UNIVERSITA` DEGLI STUDI “G. d`ANNUNZIO
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “G. d’ANNUNZIO” CHIETI - PESCARA Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali Corso di Laurea Specialistica in Scienze Geologiche Applicate all’Ingegneria e alla Pianificazione Territoriale Tesi di laurea sperimentale di II livello in Esplorazione geologica del sottosuolo e Geofisica applicata APPLICAZIONE DI TECNICHE GEOGNOSTICHE INTEGRATE PER L’ESPLORAZIONE DEL SOTTOSUOLO PER LA RISOLUZIONE DI PROBLEMATICHE GEOLOGICHE (S.L.) IN AREE SISMOLOGICAMENTE ATTIVE: IL CASO DELL’OSPEDALE DI FIVIZZANO Relatore: Prof. Patrizio Signanini Correlatore: Prof. Mario L. Rainone Anno Accademico 2007/2008 Laureanda: Serena Scarano (matr. 3061748) Indice INTRODUZIONE pag. 1 1. IL RISCHIO SISMICO E LE SUE COMPONENTI pag. 5 1.1 ESPOSIZIONE pag. 9 1.2 VULNERABILITA’ pag. 9 1.3 PERICOLOSITA’ SISMICA pag.11 1.4 PERICOLOSITA’ INDOTTA pag.12 2. MICROZONAZIONE SISMICA 2.1 METODI SPEDITIVI 2.1.1 METODO BASATO SU CRITERI LITOTECNICI E SCENARI DI pag. 14 pag. 16 pag. 16 PERICOLOSITA’ 2.1.2 INDIVIDUAZIONE SPEDITIVA DI EFFETTI DI SITO DA DATI pag. 19 MACROSISMICI 2.2 METODI SEMPLIFICATI pag. 23 2.2.1 METODO MEDVEDEV pag. 23 2.2.2 METODO BROILI pag. 25 2.2.3 METODO DEI MICROTREMORI DI KANAI E TANAKA (1961) pag. 25 2.2.4 METODO DI NAKAMURA (1989) pag. 29 2.3 METODI ANALITICI 2.3.1 PROGRAMMA PROSHAKE 1.1 3. METODOLOGIE DI ESPLORAZIONE GEOLOGICA DEL pag. 34 pag. 35 pag. 38 SOTTOSUOLO 3.1 ONDE SISMICHE 3.1.1 GEOMETRIA DEI RAGGI SISMICI 3.2 INDAGINI INDIRETTE pag. 39 pag. 41 pag. 44 I Indice 3.2.1 SISMICA A RIFRAZIONE pag. 44 3.2.2 SISMICA A RIFLESSIONE pag. 50 3.2.3 METODOLOGIA DOWN-HOLE pag. 53 3.3 INDAGINI DIRETTE pag. 62 3.3.1 INDAGINI IN SITO pag. 63 3.3.1.1 Sondaggi geognostici pag. 64 3.3.1.2 Prove penetrometriche dinamiche pag. 65 4. MODULI ELASTO-DINAMICI 4.1 VELOCITA’ NEI MEZZI POROSI pag. 67 pag. 68 4.1.1 EFFETTO DELLA POROSITA’ pag. 68 4.1.2 EFFETTO DELLA SATURAZIONE pag. 69 4.1.3 INFLUENZA DELLA PRESSIONE pag. 70 4.1.4 EFFETTO DELLA TEMPERATURA pag. 73 4.1.5 IL MODELLO DI WYLLIE pag. 73 4.1.6 COMPORTAMENTI ANOMALI RIGUARDANTI LA VELOCITA’ pag. 75 4.2 MODULI ELASTICI pag. 76 4.2.1 MODULO DI YOUNG pag. 76 4.2.2 COEFFICIENTE DI POISSON pag. 77 4.2.3 MODULO DI RIGIDITA’ pag. 78 4.2.4 MODULO DI BULK pag. 78 4.2.5 RAPPORTO VP/VS pag. 78 5. RICOSTRUZIONE DEL CAMPO MACROSISMICO DELLA TOSCANA SETTENTRIONALE 5.1 EFFETTI DEL TERREMOTO pag. 80 pag. 83 5.2 ANALISI DEL DATO MACROSISMICO DISAGGREGATO NEL COMUNE DI FIVIZZANO pag. 87 6. CARATTERISTICHE GEOLOGICHE DEL COMUNE DI FIVIZZANO (MS) 6.1 EVOLUZIONE GEOLOGICO-STRUTTURALE pag. 96 pag. 96 II Indice DELL’APPENNINO NORD-OCCIDENTALE 6.2 INQUADRAMENTO GEOGRAFICO DEL COMUNE DI FIVIZZANO pag.100 6.3 CARATTERISTICHE GEOLOGICHE E GEOMORFOLOGICHE DEL COMUNE DI FIVIZZANO pag.101 7. L’ESPLORAZIONE DEL SOTTOSUOLO NEL COMUNE DI FIVIZZANO pag.111 7.1 INDAGINI GEOGNOSTICHE pag.113 7.2 INDAGINI SISMICHE IN FORO pag.120 7.3 INDAGINI SISMICHE A RIFRAZIONE pag.128 7.4 INDAGINI SISMICHE A RIFLESSIONE pag.137 7.5 CARTA DELLE ISOPACHE DELLA COPERTURA SISMICA pag.140 7.6 CORRELAZIONI TRA I MODULI ELASTO-DINAMICI pag.141 8. MODELLAZIONI MONODIMENSIONALI DINAMICHE pag.144 8.1 PROSHAKE 1.1 pag.146 8.2 RISULTATI DELLE MODELLAZIONI MONODIMENSIONALI pag.151 9. CONCLUSIONI pag.162 BIBLIOGRAFIA pag.171 III Introduzione INTRODUZIONE La valutazione della pericolosità sismica locale è una tematica di attuale interesse, alla luce delle recenti sciagure di natura sismica che hanno afflitto il nostro Paese ed in cui è stato palese l’intervento di cause locali nella determinazione delle amplificazioni al suolo. Molteplici sono stati, nel corso degli ultimi decenni, gli approcci metodologici seguiti dalla Comunità Scientifica, al fine di valutare l’entità della risposta sismica locale. Nell’ambito di studi di microzonazione sismica, infatti, il problema della valutazione dell’amplificazione locale può essere affrontato secondo metodi diversi (qualitativi, semplificati, quantitativi). Le notevoli eterogeneità e complessità di tale problematica implicano necessariamente un approccio multidisciplinare, che preveda la partecipazione di diverse professionalità scientifiche, nell’ambito di studi congiunti. Il tentativo del presente lavoro è di definire, nell’ambito di tali studi, quale può essere l’apporto del geologo applicato. A prescindere dalla metodologia utilizzata, è fondamentale acquisire una buona conoscenza del modello geologico s.l. del sito d’interesse, col duplice fine di definire le caratteristiche geometriche e fisico-meccaniche dei litotipi indagati e di individuare i parametri da utilizzare come dati di input nelle modellazioni numeriche, in grado di simulare, attraverso modelli più o meno semplificati, l’entità del moto sismico in superficie e sui manufatti presenti. La metodologia quantitativa utilizzata in quest’ambito si riferisce alle modalità operative adottate dal Programma VEL (Valutazione degli Effetti Locali) istituito nelle aree sismicamente attive della Regione Toscana e che si colloca nell’ambito della L.R. 30.07.1997 N 56 “Interventi sperimentali per la riduzione del rischio sismico”. Il Programma VEL è stato avviato fin dal 1998 nelle aree della Lunigiana e Garfagnana dove è stata sperimentata e messa a punto la metodologia per poi estenderla negli anni successivi alle altre aree a maggior rischio sismico della 1 Introduzione Toscana (Mugello, Casentino, Valtiberina e Amiata). Le indagini ed i rilievi sono stati concentrati nei centri urbani più significativi in termini di esposizione al rischio sismico ed in corrispondenza degli edifici pubblici strategici e rilevanti indicati dagli enti locali. Lo scopo dell’indagine è di caratterizzare all'interno di ambiti territoriali a scala subcomunale (frazioni e centri), quelle aree a comportamento omogeneo sotto il profilo della risposta sismica locale in corrispondenza di un terremoto atteso, e definire i possibili effetti sui principali centri urbani (con particolare attenzione agli edifici strategici e rilevanti), sulle reti di servizio, sulle infrastrutture di comunicazione e sugli insediamenti produttivi in modo da poter fornire agli enti locali informazioni e parametri utili alla progettazione edilizia e pianificazione urbanistica. Le finalità del programma regionale VEL, possono essere così riassunte: 1) individuare le aree a comportamento omogeneo sotto il profilo della risposta sismica locale in relazione ad un sisma atteso per l’area (terremoto di progetto), all'interno di ambiti territoriali a scala comunale (capoluoghi e frazioni); 2) definire i possibili effetti locali sui principali centri urbani e sulle infrastrutture, gli scenari di rischio sismico basati su informazioni di maggior dettaglio e valutazioni di rischio sismico a scala territoriale ed urbana; 3) fornire agli enti locali ed ai professionisti i possibili incrementi dei parametri progettuali previsti dalla normativa sismica e gli strumenti operativi per redigere norme tecniche da adottare in sede di pianificazione territoriale, di formazione degli strumenti urbanistici comunali con particolare riferimento ai piani di recupero; 4) realizzare una banca dati regionale/locale, di tipo geologico e geotecnico ed un progetto di cartografia regionale/locale georeferenziata, ai fini VEL. 2 Introduzione Fig.1 - I tre livelli di rischio non nullo elaborati dal GNDT/CNR nei principali centri abitati della Garfagnana e della Lunigiana Gli elementi ed i parametri necessari per la definizione del modello di analisi di amplificazione sono: - la conoscenza della geologia sepolta (spessori delle unità geologichotecniche e andamento dei relativi contatti); - la definizione delle velocità delle onde di taglio SH; - la determinazione del coefficiente di Poisson, della curva di decadimento, del modulo di taglio (G/G0) e dell’incremento dello smorzamento al crescere della deformazione. I risultati dell’analisi VEL consistono in una serie di informazioni da utilizzare sia nella fase di pianificazione urbanistica (carte geologiche, geomorfologiche, litologico-tecniche, delle zone a maggiore pericolosità sismica locale, dati geotecnici ottenuti da prove in situ e di laboratorio), sia in fase progettuale che per il miglioramento ed adeguamento sismico degli edifici (spettri di risposta e fattori di amplificazione ottenuti da analisi di modellazione numerica). 3 Introduzione Il presente lavoro è stato suddiviso in due sezioni: la prima è relativa ai primi quattro capitoli, attraverso i quali viene offerta una panoramica sulle principali tematiche su cui si basa uno studio di valutazione degli effetti locali (definizione del rischio sismico e delle sue componenti, concetto di effetto locale, indagini geofisiche e geotecniche in campo dinamico, definizione dei principali metodi di microzonazione sismica presenti nella letteratura specializzata). La seconda parte (inerente gli ultimi quattro capitoli) illustra un esempio di valutazione della risposta sismica nel centro abitato di Fivizzano (MS). La scelta di questo sito è dettata principalmente dall’analisi del dato macrosismico disaggregato relativo al terremoto del settembre 1920 (il maggiore evento sismico verificatosi negli ultimi secoli nella Toscana settentrionale) che indica, qualitativamente, la probabile presenza di amplificazioni locali nell’area del centro storico di Fivizzano. Partendo da queste considerazioni si è resa necessaria l’esigenza di tentare di definire quantitativamente l’entità di tali effetti locali. 4 CAPITOLO 1 - Il rischio sismico e le sue componenti CAPITOLO 1 1. IL RISCHIO SISMICO E LE SUE COMPONENTI Il rischio sismico può essere definito, in prima approssimazione, come una delle componenti fondamentali in cui è possibile distinguere il rischio geologico. Esso, inteso nella sua accezione più generale, comprende il valore atteso relativo a perdite umane, feriti, danni alle proprietà e perturbazioni alle attività economiche dovuti ad un particolare fenomeno naturale (Canuti & Casagli, 1994). Pertanto va differenziato (fig. 1.1), in una fase iniziale, in base alle caratteristiche del fenomeno naturale che lo determina e che può derivare dalla manifestazione di forze endogene (rischio da subsidenza, vulcanico o sismico) o dall’interazione tra la componente geologica caratterizzante l’area ed i vari processi che si esplicano in ambiente esogeno (rischio da valanghe e rischio idrogeologico s.l.). Rischio sismico PROCESSI ENDOGENI RISCHIO GEOLOGICO Rischio vulcanico Rischio da subsidenza PROCESSI ESOGENI Rischio da valanghe Rischio idrogeologico s.l. diretto Rischio da esondazione Rischio per erosione costiera indiretto Rischio da frane Rischio per inquinamento della falda Rischio per fenomeni di erosione accelerata Fig. 1.1 - Suddivisione del rischio geologico nelle sue componenti Tra le calamità naturali i terremoti occupano un posto rilevante in fatto di danni e vittime procurate alla comunità. Per la difesa dai terremoti è opportuno impostare un’efficace strategia d’intervento che deve seguire due linee principali: - valutazione dei provvedimenti e dei livelli di protezione da assumere; - fornitura degli elementi atti a predisporre l’intervento durante la fase d’emergenza post-terremoto e la determinazione dei parametri di pianificazione della ricostruzione, 5 CAPITOLO 1 - Il rischio sismico e le sue componenti qualora l’analisi costi-benefici non induca a non adottare la protezione assoluta, cioè livelli di protezione tali da non poter escludere il verificarsi di danni al seguito del massimo terremoto possibile (terremoto di progetto) nell’area in esame. Premessa indispensabile per approntare tale strategia è un’accurata stima del rischio sismico. Alla definizione di rischio sismico di un sito concorrono, quindi, diversi parametri non omogenei, di natura fisica ed economica. Ai primi appartengono quelli relativi alla sorgente sismica, alla propagazione della perturbazione dalla sorgente al sito, ai processi d’amplificazione del segnale nella parte terminale del percorso; a questi si aggiungono le tipologie e la vulnerabilità (esprimibile come attitudine a subire danno) delle opere antropiche presenti nell’area ed il parametro economico che è associato all’entità del valore esposto, associato ai beni immobili e alle vittime potenziali. Con il termine rischio sismico si definisce la probabilità d’occorrenza ed il relativo grado di severità, in un determinato intervallo di tempo, dell’insieme dei possibili effetti producibili da un terremoto sulla comunità esposta alla manifestazione del fenomeno sismico, misurabili come danni attesi. Tali danni sono principalmente imputabili a tre fattori: 1) Livello di sollecitazioni; 2) Caratteristiche di resistenza dei manufatti; 3) Fenomeni indotti. Pertanto, in base a queste considerazioni, il danno atteso e quindi il rischio sismico di un’area può essere definito in base alla seguente relazione: R f (V, E, P) (1.1) dove R è il rischio sismico, V la vulnerabilità E l’esposizione al rischio e P la pericolosità sismica. 