I ragazzi e la rete. La ricerca EU Kids

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I ragazzi e la rete. La ricerca EU Kids
G. Mascheroni (ed.), I ragazzi e la rete. La ricerca EU Kids Online e il caso Italia, La
Scuola, Brescia 2012, pp.312
La nostra società oggi si configura per la complessità che riguarda la sfera relazionale: noi
tutti viviamo un ambiente mediale che ci impegna a reinterpretare le nostre competenze
comunicative. I ragazzi usano internet e i media digitali come fonte di informazione e di
intrattenimento; attraverso essi cercano nuove amicizie, giocano, imparano, strutturano se
stessi specchiandosi in modelli non sempre assimilabili alla loro cultura. Ascoltano musica
o guardano video e, implicitamente, autoproducono contenuti e negoziano nuove modalità
di relazione con le industrie culturali, le agenzie di socializzazione tradizionali e la politica:
«alla società degli adulti spetta la responsabilità di dare forma, nel bene e nel male, a
questo ambiente».1
A fronte di questa situazione, la conoscenza diretta delle pratiche d’uso di internet
da parte dei ragazzi si rivela decisiva per una corretta valutazione dei rischi e delle
opportunità della rete.
Il testo in esame, I ragazzi e la rete. La ricerca EU Kids Online e il caso Italia,
fotografa, attraverso un’accurata analisi fondata sul puntuale riferimento ai dati empirici e
alla loro interpretazione critica, l’ambiente digitale odierno a partire dalle pratiche
quotidiane che bambini e ragazzi mettono in atto. Le analisi sviluppate nel volume sono
una risorsa utile a genitori, insegnanti ed educatori che, non sottraendosi alla
responsabilità educativa che l’utilizzo della rete esige, intendono trovare un equilibrio tra le
nuove risorse (e le competenze digitali che esse richiedono) e l’esigenza di un accesso
ampio e inclusivo alla rete; tra le dinamiche di relazione e di espressione di sé e la tutela
della privacy; tra la partecipazione civile e le esigenze di sicurezza.
Da sempre le modalità di utilizzo delle nuove tecnologie ha diviso gli studiosi in due
schieramenti opposti: da una parte chi ne esalta in modo entusiastico aspettative e
speranze prefigurando una nuova età della cittadinanza attiva fondata su saperi condivisi
e scambio continuo e immediato di conoscenze, dall’altra chi ne sottolinea limiti e
preoccupazioni prefigurando la nascita di un individuo distante dal reale e superficiale o,
peggio, vittima indifesa della rete.
«Tra il 1992 e il 1993, quando Tim Berners Lee inventò e rese di pubblico dominio,
insieme ai protocolli http, www e al linguaggio html, l’attuale modalità di fruire di Internet e
quindi la possibilità di condividere l’intero insieme delle conoscenze umane in una rete
interattiva e navigabile, nessuno avrebbe pensato che questo sistema tecnologico di
trasmissione dei dati avrebbe radicalmente modificato la nostra società, il nostro modo di
produrre, di insegnare, di vivere e la stessa modalità di trasmettere il sapere. Oggi questo
nuovo modo/mondo non gutenberghiano di comunicare è diventato una realtà quotidiana e
i nostri figli, nativi digitali, soprattutto quelli che non hanno ancora dieci anni, non riescono
1
S. Livingstone, Ragazzi online. Crescere con internet nella società digitale, Vita e Pensiero, Milano 2010, p.
286.
