gli ideologi di al-qaeda e le teorie della violenza religiosa

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gli ideologi di al-qaeda e le teorie della violenza religiosa
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE
Corso di laurea triennale in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali
Curriculum: Relazioni Internazionali e Diritti Umani
GLI IDEOLOGI DI AL-QAEDA E LE
TEORIE DELLA VIOLENZA RELIGIOSA
RELATORE: PROF. VINCENZO PACE
LAUREANDO: DEPLANO ANDREA
MATRICOLA N. 514731
A.A. 2007/2008
1
SOMMARIO
INTRODUZIONE .......................................................................................... 4
Capitolo 1 ....................................................................................... 7
LA STORIA DI AL-QAEDA............................................................ 7
1.1 Il “Maktab al-Khadamat” ............................................................................ 7
1.2 “La base dei dati” ........................................................................................ 9
1.3 Il ritorno del “mujahidin” .......................................................................... 10
1.4 Il Sudan ..................................................................................................... 11
1.5 Il ritorno in Afganistan .............................................................................. 14
1.6 La dichiarazione di guerra all‟America .................................................... 16
1.7 Il Fronte islamico mondiale per il jihad .................................................... 17
1.8 L'11 Settembre 2001 ................................................................................. 21
1.9 Al-Qaeda oggi ........................................................................................... 24
Capitolo 2 ..................................................................................... 25
L’ANALISI DELLA LEADERSCIP POLITICA ........................... 25
2.1 „ABDALLAH „AZZAM ........................................................................... 25
2.1.1 I TESTI: ................................................................................................. 31
2.1.2 La difesa dei territori musulmani costituisce il principale dovere
individuale. ................................................................................................................. 31
2.1.3 Raggiungi la carovana! .......................................................................... 32
2.2 AYMAN AL-ZAWAHIRI ........................................................................ 34
2.2.1 I TESTI .................................................................................................. 42
2.2.2 La mietitura amara. Sessant‟anni dei Fratelli Musulmani. .................... 42
2
2.2.3 Cavalieri sotto la bandiera del profeta ................................................... 43
2.3 OSAMA BIN LADEN .............................................................................. 45
2.3.1 I TESTI .................................................................................................. 48
2.3.2 Dichiarazione di “jihad” contro gli americani che occupano il paese dei
due luoghi santi ........................................................................................................... 48
2.3.3 Raccomandazioni tattiche ...................................................................... 49
Capitolo 3. .................................................................................... 51
LE TEORIE DELLA VIOLENZA RELIGIOSA SECONDO MARK
JUERGENSMEYER. .................................................................... 51
3.1 Le giustificazioni morali dei terroristi. ..................................................... 51
3.2 Gli aspetti simbolici. ................................................................................. 53
3.3 Guerra universale. ..................................................................................... 54
3.4 I martiri e l‟invenzione dei nemici. ........................................................... 55
CONCLUSIONI ........................................................................................... 57
BIBLIOGRAFIA .......................................................................................... 61
3
INTRODUZIONE
Il fenomeno degli attentati terroristici a matrice integralista islamica ha assunto
una rilevanza progressivamente maggiore nello scenario internazionale, diventando
fonte d‟inquietudine e di paura nella vita quotidiana di milioni di persone e allo stesso
tempo influenzando significativamente le politiche degli Stati che, direttamente o
indirettamente, sono stati esposti alla sua minaccia.
Questo fenomeno ha origini lontane, anche se, solo nel novecento si afferma
come fattore di mobilitazione collettiva. In questo senso l‟islamismo, anche se invoca il
ritorno alla fede degli antichi, è un movimento moderno, i militanti sono raramente dei
“chierici” o dei religiosi in senso tradizionale, ma sono piuttosto dei giovani formati in
sistemi scolastici moderni, che spesso hanno una formazione universitaria scientifica
più che umanistica. In particolare i leader dei movimenti più radicali sono ingegneri più
che teologi e provengono da famiglie di recente urbanizzazione o da classi medie che
hanno percorso all‟indietro i gradini della mobilità sociale. Ma è l‟11 settembre 2001
che segna una svolta nelle strategie e nell‟intensità dello scontro tra due modi
completamente contrapposti di visione del mondo. L‟islamismo si presenta oggi sulla
scena come ultima grande ideologia universalizzante. La sua azione mira a ristrutturare
il campo mondiale in un nuovo bipolarismo georeligioso, fondato sull‟appartenenza al
“partito di Dio”, quello degli “autentici credenti”, o al “partito di Satana”, costituito da
tutti coloro che militano tra le file dell‟incredenza. 1
Più specificatamente il primo capitolo è dedicato alla storia di al-Qaeda. La
nascita risale alla resistenza antisovietica in Afganistan negli anni ottanta, e il primo
elemento rilevante è quello organizzativo: non una piramide, bensì una serie di moduli e
sub-organizzazioni, interconnesse ma relativamente indipendenti. È “l‟ufficio dei
servizi” o Mak la prima rete organizzata ad addestrare i primi mujahidin in Afganistan
per contrastare l‟invasione russa. Essa fu fondata da „Azzam e vide in seguito la
partecipazione di Osama bin Laden. Questa organizzazione vide la sua evoluzione
grazie all‟egiziano al-Zawahiri nella “base dei dati” dove si centralizzò i dati sui
1
Renzo Guolo, Il fondamentalismo islamico, Editori Laterza, Roma-Bari 2002, introduzione.
4
volontari arabi che transitarono nei campi di accoglienza di bin Laden per essere
raccolti sotto un comando unificato.
È dal 1996 al 2001 che al-Qaeda matura, ma si trova ancora lontana da quel
gruppo terrorista strutturato, ipotizzato da molti commentatori. Al-Qaeda a quel tempo
consisteva in tre elementi, un nocciolo duro, una rete di gruppi cooperanti e
un‟ideologia. Questa tripartizione è essenziale per comprendere la natura sia del
fenomeno “al-Qaeda” sia della moderna militanza islamica. Durante questo periodo bin
Laden è riuscito ad attirare, oltre alla decina circa di associati che stavano con lui fin dai
tardi anni ottanta, molti fra i più eminenti militanti attivi in tutto il mondo. Insieme,
quegli uomini hanno formato il nucleo del progetto “al-Qaeda” e il cuore della capacità
operativa di questa organizzazione.2 Ma accanto a quel “nocciolo duro di al-Qaeda” e
alla “rete di reti” c‟era un terzo elemento: l‟idea, la visione del mondo, l‟ideologia di al
Qaeda e di coloro che quella idea sottoscrivevano. Nel periodo post-2001, è stato
quest‟ultimo elemento a diventare il più importante. Bin Laden non ha sequestrato
giovani né li ha sottoposti al lavaggio del cervello. I giovani che sono affluiti in
Afganistan per cercare addestramento militare e terroristico lo facevano per libera
scelta, nessuno veniva trattenuto contro la propria volontà, la disciplina era rigida ma
chiunque volesse andarsene poteva farlo.3
Il secondo capitolo si propone di dare un contributo alla comprensione delle
cause e delle logiche del terrorismo a matrice integralista islamica, attraverso l‟analisi
della vita e degli scritti dei principali protagonisti, cominciando da „Abdallah „Azzam,
Fratello Musulmano palestinese, promotore del jihad nell‟Afganistan e teorico del jihad
contemporaneo in tutto il mondo. Il secondo è Ayman al-Zawahiri, che oltre ad essere
una figura mediatica, funge da collegamento tra l‟opera di „Azzam, assassinato nel
1989, e le guerriglie islamiste degli anni novanta e teorizza poi il passaggio alle
“operazioni martirio” di cui l‟11 settembre costituisce l‟apogeo. Per ultimo Osama bin
Laden, rappresenta la porta di accesso per eccellenza a tale universo e la sua
incarnazione più mediatica, nonostante le sue prese di posizione non abbiano una
grande profondità teorica.
2
3
Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 28.
Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 177.
5
Questi autori che si sono imposti in questi ultimi anni, ossia bin Laden e alZawahiri, collocano la loro visione del mondo e la loro azione all‟interno della logica
stabilita da „Azzam. Essi mobilitano a loro volta gli anziani per qualificare e giustificare
la lotta, stigmatizzare il nemico e infine trarre le lezioni dell‟insuccesso delle guerriglie
degli anni novanta per fondare la legittimità delle “operazioni martirio” che
diventeranno poi la firma di al-Qaeda.4
Si cercherà di fare lo sforzo di capire non solo chi sono e che cosa vogliono gli
uomini della jihad, ma anche perché trovino così tanto ascolto presso le platee popolari
di un terzo del pianeta.
Nel terzo capitolo vado ad affrontare lo studio delle motivazioni alla base degli
atti di terrorismo religioso, le logiche morali e strategiche che guidano degli uomini a
commettere degli atti di inaudita violenza, grazie principalmente al testo di un studioso
americano, il sociologo Mark Juergensmeyer il quale analizza le peculiarità del
terrorismo religioso ponendo l‟attenzione sul suo significato simbolico, messo in atto
con metodi altamente drammatici. Inoltre, si potrà verificare che queste inquietanti
esibizioni di violenza sono accompagnate da forti rivendicazioni di giustificazione
morale e da un tenace assolutismo, caratterizzato dall‟intensità dell‟impegno degli
attivisti religiosi e dalla portata ultrastorica dei loro obbiettivi. L‟assolutismo della
religione si rivela in particolar modo nella nozione di guerra universale.
In questo capitolo si osserverà la potenza della religione in determinati settori
della vita pubblica. Si vedrà come le idee religiose e il senso di comunità religiosa siano
fattori endemici per le culture della violenza da cui nasce il terrorismo: si analizzerà
come il dramma della religione sia particolarmente adatto per il teatro del terrore; come
le immagini di martirio, satanizzazione e guerra universale occupino un posto di primo
piano nelle ideologie religiose; e come queste immagini e idee abbiano costituito fattori
di potenziamento sociale, orgoglio personale e legittimazione politica. 5
Il terrorismo è una reazione all‟umiliazione6.
4
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. introduzione.
Mark Juergensmeyer, Terroristi in nome di Dio, Editori Laterza, Roma-Bari 2003, pag. 237238.
6
Mark Juergensmeyer, Terroristi in nome di Dio, Editori Laterza, Roma-Bari 2003, pag. 230.
5
6
Capitolo 1
LA STORIA DI AL-QAEDA
1.1 Il “Maktab al-Khadamat”
L‟organizzazione attuale di Al-Qaeda è molto probabilmente il risultato di tre
fasi verificatesi nel corso degli anni. La prima fase era rappresentata dal Maktab alKhadamat (ufficio dei servizi o Mak), il centro di reclutamento organizzato da
„Abdallah „Azzam e Osama bin Laden per sconfiggere l‟esercito russo dopo l‟invasione
dell‟Afganistan. Lo scopo del Mak fu quello di ricevere, controllare e organizzare i
volontari che giungevano sempre più numerosi, raccogliere i fondi in arrivo dal
Medioriente e fare opera di propaganda. Nei primi anni ottanta, i due uomini
collaborarono strettamente, ma con una chiara divisione dei ruoli: Osama rappresentava
il finanziatore del movimento e addetto alla comunicazione, „Azzam era l‟ideologo e
l‟uomo d‟apparato7. Tra i maggiori finanziatori del jihad afgano vi furono i sauditi i cui
aiuti, equiparabili a quelli degli Stati Uniti, passarono dai trenta milioni di dollari del
1980 ai duecentocinquanta milioni del 1985. Pari, se non superiore, fu il livello degli
aiuti sauditi non ufficiali8. Per gestire un flusso di denaro così consistente era necessaria
la presenza sul posto di uomini di fiducia. Tra questi vi era Osama bin Laden, che
finanziò la causa afgana attingendo anche alle sue risorse personali, un gesto che
contribuì a dare alla sua figura un rilievo particolare aumentando la sua credibilità e
consentendogli di raccogliere più fondi e di reclutare molti più volontari. Lo stesso
Osama, per far fronte alla quantità di denaro che affluiva dall'estero, creò la
“Fondazione per la salvezza islamica”. È dunque nel 1982 a Peshawar che nasce un
nuovo internazionalismo islamista9. Il 15 febbraio 1989, l'URSS, stremata da un
decennio di guerra, si ritirò sconfitta dall'Afghanistan. La collaborazione tra Osama ed
„Azzam era destinata a deteriorarsi con il raggiungimento dell'obiettivo comune ed è per
questo che Osama prese le distanze dal suo vecchio mentore, considerato troppo
7
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 11.
Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 72.
9
Renzo Guolo, Il fondamentalismo islamico, Editori Laterza, Roma-Bari 2002, pag. 199.
8
7
moderato, per avvicinarsi progressivamente agli esponenti dell'estremismo egiziano
vicini ad al-Zawahiri.
Il primo momento di tensione tra i due uomini si ebbe in occasione della
costruzione di una forza militare costituita solo da arabi, autonoma rispetto ai mujahidin
afgani. „Azzam sosteneva la pratica abituale fino a quel momento, ovvero quella di
inviare i volontari arabi a seguito dei mujahidin e alle ONG islamiche per completare il
loro addestramento. Bin Laden, invece, era favorevole alla formazione di una forza
straniera indipendente, composta maggiormente di arabi. Questa differenza di vedute
non causò una rottura tra loro, ma sicuramente segnò il primo passo di bin Laden per
uscire dall'ombra di „Azzam e diventare un attore indipendente del jihad.
Osama, intanto, si trasferì prima a Khost, in Afghanistan, poi a Hayatabad, un
sobborgo di Peshawar. Qui stabilì delle case sicure e campi di addestramento allo scopo
di creare un'infrastruttura per al-Qaeda separata da quella del Mak. La prima base
militare costituita al fine di addestrare forze esclusivamente arabe è nota con il nome di
al-Ma'sada al-ansar ("la tana del leone”). Lo stesso Osama bin Laden parla di questo
campo, delle difficoltà incontrate per costruirlo, ma anche delle soddisfazioni della vita
in comune. Questi campi costituiti dai mujahidin e dagli arabi durante gli anni
dell'occupazione sovietica rimarranno attivi almeno fino all'indomani dell'attacco USA
e costituiranno il nocciolo duro di al-Qaeda, la condizione essenziale che permetterà
all'organizzazione di strutturarsi ed organizzarsi in un complesso sempre più sofisticato.
Il Mak, che in origine fu istituito per organizzare i volontari che giungevano da ogni
parte del mondo per combattere i sovietici, continuò col produrre dei mercenari, ovvero
dei guerrieri con un fumoso bagaglio ideologico contraddistinto da una scarsa
raffinatezza politica e in alcuni casi anche da mancanza di istruzione, condizione che
portò i volontari ad una maggiore esposizione a quello che era il messaggio di „Azzam.
Anche se questa sua dottrina filosofica si fondava chiaramente sull'eredità di al-Banna,
Mawdudi, Qutb e Khomeini, il suo pensiero era molto meno rifinito e ideologico di
quello dei pensatori precedenti. Le debolezze teoriche venivano coperte dal suo focoso
appello al jihad e al martirio e dalle raffigurazioni a tinte forti della guerra cosmica tra la
umma e i suoi nemici, fra il bene e il male10. Quando all'indomani della ritirata sovietica
i combattenti arabi fecero ritorno nei loro paesi d'origine, portarono con sé un grosso
10
Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 90.
8
bagaglio di conoscenze militari che intendevano utilizzare per rovesciare i governi che
ritenevano poco aderenti alle regole dell'Islam.
1.2 “La base dei dati”
Al-Qaeda si evolse nel corso degli anni divenendo un gruppo il cui nucleo
centrale era formato da appartenenti all‟estremismo religioso egiziano capeggiati da alZawahiri, per formare nel 1988 Qa‟idat al-ma‟lumat (“la base dei dati”) il cui compito
era quello di centralizzare i dati sui volontari arabi che transitarono nei campi di
accoglienza di bin Laden per essere raccolti sotto un comando unificato. Nell'archivio
elettronico furono raccolti migliaia di nomi, segnalate le caratteristiche somatiche, la
provenienza, l'appartenenza etnica, le conoscenze linguistiche, le capacità professionali,
l'attitudine al combattimento, l'orientamento ideologico di ogni combattente per la causa
di Allah.
Nel frattempo, la disputa tra Osama e „Azzam era destinata a terminare con la
morte di quest‟ultimo, ucciso il 24 novembre 1989 in un attentato dai risvolti poco
chiari. A questo punto, Osama, ormai senza più rivali, iniziò a pianificare la conversione
del Mak e della nascente al-Qaeda in una forza terroristica globale. L'obiettivo era di
distruggere prima gli Stati Uniti e Israele e ristabilire poi il califfato attraverso il jihad
globale. Mentre bin Laden aveva il carisma e il sostegno economico che gli permise di
fondare al-Qaeda, al-Zawahiri ricoprì il ruolo di ideologo dell'organizzazione. Sotto
l'influenza di al-Zawahiri, la leadership dell'organizzazione di bin Laden andò
progressivamente costituendosi da veterani egiziani provenienti dai vari gruppi islamici,
che individueranno nel presidente Mubarak il loro primo nemico.
I Fratelli Musulmani e altre organizzazioni islamiste svolsero un ruolo chiave nel
reclutamento e nella raccolta fondi, motivo per cui ci fu una crescita del numero dei
volontari che in precedenza non avevano avuto alcun coinvolgimento nella politica
islamista. Molti erano giovanissimi e pochi avevano una reale conoscenza
dell'islamismo e dei suoi precedenti; alcuni furono attirati dai generosi sussidi forniti dai
donatori sauditi, altri arrivavano per qualche settimana estiva prima di tornare alle loro
ricche case nel Golfo.