6 CAPITOLO 1 - Il rischio sismico e le sue componenti EFFETTI PRIMARI Danni alle persone (morti, invalidi, feriti) O agli edifici ed ai Danni beni in essi contenuti Danni alle infrastrutture a rete Modificazioni dell’ambiente fisico EFFETTI DI ORDINE SUPERIORE EFFETTI SECONDARI Perdita dell’abitazione Cessazione o rallentamento dell’attività produttiva Disfunzione nell’erogazione dei servizi Comunità che ha subito l’evento e dello stato, per le operazioni di emergenza e ricostruzione Conseguenze psicologiche di tipo traumatico Disoccupazione Mancate entrate familiari Modifiche nell’andamento demografico Modificazioni del modo di vivere delle famiglie e della società Esaurimento delle “risorse” della comunità Modificazioni del sistema produttivo Capitali “distolti” da altri investimenti, per progetti di emergenza e ricostruzione Oneri finanziari degli interventi Tab. 1.1 – Principali danni ed effetti provocati da un fenomeno sismico sulla comunità esposta al rischio. Ognuno di questi parametri è suddivisibile in altri termini costitutivi e dal contributo di ognuno di essi è possibile definire, quindi, il rischio sismico. In figura 1.2 è illustrato uno schema di massima sull’interazione tra il rischio e le sue componenti. 7 ATTIVITA’ ECONOMICHE - agricola - industriale - commerciale - direzionale ELEMENTI FISICI - patrimonio edilizio - attrzzature d’uso collettivo - reti infrastrutturali - patrimonio produttivo POPOLAZIONE INSEDIATA - distribuzione - struttura della popolazione - condizioni socioeconomiche delle famiglie ELEMENTI Sistemi di relazioni Componenti interessate al ciclo produttivo Caratteristiche strutturali, storicoarchitettoniche Modalità, intensità, frequenza d’uso, caratteristiche e ruolo strategico Livello di preparazione e capacità di adattamento Individui, famiglie, gruppi sociali “esposti” PARAMETRI DESCRITTIVI VULNERABILITA’ DIFFERITA VULNERABILITA’ INDOTTA VULNERABILITA’ DIRETTA VULNERABILITA’ RISCHIO DI ORDINE SUPERIORE RISCHIO SECONDARIO RISCHIO PRIMARIO ALLUVIONI INCENDI, ESPLOSIONI FRANE PERICOLOSITA’ INDOTTA REPLICHE CARATTERISTICHE GEOLOGICHE LOCALI CARATTERISTICHE SPAZIO-TEMPORALI DELL’EVENTO DI PROGETTO - magnitudo, accelerazione e forma spettrale - posizione epicentro - curve di attenuazione - periodo di ritorno PERICOLOSITA’ SISMICA CAPITOLO 1 - Il rischio sismico e le sue componenti Fig. 1.2 – Diagramma di flusso in cui sono evidenziate le relazioni tra il rischio sismico ed i suoi parametri costituenti. Tratto da AA.VV., 1987 8 CAPITOLO 1 - Il rischio sismico e le sue componenti 1.1 ESPOSIZIONE Lo studio della comunità esposta al rischio si articola in due fasi: - analisi dell’esposizione; - valutazione della vulnerabilità. Lo studio dell’esposizione consiste nell’analisi finalizzata all’individuazione, in termini qualitativi e quantitativi, degli elementi componenti la realtà territoriale e/o urbana, il cui stato, comportamento e sviluppo può venire alterato dall’evento sismico. Pertanto tali componenti vengono definite attraverso parametri ed indicatori capaci di descrivere le modificazioni prefigurabili che essi subiscono nei tre momenti fondamentali in cui si può articolare il fenomeno terremoto: l’evento, l’emergenza e la ricostruzione. Nel diagramma in figura 1.2 vengono sinteticamente riportati gli elementi e le caratteristiche degli stessi da sottoporre all’analisi: il sistema insediativo, la popolazione e le attività. Vengono altresì evidenziate le finalità e le uscite che l’analisi così indirizzata consente di ottenere. 1.2 VULNERABILITA’ La vulnerabilità descrive la propensione di persone, beni o attività a subire danni o modificazioni al verificarsi dell’evento sismico; può essere intesa come una misura sia della perdita o della riduzione di efficienza sia della capacità residua a svolgere e ad assicurare le funzioni che il sistema territoriale nel suo complesso normalmente esplica in condizioni di regime. In quest’ottica il problema si pone nei termini di individuare non solo i singoli elementi che possono collassare sotto l’impatto del sisma, ma di individuare e quantificare gli effetti che il loro collasso determina sul funzionamento del sistema 9 CAPITOLO 1 - Il rischio sismico e le sue componenti territoriale, verificandoli rispetto ai tre momenti in cui si è articolato il fenomeno terremoto. Nel diagramma di flusso, riportato in figura 1.2, vengono riportate le componenti che concorrono alla definizione del concetto di vulnerabilità, distinte in: x Vulnerabilità diretta: definita in rapporto alla propensione del singolo elemento fisico a subire il collasso (ad esempio vulnerabilità di un singolo edificio, viadotto, etc..); x Vulnerabilità indotta: definita in rapporto agli effetti di crisi dell’organizzazione del territorio generati dal collasso di uno o più elementi fisici (ad esempio, crisi del sistema della mobilità indotto dall’ostruzione di una strada); x Vulnerabilità differita: definita in rapporto agli effetti che si manifestano nelle fasi successive all’evento e alla prima emergenza e tali da modificare con il comportamento delle popolazioni insediate (ad esempio il disagio prodotto dall’utilizzo di scuole come alloggio temporaneo o il disagio conseguente alla riduzione della base occupazionale per il collasso di stabilimenti industriali o altro). La procedura per la valutazione della vulnerabilità sismica (vulnerabilità diretta) degli edifici in muratura, attualmente utilizzata dal Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti, deriva da una proposta formulata nel 1983 (Benedetti e Petrini, 1984); essa si basa sull'analisi di una serie di informazioni sulle caratteristiche degli elementi costitutivi dell'edificio che vengono raccolte tramite schede. Nella sua prima formulazione, la scheda di vulnerabilità è stata utilizzata dalla Regione Toscana nel 1983: essa è stata, successivamente più volte modificata nel corso degli anni, fino ad assumere la sua forma attuale. 10 CAPITOLO 1 - Il rischio sismico e le sue componenti 1.3 PERICOLOSITA’ SISMICA La pericolosità sismica (seismic hazard) è rappresentata dalle caratteristiche fisiche dell’evento tellurico e la si può distinguere in tre aspetti principali: 1. Caratteristiche spazio-temporali dell’evento di progetto: s’intende il tipo di sorgente, la localizzazione della zona di origine del terremoto, l’energia che essa può produrre e quindi la dimensione dell’area interessata da uno scuotimento significativo (cioè tale da produrre danni ai manufatti presenti), l’intervallo di tempo che in media separa un evento dal successivo (pericolosità sismica di base). Sono conoscenze che si acquisiscono tramite lo studio di terremoti già avvenuti e con indagini di tipo sismogenetico, vale a dire con l’identificazione e la catalogazione di zone sismicamente attive, nell’ambito di studi tendenti a stabilire la situazione dinamica di porzioni di sottosuolo profonde anche parecchi chilometri (macrozonazione sismica); 2. Caratteristiche geologiche locali: gli effetti di un terremoto possono variare sensibilmente da zona a zona, anche a distanza di poche decine di metri (pericolosità sismica locale); una descrizione dettagliata della geologia locale e della morfologia della zona, corredata da prove geofisiche e geotecniche tendenti a stabilire le proprietà fisico-meccaniche dei diversi litotipi, permette di valutare le diversità in risposta sismica. Queste indagini sono generalmente note con il nome di “microzonazione sismica”; 3. Repliche: ogni terremoto è seguito da una serie più o meno lunga di altri terremoti, in genere di intensità molto inferiore; spesso, in sede progettuale, le repliche vengono trascurate. Esse sono invece importanti sia perché in alcuni casi (Ancona 1972; Friuli 1976) raggiungono valori di intensità pari o maggiore della prima scossa, intralciando non poco il processo di ricostruzione, sia perché contribuiscono a tenere in uno stato d’ansia e di incertezza popolazioni già duramente provate. 11 CAPITOLO 1 - Il rischio sismico e le sue componenti RISCHIO SISMICO = PERICOLOSITA’ x VULNERABILITA’ x ESPOSIZIONE PERICOLOSITA’ SISMICA DI BASE Caratteristiche del sito Caratteristiche del terremoto alla sorgente ed al bedrock PERICOLOSITA’ SISMICA LOCALE Fig. 1.3 – Relazione intercorrente tra pericolosità sismica locale e pericolosità sismica di base o regionale La differenza sostanziale intercorrente tra le informazioni deducibili dalla stima della pericolosità sismica di base o regionale e la pericolosità locale (fig 1.3) consta nel fatto che, mentre la prima può fornire informazioni relative alle caratteristiche del moto sismico al bedrock, la seconda tenta di definire le modalità di distribuzione del treno di onde sismiche nel percorso tra substrato sismico e superficie (fig. 1.3). 1.4 PERICOLOSITA’ INDOTTA E’ importante ricordare, inoltre, che la dinamica del terremoto può innescare condizioni di pericolosità indotta, quali: x Attivazione di fenomeni franosi di neoformazione o accelerazione di processi gravitativi già in atto (un caso drammatico di questa situazione si verificò nel centro abitato di Calitri, in Irpinia, dopo il terremoto del 23 novembre 1980); x Alluvionamento di bacini artificiali a seguito di cedimenti di dighe o di riempimento degli invasi a causa di franamenti; x Incendi dovuti a fughe di gas per danneggiamenti alle condutture o a causa di cortocircuiti (durante il terremoto di San Francisco del 1906 l’incendio sviluppatosi dopo il sisma recò più danni del terremoto stesso). 12 CAPITOLO 1 - Il rischio sismico e le sue componenti I terremoti sono sicuramente una causa importante di attivazione diretta o indiretta di movimenti gravitativi; durante un evento sismico si registrano degli incrementi delle sollecitazioni destabilizzanti (Canuti & Casagli, 1994) dati dall’applicazione di una forza transitoria: F=K W (1.5) dove K è l’accelerazione sismica prodotta e W la massa spostata. Come rilevato da Ambraseys (1977), poi confermato da D’Elia et alii (1985) e da Cotecchia et alii (1986), in base ad osservazioni registrate durante gli eventi sismici del Friuli e dell’Irpinia, la corrispondenza diretta tra frana e sisma si ha solo nel caso di pendii poco estesi, di lunghezza inferiore ai 30 metri, ed in materiali particolari (Hutchinson, 1987). Essendo la lunghezza d’onda di un terremoto dell’ordine della decina di metri, nel caso di pendii ben più estesi la destabilizzazione diretta verso l’esterno del versante viene bilanciata dall’effetto stabilizzante, diretto in direzione opposta, dovuta al treno d’onde successivo. Un’altra conseguenza diretta è data dai fenomeni di liquefazione su terreni granulari saturi, in seguito a fenomeni di densificazione generati dal terremoto. Viene così a determinarsi un considerevole aumento delle pressioni interstiziali nel terreno, il quale, oltre un valore definito critico, tende a perdere la resistenza al taglio e ad acquisire un comportamento fluido, con evidente collasso delle strutture su esso ubicate. Fenomeni indiretti possono ravvisarsi nella riattivazione di frane su terreni aventi comportamento coesivo; il loro verificarsi, generalmente, si presenta traslato da un punto di vista temporale rispetto all’evento sismico, poiché, come verificato da prove di taglio torsionale (Lemos et alii, 1985; Sassa, 1992) i materiali coesivi tendono a diminuire la loro resistenza al taglio residua, solo dopo un valore di picco iniziale. E’ d’obbligo però il concetto che le ripercussioni di un sisma in una certa area, compresi fenomeni diretti o indiretti in termini di stabilità dei versanti non è funzione solo dei parametri propriamente fisici del terremoto, bensì diretta conseguenza dell’interazione tra questi ultimi e le condizioni geologiche locali (litologia, assetto strutturale, geomorfologico e idrogeologico) della zona d’esame. 