Sul plagio letterario, artistico e musicale: la giurisprudenza italiana
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Sul plagio letterario, artistico e musicale: la giurisprudenza italiana
Sul plagio letterario, artistico e musicale: la giurisprudenza italiana dal 1856 ad oggi A cura di Roberto Caso e Giulia Dore pretura di venezia 24 aprile 1969 Ghirardini (Sentenza integrale) Giur. it., 1970, II, 146 Sul plagio letterario, artistico e musicale: la giurisprudenza italiana dal 1856 ad oggi (a cura di Caso, R., Dore, G.) PRETURA VENEZIA 24 aprile 1969 - NEPI Pretore. - Ghirardini e Alfieri, imputati. Omissis. - Con decreto penale 6 settembre 1968 il Pretore di Venezia condannò i nominati in epigrafe alla pena di lire 50.000 di multa ciascuno in ordine al reato rubricato per il quale si era proceduto a seguito di denuncia di Mora Guido. Il Mora aveva esposto nel suo atto di avere pubblicato un libro intitolato «Cento piatti veneziani di Guido Mora» illustrante le ricette praticate nella sua trattoria. Recentemente egli aveva constatato che Ghirardini Gianni aveva licenziato, come autore, un libro pubblicato a cura dell’editore Alfieri nel quale si trovava pedestremente riprodotto il contenuto dell’opera di esso Mora. Avverso il decreto gli imputati proposero rituale opposizione deducendo l’infondatezza della denuncia. Tratti a giudizio, entrambi gli imputati sono comparsi all’odierno dibattimento e pertanto il decreto è stato revocato. Il Ghirardini s’è poi giustificato dicendo di avere proceduto ad una semplice opera di raccolta e riordinamento di antiche ricette gastronomiche. Alla raccolta unì una prefazione e un’introduzione. Circa la provenienza delle ricette l’imputato ha asserito d’esservi valso di un vecchio opuscolo privo del nome dell’autore pubblicato nel 1908 e dimesso in copia in atti. Fu dunque il Mora ad utilizzare al par di lui quel vecchio materiale. L’Alfieri ha reso un interrogatorio in linea con quanto affermato dal Ghirardini soggiungendo infine che il volumetto del Mora non era destinato alla divulgazione attraverso la vendita ma veniva gratuitamente offerto alla clientela del ristorante. Il Pubblico ministero ha chiesto l’assoluzione degli imputati perché il fatto non sussiste. Nello stesso senso hanno concluso i difensori degli imputati. Oggetto specifico del presente esame è un opuscoletto intitolato « Cento piatti veneziani » di Guido Mora. Si tratta di un piccolo libro nel quale sono raccolte due brevi prefazioni elogiative del ristorante in cui l’opuscolo viene distribuito alla clientela e un certo numero di ricette gastronomiche. Si assume che il libro sia stato plagiato dagli imputati mediante un’opera che riprodurrebbe servilmente quella del Mora. Preliminare all’accertamento di un eventuale plagio è la delimitazione dell’ambito di applicazione della legge sul diritto d’autore. Solo in tal modo può invero decidersi dell’inclusione dell’opera in discorso tra quelle protette. Sostiene la difesa degli imputati che un’opera di compilazione come quella che consiste nel raccogliere e divulgare le ricette della cosiddetta arte culinaria sarebbe sottratta alla disciplina della legge in discorso. L’opinione che tende in tal modo a circoscrivere la protezione della norma non può essere condivisa. Essa muove da un’erronea individuazione dell’oggetto della tutela che viene fatto coincidere con l’invenzione gastronomica, cioè con l’idea, l’escogitazione culinaria, suggerita dal gusto e dalla sapienza artigiana, di combinare in certe dosi e con certi accorgimenti gli ingredienti della derrata. E poiché le idee non sarebbero nuove, il libro del denunciante non possiederebbe le caratteristiche di opera dell’ingegno di carattere creativo postulate dalla legge. Questa concezione, promuovendo l’idea, la sua novità e originalità ad oggetto specifico della protezione confonde l’invenzione scientifica, letteraria, artistica, ecc. con l’invenzione industriale che trova, proprio come tale, tutela nel diritto di brevetto e trascura invece completamente il modo di espressione dell’idea, il veicolo formale che nella specie è lo scritto. Ora è ben noto che oggetto della tutela della legge sul diritto d’autore non è l’idea in sé e per sé ma la sua rappresentazione intellettuale «qualunque ne sia il modo o la forma d’espressione» (art. 1 della