9
1.3 Il ritorno del “mujahidin”
Dopo la ritirata sovietica dall'Afghanistan, nel 1989, Osama fece ritorno in
Arabia Saudita dove fu trattato con onore e rispetto. Come gli altri combattenti tornati
dall'Afghanistan non si riabituerà facilmente alla vita civile e già dal 1989 si metterà
alla ricerca di una nuova causa capace di ripetere l'esperienza afgana.
In questo periodo l'attenzione di Osama si concentrò su due situazioni: il regime
ateo di Saddam Hussein in Iraq e lo Yemen. Osama, qui come in Iraq, pensava di
intervenire con il suo esercito di combattenti per liberare il paese, ma venne bloccato
dalla famiglia reale saudita che cominciava a diffidare di un personaggio diventato
ormai incontrollabile.
La definitiva rottura con la monarchia saudita avvenne con l'invasione irachena
del Kuwait, il 2 agosto 1990. Mentre la monarchia saudita, rendendosi conto del grave
rischio che stava correndo decise di chiedere aiuto agli Stati Uniti, Osama propose ai
sauditi un piano alternativo, ovvero mettere insieme tutti i veterani del jihad
antisovietico (all'incirca 5.000 mujahidin) per dare vita ad una coalizione anti Saddam.
Ovviamente la sua proposta venne respinta e le truppe americane fecero il loro ingresso
in Arabia Saudita lanciando l'operazione “Scudo nel deserto”, il 7 agosto 1991.
Osama non poteva accettare l'idea che un esercito di non musulmani occupasse il
suolo sacro della Penisola arabica ed espresse il suo disappunto al principe Turki. La
monarchia saudita, da parte sua, cercò di rassicurare Osama sul fatto che la presenza
militare statunitense sarebbe stata limitata al tempo previsto per fare rientrare la
minaccia irachena. Ciò non avvenne poiché, quando le truppe di Saddam Hussein si
ritirarono dal Kuwait, gli americani rimasero di stanza in Arabia Saudita. Per bin Laden
il quadro era ormai chiaro: l'America aveva profanato "la terra dei due Luoghi Santi",
portandovi i suoi soldati, ed essa rappresentava il nemico per eccellenza da abbattere.
Tuttavia, prima dello scontro diretto con gli Stati Uniti, fu necessario lanciare
l'offensiva contro i suoi alleati locali, primi fra tutti l'Arabia Saudita e l'Egitto.
A questo punto, Osama era considerato una minaccia che i sauditi non potevano
più sottovalutare ed incominciarono a pianificarne l'arresto. Grazie all'aiuto di un
oppositore della famiglia reale saudita, Osama poté uscire clandestinamente dal paese
10
con il pretesto di partecipare ad un incontro islamico in Pakistan, nell'aprile del 1991,
per poi trasferirsi in Sudan.
1.4 Il Sudan
Osama soggiornerà in Sudan dal 1991 al 1996. All'inizio di questo periodo il
nome di al-Qaeda non era ancora di uso corrente né conosciuto. Bin Laden era percepito
come un oppositore del regime saudita e non ancora come l' "internazionalista" di un
jihad focalizzato contro gli americani. Al-Zawahiri, nel frattempo, si occupava
dell'Egitto privilegiando azioni mirate e spettacolari contro le autorità del regime.
Gli stessi Stati Uniti, sebbene fossero al corrente della minaccia che
rappresentavano i mujahidin stanziati in Afghanistan e in Pakistan e che Osama fosse
dietro molti attacchi terroristici, ignorarono la natura multinazionale della sua
organizzazione. La permanenza nel Sudan rappresentò un momento importante per lo
sviluppo dell'organizzazione e fu proprio qui che al-Qaeda ebbe la possibilità di
organizzare una solida ed efficiente struttura interna.
La maggior parte degli sforzi di bin Laden furono dedicati alla fondazione e alla
direzione di un vasto impero economico. Egli portava gli imprenditori a vedere i suoi
esperimenti con vari tipi di piante, gestiva decine di compagnie mercantili e una
immensa fattoria dove si svolgevano contemporaneamente l'addestramento dei veterani
afgani arabi e la coltivazione delle arachidi, mentre altre aziende producevano miele e
dolciumi11.
Indispensabile per lo sviluppo di al-Qaeda fu la complicità del governo
sudanese. Per proteggere se stesso e la sua organizzazione, Osama intrattenne interessi
commerciali e legami con la classe politica sudanese, i servizi di sicurezza e l'esercito.
Oltre a mantenere stretti legami con Hassan al-Turabi, l‟ideologo chiave dell‟Islam
politico contemporaneo, Osama coltivò le sue relazioni con il presidente, i ministri e i
capi dei dipartimenti di governo. Investì 50 milioni di dollari in una banca che aveva
stretti legami con l'élite sudanese e di conseguenza al-Qaeda fu trattata con rispetto.
Nel frattempo, la minaccia islamista si fece sempre più pericolosa, così, molti
dei veterani arabi che avevano combattuto in Afghanistan furono arrestati nei loro paesi.
11
Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 155.
11
L'alternativa che si prospettò ai mujahidin fu quella di ritornate a far parte dei gruppi
islamisti che ancora combattevano in Afghanistan, Tagikistan, Algeria, Cecenia,
Bosnia, Kashmir e Sudan. Al-Qaeda approfittò di questa congiuntura positiva per dare
nuovo vigore all'organizzazione, attraverso nuovi istruttori e fondi. Inoltre, all'indomani
del primo attentato al World Trade Center nel 1993, gli Stati Uniti imposero al Pakistan
di espellere o registrare i mujahidin presenti nel suo territorio. In questa occasione
Osama pagò per il trasferimento di centinaia di loro.
Di pari passo con l'aumento dell'efficienza interna dell'organizzazione, andava la
sua espansione all'estero. Dal Sudan, infatti, al-Qaeda iniziò a diffondersi in tutto il
mondo, sviluppando una rete di comunicazione mai vista prima, che collegava tra loro i
suoi uffici regionali di Londra, New York, Turchia e altri centri. Per le comunicazioni
venivano utilizzati messaggi mail criptati e siti web, molti dei quali collocati nelle aree
tribali del Pakistan.
Uffici di bin Laden furono aperti a Cipro, Zagabria e Sarajevo per fornire
supporto ai bosniaci musulmani che combattevano contro i serbi e i croati.
Organizzazioni non governative, presenti a Baku, Azerbaigian, costituirono il punto di
partenza dal quale si diffondevano gli aiuti finanziari che arrivavano ai ribelli ceceni. In
più Osama si servì della Terza Agenzia Mondiale di Assistenza già presente a Vienna
che contava uffici a Zagabria e a Budapest.
L'attività di al-Qaeda in Sudan, fu finalizzata a creare legami con altri gruppi
islamisti ed è per questa ragione che bin Laden istituì la “Confederazione internazionale
del jihad”, l'Islamic Army Shura che ebbe il compito di coordinare l'insieme dei gruppi
terroristici che si stavano unendo ad al-Qaeda. Il modello sul quale si strutturavano le
alleanze si estese anche negli Stati Uniti. Un'organizzazione musulmana chiamata alKhifa aveva numerosi uffici che si estendevano per tutto il territorio americano. Il più
grande di questi uffici, situato nella moschea Farooq di Brooklyn fu un avamposto del
Mak, per tutti gli anni Ottanta. Altri uffici dell'organizzazione erano situati ad Atlanta,
Boston, Chicago, Pittsburgh e Tucson. Al-Khifa reclutò musulmani americani per
combattere in Afghanistan, molti di loro parteciparono ad azioni terroristiche negli Stati
Uniti all'inizio degli anni Novanta e anche ad operazioni di al-Qaeda all'estero, inclusi
gli attentati del 1998 alle ambasciate americane in Africa.
12
Nell'autunno del 1993, un'altra delegazione giunse in Libano, per essere formata
all'uso degli esplosivi, ma anche su operazioni di intelligence e di sicurezza. Bin Laden
era particolarmente interessato agli attentati portati a termine con l'utilizzo delle auto
bomba, come quella che aveva ucciso 241 Marine americani in Libano nel 1983.
Il soggiorno in Sudan di bin Laden è stato importante nell'evoluzione di alQaeda anche per un altro motivo: iniziano gli attentati terroristici contro obiettivi sauditi
ed americani.
Il primo fronte contro gli Stati Uniti fu aperto in Somalia il 3 e 4 ottobre 1993,
quando jihadisti afgani organizzarono azioni armate che portarono alla morte di diciotto
militari americani a Mogadiscio. Una cellula di al-Qaeda venne installata a Nairobi e
usata come base dalla quale inviare armi ed istruttori ai signori della guerra somali che
combattevano contro le truppe USA. Nel dicembre dello stesso anno, due alberghi della
città di Aden, nello Yemen, che generalmente ospitavano le truppe americane che
sostavano prima di ripartire per la Somalia, furono fatti esplodere con delle bombe.
Nel novembre del 1995, un'autobomba esplose al di fuori di un'installazione
militare di soldati sauditi ed americani a Riyadh, adibita all'addestramento della Guardia
Nazionale Saudita.
Con l'attentato al World Trade Center, il 23 febbraio del 1993, la CIA riconobbe
in bin Laden un serio pericolo ma egli non rivendicò mai nessun attentato. La non
assunzione di responsabilità corrisponde ad una precisa politica attuata in questo
periodo da bin Laden. Innanzitutto perché non è giusto rivendicare il merito di un atto
che ha avuto successo solo grazie alla volontà di Dio12, e poi il leader di al-Qaeda vietò
di attribuire la responsabilità delle azioni all'organizzazione, poiché questo tipo di
pubblicità poteva portare ad un'identificazione dell'organizzazione. In base a questa
politica, al-Qaeda non rivendicò la responsabilità per la bomba al National Guard
Building di Riyadh, il 13 novembre 1995, che uccise sei persone, o quella
nell'istallazione militare di Khobar Towers di Dhahran che uccise diciannove americani
e ne ferì un centinaio.
Nel 1994, al-Qaeda pianificò un attentato, fortunatamente sventato dalle forze
dell'ordine, noto come Piano Bojinka. Il piano prevedeva di portare a segno una serie di
attentati nelle Filippine: l'assassinio di Papa Giovanni Paolo II e del presidente Clinton
12
Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 38.
13
durante la loro visita a Manila; l'assassinio del presidente Fidel Ramos, di due anziani
funzionari governativi, diversi ambasciatori stranieri nelle Filippine e altri diplomatici,
ufficiali dell'esercito, della polizia e civili; di piazzare bombe nei centri commerciali,
nei negozi, nell'ambasciata USA e in scuole internazionali, in chiese cattoliche e
importanti centri governativi; il rapimento di personalità influenti per ottenere un
riscatto, rapine in banche e in istituti finanziari; assassini di cittadini americani ed
israeliani; di far esplodere undici aerei passeggeri durante il volo13.
La crudeltà degli attentati terroristici degli anni Novanta, che culminò nella
strage di Luxor del 1997, priverà, poco a poco, i gruppi estremisti del sostegno
popolare. Il fallimento di tale strategia fu, inoltre, sancito dall'appello dei principali
emiri egiziani che esortarono all'abbandono della lotta armata. Anche bin Laden ed alZawahiri si convinsero della necessità di cambiare strategia e quindi colpire non più in
maniera indiscriminata i regimi musulmani nel tentativo di abbatterli, ma rivolgersi ad
obiettivi americani ed israeliani.
Al-Zawahiri preconizzò, quindi, un jihad non più limitato al "nemico vicino", ma
uno in grado di colpire il vertice del potere, il "nemico lontano" per eccellenza, la
superpotenza americana, che trascinerà nella sua caduta tutti i governi "miscredenti".
1.5 Il ritorno in Afganistan
Dopo il tentativo di uccidere Mubarak, le pressioni sul Sudan per espellere
Osama si fecero sempre più forti aggiungendosi a quelle degli USA e della Gran
Bretagna e anche a quelle dell'Egitto. Mentre il Sudan sembrava sordo alle richieste
internazionali, gli Stati Uniti cominciarono a far affluire aiuti militari in funzione di
contenimento, agli stati confinanti tradizionalmente ostili come l'Uganda, l'Eritrea e
l'Etiopia. Nel 1993, dopo che gli Stati Uniti inserirono il Sudan tra i paesi sponsor del
terrorismo, le grandi società petrolifere occidentali si mostrarono restie a investire nel
paese14. Già dal febbraio 1996, i sudanesi presero contatti con ufficiali americani per
espellere il ricco saudita nel suo paese natale, eventualità immediatamente respinta dalla
stessa monarchia saudita.
13
14
Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 121.
Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 165.
14
Osama bin Laden, che non si sentiva più sicuro in Sudan, lasciò il paese africano
per fare ritorno in Afghanistan, il 18 maggio 1996. Probabilmente bin Laden giunse a
Jalalabad in un area controllata da un consiglio provinciale di leader islamici. Qui trovò
alloggio presso Younis Khalis, capo di una delle principali fazioni di mujahidin, il quale
riconobbe il potere simbolico del suo esilio e il vantaggio che ne avrebbe potuto
ottenere per ispirare i suoi seguaci e attirare nuovi proseliti15.
Il periodo che va dal 1996, anno in cui Osama si trasferì con la sua
organizzazione in Afghanistan, e il 2002 anno in cui, dopo il sanguinoso attentato alle
Torri Gemelle, i raid aerei dell'esercito americano distrussero le basi di al-Qaeda,
rappresenta il culmine dell'organizzazione.
Osama finì sotto la tutela del Mullah Omar, leader dei talebani, che
recentemente si era proclamato"governante di tutti i musulmani". Non appena Osama
arrivò in Afghanistan, il Mullah inviò una delegazione per incontrarlo comunicandogli
che era "Onorato di proteggerlo, a causa del suo ruolo nel jihad contro i sovietici”
Al-Qaeda sviluppò una unità speciale di guerriglia per affiancare i talebani nella
loro battaglia contro l'Alleanza del Nord e questa forza, conosciuta come Brigata 05516,
era composta da 1.500-2.000 arabi e divenne parte integrante delle forze talebane. Il
risultato fu che i combattenti di al-Qaeda e dei talebani vivevano, si addestravano e
conducevano
operazioni
militari
insieme.
Sebbene
funzionassero
come
due
organizzazioni separate, le loro strutture furono integrate per raggiungere l'obiettivo
comune di combattere l'Alleanza del Nord.
Il regime talebano ripagava il supporto di al-Qaeda fornendole un rifugio sicuro,
rifornendola di
armi, di equipaggiamenti
e di attrezzature necessarie per
l'addestramento. Ad al-Qaeda fu inoltre consentito di utilizzare la compagnia aerea
nazionale, l‟Ariana Airlines, per trasportare i suoi membri, reclutarli ed effettuare
approvvigionamenti dall'estero.
Grazie ai suoi rapporti con il Mullah Omar, bin Laden riacquistò la libertà di
movimento che aveva perso in Sudan così che gli agenti di al-Qaeda potevano muoversi
nel paese senza impedimenti, entrare ed uscire senza visto o altre pratiche per
l'immigrazione, acquistare ed importare veicoli ed armi, usufruire delle targhe del
15
16
Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 165.
Renzo Guolo, Il fondamentalismo islamico, Editori Laterza, Roma-Bari 2002, pag. 191.
15
ministero della difesa afgano e della compagnia aerea dello stato per introdurre soldi nel
paese. Al-Qaeda poté addestrare e indottrinare combattenti e terroristi che giungevano
nei numerosi campi disseminati nel paese.
Nel frattempo, l'organizzazione continuò a collaborare strettamente con la
maggior parte dei gruppi terroristici mediorientali presenti in Egitto, in Algeria, nello
Yemen, in Libano, in Marocco, in Tunisia e in Somalia, i cui legami erano stati stretti
durante il periodo di permanenza in Sudan. Rapporti di collaborazione furono stabiliti
con estremisti del sud e del sud est asiatico, inclusa la Jemaah Islamiyyah malese ed
indonesiana e diversi gruppi pachistani impegnati nel conflitto per il Kashmir. Dal
rifugio afgano, bin Laden rafforzò la base di Londra e gli uffici presenti in Europa, nei
Balcani e nel Caucaso. Grazie al supporto finanziario saudita e quello degli associati del
Golden Chain, ricostruì la rete di finanziamenti ritornando ad essere l'uomo più ricco e
potente del movimento jihadista. Era ormai pronto a colpire "la testa del serpente".
1.6 La dichiarazione di guerra all‟America
La riacquistata forza di al-Qaeda fu evidenziata dalle dichiarazioni pubbliche
emesse, tra il 1996 e il 1998, da Osama, che riprese i temi tipici delle sue rivendicazioni,
ampliandoli e rendendoli più aggressivi. Sono tre le fatwa diffuse in questo periodo da
al-Qaeda: la prima il 23 agosto del 1996, la seconda nel febbraio 1997 e la terza, che
annunciò la formazione del Fronte islamico mondiale per il jihad, il 23 febbraio 1998.