13 CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica CAPITOLO 2 2. MICROZONAZIONE SISMICA I metodi dedicati alla valutazione della distribuzione degli effetti locali a scala comunale o sub-comunale, ovvero all’individuazione di aree a comportamento omogeneo sotto il profilo della risposta sismica locale in corrispondenza di un terremoto atteso, rientrano nell’ambito della definizione della pericolosità sismica locale e vengono definiti metodi di microzonazione sismica o microzoning. In diversi eventi sismici accaduti, sono state rilevate distruzioni molto differenziate anche in aree limitrofe la cui spiegazione appare difficoltosa. In particolare il problema si pone per quegli effetti definibili “a macchia di leopardo” (D’Intinosante et alii, 2000), come i fenomeni di liquefazione rilevati nell’area friulana durante la crisi sismica del 1976, a Salonicco (Grecia) nel 1978, a Fabriano nella crisi sismica del 1997 che ha colpito l’area umbro-marchigiana in Italia Centrale. In letteratura, del resto, sono citati moltissimi casi di forte differenziazione degli effetti locali a distanza molto ravvicinata. I fattori che possono influenzare la distribuzione della pericolosità locale a scala di dettaglio sono: a) Fattori geologici e geotecnici, cioè morfologia superficiale e sepolta, caratteristiche geolitologiche, geomorfologiche, idrogeologiche e fisico-meccaniche dei terreni; b) Fattori sismologici (dati storici e strumentali). Lo studio dei dati storici ci porta alla conoscenza della data del terremoto e degli effetti macrosismici rilevati dall’analisi della distribuzione dei danni, mentre la possibilità di registrare parametri strumentali ci permette di valutare, a seconda delle strumentazioni utilizzate: meccanismi focali e contenuto spettrale della vibrazione in fase di input, magnitudo e livelli di stress dinamico cui è soggetto il mezzo di propagazione, direzione di arrivo della sollecitazione e sua durata, profondità ipocentrale, tipo di percorso seguito dalle onde sismiche ed infine caratteristiche elastiche del mezzo. 14 CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica Le informazioni strumentali sono molto dettagliate, ma la loro fruizione è possibile da pochi anni, mentre lo studio delle caratteristiche macrosismiche offre dati più imprecisi e qualitativi, i quali coprono però lassi più lunghi. Un grande tema dello studio della pericolosità sismica è, infatti, il tentativo di correlazione tra dati storici e strumentali, per unire la maggiore significatività dei primi al maggior dettaglio e scientificità statistica degli ultimi. Anche la microzonazione sismica, quindi, come tutto il settore delle discipline che si occupano della definizione del rischio sismico e dei suoi parametri costitutivi, è un’attività di ricerca di tipo interdisciplinare, vista la vasta gamma di parametri da tenere in considerazione. Ciò significa che solo dalla collaborazione di ingegneri, geologi, geotecnici, sismologi e geofisici può scaturire un prodotto adeguato alle richieste degli utilizzatori ultimi delle carte di rischio (Amministrazioni Pubbliche ed i loro tecnici, gli urbanisti ed i progettisti). E’ importante capire come sia fondamentale individuare gli scopi ultimi della ricerca scientifica sia nella comprensione fisica della fenomenologia sismica e nella conoscenza della struttura della Terra, ma anche nell’individuazione di quelle grandezze e parametri che sono adatti alla valutazione della risposta locale e, quindi, delle perdite e dei danni attesi, degli extracosti di programmazione, etc.. Negli anni precedenti, nell’esecuzione di stime per la determinazione della pericolosità sismica locale, vi era (e forse esiste ancora) una tendenza a condurre la ricerca in maniera settoriale. L’utilizzo di linguaggi estremamente esclusivi e una sorta di incomunicabilità tra settori scientifici portava alla realizzazione di stime, spesso incomplete e sottostimate, della risposta sismica locale. Al giorno d’oggi esistono esempi di collaborazione e di ricerca multidisciplinare, come ad esempio il Progetto VEL, istituito dalla Regione Toscana e dalla Protezione Civile per l’individuazione, a livello comunale e sub-comunale, di aree ad omogenea risposta sismica, che vede la collaborazione di diversi enti scientifici ed accademici italiani. Non esiste un’uniformità nella realizzazione e nell’esecuzione di metodi di microzonazione sismica; essi possono essere ascritti, in prima istanza, in tre tipologie fondamentali: 15 CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica 1) Metodi speditivi (qualitativi): basati su stime qualitative che utilizzano, per una valutazione degli effetti locali, informazioni esistenti sulle caratteristiche geologicogeomorfologiche e sulla distribuzione dei danni nell’area in esame; 2) Metodi semplificati: metodi, cioè, basati su indagini e valutazioni quantitative semplificate; 3) Metodi analitici (quantitativi): basati principalmente su indagini di dettaglio (definizione dell’intensità del fenomeno sismico previsto o di progetto, delle geometrie del sottosuolo e dei parametri fisico-meccanici dei litotipi indagati) e previsioni della distribuzione dei parametri “ground-motion” effettuate per mezzo di modelli di analisi numerica, i cui parametri di input sono desunti attraverso le indagini multidisciplinari effettuate nell’area di studio. 2.1 METODI SPEDITIVI Le metodologie ascritte a questa categoria fanno ricorso al rilievo statistico della distribuzione del danno sul territorio correlandolo alle conoscenze disponibili sulla costituzione del sottosuolo. 2.1.1 METODO BASATO SU CRITERI LITOTECNICI E SCENARI DI PERICOLOSITA’ Tale metodo si basa sull’individuazione, a partire da analisi geologiche e geomorfologiche, di scenari di pericolosità sismica, cioè di aree in cui si possono verificare, in base a considerazioni qualitative o in riferimento ad una casistica nota di danni verificati, particolari condizioni di amplificazione del moto del suolo o particolari effetti (cedimenti, deformazioni) legati alle scadenti caratteristiche fisicomeccaniche dei terreni. A tale scopo per prima viene prodotta una carta litologico-tecnica, basata sull’individuazione di unità litotecniche suddivise in due categorie distinte: substrato 16 CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica e coperture. I criteri guida per l’inserimento dei litotipi nelle varie unità litotecniche del substrato sono identificati dalla verifica (per ogni tipologia di terreno o materiale litoide) di composizione, grado di fatturazione, cementazione e tipo di stratificazione. La definizione delle unità litotecniche della copertura tiene conto di una suddivisione genetica, che può essere rappresentata da detriti di falda, coltri eluviali, depositi alluvionali e accumuli di frana. Tale elaborato, insieme alla carta geomorfologica e geologico tecnica, viene utilizzato per l’individuazione degli scenari di pericolosità sismica, a partire da una casistica di “situazioni tipo” descritte in tabella 2.1. Gli scenari sono distinti in quattro gruppi: 1. Categorie 01, 02, 03, 04, 05: comprendono tutte le possibili situazioni franose in atto, potenziali per normale evoluzione del versante o indotte da fenomeni di instabilità dinamica che possono verificarsi a seguito di un terremoto; 2. Categorie 06, 07: si considerano effetti di amplificazione sismica ascrivibili a particolari condizioni di riflessioni multiple legate a morfologia accidentata; 3. Categorie 08, 09: i due scenari di pericolosità sono accumunati dall’affioramento di depositi superficiali incoerenti, seppur in condizioni morfologiche diverse; 4. Categorie 10, 11, 12, 13, 14: quest’ultimo gruppo contempla effetti di amplificazione-cedimento dovuti sia alle caratteristiche intrinseche delle diverse litofacies sia alle condizioni geologiche, geomorfologiche e geotecniche del sito indagato. Tali scenari sono da intendersi come prima lettura in chiave sismica delle informazioni contenute nella cartografia di base (geologica, geomorfologica e litotecnica), ad uso di quanti intervengono nel problema della pianificazione. Ciascuno scenario non corrisponde, dunque ad un livello di pericolosità stimabile in maniera oggettiva, ma segnala soltanto la possibilità che, in caso di un terremoto, in determinate aree sussistano particolari problematiche, la cui gravità può anche superare il livello standard di pericolosità attesa nell’area. 17 CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica Scenari di pericolosità sismica 01 02 I GRUPPO 03 04 05 II GRUPPO 06 07 08 III GRUPPO 09 10 11 12 IV GRUPPO 13 14 Zona caratterizzata da uno o più corpi di frana e da marcata instabilità dei versanti Zona esposta al pericolo di frane da crollo o distacco di massi da parete o sottesa a possibili movimenti di massa Zona di vecchia frana, ora quiescente, interessata da dissesti superficiali e da erosioni laterali o al piede Zona di versante, o di impluvio, con copertura detritica eterogenea con spessore dell’ordine dei metri, fortemente incisa o interessata da erosione al piede e da circolazione d’acqua d’infiltrazione Zona eccessivamente acclive in rapporto al tipo di substrato roccioso, al suo stato fisico e dalle condizioni di giacitura degli strati Zona di ciglio prospiciente una parete a strapiombo (scarpata rocciosa, bordo di cava, nicchia di distacco di frana, orlo di terrazzo fluviale) Zona di cresta rocciosa, di cocuzzolo o di dorsale Zona di fondovalle di ridotta sezione trasversale, a fianchi piuttosto ripidi, con presenza di alluvioni incoerenti Zona pedemontana-pedecollinare di falda di detrito o di conoide di deiezione Zona di terreni granulari fini, sciolti o a debole coesione, interessati da una falda acquifera superficiale Zona di brusca variazione litologica o di contatto tra litotipi aventi caratteristiche fisico-meccaniche diverse e/o interessata da faglie e fratture singole o associate Zona con terreni di fondazione particolarmente scadenti a cui si sommano caratteristiche idrogeologiche negative Zona con copertuta detritica incoerente a matrice prevalentemente argillosa, a morfologia localmente irregolare, non necessariamente acclive, interessata da diffusi indizi d’instabilità superficiale e da una diffusa circolazione idrica Zona carsica o interessata da gallerie e cavità di natura antropica Tab. 2.1 – Scenari di pericolosità sismica. Tratto da G.N.D.T. – C.N.R. (1986) 18 CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica 2.1.2 INDIVIDUAZIONE SPEDITIVA DI EFFETTI DI SITO DA DATI MACROSISMICI L’utilizzo di dati macrosismici per la risoluzione di problematiche di amplificazione locale è stato un tema ampiamente trattato negli ultimi anni in numerose pubblicazioni scientifiche (D’Amico et alii, 2000; Gallipoli et alii, 1998; Magri et alii, 1994; Mucciarelli et alii, 1992). La procedura attraverso la quale, solitamente, viene effettuato il passaggio dal dato macrosismico al dato puntuale può essere così schematizzata: raccolta e analisi dei dati strumentali; raccolta e analisi dei dati tettonico-strutturali; censimento dei dati storici; elaborazione di un modello basato sia su dati strumentali che tettonicostrutturali. Il fine è quello di definire un modello di sorgente semplice che preveda, inoltre, una legge di attenuazione in funzione della distanza epicentrale e conseguente ricostruzione di un campo macrosismico calcolato. Successivamente si analizzano eventuali differenze tra il campo macrosismico calcolato e quello rilevato in conseguenza di un forte evento sismico, individuando le aree di massima divergenza dei due elaborati ed attribuendo la causa di ciò ad effetti locali. In tabella 3.2 (D’Amico et alii, 2000), relativa ad alcune aree della Garfagnana e della Lunigiana in riferimento all’evento sismico del 7 settembre 1920, è presentato il tentativo di passaggio dal dato macrosismico alla determinazione degli effetti di sito, realizzando per ogni comune una stima statistica dei valori di pericolosità a partire dai soli dati epicentrali attenuati (Patt), secondo una legge di attenuazione espressa attraverso la forma probabilistica proposta da Magri et alii, 1994 (fig. 2.1a). Successivamente, una seconda stima della pericolosità (Patt+doc) è stata ricavata dai dati epicentrali integrati con le osservazioni macrosismiche documentate dei danneggiamenti (fig. 2.1b). La differenza tra le due stime di pericolosità ('P) viene, infine, interpretata come valutazione della presenza o meno di effetti di sito nelle aree indagate: valori positivi sono interpretati come indicatori di fenomeni di amplificazione locale del moto sismico, mentre differenze negative testimonierebbero l’assenza di simili effetti. 