulla più vuole evidenziare, sconfitto e piegato.
Nel silenzio di smarrimento e riflessione di fine
spettacolo uno sparo echeggia nella sala e uno del pubblico
s’accascia sulla poltroncina: il solito debole che capitola da
subito alla prima consapevolezza sofferente, al primo
stormir di foglie e alla prima rottura di coglioni.
Cala nel contempo, quasi rispettosamente per la
contingenza, il sipario con un fruscio sinistro non
necessariamente di sinistra: un fruscio trasversale.
Gli attori, il corifeo e il residuo pubblico s’affannano
verso la poltroncina fumante per un tentativo disperato
d’ultimo soccorso con esclamazioni addolorate, pietiste,
scomposte, madonnemistiche, ossignordamoreaccesiche e
compagnia cantante.
Qualcuno, magari il più curioso, ipotizzo io
perfidamente, s’appoggia con la mano allo schienale e non
sa che si è beccato l’AIDS per il contatto casuale col sangue
schizzato che contamina un polpastrello mangiucchiato
fino alla carne viva, solito ansioso essere che qualche
psicologo dice che è bisognoso d’affetto. Le probabilità che
75
questo avvenga sono di una a un milione, ma il fato cinico e
baro che governa l’umanità così ha deciso.
L’onifago autocannibale uscirà dal teatro, ignaro, e farà
proseliti del nuovo credo di distruzione, prossima verità tra
le tante galleggianti in assenza di verità.
Il Corifeo ha un ultimo sussulto e i quattro più quattro
si ergono sull’attenti davanti alla salma del suicida,
sghimbescia sulla poltroncina, e salutando militarmente
intonano in loop infinito la seguente frase:
“Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli!”
76
EFFICACI APPARENZE
Mi risulta sorprendente credere all’enormità che mi
racconta Osvaldo con il suo sorriso aperto e gli occhi
ammiccanti.
“Me ne sono accorto da ieri: incredibile, lo so, eppure è
accaduto.
Guidavo per ritornare a casa, sai, il solito orario di
punta. C’è il traffico a passo di lumaca tra semafori non
sincronizzati, vigili urbani anch’essi non sincronizzati,
intenti al sudoku coi numeri civici delle case e le targhe
delle auto, pedoni indisciplinati che attraversano sui cofani
delle auto e motorini in slalom su una ruota sola. Il
nervosismo montava come una mayonnaise impazzita: in
realtà stavo impazzendo io, anche perché la radio mi stava
squagliando con melodico vintage anni cinquanta al limite
dello yodler romantico e io avevo fame ed ero stressato da
una giornata di indefesso lavoro. Mi innervosiva soprattutto
l’autista dell’auto immediatamente avanti alla mia. Hai
presente quegli omini col cappello e due culi di bicchiere
come occhiali, sempre esitanti, a singhiozzo, con quelle
stupide luci dei freni che si accendono a intermittenza come
le lucine di un albero di natale? E siamo a giugno. Ecco,
questo davanti a me era di quella razza seppure senza
cappello e occhiali, e neppure omino, perché, a giudicare
dalle spalle, doveva essere grosso e sicuramente goffo. Fa
già molto caldo in questi giorni, lo senti anche tu, e avevo i
finestrini tirati giù a scippare una piccola corrente
rinfrescante. All’ennesima frenata, peraltro evitabile, di
quello davanti, ho tirato un moccolo che deve avere sentito
anche lui. Ho incrociato i suoi occhi attraverso il suo
specchietto retrovisore ed era uno sguardo di odio e sfida.
Gli ho sibilato un ‘vai a cagare’ quasi amichevole,
onnicomprensivo di tutte le mie buone ragioni, e per me era
finita lì.
Invece lui inchioda rabbioso e scende dall’auto per
venire a chiedere giustificazioni circa il mio atteggiamento.
E’ un energumeno dalla fronte bassa e dall’espressione
permalosa, un incrocio tra un armadio a due ante e una
77
gigantesca proscimmia, una supposta, per come avevo
supposto.
Non dice nulla, ma ha i pugni, i pugnoni, serrati ed è
deciso.
Gli paro davanti un mio pugno, tanto per fargli vedere
che sono deciso anche io, e lo fisso pronto a scattare fuori
dell’auto per scazzottarmi: prenderò sicuramente una
caterva di cartellate, ché sono la metà di lui, ma gliene darò
parecchie. Prevedo un finale eroicospedaliero con botta di
culo d’infermiera con sentimento materno e sesta di tette.
