I rapporti tra concordato e fallimento in pendenza dell`istruttoria

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I rapporti tra concordato e fallimento in pendenza dell`istruttoria
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Concordato preventivo e accordi
Rapporti con il fallimento
I rapporti tra concordato
e fallimento in pendenza
dell’istruttoria fallimentare
di Ilaria Pagni
Visto il fisiologico ritardo col quale le imprese arrivano al concordato, la questione dei rapporti tra concordato e fallimento in pendenza dell’istruttoria fallimentare è tema che si presenta con sempre maggior frequenza nell’esperienza giudiziaria, soprattutto dopo l’introduzione della possibilità di proporre una domanda di
concordato ‘‘in bianco’’ ai sensi dell’art. 161, sesto comma, l.fall.
L’Autore esamina i numerosi problemi che sorgono, sul piano processuale, quando il debitore tenta la strada della composizione negoziale della crisi in pendenza di una istruttoria fallimentare, ricostruendo la disciplina alla luce del (non semplice) inquadramento, nelle categorie del diritto processuale generale, dei rapporti tra oggetto del processo di concordato e quello di fallimento. Nel rispondere alla domanda su come debba
essere gestito, dal tribunale, il rapporto intercorrente tra le due procedure, affronta anche il nodo delle ricadute che l’opzione prescelta, quella della riunione dei giudizi per ragioni di connessione (in luogo della improcedibilità dell’istruttoria fallimentare, o della sua sospensione per pregiudizialità), ha sul tema dei limiti
del controllo giudiziale sulla fattibilità del piano di concordato, e del come il giudice debba assolvere, in un
momento anticipato, al difficile compito rimessogli dalla Cassazione di «verificare in concreto, in relazione
alle peculiarità del caso concreto, il rapporto di priorità tra le due procedure.
1. I termini del problema
La questione dei rapporti tra concordato e fallimento in pendenza dell’istruttoria fallimentare è tema
classico, un tempo declinato in base all’efficacia di
prevenzione ricollegata alla domanda di concordato
rispetto al fallimento («l’imprenditore che si trova
in stato d’insolvenza, fino a che il suo fallimento
non è dichiarato, può proporre ai creditori un concordato preventivo» cosı̀ l’art. 160 l.fall. nel testo
anteriore al 2005), e successivamente rimesso, dalla
riforma delle procedure concorsuali, alle opzioni degli interpreti, in difetto di una norma espressa che
statuisca in modo chiaro sul punto.
È tema che si presenta sempre con maggiore frequenza nell’esperienza giudiziaria, a maggior ragione
oggi, dopo l’introduzione, ad opera della L. 7 agosto
2012, n. 134, della possibilità di presentare una domanda di concordato ‘‘in bianco’’, ai sensi dell’art.
161, sesto comma, l.fall., con i medesimi effetti protettivi, estesi alle azioni cautelari (cui è stata aggiunta la previsione di inefficacia per le ipoteche
giudiziali iscritte nei novanta giorni anteriori alla
pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese),
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che l’art. 168 l.fall. riconduceva in precedenza alla
domanda di concordato ‘‘piena’’, e che consentono
di evitare quell’aggressione al patrimonio del debitore che normalmente accompagna l’avvio dell’istruttoria fallimentare, non operando il divieto dell’art. 51 l.fall. fino alla dichiarazione di insolvenza.
Sempre più spesso il debitore, non appena viene
presentata istanza di fallimento, deposita ricorso per
concordato (oggi, di norma, per concordato ‘‘in
bianco’’), in modo da impedire le iscrizioni ipotecarie e l’avvio, o il procedere, delle azioni cautelari ed
esecutive individuali, ma anche, au fond, con la
convinzione che la presentazione della domanda di
concordato non sarà priva di effetti sulla procedura
fallimentare, anche se nessuna norma della legge
fallimentare si preoccupa di regolare in modo esplicito quegli effetti. Del resto, «il concordato preventivo, come chiaramente suona il suo nome, è diretto ad impedire la dichiarazione di fallimento» (1).
Alla domanda su come debba essere gestito il rapNota:
(1) A. Butera, Moratoria, concordato preventivo, procedura dei
piccoli fallimenti, Torino, 1938, 72.
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porto intercorrente tra le due procedure non viene
data una risposta univoca: diverse, infatti, sono le
soluzioni che emergono dalle prassi dei tribunali di
merito, raccolte da un’indagine del 2009 (2), rispetto alle indicazioni che ha offerto la Corte di
Cassazione, in una serie di pronunce rese in proposito a partire da quel medesimo anno (3).
Mentre l’opzione prevalente emersa dall’indagine
sugli orientamenti dei tribunali compiuta nel 2009
era la sospensione della procedura prefallimentare
con apposito provvedimento (28%), in alternativa
alla dichiarazione di improcedibilità in applicazione
dell’art. 168 l.fall., con atto ricognitivo della proposizione del ricorso per concordato emesso fuori
udienza e senza formalità particolari (14,7%), di tenore diverso, seppure di segno non sempre coincidente tra loro, sono le indicazioni provenienti dal
giudice di legittimità.
Più precisamente, la Corte, dopo una prima decisione (4) in cui aveva richiamato l’idea della pregiudizialità del concordato rispetto al fallimento, successivamente superata, ha affermato, in sintesi: il venir
meno del criterio della prevenzione, che portava a
posporre la pronuncia di fallimento al previo esaurimento della soluzione concordata della crisi dell’impresa, in ragione del già ricordato inciso contenuto
nell’art. 160 l.fall. previgente (secondo cui il debitore poteva proporre la domanda di concordato finché
il fallimento non fosse stato dichiarato); l’impossibilità di ricavare analoga regola, in via interpretativa,
dai principi vigenti in materia, non avvalorandone
la fondatezza il generico favor per le soluzioni negoziali della crisi consacrato nel sistema concorsuale
novellato; l’insussistenza di una pregiudizialità necessaria tale da legittimare la sospensione del processo prevista dall’art. 295 c.p.c.; l’esclusione dell’ammissibilità di forme di sospensione impropria o
atecnica, non previste dal codice di rito; l’esclusione
che la possibilità accordata al debitore di proporre
al giudice una procedura concorsuale alternativa al
fallimento rappresenti un fatto impeditivo della pronuncia di fallimento, costituendo la stessa, invece,
una mera esplicazione del diritto di difesa del debitore che in ogni caso non gli consente di disporre
unilateralmente e potestativamente dei tempi del
procedimento fallimentare (5); la necessità, di conseguenza, che sia il giudice a bilanciare le opposte
iniziative, coordinando quella del debitore con gli
interessi sottostanti la procedura fallimentare.
Da ciò la conclusione per cui il nesso d’indubbia
consequenzialità logica tra la procedura di concordato e quella di fallimento non si traduce in una
consequenzialità procedimentale (ovvero non im-
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pone che possa darsi corso all’istruttoria fallimentare solo in quanto si sia esaurita la procedura alternativa), perché questo, da un lato, porterebbe ad
un caso di sospensione estraneo alla previsione del
codice di rito; e, dall’altro, violerebbe il principio
costituzionale della ragionevole durata del processo.
Né comporta alcuna consequenzialità tra provvedimenti, da intendersi nel senso che, conclusasi la fase prefallimentare, la sentenza di fallimento debba
necessariamente rendere conto del giudizio espresso
sulla proposta di concordato, quando vi sia comunNote:
(2) M. Ferro, A. Ruggiero, A. Di Carlo (a cura di), Concordato
preventivo, concordato fallimentare e accordi di ristrutturazione
dei debiti, Torino, 2009, 28 ss.
(3) Cfr., in particolare, Cass. 24 ottobre 2012, n. 18190 (i cui
passaggi sono ripresi in modo identico dalla successiva Cass.,
sez. un., 23 gennaio 2013, n. 1521, che si è pronunciata principalmente sulla questione della fattibilità del concordato, ma ha
affrontato anche il tema dei rapporti concordato-fallimento), in ilFallimentarista, con nota di F. Rolfi, I rapporti tra concordato preventivo e fallimento: equivoci processuali di una questione sostanziale e in questa Rivista, 2013, 699 ss., con nota di F. Casa,
Del rapporto tra istruttoria fallimentare e concordato preventivo:
le ‘‘vecchie’’categorie della sospensione e della improcedibilità,
i ‘‘nuovi’’ idoli dell’abuso del diritto e del processo; Cass. 8 febbraio 2011, n. 3059, ivi, 2011, 1201, con nota di F. De Santis,
Ancora sui rapporti tra istruttoria prefallimentare e procedura
concordata di soluzione della crisi d’impresa; in Dir. fall., 2011,
II, 453, con nota di M. Farina, Il deposito di istanza di concordato preventivo non dà luogo a sospensione dell’istruttoria prefallimentare; Cass. 4 settembre 2009, n. 19214, in questa Rivista,
2010, 427, con nota di F. De Santis, Legittimazione ad agire del
pubblico ministero per la dichiarazione di fallimento e rapporti
con le procedure concorsuali alternative; Cass. 5 giugno 2009,
n. 12986, ibidem, 445, con nota di P. Genoviva, Il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento.
