Perchè la filosofia è necessaria

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Perchè la filosofia è necessaria
Lyotard Jean Francois, Perchè la Filosofia è necessaria ? Milano 2013
(risultato di 4 conferenze tenute agli studenti di propedeutica filosofica alla Sorbona nell'autunno
del 1964).
1. Perchè desiderare ?
In filosofia è costitutivo il philein (amare, desiderare)
Siamo abituati a considerare il problema dal punto di vista del soggetto e dell'oggetto: tale
prospettiva è fondata su una visione dualistica delle cose;
il desiderio invece è presente a colui che desidera nella forma dell'assenza. Il desiderio è stabilito
dall'assenza della presenza.
Mito di Eros esposto da Platone in Simposio (203 b-c): Eros è generato nello stesso giorno in cui
Afrodite, la Bellezza, viene al mondo (co-nascita di desiderio e desiderabile).
Nella parte conclusiva del libro Alcibiade propone a Socrate uno scambio: concedere i suoi favori a
Socrate in cambio della sua Sapienza. Ma credere che Socrate abbia della sapienza da scambiare
costituisce la follia di Alcibiade.
La Sapienza non è oggetto di scambio non perchè troppo preziosa per avere una contropartita, ma
perchè non è mai sicura di sé, sempre persa e sempre di nuovo da cercare. Alcibiade considera
invece la sapienza come una cosa, una res, da poter scambiare.
Con la filosofia il desiderio si allontana da sé, si riflette, desidera sé stesso: equivale quindi a
lasciarsi andare al desiderio, perè raccogliendolo e questa raccolta va di pari passo con la parola.
Filosofiamo perchè c'è desiderio. Perchè esiste ovunque il movimento dello stesso che cerca l'altro.
2. Filosofia e origine
C'è bisogno di filosofare perchè abbiamo perso l'unità e l'origine della filosofia è la perdita dell'uno,
è la morte del senso. La filosofia nasce nella separazione e nell'incoerenza.
Hegel sostiene che la filosofia nasce nel momento in cui muore il potere di unificare.
Eraclito aveva affermato che l'uno è nel molteplice che la ragione del mondo non è da nessun'altra
parte se non nel mondo stesso. Il tema di Eraclito è che l'unità sta nella molteplicità, come sua
armonia e contraddizione al tempo stesso.
L'unità del mondo non sta in un altro mondo (per es. intellegibile) ma nella disposizione e
composizione dei suoi elementi allo stesso modo in cui una frase musicale trova la sua unità nella
congiunzione, nella catena di opposizioni di valore e di durata tra le note che la compongono.
La storia della filosofia è una storia del desiderio per l'Uno, come dice Eraclito. Dunque il filosofo è
un eterno principiante: è colui che ogni giorno si sforza di recuperare un senso.
La perdita di un senso non è un evento nella storia della filosofia ma è invece il suo movente, ciò
che ci spinge a filosofare; con la perdita dell'unità il desiderio si riflette.
La perdita dell'unità domina tutta la storia della filosofia, e ne fa una storia.
3. Sulla parola filosofica
Desiderio deriva dal lat de-sidera, il cui primo significato è constatare che le costellazioni, i sidera,
non danno segnali. E la filosofia in quanto appartiene al desiderio e ne esprime l'indigenza,
comincia quando gli dei tacciono, non danno indicazioni o verità. Inoltre l'intera attività filosofica
consiste nella parola. Ma allora come è possibile una parola sensata quando non c'è alcun segno che
indica il senso che si deve pronunciare ? Cosa possiamo dire quando tutto è silenzio ?
Rapporto tra filosofia e parola.
Dobbiamo prima liberarci da alcuni pregiudizi: in primis l'idea che prima si pensa e poi si parla per
esprime ciò che si è pensato. Il pensiero è concepito come una sostanza interna, nascosta, si cui la
parola non sarebbe altro che la serva. Dobbiamo, invece, comprendere, che pensare è già parlare.
Perciò se occorre intendere il senso per poterlo dire, resta il fatto che bisogna averlo detto per
poterlo intendere.
I segni ci avvolgono: cerchiamo di collocarli e di ordinarli affinchè producano senso e, al tempo
stesso, siamo a fianco del senso per aiutarlo a trovare asilo nella nostra parola. Parlare, dunque, è
una co-nascita del discorso e del senso.
Ciò significa che non c'è una sostanza, una facoltà, una funzione pensante indipendente da ciò che
pensa. E' l'intentio della coscienza, la grande intuizione di Franz Brentano maestro di Husserl: non
c'è pensiero senza un pensato, non c'è un vedere senza una visione.