1
neppure ad immaginare, un mondo senza la molteplicità di schermi interconnessi e
interattivi che ci circonda e che li coinvolge».2
La trasformazione che ha caratterizzato i media negli ultimi anni è il passaggio dal web 1.0
al web 2.0 denominato anche “web sociale” perché utilizzato prevalentemente per
comunicare e stringere relazioni sociali, per restare in contatto con i coetanei e sentirsi
parte del cerchio affettivo del gruppo.3 Ciò che cambia con il web 2.0 è una maggiore
facilità di condivisione: anche l’utente meno alfabetizzato e competente ha la possibilità di
produrre contenuti e condividerli con altre persone. Questa trasformazione altera il
modello comunicativo e il paradigma culturale dominante nel XX secolo che prevedeva
l’utilizzo di internet quasi esclusivamente come strumento di consumo e fruizione di
informazioni per lo più prodotte da altri. Il Web 2.0 e le sue applicazioni: MSN Messenger,
Google, Youtube, I-pod e I-tunes, Social network, insieme a un nuova modalità di
interazione tra l’uomo e le nuove tecnologia, determinano nuovi modelli di confronto con il
sistema relazionale e produttivo, un modo nuovo di considerare l’informazione che,
diventata online, determina un cambiamento nelle consuete modalità di gestione della
conoscenza e della comunicazione. I nuovi media possono essere considerati tecnologie
cognitive, ovvero dispositivi in grado di coinvolgere i processi interni della mente: «le
innovazioni nella tecnologia della comunicazione comportano riorganizzazioni sensoriali e
cognitive che in generale si accompagnano a un trasferimento di compiti e funzioni interne
(mentali) su supporti esterni (fisici)».4 Thompson affermava già nel 1998 che lo sviluppo
dei media avrebbe creato «nuovi tipi di azione e interazione e nuove forme di relazioni
sociali» e determinato «una complessa riorganizzazione dello spazio e del tempo». 5
Internet facilitando il passaggio da una “cultura di massa”, che considera i soggetti
come destinatari di un flusso di informazioni che non controlla e con cui hanno limitate
possibilità di interagire (separazione istituzionale tra l’emittente e il ricevente caratterizzata
dalla separazione fisica e temporale tra il contesto di ricezione e quello di produzione), ad
una cultura in cui l’individuo assume una posizione partecipativa e costruttiva all’interno
del flusso comunicativo, favorisce nuove possibilità e opportunità che divengono strumenti
di partecipazione attiva. H. Jenkins, in La cultura convergente6, afferma che ciò che
2
P. Ferri, F. Mizzella, S. Scenini, I Nuovi media e il Web 2.0. Comunicazione formazione ed economia nella
società digitale, Guerini Editore, Milano 2010. La parte citata si può trovare anche in:
http://www.scribd.com/doc/26160470/Introduzione-Ferri-I-Nuovi-Media-e-Il-Web-2-0 .
3
I dati della ricerca analizzati nel testo dimostrano che le logiche di ampliamento relazionale e di creazione
di nuove amicizie, si fondano prevalentemente sulla capitalizzazione dei legami relazionali preesistenti
(contatti già accreditati nell’offline), piuttosto che sulla ricerca di nuovi contatti sconosciuti. Questa modalità
relazionale muta nella fascia adolescenziale (13-16 anni) quando i ragazzi sembrano essere maggiormente
predisposti alla ricerca di contatti estranei alla propria sfera di conoscenze offline. “L’adolescente attraverso
la comunicazione sincrona del web non ricerca tanto la possibilità di incontrare nuove persone, quanto
piuttosto quella di rimanere in contatto con quelle già conosciute”. P.C Rivoltella, Screen generation. Gli
adolescenti e le prospettive dell’educazione nell’età dei media digitali, Vita e Pensiero, Milano 2006, p. 65.
4
A. Calvani, I nuovi media nella scuola, Carocci, Roma 1999, p. 9.
5
J. B. Thompson, Mezzi di comunicazione e modernità. Una teoria sociale dei media, Mulino, Bologna 1998,
p. 121.
6
H. Jenkins, La cultura convergente, Apogeo, Milano 2007. All’interno del testo il prof. Jenkins fotografa in
che modo le nuove tecnologie stanno cambiando la cultura del nostro tempo focalizzando la sua attenzione
non sui mezzi di comunicazione ma su coloro che li usano per comunicare. Nel 2006 l’autore ha illustrato sul
suo blog un insieme di pratiche e di tratti culturali che ritraggono come gli individui e le società si relazionano
2
succede è un incontro tra la comunicazione top down e la comunicazione bottom up. Tale
incontro modifica la relazione dell’uomo con i contenuti culturali-mediali e più in generale
con le istituzioni e la politica incoraggiando nuove forme di partecipazione civica e
mediale: gli utenti si trovano a essere in misura crescente co-produttori di contenuto, sia
perché trasformano i prodotti mediali attraverso la loro condivisione e manipolazione, sia
perché producono in autonomia veri e propri contenuti user generated.