19 CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica E’ palese che sia il campo macrosismico teorico sia quello rilevato presentino una serie di errori ed approssimazioni insite, che possono essere così schematizzati: x imprecisioni nella determinazione della profondità ipocentrale ( con errori maggiori in riferimento ai dati più antichi); x difficoltà o al limite aleatorietà nella schematizzazione di rapporti diretti tra dati tettonici (soprattutto derivanti da indagini superficiali) ed energia liberata dai terremoti; x imprecisione dei modelli geometrici. Com’è risaputo l’attenuazione, oltre che dipendere dallo spreading, è in relazione con il coefficiente di attenuazione dei singoli mezzi D, il quale a sua volta può trovare una correlazione “forzata” sia con il Qs, (quality factor), sia con la velocità delle onde di taglio. Comunemente però questi parametri non sono conosciuti; infatti, nei casi più ottimistici, si possiedono sommarie e discontinue informazioni sulle velocità delle onde P attraverso profili sismostratigrafici. Per ciò che riguarda, poi, il dato macrosismico rilevato, comunemente espresso attraverso la produzione di carte delle isosiste, realizzate in base ai valori delle Intensità Macrosismiche calcolate secondo la scala MCS, vale la pena considerare che questa scala è basata su dati qualitativi, derivanti dalla collezione statistica dei danni ricavati in seguito ad un evento sismico, per cui poco adatta a descrivere quantitativamente un evento sismico. D’altra parte, il fine di un’indagine di “microzoning” è quello di definire, all’interno di aree ristrette (magari caratterizzate dallo stesso grado IMCS), situazioni di amplificazione o deamplificazione in grado di determinare una significativa diversificazione dello scuotimento al suolo, dei valori dei parametri strong-motion e, di conseguenza, del grado di danneggiamento delle vite umane e dei manufatti presenti. 20 CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica LOCALITA’ N. Ris Patt Patt+doc P Barga 14 27 35 8 Fosciandora 3 31 56 25 Gallicano 12 29 15 -14 Vergemoli 2 31 15 -14 Molazzano 3 30 17 -14 Castelnuovo di Garfagnana 21 33 16 -23 Pieve Fosciana 6 35 10 20 Castiglione di Garfagnana 3 36 57 22 Villa Collemandina 2 37 58 20 Corfino (Villa Collemandina) 5 40 57 17 Careggine 2 42 3957 -3 Vagli Sotto 4 44 59 15 Camporgiano 6 44 59 15 San Romano 1 43 58 15 Piazza al Serchio 6 51 60 9 Sillano 3 50 59 9 Giuncugnano 2 58 61 3 Minucciano 3 61 43 -18 Gorfigliano (Minucciano) 3 55 62 7 Casola in Lunigiana 3 61 63 2 Ugliancaldo (Casola in Lunigiana) 2 61 63 2 Vigneta (Casola in Lunigiana) 2 61 63 2 Fivizzano 26 52 52 0 Vinca (Fivizzano) 3 54 11 -43 Tenerano (Fivizzano) 2 49 32 -17 Fosdinovo 3 38 18 -20 Aulla 10 35 58 23 Licciana Nardi 7 40 58 18 Comano 4 45 39 -6 Bagnone 18 35 56 21 Villafranca in Lunigiana 4 34 35 1 Tresana 4 30 17 -13 Mulazzo 6 28 13 -15 Filattiera 4 34 63 29 Pontremoli 23 25 15 -10 Zeri 4 21 18 -3 Tab. 2.2 – Valori di pericolosità per intensità t VIII MCS e per un tempo di esposizione di 50 anni. NRIS = numero totale dei risentimenti macrosismici; Patt = dati epicentrali attenuati; Patt+doc = dati epicentrali attenuati integrati con i risentimenti documentati; P = differenza espressa in punti percentuali. Tratto da D’amico et alii (2000) 21 CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica Fig. 2.1 – Mappe di pericolosità per intensità VIII MCS per un intervallo di esposizione di 50 anni: a) livelli di pericolosità ottenuti dai soli dati epicentrali attenuati al sito, b) valori ricavati da integrazione tra dati attenuati ed effetti documentati. Tratto da D’Amico et alii, 2000 22 CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica 2.2 METODI SEMPLIFICATI A differenza dei metodi speditivi, che esprimono la variabilità delle condizioni locali in forma qualitativa, quelli semplificati quantizzano la risposta del sottosuolo attraverso parametri fisico-meccanici elementari, spesso dedotti da indagini sperimentali speditive e da informazioni esistenti, utilizzando correlazioni empiriche di carattere generale. 2.2.1 METODO MEDVEDEV Si tratta di una formula empirica basata sull’osservazione delle distribuzioni dei danni (intensità macrosismica) dovute a terremoti avvenuti nella regione russa in un intervallo di tempo compreso tra il 1887 ed il 1949 e sulle loro correlazioni empiriche con la natura litologica superficiale (20-25 metri) dei siti. In base a queste osservazioni Medvedev (1965) propose il calcolo del fattore di incremento locale (n0): (2.1) dove R0 è l’impedenza di una roccia di riferimento (uguale al prodotto tra la densità del litotipo e la sua velocità di propagazione delle onde compressionali), Rn è invece l’impedenza del terreno considerato; il valore 1.67 è un coefficiente statisticamente determinato. Medvedev intende come roccia di riferimento il granito, poiché osserva che è la roccia che risponde ai sismi con le amplificazioni minori, avendo stabilito sette categorie fondamentali di litotipi, a partire dalle rocce granitiche (cui viene associato un valore di incremento pari a 0), fino ai terreni limosi (con incremento compreso tra 2 e 3). L’incremento espresso dalla (2.1) si riferisce a terreni in assenza di falda freatica; un ulteriore fattore d’incremento sarà, quindi, dovuto alla presenza di falda freatica a scarse profondità dal piano campagna, e verrà espresso con la seguente equazione: 23 CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica (2.2) dove z rappresenta la profondità (in metri) della falda freatica dal piano campagna. Pertanto l’incremento totale n sarà dato dalla somma: (2.3) Poiché in genere il sottosuolo si presenta come una successione di terreni a diversa densità e velocità di propagazione delle onde sismiche, il termine Rn = Vn Jn è da intendersi come media ponderata degli orizzonti compresi nello spessore considerato, e cioè: (2.4) dove Vi, Ji ed hi rappresentano rispettivamente la velocità (km/sec), la densità (g/cm3) e lo spessore (m) dell’i-esimo orizzonte. Medvedev considera che la zona di sottosuolo entro cui diviene influente l’azione del terreno ai fini del verificarsi di incrementi sismici corrisponda ai primi dieci metri di profondità del terreno. Tale metodo, nonostante la notevole diffusione applicativa in tutto il mondo, presenta i sottoelencati limiti: a. difficoltà nell’inserire tutti i parametri caratteristici nella valutazione degli effetti locali in una sola formula; b. la mancanza di registrazioni accelerometriche non permette di valutare il maggiore potenziale distruttivo delle onde di taglio S; c. non vengono presi in esame gli effetti topografici e morfologici; d. non si considera l’energia ed il contenuto spettrale del terremoto di eccitazione; e. il metodo prescinde da qualsiasi analisi di pericolosità sismica ed i risultati ricavati su scala regionale russa non è detto si possano estendere alla sismicità del resto del mondo; 24 CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica f. l’incremento sismico viene utilizzato indipendentemente dall’intensità di riferimento; ciò significa considerare una metrica interna alla scala macrosismica e supporre un comportamento lineare dei terreni sottoposti a sollecitazioni assai diverse. 2.2.2 METODO BROILI Il metodo fu messo a punto da Broili (1979) nell’ambito degli studi che seguirono l’evento sismico del Friuli del 1976 (Broili et alii, 1980, Brambati et alii, 1980, Signanini et alii, 1981) e si basa sulla valutazione del dato geotecnico e idrogeologico ai fini del computo del decremento locale in risposta meccanica ed idraulica del terreno. Tale metodologia può essere intesa come riproposizione del metodo Medvedev: i principi sono gli stessi, ma l’organizzazione del lavoro ed i risultati acquisiti risultano talvolta differenti. Il metodo propone in fase iniziale una distribuzione delle unità litologiche (C1 – C11) in base ad una classificazione meccanica e tecnica del terreno, come visibile in tabella 2.3, dov’è proposta anche una stima dei rispettivi valori di densità (J), velocità di propagazione delle onde P (V) e rigidità sismica (R). In particolare, definita una litofacies di riferimento, che risulta essere il terreno meccanicamente migliore disponibile nell’area in esame (classe C1), l’incremento dell’intensità sismica locale peculiare di ciascuna delle successive dieci classi di terreno viene definito sia in condizioni asciutte, sia in presenza di una falda idrica a varie profondità rispetto al piano di fondazione (0-2-5 metri, tab. 2.4). Hw I Tab. 2.3 - Diversi valori dell’incremento 0 1 2 0.9 5 0.4 di intensità macrosismica (valore espresso in gradi) in funzione della profondità della superficie freatica dal piano di fondazione Hw (in metri). Tratto da Broili (1979) 25 CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica Definizione delle litofacies Rocce carbonatiche massicce, molto compatte, rocce stratificate, compatte, scarsamente fratturate (A1, B1) Rocce carbonatiche stratificate o nettamente stratificate, mediamente fratturate (A2) Rocce carbonatiche e arenarie sottilmente stratificate e molto fratturate: arenarie e marne in strati di media potenza, poco suddivise: marne compatte e massicce (A3, B2) Rocce carbonatiche molto fratturate; arenarie e marne in facies prevalentemente marnosa, fittamente stratificate e suddivise; evaporati in strati medi e sottili, conglomerati e brecce ben cementati e poco fratturati (B3, C2.2) Rocce estremamente fratturate, sino a cataclastiche; conglomerati scarsamente cementati, localmente degradati, più o meno fratturati; arenarie poco compatte; marne e marne argillose poco compatte; evaporati molto suddivise; argilliti e argille sovraconsolidate; conglomerati o brecce ghiaioso-sabbiosi leggermente cementati (A4, B4, B3, C1, C2.1) Argille marnose, argilliti consolidate (NSPT>30, Ic=0.75-1, cu = 100-200 kPa); sabbie ghiaiose scarsamente limose, molto dense (NSPT>40, Dr>0.7) localmente leggermente cementate o legate Argille dure (NSPT=15, Ic=0.75, cu = 100 kPa) ; sabbie ghiaioso-limose dense D2 (NSPT=30-40); sabbie grossolane (Dr=0.6-0.7) Sabbie e ghiaie limose, dense (NSPT=25-30), con lenti o strati sottili limo-argillosi; sabbie limose mediamente dense (NSPT=10-25, Dr=0.4-0.6); argille dure (NSPT=10-15, Ic=0.5-0.75, cu = 50-10 kPa) Sabbie ghiaiose con molto limo mediamente dense (NSPT=10-25) con lenti e strati limoargillosi; sabbie e sabbie limose sciolte E2 (NSPT=5-10, Dr=0.2-0.4); limi, argille plastiche F1 (NSPT=5-10, Ic=0.4-0.5, cu = 25-50 kPa) Sabbie argillose molto sciolte (NSPT<5, Dr<0.2) con lenti e orizzonti limosi e argillosi plastici (NSPT=2-5, Ic=0.25-0.4, cu = 10-25 kPa); sabbie fini omogenee; riporti detritici non compattati Argille molto soffici (NSPT<2, Ic=0, cu = 10 kPa); limi sciolti (NSPT=0-5); argille organiche, sedimenti torbosi e torbe molto soffici F2 classe J (t/m3) V (Km/sec) R 1 2.6 5.7-3.8 10 2 2.5 3.8-3.0 10-8 3 2.5 3.0-2.5 8-6 4 2.4 2.5-1.75 6-4 5 2.3-2.2 1.75-0.9 4-2 6 2.2-2.1 0.9-0.5 2-1 7 2.1-2.0 0.5-0.4 1-0.8 8 2.0-1.9 0.4-0.3 0.8-0.6 9 1.9-1.7 0.3-0.25 0.6-0.4 10 1.7-1.6 0.25-0.15 0.4-0.2 11 1.6-1.2 0.15-0.1 0.2-0.1 Tab. 2.4 - Classi di appartenenza, proposte da Broili (1979) 26 CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica Partendo da queste ipotesi, Broili, facendo riferimento alla formulazione espressa da Medvedev, attribuisce le unità litologiche proposte, costituite da sei zone omogenee e caratterizzate da condizioni più scadenti riguardo alla risposta sismica locale (fig. 2.2). Nota la classe litologica (C1) e calcolata la rigidità sismica (JV) e stabilita la posizione locale della falda nel sottosuolo (Hw), risulta definita l’attribuzione del sito ad una delle sei zone di omogeneità previste (Z1-Z6). Inoltre risulta determinabile l’incremento sismico (n) ed il valore del coefficiente c di risposta meccanica ed idrogeologica del terreno (da utilizzare come aggravio nel computo della sollecitazione locale, dell’intensità macrosismica). Per capire il significato delle sei zone (Z1 – Z6) ne viene fatta una breve descrizione: Zona Z1: divisa in tre sottozone, la prima delle quali (Z1a) è interessata dall’affioramento delle facies litologiche C1 e C2 e comprende rocce sia massicce sia stratificate, con ridotto grado di fatturazione. Sotto il profilo geo-meccanico si tratta di terreni con buone caratteristiche in termini di deformabilità, potenza ed elasticità; l’acqua non influisce in maniera sensibile su queste proprietà e la risposta sismica è ottimale. La seconda sottozona (Z1b) è interessata dall’affioramento della classe litologica C3, costituita da masse rocciose caratterizzate da un progressivo aumento della deformabilità; in tale contesto l’autore considera importante l’aspetto idrogeologico nei problemi di instabilità. Nella terza sottozona (Z1c) interessata dalla facies litologica C4 si ha un’ulteriore diminuzione delle resistenze meccaniche a causa dell’elevata fratturazione delle rocce; Zona Z2: interessata dalle classi litologiche C5 e C6 che mostrano un sensibile aumento della deformabilità rispetto alla classe precedente; la profondità della falda freatica assume, pertanto, un’importanza rilevante, influendo sulla degradazione delle caratteristiche fisico-meccaniche dei terreni; Zona Z3 – Z4: riguardano le facies litologiche C7, C8 e C9, caratterizzate dalla presenza di litotipi con ridotta resistenza meccanica dovuta al minore addensamento ed alla minore coesione; 27 CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica Fig. 2.2 – Diagramma per la determinazione delle zone di omogeneità geologico-geotecnica in prospettiva sismica e per la determinazione del coefficiente di risposta meccanica ed idrologica dei terreni. Tratto da Broili, 1979 28 CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica Zona Z5: riguarda gli affioramenti delle unità litologiche C9 e C10 con falda al piano di fondazione o con falda assente, o di profondità inferiore a 5 metri. Tali aree sono considerate dall’autore piuttosto instabili in condizioni di sollecitazione dinamica, quindi sono sconsigliate per la costruzione di opere che richiedano elevate condizioni di sicurezza o nel caso di una massiccia urbanizzazione; Zona Z6: vi appartengono le litofacies C10 e C11 che sono le più scadenti in relazione alla fattibilità di soluzioni progettuali e di utilizzo tecnico del suolo. Accanto alle sei zone descritte, sono da delimitare altre zone che presentino caratteristiche geomorfologiche significative dal punto di vista della stabilità o dell’incremento di intensità sismica, quali aree in frana, zone al margine di terrazzi, aree passibili di rischio di liquefazione o con zampillamento diffuso, aree caratterizzate da presenza di importanti elementi tettonici, strutture sepolte, etc.. In generale tale metodologia (parallelamente al metodo Medvedev) fornisce indicazioni sul possibile aumento del grado di danneggiamento potenziale al peggiorare delle caratteristiche geologiche s.l. del terreno, ma non consente di tener conto delle risposte sismiche di edifici con diversa struttura nella medesima situazione geotecnica locale. In conclusione si può muovere come critica al metodo, la carenza di informazioni di carattere ingegneristico e sismologico. 