Il 23 agosto 1996 fu pubblicata la Dichiarazione di jihad contro gli americani
che occupano la terra dei due luoghi santi. Il documento, emesso all'indomani dell'arrivo
di bin Laden in Afghanistan, riprendeva i temi principali delle sue rivendicazioni: i
soprusi, le ingiustizie e i massacri che i musulmani subiscono dall'alleanza cristianogiudea e dai suoi sostenitori. Diversamente dagli appelli precedenti, si indirizzava non
solo ai musulmani che si trovavano nella Penisola arabica, ma anche a quelli del
Medioriente, dell'Asia centrale, del Corno d'Africa, del Caucaso, dei Balcani e del Sud
Est asiatico, che subivano l'arroganza americana sotto la copertura delle Nazioni Unite.
Nel marzo 1997, Osama, nonostante avesse rassicurato al Mullah Omar di muoversi con
maggior circospezione, rilasciò un'intervista in cui spiegò la propria posizione nei
confronti degli Stati Uniti e del regime saudita, nonché gli obiettivi che intendeva
raggiungere. Innanzitutto, egli ribadì il suo punto di vista nei confronti dei sauditi,
16
vassalli degli Stati Uniti, che mantenevano il prezzo del petrolio volutamente basso per
far fronte alle richieste degli americani. In pratica, Osama dichiarò il takfir contro la
famiglia reale, affermando che essa non poteva essere considerata musulmana e, di
conseguenza, la sua uccisione era giudicata lecita. Gli americani, invece, dovevano
essere cacciati dalla Penisola arabica e dall'intero mondo musulmano. Ad essere colpito
non sarebbe stato solamente l'esercito, ma soprattutto i civili americani, perché votando
sono responsabili delle azioni del loro governo e, in secondo luogo, perché gli stessi
Stati Uniti non hanno risparmiato nessun civile in Palestina, Libano e Iraq17. Tuttavia,
gli attacchi di bin Laden alla monarchia saudita erano una violazione del giuramento
che il Mullah Omar aveva fatto al principe Turki, ovvero quello di tenere il loro ospite
sotto controllo. Altri erano invece riconoscenti a bin Laden che li stava aiutando a
ricostruire il paese fornendo lavoro per far riprendere l'economia. Il Mullah Omar decise
di far trasferire Osama ufficialmente da Jalalabad a Kandahar, per garantirgli maggiore
protezione dal momento in cui egli lo informò che dei mercenari stavano organizzando
di rapirlo, ma in realtà era soprattutto per tenerlo sotto controllo ed evitare altre
interviste18. Questo trasferimento, però, fu un tentativo vago e certo non servì a bloccare
Osama dal fare sentire ancora una volta la sua voce. Nel febbraio 1997 emise un'altra
fatwa nella quale nominò e sfidò il segretario della difesa americano William Cohen,
celebrando le virtù degli attentatori suicidi.
1.7 Il Fronte islamico mondiale per il jihad
Il 23 febbraio 1998, Osama annunciò ai suoi seguaci la formazione del “Fronte
islamico mondiale per il jihad contro gli ebrei e i crociati”. La fatwa arrivò nel momento
di massimo rinnovamento e forza di al-Qaeda, dopo un anno e mezzo di lavoro. I
firmatari dell'accordo furono, oltre Osama, al-Zawahiri, capo del Jihad islamico
egiziano; Munir Hamza, segretario degli ulema in Pakistan; Fazlur Rahman Khalil,
emiro del Harakat al-ansar (Pakistan); Sceicco „Abd al Salam Muhammad Khan, emiro
del Harakat al-jihad (Bangladesh); Abu Yassir Rifa‟i Ahmad Taha, membro eminente
17
18
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 37 e ss.
Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 188.
17
del gruppo islamista egiziano al-Jama‟a al-Islamiyya. Osama firmò come individuo19 e
l'esistenza di al-Qaeda fu mantenuta segreta. Ciò che bin Laden si aspettava dalla
creazione del Fronte era, innanzitutto, diminuire la capacità americana di concentrarsi
esclusivamente su al-Qaeda, rendendole più facile lavorare a livello internazionale
riducendo di conseguenza le pressioni su un gruppo specifico.
La dichiarazione riprendeva i temi tipici delle rivendicazioni precedenti,
elencando brevemente i crimini commessi dagli americani e dai loro alleati nei confronti
dei musulmani, affinché il popolo non dimentichi. Gli americani, occupando la Penisola
arabica sono accusati di aver razziato le sue ricchezze e terrorizzato gli abitanti. Nel
testo si condannava l'alleanza tra crociati e giudei contro l'Iraq, che aveva provocato
migliaia di vittime con la guerra e l'embargo petrolifero. Esprime disapprovazione per la
politica internazionale americana in Medioriente a servizio dello stato di Israele, il cui
interesse è indebolire gli stati della regione, in primo luogo l'Iraq essendo il più forte,
per assicurarsi la sopravvivenza e per consentire agli americani di continuare la loro
occupazione. Gli Stati Uniti con le loro azioni avevano dichiarato guerra a Dio, al suo
Messaggero e ai musulmani ed è sulla base di tali crimini che il Fronte emise una fatwa
nella quale riteneva un dovere: "uccidere gli americani ed i loro alleati, siano essi civili
o militari, è un dovere che si impone ad ogni musulmano che sia in grado, in qualsiasi
paese in cui si troverà, e questo fino al momento in cui saranno liberate dal loro influsso
la moschea di al-Aqsa e la grande moschea della Mecca e fino a che i loro eserciti non
saranno fuori da ogni territorio musulmano, sconfitti ed incapaci di minacciare i
musulmani"20. La fatwa fu seguita da una serie di conferenze stampa e interviste e
proprio nello stesso periodo, Osama concesse un'intervista a John Miller, un giornalista
dell'emittente americana ABC dove ribadì alcuni concetti: "ogni americano che paga le
tasse al suo governo è nostro bersaglio perché aiuta la macchina da guerra americana
contro la nazione musulmana”. Dopo la fatwa emessa dal Fronte, anche le fortune di alQaeda andarono aumentando. Fino ad allora, il nome di bin Laden e la sua causa non
erano conosciute al di fuori dell'Arabia Saudita e del Sudan, ma la notizia della nuova
fatwa gli diede ulteriore pubblicità a tal punto che molti giovani giunsero da tutto il
mondo per unirsi a lui.
19
20
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 52-53.
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 51.
18
Fino a quel momento, al-Qaeda era concentrata a raccogliere fondi, armi e ad
addestrare individui per operazioni che venivano portate a termine da gruppi ad essa
alleati, ma la situazione era destinata a cambiare. Il 7 agosto 1998, due esplosioni,
avvenute a pochi minuti di distanza l'una dall'altra, colpirono le ambasciate americane di
Nairobi, Kenia, e Dar es Salaam, Tanzania. Gli attacchi furono pianificati, diretti ed
eseguiti direttamente da al-Qaeda sotto la supervisione di bin Laden21. Osama e il resto
della leadership di al-Qaeda lasciarono Kandahar per rifugiarsi nella campagna,
aspettandosi una risposta americana. Nel frattempo le rivendicazioni furono faxate agli
uffici di al-Qaeda e a quelli del Jihad islamico egiziano di Baku con l'ordine di
trasmetterle al giornale Al-Quds al-Arabi. Una proclamava la formazione dell'Esercito
islamico per la liberazione dei due luoghi sacri, mentre le altre due, una per ciascuna
ambasciata, annunciavano che gli attacchi erano stati compiuti da un battaglione
dell'Esercito islamico.
Gli attentati alle ambasciate americane di Nairobi e Dar es-Salaam, sancirono il
definitivo passaggio della lotta dal "nemico vicino" al "nemico lontano". Non solo, esse
rivelarono al mondo la natura di al-Qaeda, i cui elementi caratterizzanti erano l'azione
spettacolare e il reclutamento esteso e decentralizzato a carattere messianico22. Un altro
elemento introdotto dagli attentati alle ambasciate americane, riguarda il modus
operandi di al-Qaeda: d'ora in avanti si moltiplicheranno gli attentati simultanei. Gli
attentati di New York, di Casablanca, di Istanbul, di Madrid e di Londra sono un
esempio del nuovo approccio caratterizzato dalla riproducibilità tecnica. Sebbene
nell'attentato morirono più africani che americani (furono più di duecento le vittime),
non ci fu nessuna azione violenta di sdegno da parte dei musulmani. Nella visione di
Osama e nel modo di pensare dei suoi sostenitori, il leader di al-Qaeda agì secondo i
dettami dell'Islam. In base alla legge islamica, infatti, l'attacco al nemico deve essere
preceduto da una fatwa, in questo caso quella emessa sei mesi prima l'attentato, il 23
febbraio. In più, Osama ricevette il sostegno di quaranta religiosi afgani che, il 12
marzo, emisero una fatwa per chiamare al jihad contro gli americani e un'altra simile,
sottoscritta dallo sceicco Ahmed Azzam che fu divulgata da un gruppo di religiosi
pachistani alla fine dell‟aprile 1998. Le due fatwa resero possibile controbattere alle
21
22
Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 183-184.
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 15.
19
critiche di coloro che affermavano che Osama non aveva alcuna autorità per emettere un
editto religioso. Bin Laden era convinto che l'attentato avrebbe dato agli americani
un'idea delle atrocità che i musulmani avevano da sempre subito. Per la maggior parte
del mondo e anche per alcuni dei membri di al-Qaeda l'attacco fu inutile, perché
un'azione di quelle dimensioni con un numero così alto di morti non avrebbe avuto
effetti decisivi sulla politica americana, ma avrebbe solo provocato una massiccia
risposta contro di loro. E infatti, gli Stati Uniti non fecero attendere la loro rappresaglia
tanto che il 20 agosto 1998 bombardarono con missili Cruise un complesso residenziale
e di addestramento di al-Qaeda in Afghanistan, con l'intento di uccidere Osama.
Al contrario delle aspettative, la ritorsione americana portò a bin Laden un
inaspettata pubblicità a livello internazionale. La rappresaglia statunitense risvegliò il
sentimento antiamericano in Afghanistan. I talebani, che inizialmente non
consideravano gli Stati Uniti come un nemico, ritennero lo fossero diventati dopo
l'attacco missilistico. Il Mullah Omar, nonostante fosse furioso per la sfida di bin Laden
alla sua autorità, si trovò in difficoltà a causa della risposta americana. Se avesse
consegnato bin Laden, cedendo alle pressioni statunitensi, i talebani non avrebbero
mantenuto a lungo il loro potere. Bin Laden, da parte sua, per mitigare le tensioni,
prestò un personale giuramento di fedeltà al Mullah Omar riconoscendolo come guida
dei fedeli23. Bin Laden non rappresentava più una minaccia e da questo momento in poi,
il Mullah divenne il più influente difensore di Osama. Quando i pachistani informarono
il principe Turki che dietro gli attentati alle ambasciate c'era bin Laden, Arabia Saudita
e Pakistan iniziarono una campagna di convincimento per persuadere i talebani a
consegnare Osama, ma durante un colloquio tra il Mullah Omar e il principe Turki,
conclusosi male, apparve chiaro che i talebani non lo avrebbero mai consegnato.
Nonostante la grave minaccia che Osama rappresentava, egli venne inserito nella lista
dei maggiori ricercati dell'FBI solo nel giugno 1999. La Casa Bianca ripeteva in
continuazione che al-Qaeda non costituiva un pericolo imminente per il paese, ma gli
avvenimenti successivi smentirono queste certezze. Nel dicembre 1999, la polizia
giordana arrestò sedici terroristi sospettati di voler colpire il Radisson Hotel di Amman
e una serie di luoghi turistici frequentati da occidentali (obiettivi religiosi cristiani e
l'aeroporto). Uno dei pianificatori dell'attentato, Abu Mussab al-Zarqawi, riuscì a
23
Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 192.
20
fuggire. La polizia giordana scoprì anche un CD-ROM contenente un manuale di
addestramento di al-Qaeda in sei volumi. La cellula giordana era affiliata ad al-Qaeda,
addestrata in Afghanistan e uno dei suoi elementi chiave aveva giurato fedeltà ad
Osama bin Laden, ma il piano e la preparazione dell'attentato furono autonomi.
Un piano direttamente preparato da al-Qaeda prevedeva di attaccare una nave
vicino allo Yemen. Il 3 gennaio, fu fatto un tentativo con la nave americana The
Sullivans, ormeggiata nel porto di Aden, che fallì quando la piccola barca, sovraccarica
di esplosivo, saltò in aria prima di raggiungere il suo obiettivo. Il 12 ottobre del 2000,
sempre nel porto di Aden, un secondo attentato venne questa volta portato a termine con
successo dai militanti di al-Qaeda, contro la nave da guerra americana USS Cole.
Osama festeggiò la riuscita dell'attentato, dove persero la vita diciassette marinai,
diffondendo un video registrato in occasione del matrimonio di suo figlio, nel gennaio
200124. Per quanto spettacolari e micidiali, questi attentati colpirono militari e
diplomatici o cittadini africani, non attirarono l'attenzione occidentale. Non riuscirono,
in pratica, a scatenare il vero shock traumatico che sarà provocato dall'11 settembre. In
realtà, gli attentati del 1998 e del 2000 rientrano in una strategia graduale, che non si
proponeva di fare presa sulle masse in generale, quanto sugli aspiranti martiri.
1.8 L'11 Settembre 2001
L'11 settembre 2001, 19 terroristi dirottarono quattro aerei di linea appena dopo
il loro decollo dagli aeroporti di Boston, Newark, New Jersey e Washington D.C. Due
aeroplani vennero fatti schiantare sulle Twin Towers del World Trade Center di New
York, che crollarono pochi minuti dopo. Il terzo aereo colpì il Pentagono, sede del
ministero della difesa americano, distruggendo la facciata sud occidentale dell'edificio.
Il quarto si schiantò in un campo in Pennsylvania, ma il suo vero obiettivo era forse la
Casa Bianca o il quartiere generale della CIA. Tremila persone persero la vita
nell'attentato. Ciò che accadde fu diffuso immediatamente in tutto il mondo attraverso le
reti satellitari delle agenzie internazionali come al-Jazira e la CNN. Quando bin Laden
affidò la missione a Mohammed Atta, Ziad Jarrah e Marwan al-Shehhi e Hani Hanjour,
i futuri piloti, nessuno di loro sapeva pilotare un aereo e nessuno parlava inglese;
24
Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 215.
21
nessuno di loro era stato convinto a partecipare all'attentato e ad uccidersi, poiché essi
erano già fermamente convinti di far parte di un'operazione suicida. Alla fine di agosto,
quando ormai le operazioni di preparazione dell'attentato si stavano concludendo, bin
Laden notificò formalmente la shura majlis che l'attacco agli Stati Uniti si sarebbe
svolto nelle settimane successive.
L'attentato dell'11 settembre fu anticipato da due eventi importanti: la
formazione nel giugno del 2001 di al-Qaedat al-Jihad e l'assassinio di Massoud, capo
dell'Alleanza del Nord. Osama bin Laden consolidò la sua influenza sul jihad globale
incorporando l'organizzazione di al-Zawahiri, il Jihad islamico egiziano, in una nuova
entità chiamata al-Qaedat al-Jihad, nel giugno 2001. Il 9 settembre, due membri di alQaeda, con passaporti belgi e con una lettera di presentazione del Centro di
Osservazione islamico, fingendosi giornalisti incontrarono Ahmed Shah Massoud,
simbolo della resistenza ai talebani. Durante l'intervista i due finti giornalisti si fecero
saltare in aria uccidendolo. L'assassinio di Massoud è un dono che bin Laden fece ai
talebani, eliminando la minaccia più significativa in Afghanistan25.
L'attentato dell‟11 settembre è stato relativamente poco costoso. Al-Qaeda
avrebbe speso circa 500.000 dollari per finanziare l'operazione26. Gli effetti per
l'economia statunitense e per quella globale e le ingenti spese che, ovunque nel mondo
sono state affrontate per aumentare la sicurezza, sono stati, in confronto, immensi. Lo
stesso bin Laden lodò quelli che sono stati i costi effettivi per l'economia statunitense, in
un video messaggio diffuso il 29 ottobre 2004, alla vigilia delle elezioni presidenziali
disse: "ad al-Qaeda sono bastati 500.000 dollari per l‟operazione dell‟11 settembre, e
l‟America ha perso nell‟evento e nelle sue ripercussioni circa 500 miliardi di dollari,
questo per dire che qualche dollaro di al-Qaeda vale un milione di dollari americani,
grazie a Dio onnipotente". Bin Laden continuò affermando che l'attentato contribuì ad
aumentare il deficit economico degli Stati Uniti che raggiunse la cifra record di un
trilione di dollari. Ma non ci furono solo conseguenze economiche. L'11 settembre, per
la sua dimensione e forza distruttiva, ebbe un forte impatto psicologico. Frantumò il
senso di invulnerabilità degli americani che derivava dal loro status di superpotenza
senza rivali e dal relativo isolamento geografico, in quanto separata dal resto del mondo
25
26
Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 201.
Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 249.
22
da due oceani. Dimostrò, inoltre, che sebbene l'esercito americano fosse in grado di
difendersi, non poteva proteggere la popolazione americana da azioni terroristiche
impreviste. L'11 settembre confermò ciò che bin Laden aveva sempre sostenuto e cioè
che gli Stati Uniti erano una "tigre di carta", pericolosamente vulnerabile. All'indomani
dell'attentato, una serie di dichiarazioni di importanti esponenti di al-Qaeda non fecero
altro che risvegliare le paure degli americani sul loro futuro. Meno di un mese dopo l‟11
settembre, il portavoce di al-Qaeda, Suleimain Abu Ghaith, richiamò la possibilità di
inesorabili attacchi futuri negli Stati Uniti. Un anno dopo al-Zawahiri rinnovò questo
timore dichiarando che l'ondata di attacchi suicidi non era ancora terminata. Gli altri
elementi che caratterizzarono l'11 settembre furono la letalità e la distruzione. Inoltre,
gli attentati dell'11 settembre misero in luce che le principali basi delle operazioni, dal
punto finanziario e logistico, non si trovano in Afghanistan o in Sudan, bensì in Europa
occidentale ed in America del Nord.