Lo scenario è inedito, la tecnologia enfatizza la costruzione e lo scambio di
significati, la produzione di senso, l’interazione sociale, la costruzione dell’identità e la
negoziazione dei contenuti simbolici. Diversi studi, svolti negli Stati Uniti, analizzando i
comportamenti dei giovani che utilizzano i media digitali in contesti non scolastici, hanno
messo in evidenza cambiamenti rilevanti anche nelle modalità di apprendimento, di
costruzione della conoscenza e nei conseguenti comportamenti sociali. Tra i cambiamenti
più significativi è importante sottolineare il passaggio da un atteggiamento
prevalentemente consumistico della conoscenza ad uno partecipativo o costruttivistico: si
assiste, cioè, alla nascita ed espansione di una cultura della partecipazione e della
condivisione di conoscenze e di competenze.7
Per questi motivi la ricerca che intende analizzare il rapporto tra i media e i loro
utenti deve utilizzare un approccio dinamico e sistemico che tiene conto di un insieme di
fattori che si determinano reciprocamente.8
EU Kids Online è un network multidisciplinare, finanziato dal Safer Internet Plus
Programme della Commissione Europea (DG Information Society), che risponde
all’esigenza di studiare rischi e opportunità della rete a partire dal contesto sociale in cui si
colloca l’uso di internet da parte dei giovani (analisi dell’accesso e degli usi, distribuzione
dei rischi e dei danni, fattori che mediano il passaggio dai rischi ai danni) al fine di
massimizzare le opportunità e ridurre i rischi online dei ragazzi.9 «Nella prospettiva di EU
Kids Online, le esperienze online dei ragazzi sono contestualizzate all’interno della
dialettica tra azione e struttura, cioè alla convergenza di tre sfere concentriche che
esercitano un’influenza sulla loro capacità di agency: la famiglia, la comunità e la
cultura».10 «Proprio per la pervasività dei processi di mediatizzazione della vita quotidiana
ai mezzi di comunicazione, secondo tale analisi il panorama mediatico contemporaneo è: innovativo,
convergente,
quotidiano,
interattivo,
partecipativo,
globale,
generazionale,
ineguale.
Cfr.,
http://www.henryjenkins.org .
7
Secondo una ricerca svolta al MIT da Henry Jenkins, direttore del Comparative Media Studies Program ,
almeno un terzo degli adolescenti che usa Internet condivide con altri il contenuto di quanto fa.
8
P.C. Rivoltella, Screen Generation. Gli adolescenti e le prospettive dell'educazione nell'età dei media
digitali, Vita e Pensiero, Milano 2006. p. 24.
9
E. Locatelli, A. Cuman, D. Milesi, F. Pasquali, F. Introini, C. Pasqualini, F. Romana Puggelli, M. Bertolotti
pur sottolineando il fatto che rischi e opportunità che si accompagnano all’uso dei media convivono e si
sviluppano in maniera interdipendente, identificano come potenziali fattori di rischio legati alle situazioni
interattive generate nei social network la gestione della privacy, la costruzione dell’identità online, il
disvelamento di informazioni di carattere personale, le dinamiche di estensione o rafforzamento dei legami
sociali attraverso l’espansione delle reti di appartenenza e quindi la possibilità di stabilire contatti con
sconosciuti online, l’ internet addiction (dipendenza), le esperienze di bullismo on e offline e l’esposizione a
contenuti inappropriati. Per un’analisi approfondita di tali rischi si rimanda al testo: G. Mascheroni (ed), I
ragazzi e la rete. La ricerca EU Kids Online e il caso Italia, La Scuola, Brescia 2012.