2.2.3 METODO DEI MICROTREMORI DI KANAI E TANAKA (1961) Tra i metodi semplificati, tesi alla registrazione delle ampiezze del moto in superficie a causa di vibrazioni di origine naturale e/o artificiale di minore intensità rispetto a quelle provocate da un evento strong-motion, il metodo proposto da Kanai & Tanaka (1961) fu l’antesiniano. I microtremori fanno parte delle vibrazioni definite rumore di fondo ambientale, e risultano dalla sovrapposizione degli effetti di sorgenti naturali (vento, moto ondoso, variazioni di pressione atmosferica) e disturbi artificiali (traffico, macchinari o infrastrutture industriali). Il metodo si basa sul tentativo di correlare, nel dominio delle frequenze, gli spettri desunti da misure sui microtremori e spettri relativi ad eventi sismici avvenuti 29 CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica nella medesima area. Una similitudine tra i sovracitati spettri fornirebbe un metodo rapido e poco dispendioso per la previsione delle caratteristiche di un evento sismico nel sito di monitoraggio. Nonostante i toni trionfalistici con i quali gli autori presentarono il loro metodo, dopo averlo tarato in alcune località giapponesi e statunitensi, sussistono alcuni dubbi (Siro, 1980) sulla qualità delle informazioni ricavate: Fig. 2.3 – Corrispondenze tra spettri di microtremori e di terremoti secondo Kanai & Tanaka (1961) 30 CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica x filtraggio di frequenze poco evidente e instabilità temporale degli spettri di microtremori (soprattutto nel caso di litotipi litoidi o coesivi sovraconsolidati), il che farebbe presupporre che gli spettri desunti non siano una proprietà intrinseca del terreno, bensì fortemente dipendenti dalla natura della sorgente; x non si ha nessuna informazione sul rapporto tra risposta sismica e meccanismi focali del sisma; x non linearità del terreno, che si traduce in una forte dipendenza delle frequenze del sisma dalla sua intensità (fig. 2.4); x Studi condotti tramite prove dinamiche di laboratorio dimostrano che il diverso livello delle deformazioni cui il terreno viene assoggettato dai microtremori e dai terremoti forti può provocare la diminuzione da 2 a 10 volte del modulo di taglio G ed un aumento da 2 a 15 volte del fattore di smorzamento D (Seed & Idriss, 1969). Fig. 2.4 – Spostamento di picchi spettrali verso frequenze più basse al crescere della magnitudo. Tratto da Sigimura, 1982 mod 31 CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica 2.2.4 METODO DI NAKAMURA (1989) L’applicazione del metodo corrisponde ad accertare che la frequenza di risonanza di uno strato coincida con la frequenza per la quale assume il valore massimo il rapporto RHV = HS / VS (Horizontal to Vertical Ratio) tra gli spettri delle componenti orizzontale e verticale del moto del suolo nello stesso sito (fig. 2.5). Il metodo dei rapporti spettrali si basa sull’individuazione di un sito di riferimento, presumibilmente privo di effetti di sito rilevanti, rispetto al quale confrontare il segnale sismico del sito da analizzare. Nakamura (1989) ha proposto una tecnica per l’interpretazione dei microtremori che dovrebbe fornire stime attendibili sia della frequenza fondamentale del deposito che dell’amplificazione relativa a tale frequenza. Questa metodologia non richiede l’individuazione di una stazione di riferimento, permettendo così di operare in campagna utilizzando una sola stazione sismica. La tecnica di Nakamura considera i microtremori composti principalmente da onde di Rayleigh e considera che l’amplificazione relativa agli effetti di sito sia causata dalla presenza di uno strato sedimentario giacente su di un semispazio. In queste condizioni ci sono quattro componenti del moto sismico da considerare: x le componenti orizzontali in superficie (HS) e alla base dei sedimenti (HB); x le componenti verticali in superficie (VS) e alla base dei sedimenti (VB). Secondo Nakamura è possibile stimare la forma spettrale della sorgente dei microtremori AS(Ȧ) (in funzione della frequenza) con la seguente relazione: A S (Z) = VS (Z) VB(Z) (2.5) dove VS e VB sono le ordinate spettrali delle componenti verticali del moto, rispettivamente in superficie e alla base di sedimenti. 32 CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica Fig. 2.5 – Esempio di spettro di ampiezza del rapporto H/Z di uno specifico sito Nakamura definisce come effetto di sito il rapporto spettrale SE(Ȧ): S E (Z) = H S (Z) H B(Z) (2.6) dove HS e HB sono le ordinate spettrali delle componenti orizzontali del moto rispettivamente in superficie e alla base dei sedimenti. Per compensare l’effetto di sito SE(Ȧ) dallo spettro di sorgente AS(Ȧ) viene calcolato il rapporto spettrale modificato SM(Ȧ) come: S M (Z) = S E (Z) H S (Z) VS(Z) = A S (Z) H B(Z) VB(Z) (2.7) Nakamura assume che per tutte le frequenze di interesse HB (Z)/VB (Z) = 1, basandosi su registrazioni, sperimentalmente verificate da lui, di microtremori in pozzo; quindi l’effetto di sito modificato SM(Ȧ) è descritto da : S M (Z) = S E (Z) H S (Z) = A S (Z) VS (Z) (2.8) La frequenza di risonanza è ricercata al primo picco individuato dal rapporto della componente orizzontale su quella verticale dei segnali registrati. 33 CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica 2.3 METODI ANALITICI L'applicazione dei metodi semplificati può essere migliorata solo approfondendo adeguatamente le indagini geotecniche e geofisiche del sottosuolo e adottando metodi di previsione più sofisticati sia in termini di caratterizzazione meccanica sia di modelli di analisi della risposta sismica locale. In sintesi i metodi quantitativi richiede l’adozione di: x un modello geometrico espresso in termini di sezioni e profili di calcolo, tenendo conto di eterogeneità della stratificazione (formazioni distinguibili secondo proprietà fisico-meccaniche), morfologia superficiale (rilievo topografico) e sepolta (andamento del substrato rigido); x un modello meccanico del comportamento dei terreni di copertura ottenuto mediante apposite indagini in sito e in laboratorio per la determinazione della densità e dei parametri di deformabilità al taglio semplice; x un modello numerico in grado di simulare la risposta del sottosuolo al terremoto di riferimento applicato al bedrock e di restituirne la risposta in superficie in termini di accelerogrammi e spettri di risposta. In tabella 2.5 sono riportate le caratteristiche tecniche principali dì alcuni dei codici di calcolo specificamente sviluppati per l’analisi dei problemi di risposta sismica locale, gran parte dei quali sono commercializzati direttamente dall’istituto di ricerca che ne ha curato lo sviluppo. In mancanza di un metodo di soluzione universale, che peraltro il più delle volte può risultare sovradimensionato, conviene selezionare quello che meglio si adatta al problema specifico e che consenta perlomeno di coglierne gli aspetti essenziali. 34 CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica CODICE DI CALCOLO SHAKE SHAKE 91 PROSHAKE 1.1 GEOMETRIA E CONDIZIONI AL CONTORNO Monofase lineare 1-D equivalente frontiera e base elastica Visco-elastico MASH 1-D CHARSOIL 1-D base e superficie libera inclinate DESRA DESRAMOND 1-D frontiera rigida DYNAFLOW GEFDYN 2-D base rigida o assorbente, superficie libera qualsiasi 2-D/3-D base orizzontale, frontiera laterale assorbente 2-D 2-D/3-D FLAC 2D QUAD-4M LUSH FLUSH LEGAME COSTITUTIVO METODO DI ANALISI FONTE Continuo Dominio frequenze Berkley-Davis Shnabel et al. (1972) Idriss & Sun (1992) Discreto Dominio tempi Berkley Martin & Sedd (1978) Linee caratteristiche Ann Arbor Streeter et al. (1974) Discreto Dominio tempi Vancouver-RPI Finn et al. (1976) Vucetic (1986) Monofase lineare equivalente Visco-elastico F.M.E. Dominio tempi Davis Hudson, Idriss & Beikae (1993) Monofase lineare equivalente Visco-elastico F.M.E. Dominio frequenze Berkley Lysimer et al. (1975) Tensioni effettive Elasto-plastico F.M.E. Dominio tempi Differenze finite Dominio frequenze Monofase non lineare Viscoelastico Monofase lineare equivalente Isteretico Monofase lineare equivalente Isteretico Elastico non lineare equivalente Princeton-EPC Prèvost (1981) Minneapolis-ICG Coetzee etal. (1995) Tab. 2.5 – Caratteristiche dei codici di calcolo più diffusi per l’analisi della risposta sismica locale. Tratto da Silvestri (1998), mod 2.3.1 PROGRAMMA PROSHAKE 1.1 Il programma calcola la risposta associata alla propagazione verticale di onde S su modelli monodimensionali. Il codice di calcolo Proshake1.1 rappresenta l’evoluzione dei programmi SHAKE85 (Schnabel et alii, 1972) e SHAKE91 (Idriss & Sun, 1992), utilizzando un’interfaccia semplificata che consente un utilizzo molto più agevole e veloce, rispetto alle precedenti versioni, scritte il linguaggio Fortran. Il programma è organizzato in tre settori (Input Manager, Solution Manager e Output Manager). L’Input Manager permette l’inserimento dei dati di input richiesti dal programma (assetto stratigrafico della verticale su cui eseguire la modellazione, valori di Vs dei litotipi oggetto d’esame, peso di volume dei terreni indagati necessario per il calcolo del modulo di taglio massimo G0, curve di decadimento del 35 CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica modulo di taglio normalizzato G/G0 e del damping ] ed infine un terremoto di progetto da applicare in fase di input). I dati immessi sono salvati in un file con estensione .dat. Il Solution Manager è utilizzato per eseguire l'analisi lineare equivalente, illustrando la variazione della tensione di taglio efficace e dell’errore associato alla variazione del modulo di taglio e dello smorzamento in funzione della profondità per ogni step di iterazione. Il risultato verrà salvato in un file con un'estensione .lyr. Infine, per mezzo dell’Output Manager, sarà possibile osservare graficamente i risultati della modellazione numerica attraverso diagrammi ground motion (timehistory, spettri di Fourier, di fase e di potenza), grafici di distribuzione temporale di sforzi e deformazioni di taglio nel terreno, spettri di risposta, funzioni di trasferimento ed altri parametri ground-motion sia nel dominio del tempo che delle frequenze. ProShake1.1 utilizza un approccio nel dominio delle frequenze per risolvere il problema della valutazione della risposta sismica locale. Il modello fisico consiste di N strati piani e paralleli, di estensione orizzontale infinita, su un semispazio (bedrock). Ogni strato, considerato omogeneo ed isotropo, è caratterizzato dallo spessore h, dalla densità U, dal modulo di taglio G, e dal fattore di smorzamento (]). Il programma è applicabile solo qualora il modello sia a strati orizzontali paralleli infinitamente estesi. L'equazione d'onda utilizzata nel modello (viscoelastico linearizzato di KelvinVoigt) è: U(G 2 u / Gt 2 ) = G(G 2 u / Gx 2 ) + K G 3 u / (Gx 2 Gt) (2.9) dove K = (2G ]/Z) G 2 u / Gt 2 = moto sismico In figura 2.6 è possibile osservare graficamente il procedimento utilizzato dal codice ProShake1.1; le fig. 2.6a e 2.6b riportano le caratteristiche del moto