Per una attenta ricognizione dello stato della giurisprudenza, v.
anche Trib. Terni, 25 febbraio 2013, in www.ilcaso.it. In argomento v., da ultimo, App. Torino, 9 luglio 2013, ined.
(4) Cass. 5 giugno 2009, n. 12986, cit.
(5) Da qui l’idea, che ha ricevuto applicazione concreta in taluni
casi (v. Trib. Prato, 4 febbraio 2011, in Dir. fall., 2011, II, 340,
con commento di S. Pacchi, Provvedimenti cautelari e conservativi su richiesta del debitore in attesa di un accordo di ristrutturazione), prima dell’introduzione della c.d. domanda ‘‘in bianco’’,
di utilizzare il rimedio cautelare dell’art. 15, ottavo comma, l.fall.,
quando occorresse una dilazione necessaria a predisporre il piano concordatario o a chiudere gli accordi, e il Tribunale non intendesse semplicemente ‘‘dare tempo’’ al debitore (come ha
fatto invece nel caso Risanamento: Trib. Milano 10 novembre
2009, in questa Rivista, 2010, 195, con note di M. Fabiani,
«Competizione» fra processo per fallimento e accordi di ristrutturazione e altre questioni processuali; G. B. Nardecchia, La relazione del professionista ed il giudizio di omologazione negli accordi di ristrutturazione dei debiti; e in Corr. giur., 2010, 109,
con nota di V. Colesanti, Crisi d’impresa, accordi di ristrutturazione e insolvenza («prospettica»)), oppure fosse necessario tranquillizzare l’ambiente circostante, ormai privo di fiducia nell’imprenditore. Sulle applicazioni possibili dell’art. 15, ottavo comma, l.fall., in questa direzione, v., si vis, il mio La tutela cautelare
del patrimonio e dell’impresa nell’art. 15 l.fall. alla luce della novità della l. 7 agosto 2012, n. 134, in Diritto delle imprese in crisi
e tutela cautelare, a cura di F. Fimmanò, Milano, 2012, 79 ss.
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que già stata l’iniziativa di parte, necessaria e sufficiente, ex art. 6 l.fall., a che si esaminino i presupposti per la dichiarazione di insolvenza (6).
Piuttosto, il coordinamento sarà realizzato dallo
stesso giudice fallimentare che darà precedenza all’una o all’altra procedura, nel rispetto delle garanzie di difesa, del debitore rispetto alle istanze di fallimento, e dei creditori rispetto alla domanda di
concordato, e che, nella motivazione dell’eventuale
dichiarazione di fallimento, darà conto della sussistenza dei presupposti oggettivo e soggettivo che lo
legittimano, ai sensi degli artt. 1 e 5 l.fall., a dar
corso alla procedura attivata dal creditore.
Della correttezza o meno, sul piano processuale,
della soluzione offerta dalla Suprema Corte (peraltro parzialmente rivista in una recente pronuncia
della prima sezione civile, che è ritornata sulla soluzione della improcedibilità ex art. 168 l.fall.) (7) si
dirà più avanti.
Intanto preme rilevare che il tema è inevitabilmente
collegato a quello degli spazi del sindacato giudiziale
rispetto alla soluzione concordata della crisi d’impresa, e del bilanciamento tra autonomia negoziale ed
eteronomia giudiziale, dal momento che l’opzione
della trattazione congiunta dei due procedimenti,
con l’affidamento al giudice della scelta dell’interesse
cui dare prevalenza (tra quello del debitore alla composizione negoziale della crisi e quello del creditore
istante alla liquidazione concorsuale), rimette al tribunale un potere piuttosto ampio, nella determinazione della via che questi reputi prioritario percorrere in concreto, senza il condizionamento derivante
dal doversi pronunciare in ogni caso sulla domanda
di concordato prima di dichiarare il fallimento.
La questione è stata ripresa dalle Sezioni unite anche in occasione dell’intervento sui limiti del controllo giudiziale in ordine alla fattibilità del concordato, laddove, con la pronuncia 23 gennaio 2013,
n. 1521 (8), la Corte ha richiamato e fatto proprie
Note:
(6) Fermo restando che, in ogni caso, l’iniziativa può provenire
dal P.M., su segnalazione del giudice dell’istruttoria fallimentare,
anche ove questa dovesse essersi arrestata in conseguenza di
una dichiarazione di improcedibilità assunta in conseguenza della presentazione della domanda di concordato.
Cass., sez. un., 18 aprile 2013, n. 9409, in Rep. Foro it., 2013, voce Fallimento, n. 76, ha infatti definitivamente chiarito che, tra i
procedimenti civili dai quali può essere segnalata l’insolvenza al
P.M., affinché questi eserciti il proprio potere d’iniziativa, è ricompreso il giudizio ex art. 15 l.fall., cosı̀ ponendo fine ai dubbi della
giurisprudenza in ordine alla possibile equivalenza tra segnalazione al P.M. e iniziativa d’ufficio, non più prevista dal sistema (nel
senso che iniziativa d’ufficio e segnalazione al p.m. sono due cose diverse, dal momento che, una volta effettuata la segnalazione, è il P.M. che valuta la notizia pervenuta e decide autonomamente se ricorrono i presupposti per dar corso alla presentazione
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dell’istanza di fallimento, Trib. Padova 8 febbraio 2011, in Dir. fallim., 2011, II, 206). Nello stesso senso delle sezioni unite, già
Cass. 14 giugno 2012, n. 9781 (seguita da Cass. 15 giugno
2012, n 9857 e 9858, tutte redatte dal medesimo estensore, Didone, e decise dal medesimo collegio), in Dir. Fall., 2012, 595,
con commento di Fichera, con la quale la Corte aveva mostrato
di voler superare il principio, espresso da Cass. 26 febbraio
2009, n. 4632, in Foro it., 2009, I, 1404, per il quale la segnalazione al P.M. non poteva pervenire, pena la nullità della sentenza dichiarativa del fallimento, dal tribunale fallimentare che avesse rilevato l’insolvenza nel corso di un procedimento prefallimentare.
(7) Secondo Cass. 11 giugno 2013, n. 14684, in www.ilcaso.it,
l’esigenza di coordinamento tra le procedure, postulata dalle pronunce della Cassazione che abbiamo ricordato, ben può realizzarsi attraverso una dichiarazione di improcedibilità, «non essendo
concepibile una concomitante attività istruttoria e decisoria su
due fronti giudiziari strettamente connessi, ma aventi presupposti
ed esiti totalmente divergenti»: dichiarazione di improcedibilità
che viene resa ex art. 168 l.fall. sul presupposto, ritenuto dal giudice di merito, della equiparabilità della domanda di fallimento,
quanto ai suoi effetti, ad una esecuzione forzata di natura collettiva. Nel senso che, invece, tra le azioni esecutive colpite dalla
sanzione della nullità non possa essere ricompresa l’istanza di fallimento, dal momento che questa dà avvio, piuttosto, ad un giudizio di cognizione che si concluderà con una pronuncia la quale
soltanto, se dichiarativa dell’insolvenza, aprirà l’esecuzione concorsuale, v. Trib. Milano 25 marzo 2010, in questa Rivista, 2011,
92, con note di A. Paluchowski, L’accordo di ristrutturazione ed il
controllo del tribunale nel giudizio di omologazione, e di F. Rolfi,
Gli accordi di ristrutturazione: profili processuali e ricadute sostanziali); Trib. Udine 22 giugno 2007, in questa Rivista, 2008, 701,
con nota di G. B. Nardecchia, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ed il procedimento per la dichiarazione di fallimento; App. Torino 17 luglio 2008, ibidem, 2009, 51, con nota di P. Genoviva, Rigetto della proposta di concordato preventivo e dichiarazione di
fallimento: questioni di diritto processuale e transitorio.
(8) Su cui i commenti non si contano. Si vedano, senza pretesa
di completezza, G. Travaglino, La ‘‘fattibilità’’ del concordato preventivo, in Corr. Merito, 2013, 403 ss.; I. Pagni, Del controllo del
tribunale sulla proposta di concordato dopo la sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521 (e sui rapporti tra concordato e fallimento), in
Corr. Giur., 2013, 641 ss.; L. Balestra, Brevi riflessioni sulla fattibilità del piano concordatario: sulla pertinenza del richiamo da
parte delle Sezioni unite alla causa in concreto, ivi, 2013, 383 ss.;
M. Fabiani, Guida rapida alla lettura di Cass. s.u. 1521/2013, in
www.ilcaso.it; Id., La questione ‘‘fattibilità’’ del concordato preventivo e la lettura delle sezioni unite, in questa Rivista, 2013,
156 ss. (con postille di F. De Santis, «Causa in concreto» della
proposta di concordato preventivo e giudizio «permanente» di
fattibilità del piano, ibidem, 279 ss.; I. Pagni, Il controllo di fattibilità del piano di concordato dopo la sentenza 23 gennaio 2013, n.