10
G. Mascheroni (ed), I ragazzi e la rete, cit., p. 13.
3
e della società, il compito di massimizzare le opportunità e minimizzare i rischi della rete,
promuovendo usi sicuri e responsabili di internet, assume le caratteristiche di una sfida di
vitale importanza alle quali istituzioni, decisori politici, associazioni, genitori ed educatori
non possono sottrarsi. Promuovere i diritti e le responsabilità che definiscono e
garantiscono ai giovani una piena cittadinanza digitale implica, di conseguenza, la
capacità di analizzare la questione al di là del panico morale e della retorica celebrativa
dei nativi digitali. E’ necessario cioè un approccio evidence based, che si fondi sulle
conoscenze maturate attraverso dati di ricerca empirica; e un approccio child centred,
incentrato più sui ragazzi che su internet»11 e che intenda «indagare come, nella vita dei
più giovani, siano (o meno) valorizzate certe attività, comprese quelle legate ad internet, a
seconda dell’organizzazione sociale del tempo e dello spazio, oltre che delle norme e dei
valori culturali, degli stili di vita e delle preferenze personali».12
Nonostante la società oggi sembri ruotare ormai intorno al digitale, i dati della
ricerca evidenziano che siamo ancora lontani da quella che può essere definita una
fruizione libera, consapevole, critica e costruttiva della rete. Emerge una nuova forma di
divario digitale che include forme di differenziazione sociale qualitative che vanno oltre le
disuguaglianze di carattere prettamente tecnologico.13 «L’istruzione, ancor più del reddito,
sembra essere un elemento che influenza maggiormente le dotazioni tecnologiche dei
ragazzi […] più si è istruiti, più si è attenti a non rendere congestionata la vita digitale dei
propri figli. […] Più una famiglia è povera, più lascia libertà di accesso ad internet ai propri
figli, più i figli trascorrono il loro tempo libero online» 14 reiterando in tal modo il vecchio uso
“riempitivo” del tempo libero associato alla televisione. Lo status socio-economico e il
livello di istruzione delle famiglie sembra influire non solo sulla quantità ma anche, e
soprattutto, sulla qualità dell’utilizzo delle ICT: «Si è giunti a questo (ipotizzato) paradosso:
(A) meno le famiglie italiane dispongono di risorse culturali (ed economiche) per
comprendere fino in fondo le caratteristiche del mondo digitale, (B) più costruiranno
economie morali che lascino ai figli libertà incondizionata d’accesso a internet, (C) più
(probabilmente) l’uso di internet diventerà un uso ambientale, non focalizzato, non
significativo. Viceversa, (A) più le famiglie italiane hanno risorse culturali per comprendere
i rischi e i benefici di internet, (B) più tenderanno a monitorare e limitare l’uso della rete tra
i figli, (C) più l’uso di internet potrebbe diventare focalizzato, limitato nei luoghi e nel tempo
e probabilmente significativo».15 in tal modo si verificherebbe una nuova forma di digital
divide non più basata sulla quantità di accesso ad internet ma sulle differenze qualitative
nell’uso delle tecnologie e sulle competenze (tecniche, cognitive e culturali) sviluppate dai
ragazzi e sulla capacità di trasformare l’uso delle tecnologie in pratiche significative e
socialmente rilevanti.16
11
Ivi p. 9.
S. Livingstone, Ragazzi online, cit., p. 46.
13
Questo gap di competenze digitali potrebbe rappresentare un possibile elemento di minore sicurezza e di
maggiore esposizione al rischio durante l’uso delle ICT.
14
G. Mascheroni (ed), I ragazzi e la rete, cit., pp. 43-49
15
Ivi, p. 52.
16
Jan van Dijk in Sociologia dei nuovi media afferma: “L’appropriazione delle nuove tecnologie deve essere
pensata come un processo dinamico e ricorsivo in cui le motivazioni all’uso, l’accesso materiale, il possesso
12
4
I dati della ricerca sembrano anche negare la validità empirica dello status di “nativi
digitali” interpretato in chiave esclusivamente generazionale come mera conseguenza del
fatto di essere nati all’interno di una certa coorte e di essere stati socializzati all’uso di
computer, internet e telefonia mobile fin da piccoli.17 Se viene meno quindi la
determinazione che i giovani siano naturalmente esperti e che le competenze specifiche
relative all’utilizzo consapevole dei prodotti mediali possano essere acquisite dai ragazzi in
totale autonomia (comprensione intuitiva), si richiama implicitamente la necessità di
favorire ricerche e interventi pedagogici che contribuiscano ad elaborare e diffondere un
nuovo modello di alfabetizzazione mediatica18 fondato sul concetto di literacy intesa come
combinazione di competenze di accesso, analisi, critica, produzione, conoscenze e
atteggiamenti.19 «A livello individuale, la literacy ha il potere di mediare le conseguenze
degli usi sociali di internet, promuovendo le opportunità e i benefici, e riducendo i danni
potenzialmente derivanti dai rischi online; a livello sociale, la capacità di accedere,
analizzare, valutare criticamente i media digitali e produrre contenuti e forme comunicative
sono prerequisiti indispensabili per un pieno accesso alla cittadinanza digitale». 20
Il considerare la tecnologia, per i motivi su esposti, un importante fattore di
espansione dell’intelligenza individuale e sociale21 e della costruzione di sè, ci induce a
riflettere sulla dimensione educativa del fenomeno, considerato in stretta connessione con
la questione della mediazione sociale22 e della promozione della cittadinanza: «La scuola
ha oggi più di ieri il compito di educare ai media, e cioè di educare bambini e adolescenti a
passare da un uso spesso disordinato e ridondante dei differenti canali di comunicazione
mediale di cui dispongono a una fruizione che permetta loro di accedere a un livello di
delle competenze digitali e la differenziazione negli usi concorrono a determinare diversi gradi di inclusione
digitale”. J. van Dijk, Sociologia dei nuovi media, Mulino, Bologna 2002. p. 93.