di input rispettivamente nel dominio del tempo e delle frequenze. In figura 2.6c è possibile 36 CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica osservare la funzione di trasferimento calcolata da programma (i picchi della funzione mostrano chiaramente le caratteristiche di amplificazione relative alle frequenze naturali del terreno); è inoltre possibile notare come la maggiore amplificazione si ravvisi alla frequenza più bassa, che viene definita frequenza fondamentale. Infine le figure 2.6d e 2.6e mostrano rispettivamente il contenuto spettrale del segnale in output ed il relativo sismogramma nel dominio del tempo (ottenuto attraverso la trasformata inversa di Fourier del segnale di output nel dominio delle frequenze). Fig. 2.6 – Rappresentazione grafica del procedimento utilizzato dal codice di calcolo ProShake1.1: a) time history del moto di input e b) suo contenuto spettrale; c) funzione di trasferimento; d) spettro di Fourier del moto in output ed e) rappresentazione nel dominio del tempo ottenuta attraverso la trasformata inversa di Fourier 37 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo CAPITOLO 3 3. METODOLOGIE DI ESPLORAZIONE GEOLOGICA DEL SOTTOSUOLO Le indagini geofisiche, utilizzate nell’ambito di problematiche di rischio sismico e più in particolare negli studi per la valutazione dell’amplificazione locale, sono le tecniche più diffuse per studiare il sottosuolo, andandone ad individuare l’assetto strutturale e stratigrafico e la morfologia sepolta e determinando la rigidezza media dei terreni e rocce. Queste metodologie di indagine si basano principalmente sullo studio della propagazione di onde elastiche, che generate in superficie si propagano in profondità per poi risalire quando incontrano superfici di discontinuità tra materiali con caratteristiche geologico-tecniche differenti tra loro. Gli obiettivi principali delle indagini geofisiche sono: x la ricostruzione delle geometrie del sottosuolo per estesi volumi di terreno, e quindi definire gli spessori delle coperture e delle principali unità litotecniche e le geometrie dei corpi che possono essere sede di movimenti franosi; x la caratterizzazione delle unità litologico-tecniche tramite la velocità delle onde P e SH; x la determinazione dei moduli elastici dinamici e il coefficiente di Poisson delle diverse unità litologico-tecniche. Per ricostruire le geometrie del sottosuolo si possono eseguire diverse metodologie tra cui le indagini geognostiche classiche (sondaggi meccanici), oppure metodologie indirette come la sismica a rifrazione e la sismica a riflessione sia con onde P che con onde SH. Per quanto riguarda la determinazione delle velocità dei mezzi indagati oltre alla sismica di superficie utilizzata per la ricostruzione delle geometrie (sismica a rifrazione), si possono utilizzare anche metodi sismici in foro come down-hole e VSP (Vertical Seismic Profile). 38 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo I parametri desunti da tali indagini in situ, insieme a quelli ricavati dall’esecuzione di prove geotecniche di laboratorio sono utilizzati ai fini della modellazione dinamica mono e bidimensionale come dati di input. 3.1 ONDE SISMICHE Le onde sismiche si generano dal moto vibratorio delle particelle di un corpo, che si innesca quando questo viene sollecitato da uno sforzo impulsivo. Per reazione elastica del corpo questo moto viene trasmesso da una particella a tutte le circostanti, cosicchè le onde sismiche prodotte si propagano in tutte le direzioni e, poiché interessano tutta la massa del corpo, vengono chiamate “onde di massa” (Carrara e Rapolla, 1992). Le onde sismiche non sono caratterizzate da un trasporto di materia, ma da un trasferimento di energia che può arrivare anche a distanze considerevoli. In base alla direzione di propagazione tali onde possono essere distinte in due tipologie: x onde longitudinali, si propagano nella stessa direzione di vibrazione delle particelle; x onde traversali, la loro direzione di propagazione è normale al moto delle particelle. Le onde longitudinali sono dette anche “onde di compressione” in quanto generate dalla reazione elastica del corpo che si oppone alla variazione di volume (componenti normali dello sforzo); mentre le onde trasversali sono dette “onde di taglio” in quanto generate da reazione elastica che si oppone alla variazione di forma del corpo (componenti tangenziali dello sforzo) (fig. 3.1). Durante l’arrivo delle onde di compressione P il corpo subisce solo una variazione di forma e la velocità (VP) sarà fortemente legata al modulo di incompressibilità K. Le onde di taglio S provocano anche un cambiamento di volume e sono influenzate dal modulo di taglio ȝ. 39 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo VP VS K 4P J P 3 J (3.1) (3.2) dove Ȗ è la densità del mezzo attraversato dalle onde sismiche. Risulta chiaro che, poiché la rigidità di un fluido è nulla, le onde di taglio non possono essere trasmesse da tali mezzi. La velocità delle onde P è sempre maggiore, a parità di mezzo attraversato, rispetto alla velocità delle onde S, infatti il termine P simboleggia la parola “prime”, poiché le onde di tipo P giungono per prime al sismografo rispetto alle onde S (seconde). E’ importante sapere che per uno stesso mezzo la velocità di queste onde può variare in maniera considerevole visto che intervengono altre caratteristiche meccaniche dei materiali come grado di compattazione, porosità, tessitura e grado di fratturazione che determinano cambiamenti di densità e di conseguenza variazioni di velocità all’interno del mezzo. Fig. 3.1 – Tipi di onde utilizzate nell’esplorazione geologica del sottosuolo. 40 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo Oltre a questi due tipi principali di onde elastiche, che sono più frequentemente utilizzate nella prospezione geofisica, ve ne sono altri due fondamentali (fig. 3.1): x onde di Rayleigh; x onde di Love. Le onde di Rayleigh si producono alla superficie libera di un mezzo dalla combinazione delle onde longitudinali e trasversali; si ottiene così un movimento delle particelle superficiali di tipo ellittico; l’ampiezza delle ellissi decresce esponenzialmente con la distanza dalla superficie libera; le particelle compiono questo movimento ellittico in senso retrogrado alla direzione di propagazione delle onde che vengono così generate; la velocità delle onde di Rayleigh è inferiore a quella delle onde di massa. Le onde di Love sono caratterizzate dalla vibrazione orizzontale delle particelle del terreno, perpendicolarmente alla direzione di propagazione dell’onda. Sono onde legate alla stratificazione e derivano da riflessione multipla, tra la superficie inferiore e superiore di uno strato, di onde S intrappolate. 3.1.1 GEOMETRIA DEI RAGGI SISMICI Quando un’onda sismica incontra una superficie di separazione tra due mezzi isotropi con caratteristiche elastiche diverse, una parte dell’energia si riflette nello stesso mezzo in cui si propaga l’onda incidente, una parte si rifrange nell’altro e una parte subisce il fenomeno della diffrazione. Per un’interfaccia piatta, un raggio d’onda è riflesso e rifratto secondo la legge di Snell: sin(i ) sin( r ) V1 V2 (3.3) come è illustrato in figura 4.2. Se l’angolo di emergenza r = 90°, la relazione che descrive la legge di Snell diventa: 41 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo ic arcsin V1 V2 (3.4) Quando l’angolo di incidenza ic raggiunge questo valore critico (angolo di incidenza critico) la rifrazione si ha lungo l’interfaccia; oltre questo valore si ha la riflessione totale. Fig. 3.2 – Legge di Snell Fig. 3.3 – Percorso dei raggi sismici 42 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo Gli arrivi riflessi e rifratti si hanno allo stesso tempo per una distanza pari alla distanza critica xc. Il punto di intersezione tra la diretta e la rifratta è invece chiamato punto di crossover (fig. 3.3), oltre il quale l’onda rifratta arriva prima della diretta. Si definisce impedenza sismica o rigidità, il prodotto della velocità per la densità del mezzo in cui l’onda si propaga (R=ViȖi). Per incidenze prossime alla normale, cioè per angoli di incidenza piccoli rispetto alla normale alla superficie di separazione, la frazione di energia riflessa r e trasmessa t, sono espresse da: r t R1 R2 R1 R2 (3.5) 2 R2 R1 R2 (3.6) dove r e t sono chiamati rispettivamente “coefficiente di riflessione” e “coefficiente di rifrazione” e rappresentano il rapporto tra l’ampiezza dell’onda riflessa o rifratta con l’ampiezza dell’onda incidente. Se consideriamo il coefficiente di riflessione r si può facilmente notare che quando il rapporto R1/R2 tende ad infinito, r tende a 1, quindi l’onda riflessa ha la stessa ampiezza e fase dell’onda incidente; quando R1/R2 tende a zero, r tende a -1, l’onda riflessa avrà la stessa ampiezza dell’onda incidente ma sarà in opposizione di fase. Per quanto riguarda il coefficiente di rifrazione t, esso è sempre maggiore o minore di uno a seconda che R2 sia maggiore di R1 o viceversa. Quando R2 è molto maggiore di R1, cioè in pratica nel passaggio da un mezzo rigido ad uno con rigidità minore, il coefficiente di rifrazione t tende a 2, quindi si ha un’amplificazione dell’onda. Questo chiarisce in parte gli effetti disastrosi dei terremoti sui manufatti fondati su terreni a bassa rigidità sovrapposti a terreni rigidi e l’importanza che si dà alla corretta valutazione della rigidità sismica dei terreni, specialmente se riferita alle onde di taglio che hanno un potere distruttivo maggiore di quello delle onde di compressione. Bisogna considerare anche il fatto che le formazioni presenti nel sottosuolo sono spesso in condizioni di saturazione totale (sottofalda) e che le azioni in campo 43 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo dinamico avvengono molto rapidamente, trovandoci in condizioni di drenaggio impedito, per cui il fenomeno sismico produce deformazioni volumetriche (indotte dalle onde P) trascurabili rispetto a quelle distorsionali (indotte dalle onde S), quindi la modellazione meccanica di un fenomeno sismico viene fatto con l’utilizzo di onde di taglio S. 3.2 INDAGINI INDIRETTE 3.2.1 SISMICA A RIFRAZIONE La sismica a rifrazione è un metodo attualmente utilizzato in: - ingegneria civile per studi preliminari, per la determinazione della geometria e delle caratteristiche fisico-meccaniche del sottosuolo, per la ricerca di cavità; - idrogeologia per trovare la profondità della superficie piezometrica, zone fratturate, canali carsici; - ricerca petrolifera per la determinazione dei parametri della zona alterata e delle caratteristiche delle formazioni superficiali. Lo scopo della prova consiste nel caratterizzare dinamicamente, tramite la misura della velocità di propagazione delle onde di compressione (VP) e di taglio (VSH), le unità litologiche presenti nell’area di indagine e determinare la geometria (spessori e superfici di contatto) nel sottosuolo. L’utilizzo sia delle onde di compressione che di taglio consente di calcolare i moduli elastici dinamici ed il coefficiente di Poisson. E’ bene ricordare che un orizzonte sismico non necessariamente coincide con un orizzonte litologico, in quanto la velocità di propagazione di un impulso sismico, può variare nell’ambito di uno stesso litotipo perché per variazioni di compattazione, fratturazione, porosità ecc., cambiano le caratteristiche elastiche. La prova trova il suo miglior campo di applicazione con profondità delle coperture da esplorare inferiore ai 30-40 m. Si rende necessaria soprattutto quando i 44 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo risultati da ottenere devono essere di qualità e precisione discreta e quando interessano dati medi relativi ad ampi volumi di terreno. La sismica a rifrazione consiste nel produrre sulla superficie del terreno, in prossimità del sito da indagare, sollecitazioni dinamiche verticali per la generazione delle onde P e orizzontali per la generazione delle onde SH e nel registrare a distanze note e prefissate mediante geofoni rispettivamente a componente verticale ed orizzontale, le vibrazioni prodotte. La sismica a rifrazione con onde di taglio SH è ancora scarsamente utilizzata nella prospezione sismica, pur avendo dimostrato una buona applicabilità, costi di esecuzione contenuti e soprattutto una maggiore risoluzione in particolari situazioni, rispetto alle onde di compressione. Bisogna dire però che negli ultimi anni questa pratica si sta accompagnando sempre più spesso alla sismica a rifrazione in onde P, poiché per i problemi di microzonazione sismica il parametro VS è fondamentale per la caratterizzazione geologico-tecnica dei litotipi, per la determinazione dei parametri elasto-dinamici e per il corretto funzionamento di alcuni