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n° 372 - ottobre 2015 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lorenzo Gualtieri - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Edificio L - Strada 6 - Centro Direzionale Milanofiori I-20089 Rozzano (Milan, Italy) www.fondazione-menarini.it Enigmi metafisici, uno sguardo oltre il visibile ...dovete aver notato che da qualche tempo c'è qualcosa di cambiato nelle arti; [...] vi sono degli uomini, dei quali probabilmente anche voi fate parte, che, arrivati a un limite della loro arte, si sono domandati: dove andiamo? Giorgio De Chirico Giorgio de Chirico: Les Projets de la jeune fille New York, Museum of Modern Art. Lascito di James Thrall Soby La mostra De Chirico a Ferrara 19151918. Pittura metafisica e avanguardie europee, aperta dal 14 novembre prossimo presso il Palazzo dei Diamanti, si propone di far rivivere il percorso che portò Giorgio De Chirico a “scoprire” la pittura Metafisica e a renderla terreno fertile per le avanguardie europee. Le opere esposte appartengono al periodo 1915-1918, momento in cui l’artista insieme al fratello Alberto Savinio, di ritorno da Parigi per prestare servizio militare, soggiorna a Ferrara e dà avvio a una nuova corrente pittorica insieme a Filippo De Pisis, Giorgio Morandi e soprattutto al suo amico e principale sostenitore Carlo Carrà, che contribuì anche alla scelta del termine stesso di “Metafisica” nel periodo in cui i due erano insieme convalescenti presso l’ospedale psichiatrico di Villa del Seminario. In una lettera pubblicata su Littérature nel 1922 De Chirico scrisse: «Dovete aver notato che da qualche tempo c'è qualcosa di cambiato nelle arti; non parliamo di neoclassicismo, di ritorno ecc.; vi sono degli uomini, dei quali probabilmente anche voi fate parte, che, arrivati a un limite della loro arte, si sono domandati: dove andiamo? Hanno sentito il bisogno di una base più solida»; De Chirico si fa portavoce del problema fondamentale che mette in crisi i pittori di fin de siècle: la perdita di stimoli, la sensazione che già tutto sia stato provato e che non esistano più terreni inesplorati e modi originali per esprimersi. L’artista va oltre le conoscenze e le esperienze ormai acquisite, senza rinnegarle, senza perdersi nel puro astrattismo che slega la forma dal significato, ma cercando significati nascosti, enigmatici, in quella realtà che è sempre stata sotto i suoi occhi. Il soggiorno ferrarese porta De Chirico a contatto con la bellezza rinascimentale, dalle forme razionali, ben studiate e in armonia tra loro, frutto di accurati studi progettuali; questa razionalità si ritrova nelle sue opere, in cui emerge forte e chiara nei palazzi, nelle piazze, nelle figure mute e nei reperti antichi che colloca sul palcoscenico delle proprie composizioni. Le creazioni di De Chirico mostrano la realtà come una quinta teatrale, in cui personaggi senza volto recitano sullo sfondo di silenziose città, che lasciano nello spettatore un senso di malinconia e isolamento; chi guarda è come trasportato all’interno di quel palco silente e viene pervaso da un senso di inquietudine, dato da 2 quegli oggetti che da sempre gli sono familiari ma che appaiono ora come sconosciuti e inspiegabili. La pittura Metafisica parla di ciò che va oltre la semplice esperienza diretta, o meglio parla della conoscenza sensibile tramite enigmi che trasportano al di là del visibile, verso una realtà assoluta. De Chirico si può considerare poeta della malinconia universale, in quanto mette lo spettatore di fronte a una realtà inspiegabile che gli appare del tutto nuova, pur avendola sempre avuta davanti agli occhi. Le città dei suoi quadri possono sembrare familiari grazie ai monumenti che campeggiano possenti alle spalle dei personaggi o in primo piano come protagonisti assoluti, ma in realtà sono semplicemente solidi che non appartengono più al mondo sensibile, come in Les Projets de la jeune fille (I progetti della fanciulla) in cui la torre sulla sinistra suggerisce il Castello Estense, ma assume anche il valore di pura forma geometrica. Come il “metateatro” mette in scena la storia nella storia, così De Chirico arriva a dipingere un quadro nel quadro, chiamando la propria opera Interno metafisico (con grande officina). Non solo grandi piazze e palazzi appaiono nelle sue opere, ma anche interni caratterizzati da un forte geometrismo, scabri e semplici, che ospitano oggetti apparentemente slegati l’uno dall’altro, che sembrano però voler suggerire la soluzione di un rebus. Lo stesso atteggiamento enigmatico si ritrova in quadri di Carrà come Natura morta con la squadra, ma anche nelle opere di artisti come Man Ray, Filippo de Pisis, Salvador Dalì e René Magritte; anche Max Ernst rimane colpito dall’esperienza della Metafisica e ne trasferisce i segni nella propria opera. Nessuno di loro rinuncia alla forma, ma tutti abbandonano il mondo empirico in virtù di un’atmosfera di sogno che per primo De Chirico riscopre. Gli stessi titoli lasciano spazio al mistero e allo stesso tempo all’immaginazione dello spettatore, che può ricercare nelle opere quello che gli artisti hanno visto o inteso vedere. L’influenza dell’opera di De Chirico appare evidente in Magritte, che ne riprende i rebus, dall’alto in senso orario Giorgio De Chirico: Interno metafisico (con grande officina) - Stoccarda, Staatsgalerie Carlo Carrà: L’ovale delle apparizioni Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna Giorgio Morandi: Natura morta con manichino Milano, Museo del Novecento l’incomunicabilità, i silenziosi manichini e il tema