17
G. Mascheroni (ed), I ragazzi e la rete, cit., pp. 89-90.
18
Pur brevemente si ritiene opportuno citare la ricerca “Mediapro 2004: un’ indagine quali-quantitativa
sull’uso, la rappresentazione e l’appropriazione dei media digitali. La ricerca è stata condotta con un taglio
prettamente pedagogico: “obiettivo della ricerca non è determinare medie statistiche riguardo i
comportamenti di consumo degli adolescenti ma mettere in rilievo cosa comporta questa nuova pratica di
consumo nel vissuto dei ragazzi individuando dei profili d’uso che possano tornare utili agli educatori nella
progettazione delle loro strategie di intervento e per promuovere negli adolescenti un atteggiamento
responsabile e autonomo”. La ricerca non intende quindi produrre una semplice istantanea sociologica sugli
usi e le rappresentazioni dei nuovi media ma si propone di creare le condizioni per sviluppare una nuova
sensibilità e dei nuovi strumenti di intervento educativo. Dall’analisi dei risultati della ricerca si evince che la
rappresentazione dei rischi associati alla rete risulta essere molto bassa da parte dei ragazzi, emerge quindi
l’immagine di un adolescente inteso come utente consapevole ed esperto che tende a fare un uso
specializzato dei diversi media in relazioni alle loro possibili destinazioni d’uso. P.C. Rivoltella, Screen
generation, cit. pp. 12-22. Per maggiori informazioni si rimanda a: http://omero.unicatt.it/ricerca/mediappro.
19
Per un’analisi approfondita del concetto di Literacy nel dibattito europeo si rimanda a:
http://ec.europa.eu/culture/media/literacy/index_en.htm .
20
G. Mascheroni (ed), I ragazzi e la rete, cit., p. 107.
21
P. Ferri, F. Mizzella, S. Scenini, I Nuovi media e il Web 2.0, cit., p. 48.
22
Per mediazione sociale si intende l’ insieme di pratiche e strategie di carattere discorsivo, restrittivo,
tecnologico o monitorante, mediante le quali figure chiave come i genitori, il gruppo dei pari e gli insegnanti
contribuiscono a modellare le esperienze online dei ragazzi, il loro livello di esposizione ai rischi e la loro
capacità di gestire contenuti e interazioni pericolose sviluppando una certa resilienza ai rischi della rete. G.
Mascheroni (ed), I ragazzi e la rete, cit., p. 257.
5
alfabetizzazione mediale tale da consentirgli di codificare in maniera critica e consapevole
la molteplicità di messaggi e di contenuti comunicativi, informativi e formativi che li
inonda».23
Silvia Annamaria Scandurra
23
P. Ferri, La scuola digitale. Come le nuove tecnologie cambiano la formazione, Mondadori, Milano 2008,
p. 28. Sull’argomento si vedano anche; P.C. Rivoltella, I rag@zzi del web. I preadolescenti e Internet: una
ricerca, Vita e Pensiero, Milano 2001; H. Jenkins, Culture Partecipative e comptenze digitali. Media
education per XXI secolo, Guerini Studio, Milano 2010.
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