Alla fine di settembre era ormai evidente che l'attacco americano al regime
talebano in Afghanistan, responsabile di non aver consegnato bin Laden, era imminente.
Il 7 ottobre, gli Stati Uniti, con il supporto della Francia e della Gran Bretagna,
lanciarono un massiccio bombardamento. Pochi giorni prima, fu consegnato al
corrispondente di al-Jazira, Taysir Alluni, agli uffici di Kabul, un video contenente un
messaggio di Osama bin Laden. Fu disposto che venisse trasmesso immediatamente
dopo l'inizio delle ostilità e fu trasmesso la prima notte di guerra, poche ore dopo il
discorso di Bush e Blair alle rispettive nazioni. Ancora una volta Osama, pur non
ammettendo nessuna responsabilità per l'attentato, lo celebrò come il "castigo divino per
le atrocità commesse dall‟America". Le atrocità cui faceva riferimento erano la morte
degli iracheni a causa delle sanzioni imposte dall'ONU, le sofferenze dei palestinesi
inferte dagli israeliani, indicando precisamente quali città della West Bank e della
Striscia di Gaza erano state oggetto della repressione israeliana sin dall'inizio della
seconda Intifada, nel settembre 2000. Egli evidenziò la disparità tra il silenzio del
mondo nei confronti di questi crimini, inclusa la distruzione delle città non musulmane
nel 1945 a causa dell'arma atomica e l'attenzione internazionale ogni qualvolta un
americano era ucciso. Terminò il suo discorso affermando che l'11 settembre aveva
23
diviso il mondo in due campi: quello della fede e quello dei non credenti. Ogni
musulmano deve fare ciò che può per aiutare la sua religione.27
1.9 Al-Qaeda oggi
La guerra non riuscirà a distruggere interamente la rete di al-Qaeda, non solo
perché al momento non vi è notizia certa sulla sorte di Bin Laden e di al-Zawahiri, i due
leader del gruppo, ma anche perché il carattere di movimento diffuso e transnazionale di
al-Qaeda fa si che possa ancora riorganizzarsi e riprendere lo jihad globale28. Sono sorti
nuovi gruppi, alleati molto alla lontana con bin Laden, alcuni dei quali chiedono
leadership o direzione a bin Laden e a quelli che ancora lo circondano, altri operano del
tutto autonomamente dal saudita. Il grosso dell‟attivismo è oggi praticato da individui
che vedono in bin Laden un leader simbolico: agiscono secondo lo stile al-Qaeda,
secondo i suoi programmi, ma non sono controllati in alcun modo significativo da essa.
Gli sforzi dei governi occidentali, dei regimi locali e delle agenzie di sicurezza di tutto il
mondo non sono riusciti a spezzare il terzo elemento di al-Qaeda. L‟idea di al-Qaeda
che è più forte che mai29.
27
Renzo Guolo, Il fondamentalismo islamico, Editori Laterza, Roma-Bari 2002, pag. 206.
Renzo Guolo, Il fondamentalismo islamico, Editori Laterza, Roma-Bari 2002, pag. 209.
29
Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 33.
28
24
Capitolo 2
L‟ANALISI DELLA LEADERSCIP POLITICA
2.1 „ABDALLAH „AZZAM
„Abdallah „Azzam è considerato il padre intellettuale del terrorismo mondiale di
al-Qaeda. Nato nel 1941 nel villaggio di Silat al-Harithiyya a nord-ovest di Jenin in
Cisgiordania da una famiglia non eccessivamente devota tanto che, durante la sua
carriera, non mancarono di criticare l‟attivismo politico del loro figlio. Eccellente negli
studi e particolarmente brillante tanto da seguire corsi assieme a studenti più grandi di
lui divenne presto membro dei Fratelli Musulmani a metà degli anni Cinquanta grazie a
Shafiq Assad „abd al-Hadi un suo insegnante che lo presentò alle principali figure del
movimento in Palestina.
Alla fine degli anni Cinquanta forse spinto dai suoi genitori, entrò all‟istituto
agrario al-Khaduriyya e una volta conclusi gli studi fu mandato a insegnare in una
scuola al villaggio di Adir nel centro della Giordania, vicino alla città di Kerak dove i
suoi colleghi lo descriveranno come il più religioso tra loro, tanto da preferire nella
pausa pranzo leggere versetti del Corano che non mangiarsi un tramezzino.30
Nel 1963 non soddisfatto del suo lavoro da insegnante, „Azzam decise di
riprendere gli studi religiosi. Si trasferì in Siria per iscriversi alla facoltà di diritto
musulmano dell‟università di Damasco, dove si laureò in sharî„a nel 1966 con una tesi
su “Lo scioglimento del matrimonio nella giurisprudenza islamica ed il diritto civile”.
Qui incontrò i più importanti luminari religiosi siriani che diventeranno poi delle
autorità o capi islamisti partecipando ai numerosi dibattiti politici che animavano gli
ambienti islamisti, in particolare quelli sull‟atteggiamento da tenere nei confronti degli
“stati oppressori” 31.
Nel 1965 durante le ferie estive, sposò una giovane palestinese di Tulkarem che
gli avrebbe dato cinque figli maschi e tre femmine. L‟anno seguente dopo essersi
laureato „Azzam tornò in Cisgiordania per insegnare nelle scuole, predicare nelle
moschee e tenere conferenze fino a che, poco dopo la guerra del giugno 1967 e
30
31
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 90.
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 90.
25
l‟occupazione della Cisgiordania da parte di Israele, emigrò con la famiglia in Giordania
nel campo profughi di al-Russayfa ad al-Zarqa, per poi trasferirsi con la famiglia ad
Amman per insegnare alla “Scuola femminile di al-Taj”. Non passò molto tempo e
„Azzam sentì la necessità di partecipare attivamente al jihad palestinese contro Israele,
si trasferì con la moglie e la figlia nella più malfamata periferia di al-Zarqa dove costituì
un gruppo di fedeli, installò una base nella regione di Irbid e con un accordo con il
“movimento islamico di Giordania” cominciò a lanciare operazioni attraverso la
frontiera. È in questo momento che gli arrivò la seconda critica per la sua scelta da parte
del padre, che gli ordinò di tornare al suo posto di insegnante. Questo fece arrabbiare il
nuovo mujahid che si convinse che il permesso dei genitori non è richiesto per
partecipare al jihad come scrisse più tardi ne “La difesa dei territori musulmani”32.
Qui „Azzam diventò il capo di una base paramilitare “Bayt al-Maqdis” nel
villaggio di al-Marw, la quale faceva parte di una rete che rappresentava la corrente più
religiosa del movimento dei fedayin chiamata “la base degli sceicchi”. Nel 1968 si
iscrisse alla prestigiosa università di al-Azhar al Cairo, dove „Azzam fu immerso in un
ambiente islamista in ebollizione dovuto alla repressione che Jamal Abdel Nasser aveva
duramente effettuato contro i Fratelli Musulmani, eseguendo la condanna a morte di
Sayyid Qutb e incarcerando e torturando migliaia d‟altri. Nel 1970 con l‟arrivo al potere
del nuovo presidente egiziano, Anwar al-Sadat, si allontanò dall‟eredità nasseriana
corteggiando gli islamisti, liberando la gran parte di quelli che erano in prigione e
rendendo meno rigide le costrizioni imposte alle loro attività politiche. Qui „Azzam si
avvicinò alla famiglia Qutb e incontrò Omar „Abd al-Rahman, il religioso cieco che
sarebbe divenuto il capo spirituale della maggior parte delle organizzazioni islamiste
egiziane33.
Alla fine del 1969 ottenne una laurea in diritto musulmano con un ottimo voto
tanto che gli proposero un posto di professore all‟università della Giordania che accettò,
forse anche perché deluso dal carattere ormai laico e nazionalista della resistenza
palestinese dominata dall‟Olp. Qui tenne un corso per sei anni in sharî„a che fu sempre
più seguito dagli studenti portando un influsso conservatore in questa università,
combattendo la mescolanza tra i sessi ed incitando gli studenti a lasciarsi crescere la
32
33
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 93.
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 94.
26
barba, lasciando la sua impronta ad una intera generazione di studenti e tra gli islamisti.
Oltre all‟università „Azzam teneva corsi serali nelle moschee, riceveva gli studenti a
casa, viaggiò in tutto il paese predicando ed insegnando.
Percorse velocemente i gradi dell‟organizzazione giordana dei Fratelli
Musulmani, diventando uno dei cinque membri del consiglio della shura a partire dal
1975. In quegli anni andò anche in America, tenendo conferenze in parecchi Stati grazie
all‟iniziativa dell‟associazione degli studenti musulmani34. Verso la fine degli anni
settanta, i sui corsi cominciarono ad essere sempre più politicizzati, tanto che le autorità
fecero pressione su „Azzam perché attenuasse le sue prediche, minacciandolo di
mandarlo in prigione, ma „Azzam cosciente della sua popolarità continuò senza
esitazioni, fino a che ci fu un conflitto con il giornale al-Ra‟y al-„Am all‟inizio del
1980. Quest‟ultimo aveva pubblicato una vignetta che ridicolizzava i religiosi,
mostrando un gruppo di sceicchi armati di mitragliatrici M-16, la cui didascalia diceva:
“spie americane”. „Azzam indignato chiamò il direttore per esigerne le scuse, ma egli
rifiutò, „Azzam dunque lo insultò e minacciò. Il direttore riferì tutto alle autorità che
così ebbero un pretesto per sospenderlo dal suo incarico.
„Azzam resosi conto che i servizi segreti gli avrebbero impedito di predicare e
insegnare liberamente, decise di lasciare il paese per dirigersi verso la meta più comune
per gli intellettuali islamisti d‟allora, l‟Arabia Saudita. Fece quindi tappa a Gedda dove
a metà degli anni ottanta diventò professore all‟università del re Sa‟ud, grazie alle
relazioni con i Fratelli Musulmani, dove una delle figure di primo piano era Muhammad
Qutb, il fratello di Sayyid Qutb, di cui „Azzam aveva frequentato la famiglia durante gli
studi al Cairo. È interessante sapere che in quegli stessi anni studiava in quella stessa
università il giovane Osama bin Laden, e che „Azzam alloggiava proprio in un
appartamento affittato dalla famiglia Bin Laden35.
Nell‟ottobre del 1980 „Azzam percorse gli ottanta chilometri che separano
Gedda dalla Mecca per compiere il pellegrinaggio, e lì doveva incontrare lo sceicco
Kamal al-Sananiri, un membro dei fratelli musulmani egiziani giunto in Afganistan nel
1979 e che servì da mediatore fra i mujahidin per rendere più efficace la resistenza
contro i sovietici. Questo incontro fu una svolta della sua vita perché al-Sananiri fu
34
35
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 95.
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 96.
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colui che gli aprì gli occhi su quello che sarebbe divenuto il grande disegno della sua
vita: il jihad in Afganistan. Chiese allora al rettore della sua università di andare ad
insegnare nella nuova università internazionale islamica di Islamabad, finanziata
dell‟università del re „Abd al-„Aziz, e così alla fine dell‟anno universitario „Azzam partì
per Islamabad. Poco dopo l‟arrivo in Pakistan, „Azzam entrò subito in contatto con i
capi militari afgani e fu dal primo momento il punto di contatto tra i mujahidin afgani
ed i movimenti islamisti del Medio Oriente. Il suo jihad consisteva soprattutto nella
divulgazione della fede, nello scrivere, nel predicare e utilizzava la sua influenza per
convincere il resto del mondo musulmano a mandare uomini e denaro in Afganistan.
Ma alla fine del 1983 „Azzam era frustato dall‟assenza di risultati e di non essere
riuscito a convincere il mondo islamico che il jihad in Afganistan era un obbligo
individuale che incombeva su ogni musulmano. „Azzam prese quindi tre decisioni: in
primo luogo scrisse un libro intitolato “La difesa dei territori musulmani” nel quale
argomenta, come dotto religioso, che il jihad afgano è un obbligo individuale per tutti i
musulmani del mondo; questo libro è lo sviluppo di una fatwa che aveva firmato un
anno prima e che era stata pubblicata nel periodico islamista kuwaitiano al-Mujtama. In
secondo luogo lasciò l‟università islamica e si recò a Peshawar, vicino alla frontiera
afgana, dove poteva coordinare l‟afflusso crescente di volontari. In terzo luogo, diede
un carattere formale ala sua cooperazione con l‟ultimo arrivato, Osama bin Laden,
fondando un‟organizzazione chiamata l‟”Ufficio dei servizi”36.
Lo scopo di questa istituzione era quello di facilitare l‟arrivo dei volontari arabi
e di coordinare la ripartizione delle reclute sui diversi campi di battaglia, campi
d‟addestramento o attività di sostegno al jihad in Afganistan. „Azzam ne era il direttore
ufficiale e degli assistenti si occupavano degli affari in corso nei diversi sottocomitati e
apparati locali. C‟erano quattro sottocomitati incaricati dell‟addestramento, degli affari
militari, della salute e della logistica. L‟Ufficio dei servizi organizzò un certo numero di
pensioni a Peshawar, dove i volontari stranieri potevano soggiornare in attesa di partire
per l‟Afganistan. Nel 1984 „Azzam e bin Laden ottennero dal capo mujahidin afgano
„Abd al-Rasul Sayyaf, il permesso di fondare il primo campo d‟addestramento destinato
ai soli arabi dell‟Afganistan e durante gli anni sempre più campi furono fondati per
36
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 99.
28
accogliere le migliaia di reclute che dal 1986 cominciarono ad arrivare incessantemente
a Peshawar37.
Una ulteriore tappa fu quella di creare una forza militare autonoma, ma questa
decisione fu fonte di tensioni tra „Azzam e bin Laden cosicché bin Laden trovò un
pretesto per uscire dall‟ombra di „Azzam e fondare nell‟ottobre del 1986 un nuovo
campo, “la tana dei compagni”, vicino alla città di Jaji, per addestrare esclusivamente
forze arabe. Comunque i due furono sempre in buoni rapporti lavorando alla direzione
dell‟Ufficio fino alla fine della guerra.
Da qui in avanti „Azzam si fece sempre più ambasciatore della causa afgana,
lavorando senza sosta per far conoscere al mondo la situazione dei mujahidin afgani, per
assicurare il maggior aiuto finanziario ed umano, visitando le istituzioni islamiche come
la Lega islamica mondiale, godendo del sostegno degli ulema sauditi e dello stesso
governo saudita che diventò uno dei principali finanziatori. Egli creò anche dei rami
internazionali dell‟Ufficio dei servizi soprattutto negli Stati Uniti, girando oltre che nei
paesi del golfo anche in Europa e negli Stati Uniti.
Una grande importanza è da dare ai suoi scritti in quanto „Azzam era uno
scrittore fecondo e i suoi numerosi libri, articoli e conferenze registrate circolarono nel
mondo intero, dall‟India all‟America, dai palazzi sauditi ai campi profughi palestinesi.
In questo modo „Azzam riuscì a raccogliere enormi somme di denaro stimate in
parecchie centinaia di migliaia di dollari che sarebbero affluiti a Peshawar tra il 1985 e
il 1989 grazie a una istituzione chiamata “Consiglio islamico di coordinamento” diretto
dalla Mezzaluna Rossa saudita e kuwaitiana38. Finalmente „Azzam vide nel febbraio
1989 il ritiro delle truppe sovietiche, ma verso le 7 della mattina del 24 novembre 1989,
„Abdallah „Azzam fu ucciso da una bomba mentre era alla guida in una delle principali
vie di Peshawar di un‟auto che doveva portarlo a una moschea dove doveva pronunciare
il sermone del venerdì. Morirono insieme a lui i suoi due figli maggiori, Muhammad ed
Ibrahim. Fu seppellito nel cimitero dei martiri di Babi, vicino a Peshawar. „Abdallah
„Azzam ha lasciato una forte eredità ed influenza, in primo luogo politica ed il ruolo
nella promozione del conflitto afgano da livello regionale a livello mondiale, in secondo
luogo, la dimensione relativa all‟organizzazione che rende „Azzam “il padre degli arabi
37
38
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 100.
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 101-102.