1521: la prospettiva ‘‘funzionale’’ aperta dal richiamo alla ‘‘causa
concreta", ibidem, 286 ss.; A. Di Majo, Il percorso ‘‘lungo’’ della
fattibilità del piano proposto nel concordato, ibidem, 291 ss.); F.
De Santis, Le Sezioni Unite ed il giudizio di fattibilità della proposta di concordato preventivo: vecchi principi e nuove frontiere, in
Società, 2013, 442 ss.; A. Didone, Le Sezioni unite e la fattibilità
del concordato preventivo, in Dir. fall., 2013, II, 1 ss.; M. Vitiello,
Il problema dei limiti del controllo del tribunale sulla fattibilità del
piano come risolto dalle Sezioni unite, in ilFallimentarista; F. Di
Marzio, Il principio di diritto sul giudizio di fattibilità della proposta
di concordato stabilito dalla Cassazione a sezioni unite, ibidem;
F. Lamanna, L’indeterminismo creativo delle SS.UU. in tema di
fattibilità del concordato preventivo: «cosı` è se vi pare», ibidem;
G.B. Nardecchia, La fattibilità al vaglio delle sezioni unite, in
www.ilcaso.it; N. Graziano, Brevi riflessioni interpretative a Cassazione, Sezioni Unite Civili, del 23 gennaio 2013 n. 1521, ibidem; L. Panzani, I nuovi poteri autorizzatori del Tribunale e il sindacato di fattibilità nel concordato, in Le Società, 2013, 565 ss.;
E. Scoditti, Causa e processo nel concordato preventivo: le sezioni unite alla prova della fattibilità, in Foro it., 2013, I, 1556 ss.
(segue)
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le considerazioni già svolte da Cass., 24 ottobre
2012, n. 18190, e, prima ancora, da Cass., 8 febbraio 2011, n. 3059 (9), ribadendo che la facoltà
per il debitore di proporre una procedura concorsuale alternativa al fallimento non rappresenta, per
il giudice di legittimità, un fatto impeditivo della
relativa dichiarazione, ma una semplice esplicazione
del diritto di difesa del convenuto nel giudizio ex
art. 15 l.fall., e che è solo l’organo giudiziario adito
a poter stabilire quale procedura debba avere la prevalenza, tra quella concordataria e quella fallimentare, valutando se la domanda di concordato appaia
o meno tale da consentire di superare lo stato di
crisi dell’impresa, alla luce degli elementi di giudizio forniti non solo dal debitore che ha presentato
il ricorso, ma anche dai creditori che hanno avanzato istanza di fallimento (10).
2. Le novità del Decreto sviluppo
(e del D.L. 21 giugno 2013, n. 69)
Sui termini del raccordo tra concordato e fallimento non incide, diversamente da quanto ritenuto da
alcuni, l’introduzione, col Decreto sviluppo, dell’art. 161, decimo comma, l.fall., secondo cui, in
pendenza dell’istruttoria fallimentare, e fermo quanto previsto dall’art. 22, primo comma (che disciplina il gravame contro il provvedimento con cui il
tribunale respinga il ricorso per la dichiarazione di
fallimento), il debitore che depositi ricorso per concordato in bianco si vede fissare il termine minimo
di sessanta giorni per la presentazione della proposta, del piano e della documentazione correlata.
Termine che oggi, col D.L. 21 giugno 2013, n. 69,
convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto
2013, n. 98 può essere peraltro ridotto «quando risulta che l’attività compiuta dal debitore è manifestamente inidonea alla predisposizione della proposta e del piano» (cosı̀ la modifica dell’ottavo comma dell’art. 161 l.fall., il quale prevede che l’abbreviazione avvenga «anche d’ufficio, sentito il debitore e il commissario giudiziale, se nominato»).
Al di là dei possibili significati attribuibili al riferimento al rigetto dell’istanza di fallimento (in proposito ne sono stati individuati almeno tre (11), tutti
diversi tra di loro), una volta che quel termine sia
decorso, le lancette dell’orologio si riportano alla situazione iniziale, anteriore alla novella del 2012, in
cui al medesimo ufficio giudiziario (al netto di eventuali problemi di competenza) (12) si presentano,
contemporaneamente, la domanda del debitore, volta alla sistemazione della crisi secondo le regole della
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procedura concordataria, e l’istanza del creditore,
che richiede l’apertura del concorso fallimentare.
Non vi è, infatti, nella previsione del decimo comma dell’art. 161 l.fall., alcuna indicazione nel senso
che la presentazione della domanda di concordato
costituisca fatto impeditivo della dichiarazione di fallimento, dal momento che, trascorso il termine concesso al debitore per predisporre la documentazione
necessaria, il tribunale si trova nella medesima condizione che la Cassazione ha ricostruito in termini di
coordinamento tra le procedure: né più né meno.
Piuttosto, ciò che si vuole, prescrivendo la concessione del termine, è consentire quel confronto effettivo
Note:
(segue nota 8)
Per uno dei primi casi in cui sono stati applicati i principi della
sentenza 1521/2013, in un concordato con cessione dei beni, v.
Cass. 9 maggio 2013, n. 11014, Fall. Kontinental S.r.l. in Liquidazione c. Kontinental S.r.l. in Liquidazione, in DeJure.
(9) Vedile citate alla nota 3.
(10) Nel senso che la trattazione congiunta dei procedimenti consente al tribunale di «vagliare la sussistenza dei requisiti di ammissibilità della domanda di concordato anche alla luce del materiale
probatorio proveniente dal creditore istante per la dichiarazione di
fallimento», Trib. Novara 29 giugno 2012, in ilFallimentarista.
(11) Cosı̀, secondo F. Lamanna, Pre-concordato e procedura fallimentare pendente: il termine minimo e l’oscuro riferimento al
decreto di rigetto dell’istanza di fallimento, in ilFallimentarista, 7,
il decimo comma dell’art. 161 l.fall. mira a chiarire che il procedimento prefallimentare deve considerarsi pendente non solo
quando il Tribunale ancora non abbia assunto alcuna decisione
sull’istanza di fallimento, ma anche quando abbia deciso nel
senso della reiezione, e il decreto di rigetto non sia divenuto definitivo. Con riferimento a tale ipotesi, il legislatore avrebbe inteso precisare che il tribunale può in ogni caso concedere al debitore solo il termine minimo di 60 giorni, e non un termine maggiore, in conseguenza dell’avvenuto rigetto.
Diversamente, secondo P. Vella, Il controllo giudiziale sulla domanda di concordato preventivo ‘‘con riserva’’, in questa Rivista,
2013, 92, la preclusione rispetto alla possibilità di concedere un
termine superiore a sessanta giorni in pendenza dell’istruttoria
prefallimentare verrebbe meno quando il tribunale rigetti la domanda di fallimento, a prescindere dal fatto che penda il reclamo
contro tale decisione. In tal caso il giudice potrebbe fissare un
termine più ampio entro il limite massimo dei centoventi giorni.
Infine, a giudizio di L. Panzani, Speciale D.L. Sviluppo - Il concordato in bianco, in ilFallimentarista, 2, l’ultimo comma dell’art.
161 sarebbe semplicemente indicativo della possibilità, per il
Tribunale, di provvedere sull’istanza di fallimento a prescindere
dall’esame della domanda di concordato, come dimostra il fatto
che la norma consente la decisione sul rigetto della richiesta di
fallimento indipendentemente dalla presentazione della domanda di concordato in bianco.
(12) Sulla natura pregiudiziale della questione di competenza,
che deve risolversi preliminarmente anche in caso di ammissione al concordato preventivo dinanzi ad un tribunale diverso rispetto a quello avanti al quale sia stata presentata istanza di fallimento, visto che l’ammissione al concordato non determina
l’improcedibilità dell’istruttoria fallimentare e stante l’interesse
dei creditori alla concentrazione delle procedure, v. Cass. 13 luglio 2011, n. 15440, in questa Rivista, 2012, 621. V., inoltre,
App. Torino, 9 luglio 2013, cit.
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tra soluzione negoziale e liquidazione concorsuale che
solo in presenza di un piano contenente la descrizione
analitica delle modalità e dei tempi di adempimento
della proposta il giudice è in grado di compiere.
In questa logica, si comprende perché la giurisprudenza di merito abbia ritenuto necessaria la concessione del termine, prescrivendo un ritorno all’indietro dell’istruttoria fallimentare in un caso in cui la
domanda prenotativa era intervenuta dopo la conclusione dell’udienza ex art. 15 l.fall., ma prima della decisione sullo stato di insolvenza (13), anche se
il timore di utilizzi strumentali e dilatori del ricorso
ex art. 161, sesto comma, l.fall. può indurre il giudice, in casi come questi, ad interrogarsi se il ‘‘ritardo’’ non sia da leggere come l’espressione della volontà del debitore di sottrarsi a qualunque confronto in udienza sulla serietà della successiva proposta
di soluzione alternativa della crisi (14).