Ma entrando nel linguaggio entriamo nell'ordine della socialità: apparteniamo ad una rete di segni
che include ciascuno di noi quanto l'altro da noi. E cos' anche la parola filosofica avvolge gli
interlocutori in una stessa aria fatta di segni ed è già presente in ciò che non è ancora detto.
Riepilogando: con la filosofia il desiderio si riflette. Questa riflessione la dobbiamo alla parola e
questa parola è anch'essa sottoposta alla legge del desiderio: da un lato la penuria di significato di
ogni parola; dall'altro la chiusura di una parola in un determinato senso, il suo accesso al significato.
Riflettendosi nella parola filosofica, il desiderio si riconosce come quel troppo o troppo poco di
significato che è la legge di tutte le parole.
La parola filosofica non può chiudersi in un discorso coerente ed autosufficiente, ma non dice
abbastanza e, insieme, dice troppo e ne è consapevole.
4. Su filosofia e azione
Dunque filosofare non serve a niente perchè è un discorso che non arriva mai a conclusioni
definitive.
Il giovane Marx nella 11.ma delle sue “Tesi su Feuerbach” del 1845 scrive: “i filosofi hanno solo
interpretato il mondo in molti modi, si tratta ora di cambiarlo”. Questa tesi di critica radicale della
filosofia costituisce un ottimo punto di partenza per riflettere sull'impotenza e l'inefficacia della
filosofia.
Si è detto che il dire trasforma ciò che dice; d'altronde non si può agire senza sapere ciò che si vuol
fare, cioè senza dirlo. Si deve dunque ristabilire il contatto tra la filosofia e l'azione.
Digressione su Marx, Hegel e Freud: ideologia e sublimazione.
(Marx non ha trascurato la lezione di Hegel non ha dimenticato che il contenuto di una posizione
falsa non è falso in sé, ma solo se isolato, e che invece se è riconnesso a ciò da cui era stato
separato, appare come un momento della verità in marcia. Così una falsa coscienza, persino una
ideologia come la riflessione filosofica, anche la più rarefatta come quella kantiana, ad es., si radica
in quella realtà da cui sembra staccarsi nettamente.
Tale concezione di ciò che è falso, mistificato, è molto vicina a quella di Freud. Per Freud è il
conflitto tra la libido, gli impulsi, e i dati di realtà – in particolare la tendenza del bambino a vedere
la madre come protezione e la proibizione di tenerla tutta per sé – a suscitare quelle “ideologie” che
sono i fantasmi del sogno, della nevrosi, della sublimazione.
C'è quindi una verità dell'ideologia in quanto eco di una problematica re ale che è quella del suo
tempo, ma la sua falsità consiste nel fatto che l'eco di questa problematica si eleva al di fuori del
mondo reale e non porta a risolvere i problemi dell'uomo. Quindi le questioni filosofiche sono
questioni reali trascritte, codificate in un altro linguaggio.
Per Marx, dunque come per Hegel, la filosofia cerca la morte della filosofia ma il fatto che non ci
sia più bisogno della filosofia sarebbe il segno della mancanza che è presente nella realtà umana).
Si tratta ora di trasformare “il mondo”, significa che bisogna modificare la realtà, cambiare la vita.
Ma c'è una profonda analogia tra il parlare e il fare: il parlare raccoglierebbe ed eleverebbe a
discorso articolato un significato latente, silenzioso e l'azione non può fare a meno di una “teoria”
nel senso di una parola che dice: “ecco cosa succede, ecco come vanno le cose”. Anche l'azione è
trasformazione del mondo e occorre raccogliere ciò che è disperso per trasformare e non è un caso
che i Greci avessero la stessa parola per indicare l'azione di raccogliere e l'azione di dire (légein).
Conclusione: non si può trasformare il mondo se non comprendendolo. L'azione e il primato
dell'agire non vi esime dalla responsabilità di nominare ciò che deve essere detto e fatto, cioè di
registrare il significato latente nel mondo “sul quale” volete agire.
Ecco quindi perchè filosofare: perchè desideriamo, perchè c'è dell'assenza nella presenza, del
morto nel vivente; e perchè è in nostro potere il fatto che esso non sia ancora tale; e anche perchè
esiste l'alienazione, la perdita di ciò che si credeva acquisito e la scissione tra il fatto e il fare, tra il
senso e il dire; infine, perchè non possiamo sfuggire a questo: testimoniare la presenza di una
mancanza attraverso la nostra parola.