Ha un improvviso movimento secco della testa
all’indietro e cade sulla schiena con gli occhi sorpresi e un
rigagnolo di sangue alla bocca. Io non l’ho nemmeno
sfiorato, ma sembra che gli abbia tirato un diretto che più
che diretto sembra un intercity in deragliamento a freni
guasti.
Rimango di merda anche io. Impossibile, mi dico.
Scalcio nervoso dentro l’auto, sai quelle scosse di
adrenalina che snobilitano l’uomo, abbandonando il piede
dall’acceleratore. L’uomo fuori, a terra, si contorce come se
avesse incassato un calcio nella pancia e mugola di dolore.
Sono ancora incredulo, ma mi piace sperimentare
territori nuovi con la curiosità del bambino che ha tra le
dita le ali di una farfalla. Dai, dillo: sono un sadico
apprendista stregone, un depravato empirista. Non penso al
suo dolore, ma studio soltanto le sue reazioni rispetto a
come mi muovo. Spingo in avanti, verso di lui, due dita a V,
e lo vedo portarsi di colpo le mani al viso, come accecato da
due ditate negli occhi.
Mi sento un piccolo padreterno, ora, un sanpaolino
sulla via di Damasco, e ho realizzato che mi sta accadendo
qualcosa che definirei essenza di potere e quindi anche di
godere. Godo come un riccio, infatti, con immagini
metaforiche di mie ejaculazioni torrenziali che travolgono
inconsapevoli senzatetto, e mi permetto di fare il
prepotente. ‘Andiamo? Te ne vuoi andare o facciamo notte
qui?’
Mi guarda terrorizzato, si chiude in macchina a
balzelloni, sgomma a zig zag fresando altre due auto di
fianco, e scompare al primo incrocio.”
78
“Ma dai, Osvaldo, chi vuoi prendere per il culo?”
“Te lo giuro: è successo questo. E poi ho avuto altre
conferme. Ascolta…
Parcheggio sotto casa ancora scombussolato in una
ridda di pensieri e fantasie di ogni genere. Penso a concetti
sull’invidia del pene (il mio invidiato da altri), alle possibilità
dello sciamanesimo o a combinazioni random di cabala o
numerologia. Noto distrattamente che due balordi sono
appoggiati ad uno scooter in attesa di qualcuno davanti al
portone di casa mia. Dovrei allertarmi, potrebbero volercela
avere con me, sai la vita di città con i suoi concetti di
sopravvivenza, ma pregusto una bella lasagna al microonde.
I due scompaiono dal mio campo di attenzione visiva,
degradati da persone ostili potenzialmente pericolose a
sagome di videogioco con punteggio secondario senza
bonus. Esce di casa, in quel momento, la mia vicina di
pianerottolo, un’anziana donnina dai capelli d’argento,
ripiegata su sé stessa, per andare a prendere il latte. I due
balordi si irrigidiscono e scattano come le molle di una
tagliola, uno a destra e l’altro a sinistra, ad arraffare la
borsa.
Allargo una mano come per avvertire la mia vicina e
quello più vicino a me si cristallizza e rimane imbambolato
mentre risuona nell’aria il rumore di uno schiaffone.
Sembra centrato in pieno viso. Si gira e si guarda intorno
come un pugile suonato. Riallargo la mano e lui è
malauguratamente nella situazione di quello che porge
l’altra guancia, ma con lo schiocco più sonoro e un bruciore
prevedibilmente più intenso. Il suo compare esita e
scannerizza l’ambiente alla ricerca di minacce in divisa. Nel
semicerchio di ricerca tra destra e sinistra mi nota al centro
e si mette sulla difensiva. Io mimo un calcio di punta, il
rigore tirato di violenza per vincere, e lui si piega in due con
grugniti lamentosi e si comprime premurosamente le gonadi
che sono preziosa cristalleria in frantumi. Delirio puro,
allora. Mimo ancora, saltellando in scioltezza, qualche colpo
di karatè come quelli visti al cinema, così, tanto per
assaporare ebbrezze sconosciute, ma piacevolissime, e i due
balordi si rotolano per terra urlacchiando similjap mentre la
fragile vicina non si capacita di cosa stia succedendo. I due
79
scappano come nelle comiche finali, io saluto educatamente
la vecchina e salgo in casa. Fine. Punto. Non ho aggiunto
altro, non ho fatto voli pindarici, non ho inventato favole. Ti
ho raccontato quello che mi è accaduto ieri sera prima di
ritornare a casa. Capito?"