Mentre prima dell’introduzione dell’istituto del
concordato ‘‘in bianco’’, non vi era alcun diritto
del debitore ad ottenere un rinvio dell’istruttoria
fallimentare (15), oggi, invece, questo diritto viene
in qualche misura riconosciuto (sia pure con la possibilità di una contrazione del termine, successivamente alla presentazione della domanda con riserva, in base al D.L. 69/2013, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98), a condizione
che lo si eserciti nelle forme dell’art. 161, sesto
comma, l.fall.: in modo che il tribunale possa confrontare la forma di soddisfazione dei creditori proposta dal debitore con i risultati ottenibili attraverso la liquidazione concorsuale, effettuando quel bilanciamento degli opposti interessi che la Cassazione, in caso di concorrenza tra le due procedure, demanda alla valutazione del giudice.
Anche volendo evitare che la mera presentazione di
una domanda di concordato preventivo possa rallentare inutilmente l’istruttoria fallimentare, e a tal fine
consentire che, «qualora una domanda di concordato appaia prima facie priva dell’attitudine a superare
lo stato di crisi dell’azienda, che si palesa irreversibile», il tribunale possa «rilevare d’ufficio la radicale e
manifesta inadeguatezza del piano, quale vizio genetico della proposta formulata, dichiarando inammissibile la domanda per difetto di causa giustificatrice» (16), è evidente che il giudizio sulla natura meramente dilatoria e strumentale dell’avvio della procedura concordataria, o sul ricorrere di un’ipotesi di
abuso del diritto, potrà essere dato, con piena cognizione di causa, solo una volta che il tribunale avrà di
fronte la documentazione completa prescritta dall’art.
161 l.fall. e non soltanto la domanda prenotativa.
Un problema che può presentarsi è quello relativo
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alla applicabilità o meno della disciplina della sospensione feriale dei termini quando il ricorso per
concordato venga presentato in pendenza dell’istruttoria fallimentare.
In generale, al concordato quella disciplina viene ritenuta applicabile (17), sicché, quando la domanda
Note:
(13) App. Caltanissetta, 22 maggio 2013, in www.ilcaso.it, secondo cui, dopo la presentazione della domanda di concordato
‘‘in bianco’’, il tribunale non può svolgere nessuna valutazione,
ma è vincolato ad assumere solo il provvedimento col quale fissa il termine per l’integrazione della domanda medesima con la
necessaria documentazione. Ad avviso della Corte d’appello, al
tribunale è preclusa anche la valutazione sulla apparente strumentalità del ricorso, visto che «l’opzione chiara del legislatore
è quella di offrire al debitore una facoltà in qualsiasi momento
esercitabile per sospendere la procedura fallimentare e verificare le possibilità di soddisfare le pretese dei creditori, garantendo
al contempo la continuità aziendale». Sulle ragioni che avevano
indotto il giudice di primo grado a non concedere il termine e dichiarare il fallimento, si veda la nota che segue.
(14) Al di là della questione processuale che ha diviso i giudici
dei due gradi circa quale fosse il momento in cui il giudizio di fallimento doveva ritenersi definito (se il momento in cui viene assunta la riserva o quello in cui il provvedimento viene depositato), questione sulla quale, peraltro, incide anche la soppressione
della previsione che consentiva la presentazione della domanda
di concordato solo finché il fallimento non fosse stato dichiarato, quel che qui maggiormente interessa è il fatto che il giudice
di primo grado avesse, non del tutto a torto, ritenuto di dover
ravvisare nel deposito del ricorso successivo all’udienza, vista la
non particolare complessità della predisposizione di una domanda ‘‘in bianco’’, una ‘‘evidente’’ ‘‘strumentalità del ricorso’’ e
‘‘un autentico tentativo di sviamento abusivo dell’iter processuale’’, dal momento che «l’ammissibilità del concordato ‘‘in
bianco’’ avrebbe consentito al debitore di depositare il ricorso
stesso quantomeno nel corso dell’udienza (..) per dimostrare di
voler effettivamente presentare una seria proposta di soluzione
alternativa della propria pesante situazione debitoria» (Trib. Gela
22 febbraio 2013, in www.osservatorio-oci.org, 2013, Ms. 843).
La vicenda dimostra ancora una volta quanto sia delicato il compito rimesso al giudice e quanto questi, a torto o a ragione (sul
punto v. amplius, infra, testo e nota 33), si senta chiamato, sempre più spesso, ad evitare il proliferare di quelle che appaiono forme di abuso del nuovo concordato preventivo (per una vicenda
in cui l’abuso è stato ravvisato nel tentativo di una dilatazione ad
libitum dell’istruttoria fallimentare in conseguenza della presentazione della domanda di concordato e della successiva rinuncia ad
essa, con contestuale presentazione di nuova domanda di preconcordato, cfr. Trib. Milano, 4 ottobre 2012, in ilFallimentarista).
(15) Cass. 4 settembre 2009, n. 19214, cit.
Nello stesso senso, Cass. 27 maggio 2013, n. 13163, ined.,
che, con riferimento alla disciplina anteriore all’introduzione della
domanda di concordato ‘‘in bianco’’, ha negato che la mancata
concessione di un rinvio dell’udienza per consentire al debitore
di depositare istanza di ammissione al concordato preventivo
possa configurare violazione processuale che consenta la rimessione in termini, inerendo ‘‘esclusivamente al potere discrezionale del giudice di gestire la causa’’.
(16) Trib. Gorizia 9 novembre 2012, in Foro it., 2013, I, 1536,
con nota di G. Costantino, Sui rapporti tra dichiarazione di fallimento e concordato con riserva.
(17) Già con riferimento al regime anteriore alla riforma delle procedure concorsuali, la Cassazione aveva affermato (v., per tutte,
Cass., sez. I, 17 aprile 1993, n. 4541, in questa Rivista, 1993,
1113, relativa al termine per l’impugnazione della allora sentenza
(segue)
1079
Forum
Concordato preventivo e accordi
di concordato ‘‘in bianco’’ sia presentata col ministero del difensore (come vuole l’orientamento giurisprudenziale prevalente), la sospensione dovrebbe riguardare anche i termini del giudizio aperto da quella domanda (soprattutto se si ritiene, come reputo
corretto, che il procedimento di concordato sia uno
e unico, dal ricorso alla definitività dell’omologa),
stante la ratio che giustifica la sospensione feriale dei
termini, ovvero la necessità d’assicurare un periodo
di riposo a favore degli avvocati (18).
Nel caso in cui, però, la domanda di concordato sia
presentata nel corso dell’istruttoria fallimentare, l’esigenza della trattazione congiunta dei due procedimenti, da un lato, e, dall’altro, la deroga prevista
dall’art. 92 ord. giud., richiamato dall’art. 3 della L.
7 ottobre 1969 n. 742,l. n. 742, con riguardo alle
cause «relative alla dichiarazione ed alla revoca dei
fallimenti», produrrà l’effetto di una applicazione
della deroga anche ai termini interni al giudizio di
concordato, dato che la ritardata trattazione potrebbe procurare grave pregiudizio alle parti, giustificandosi cosı̀ la deroga alla sospensione feriale.
3. Rapporti tra concordato e fallimento
tra pregiudizialità dipendenza
e coordinamento tra le procedure
Le conclusioni raggiunte dalla Corte di Cassazione
(volte ad escludere la necessità che la trattazione
dell’istruttoria fallimentare sia subordinata all’avvenuta definizione della procedura concordataria)
debbono essere misurate alla luce del non facile inquadramento, nelle categorie del diritto processuale
generale, dei rapporti tra oggetto del processo di
concordato e quello di fallimento.
Scriveva Candian nel 1937 (19) che «la natura
giuridica della domanda di concordato non è la medesima della cd. domanda di fallimento, anzi è profondamente diversa. L’attuazione di quest’ultima è
l’oggetto di un obbligo giuridico imposto al cessante
nell’interesse dello Stato e dei creditori», mentre la
domanda di concordato ha per contenuto «l’affermazione di una pretesa: la pretesa è che al concorso
fallimentare venga sostituito il concorso preventivo». E anche oggi, seppure il procedimento per la
dichiarazione di fallimento sia stato portato sul terreno del processo di parti, non è affatto semplice il
confronto tra le due procedure, non solo a motivo
della peculiarità di ciò che ne costituisce l’oggetto,
ma anche a cagione della particolare natura dell’attività giurisdizionale che in esse si svolge.
