Della gioia e della bellezza

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Della gioia e della bellezza
Valentino Salvoldi
Della gioia
e della bellezza
Raccontare di nuovo la morale
Prefazione di Vincenzo Paglia
Prefazione
Gioia e bellezza: sono due volti del messaggio evangelico che
possono aiutare il cristiano – desideroso di mettere in pratica gli
insegnamenti del Concilio Ecumenico Vaticano II – a vivere il
suo battesimo, in virtù del quale è diventato profeta, sacerdote, re.
Sviluppando l’intuizione di Dostoevskij «La bellezza salverà il
mondo», Valentino Salvoldi – con la lucidità del teologo e la sensibilità del missionario – afferma che la bellezza e la gioia devono
fare da cardine al rinnovamento della teologia morale, il cui fondamento va cercato non semplicemente in una sistematizzazione
di principi razionali, quanto nella descrizione di quel vissuto
attraverso il quale lo Spirito Santo vuole ammaestrare il popolo di
Dio; la bellezza si gusta, si vive, si testimonia.
Dando per scontato il valore di tanti trattati sistematici di
teologia morale e presupponendoli a livello personale, l’Autore
ci presenta riflessioni impregnate del senso biblico e agganciate
al magistero di papa Benedetto XVI e papa Francesco. Inoltre,
rifacendosi alla lunga esperienza d’insegnamento in tante parti
del mondo, fa emergere la sensibilità dei fedeli, con lo scopo di
dimostrare che lo Spirito Santo è un dono dato a tutti per l’edificazione del Corpo mistico di Cristo, la Chiesa. Ne risulta una
morale narrativa, aperta al dialogo, arricchita dalle differenze
culturali. Quindi – come l’Autore ama ripetere – non una morale
etnocentrica e «autoreferenziale», ma Cristocentrica e aperta
all’accoglienza della verità, bontà e bellezza che il Verbo ha disseminato in tutte le culture.
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Il teologo morale deve saper analizzare tutto, con spirito critico,
con la volontà di purificare le culture con la freschezza e la forza
del Vangelo.
Questo, con parole diverse, è anche l’insegnamento dei Padri
della Chiesa: Dio si è fatto uomo, perché l’uomo si faccia Dio.
Dov’è Dio? In ciascuno di noi. Che volto ha Cristo? Il nostro e
quello dei poveri. Chi è lo Spirito Santo? L’Amore nel quale viviamo, ci muoviamo e siamo.
Per ciascuno, una sfida: Quale è il tuo ideale morale? Passare
dal monte Sinai al monte delle Beatitudini, dalla legge all’amore,
dall’umiliante «Tu devi» al liberante «Tu puoi».
✠ Vincenzo Paglia
Arcivescovo
Presidente della Pontificia Accademia per la Vita
Gran Cancelliere del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II
per gli studi sul matrimonio e la famiglia
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Introduzione
Gioia: una morale nuova con radici antiche
Io gioisco pienamente nel Signore,
la mia anima esulta nel mio Dio.
(Is 61,10)
Hai messo più gioia nel mio cuore
di quando abbondano vino e frumento.
(Sal 4,8)
Acclamate il Signore, voi tutti della terra,
servite il Signore nella gioia,
presentatevi a lui con esultanza.
(Sal 100,2)
«Cerca la gioia nel Signore: esaudirà i desideri del tuo cuore»
(Sal 37,4). «L’aspirazione alla gioia è impressa nell’intimo dell’essere umano. Al di là delle soddisfazioni immediate e passeggere,
il nostro cuore cerca la gioia profonda, piena e duratura, che possa
dare “sapore” all’esistenza. E ciò vale soprattutto per voi [giovani],
perché la giovinezza è un periodo di continua scoperta della vita,
del mondo, degli altri e di se stessi. È un tempo di apertura verso il futuro, in cui si manifestano i grandi desideri di felicità, di
amicizia, di condivisione e di verità, in cui si è mossi da ideali e si
concepiscono progetti». Con queste espressioni si rivolge Benedetto
XVI ai giovani, in occasione della loro Giornata Mondiale del 2012.
Ad essi indica la radice profonda di ogni gioia: «In realtà le gioie
autentiche, quelle piccole del quotidiano o quelle grandi della vita,
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trovano tutte origine in Dio, anche se non appare a prima vista,
perché Dio è comunione di amore eterno, è gioia infinita che non
rimane chiusa in se stessa, ma si espande in quelli che Egli ama
e che lo amano. Dio ci ha creati a sua immagine per amore e per
riversare su noi questo suo amore, per colmarci della sua presenza
e della sua grazia. Dio vuole renderci partecipi della sua gioia,
divina ed eterna».