“Sarà, ma questa storia continua a puzzarmi di presa
per il cu… Ahia, vaffanculo, Osvaldo, che caspita fai?”
L’effetto è quello di una tirata d’orecchio violenta, a
strappone, e il lobo mi brucia infiammato, mentre noto che
Osvaldo ha unito pollice e indice della mano sinistra e tira
verso il basso.
Mi distoglie da personali riflessioni e mi fa incazzare,
ché ho i lobi delle orecchie sensibili come quelli temporali.
“Ci credi ora? O devo proseguire?”
Mi sento portare via per le caviglie e scivolo dal divano
con il culo per terra: Osvaldo ha mimato una specie di tiro
alla fune con le mani aperte proprio in direzione delle mie
caviglie. Monta l’incazzatura, esponenzialmente: mi sento
impreparato.
“Va bene, va bene, basta, ci credo, fermati che mi
sconocchi.”
“Hai visto se dicevo cazzate? Mi è successo questo oggi
pomeriggio. Però ora mi sto impratichendo, ahahah, ed è
una sensazione impareggiabile. Mi sento un supereroe e
credo che potrei difendere i deboli dalle prepotenze dei forti
e che potrei essere utile al mondo. Te lo immagini? Io
giustiziere della notte, magari con un costume colorato e la
mascherina per l’identità segreta: Supermimo che protegge
la città dai malfattori. Oppure io che intervengo per mettere
d’accordo i potenti della terra riuniti litigiosamente nel
palazzo di vetro delle Nazioni Unite: due dita nel naso del
russo, un dito in un occhio al cinese, un dito nel culo di
qualcun altro, e sganassoni a destra e a manca per
promuovere la buona volontà e la cooperazione tra popoli.
E tutto questo, da seduto in balconata tra il pubblico.
La ragionevolezza potrebbe nascere anche dal ridicolo e io
ho fantasia da vendere e potrei alzare la gonnellona della
partecipante di questo o quel paese e tirare giù i pantaloni
di qualche altro grassone in assemblea. Sai che spasso?
Osvaldo il portatore di pace universale nel mondo, futuro
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premio Nobel ritirato direttamente da casa davanti al
televisore con le mani che mimano il ricevere l’assegno…”
Osvaldo ha gli occhi trasognati e accarezza idee nobili
che passano, però, da coercizioni, seppure mimate, di
strada.
A me duole il culo e sale una certa rabbia per il curioso
pensiero che i colpi di fortuna non dovrebbero essere
condivisi e perché ho paura che dovrò farmi i raggi per una
ipotetica incrinatura dell’osso sacro. Penso: vaffanculo,
Osvaldo.
Glielo dico anche: “Vaffanculo, Osvaldo, mi hai fatto
male e ti muovi come un rinoceronte in una cristalleria. Mi
sa che faresti solo danni alle Nazioni Unite…”
“Dici? Mi sa che sei invidioso.”
Ride a gambe aperte con le mani sui fianchi in
atteggiamento di sfida, fissandomi a terra mentre mi tocco
una coscia.
“Guarda che se sei invidioso, ti punisco eh…”
Muove le braccia senza un gesto preciso, ma mi incute
soggezione. Ed esplode il mio pensiero di prima sulla
volontà di non condivisione: una miriade di schegge
impazzite che mi trafiggono il cervello facendomi vedere
tutto rosso come un toro infuriato. Mi si scolpisce con uno
scalpello sulla fronte: io, ego, egoismo.
Io e basta. Senza nessun altro.
Alzo le mani, un poco come abbassare la coda in senso
di sottomissione da parte di un cane, e sorrido ebete e
innocente. Poi, sfinito dall’ira dei miei pensieri, gli punto
pollice e indice come una pistola e mi contraggo.
Dalla mia bocca esce solo un ‘xschhhh’ e le dita
scattano verso l’alto come per un immaginario rinculo.
Osvaldo mi fissa sorpreso mentre un ghirigoro rosso si
spande sulla sua camicia ad altezza petto sgocciolando.