Per utilizzare termini di possibile raffronto, dobbiamo
immaginare che, nell’istruttoria fallimentare, a segui-
1080
to di deposito del ricorso ex art. 161 l.fall., si fronteggino la domanda del debitore, volta alla sistemazione
della crisi secondo le regole della procedura concordataria, e una omologa, e incompatibile, domanda
del creditore, volta alla regolazione dell’insolvenza
secondo le regole della liquidazione fallimentare. È
l’incompatibilità, dunque, il criterio di connessione
che più si avvicina - ma con tutte le difficoltà di
adattamento di cui ora diremo - a quanto avviene
con riferimento ai due giudizi che ci occupano.
La prima domanda dovrà essere esaminata nell’ambito di un procedimento camerale dall’oggetto incerto, a metà strada tra un processo nel quale il giudice interviene a risolvere una controversia tradizionale tra creditori e debitore (20), ed un giudizio
- in cui non si decide su diritti - nel quale il provvedimento serve a verificare la conformità del negozio al parametro di legalità ed a consentire allo
stesso di produrre i propri effetti.
La seconda verrà trattata in un giudizio camerale
anch’esso, ma con tratti che ricordano la cognizione piena (tanto che se ne predica questo tipo di natura) (21), e in cui è più semplice immaginare un
Note:
(segue nota 17)
di omologa), che il concordato non si sottrae alla sospensione
durante il periodo feriale sul presupposto che la deroga alla sospensione medesima, prevista per le «cause inerenti alla dichiarazione o revoca del fallimento», non è estensibile a procedure
concorsuali diverse da quella fallimentare, ancorché possano
implicare di riflesso l’apertura (o la revoca) del fallimento.
A ciò si aggiunga che il novellato art. 36 bis l.fall., nello stabilire,
con una disciplina autonoma dei termini processuali, che non
sono sospesi quelli che attengono ai reclami di cui agli art. 26 e
36 l.fall., ha indotto dottrina e giurisprudenza a ritenere che in
tutti gli altri casi la sospensione feriale si applichi (in questo senso, Cass., sez. I, 4 febbraio 2009, n. 2706, in questa Rivista,
2009, 789, con nota di L. Panzani).
(18) In questo senso, con riferimento al termine da concedere
per la presentazione della proposta di concordato, del piano e
della documentazione prevista dall’art. 161, secondo e terzo
comma, l.fall., «stante l’indubbia natura processuale del termine
medesimo», Trib. Roma 3 luglio 2013, in www.ilcaso.it.
(19) A. Candian, Il processo di concordato preventivo, Padova,
1937, 137.
(20) Quale sarebbe quello in cui si decidesse del diritto del singolo creditore a non vedere compromesse le proprie ragioni di
credito: ragioni, che verranno incise, ma non decise, dal provvedimento di omologa, analogamente a quel che avviene, ad
esempio, per i rapporti contrattuali sui quali andrà ad incidere la
scelta di non procedere col fallimento, e regolare la crisi d’impresa nelle forme della procedura concordataria.
(21) F. De Santis, Il processo per la dichiarazione di fallimento,
in F. Galgano (diretto da), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, Padova, 2012, 155 ss. Sulla natura
del procedimento v. anche, da ultimo, C. Cecchella, Il processo
per la dichiarazione di fallimento. Un rito camerale ibrido, Padova, 2012, 96.
Anche secondo la Cassazione, del resto, l’art. 15 l.fall. avrebbe
(segue)
Il Fallimento 9/2013
Forum
Concordato preventivo e accordi
oggetto più tradizionale, rappresentato dal diritto
del creditore a che la soddisfazione della sua pretesa
sia regolata secondo la legge del concorso (22).
Due giudizi che, all’evidenza, presentano caratteristiche che rendono meno immediato il ricorso alle
categorie tradizionali della connessione, non solo
per pregiudizialità dipendenza (del fallimento dall’esito negativo del concordato), ma anche per incompatibilità (tra diritto del debitore e diritto del
creditore ad una opposta modalità di regolazione
della crisi). Ma in cui, soprattutto, al di là del tipo
di connessione ravvisabile, l’istituto della sospensione faticherebbe comunque ad operare, per la diversità di soggetti che sono parte dei giudizi, per la natura sommaria dei procedimenti (o almeno di uno
di essi), e per la difficoltà di predicare l’obiettivo
della battuta d’arresto dell’istruttoria fallimentare
nei termini, tradizionali, della necessità di evitare
un conflitto di giudicati (23).
Non minori difficoltà concettuali presenta la soluzione del ricorso all’art. 168 l.fall., e dell’inclusione,
nel divieto delle azioni esecutive, anche dell’istanza
per la dichiarazione di fallimento (24). L’istruttoria
fallimentare ha infatti piuttosto la natura di un processo di cognizione che sfocia in una pronuncia che
ha insieme portata costitutiva (perché modifica lo
status dell’imprenditore) ed esecutiva (dal momento
che apre alla liquidazione concorsuale), ed è solo,
perciò, rispetto a quest’ultima che può immaginarsi
l’operatività dell’effetto protettivo prodotto dalla
pubblicazione del ricorso per concordato nel registro delle imprese. Senza contare che la ratio della
protezione, che è quella di evitare aggressioni individuali al patrimonio dell’imprenditore che possano
portare ad una dispersione dei valori in esso contenuti, non è invocabile allo stesso modo con riferimento ad una esecuzione concorsuale, quale è quella del fallimento, dove l’attivo è appreso nell’interesse dell’intera massa creditoria.
Di qui la condivisibile conclusione, raggiunta dalla
Cassazione già nella sentenza del 2011 (dopo un
primo accenno, successivamente superato, nella direzione della pregiudizialità tra i procedimenti) (25), che sia impossibile disporre la sospensione,
ai sensi dell’art. 295 c.p.c., del processo per la dichiarazione di fallimento in attesa dell’esito della
procedura concordataria. E che, una volta preso atto
dell’assenza di forme di sospensioni improprie o
atecniche, non consentite dal codice di rito (26),
ed esclusa l’idea della improcedibilità, la soluzione
preferibile sia quella della trattazione congiunta dei
procedimenti, in modo da consentire al Tribunale il
coordinamento dell’andamento dei giudizi con una
Il Fallimento 9/2013
visione complessiva, da un lato, del modo col quale
il debitore prospetta il soddisfacimento dei creditori
e, dall’altro, delle ragioni dei creditori che hanno
fatto istanza per la dichiarazione di fallimento.
Note:
(segue nota 21)
«strutturato un procedimento per la dichiarazione di fallimento a
carattere contenzioso ed a cognizione piena con trattazione in
udienza in cui viene assicurato in modo completo il contraddittorio tra le parti ed il diritto di difesa»: Cass. 2 aprile 2012, n.
5257, in Foro it., 2012, I, 2080, con nota di M. Fabiani.
(22) È questa, ad esempio, la ricostruzione di M. Fabiani, Contratto e processo nel concordato fallimentare, Torino, 2009, 233
ss., che individua l’oggetto del procedimento per dichiarazione
di fallimento nel «diritto del creditore (recte, potere) a che la
soddisfazione della sua pretesa sia regolata secondo la legge
del concorso» e ipotizza uno speculare diritto del debitore, nel
concordato preventivo, di regolare il proprio dissesto secondo le
regole della soluzione negoziata della crisi.
(23) Nel senso che, per questo tipo di ragioni, non si possa ricorrere all’istituto della sospensione nel procedimento sommario di cognizione oppure nella fase sommaria del giudizio di convalida di sfratto, Cass. 2 gennaio 2012, n. 3, in Giusto proc. civ.,
2012, 157, con nota di G. Trisorio Liuzzi, Il procedimento sommario di cognizione e la sospensione per pregiudizialità; Cass.
civ., sez. VI, 13 luglio 2011, n. 15420, in Rep. Foro it., 2011, voce Sfratto, n. 6; Cass., sez. III, 22 maggio 2008, n. 13194, ivi,
2008, voce Procedimento civile, n. 187.
(24) Sul punto v. retro, alla nota 7.
(25) Ad avviso della pronuncia del 2009 (Cass. 5 giugno 2009,
n. 12986, cit.), infatti, tra i due procedimenti deve scorgersi
«evidentemente un rapporto di pregiudizialità, come si desume
dalla l.fall., art. 162, che prevede la dichiarazione del fallimento
come conseguenza pur solo eventuale della dichiarazione di
inammissibilità della domanda di concordato preventivo». Esclude il ricorrere di una connessione per pregiudizialità in senso
tecnico, pur riconoscendo che gli esiti dell’un giudizio influenzano quelli dell’altro, F. De Santis, Legittimazione ad agire del Pubblico Ministero per la dichiarazione di fallimento e rapporti con
le procedure concorsuali alternative, cit., 434, in nota a Cass. 4
settembre 2009, n. 19214, cit.