29
afgani”, in terzo luogo la dimensione ideologica, in quanto fu il primo teorico del jihad
mondiale. Nessuno prima di lui riuscì a giocare un ruolo così importante per ottenere il
sostegno alla causa nel mondo musulmano, grazie al suo lavoro sistematico nella
scrittura, nella raccolta di fondi e nella creazione di reti. Tutto questo fu un fattore
essenziale per creare un‟ “internazionalizzazione” islamica costituita da uomini il cui
potente sentimento di fraternità trascendeva le differenze nazionali e culturali e le cui
prospettive ideologiche trascendevano quelle dello Stato-nazione e della lotta contro un
governo arabo particolare. Un‟altra innovazione fu quella di spostare l‟obiettivo dal
combattimento contro il nemico interno a quello contro il nemico esterno, ridefinendo il
principale casus belli del jihad: l‟occupazione dei territori musulmani da parte di
aggressori stranieri. „Azzam sviluppò un islamismo più territoriale ridefinendo il
principale oggetto di litigio del jihad, cioè i territori musulmani, non il loro sistema
politico, quindi nell‟islamismo di „Azzam, la terra prevale sullo Stato39. Preferì un
approccio militare rispetto ad un approccio rivoluzionario del jihad, affermava che
bisognava creare una base territoriale sulla quale i giovani musulmani potevano ricevere
una “educazione al jihad” e costruire una forza militare necessaria per riconquistare i
territori musulmani. Egli inoltre minimizzò l‟importanza dello Stato aderendo al panislamismo come piattaforma politica del movimento islamista; contribuì allo sviluppo
del culto del martirio negli ambienti islamisti sunniti, elogiando nei suoi testi il martirio
come forma estrema di devozione per Dio e apice del jihad mettendo in evidenza anche
“i favori divini accordati ai martiri”. C‟è però da osservare che „Azzam non raccomandò
mai attacchi contro i civili né attacchi suicidi. L‟ulema palestinese „Abdallah „Azzam
occupa così un posto centrale nella storia dell‟islamismo radicale, in quanto fu il
principale teorico, la figura ispiratrice, l‟organizzatore e il coordinatore della
partecipazione araba alla guerra in Afganistan negli anni ottanta40.
39
40
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 105.
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 87.
30
2.1.1 I TESTI:
2.1.2 La difesa dei territori musulmani costituisce il principale
dovere individuale
Questo testo fa parte di una fatwa nella quale „Azzam introduce l‟elemento che a
lui sta più in cuore: il jihad come obbligo individuale. Secondo „Azzam il jihad poggia
su due pilastri, la pazienza, che rivela il coraggio del cuore e la generosità, che consiste
nello spendere denaro e dare l‟anima. Citando degli hadith, egli afferma che il peggior
difetto di un uomo è l‟avarizia sordita e la vigliaccheria manifesta e che uno dei più
importanti obblighi e dei principali doveri dimenticati è il jihad. Egli afferma che il
jihad contro gli infedeli è di due tipi:
- il jihad offensivo, cioè attaccare gli infedeli nel loro paese. Quando gli infedeli
non sono mobilitati per combattere i musulmani, allora il jihad è un obbligo collettivo e
il meno che si possa fare è di proteggere i confini del mondo musulmano per spaventare
i nemici di Dio, inviando almeno una volta all‟anno un esercito41.
- il jihad difensivo, cioè espellere gli infedeli dai paesi musulmani è un obbligo
individuale ed anche il più importante dovere individuale soprattutto nei seguenti casi:
a. quando gli infedeli penetrano in territorio musulmano;
b. quando i due eserciti si incontrano e combattono;
c. quando l‟imam mobilita degli individui o un gruppo, essi devono riunirsi per
combattere;
d. quando gli infedeli fanno prigionieri dei musulmani. […]42
„Azzam dice di dover concentrare gli sforzi sull‟Afganistan e la Palestina perché
l‟America e i suoi alleati hanno intenzioni espansionistiche e risolvendo questo
problema si risolverebbero parecchie questioni nelle regioni musulmane. Ma è proprio
dall‟Afganistan che bisogna cominciare perché lì la causa è condotta dai mujahidin che
rifiutano l‟aiuto di Stati empi, i confini sono aperti ai mujahidin con più di 300
chilometri senza contare che intorno si trovano regioni tribali, non sottomesse al potere
politico, che costituiscono uno scudo per i mujahidin e in quel momento la battaglia era
ancora in corso. In Palestina invece, le cose sono differenti, ci sono alcuni musulmani
41
42
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 116.
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 117.
31
sinceri, altri comunisti, altri semplici musulmani che hanno alzato la bandiera dello
Stato laico, i confini sono chiusi e ben controllati ed è diventata un giocattolo nelle mani
delle superpotenze43.
2.1.3 Raggiungi la carovana!
L‟importanza di questo testo scritto il 15 aprile 1987, è dato dalle stesse parole
di „Azzam nella prefazione nella seconda edizione: “Quando scrissi questo testo, non mi
immaginavo che potesse provocare una tale rivoluzione, al punto che il nostro numero
si decuplicò”. Questo trattato è stato suddiviso in due parti: La giustificazioni del jihad,
Islam, aiuto! E qualche osservazione in conclusione.
Nella prima parte, „Azzam chiama i musulmani e li incoraggia ad andare a
combattere per molte ragioni tra cui ne elabora otto principali.
1. Affinché l’empietà non domini. Qui „Azzam cita un versetto […]
“Combatteteli dunque finché non vi sia più scandalo e il culto tutto sia reso solo a Dio.
Se desistono, ebbene Dio scorge acuto ciò che essi fanno” (Il Bottino, 39). Se il
combattimento cessasse, l‟empietà dominerebbe e lo scandalo, che consiste
nell‟associare degli idoli a Dio, vincerebbe. […] . Qui troviamo il tema centrale di tutti
gli scritti di „Azzam, il jihad è un‟attività eterna che non deve mai cessare, e accusa il
lettore che non partecipi con tre delle parole peggiori del vocabolario musulmano:
empietà (kufr), sedizione (fitna) e politeismo (shirk).44
2. Perché i veri uomini sono rari. Qui „Azzam si lamenta che le persone venute
per combattere in Afganistan non avevano ricevuto che un‟istruzione generale e
un‟educazione religiosa rudimentale, riprende continuamente citazioni del Corano dove
si esprime il desiderio che le persone pronte per il jihad continuino ad aumentare.
3. Per timore dell’inferno. Anche qui „Azzam inizia con delle citazioni del
Corano: “Se non vi lancerete in battaglia, Iddio vi castigherà di castigo crudele, vi
sostituirà con un altro popolo, e voi che non gli farete alcun danno, ché Dio è su tutte le
cose potente”45, […] “Quanto a coloro che gli angeli richiameranno mentre facevan
43
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 119-120.
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, Nota n. 14 pag. 124.
45
Corano IX, 39.
44
32
torto a se stessi, chiederanno loro: „Qual fu la condizione vostra?‟ ed essi
risponderanno: „Fummo deboli sulla terra, ma verrà loro risposto „Non era la terra di
Dio vasta abbastanza perché voi emigraste?‟ E il loro asilo sarà l‟Inferno. Qual tristo
andare! – Eccettuati saranno i deboli, donne, fanciulli che non avran potuto usare
espedienti e non saran stati guidati sulla retta via – quelli può darsi che Dio li perdoni,
perché egli è il clemente, il pietoso” (Le donne, 97-99)46 . Secondo „Azzam i versetti del
Corano sono espliciti nell‟obbligare tutti i musulmani al Jihad, per Dio la debolezza non
è una scusa, ma è un crimine per il quale si rischia l‟inferno, il jihad e l‟esilio a scopo di
jihad costituiscono un aspetto fondamentale di questa religione, inoltre rigetta qualsiasi
argomentazione dei pensatori musulmani moderati secondo cui i testi coranici e della
Sunna che parlano di jihad devono essere interpretati nel contesto storico, come
confronto tra i primi musulmani di Medina ed i politeisti della Mecca47.
4. Per adempiere all’obbligo e rispondere alla chiamata di Dio. […]
“Lanciatevi dunque in battaglia, leggeri o pesanti! Combattete con i vostri beni e con le
vostre persone sulla via di Dio! Questo è il meglio per voi, se voi lo sapeste!” (La
conversione, 41)48. „Azzam qui spiega
che se il nemico penetra in territorio
musulmano, o su una terra che fu musulmana, gli abitanti di questo paese devono
affrontarlo, e se non lo fanno, se sono incapaci o riottosi, l‟obbligo si estende a quelli
che sono loro vicini, e così via finché ciò non comprende la terra intera. Nessuno può
derogare perché sarebbe come dispensarsi dal compiere la preghiera o il digiuno, il
figlio può partire in guerra senza l‟autorizzazione del padre, il debitore senza
l‟autorizzazione del suo creditore, la moglie senza l‟autorizzazione del marito, lo
schiavo senza l‟autorizzazione del suo padrone. Questo obbligo è individuale e rimane
in vigore finché il paese è purificato dagli infedeli.
5. Per seguire l’esempio dei pii antenati. Perché il jihad era la vita stessa dei
pii antenati.
6. Per stabilire una base solida per l’espansione dell’islam. In questo punto si
afferma che fondare una società islamica su un territorio è una necessità e per far questo
c‟è bisogno di un movimento islamico organizzato, che si impegni nel jihad.
7. Per difendere gli oppressi.
46
Corano IV, 97-99.
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, Nota n. 43 pag. 130.
48
Corano IX, 41.
47
33
8. Per il gusto del martirio e per raggiungere i più alti livelli del paradiso.
E‟qui che „Azzam cita un hadith: “Ecco i sette favori accordati al martire: viene assolto
dai suoi peccati fin dalla prima goccia di sangue versato, vede il suo posto in Paradiso, è
rivestito dell‟abito della fede, sposa sessantadue Huri, non subisce i tormenti della
tomba, non è sottomesso al grande terrore, è incoronato con uno scettro di dignità di
pietre preziose che valgono più del mondo e dei suoi tesori, può intercedere per sessanta
persone della sua famiglia” (La raccolta completa)49.
Nella seconda parte del testo „Azzam fa un vero e proprio appello a tutti i
musulmani per partecipare al jihad in Afganistan utilizzando a volte un vocabolario
molto crudo per evocare la sofferenza dei musulmani per mano dei nemici, in modo da
scuotere il lettore. Egli conclude riprendendo l‟obbligatorietà del jihad individuale e
riassumendo tutti i punti già toccati.
2.2 AYMAN AL-ZAWAHIRI
Ayman al-Zawahiri nasce al Cairo il 19 giugno 1951 da due importanti famiglie,
il prozio da parte del padre era stato un grande imam dell‟università religiosa di alAzhar, e suo padre Rabi‟ al-Zawahiri era un rinomato professore di farmacologia
all‟università „Ayn Shams al Cairo. Sua madre, Umayma „Azzam apparteneva ad una
famiglia ancora più rinomata, il padre era lo shaykh „Abd al-Wahhab „Azzam, che era
stato direttore della facoltà di lettere dell‟università del Cairo, prima di partire per
l‟Arabia Saudita per fondare l‟università del re Sa‟ud a Riyad, mentre suo zio „Abd alRahman „Azzam era stato segretario generale della Lega Araba alla sua fondazione nel
1948.50
Zawahiri vive i suoi primi anni nella periferia benestante di Maadi dove la nuova
classe media egiziana si trovava a fianco del mondo cosmopolita degli emigrati
occidentali, basti pensare che la maggior parte dei negozi appartenevano ai greci, lo
Sporting Club era tenuto dagli inglesi e la popolazione del quartiere era costituita da
italiani, francesi, tedeschi, inglesi, siriani, libanesi ed egiziani agiati. Questa presenza di
una popolazione a maggioranza cristiana e in un quartiere dove si contano più chiese
che moschee, ha probabilmente contribuito alla presa di coscienza politica di Zawahiri.
49
50
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 137-138.
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 174.
34
Da ragazzo, era di temperamento dolce, sensibile e, fin dalla tenera età,
estremamente devoto. A scuola si distingueva per la grande intelligenza ed una certa
precocità. Infatti già nel 1966 a soli 15 anni, si unisce nelle file del movimento jihadista
egiziano che si prefiggeva di rovesciare il governo egiziano ed instaurare il regno
dell‟islam, proprio mentre veniva impiccato il pensatore islamico Sayyid Qutb.
Dopo la disfatta degli eserciti musulmani inflitta dagli israeliani nel 1967, i
movimenti islamisti diventano sempre più popolari, tanto che a partire dal 1970 Sadat
condusse una politica di denasserizzazione, liberando la maggior parte dei militanti
incarcerati ed incoraggiò le loro attività. Così si moltiplicarono le cellule più estremiste,
tanto che alla fine degli anni settanta quattro di queste si unirono per formare il “Jihad”
diretto da „Abd al-Salam Faraj, autore di un influente opuscolo intitolato “il dovere
trascurato”, in cui si fa della lotta armata contro il governante empio, il sesto pilastro
dell‟islam. Nel 1980 il “Jihad” si unirà al “Gruppo islamico”, grazie all‟egida dello
shaykh Omar „Abd al-Rahman, docente di al-Azhar e influente personalità religiosa. Fu
in questa coalizione che maturò l‟idea di assassinare il 6 ottobre 1981 il presidente
Anwar al-Sadat, che molti dicevano avesse firmato la sua condanna a morte trattando la
pace con Israele nel 1978. Questo portò all‟arresto della maggior parte dei militanti,
compresa quella di al-Zawahiri, segnando una svolta ancor più radicale della sua vita.
Egli fu picchiato, torturato ed umiliato; fu inoltre costretto sotto tortura a consegnare il
suo amico e mentore Issam al-Qamari, che fu poi ucciso dalla polizia.
È sempre in prigione che si impone come leader del movimento islamico
radicale egiziano, prendendo dal 1982 la parola durante il processo in lingua inglese a
nome del gruppo, davanti ai giornalisti stranieri e dichiara:
“Ora, voglio parlare al mondo intero! Chi siamo? Chi siamo? Perché ci hanno
portati qui, e che vogliamo dire? Quanto alla prima domanda siamo dei musulmani!
Siamo dei musulmani che credono alla propria religione! Siamo dei musulmani che
credono nella loro religione, tanto in pratica che in teoria, ed è per questo che abbiamo
fatto del nostro meglio per stabilire uno Stato islamico ed una società islamica! Non ci
dispiace, non rimpiangiamo quel che abbiamo fatto per la nostra religione, quel che
abbiamo sacrificato e siamo pronti a maggiori sacrifici! Noi siamo qui, siamo il vero
fronte islamico e la vera opposizione islamica contro il sionismo, il comunismo e
l‟imperialismo!. E adesso alla seconda domanda: perché ci hanno portati qui? Ci hanno
35
portati qui per due ragioni! In primo luogo, perché provano a distruggere il favoloso
movimento islamico […] e poi, per condurre a buon fine il complotto di sgombero della
zona, aspettando l‟infiltrazione sionista. Non sacrificheremo il sangue dei musulmani
per americani ed ebrei. Abbiamo ricevuto trattamenti disumani. Ci hanno picchiati,
colpiti, ci hanno frustati con cavi elettrici, ci hanno dato le scariche elettriche! Ci hanno
aizzato contro i cani! Ci hanno aizzato contro i cani! Ci hanno appesi alle porte, le mani
attaccate al dorso! Hanno arrestato le nostre mogli, le madri, i padri, le sorelle e i figli!”.
E terminò poi con quello che suona come un ammonimento all‟Occidente: “Allora,
dove è la democrazia? Dove è la libertà? Dove sono i diritti dell‟uomo? Dove è la
giustizia? Dove è la giustizia? Non dimenticheremo mai! Non dimenticheremo mai!”51.
Nel 1992 dedicherà anche un libro intero alla questione intitolato “Il libro nero:
storia della tortura dei musulmani sotto la presidenza di Hosni Mubarak”.
Al-Zawahiri fu rilasciato dal carcere nel 1984, e si allontanò dall‟Egitto per
andare a lavorare per alcuni mesi in un ambulatorio della mezzaluna rossa a Gedda in
Arabia Saudita, per poi recarsi di seguito a Peshawar e poi in Afganistan. Quest‟ultimo
posto era “per questi attivisti, il migliore luogo dove installarsi, poiché il paese offriva
ciò che essi cercavano: combattimento e jihad”52. Ma questi posti non erano sconosciuti
per al-Zawahiri, infatti c‟era già stato due volte per motivi umanitari nel 1980 e 1981.
E‟ quindi in una zona conosciuta che sbarca nel 1985 con già l‟idea sicura di trovare una
base solida per riorganizzare il jihad islamico egiziano ed è proprio in quest‟epoca che
l‟organizzazione “al-Jihad” divenne nota sotto il nome di “jihad islamico” e che
Zawahiri ne assunse la direzione.
Appena arrivato a Peshawar, Zawahiri si mette subito in contatto con un giovane
ma promettente saudita, Osama bin Laden, riuscendo a portare alcuni membri della sua
organizzazione all‟interno dell‟entourage di Bin Laden, con l‟obiettivo di assicurare la
maggior parte dei finanziamenti al gruppo del Jihad islamico egiziano e soprattutto di
sottrarre il giovane miliardario dalle mani di „Azzam: il padre ed il teorico del jihad
contro i sovietici. Ma è proprio Bin Laden che si stacca dal suo mentore „Azzam quando
quest‟ultimo si opporrà fermamente affinché il jihad includesse tra i suoi obiettivi i
regimi arabi di Arabia Saudita o dell‟Egitto. Da allora in poi, Zawahiri e Bin Laden
51
52
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 180.
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 180.
36
furono inseparabili. Alla fine del 1989, mentre i sovietici iniziavano a ritirarsi e i
mujahidin assaporavano quello che consideravano la loro vittoria, il dibattito infuriava
sul seguito del jihad. Un‟organizzazione dai contorni ancora molto sfocati nasce intorno
ad un manipolo di membri del “Jihad islamico” egiziano, in particolare a Zawahiri,
mentre Bin Laden ne diventa l‟emiro, con lo scopo di continuare il combattimento
contro i regimi apostati del mondo musulmano: già si chiama probabilmente “alQaeda”53.
Ma ben presto gli interessi dei due cominciarono a divergere sul nemico
primario da combattere, per Bin Laden è l‟America, che dopo la prima guerra del golfo
manterrà le sue basi nell‟Arabia Saudita, cosa che venne percepita come
un‟”occupazione della terra e dei luoghi santi”, mentre Zawahiri considerava prioritaria
su tutto l‟istituzione di un regime islamico in Egitto, l‟unico modo per riconquistare un
giorno la Palestina54.