Sbarra gli occhi, ché ormai non pensa più a nulla, se
non a recuperare il debito di ossigeno, e s’accascia davanti
a me prono, come in adorazione del più forte, mentre una
pozza di sangue si spande da sotto il suo corpo sul
pavimento.
Il forte, in effetti, sono io.
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L’ho scoperto stamattina. Ho capito di avere un potere
strano, lo stesso potere di Osvaldo, per quello che ha
raccontato prima, davanti ad un bancomat, quando ho
intascato l’intero prelievo di un pensionato con uno
schiocco di dita.
Il poveraccio non sapeva come spiegarsi la sparizione
delle banconote dalle sue mani e probabilmente starà
meditando il suicidio prima che la demenza senile non lo
divori del tutto.
Io, ora, invece dico: vaffanculo alle Nazioni Unite di
Osvaldo e alla pace tra i popoli e alla concordia tra umani.
Viva Hobbes e il suo homo homini lupus, anche perché
io sono il lupo ahahahah.
Se non troverò in futuro qualcuno che sappia mimare
un kalashnikov o un bazooka o un missile terra-terra, sarò
solamente io il padrone del mondo.
82
LAST MINUTE
Genesio è un giovane mite di fisiognomica e
carattere.Ha uno sguardo buono di un celestino
disarmante, l’aspetto efebico e gentile che lo rende gazzella,
potenziale preda di branchi di iene a caccia di finocchiame.
Ha modi rispettosi e gentili e una timidezza di fondo che
potrebbe attrarre donne con spirito poetico.
Lavora in prova da un giorno come impiegato tuttofare
presso l’agenzia viaggi “Be Start Travel”. Riordina l’archivio
del computer e le scrivanie, compie ricerche per conto del
suo capo, naviga alla caccia di prezzi stracciati e di offerte
da promozionare. E’ in un cantuccio a ridosso del bancone
del capo e origlia telefonate e dialoghi con i clienti cercando
di apprendere i segreti del mestiere.
Entra nell’agenzia un ometto di mezza età dall’aspetto
confuso.
“Buongiorno…ecco…sto pensando di fare un regalo a
mia moglie per il nostro anniversario, ma non saprei… non
ho idee precise circa dove andare e quanto spendere… Può
aiutarmi lei, senza impegno, magari consigliandomi un
itinerario che possa fare al caso nostro?”
Lo sguardo speranzoso cozza con quello da Ezechiele
Lupo del capo di Genesio che, per conto suo, finge il
massimo interesse nel lucidare un monitor mentre rizza le
antenne.
“Dunque, dunque, sì.
Dipende sempre da quello che si vuole, caro signore.
Vuole riposo e banalità? Vuole soggiorni e noia? Vuole
viaggi in giro senza posa triti e ritriti, risaputi come un
ritardo di un treno per pendolari? Se vuole queste cose
posso soddisfarla, ma, glielo confesso molto sinceramente,
la accontenterei malvolentieri. Si perderebbe la mia
professionalità che è costituita anche di inventiva, di
fantasia, di desiderio di percorsi meno battuti dalle solite
comitive sudaticce con cicerone ciarliero che canta il
mazzolindifiori
ogni
cinque
minuti
per
aggregare
l’irrimediabilmente disgregato.
83
Se invece aspira ad altro, accarezza l’idea di poter
raccontare un resoconto diverso che accalappi attenzioni e
invidie, se vuole stupire sua moglie vellicandole il suo lato
più misterioso, allora faccio per lei…”
Il discorso di presentazione è recitato con sicurezza,
sorriso a ottanta denti da squalo e sguardo da master
comprensivo con gatto a nove code appena un poco oliato
per non far soffrire troppo l’iniziato. Il cliente, agli occhi di
Genesio, sembra rimpicciolire tra minimi squittii di
eccitazione e qualche bramito di prudenza per ciò che non
conosce appieno. In effetti il cliente non solo non conosce,
ma neanche immagina: semplicemente ignora, almeno a
livello conscio.
“Mi affido a lei, senza impegno. Mi intriga aspirare ad
altro, per come lei ha detto così efficacemente.”
Il cliente, se fosse un disegnino, avrebbe un fumetto coi
pallini, di pensierini mumble mumble, a caratteri cubitali
sulle sue reali speranze circa il far schiattare d’invidia i
colleghi di lavoro e circa l’ottenere pratiche sessuali proibite
dalla sua signora, se non altro per gratitudine.