Di pregiudizialità, a proposito però del rapporto tra procedimento
per la dichiarazione di fallimento e quello per omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (dove la fattibilità dell’accordo, liberando risorse a vantaggio dei creditori estranei e rimuovendo perciò lo stato di insolvenza, viene vista come questione pregiudiziale rispetto al presupposto della declaratoria di
fallimento), fa parola il Tribunale di Milano, in due pronunce rese
tra il 2009 e il 2010, la prima delle quali relativa al già citato caso
Risanamento (Trib. Milano, 10 novembre 2009, cit.); v., inoltre,
Trib. Milano 25 marzo 2010, cit.
Secondo M. Fabiani, «Competizione» tra processo per fallimento
e accordi di ristrutturazione e altre questioni processuali, in questa Rivista, 2010, 210, nel caso degli accordi di ristrutturazione (e
diversamente dal concordato, dove il rapporto tra i diritti oggetto
dei giudizi viene predicato in termini di incompatibilità), «il decreto di omologazione costituirà un accertamento pregiudiziale sulla
insussistenza dello stato di insolvenza, vincibile, però, con la dimostrazione della incapacità, in concreto, dell’imprenditore di far
fronte regolarmente ai debiti nei confronti dei non aderenti».
(26) Cosı̀ Cass., sez. un., 18 ottobre 2003, n. 14670, in Foro it.,
2004, I, 1474, con nota di G. Trisorio Liuzzi, Le sezioni unite cassano la sospensione facoltativa del processo civile, dove si afferma che «nell’attuale sistema non vi è più spazio per una discrezionale e non sindacabile facoltà di sospensione del processo,
esercitabile fuori dai casi tassativi di sospensione legale».
1081
Forum
Concordato preventivo e accordi
Visione complessiva che, scendendo nel concreto, significa che il giudice aprirà contemporaneamente il
fascicolo del concordato e quello del fallimento, ed
esaminerà i profili rimessi al proprio sindacato dalle
Sezioni unite nella sentenza 1521/2013, utilizzando, a
tale scopo, gli elementi portati al suo giudizio dal debitore, con l’ausilio dell’attestazione, dai creditori istanti
ex art. 6 l.fall., e, oggi, dal commissario eventualmente
nominato in base al D.L. n. 69/2013, convertito, con
modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98.
Qualora il coordinamento sia risolto a favore della
procedura maggiore, la decisione resa dal Tribunale
non dovrà tradursi necessariamente in due distinti
provvedimenti, uno sull’inammissibilità del concordato e l’altro sulla dichiarazione di fallimento, visto
che quest’ultimo assorbe il primo ex art. 162 l.fall. e
dato che, non essendo stata pronunciata né l’improcedibilità né la sospensione, con necessità di
conseguente riassunzione, l’iniziativa di parte è rimasta in vita, a sorreggere il processo per la dichiarazione di fallimento. Si osservi che, ai fini del rispetto dell’obbligo di audizione del debitore, quando pende procedimento per la dichiarazione di fallimento, secondo la Corte è sufficiente che lo stesso
sia stato sentito in relazione alla proposta di concordato e abbia avuto modo di illustrarla e di svolgere le proprie difese, mentre non è necessario che
al debitore siano contestate le eventuali ragioni di
inammissibilità, avendo l’imprenditore, nel presentare in udienza la proposta di concordato anziché
depositarla come avviene di norma, visto pienamente garantito il proprio diritto di difesa (27).
4. Conclusioni
La riunione dei giudizi è soluzione corretta sotto il
profilo processuale, in ragione della connessione
esistente tra di essi nella forma dell’incompatibilità,
che è quel che, pur con tutte le riserve del caso, in
fondo più si avvicina alla fattispecie che ci occupa.
Il che permette, come detto, la riunione ex art. 274
c.p.c., istituto generale dell’ordinamento processuale, il quale, diversamente dalla sospensione, non
rinviene ostacoli nella particolare struttura dei procedimenti in questione (28).
Ma non si può non vedere che il coordinamento
dell’andamento dei giudizi che ne consegue, nella
prospettiva prescelta dalla Cassazione, finisce per rimettere al Tribunale, in un momento oltretutto anticipato rispetto a quello tradizionale e in cui la
presenza dei creditori è oggettivamente limitata, un
compito particolarmente delicato nella valutazione
del modo più corretto di bilanciare le opposte iniziative, e di raccordare l’interesse alla composizione
1082
negoziale della crisi con l’esigenza che non si pregiudichino gli interessi sottostanti la procedura fallimentare, ritardando inutilmente una dichiarazione
d’insolvenza quando il concordato non abbia concrete prospettive di realizzazione.
Se questo è vero, dal quadro tracciato dalla Corte
con riferimento ai rapporti concordato-fallimento
emerge una ulteriore prospettiva dalla quale può essere esaminata anche la questione della fattibilità
del concordato: se, in pendenza di un’istruttoria fallimentare, è compito del tribunale non mandare
avanti in ogni caso la procedura concordataria, ma,
piuttosto, «verificare in concreto, in relazione alle
peculiarità del caso concreto, il rapporto di priorità
tra le procedure, previo l’indefettibile apprezzamento circa l’intento sottostante la soluzione pattizia»
(che è quanto ha ribadito la Cassazione anche da
ultimo, nella pronuncia resa a sezioni unite nel
gennaio scorso, a proposito del tema che adesso ci
occupa), hanno poco senso, in generale, letture eccessivamente restrittive del controllo giudiziario.
Quali sono quella che, con un’interpretazione particolarmente rigida di quanto le Sezioni unite hanno
inteso dire, ne confina lo spazio alle sole ipotesi in
cui le modalità attuative della proposta di concordato risultino incompatibili con norme inderogabili (29); o, per converso, quella che vuole ricavare
dalla modifica dell’art. 179 l.fall., nonostante la
Corte abbia ribadito la rilevabilità d’ufficio dell’infattibilità del piano, un’indicazione nel senso dell’impossibilità, una volta che i creditori abbiano
espresso la propria volontà, che lo scrutinio circa la
fattibilità abbia luogo d’ufficio, richiedendo quella
norma che il ‘‘cambiamento di scenario’’ sia prospettato dal Commissario giudiziale ai creditori e
sia fatto valere perciò soltanto da questi ultimi con
la costituzione nel giudizio di omologazione (30).
Note:
(27) Cass. 27 maggio 2013, n. 13083, ined.
(28) In questo senso, anche V. Colesanti, Crisi d’impresa, cit.,
123.
(29) Cosı̀ la Corte d’appello di Firenze, in una pronuncia del 27
febbraio 2013, in www.ilcaso.it, nella quale il Collegio, pur potendo scendere nel merito delle valutazioni compiute in primo
grado circa una presunta infattibilità del concordato (rilevandone
l’erroneità, anche sulla scorta di quanto emerso nella procedura
fallimentare aperta in esito all’insuccesso della proposta concordataria), ha preferito incentrare la revoca del fallimento e la conseguente apertura della procedura concordataria sull’affermazione, apodittica, che il giudice potrebbe discostarsi dalla valutazione del professionista attestatore solo «quando le modalità attuative [del piano] risultino incompatibili con norme inderogabili,
giammai, invece, ove entrino in discussione gli aspetti relativi alla fattibilità economica».
(30) In questi termini, S. Ambrosini, Contenuti e fattibilità del
(segue)
Il Fallimento 9/2013
Forum
Concordato preventivo e accordi
Il modo in cui il Supremo Collegio ha impostato i
rapporti tra concordato e fallimento quando penda
l’istruttoria fallimentare, avvalora cioè la convinzione - confermata, del resto, dal ricorso alla nozione
di causa concreta per misurare la fattibilità del piano - che la Corte, in generale, voglia riaffermare il
corretto rapporto tra autonomia negoziale e eteronomia giudiziale senza ridurre troppo il ruolo di
quest’ultima: un ruolo che, lungi dall’attribuire al
giudice funzioni di polizia, ne mantenga tuttavia
saldo il compito centrale di tutela degli interessi dei
terzi, non chiamati ad esprimere il proprio voto sulla proposta concordataria ma destinati a subire gli
effetti della sistemazione della crisi, a dispetto degli
slogan che vogliono il concordato unicamente un
‘‘affare del debitore e dei suoi creditori’’.
In questa ottica, nella quale l’intervento del giudice
non vuol essere espressione del desiderio nostalgico
di un ritorno al passato, né di una logica pubblicistica largamente superata dalla riforma delle procedure concorsuali, ma la conseguenza della scelta
normativa di conservare l’istituto dell’omologazione
(nella sua funzione, più alta, di controllo non meramente notarile, ma di verifica che i patti intervenuti siano conformi agli interessi di tutti coloro che ne
siano coinvolti, direttamente o indirettamente), si
comprende, e si spiega, l’opzione per una gestione
coordinata delle due procedure. A preferenza dell’automatica improcedibilità dell’istruttoria fallimentare, o della sospensione del giudizio per la dichiarazione di insolvenza, che sconterebbero le difficoltà teoriche che si sono ricordate.