dell’inconoscibilità anche di quegli oggetti che sembrano essere tanto comuni: uno per tutti La trahison des images (Ceci n’est pas une pipe); con La condition humaine Magritte provoca disorientamento nello spettatore, che non sa se il quadro che intravede nel panorama esista o no; l’illusione diventa il metodo preferito da questi artisti per cercare di insinuare il dubbio e l’incognita in ognuno. In un mondo che ha da poco vissuto l’abominio di una Guerra Totale non ci possono essere certezze, neanche là dove si pensava fossero sempre state. La tecnica di rappresentazione di De Chirico è una novità anche rispetto al Futurismo in quanto, pur introducendo una nuova visione, riprende forme note, come quelle delle antichità greche che servono all’artista non solo per riaffermare l’origine dell’arte, ma anche per ricordare la propria infanzia passata in Tessaglia; la sua dimestichezza con il mito deriva 3 dall’alto in senso orario René Magritte: La trahison des images Los Angeles County Museum of Arts René Magritte: La condition humaine Washington, The National Gallery of Art Salvador Dalì: Piaceri illuminati - New York, Museum of Moderrn Art © Gala-Salvador Dalí Foundation, by SIAE 2015 oltre che dalle sue origini, soprattutto dall’ammirazione per le opere di Max Klinger e Arnold Böcklin, che tanto lo avevano affascinato durante gli studi; ritrae i frammenti antichi in modo minuzioso, andando però nella direzione opposta al realismo; gli oggetti sono accostati l’uno all’altro apparentemente senza senso, ma allo stesso tempo sembra che non possa esistere un accostamento migliore e più veritiero, proprio come accade durante un sogno. In realtà la vera illusione la provocano quegli oggetti che tutti sono abituati a vedere, senza però percepirne il lato oscuro, situato al di là del visibile: sta agli artisti, anime toccate da una sensibilità straordinaria, aprire gli occhi alla gente ordinaria. De Chirico scrive al gallerista Paul Guillaume: «Perché voi possiate entusiasmarvi per cose talmente metafisiche, per così dire, bisogna che abbiate, caro amico, un’intelligenza rara, molto rara, poiché più vivo, più conosco della gente, e più mi rendo conto quanto questo dono degli dei (l’intelligenza) come la intendiamo noi, l’intelligenza nietzschiana, l’intelligenza che ha qualcosa del Dio e dell’acrobata, dell’eroe e della bestia, è così rara che si potrebbe ben dire che è introvabile, e noi altri che vediamo, possiamo esserne fieri, e felici anche, poiché la felicità, la dolce e divina felicità, ci è dovuta, qualunque sia il destino della nostra vita. Così sia». Non a tutti è dato di poter andare oltre gli enigmi, perché non tutti hanno un’intelligenza in grado di farlo, capace di risolvere i rebus che la vita pone; l’artista è visto come l’eletto che può provare ad aprire la mente di chi è accecato dalla quotidianità e non riesce ad andare oltre quella. De Chirico usa colori a tratti squillanti a tratti soffusi, che danno l’idea di atmosfere lontane e dimenticate; la sua tavolozza è ristretta al cobalto, all’oltremare, al vermiglio nelle to- pag. 4 nalità squillanti, e a svariate tonalità di verde. La stesura del colore è piatta, ad ampie campiture, ma ricercata nei singoli dettagli, tanto che è percepibile lo studio attento che sta dietro ogni composizione e il fatto che niente è lasciato al caso. Lo stesso risultato lo ottiene anche Salvador Dalì, probabilmente ispirato dalle stesse opere di De Chirico, e nei suoi quadri compaiono visioni surreali che però hanno un preciso studio e collocazioni non banali di oggetti straordinari. De Chirico non ritrae la figura umana, ma la suggerisce attraverso i manichini, che ricorrono spesso nelle sue opere - come ne Il trovatore - in una situazione di angoscia e incompiutezza, come se l’unione di tante parti non riuscisse a dare omogeneità al fantoccio; forse questa frammentarietà disomogenea si può leggere come un tratto autobiografico dell’artista, che raccoglie in sé tante identità, tanti volti, senza che ve ne sia uno predominante: nato in Tessaglia con origini che si estendevano tra l’Europa e l’Oriente, venuto poi in Italia prima a Bari, poi a Roma, Firenze, Venezia, Milano, approdato in Baviera a Monaco e tornato un’altra volta in Italia a Ferrara, raccoglie in sé tante esperienze diverse. La sua è una vita fatta di viaggio, continui spostamenti che non gli permettono di avere un posto chiamato “casa”; le sue figure incomplete, collages di varie realtà, appaiono uno specchio dell’artista, che non riesce a riconoscersi come essere unitario, ma che invece si sente il risultato di troppe esperienze, e per questo i suoi sono personaggi muti che forse non parlano perché avrebbero troppo da dire - ma non ci sarebbe nessuno all’altezza di comprendere. Le muse inquietanti uniscono alla vi- Giorgio De Chirico: Il trovatore Collezione privata Giorgio De Chirico: Le Muse inquietanti Collezione privata sione della città moderna, che affianca al castello le ciminiere di una fabbrica, figure che pur stando l’una a fianco dell’altra emanano un grande senso di incomunicabilità, come esseri provenienti da mondi diversi che non hanno niente da condividere e che difficilmente potrebbero integrarsi in un ambiente dall’apparenza sterile, incapace di dar vita a una qualche armonia. De Chirico, che nel corso della vita ha viaggiato e conosciuto molte diverse realtà, attraverso la sua opera fa sentire quanto sia un uomo profondamente solo, “un monumento in una piazza vuota”, capace però di un’ipersensibilità, che lo porta ad essere oracolo della nostalgia e della malinconia. elena aiazzi