Intanto le guerre fratricide all‟interno dell‟Afganistan, spingono Zawahiri e Bin
Laden ad andare in un altro luogo sicuro, il Sudan, dove nel 1989 un golpe aveva
portato al potere un regime militare diretto da Omar al-Bashir, la cui mente era però
l‟islamista Hassan al-Turabi, e contemporaneamente le autorità sudanesi erano alla
disperata ricerca di fondi per sviluppare il paese. È così che Zawahiri e Bin Laden
lasciano Kabul per Khartoum. È da qui che Zawahiri riorganizza il “Jihad islamico”
egiziano, cercando fondi e nuove cellule non solo grazie al suo alleato ma anche
viaggiando in molti paesi, Balcani, Austria, Daghestan, Yemen, Iraq, Iran, Filippine ed
anche Argentina. Nel 1993 compie anche un viaggio negli Stati Uniti con la copertura
della Mezzaluna Rossa kuwaitiana. Nel 1993, comincia ad organizzare i primi attacchi
contro il potere del Cairo, andati però falliti, a cominciare dal tentato assassinio del
ministro dell‟interno Hassan al-Alfi, del primo ministro „Atef Sidqi, che causò la morte
di una ragazzina e del tentato assassinio del presidente Hosni Mubarak in occasione
della visita ad Addis-Abeba. Tutto questo portò a una repressione con violenza inaudita
negli ambienti egiziani. In risposta Zawahiri ed i suoi organizzarono un attentato contro
l‟ambasciata egiziana ad Islamabad provocando 16 morti e decine di feriti, creando
delle polemiche al suo interno perché fu la prima operazione violenta priva di un
53
54
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 181.
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 182.
37
bersaglio. Zawahiri spiegò le sue scelte in un articolo intitolato “Le operazioni
suicide… ragioni dell‟attentato contro l‟ambasciata egiziana ad Islamabad nel 1995”,
pubblicato sulla rivista del gruppo, al-Mujahidun. Questo provocò anche un ritorno
delle pressioni americane ed egiziane sul regime sudanese, la quale cominciò a
considerare dannosa la presenza di questo gruppo, facendo allontanare Zawahiri e Bin
Laden dal paese.
Bin Laden tornò in Afganistan, dove ormai i taliban controllavano il territorio
dopo anni di guerra civile, mentre Zawahiri ricominciò a viaggiare alla ricerca di nuovi
fondi in vari paesi europei, Olanda, Svizzera, Bosnia-Erzegovina, e in altri paesi asiatici
e mediorientali. Il suo ultimo viaggio fu in Daghestan dove venne arrestato per
soggiorno illegale, e dovette la sua rapida scarcerazione all‟incompetenza delle autorità
russe che non furono in grado di risalire alla sua identità. Decise quindi di tornare in
Afganistan, dove raggiunse Bin Laden a Jalalabad, dove quest‟ultimo aveva già
cominciato a ricostruire i campi di addestramento. La coppia si ricostituì e questa volta
si costruirà un gruppo dai contorni ben definiti e il loro connubio assumerà anche una
dimensione ideologica55.
È nel 1998 che Ayman al-Zawahiri rompe il suo percorso intellettuale e politico
firmando, il 26 febbraio a nome dell‟organizzazione dello jihad islamico egiziano
insieme a Bin Laden, una dichiarazione dei rappresentanti di differenti movimenti
islamisti radicali, in cui si annunciava la creazione del “Fronte islamico mondiale per la
Guerra Santa contro gli ebrei e crociati”, dove all‟interno è contenuta una fatwa che
rende l‟omicidio degli americani e dei loro alleati un dovere individuale per ogni
musulmano. Così egli fece di più che rinnovare l‟alleanza con Bin Laden: egli rinuncia
alla precedenza che aveva sempre accordato al “nemico vicino” per sostenere l‟esaltata
visione del mondo di Bin Laden, secondo cui la lotta contro il “nemico lontano” domina
in ogni circostanza56. Questo fu dovuto forse a tre principali motivi: il primo era per
ottenere maggiori finanziamenti, per secondo, rimediare alla rovina in cui versava il
movimento dopo gli arresti delle autorità egiziane e infine per rispondere ai leader
storici del “Gruppo islamico” incarcerati in Egitto che chiedevano una “iniziativa per
cessare la violenza”, mentre ora Zawahiri opta per un jihad globale. Ma incontrò anche
55
56
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 184.
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 185.
38
una forte resistenza all‟interno del gruppo, tanto da dover minacciare di lasciare il suo
posto. Questo incontro si chiuse con il ritiro di diverse personalità, tra cui suo fratello. Il
movimento si dissolse formalmente nel giugno 2001, quando venne resa ufficiale la
fusione con l‟organizzazione al-Qaeda di Osama bin Laden per fondare la joint-venture
Qa‟idat al-Jihad (La base del Jihad).
L‟annuncio della creazione del “Fronte islamico mondiale per la Guerra Santa
contro gli ebrei e crociati” allarmò i servizi segreti americani, tanto da arrestare molti
quadri in esilio. Come risposta il gruppo, nell‟estate del 1998, effettuerà gli attentati
contro le ambasciate a Nairobi e a Dar es-Salaam. Da allora comincia l‟ascesa:
l‟amministrazione americana risponde bombardando i campi di addestramento in
Afganistan. Nell‟autunno del 2000, la nave da guerra americana USS Cole viene
attaccata nel porto di Aden. Infine, l‟11 settembre 2001, durante la più spettacolare
operazione mai realizzata da Qa‟idat al-Jihad, quattro aerei di linea americani vengono
dirottati e tre si schiantano sulle torri del Word Trade Center e sul Pentagono, causando
più di 3000 vittime.
Ed è proprio da allora che la figura di Zawahiri diventa nota in tutto il mondo
dopo che la televisione satellitare al-Jazira nell‟ottobre del 2001 diffonde un video in
cui lo si vede sfidare gli Stati Uniti, seduto a fianco di Bin Laden e del kuwaitiano
Sulayman Abu Ghaith. Seguiranno altri video e messaggi:
 nell‟ottobre 2002, riappare mettendo in guardia gli americani e i suoi
alleati contro una allora probabile guerra contro l‟Iraq.
 nel maggio 2003, denuncia l‟invasione dell‟Iraq e incoraggia i suoi
sostenitori a prendersela con gli interessi degli Stati Uniti e dei loro
alleati.
 nell‟agosto 2003, denuncia il trattamento riservato ai prigionieri nella
base militare americana di Guantanamo.
 ai primi di settembre del 2003 un video mostra al-Zawahiri e Bin Laden
che camminano insieme ed incitano i pachistani a rovesciare il loro
presidente Pervez Musharraf.
 nel dicembre 2003, in occasione del secondo anniversario della battaglia
di Tora Bora in Afganistan, interviene per mostrare come le invasioni
39
dell‟Afganistan ed Iraq, siano state un insuccesso per gli americani e
come il movimento jihadista sia più forte che mai.
 nel febbraio 2004 se la prende da una parte con il presidente Bush, e
dall‟altra parte con la legge francese che vieta l‟ostentazione di simboli
religiosi nella scuola pubblica e di conseguenza il velo islamico, un
divieto che per lui “costituisce un nuovo esempio della malevolenza dei
crociati”.
 nel marzo 2004 attacca Pervez Musharraf e in giugno mette in guardia i
paesi arabi contro le riforme imposte dagli Stati Uniti
 un altro video è consegnato il 9 settembre 2004 in cui si preannunciano
nuovi attacchi e fa il punto sulla situazione in Afganistan ed in Iraq tre
anni dopo gli attentati del Word Trade Center, concludendo che
l‟America si è impantanata in entrambi i paesi.
 nell‟ottobre 2004 insiste sulla centralità della causa palestinese nel
combattimento di al-Qaeda e incita a colpire il nemico americano ed i
suoi alleati.
 nel novembre 200, attacca l‟Egitto, l‟Arabia Saudita e gli Stati Uniti,
riaffermando con più forza la determinazione del movimento jihadista
internazionale a proseguire nel combattimento.
 il 4 agosto 2005 compare in un video attaccando Tony Blair e la politica
estera del suo Governo sull'attentato alla underground di Londra del
luglio 2005.
 il primo settembre 2005 il network televisivo al-Jazira manda in onda un
videomessaggio di Mohammed Sidique Khan, uno degli attentatori della
metropolitana londinese. Il suo messaggio è seguito da un altro video di
al-Zawahiri, che attacca ancora Blair per l'attentato alla metropolitana di
Londra.
 il 7 dicembre 2005 un'intervista di 40 minuti, che risale a settembre, è
messa su Internet preceduta da un video di lunghezza non verificabile.
 il 6 gennaio 2006 al-Zawahiri dice che il piano del Presidente
statunitense Bush di far rientrare truppe dall'Iraq significa che
Washington è stata sconfitta in quel Paese. al-Zawahiri si dice abbia
40
detto: «Bush, devi confessare che sei stato sconfitto in Iraq e in
Afghanistan e che lo sarai presto in Palestina». al-Zawahiri inviò anche
le sue condoglianze al popolo del Pakistan colpito dal catastrofico
terremoto del 2005 in kashmir.

30 gennaio 2006 - In un video mandato in onda da Al-Jazeera, si burla di
Bush e lo chiama il "Macellaio di Washington". Il video prova anche che
egli non è stato ucciso in un recente attacco aereo in Pakistan. alZawahiri promette che il prossimo attacco terroristico colpirà il suolo
statunitense.

27 aprile 2006 - Il numero due di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, dice che
la branca irachena della rete del terrore ha avuto successo nel 'colpire le
spalle' del corpo militare USA con centinaia di attacchi dinamitardi
suicidi, in un video che è stato l'ultimo di una serie di nuovi messaggi dei
leader di al-Qaeda.
 9 giugno 2006 - In un video messo in onda dalla rete televisiva AlJazeera elogia il lavoro del capo di al-Qaeda in Iraq, al-Zawahiri, nel
momento in cui questi è stato ucciso in un bombardamento con due
ordigni da 500 libbre ciascuno in una villetta isolata a Ba„quba (Iraq).
Nel successivo comunicato annuncia l'attuazione di un imminente attacco
terroristico sia a New York sia a Londra.
 7 luglio 2006 - Un anno dopo gli attentati ai treni di Londra, al-Zawahiri
rivela che due degli attentatori suicidi erano stati addestrati da al-Qaeda.
 27 luglio 2006 - al-Zawahiri esprime tutto il suo sostegno ai rivoltosi di
Gaza e del Sud del Libano.
Ma Zawahiri, nel frattempo non si ferma nel produrre nuove opere ideologiche
in cui teorizza il combattimento. Il testo dal quale deriva in grande parte dalla
descrizione del percorso intellettuale che ha condotto agli attentati dell‟11 settembre, si
intitola “Cavalieri sotto la bandiera del Profeta”, lunghi brani che venivano
giornalmente pubblicati sul quotidiano panarabo a capitale saudita al-Sharq al-Awsat,
che è considerato il probabile testamento di Zawahiri, dove riflette sul suo percorso
personale e sulla storia del movimento jihadista, giustificando il cambiamento strategico
che ha portato agli attentati dell‟11 settembre. Un anno dopo, Zawahiri esce con un altro
41
libro, “La fedeltà e la rottura”. La differenza tra i due testi è significativa, mentre il
primo sembra un pamphlet di stile giornalistico, inframmezzato da testi sacri, il secondo
ha l‟ambizione di essere un vero lavoro di letteratura religiosa57. I riferimenti al Corano,
alla Sunna e alle opere dei loro commentatori sono tutti rivolti a una sola idea: la
centralità nella fede del dogma di al-walâ‟ wa-l-barâ‟ (la fedeltà e la rottura) che impone
di sostenere i musulmani in ogni circostanza e di rompere interamente con gli infedeli a
tutti i livelli: politico, innanzitutto, astenendosi da ogni alleanza con uno Stato
governato da un regime che non applica la legge di Dio, individuale, vietando di
frequentare gli infedeli, di stringere amicizia con loro, ecc.
Insomma, come ideologo nessuno prima di lui aveva saputo articolare con tale
chiarezza la strategie e l‟ideologia del movimento jihadista contemporaneo. Come
figura mediatica poi Zawahiri è diventato un personaggio mitico, braccato e tuttavia
inafferrabile che, quando vuole, fa irruzione nel dibattito per farsi portavoce di coloro
che vantano di essere “l‟avanguardia della umma”.
2.2.1 I TESTI
2.2.2 La mietitura amara. Sessant‟anni dei Fratelli Musulmani
Nel 1990 Zawahiri dedicò un libro intero ai Fratelli Musulmani intitolato “La
mietitura amara” nel quale faceva il bilancio dei sessant‟anni passati dalla creazione del
movimento. Accusava i dirigenti di avere trasgredito i principi fondamentali dell‟islam
rinunciando al jihad contro il tiranno, accettando di partecipare al gioco politico
democratico, riconoscendo implicitamente la legittimità del potere in carica da una parte
e la sovranità del popolo dall‟altra, hanno accettato di rigettare la violenza e si è
dissociata da coloro che l‟adottano.
Secondo Zawahiri, è chiaro che all‟interno della confraternita il verme era nel
frutto dall‟inizio degli anni quaranta per svariate ragioni: l‟assenza di metodo, “che
consiste in una politica di giustificazione delle deviazioni. Il mancato rispetto del
57
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 189.
42
precetto di comandare il Bene e interdire il Male, con il pretesto della cieca ubbidienza
ai dirigenti e l‟assoluta fiducia verso di loro.”58
Un punto fondamentale che Zawahiri tocca in quegli anni e che, come vedremo,
dopo un decennio cambierà idea, è la precedenza al “nemico vicino”, infatti egli scrive
che “combattere i governi apostati dei paesi musulmani debba precedere il resto, perché
sono degli apostati e il combattimento contro gli apostati è più urgente di quello contro
gli infedeli, perché sono più vicini ai musulmani […] rendendoli più pericolosi.”59
Dopo questi punti di critica Zawahiri scrive che cosa si aspetta dai Fratelli
Musulmani e da tutti quelli che hanno commesso tali violazioni. Egli vuole che si
pentano pubblicamente di tutte le loro deviazioni, annunciando l‟apostasia dei tiranni
che governano a dispetto della legge rilevata, che rifiutino le costituzioni, le leggi
positive, la democrazia e le elezioni parlamentari, e che abbandonino tutte le pratiche
collegate, che credano nel dovere del jihad contro questi tiranni o che chiamino i loro
membri a condurlo e che il jihad sia considerato un obbligo individuale.
2.2.3 Cavalieri sotto la bandiera del profeta
In questo testo Zawahiri teorizza la lotta contro il “nemico lontano”, e si sforza
di produrre degli elementi di legittimazione religiosa necessaria alla lotta. Questo testo
avrà una larga diffusione nelle cerchie jihadiste. Si tratta di lunghi brani pubblicati
giornalmente dal due dicembre 2001 sul quotidiano panarabo a capitale saudita al-Sharq
al-Awsat. Zawahiri riflette lungamente sul suo percorso personale e sulla storia del
movimento jihadista, giustificando il cambiamento strategico che ha condotto agli
attentati dell‟11 settembre. Prende atto degli scacchi successivi subiti da lui stesso e, più
in generale, dal movimento. Le conclusioni portano, da una parte, alla necessità di un
cambiamento della retorica, e più largamente della strategia, dal nemico vicino al
nemico lontano, e dall‟altra parte, alla necessità di un‟azione spettacolare destinata a
rimobilitare la umma. L‟importanza di questo testo deriva in grande parte dalla
descrizione del percorso intellettuale che ha condotto agli attentati dell‟11 settembre60.
58
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 203.
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 206.
60
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 189.
59
43
Elenca i doveri tassativi del movimento islamico in generale e jihadista in
particolare: deve prepararsi ad educare i suoi membri alla pazienza e alla fermezza,
mobilitando la umma per renderla partecipe al combattimento, deve avvicinarsi alle
masse difendendo il loro onore, proteggendole, guidandole per condurle alla vittoria,
precederle nel sacrificio, tentare di fare capire la causa in uno stile che renda la verità
accessibile a tutti quelli che vogliono conoscerla, riferire i fondamenti della religione e
le sue verità semplici, senza espressioni difficili né costruzioni vuote. Il movimento
jihadista deve far partecipare la umma alla sua guerra santa e lo farà solamente se gli
slogan dei mujahidin saranno comprensibili alle masse.
Un altro capitolo fondamentale del testo riguarda la strategia del jihad di
Zawahiri. Egli scrive a chiare lettere che: “[…] Si può sempre seguire un americano o
un ebreo per la strada, ucciderlo con una revolverata o una pugnalata, con un esplosivo
di fabbricazione artigianale o un colpo di spranga; applicare il fuoco alla sua proprietà
con una bottiglia molotov non è difficile. Con i mezzi a disposizione, alcuni piccoli
gruppi possono seminare il terrore tra ebrei ed americani. Perché arrivi la vittoria, il
movimento jihadista deve avere il possesso di una base islamica nel cuore del mondo
musulmano finché non sarà creato un califfato.” 61
Per quanto riguarda la teoria del “nemico lontano”, per Zawahiri bisogna
spostare il combattimento sul campo del nemico perché il governo americano e quello
ebreo difendono i loro interessi combattendo i musulmani sul loro suolo, ma “Se gli
scoppi del combattimento giungono fino ai loro domicili e li raggiungono, allora
litigheranno con i loro agenti. Avranno allora una sola alternativa, comunque amara: o
condurre loro stessi la battaglia contro i musulmani, trasformandola in guerra santa
dichiarata contro gli infedeli, o riconsiderare i loro piani dopo avere riconosciuto
l‟insuccesso del confronto violento ed ingiusto con i musulmani”62. Egli fa un appello
affinché tutti i movimenti jihadisti si uniscano e superino le questioni minori per
contrastare gli infedeli. Infine Zawahiri spiega l‟importanza delle operazioni suicide e
della scelta dei bersagli, moltiplicando gli attacchi ed i mezzi di resistenza verso i
nemici per far fronte al loro aumento straordinario, alla qualità delle loro armi, al loro
61
62
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 235.