La riunione delle procedure permette di tenere viva
l’originaria istanza di fallimento per l’ipotesi di naufragio della procedura alternativa (31) (senza niente
togliere alla necessità (32) di una riconvocazione
del debitore, perché sia sentito sulla dichiarazione di
insolvenza), e soprattutto permette una gestione accorta, da parte del tribunale, dell’incedere delle procedure. Una gestione che non può che essere rimessa alla sensibilità del giudice di merito, il quale, secondo la Cassazione, non deve indulgere ad un generico favor per la soluzione negoziale, dato che «il
concordato non è necessariamente prevalente rispetto al fallimento», ma che - questo è un punto che i
tribunali non devono mai dimenticare - neppure deve immaginare che la liquidazione fallimentare dia
necessariamente migliori risultati o comunque risultati equivalenti (spesso non è cosı̀, anche nei casi di
concordato liquidatorio, visto che le vendite fallimentari scontano i giochi al ribasso di chi intende
approfittare della dichiarazione di insolvenza).
E che deve compiere, piuttosto, un attento bilancia-
Il Fallimento 9/2013
mento dei diversi interessi in gioco, ad evitare, per
un verso, che una troppo affrettata dichiarazione di
fallimento pregiudichi inutilmente le potenzialità
che l’impresa ancora esprime, penalizzando l’occupazione, cosı̀ come, per il verso opposto, che una eccessiva dilatazione dell’istruttoria fallimentare serva
solo a ritardare il momento della presa d’atto che la
soluzione negoziale avvantaggerebbe solo alcuni creditori, pregiudicandone altri, ed eventualmente i terzi, e che, a parità di condizioni, nel fallimento vi è
spazio per azioni revocatorie e azioni di responsabilità che nel concordato non verrebbero attivate (33).
Note:
(segue nota 30)
piano di concordato preventivo alla luce della riforma del 2012,
in www.il caso.it, secondo cui la previsione dell’art. 179 l.fall.,
nel testo novellato, «attributiva di una rilevante facoltà ai creditori, può nondimeno rappresentare, al contempo, un limite all’esercizio di altre prerogative, nella misura in cui si ritenga - e la
formulazione della norma, letta in combinato disposto con l’art.
180, potrebbe in effetti autorizzare una conclusione siffatta che lo scrutinio circa la fattibilità del piano, effettuato dai creditori con l’esercizio del voto, non possa aver luogo, in sede di omologazione, se non nel caso espressamente contemplato dall’art.
179, 28 c., e pertanto non d’ufficio, né in assenza di mutamenti
delle condizioni di fattibilità del piano, ma solo, per l’appunto, in
presenza di una modifica del voto giustificata da un tale ‘‘cambiamento di scenario’’ e fatta valere con la costituzione nel giudizio di omologazione».
(31) Cosı̀ P. Genoviva, Rigetto della proposta di concordato preventivo e dichiarazione di fallimento: questioni di diritto processuale e transitorio, cit., 55 ss.; F. Rolfi, Gli accordi di ristrutturazione, cit., 109.
(32) Affermata da App. Venezia 4 novembre 2011, in questa Rivista, 2012, 201.
V. però, sul punto, Cass. 27 maggio 2013, n. 13083, cit., che ha
negato, con riferimento all’ipotesi in cui, nel corso dell’istruttoria
fallimentare, venga presentata all’udienza la proposta di concordato preventivo e successivamente ne vengano rilevati profili di
inammissibilità, la necessità di una nuova audizione del debitore.
(33) E ciò senza contare le ipotesi di vero e proprio abuso del
concordato, che hanno originato, dopo l’introduzione della disciplina del concordato in bianco, decisioni come quella del Tribunale di Milano 24 ottobre 2012, in questa Rivista, 2013, 77-78,
con commento di P. Vella, Il controllo giudiziale sulla domanda
di concordato preventivo ‘‘con riserva’’.
Sull’impiego della categoria dell’abuso del diritto nella materia
concorsuale, si vedano, inoltre, Cass., sez. I, 10 febbraio 2011,
n. 3274, in Foro it., 2011, I, 2095, con nota di A.M. Perrino, Abuso del diritto e concordato fallimentare: un tentativo di affermare
il principio della giustizia contrattuale? e in questa Rivista, 2011,
416 ss., con nota di N. Nisivoccia, Alcuni principıˆ in tema di concordato fallimentare; Cass., sez. I, 23 giugno 2011, n. 13817, in
questa Rivista, 2012, 225, con nota di A. Di Majo, La fattibilità
del concordato preventivo, cit.; Trib. Napoli 22 ottobre 2008, con
nota di M. Costanza, Perché ricorrere alle clausole generali quando è sufficiente l’applicazione della norma positiva? e in questa
Rivista, 2009, 463. V. inoltre G. Lo Cascio, Percorsi virtuosi ed
abusi nel concordato preventivo, ivi, 2012, 891 ss.
Sui rischi di un eccessivo ricorso alla categoria dell’abuso, con
riferimento alla materia processuale, si vedano le considerazioni
di C. Consolo, Note necessariamente divaganti quanto all’«abuso sanzionabile del processo» e all’«abuso del diritto come argomento», in Riv. dir. proc., 2012, 1284 ss.
1083
Forum
Concordato preventivo e accordi
Si tratta di un equilibrio non semplice, che presuppone l’abbandono della logica del sospetto nei confronti dell’imprenditore che presenta la proposta di
concordato, ma al tempo stesso anche della logica
opposta, che vuole scorgere ad ogni costo nell’intervento delle corti di merito una pulsione pubblicistica, assecondata nella letteratura di matrice
«giudiziaria» (34).
Sembra giunto il momento, infatti, a distanza ormai
di sette anni dalla riforma delle procedure concorsuali, di leggere il sistema per quello che è, senza interpretazioni ideologiche e suggestioni aprioristiche
che non aiutano a comprendere le ragioni per cui il
legislatore ha voluto conservare l’intervento del giudice in tutte le forme di composizione negoziale della crisi d’impresa (35). Un intervento che, per i medesimi motivi, deve sottrarsi alla tentazione di indirizzare ad ogni costo nella direzione del fallimento
un’attività d’impresa che possa esprimere ancora
delle potenzialità, o in cui l’attivo possa essere ceduto nell’ambito di un concordato senza che la liquidazione concorsuale possa aggiungere alcunché a
quanto sarebbe ottenibile con quest’ultimo: a patto,
però, che le potenzialità che l’impresa esprime vengano davvero messe a disposizione dei creditori e
non sprecate per le scelte erronee, o opportunistiche, dell’imprenditore prossimo al fallimento, né disperse in esorbitanti compensi distribuiti ai professionisti della crisi d’impresa (36), imposti - ma non
pagati - dai creditori istituzionali per la protezione
dei propri interessi e per controllare, nel tempo che
resta, il potere di gestione di un debitore nel quale
non nutrono più, da tempo, fiducia alcuna.
Il rischio di valutazioni di questo tipo, quali quelle
che la Cassazione appare rimettere al tribunale nelle pronunce sul tema dei rapporti concordato-fallimento, è, da un lato, che il ritardo col quale le imprese arrivano al concordato e il frequente ricorrere
di abusi portino il giudice a svolgere il proprio compito con una prudenza eccessiva e con una preferenza per il fallimento che non sempre è giustificata. Dall’altro, che si cada in giudizi di convenienza,
esclusi dal perimetro del sindacato giudiziale: richiedere che il giudice, nella gestione congiunta
dei due procedimenti, compia una valutazione comparata della sussistenza delle condizioni che legittimano il mandare avanti l’una o l’altra soluzione sulla base di quella che è, ad avviso del tribunale, la
scelta in grado di assicurare la soddisfazione di un
maggior numero di interessi, può apparire un modo
di anticipare, inammissibilmente, e altrettanto
inammissibilmente affidare al giudice, quella valutazione di convenienza che, una volta aperta la pro-
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cedura di concordato, è certamente riservata esclusivamente ai creditori.
A ben vedere, si potrebbe dire che altro è la convenienza, in quanto profilo rimesso ad una prospettiva
soggettiva, del singolo o della classe (e tale rimane,
del resto, anche nel giudizio di cram down, che viene
compiuto avuto riguardo alla miglior soddisfazione
di quel credito e di quella classe); ed altro è il giudizio
circa la soluzione che assicuri il maggior numero di interessi possibile, in una prospettiva generale, ovvero
un compito che è certamente rispondente alle ragioni dell’intervento giudiziale in un ambito pure rimesso all’autonomia negoziale. Ma è evidente che, come
per quanto attiene alla distinzione tra riscontro della
fattibilità ad opera (anche) del giudice, sotto il profilo giuridico (e a mio avviso anche economico, purché si rientri nelle ipotesi di difetto di causa in conNote:
(34) A questo proposito, M. Fabiani (in Foro it., 2011, I, 2308, in
nota alla già citata Cass., sez. I, 23 giugno 2011, n. 13817) sottolinea una sorta di contrapposizione che vi sarebbe tra la tendenza
interpretativa del giudice di legittimità a dare particolare risalto
agli interessi dei creditori, riducendo gli spazi del controllo giudiziario, e quella delle corti di merito e dei rappresentanti della procura generale ad intervenire in modo troppo penetrante nella sfera che dovrebbe essere riservata all’autonomia negoziale.