Il capo di Genesio legge i fumetti e legge il cliente.
Si china verso di lui come avrebbe voluto molti anni prima
Murnau dall’interprete di Nosferatu. Lo circonda
amichevolmente con un braccio pitonesco e tra le spire
diventa suadente.
“Che ne dice di un ‘noir tour’?
“Prego?”
Il cliente balbetta: è un apprendista stregone di fronte a
Cagliostro e sta per farsi cagliostronare con tutte le scarpe.
“Un ‘noir tour’ è un viaggio nella sua autostima, nella
consapevolezza di quanto sta benino nella vita, di quanto è
migliore di altri sfigati, del culo che ha per scampati
pericoli, dell’ebbrezza di una quasi immortalità rispetto a
vite spezzate improvvisamente.
Le sottopongo un programma di tutto rispetto.
Si parte dall’India, l’India misteriosa, affascinante
crogiolo di razze…”
“Il palazzo Taj Mahal?”
“No, egregio signore, del maiale adesso non ce ne frega
niente. Le parlo del disastro ferroviario della settimana
84
scorsa lungo il Gange. Un treno carico di viaggiatori è
precipitato da un ponte nel fiume per uno sbullonamento di
traversine. Si parla di quattrocento morti e seicento
dispersi. Il Gange è infestato da gaviali, una sorta di
coccodrilli di sano appetito. Il governo indiano non riesce
ancora a smuovere le carrozze del treno conficcate nel letto
del fiume. Ancora oggi affiorano di tanto in tanto valige,
effetti personali, corpi… Mi sente? Corpi, caro signore, e
tutt’intorno è un ribollire di code e mascelle di gaviali in
lotta per la loro sopravvivenza. Sono i giorni del
ringraziamento dei gaviali del Gange: invece del pollo
ripieno c’è il treno ripieno.
Si prevede che lo spettacolo possa durare ancora non
più di cinque o sei giorni, almeno fino a quando non
arrivino sul posto le gru attrezzate allo sgombero delle
macerie, ma fino ad allora lei potrebbe fotografare detriti,
brandelli di stoffa e di ciccia, acque arrossate, animali
feroci, parenti piangenti.
E quando parlo di parenti piangenti non intendo solo
vecchie mamme o consunte mogli col bollino rosso in
fronte, ma anche bambini neo-orfani, verginelle scampate,
dagli occhi profondi, ma senza un braccio o una gamba,
straziate dalle lamiere del treno o dal gaviale più vicino.
Comincia a comprendere la mia proposta? Comincia a
vedere la luce del tunnel?”
Il cliente è un allocco, Genesio, dietro il monitor è un
allocco che sta per vomitare sulla scrivania.
Il capo dell’agenzia ha occhi sfavillanti di entusiasmo
per il guidare anime verso un nuovo percorso di
conoscenza: si erge, ora, maestoso e fiero della sua
missione, sul bancone. Sovrasta il fumetto che ora potrebbe
interloquire solamente con mugolii di sorpresa e brividi di
proibito raccapriccio (i migliori), nel mentre che si proietta
anteprime in media player mentale. Il capo dell’agenzia
legge solamente Gulp, Gasp, Barabak, Yuk Yuk, e
percepisce un significativo aumento della sua dentatura
fino a oltre ottantacinque zanne lucenti.
E’, comunque, un commerciante e deve battere il ferro
finché è caldo.
85
“Questa è la proposta principe, magari con un contorno
mordi e fuggi di una scorribanda in qualche fabbrica dove
sono impiegati bambini dai cinque ai dieci anni: sa, quelli
che cuciono per sedici ore al giorno palloni, scarpe, che
tingono maglioni o attaccano bottoni alle camiciole d’ultima
moda occidentale al ritmo raga scandito a bastonate sulla
schiena. Mi rendo conto che tutto questo ha un prezzo che
non è per tutti, ma che diamine, siamo uomini di mondo e
sappiamo anche accontentarci di quello che può offrire casa
nostra, il nostro bel paese.
In questo caso scendiamo assolutamente di prezzo,
senza, peraltro, scendere eccessivamente di qualità circa
quanto può offrirle l’agenzia.
Le propongo un ‘noir tour’ interno in bus extralusso
provvisto di ogni comfort, ad assaggiare le ultime novità di
cronaca, come ovetti di giornata.