«Non siate mai uomini e donne tristi!». Con questa esortazione
papa Francesco si rivolge alla folla dei fedeli durante l’omelia della
messa della Palme del 2013. La gioia dei cristiani «non nasce dal
possedere tante cose, ma dall’aver incontrato una Persona: Gesù
[… e] dal sapere che con Lui non siamo mai soli, […] anche quando
il cammino della vita si scontra con ostacoli che sembrano insormontabili».
Nell’omelia del 10 maggio 2013 papa Francesco mette in evidenza che la gioia del cristiano non è l’allegria del momento: «Il
cristiano è un uomo e una donna di gioia. Questo ci insegna Gesù,
ci insegna la Chiesa, in questo tempo in maniera speciale. Che cosa
è, questa gioia? […] È un dono. L’allegria, se noi vogliamo viverla
tutti i momenti, alla fine si trasforma in leggerezza, superficialità,
e anche ci porta a quello stato di mancanza di saggezza cristiana,
ci fa un po’ scemi, ingenui, no?, tutto è allegria… no. La gioia è
un’altra cosa. La gioia è un dono del Signore. Ci riempie da dentro.
È come una unzione dello Spirito. E questa gioia è nella sicurezza
che Gesù è con noi e con il Padre».
Stimolato dalle parole di Benedetto XVI e di Francesco e cosciente della sua dignità di «figlio nel Figlio», il cristiano è chiamato a «rifarsi il sangue», rinnovando le idee di base della sua
teologia morale alla luce della bontà, della bellezza, del fascino di
vivere la propria fede. E ciò deve essere realizzato testimoniando,
con la propria gioia, il privilegio di essere Cristo. «Con la gioia», va
ripetendo papa Francesco, che sfida la Chiesa-gerarchia, i teologi e
tutti i fedeli a essere coerenti testimoni della propria esperienza di
fede, perché «l’assuefazione a comportamenti non cristiani e di co8
modo ci narcotizza il cuore!» (Udienza generale del 5 marzo 2014).
Il Papa stigmatizza i comportamenti privi di gioia, di entusiasmo,
di quell’attrattiva che è propria della «bellezza, splendore di verità».
Narrare il bello, il vero e il buono. La vita morale in Cristo è
possibile – secondo papa Francesco – per chi sente la necessità di
liberarsi dalla logica mondana, e rifarsi continuamente alla famosa triade sulla quale la tradizione cattolica si è sempre fondata:
il «bello, vero e buono». Bello in primo luogo: senza la bellezza
chi mai accetterebbe un discorso sulla verità e sulla bontà? Senza
quell’attrazione che coinvolga i sentimenti, chi si convertirebbe al
Bellissimo? Guardare alla bellezza in tutte le sue forme e sfumature
possibili: questa è la strada per superare lo scacco della modernità, della postmodernità, del relativismo dominante che blocca la
strada alla verità e non permette di parlare di principi etici universalmente riconosciuti e di verità morali, né consente di affermare
diritti umani veri e fondati su di una corretta antropologia e una
sana teologia. Teologia che, per essere efficace, per fare presa sulla
presente generazione, dovrebbe sviluppare una nuova antropologia
ed essere prevalentemente basata sulla narrazione.
Quando Bernhard Häring (il grande teologo che nel 1957 rivoluzionò la morale cristiana con il capolavoro La legge di Cristo e
diede un valido contributo alla stesura della Gaudium et spes), al
termine dei miei studi sulla morale biblica mi propose di insegnare
nel Seminario maggiore di Ibadan (in Nigeria) a oltre cinquecento
candidati al sacerdozio, mi disse: «Lì, e in altre parti dell’Africa e
dell’Asia, imparerai a rinnovare la vecchia morale cattolica, centrata su Roma e sul peccato, anziché essere centrata sull’uomo e
sulla grazia. Scriverai tanto, raccontando quello che il Signore ti
andrà insegnando nel tuo spostarti di gente in gente. La Chiesa ha
bisogno di una morale liberatoria, presentata con il metodo della
teologia narrativa. Incontrerai tante difficoltà. Non vedrai subito
il risultato delle tue fatiche, ma avrai la possibilità di rendere liberi tanti laici e tanti sacerdoti». Di fronte alla mia obiezione che
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molti lettori si infastidiscono quando l’autore parla di sé, rispose:
«Chi già non ti vuole bene, aumenterà le sue critiche contro di te,
ma chi ti vuole bene te ne vorrà ancora di più. Parla di te, non per
attirare a te gli uditori o i lettori, ma per renderli partecipi della
tua esperienza di fede e della libertà di cui Dio ti ha fatto dono».