(35) Il che non vuol dire - lo precisiamo, ad evitare fraintendimenti
- che si debba rinunciare ad assumere una posizione sulla natura
negoziale o sulla eteronomia giudiziale del concordato preventivo,
tutt’altro (anzi, in questo senso, si veda lo sforzo ricostruttivo di
G. Lo Cascio, Concordato preventivo: natura giuridica e fasi giurisprudenziali alterne, in questa Rivista, 2013, 525 ss.). Ma perché,
piuttosto, sembra inevitabile concludere che le caratteristiche dell’istituto, oggi, ne fanno una figura in cui non è possibile affermare la prevalenza dell’una o dell’altra componente. La connotazione marcatamente privatistica del concordato, e l’abbandono di
una logica pubblicistica che vedeva in gioco l’interesse dello Stato, non sono sufficienti, infatti, ad escludere la rilevanza dell’intervento del giudice, chiamato ad evitare, a tutela della minoranza e
degli assenti, il proliferare degli abusi del diritto che non sembrano mancare nelle prime esperienze pratiche del nuovo concordato preventivo (e su cui v. ancora G. Lo Cascio, Percorsi virtuosi
ed abusi nel concordato preventivo, cit.) e che non significano necessariamente ritornare ad una logica pubblicistica, quale quella
che permeava il sindacato giudiziale in passato, ma possono anche più semplicemente riconoscere che il ruolo del giudice resta
«centrale, ai fini del conferimento di efficacia vincolante della proposta accettata, sintomatico dell’insopprimibile ruolo di garanzia
degli interessi molteplici in gioco» (cosı̀ Cass. 15 settembre
2011, n. 18864, est. Bernabai, in Foro it., 2012, I, 142, che aveva
segnato la necessità della rimessione alle Sezioni unite).
(36) Compensi, peraltro, prededucibili nel successivo fallimento
(cosı̀ Cass. 8 aprile 2013, n. 8533, in Rep. Foro it., 2013, voce
Fallimento, n. 67, per la quale «l’art. 111, comma 2, R.D. n. 267/
1942 (legge fallimentare), indica come prededucibili i debiti cosı̀
qualificati da una specifica disposizione di legge e quelli sorti in
occasione o in funzione di procedure concorsuali, tra i quali rientra quello contratto per prestazioni professionali finalizzate all’assistenza e alla redazione di un concordato preventivo»), sicché,
per evitare questi costi, occorrerebbe che, diversamente da
quanto avviene nei casi che ci occupano, l’apertura del fallimento non fosse preceduta da alcun tentativo di salvataggio dell’imprese nelle forme concordatarie.
Il Fallimento 9/2013
Forum
Concordato preventivo e accordi
creto) e riserva, ai soli creditori, dell’accettazione
dell’alea delle condizioni di mercato, anche qui i
confini tra ciò che è consentito e ciò che non lo è
rischiano di essere sfuggenti: ed è importante, per
questo, che quel confine non sia varcato per ragioni
che poco hanno a che fare coi principi della materia concorsuale e sono legate piuttosto a comprensibili crisi di rigetto verso un ricorso eccessivo allo
strumento concordatario; e che l’intervento giudiziale si mantenga sempre nei binari di un distacco e
di un equilibrio necessari ad evitare quella distruzione di valori economici, materiali e immateriali,
che spesso si accompagna al fallimento. «I prezzi di
una liquidazione forzata non sono i reali, e tanto
meno rappresentano il valore che gli elementi di
una azienda viva, operosa, hanno per chi la esercita. La capacità ed esperienza del debitore, la sua
clientela, non sono presi a calcolo», si leggeva nella
Relazione alla L. 24 maggio 1903, n. 197, portante
disposizioni sul concordato preventivo e sulla procedura dei piccoli fallimenti: sono considerazioni
che, mutato quel che vi è da mutare, possono valere ancora oggi, ad ammonire il giudice a non cadere
nella tentazione di reprimere rischi di abuso a prezzo del sacrificio delle ragioni stesse dei creditori.
È importante cioè che il Tribunale, nell’intervenire,
rifugga dalla tentazione di eccessive invasioni di
campo, che, stante la difficoltà di distinguere tra ciò
che rientra nella verifica della causa concreta e ciò
che è mera prognosi di insuccesso del piano, lo portino illegittimamente a sovrapporre le proprie valutazioni su quest’ultima a quelli che, un domani, potrebbero essere i diversi giudizi espressi dai creditori,
in questa fase peraltro ancora non presenti (se non
per quanto riguarda coloro che hanno presentato l’istanza di fallimento e quelli che il tribunale, oggi,
dopo il D.L. n. 69/2013, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98, può scegliere di
sentire in ogni momento). Ma, al tempo stesso, è
anche importante rifuggire da quell’esagerato self restraint che ha portato alcuni giudici di merito, nella
fase dell’ammissibilità o nel giudizio di omologa in
assenza di opposizioni (ma la Cassazione ha ricordato
che identico è il giudizio nei diversi momenti di ammissibilità, revoca e omologazione del concordato,
con o senza opposizioni), addirittura ad escludere
che la fattibilità del piano concordatario fosse un
profilo il cui difetto fosse rilevabile ex officio.
Chiarito oggi, con la sentenza delle Sezioni unite n.
1521/20123 che cosı̀ non è, il criterio che il tribunale deve seguire anche nella scelta su quale procedura
mandare avanti è lo stesso che, purché letto in una
chiave non troppo minimalista (37), ma tenuto con-
Il Fallimento 9/2013
to di tutti gli interessi in gioco, la Cassazione, nella
lettura a mio avviso più piana della pronuncia in discorso, ha scelto di utilizzare per il controllo sulla fattibilità del concordato: quello cioè per cui occorre
verificare in concreto se l’operazione negoziale proposta dal debitore garantisca davvero il superamento
della crisi, e non si limiti a procrastinare una dichiarazione di insolvenza, che farebbe venir meno la ragione giustificatrice (e con essa la causa) del sacrificio
sopportato dai creditori. Un controllo, cioè, che non
si limiti alle ipotesi, quasi di scuola, in cui la fattibilità sia stata ancorata ad un complesso di dati, la cui
sommatoria deponga viceversa in favore di conclusioni di segno opposto; o in cui sia impossibile, giuridicamente, dare esecuzione all’accordo, essendo stata
programmata la cessione di beni di proprietà altrui,
ma che arrivi a verificare con ampiezza l’inidoneità
della proposta, alla luce del piano, a soddisfare in
una qualche misura i diversi crediti rappresentati, nel
rispetto dei termini di adempimento previsti.
Una prospettiva funzionale, quella che il ricorso al
concetto di causa inevitabilmente porta con sé, che
richiede particolare cautela nella distinzione rispetto
alla prognosi di realizzabilità dell’attivo, che la Corte
vuole rimessa ai creditori, ma intendendo con questo,
come si diceva, riservare ad essi l’accettazione dell’alea delle condizioni di mercato, e non già l’autorizzazione al procedere di un concordato in cui sia già prevedibile l’esito negativo delle operazioni che scandiscono il piano (per ragioni di infattibilità giuridica od
economica poco importa, poiché è corretto ritenere,
per le ragioni che si sono dette, che quella distinzione
non debba essere eccessivamente enfatizzata) (38).
Del resto, la verifica di realizzabilità dell’assetto di
interessi prefigurato in contratto costituisce una delle tecniche operative più collaudate dello strumento
della causa: strumento, che viene utilizzato in tutte
le ipotesi che, come queste, stanno a metà strada tra
rilevanza strutturale e rilevanza funzionale, per sanzionare con la nullità l’operazione che le parti hanno in animo di realizzare, diversamente da quanto
avviene nel caso di semplice inattuazione degli obblighi discendenti dal contratto stesso, che porterà
con sé, piuttosto, il rimedio della risoluzione (39).
Note:
(37) Cosı̀, invece, M. Fabiani, La questione ‘‘fattibilità’’ del concordato preventivo e la lettura delle sezioni unite, cit., 166.
(38) Su questo punto si concorda con M. Fabiani, Guida rapida,
cit., 3; Id., La questione ‘‘fattibilità’’, cit., spec. 161.
(39) Sulla possibilità di predicare il difetto di causa in ipotesi di irrealizzabilità dell’assetto di interessi prefigurato nel contratto,
cfr. C. Scognamiglio, Problemi della causa e del tipo, in V. Roppo (diretto da), Trattato del contratto, II, Regolamento, a cura di
G. Vettori, Milano 2006, 135 ss.
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