Si svolazza come ape di fiore in fiore, fino alla località
della grassoccia mungitrice sgozzata, rinvenuta in un lago
di sangue sull’aia di casa sua. E’ stata trovata circondata
dalle carcasse delle sue galline, tutte stuprate e poi tirate
per il collo, almeno secondo il coroner. Sembra che sia stata
stuprata anche la mungitrice stessa, prima dell’omicidio
efferato con roncola, davanti alla capretta legata che fa ciao
con le corna. Trapelano indiscrezioni su un ulteriore stupro
collettivo
delle
mucche
nella
stalla,
le
uniche
apparentemente indifferenti, anche se ruminano in modo
strano da qualche giorno, mentre il toro è incazzato nero e
fuma dalle froge. Può scattare tutte le fotografie che vuole,
girare filmini, raccogliere qualche piccolo souvenir della
zona, almeno fuori del perimetro creato dalla polizia
scientifica. E poi via, ancora via, verso altri lidi, a
riprendere, e questo ancora per pochissimi giorni,
l’ammasso di lamiere contorte e annerite dal fuoco
sull’autostrada in prossimità del viadotto dai sette nani. I
vigili del fuoco stanno ancora lavorando di fiamma ossidrica
per disincastrare le auto e cercheranno di recuperare
l’autoarticolato che le ha tamponate dopo un malore
dell’autista. Quest’ultimo è precipitato da un’altezza di
cinquantacinque metri su un suolo roccioso: ha disperso
rottami in un’area di quattrocento metri quadrati. Ma prima
86
ha travolto nella sua folle corsa sette automobili che ora
sembrano due. Nell’urto spaventoso hanno preso fuoco
imprigionando intere famiglie fuse con le cinture di
sicurezza e gli airbag. Mi dicono che si percepisce ancora
oggi l’odore della carbonella del barbecue.
In questo caso si può dire che lei è proprio fortunato!
Pensi che due giorni fa l’importo del viaggio lo avrebbe
pagato il triplo: capirà, c’erano ancora le salme arrosto
adagiate sul bordo dell’autostrada e le bare di zinco
luccicavano al sole. Ci sono state code chilometriche perché
chi passava non solo rallentava, ma commentava, pregava
con un rosario, cercava di spiegarsi la dinamica
dell’incidente insistendo lo sguardo su sagome annerite che
neanche in ‘Nightmare 12 – Salme in salmì’.”
“Si può fotografare anche qui?”
Il cliente comincia a essere a suo agio: sta facendo
nascere un maglione a tricot con il pelo sullo stomaco e sta
metabolizzando velocemente le caratteristiche delle offerte.
Non vede l’ora di ragguagliare la sua signora e, anzi, ha da
richiedere qualcosa di cui ha parlato con curiosità proprio
con lei qualche giorno prima.
“C’è la possibilità di andare a vedere la Madonnina
piangente di travertino spaccata sulla testa del parroco
della chiesetta di campagna da parte dei fedeli portoghesi
che non volevano pagare il biglietto per ammirare la
lacrimazione?”
“Lei è un cliente che mi soddisfa assai, caro signore.
Certo che sì: si può fare tutto. Le aggiungo che l’erba
antistante il sacrario della chiesetta di campagna è tuttora
sporca del sangue e della materia cerebrale del parroco, e
non si prevede pioggia o neve fino alla prossima decade. E’
ovvio che può fotografare, riprendere e raccogliere reperti in
zona franca. Lo sa che un cliente del tour dell’altro ieri ha
rinvenuto quindici metri fuori della zona transennata una
scaglia di travertino che potrebbe essere parte del velo della
madonnina piangente o anche un’unghia incarnita da cui
l’ipotetica lacrimazione? Le consiglio solamente una cosa:
non compri nulla sul posto. C’è gente senza scrupoli che
vende le miracolose lacrime della madonnina in damigiane
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da cinquanta litri da utilizzare anche come antigelo per
l’auto…”
Sghignazza, il capo di Genesio, perché ha in pugno il
suo cliente morboso e convinto.
Il cliente, dal suo canto, guarda il capo agenzia come se
ammirasse l’inventore della sedia elettrica ecologica, con
annesso pannello solare, e si traghetta tra i flutti di
considerazioni varie, tutte prive di umanità, verso una
celere prenotazione del tour interno, prima che tutto ritorni
alla normalità. I posti disponibili sono ormai pochissimi e
non ha senso riflettere troppo. Come si suole dire? Chi ha
tempo non aspetti tempo.