Ora, arrivato a 70 anni, l’età mi consente di parlare come detta il
cuore, raccontando appunto quello che lo Spirito Santo va seminando nelle varie culture, in vista di un dialogo interculturale mirante
a mostrare che nessuno ha il monopolio della Verità, ma che tutti
la devono cercare umilmente e mettersi al suo servizio, convinti
dell’affermazione di Cristo: «… la verità vi farà liberi» (Gv 8,32).
A questa scelta e a questo linguaggio ci induce il profondo e
illuminante magistero di Benedetto XVI e il nuovo stile di papa
Francesco. Papa orante e Papa regnante, che in perfetta armonia
guidano la Chiesa e testimoniano come evidentemente sia lo Spirito Santo a scegliere e illuminare i successori di Pietro, secondo
i tempi, i modi e quella Provvidenza che non è qualche cosa di
generico, ma è un dono personale e specifico, nei tempi e modi a
Dio solo noti: la Storia è chiaramente nelle mani del Signore, ieri,
oggi e sempre.
«…e innalza gli umili». Papa Bergoglio è ammirevole e ammirato per la sua sconcertante semplicità, la sua umiltà, la sua
insofferenza delle costrizioni tramandate dai secoli, la sua presa
di distanza da una morale ossessionata dall’etica sessuale, la sua
scelta preferenziale per i poveri, la sua «capacità di muoversi», come egli stesso ha ammesso, parlando di sé, nella prima intervista
rilasciata a «La Civiltà Cattolica»: «Io sono un peccatore. Questa è
la definizione più giusta. E non è un modo di dire, un genere letterario. Sono un peccatore». E dopo una pausa: «Sì, posso forse dire
che sono un po’ furbo, so muovermi, ma è vero che sono anche un
po’ ingenuo. Sì, ma la sintesi migliore, quella che mi viene più da
dentro e che sento più vera, è proprio questa: “Sono un peccatore
al quale il Signore ha guardato”».
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Il Signore ha guardato a lui ed egli guarda il Signore. Da Lui
attinge la «libertà dei figli di Dio». Sa di avere resistenze anche
all’interno della Chiesa, ma non se ne preoccupa più di tanto. È un
gesuita. Provoca. Non è sistematico. Non dà risposte dirette, ma a
chi gli pone una domanda risponde ponendo un’altra domanda. E
confida nello Spirito Santo che è novità, freschezza e libertà. Qualità indispensabili per una morale nuova, gioiosa, attenta ai segni dei
tempi, basata su quella sensibilità che è un innegabile dono dello
Spirito Santo e in linea con la legge nuova, la legge di Cristo, fonte
di libertà da quella legge che è peccato e morte: «Poiché la legge
dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del
peccato e della morte» (Rm 8,2).
Non meno umile e grande è Benedetto XVI: ammirevole per il
suo stile di vita, per il suo lavoro intellettuale e, non ultimo, per la
scelta analoga a quella del grande Celestino V, la rinuncia all’ufficio petrino per permettere a un successore di guidare la Chiesa
con nuove energie spirituali e fisiche.
Date le caratteristiche differenti e complementari di questi due
ultimi papi – diversi per formazione e per carattere – non si può
scrivere in modo sistematico una teologia morale che riassuma il
loro magistero. Da loro, però, si possono trarre spunti più che sufficienti per rinnovare la morale: fare nostro il loro stile di vita, le
loro scelte, l’impegno sistematico nello studio. Per quanto riguarda
papa Francesco, dal modo come ha impostato il suo pontificato,
occorre accettare alcune inevitabili ripetizioni, tipiche di un uomo di Dio cui stanno a cuore l’amore più che la legge, ogni essere
umano più che l’istituzione, la salvezza dell’anima più che i commi
del Diritto Canonico.
La morale narrativa qui esposta è accessibile a tutti i fedeli
perché presentata con stile giornalistico, nutrita della sapienza
biblica, ecclesiale nel suo contenuto, concreta nel mostrare il volto
umano e cristiano di papa Benedetto XVI e papa Francesco. Può
essere utile ai seminaristi e agli studenti di teologia, perché proposta da un docente che – grazie alla sua lunga esperienza in varie
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parti del mondo – è in grado di presentare una sintesi del sapere
teologico, filtrato attraverso la visione pragmatica di tante culture
africane e asiatiche: respiro universale, che impedisce alla morale
di essere etnocentrica. Può diventare un valido strumento per la
predicazione, proprio per la scelta di raccontare anche episodi in
grado di suscitare interesse nei fedeli che si accostano all’Eucaristia
domenicale per ravvivare la loro fede grazie alla Parola, al Pane e
al Prossimo: fonte di vita, di nutrimento, di bellezza.