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 241.
44
potere di distruzione, al loro disprezzo di tutti i divieti e delle leggi della guerra. Per
questo occorre che ogni musulmano debba:
- impegnarsi a provocare più danni al nemico, uccidere più gente possibile, perché
questo è l‟unico linguaggio che l‟Occidente comprende.
- concentrarsi sulle operazioni suicide, che sono più adatte ad infliggere perdite al
nemico e sono meno costose per i mujahidin.
- scegliere i bersagli e i tipi di arma da utilizzare in modo da raggiungere i punti
sensibili del nemico per dissuaderlo[…].
- riaffermare che, a questo stadio della lotta, limitarsi al nemico interno sarebbe vano63.
Come si è potuto leggere tutto questo è diventato una prassi degli attentati dopo
l‟11 settembre.
2.3 OSAMA BIN LADEN
Nato il 10 marzo 1957 a Riyad, Osama bin Laden è considerato il terrorista
numero uno. Diciassettesimo figlio di Muhammad bin Awad bin Laden, un uomo che
veniva da Husn Bahishn, un borgo fortificato della valle di Wadi Duan in Yemen, trovò
la sua fortuna andando in cerca di un lavoro alla Mecca, entrando nelle grazie di re
Sa‟ud, che gli diede l‟incarico di costruire numerosi edifici in tutto il regno. Osama
passa i suoi primi anni nel nuovo quartiere di al-Malazz, abitato per la gran parte da
immigrati arabi, non sempre ben visti dagli sdegnosi sceicchi sauditi che, ironia della
sorte, alcuni di loro non esitarono ad emettere una fatwa di condanna per la popolazione
del quartiere sospettata di empietà64. È ancora piccolo quando Osama si trasferisce a
Gedda, nel quartiere di al-Musharrifa, tra principi e l‟elite della società locale seguendo
come la maggior parte dei bambini di quell‟ambiente un‟educazione rigorosa,
accompagnando il padre prima, e poi il patrigno, dopo il divorzio di sua madre, nei
cantieri di lavoro della famiglia. A scuola tra i suoi coetanei non si distingue molto se
non per la sua timidezza, che nasconde però un‟ostinazione tenace, entra in contrasto
con i compagni per alcune cose che considera contrarie all‟islam, mostrando già un
interesse inusuale per la religione. Gli unici vizi che si concede sono le automobili, la
63
64
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 244.
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 7.
45
velocità e il calcio, che pratica con i suoi compagni. Intanto, nel 1973, arriva lo scoppio
della guerra del Kippur, e il successivo embargo petrolifero che porta nel Regno una
immensa quantità di dollari.
Questo porterà dei cambiamenti nella nuova società
saudita giovanile, che avrà i soldi per scoprire il mondo e per provare nuovi stili di vita
completamente opposti alla cultura e all‟ideologia del regno. Osama comincia a
preoccuparsi degli effetti nocivi che ciò può avere nella fede e sulla pratica religiosa dei
suoi compagni prima e della società poi.
Intanto nel 1974 sposa una sua cugina e la coppia va ad abitare nella casa della
madre. Contemporaneamente cominciò a seguire un corso di management ed economia
all‟università del re „Abd al-„Aziz, in mezzo all‟atmosfera di intenso pensiero islamico
sotto l‟influenza della scuola di Sayyid Qutb. Da quest‟ultimo, Bin-Laden apprende le
più importanti categorie del suo bagaglio ideologico, in particolare la concezione
bipolare religiosa tra “partito di Dio” e “partito di Satana”, tra islam e jahiliyya, tra
regno della fede e regno dell‟incredenza e dell‟errore; il concetto di jihad come
esperienza di rivolta contro il nemico interno ed esterno65. Un altro importante incontro
che fece a Gedda fu con un insegnante, lo sceicco „Abdallah „Azzam66, che incontrerà
dopo qualche anno in Afganistan. Finanziò l‟opposizione siriana nel 1979, ed è proprio
in quest‟anno che i sovietici invasero l‟Afganistan e che Osama divenne il
rappresentante della famiglia Bin Laden per il jihad. Il suo ruolo sarà quello di
raccogliere fondi viaggiando per tutto un decennio fra la penisola arabica, il Pakistan e
l‟Afganistan, costruendo scuole e rifugi per i profughi afgani costruendosi così la
reputazione di persona onesta e rispettosa. Intanto nel 1981 Bin Laden cominciò una
collaborazione con „Abdallah „Azzam che accoglieva a Peshawar i volontari e creando
il Maktab al-Khadamat (Ufficio dei servizi). Nei primi anni ottanta, i due uomini
collaborano strettamente con una chiara visione dei ruoli: Osama è il finanziatore e
l‟addetto alla comunicazione, „Azzam è l‟ideologo e l‟uomo d‟apparato. Ma gli
avvenimenti di metà decennio sconvolgeranno la ripartizione, causando prima
divergenze poi la costituzione in ciò che diventerà al-Qaeda67.
65
Renzo Guolo, Il fondamentalismo islamico, Editori Laterza, Roma-Bari 2002, pag. 198.
Alberto Castelvecchi, Al-Qa’ida dall’Afganistan a Madrid, Castelvecchi, Roma 2004 pag.
100.
67
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 11.
66
46
Staccandosi dalla struttura di „Azzam si avvicina agli egiziani di al-Zawahiri,
creando nel 1989 la Qa‟idat al-ma‟lumat (la base dei dati). Una struttura che raccoglieva
i dati dei volontari arabi in vista di riunirli sotto un unico comando. Osama può ora dare
libero corso al proprio istinto, reclutando persone provenienti da posti diversi, con
passati oscuri e poco raccomandabili. Tra i primi elementi si possono trovare egiziani
mai passati per le file dei Fratelli Musulmani.
Una volta che i russi si ritirarono, Osama e molti altri reduci lasciarono
l‟Afganistan per ritornare in Arabia Saudita. Ne ritorna da militante convinto e alla
ricerca di una causa che possa rimobilitare la rete costruita in Afganistan, cominciando
con il regime ateo di Bagdad dopo l‟invasione del Kuwait. Bin Laden offre alla
monarchia saudita il sostegno delle sue milizie arabo-afgane a difesa del regno,
cercando di convincerli inutilmente della necessità politica e religiosa di contare sulle
proprie forze per contrastare Saddam Hussein68. La famiglia saudita decide però di non
fidarsi di Bin Laden e chiede aiuto alle forze occidentali, creando nel paese un processo
di radicalizzazione di molti movimenti di opposizione. Fu allora che Osama considerò
questo come una profanazione della terra su cui sorgono i due luoghi sacri dell‟Islam,
dichiarando l‟Arabia Saudita come suo nemico personale69.
Un altro paese che Osama prende in considerazione è lo Yemen, ma anche qui la
famiglia reale saudita blocca le aspettative di Bin Laden ed è qui che Osama diventa
seriamente minaccioso condannando le autorità saudite, che gli congelano i beni e lo
privano della nazionalità saudita, una misura eccezionale che indica che il personaggio
comincia a essere preso sul serio.
Nel 1994 Bin Laden si trasferisce in Sudan, dove viene accolto da Hassan alTurabi, leader del Fronte nazionale islamico e ideologo islamista sudanese, che gli
permetterà di aprire dei campi in cui accoglie reduci dell‟Afganistan e finanzia alcuni
cantieri. Ma sotto la pressione americana il regime sudanese si vede obbligato a far
allontanare Bin Laden dopo il fallito tentativo di assassinare il presidente egiziano
Mubarak nel 199670.
68
Renzo Guolo, Il fondamentalismo islamico, Editori Laterza, Roma-Bari 2002, pag. 200.
Alberto Castelvecchi, Al-Qa’ida dall’Afganistan a Madrid, Castelvecchi, Roma 2004 pag.
102.
70
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 14.
69
47
Bin Laden riparte per l‟Afganistan nel suo ultimo viaggio allo scoperto. Il 23
febbraio 1998, il movimento di Osama crea il Fronte islamico mondiale per il jihad
contro gli ebrei e i crociati, provando a coalizzare membri sparsi e sparpagliati secondo
le tattiche locali colpendo le ambasciate americane di Nairobi e Dar es-Salaam che
provocarono più di 200 morti. Da allora al-Qaeda opererà moltiplicando gli attacchi
simultanei amplificando così l‟attenzione grazie ai media.
2.3.1 I TESTI
2.3.2 Dichiarazione di “jihad” contro gli americani che
occupano il paese dei due luoghi santi
Questa dichiarazione è stata mandata il 23 agosto 1996 dalle montagne
dell‟Hindukush, in Afganistan tramite un fax a parecchi giornali arabi, ed era firmato
“Messaggio di Osama bin Laden ai suoi fratelli musulmani del mondo intero e in
particolare della penisola arabica, data del venerdì 9 aprile 1417/23 agosto 1996. Dalle
montagne dell‟ Hindukush, Khorasan e Afganistan”. Portava anche il titolo: “Cacciate
gli ebrei e i cristiani dalla penisola arabica”71. Il testo inizia ricordando le ingiustizie, le
oppressioni e le aggressioni che i musulmani subiscono da parte dell‟alleanza “giudeocrociata” e facendo un elenco di paesi dove i musulmani sono stati vittime di
“abominevoli” stragi sotto gli occhi del mondo causato dal “complotto degli americani e
dei loro alleati, dietro la cortina di fumo delle Nazioni Ingiuste Unite.” Ma Bin Laden
ora nota che i musulmani si sono resi conto di essere il bersaglio principale della
coalizione “giudeo-crociata e della campagna mentoniera sui diritti dell‟uomo”. In
particolare l‟ultima sciagura ad essersi abbattuta sui musulmani è l‟occupazione del
paese dei due santuari da parte degli “eserciti cristiani americani” e dei loro alleati.
Inoltre Bin Laden ricorda di come questa coalizione “giudeo cristiana” ha
assassinato o incarcerato gli ulema e i predicatori più attivi e in particolare egli ricorda
l‟assassinio dello sceicco „Abdallah „Azzam, dell‟incarcerazione dello sceicco Ahmad
Yassin, fondatore nel 1987 del movimento di resistenza islamica Hamas e di un altro
gran numero di ulema. Ricorda di essere stato cacciato dal Pakistan, dal Sudan e
71
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 37.
48
dall‟Afganistan, ma ringrazia anche Dio di aver trovato una base sicura nel Khorasan,
sulle cime dell‟Hindukush.
Dopo questa lunga introduzione Osama bin Laden fa un appello ai musulmani
ricordando che “quando i doveri si accumulano, bisogna cominciare dal più importante:
respingere questo nemico americano che occupa il nostro territorio è, dopo la fede, il
primo dei doveri, niente può superarlo, come affermano gli ulema.”72 E secondo Bin
Laden si può respingere l‟invasore solo con l‟unione di tutti i musulmani che devono
provvisoriamente ignorare ciò che li divide.
2.3.3 Raccomandazioni tattiche
Questo testo databile al dicembre 2002, Osama bin Laden incita i musulmani
nel jihad, scrivendo a chiare lettere di non lasciarsi impressionare dall‟America e dal
suo esercito, perché “sono i più vili tra gli uomini”. Per confermare questa tesi, Bin
Laden elenca alcune disfatte inflitte alle grandi potenze a cominciare da quella dell‟ex
Unione Sovietica in Afganistan, in Cecenia e alle stragi compiute a scapito degli
americani a Beirut, in Somalia, nello Yemen, a Riyad e al cacciatorpediniere Cole ad
Aden. Infine Osama ringrazia Dio di aver spostato la battaglia nel cuore dell‟America,
attaccandola a causa della loro ingiustizia nei confronti del mondo islamico e soprattutto
della Palestina, dell‟Iraq e per l‟occupazione della terra dei due santuari. Grazie agli
“aerei del nemico” si condusse un‟operazione senza precedenti nella storia dell‟umanità
abbattendo i “totem” dell‟America, colpendo il ministero della difesa e colpendo
l‟economia americana. Tutto questo perché, secondo Bin Laden, “la situazione era
giunta ad un tale grado di frustrazione, di disperazione e di paralisi tra i musulmani, di
ingiustizia, di arroganza e di aggressività in seno all‟alleanza americano-sionista, al
punto che il paese dello zio Sam affondava nel peccato, si nutriva di dispotismo, faceva
sberleffi verso il mondo, procedendo per la sua strada, spensierato e gioioso, persuaso
dall‟essere intoccabile.”73
Per Osama bin Laden, la cosa più positiva degli attacchi, è stata quella di
dimostrare la realtà del combattimento tra i crociati e i musulmani, così molti
72
73
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 41.
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 65.
49
musulmani hanno preso coscienza dell‟importanza della dottrina dell‟alleanza con Dio
e della rottura, la fraternità tra i musulmani si è rinforzata facendo un passo da gigante
verso l‟unificazione dei musulmani per stabilire un califfato ben guidato e infine tutti
hanno potuto constatare che l‟America può essere “colpita, umiliata, avvilita e
calpestata”.74
Osama termina il testo con un appello nell‟uccidere gli americani e gli ebrei su
tutta la terra come dovere di ogni musulmano, raccomandandoli di unirsi intorno ad
ulema sinceri, devoti ed attivi per continuare le azioni del jihad.
74
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 66.
50
Capitolo 3.
LE TEORIE DELLA VIOLENZA RELIGIOSA SECONDO
MARK JUERGENSMEYER.
3.1 Le giustificazioni morali dei terroristi
Nel testo “Terroristi in nome di Dio” scritto dallo studioso americano e
sociologo Mark Juergensmeyer, si può capire perché alcuni gruppi terroristici
pretendono di avere le proprie motivazioni nella religione, usando la violenza come un
dovere sacro e immagini di guerra universale messe a disposizione dalla religione come
giustificazione morale all‟atto dell‟uccisione.
Egli comprende i contesti culturali che producono questi atti di violenza,
dedicando maggiore attenzione alle idee e alla comunità di supporto che stanno alla
base di questi atti, più che ai terroristi che li commettono. Infatti il terrorismo è
raramente un atto isolato, affinché abbia successo è necessaria una comunità di supporto
e, in molti casi, una grande rete organizzativa. Serve anche una enorme quantità di
presunzione morale da parte di chi commette questi atti, per giustificare la distruzione di
proprietà o per uccidere persone che si conosce appena e contro cui non ci sono motivi
di inimicizia personale; e ci vuole anche una buona dose di convinzione interna, il
riconoscimento sociale e il marchio d‟approvazione da parte di un‟ideologia
legittimante o di un‟autorità rispettata. Inoltre c‟è una caratteristica significativa di
queste culture: la percezione che la propria comunità sia già sotto attacco, sia violata, e
che le proprie azioni non siano perciò nient‟altro che una risposta alle violenze che
stanno subendo.
Juergensmeyer prende spunto dalle interviste da lui stesso fatte agli attivisti
religiosi come il dr. Abdul Aziz Rantisi e lo sceicco Yassin, e dalla visione delle
videocassette dei giovani martiri, raccolte in parte per onorare la memoria, e in parte per
mostrarle ad altri potenziali volontari come una sorta di mezzo di reclutamento, che
sono state fatte circolare clandestinamente all‟interno della comunità palestinese a Gaza
e nelle città della Cisgiordania, per farci capire come nell‟Islam e in particolare nel
movimento di Hamas si riesca a giustificare atti di terrorismo. Di particolare importanza
51
è l‟intervista fatta al dr. Rantisi, il quale spiega il perché degli attentati suicidi, che egli
li definisce come “martirio autonomamente scelto”, perché egli afferma che tutti i
musulmani cercano di essere martiri, e “il loro gruppo non ordinano di farlo, ma si
limitano a dare loro il permesso di farlo in determinati momenti”. Rantisi sottolineò che
erano in guerra, e non si trattava solo di una guerra contro il governo di Israele, ma
contro la società israeliana nel suo complesso. Dal punto di vista di Rantisi, Hamas si
trova attualmente in
stato di
guerra con Israele semplicemente a causa
dell‟atteggiamento dello stato ebraico verso la Palestina, in particolare verso l‟idea,
sostenuta da Hamas, di una Palestina islamica.