Lo squalo, ormai a centodieci denti per zannagenesi da
libidine, ha poggiato sul bancone il foglio di prenotazione
per il tour e offre una penna gabellata per un celebre
reperto giudiziario trafugato con maestria. Dovrebbe essere
la penna usata per cavare gli occhi alla nonnina pensionata
di tre anni fa nella malga di montagna da due forestieri
analfabeti e invidiosi dell’oggetto che non sapevano
maneggiare. Uscirono articoli a valanga sulla malga: si
seppe che la nonnina accecata fu poi soffocata nella zuppa
di ortica che era ancora cruda. Si ricordano le spaventose
fotografie della vittima senza gli occhi, con la lingua di fuori,
gonfia come una zampogna, immortalata tra torme di turisti
dell’epoca che sorridono e mimano quanto è buona la zuppa
d’ortica.
Genesio è un blocco di travertino, però a pezzi dentro,
come il travertino della madonnina spaccata in testa al
parroco. Sta anche per lacrimare perché non sa capacitarsi
della naturalezza della situazione per lui innaturale.
Gli fa senso prendere a scopettate i topi in cantina e si
chiude gli occhi con una mano quando in qualche
documentario un leone sbrana uno gnu.
Adesso ha ripetuti conati di vomito repressi in una
magmatico senso di nausea che lo pervade in spossatezza.
E’ triste: sta crollando il mondo, un mondo, l’agenzia “Be
Start Travel”.
Guarda intorno le intestazioni della carta d’ufficio,
l’insegna fuori riflessa dalla vetrina di fronte e capisce che
ha sbagliato tutto per disattenzione: ad accettare un lavoro
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simile, a giudicare normale quello che è morbosamente
anormale. L’agenzia è la “Bastard Travel” e lui avrebbe
dovuto capire.
Si sgomitola dal monitor e si leva in piedi con lo
sguardo fisso verso un punto indefinito. Esce dall’agenzia
senza salutare, senza voltarsi, fisso in avanti come un
automa, con i suoi pensieri sempre più neri.
E’ travolto da un Tir sul ciglio della strada ed è
sbattuto violentemente contro un palo della luce, di quei
vecchi pali della luce che hanno ancora la corona a ganci di
ferro per non fare arrampicare i ragazzi in cerca di bravate.
Rimane appeso a mezz’aria, sospeso a quei ganci, con lo
sguardo celestino disarmante che sembra ora uno sguardo
da agnello di dio che toglie i peccati del mondo dalla
macelleria.
Urla di raccapriccio, interiezioni di meraviglia, pietà,
disgusto, qualche risata isterica.
Il capo della ‘Bastard Travel’ esce attirato dal rumore
della confusione, realizza dell’accadimento e smadonna
senza ritegno al pensiero di complicazioni sindacali circa il
suo impiegato appeso lassù come un culatello con gli occhi
celestini.
Poi diviene freddo come è il suo essere.
Pensa
ad
una
ciclostilata
da
distribuire
velocissimamente circa una nuova offerta last minute.
Tira fuori il cellulare.
E scatta diverse foto.
Imitato da altri passanti.
Qualcuno si sposta per scattare da nuove prospettive o
per togliersi dal contro sole.
Qualcun altro mentre scatta ha un suo particolare
moto di pietà e mormora: ‘ma li mortacci sua, che sfiga!’
Genesio, tra oggi e domani, diventerà una effimera star
del web e di certe trasmissioni televisive, fino a che non lo
tireranno giù e il vigile del fuoco non abbia rilasciato la sua
intervista regolamentare.
Poi sarà archivio promozionale di una agenzia di viaggi.
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SOMMARIO
DOV’ E’ ROSA PREMESSA? ..................................................5
IL PIACERE DI UNA CONVERSAZIONE............................7
DICK – ORMONAL LIFE........................................................13
BRACCHI E DUGONGHI ......................................................19
CASTING....................................................................................21
ECHI DI ECOFUTURO INSOSTENIBILE.........................31
LA DIGNITA’ .............................................................................39
NESSUN ALLARMISMO........................................................47
FAI L’IRRIVERENZA, PAGA PENITENZA.........................51
EFFICACI APPARENZE.........................................................77
LAST MINUTE ..........................................................................83
SOMMARIO...............................................................................91
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