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Capitolo primo
L’essere umano: mistero affascinante e tremendo
Quando il cielo contemplo e la luna
e le stelle che accendi nell’alto,
io mi chiedo davanti al creato:
cosa è l’uomo perché lo ricordi?
Cosa è mai questo figlio dell’uomo
che tu abbia di lui tale cura?
Inferiore di poco a un dio,
coronato di forza e di gloria.
(Sal 8,4-6. Traduzione di D.M. Turoldo)
L’uomo è immagine di Dio in quanto uomo. E finché egli è uomo, è un
essere umano, egli è misteriosamente proteso a Cristo, al Figlio di Dio
fattosi uomo e quindi orientato al mistero di Dio. L’immagine divina è
connessa con l’essenza umana in quanto tale, e non è in potere dell’uomo
distruggerla completamente.
(J. Ratzinger, Conferenza Internazionale organizzata dal Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute sul tema: A immagine e somiglianza
di Dio: Sempre? Il disagio della mente umana, 28 novembre 1996)
L’uomo è tutto per la donna e la donna è tutta per l’uomo. La custodia
di questa alleanza dell’uomo e della donna, anche se peccatori e feriti,
confusi e umiliati, sfiduciati e incerti, è dunque per noi credenti una
vocazione impegnativa e appassionante, nella condizione odierna. Lo
stesso racconto della creazione e del peccato, nel suo finale, ce ne consegna un’icona bellissima: «Il Signore Dio fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelle e li vestì». È un’immagine di tenerezza verso quella coppia
peccatrice che ci lascia a bocca aperta: la tenerezza di Dio per l’uomo e
per la donna! È un’immagine di custodia paterna della coppia umana.
Dio stesso cura e protegge il suo capolavoro.
(Francesco, Udienza generale, 22 aprile 2015)
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1. Nati per contemplare
Un aneddoto, quasi una parabola. Era stanca la formica di ripetere continuamente l’estenuante lavoro di spostare cibo e uova
da un formicaio all’altro e si poneva il problema se questa sua vita
avesse un senso. Una mattina vide il cielo: era bellissimo! Ma non
poteva fermarsi a contemplarlo, perché pressata da tutte le parti
dalle sue colleghe. Trascorse una notte inquieta, sognando il cielo a
occhi aperti e pregustando l’incanto di quella visione: «Domani lo
vedrò ancora, ma non solo per qualche attimo!». Ma pure il giorno
seguente si verificò la stessa situazione. Il terzo giorno disse a se
stessa: «Oggi, capiti quel che capiti, mi fermerò e contemplerò il
cielo». Non badava alle formiche che la calpestavano e la schiacciavano da tutte le parti. Si beava del cielo, perdendosi in quell’azzurro
immenso che le dilatava il cuore. Quando decise di rimettersi in
moto, si accorse che non poteva muoversi: tutte le sue membra
erano malridotte. Chiamò la formica infermiera che, intuendo l’accaduto, sentenziò: «Tu non hai prodotto e hai ostacolato il lavoro
delle altre formiche. Per punizione, stai lì e muori!». Abbozzò un
sorriso la formica filosofa: «Io muoio, ma ho visto il cielo».
Una morale per contemplativi. Il Vangelo non è un testo di
morale, perché si basa essenzialmente sull’incontro e sull’accettazione di una Persona: Gesù, Figlio di Dio e dell’Uomo. È la Buona
Notizia che noi siamo salvati dalla fede nel Signore, che fa il primo
passo per venirci incontro e così dare un senso alla nostra vita. Ma,
come dice san Giacomo: «La fede senza le opere è morta», per cui il
cristiano modella la sua esistenza sulla ricerca costante del Signore,
approfondisce la Parola, prega molto per capire quale sia la volontà
di Dio nei suoi confronti e trova pace nel viverla con amore, giorno
dopo giorno, meditando sempre verità eterne.
Primo suo passo è quindi la contemplazione dell’affascinante
mistero nel quale è stato immerso agli inizi della sua esistenza: in
virtù del battesimo, è diventato «profeta, sacerdote, re e missiona14