Per questa ragione la guerra tra Israele e Hamas era una guerra dove non
esistevano vittime innocenti. In particolare dopo l‟attacco della polizia israeliana ai
palestinesi che dimostravano davanti alla moschea di al-Aqsa, vicino alla Cupola della
Roccia, nel 1990, e il massacro effettuato da Baruch Goldstein a Hebron durante il mese
del Ramadan, per il movimento di Hamas significò un attacco diretto contro l‟islam
come religione oltre che contro i palestinesi come popolo. Proprio per questo Rantisi
spiegò che gli atti di auto martirio dei giovani militanti di Hamas, erano consentiti solo
in risposta a questi e altri specifici atti di violenza da parte israeliana, che colpivano
spesso civili innocenti. Si trattava quindi di atti difensivi, ma erano anche una lezione
morale, un modo per far provare a israeliani innocenti lo stesso dolore che palestinesi
innocenti avevano provato, secondo Rantisi era necessario che il popolo israeliano
sperimentasse la violenza sulla propria pelle prima di poter comprendere quello che
avevano passato i palestinesi. E nell‟intervista aggiunse che “è importante che voi
capiate che noi non siamo la causa di questa lotta, ma vittime”. Egli portò un esempio:
“un terzo della striscia di Gaza è assegnato a 1500 coloni ebrei, e i rimanenti due terzi a
circa un milione di palestinesi affollati là, molti di essi profughi. Questi sviluppi hanno
portato alla frustrazione”. In un contesto del genere, secondo Rantisi, le azioni di auto
martirio sono comprensibili, sono reazioni.
Inoltre Rantisi sottolineò che la legittimità religiosa per gli atti di auto martirio
veniva da una fatwa emessa da un muftì degli emirati del Golfo. Ma gli attivisti religiosi
cercano giustificazioni islamiche più tradizionali per l‟uso della violenza, in particolare
con l‟autorizzazione islamica all‟autodifesa, tanto da estendere il concetto fino ad
52
includere la difesa della dignità e dell‟orgoglio oltre che del benessere fisico di un
individuo, una lotta morale oltre che politica.
Lo scrittore che ha avuto forse la maggiore influenza nell‟estensione di questo
concetto e nella reinterpretazione della tradizionale idea di jihad, è lo scrittore
contemporaneo egiziano Abd al-Salam Faraj, che ha sostenuto nel suo pamphlet “Il
dovere trascurato” l‟opportunità di combattere i nemici politici dell‟islam affermando
che il Corano e gli Hadid parlano di guerra e sottolineando che il concetto di jihad, lotta,
andava inteso letteralmente, non allegoricamente. Faraj diceva che il “dovere” che è
stato profondamente “trascurato” è proprio quello della jihad, e incitava al
“combattimento, che significa battaglia e sangue”. Egli considerava che obiettivo della
jihad dovessero essere tutti coloro i quali deviavano dagli obblighi morali e sociali della
legge islamica: questi obiettivi comprendevano sia apostati interni alla comunità
musulmana sia presunti nemici esterni.
3.2 Gli aspetti simbolici
Un aspetto molto importante degli atti di terrorismo religioso perpetrati in questi
ultimi anni, è il loro carattere simbolico. Gli spettacolari attacchi aerei al World Trade
Center e al Pentagono dell‟11 settembre 2001 rappresentano dei drammatici esempi. Lo
scopo di tale azione era di terrorizzare usando i mezzi più spettacolari. Molto spesso
negli attacchi terroristici gli obiettivi sono stati scelti per l‟immagine di familiarità e
sicurezza che evocavano: centri commerciali, mercati, punti di grande transito di
persone e il momento per l‟attentato è stato spesso scelto in modo da assicurarsi che nei
luoghi presi di mira fosse presente il maggior numero di persone.
Secondo Mark Juergensmeyer, questi atti di violenza spropositata sono costruiti
per un “sconvolgente e annichilente teatro”, vedendo la violenza teatrale come elemento
di un piano strategico. Questo autore definendo “simbolici” gli atti di terrorismo
religioso, intende che “essi hanno lo scopo di illustrare o alludere a qualcosa che va
oltre il loro bersaglio immediato: una conquista più grande, per esempio, o una battaglia
più terribile di quella immediatamente visibile”. Il punto scelto per l‟attacco deve,
quindi, assolvere alla funzione di produrre una dimostrazione pratica che rimanga
impressa e sia facilmente comprensibile. Questi atti non sono delle tattiche messe in atto
53
per conseguire un obbiettivo immediato, ma degli eventi concepiti per rimanere
impressi in qualità della loro importanza simbolica. Le vittime del terrorismo non sono
prese di mira perché costituiscono una minaccia per gli autori, ma perché sono simboli
legati a “un‟immagine particolare del mondo, una coscienza specifica”. Praticamente in
ogni atto terroristico religioso, l‟edificio, il veicolo, la struttura o il luogo dove si è
svolto l‟attentato hanno avuto un valore simbolico e hanno dimostrato la vulnerabilità
del potere governativo, dando l‟impressione che i gruppi autori di questi atti dispongono
di un potere enorme e che le ideologie che vi stanno dietro abbiano un‟importanza
universale. Nella guerra tra l‟autorità religiosa e quella laica, la perdita, da parte di un
governo laico, della capacità di controllare e rendere sicuri gli spazi pubblici, anche per
un solo istante, è una vittoria per l‟autorità religiosa.
Lo stesso si può dire per quel che riguarda la data, la stagione o l‟ora del giorno
in cui un atto terroristico ha luogo, infatti catturare l‟attenzione del pubblico tramite un
atto di “violenza-spettacolo” in una data giudicata importante dal gruppo che realizza
l‟atto significa costringere tutti gli altri a percepire l‟importanza di quella data. Per chi
organizza tali atti, la questione principale è proprio riuscire a catturare l‟attenzione del
pubblico attraverso i mezzi d‟informazione, come è stato a partire dagli attentati al
World Trade Center e alle ambasciate americane in Africa.
3.3 Guerra universale
Le immagini di una guerra divina sono una caratteristica costante dell‟attivismo
religioso, e sono definite “universali” perché evocano qualcosa di più grande della vita,
evocando grandi battaglie di un passato leggendario legate a conflitti metafisici tra il
bene e il male. Quello che rende la violenza religiosa particolarmente feroce è che i suoi
protagonisti hanno messo queste immagini di battaglia divina al servizio di battaglie
politiche terrene, e l‟assolutismo della guerra universale rende improbabile il
compromesso, mentre quelli che suggeriscono un accordo negoziato sono criticati con
gli stessi toni aspri riservati al nemico, inoltre lo stato di guerra è preferibile allo stato di
pace perché esso fornisce una giustificazione morale agli atti di violenza, offrendo la
speranza della vittoria e i mezzi per ottenerla. Juergensmeyer trova tre proprietà
affinché un conflitto assuma le caratteristiche di una guerra universale:
54
1.
La lotta è percepita come difesa di un‟identità e una
dignità fondamentali. Se si attribuisce alla lotta un valore estremo, non
solo la difesa della vita delle persone, ma della vita di culture intere.
2.
Perdere la battaglia sarebbe impensabile. Se un esito
negativo della lotta è considerato al di là dell‟umana concezione, è
possibile che i protagonisti vedano la lotta non come se si svolgesse su
un piano storico, ma al di sopra di esso.
3.
La lotta è bloccata e non può esser vinta nel tempo reale o
in termini reali. Questo è forse l‟aspetto più importante, se la lotta appare
senza speranza in termini umani, è probabile che essa venga riconcepita
in termini sacri, mettendo la possibilità di vittoria nelle mani di Dio.
La presenza di una qualunque di queste tre caratteristiche fa crescere la
probabilità che un conflitto del mondo reale venga concepito in termini universali come
guerra sacra. Se tutte e tre queste caratteristiche sono presenti simultaneamente, la
probabilità è elevatissima. Quando la lotta viene sacralizzata, eventi che prima
avrebbero potuto essere considerati scaramucce di poca importanza o leggere differenze
di punti di vista vengono elevati a proporzioni monumentali, e così l‟uso della violenza
diventa legittimato e il minimo insulto o provocazione può portare ad attacchi
terroristici.
3.4 I martiri e l‟invenzione dei nemici
Il martirio è strettamente legato allo jihad, in particolare si manifesta nel campo
islamista a partire dagli anni ottanta. Il martirio è la pratica in cui dei militanti si
sacrificano consapevolmente per la causa di Dio nella lotta contro il nemico. Nella
maggior parte dei casi il martirio è considerato, oltre che una testimonianza del grado
della propria dedizione, anche l‟esecuzione di un atto religioso, in particolare un atto di
auto sacrificio. Juergensmeyer verifica che i giovani scelti dalle organizzazioni
terroristiche per essere sacrificati come martiri in attentati rispondevano a criteri di
purezza e anomalia richiesti per gli esseri da sacrificare. Non erano più bambini ma non
erano ancora sposati, erano membri della comunità ma liberi da responsabilità familiari,
ed erano devoti ma non membri del clero. Dalle videocassette delle loro ultime
55
testimonianze si capisce che erano considerati dei bravi ragazzi anche se un po‟ timidi,
erano seri nei modi, forse leggermente in disparte rispetto al loro gruppo, e alla fine
accettati nel migliore dei modi dalla società quando i loro atti suicidi venivano rievocati
gioiosamente come eventi di martirio. Questi giovani, non cercavano di sfuggire alla
vita, ma di realizzarla in quello che consideravano un atto di redenzione tanto personale
quanto sociale.
Juergensmeyer nel suo testo pone l‟attenzione sul concetto di nemico, infatti per
diventare oggetto di terrorismo religioso, questi nemici devono diventare degli
antagonisti universali. Juergensmeyer chiama questo processo “satanizzazione”. Il
processo di creazione di nemici satanici fa parte della costruzione di un‟immagine di
guerra universale, e i criteri che rendono possibile la creazione di un avversario satanico
sono più o meno gli stessi di quelli già trattati nella guerra universale, ovvero “quando
l‟avversario respinge la propria posizione morale o spirituale, quando il nemico sembra
voler usare il potere per cancellare completamente la comunità, la cultura e la stessa
esistenza di una persona, quando la vittoria dell‟avversario sarebbe impensabile e
quando non sembra che ci sia modo, in termini umani, per battere il nemico”. Il
processo di satanizzazione ha lo scopo di ridurre il potere degli avversari e screditarli,
così sminuendoli e umiliandoli, rendendoli subumani, si afferma la propria superiore
potenza morale. Il nemico deve essere spersonalizzato soprattutto se si tratta di un
grande nemico come può essere uno stato preso nella sua collettività. Questo fenomeno
del nemico collettivo senza volto spiega perché un così alto numero di atti terroristici
abbia preso di mira gente ordinaria, individui che la maggior parte degli osservatori
considererebbero vittime innocenti, ma che per chi organizza questi attentati queste
vittime sono rappresentanti di una collettività che costituiscono il nemico.
L‟idea della guerra universale esercita un fascino irresistibile per gli attivisti
religiosi perché nobilita ed esalta coloro che se ne ritengono parte, specialmente quelli
che si trovano in una situazione disperata e resistono con fierezza. In questo senso, il
concetto della guerra universale non costituisce semplicemente uno sforzo di
delegittimazione, ma anche di dis-umiliazione: offre una via di fuga da situazioni
umilianti e impossibili per persone che, in caso contrario, si sentirebbero immobilizzate
da esse. Diventano terroristi non solo per sminuire i propri nemici, ma anche per fornire
a se stessi un senso di potere.
56
CONCLUSIONI
L‟intento che ci eravamo proposti era di mostrare perché i membri dei maggiori
gruppi terroristici di matrice integralista islamica, pretendono di avere le proprie
motivazioni nella religione.
Proprio cominciando dalla storia della principale organizzazione terroristica
islamica chiamata “al-Qaeda” abbiamo potuto vedere l‟evoluzione di questa rete. Il
jihad afgano ha ricoperto un'importanza fondamentale per al-Qaeda, poiché vi presero
parte personaggi che ne influenzarono in maniera decisiva il suo sviluppo. Uno di questi
fu „Abdallah „Azzam, uno dei personaggi determinanti nell'attuazione del passaggio
degli arabi da semplici funzionari a combattenti, e che esercitò una profonda influenza
su Osama. Egli diventò il principale ideologo degli "afgani arabi", scrivendo un'opera
intitolata “La difesa dei territori musulmani costituisce il principale dovere individuale”,
dove sostenne che il jihad in Afghanistan era un obbligo individuale per i musulmani di
tutto il mondo. Anche gli sforzi compiuti da „Azzam, bin Laden e altri per costruire una
rete di uffici di reclutamento in tutto il Medioriente cominciarono a produrre dei
risultati. Filiali del Mak si aprirono perfino a Brooklyn. Già intorno al 1987, Osama
prese le distanze dal suo vecchio mentore, considerato troppo moderato, per avvicinarsi
progressivamente agli esponenti dell'estremismo egiziano vicini ad al- Zawahiri.
Dopo la sconfitta sovietica Osama bin Laden non si limiterà a teorizzare la
prosecuzione dello jihad in ogni paese in cui i musulmani “soffrono per mano
dell‟Occidente”, ma cercherà di praticarlo. La sconfitta della superpotenza sovietica fa
pensare a bin Laden che sia possibile infliggere all‟altra superpotenza, l‟America, lo
stesso trattamento, ed è proprio la guerra del Golfo, nel 1991, ad imprimere
un‟accelerazione a questo progetto. Bin Laden è contrario, per motivi religiosi e politici,
alla presenza delle truppe occidentali in Arabia Saudita e infatti egli non ritiene
religiosamente legittimo che i “corruttori del mondo” calchino la terra del Profeta.75
In assenza di „Azzam, il pensiero di Osama già improntato sulla necessità di
creare un supporto attraverso una retorica radicale piuttosto che l'uccisione
indiscriminata subì uno sviluppo drastico sotto l'influenza di esponenti del radicalismo
75
Renzo Guolo, Il fondamentalismo islamico, Editori Laterza, Roma-Bari 2002, 199 e ss.
57
islamico egiziano, che esercitarono una profonda influenza su di lui. Tra questi alZawahiri, il quale colmò progressivamente il vuoto lasciato dall'assassino del vecchio
mentore di Osama.
L‟analisi della vita e degli scritti dei principali protagonisti ci hanno aiutato a
capire il contesto sociale nel quale si sono formati i tre maggiori leader.
Infine grazie a Mark Juergensmeyer abbiamo cercato di fare lo sforzo di capire
non solo chi sono e che cosa vogliono gli uomini della jihad, ma anche perché trovino
così tanto ascolto presso le platee popolari di un terzo del pianeta.76
Abbiamo osservato che una società garantisce un ruolo sociale riconosciuto,
addirittura eroico, a quei suoi cittadini che partecipano a grandi lotte e hanno ricevuto la
licenza morale di uccidere. I militanti di questi gruppi terroristici sono dei soldati che
hanno trovato nuove battaglie, grandi lotte spirituali e politiche, e come i soldati degli
eserciti veri, i soldati immaginari delle guerre universali sono di solito giovani e maschi.
Appartengono, tendenzialmente, anche a gruppi marginali da un punto di vista
finanziario e sociale, con un grande bisogno di acquisire potere. Come in tutte le
generalizzazioni, però, ci sono eccezioni significative: i leader del gruppo, ad esempio,
sono spesso individui benestanti e di mezza età. Nelle culture che hanno portato al
terrorismo religioso, le angosce comuni a tutti i giovani come le preoccupazioni per la
carriera, la collocazione sociale e le relazioni sessuali, sono esacerbate. Le esperienze di
umiliazioni in questi ambiti li hanno resi vulnerabili al richiamo di leader carismatici e
alle immagini di gloria di una guerra universale.77
Questi movimenti non sono semplicemente delle aberrazioni, ma delle risposte
religiose a situazioni ed espressioni sociali di convinzioni profondamente radicate.
Hanno rigettato i compromessi con i valori progressisti e le istituzioni laiche raggiunti
dalla maggior parte dei leader e delle organizzazioni religiose principali, hanno rifiutato
i confini che la società laica ha tracciato intorno alla religione, relegandola in un ruolo
privato e non permettendole di invadere spazi pubblici, e hanno sostituito quelli che
considerano dei deboli surrogati moderni con forme di religione più stimolanti e
impegnative, che immaginano facciano parte dei primordi della propria tradizione.78
76
Alberto Castelvecchi, Al-Qa’ida dall’Afganistan a Madrid, Castelvecchi, 2004 pag. 8.
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 209.
78
Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 244.
77
58
Dobbiamo anche osservare che una delle ragioni dell‟evoluzione di forme di
protesta più radicali e violente è la tendenza dei governi in Medio Oriente e altrove a
reprimere i movimenti moderati. Terrorizzati dall‟idea che l‟Islam radicale prenda il
potere, i regimi bloccano ogni riforma democratica e poiché non arrivano le riforme,
l‟Islam radicale aumenta la sua base di consenso. Via via che i movimenti islamici
nazionali, moderati o violenti, vengono schiacciati o falliscono, la rabbia finisce
incatenata nel regno simbolico e nel linguaggio di al-Qaeda, e questo è il passo cruciale
che trasforma un giovane arrabbiato e frustato in un terrorista.79
79
Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 238.
59
BIBLIOGRAFIA
- Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano
2004.
- Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari
2006.
- Alberto Castelvecchi, Al-Qa’ida dall’Afganistan a Madrid,
Castelvecchi, Roma 2004.
- Renzo Guolo, Il fondamentalismo islamico, Editori Laterza,
Roma-Bari 2002.
- Mark Juergensmeyer, Terroristi in nome di Dio, Editori
Laterza, Roma-Bari 2003.
- Loretta Napoleoni, Al-Zarqawi, Tropea, Milano 2006.
- Emile H. Malet, Al-Qaeda contre le capitalisme, PUF 2004.
- http://abulbarakat.blogspot.com/2008/03/raggiungi-lacarovana.html
- http://www.juragentium.unifi.it/it/surveys/wlgo/montanar.
htm
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