programmi di calcolo sia di tipo 1D che 2D che permettono di calcolare spettri di risposta, fattori di amplificazione etc.. L’indagine consiste nel produrre sulla superficie del terreno sollecitazioni dinamiche orizzontali di direzioni opposte e nel registrare le vibrazioni prodotte a distanze note mediante sensori a componente orizzontale. L’interpretazione dei segnali rilevati e la conseguente stima del profilo di velocità delle onde SH possono ricondursi sostanzialmente a due fasi fondamentali: la prima relativa all’individuazione del primo arrivo in SH, la seconda rappresentata dalla ricostruzione delle dromocrone e successiva relativa interpretazione secondo le normali tecniche utilizzate per le onde P. La catena dei geofoni che costituisce il sistema ricevente, si chiama stendimento; lo stendimento, insieme con il numero degli scoppi viene comunemente chiamato copertura. Il numero degli scoppi per ogni linea sismica può variare da un minimo di 3 fino ad un massimo di 9, a seconda dell’accuratezza con cui si vuole ricostruire la 45 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo geometria del riflettore, dalla profondità a cui esso si trova, dalle caratteristiche dei materiali che costituiscono il sito e dalla lunghezza dello stendimento. Uno schema relativo alla geometria di acquisizione è illustrato in figura 4.4. Fig. 3.4 – Schema di acquisizione di una prova sismica a rifrazione, attraverso l’utilizzo di sette punti di energizzazione e 24 ricevitori L’apparecchiatura utilizzata in questo tipo di prove si deve comporre delle seguenti parti: x sistema sorgente; x sistema di ricezione; x trigger; x sistema di acquisizione dati. Per tale metodologia di prospezione, particolare cura va posta nella scelta del “sistema sorgente” che deve essere in grado di generare onde elastiche ad alta frequenza, ricche di energia, con forme d’onda ripetibili e direzionali, cioè con la possibilità di ottenere prevalentemente onde di taglio polarizzate sul piano orizzontale. L’energizzazione per onde P può essere eseguita tramite caduta libera di un grave da un’altezza di circa 3 m; sistemi vibranti, cioè tavole ancorate al suolo alle quali si imprimono vibrazioni a frequenza nota e voluta, con possibilità di variazione della frequenza impressa; martello; cannoncino industriale; esplosivo, rappresentato da una carica di dinamite interrata e fatta esplodere al fondo di un perforo appositamente eseguito, a profondità e in quantità dettate dallo scopo dell’obiettivo da raggiungere. 46 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo Le onde SH vengono normalmente generate con un parallelepipedo di legno o una cassa di ferro, riempita di materiale terrigeno, entrambi di forma tale da poter essere colpiti lateralmente ad ambedue le estremità con una massa pesante. In tutti e due i casi l’asse maggiore del sistema sorgente deve essere posto perpendicolarmente alla direzione dello stendimento. E’ importante che il parallelepipedo venga gravato di un carico statico addizionale in modo che possa rimanere aderente al terreno, sia al momento in cui viene colpito, sia successivamente, affinché l’energia prodotta non venga in parte dispersa. Un buon accoppiamento parallelepipedo-terreno si ottiene facilmente in terreni a granulometria fine; nel caso di presenza di terreni a granulometria più grossolana sarà necessario mettere uno strato di materiale fine a contatto con il parallelepipedo energizzante. La scelta del tipo di energizzazione dipende dalle caratteristiche del sito da indagare e dall’analisi costi-benefici; naturalmente più potente sarà l’energizzazione più vantaggi si avranno, ed in particolare si otterranno un aumento del contrasto segnale-rumore, una migliore qualità del segnale ed una profondità di investigazione maggiore. Il sistema di ricezione è costituito da 24 geofoni verticali per le onde P con frequenza propria variabile tra 4 e 14 Hz e 24 geofoni orizzontali per le onde SH con frequenza variabile tra 4.5 e 15 Hz. La distanza intergeofonica in genere è di 5 m sulla stesa di 120 m e 10 m sulla stesa di 240 m. Il trigger generalmente consiste in un circuito elettrico che viene chiuso nell’istante in cui viene generata la sollecitazione sismica di input, consentendo ad un condensatore di scaricare la carica precedentemente immagazzinata che viene inviata ad un sensore collegato al sistema di acquisizione dati; in questo modo è possibile individuare l’esatto istante in cui la sorgente viene attivata e parte la sollecitazione dinamica. 47 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo Il sistema di acquisizione dati è un sistema multicanale (24 canali) in grado di registrare su ciascun canale le forme d’onda e di conservarle su memoria di massa dinamica a 16 bit. Esso è collegato a ciascuno dei trasduttori di velocità ed al trigger consentendo di registrare in forma numerica e visualizzare come tracce su un apposito monitor le vibrazioni a partire dall’impulso inviato al trigger. Per l’acquisizione in SH, poiché è necessario eseguire la differenza tra la traccia relativa alla battuta destra e quella relativa alla battuta sinistra, occorre una strumentazione che preveda l’inversione di polarità. L’interpretazione dei segnali rilevati e la conseguente stima del profilo di velocità delle onde P ed SH possono ricondursi sostanzialmente a due fasi fondamentali: la prima relativa all’individuazione del primo arrivo, la seconda rappresentata dalla ricostruzione delle dromocrone e successiva relativa interpretazione (Delay-time, GRM, tempo intercetto). La sismica a rifrazione presenta dei limiti insiti nel metodo che portano alla sua inapplicabilità o ad una certa approssimazione in determinati contesti. Questi limiti sono essenzialmente quattro: - inversione di velocità, cioè con uno strato a velocità minore rispetto al superiore, che comporta una sovrastima delle profondità anche del 20-30% in quanto tale strato non appare nel diagramma tempo-distanza; - strato sottile (blind zone), che è la causa di errori nel calcolo di profondità perché questo strato non è visibile nel diagramma tempo-distanza; - elevata inclinazione del rifrattore, per cui l’onda rifratta non arriva in superficie; - poca estensione laterale dello strato, che provoca lo stesso effetto del rifrattore troppo inclinato. Come accennato precedentemente, i metodi di interpretazione dei dati di sismica a rifrazione sono: - metodo del tempo intercetto; 48 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo - metodo del Delay-time; - metodo reciproco generalizzato (GRM). In questa sede sarà discusso solo il metodo GRM in quanto questo è stato utilizzato. Si considera il rifrattore piatto localmente dato che si considera tale solo sulla verticale di R, R’ che non è raggiunto dagli arrivi rifratti. Quando il marker è orizzontale, gli arrivi rifratti registrati in R si originano da C ed E traslati da una distanza chiamata half-offset h tanic. Se si vuole calcolare il delay-time che corrisponde alla rifrazione che si ha nel punto H di figura 3.5, gli arrivi rifratti devono essere registrati ai ricevitori X e Y per entrambi gli scoppi diretto e inverso. I sensori in X e Y sono situati in entrambi i lati del punto R. La distanza XY corrisponde al doppio dell’offset 2 h tanic. Questo nuovo approccio chiamato metodo GRM (Generalized Reciprocal Method), è il miglioramento del delay-time è consiste nel calcolare le curve t+ e t- in funzione della distanza XY. Fig. 3.5 – Metodo GRM 49 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo Il valore ottimale di XY è la distanza per la quale: - la curva t- dà il profilo di velocità più liscio; - la curva t+ dà un profilo di profondità (in tempi) meno liscio. 3.2.2 SISMICA A RIFLESSIONE La sismica a riflessione è una metodologia che, seppur largamente utilizzata per l’esplorazione geologica del sottosuolo (ad esempio nella ricerca petrolifera), trova, nella prospezione “a piccola profondità” un impiego ancora molto limitato soprattutto considerandone le grandi potenzialità. E’ pur vero che in taluni contesti geologici, questa metodologia, almeno nella casistica nota, ha fornito risultati non sempre soddisfacenti ma il poter superare quei limiti propri della tecnica a rifrazione soprattutto per quanto riguarda la ricostruzione delle geometrie del sottosuolo la rende di estremo interesse soprattutto se eseguita con modalità che consentono una risoluzione molto alta. In figura 3.6 è possibile osservare la geometria di esecuzione di una prospezione sismica a riflessione secondo una delle modalità esecutive più diffuse nelle prospezioni a piccola profondità (off-end push increase), in cui la sorgente è all’esterno dello stendimento dei geofoni (off-end spread), secondo una distanza dal primo ricevitore (offset) necessaria per minimizzare l’interferenza tra le onde di superficie e gli arrivi riflessi. Fig. 3.6 – Schema semplificato di esecuzione di una prospezione sismica a riflessione, secondo una geometria di tipo off-end push increase 50 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo Come è noto, a differenza della metodologia sismica a rifrazione, nella prospezione sismica a riflessione si utilizza tutta la registrazione e per quanto attiene la metodologia “multicanale”, l’elemento caratterizzante è rappresentato, in sintesi, dalla correzione e somma di tutte le tracce che convergono in un unico punto (CDP). Mediante un opportuno processing vengono raccolte varie tracce dei sismogrammi che convergono sul medesimo CDP (famiglia). Indi viene individuata la velocità di propagazione dei singoli livelli riflettori e si apporta così una correzione temporale alle tracce di ogni singola famiglia (correzione di move-out) in modo da poterle poi sommare aumentando il rapporto segnale – rumore (stacking e creando una sezione stack) in cui visualmente è possibile riconoscere i singoli riflettori. Naturalmente esiste tutta un’altra serie di operazioni che si svolgono in fase di processing quali filtraggi, filtraggi F – K, deconvoluzione, correzioni statiche, etc., che rendono tale metodologia ancora poco utilizzata nel mondo professionale per problematiche di tipo geologico ingegneristico. Un’ulteriore difficoltà è dovuta al fatto che più è superficiale la prospezione più difficoltoso è il processing, sia per problemi legati alla risolutività del metodo, sia per le presenza di onde superficiali che mascherano le onde di corpo riflesse. Va rilevato che le onde superficiali (Rayleigh) vengono evidenziate e in qualche modo filtrate nel caso di prospezioni con onde di compressione (arrays, filtri di frequenza e F - K). Per le onde SH, per la particolare disposizione dei geofoni e per il sistema di energizzazione adottato, questo tipo di onde superficiali non è presente; sono talora presenti, invece, onde di Love che possono essere eliminate o ridotte sia in fase di acquisizione sia in fase di processing. Come per la sismica a rifrazione, anche la sismica a riflessione può essere eseguita utilizzando sia le onde di compressione (P), sia quelle di taglio S. In quest’ultimo caso, è opportuno sottolineare che quando si parla di onde S ci si vuol riferire alle onde SH (onde di taglio polarizzate orizzontalmente), perché in condizioni normali, a differenza delle SV, non trasmutano e questo è importante soprattutto perché in mezzi eterogenei come in genere quelli superficiali risulta il più delle volte impossibile riconoscere le SV dalle P. In generale, ma soprattutto per 51 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo formazioni non lapidee, il metodo in SH è da preferire alla riflessione in P, specificatamente per ciò che riguarda le indagini di rischio sismico per i seguenti motivi: x evidenzia livelli a contrasto di rigidità sismica; x permette di evidenziare livelli di inversione di velocità delle onde di taglio e conseguentemente contraddistinti da differente rigidità sismica e modulo di taglio dinamico; x non è disturbata dalla presenza di livelli a differente grado di saturazione; x consente di acquisire un quadro conoscitivo, relativamente alle geometrie del sottosuolo migliore rispetto a quello ottenibile dalle perforazioni; x fornisce, in particolare per i primi metri dal piano di campagna, i valori di velocità delle onde di taglio SH per quanto riguarda la propagazione in senso verticale; x ha una risoluzione (a parità di frequenza) migliore dalle onde di compressione; x ha un’attenuazione (nei mezzi insaturi) minore delle onde di compressione. Gli svantaggi sono dovuti essenzialmente al costo relativamente alto rispetto alle altre prospezioni di superficie; ciò è dovuto sia alle particolari cure in ogni sezione sia per il fatto che non si opera con stendimenti lunghi e che l’interspazio tra i geofoni deve essere limitato. Inoltre, l’elevato costo è dovuto al fatto che spesso in fase di processing è necessario analizzare ed isolare le onde superficiali, registrazione per registrazione o famiglia per famiglia rendendo l’elaborazione molto più onerosa di quella che in sismica profonda e automatizzata. 