legge). Oggetto è dunque l’opera dell’ingegno e tale è ogni prodotto dell’attività umana non riducibile ad un empirismo puramente meccanicistico ma quello generato con la mediazione dell’intelletto. Questa qualità si rintraccia la dove l’accostamento degli elementi noti esprime uno sforzo capace di rilevare l’elaborazione mentale. Giur. It., 1970, II, 146 1 Pret. Venezia, 24 aprile 1969, Ghirardini L’opera dell’ingegno deve poi possedere quel requisito della creatività per il quale si distingue da quanto sia già stato realizzato. L’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale del concetto di creatività ha portato a farlo consistere in quella che è stata chiamata originalità organica la quale risiede nella scelta, coordinazione, collocamento dei singoli elementi. In questa originalità sta il valore proprio della creatività. Per ciò che concerne un ricettario gastronomico è evidente che la sua forma letteraria, il modo cioè in cui l’autore esprime i concetti e gli argomenti, lo può iscrivere senza possibilità di equivoci tra le opere che la legge in discorso protegge istituendo il diritto di autore. Poiché, d’altro canto, in un’opera siffatta possono mescolarsi, come talora è avvenuto in alcuni celebrati trattati gastronomici, sia un contenuto propriamente letterario fatto di collegamenti aneddotici e di pause argute, sia un contenuto di carattere didattico - nel quale sta poi la sostanza dell’opera - appare maggiormente evidente quanto appena detto a riguardo dell’oggetto della tutela. Il quale è dato dalla sistemazione letteraria di tutta l’opera, sia delle ricette come delle divagazioni storiche o novellistiche, nel mentre il contenuto didattico, cioè i suggerimenti dell’arte culinaria, anche se originale e utile, non riceve protezione come tale dovendo rimanere a disposizione di tutti. E tanto ciò è vero che in qualsiasi manuale del genere si ritrovano sempre cose già note e cioè il grosso di un materiale distillato dalla sapienza gastronomica secolare. Ciò premesso appare evidente come il paradigma cui ci si deve riferire per valutare il carattere di organica originalità di creazione del manualetto «Cento antiche ricette di cucina veneziana» pubblicato dagli imputati non è già l’eventuale corrispondenza delle specialità in esso insegnate con quelle descritte nell’opuscolo «Cento piatti veneziani» sibbene, appunto, il modo di espressione letteraria. Dal confronto tra questi modi può scaturire la constatazione del plagio. Ora si osserva a questo riguardo che, sia pure in misura modesta, il manualetto degli imputati presenta un grado di complessità maggiore dell’altro. In esso compare una introduzione storica e una serie di suggerimenti di carattere generale e di indicazioni sulla nomenclatura di certe vivande. La materia ha ricevuto una sistemazione che tiene conto dei vari momenti del pasto. Il testo poi si differenzia sensibilmente da quello del denunciante anche se le ricette corrispondono. Tanto basta a classificare l’opera degli imputati come prodotto caratterizzato dagli elementi di originalità più volte detti a nulla rilevando che entrambe le opere dissertino su identiche tecniche culinarie per confezionare questa o quella specialità. Se infatti gli ingredienti e i modi di cottura sono prestabiliti dalla tradizione, le descrizioni di tipo didattico non possono ovviamente differenziarsi molto sotto questo riguardo. Non v’è dunque plagio. Da ultimo e per completezza va detto che l’opera del denunciante, astrattamente meritevole di tutela per le ragioni di cui si è sopra discorso, non può tuttavia giovarsi delle garanzie poste a salvaguardia del diritto d’autore perché essa non possiede il requisito della originalità creativa. L’autore dell’opuscolo che si assume plagiato ha infatti riprodotto talora letteralmente e quindi con espressioni antiquate e desuete il testo di un libro intitolato «100 ricette di cucina veneziana» pubblicato anonimo nel 1908 dalla casa editrice Sonzogno. L’opera del denunciante, dunque, ricalcando addirittura la forma del più antico modello senza neppure parafrasarlo e curarne l’aggiornamento lessicale non ha dato certo un contributo nuovo che costituisca un rifacimento sostanziale dell’opera originaria. Essa non è dunque protetta ai sensi della L. 22 aprile 1941, n. 633. - Omissis. Giur. It., 1970, II, 146 2