52 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo 3.2.3 METODOLOGIA DOWN-HOLE Allo scopo di tarare o rendere comunque più affidabile l’interpretazione di un rilevamento di superficie, si utilizzano misure sismiche in foro. Questo tipo di misure va effettuato ogniqualvolta si necessita di un’accurata conoscenza delle caratteristiche elastiche dei litotipi presenti nel sottosuolo. Le tecniche di prospezione sismica in foro possono essere distinte principalmente in base alla geometria di acquisizione, ovvero in riferimento al posizionamento del sistema sorgente e del sistema di acquisizione. In figura 3.7 è riportato uno schema semplificato delle tre prove sismiche in foro più diffuse: x la prova cross-hole (fig. 3.7a), in cui vengono richiesti due o più fori di sondaggio, a distanza di solito non superiore a 10 m, in cui alloggiare il sistema sorgente ed i ricevitori; x la prova up-hole (fig. 3.7b), in cui la sorgente energizzante è posta all’interno del perforo ed i ricevitori in superficie; x la prova down-hole (fig. 3.7c), in cui la sorgente è posta in superficie ed i sensori all’interno del foro di sondaggio. Fig. 3.7 – Schema semplificato della geometria di acquisizione delle prove sismiche in foro: a) prova cross-hole, b) prova up-hole, c) prova down-hole 53 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo Il metodo down-hole rappresenta una delle più accurate misure sismiche per la determinazione delle proprietà fisico-meccaniche dinamiche dei terreni (Gasperini & Signanini, 1983). La metodologia consiste nella registrazione a varie profondità, mediante uno o più geofoni collocati in foro, dei primi arrivi delle onde generate da una sorgente posta in superficie a breve distanza dal boccaforo, al fine di ottenere un profilo di distribuzione delle velocità di propagazione delle onde di corpo nei litotipi presenti nel sottosuolo. Si suppone che il volume di terreno, interessato dalle indagini sia stratificato orizzontalmente e che all’interno di ogni strato il comportamento del terreno si possa considerare elastico, omogeneo ed isotropo. Qualora queste caratteristiche non siano verificate è necessario operare con più punti di energizzazione. Esecuzione della prova L’esecuzione della prova down-hole deve essere preceduta da una fase preparatoria di realizzazione del foro in cui alloggiare i ricevitori e di preparazione degli strumenti di registrazione. Durante la fase di perforazione del sondaggio è necessario operare in maniera tale da ridurre al minimo il disturbo sulle pareti e nelle zone di terreno circostanti il foro. La perforazione deve essere eseguita a rotazione ed è opportuno sostenere le pareti con fango bentonitico. Successivamente il foro deve essere rivestito con una tubazione in materiale ad alta impedenza alle vibrazioni. Si devono utilizzare tubi a sezione circolare in PVC, di spessore maggiore o uguale a 3 mm. Infine il foro deve essere cementato in corrispondenza dello spazio anulare compreso tra le pareti e il tubo di rivestimento e chiuso con un packer, in modo da garantire la continuità del contatto terreno-tubazione. Una prova down-hole consiste nel produrre, sulla superficie del terreno, una sollecitazione orizzontale mediante una sorgente meccanica, e nello studiare il treno d’onde, P e S, che si propagano all’interno del terreno alle varie profondità in direzione verticale, con vibrazioni polarizzate nella direzione di propagazione (onde 54 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo P), e dirette perpendicolarmente alla direzione di propagazione, polarizzate su un piano orizzontale (onde SH). Mediante due ricevitori (geofoni tridimensionali) disposti nel terreno a profondità note, viene valutato l’istante di arrivo del treno di onde P e S, rispetto all’istante in cui vengono indotte le sollecitazioni alla sorgente; dividendo quindi per tali valori la distanza (nota) tra sorgente e ricevitori, si può ricavare la velocità delle onde P e S. L’apparecchiatura utilizzata per questo tipo di prove deve essere composta delle seguenti parti (fig.3.8): x sistema sorgente; x sistema di ricezione; x sistema di acquisizione dati; x trigger. Fig. 3.8 – Schema di esecuzione di una prova down-hole 55 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo La sorgente deve essere in grado di generare onde elastiche ad alta frequenza ricche di energia, con forme d’onda ripetibili e direzionali, cioè con la possibilità di ottenere prevalentemente onde di compressione e/o di taglio polarizzate su piani orizzontali (ed eventualmente anche verticali). Per generare le onde di compressione P, si utilizzano i metodi classici quali caduta di un grave, mazza, esplosivo, etc.. La generazione delle onde SH la sorgente è generalmente affidata da un parallelepipedo di forma tale da potere essere colpito lateralmente ad entrambe le estremità con un martello (fig. 3.9). E’ importante che il parallelepipedo venga gravato di un carico statico addizionale in modo che possa rimanere aderente al terreno sia al momento in cui viene colpito sia successivamente, affinché l’energia prodotta non venga in parte dispersa. Con questo dispositivo è possibile generare essenzialmente delle onde elastiche di taglio polarizzate orizzontalmente, con uniformità nella polarizzazione e con una generazione di onde P trascurabile. Inoltre, data l’entità di energia generalmente prodotta, le deformazioni indotte nel terreno in prossimità della superficie sono inferiori a 10-2% e decrescono con la profondità. Fig. 3.9 – Particolare della fase di energizzazione in onde SH 56 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo Risulta estremamente importante curare un buon accoppiamento (coupling) tra il terreno ed il sistema energizzante, soprattutto nell’esecuzione di prove in onde SH (lo stesso concetto è estendibile alle altre prospezioni geofisiche in campo sismico che utilizzano gli stessi sistemi energizzanti e che saranno illustrate nei paragrafi successivi), al fine di evitare che l’energia prodotta in parte venga dispersa e che si proceda alla generazione di onde puramente di taglio, senza che sia ravvisabile alcun importante contenuto in onde P. Il sistema di ricezione, nella sua versione ottimale, si deve comporre di due (o più) ricevitori, ciascuno dei quali è costituito da un trasduttore di velocità orientato secondo le componenti di una terna cartesiana ortonormale. I trasduttori devono possedere appropriate caratteristiche di frequenza e sensitività tali da potere ricevere in maniera adeguata il treno d’onde prodotto dalla sorgente. La risposta in frequenza dei trasduttori non deve variare più del 5% su un campo di frequenze compreso tra metà e due volte la frequenza predominante del treno d’onde che si propaga all’interno del mezzo. I ricevitori devono essere collegati, secondo la loro lunghezza, in modo di fissarne la distanza verticale (compresa tra 1 e 3 m) e l’orientazione relativa (in modo che i trasduttori orizzontali siano paralleli e concordi a due a due) e in modo tale da potere anche controllare dalla superficie l’orientazione assoluta. Bisogna porre particolare attenzione al fatto che i sistemi previsti per mantenere costanti le distanze e per garantire l’isorientazione dei geofoni non producano interazione sismica tra i due sensori. E' necessario, inoltre, adottare un adeguato sistema di ancoraggio per garantire un buon accoppiamento in foro tra i ricevitori e le pareti di rivestimento. Il trigger generalmente consiste in un circuito elettrico che viene chiuso nell’istante in cui viene generata la sollecitazione sismica di input, consentendo ad un condensatore di scaricare la carica precedentemente immagazzinata che viene inviata ad un sensore collegato al sistema di acquisizione dati; in questo modo è possibile individuare e visualizzare l’esatto istante in cui la sorgente viene attivata ed in cui la sollecitazione dinamica ha inizio. 57 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo Un ottimale sistema-trigger (interruttore, geofono starter, etc.) all’atto di sollecitazioni ripetute non deve presentare differenze di chiusura circuito superiori a 0.5 millisecondi. Il sistema di acquisizione dati è costituito da un sistema multicanale in grado di registrare su ciascun canale in forma digitale le forme d’onda e di conservarle su memoria di massa dinamica minima a 16 bit. Esso è collegato a ciascuno dei trasduttori di velocità e al sensore del trigger e consente quindi di registrare in forma numerica e visualizzare come tracce su un apposito monitor le vibrazioni a partire dall’impulso inviato dal trigger. Elaborazione dei dati La metodologia classica di elaborazione dei dati di una prova down-hole si articola nelle seguenti fasi: 1. picking dei primi arrivi, che consente di conoscere i tempi di arrivo obliqui; 2. misura dei tempi di ricezione dei primi impulsi rilevati (t); 3. calcolo dei tempi verticali (t*), cioè tempi per percorsi verticali (secondo l’asse del perforo), secondo la seguente equazione: t* = z t= d z 2 z +R 2 t (3.7) dove t* è il tempo verticale; z la profondità del ricevitore; d la distanza effettiva tra sorgente e ricevitore; R la distanza superficiale tra sorgente e centro del foro; t il tempo obliquo registrato dal geofono, come visibile nello schema semplificato in figura 3.10. 58 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo Fig. 3.10 – Schema semplificato di una prova down-hole in cui z è la profondità verticale d’investigazione, R la distanza superficiale tra sorgente e boccaforo e d l’effettivo percorso delle onde sismiche dallo shot-point al ricevitore Infatti, il percorso delle onde sismiche dovrebbe essere verticale dalla sorgente al ricevitore, per cui l’energizzazione dovrebbe essere fatta il più vicino possibile al pozzo; questa necessità si scontra, comunque, con l’esigenza di allontanare la sorgente dal boccaforo per far in modo che i primi arrivi registrati nel sismogramma non siano dovuti al percorso fatto lungo la cementazione del foro alla velocità del cemento (rifrazione sul casing). La distanza sorgente-boccaforo va valutata caso per caso anche in relazione alla quantità di cemento utilizzata. Se, infatti, la quantità di boiacca è più del doppio dell’interspazio foro-tubo, essa va aumentata. In genere tale distanza non è maggiore di tre metri, considerando anche il fatto che all’aumentare di questa aumenta la possibilità di avere primi arrivi rifratti e non diretti e di misurare, quindi una velocità orizzontale. I dati possono essere attendibili quando la profondità del geofono P è maggiore della distanza boccaforo-punto energizzante R. 59 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo Per determinare il tempo di arrivo delle onde P e S ai ricevitori, si procede ad un’analisi visuale delle registrazioni delle vibrazioni rilevate dai trasduttori del ricevitore confrontate con il segnale di trigger. Operando con il doppio sistema di energizzazione, percussione verticale per le onde P, percussione orizzontale per le SH, nelle registrazioni energizzate in verticale si valuterà il primo attivo in P; nelle registrazioni energizzate con percussione orizzontale, sottratte le registrazioni “battuta destra-battuta sinistra”, il primo arrivo sarà costituito dalle onde di taglio SH poiché eventuali onde di compressione provocate durante l’energizzazione tenderanno, con la differenza “battuta destrabattuta sinistra” a ridursi in ampiezza laddove le SH (che invertono in polarità a seconda della direzione di battuta) tenderanno a sommarsi aumentando così d’ampiezza. S’ipotizza che il percorso delle onde tra sorgente e ricevitori sia rettilineo, trascurando i fenomeni di rifrazione che ne modificano il percorso. Va rilevato che non sempre i tracciati registrati dai ricevitori sono chiari e univocamente interpretabili sia per l’eventuale presenza di onde rifratte di ampiezze non trascurabili che, precedendo quelle dirette, ingannano sui reali tempi d’arrivo indicando velocità intervallari anomale e sia perché, soprattutto in profondità, l’istante di primo arrivo delle onde non è talora facilmente individuabile; sfruttando il fatto di disporre di più ricevitori si può far riferimento ai tracciati registrati da ciascuno di essi ricercando dei punti caratteristici (picchi o valli) successivi al primo arrivo ritrovabili in entrambi i segnali e stimandone il ritardo e quindi ricavando la velocità d’intervallo (in tal caso affinché ad ogni picco dell’una registrazione corrispondano rispettivamente i picchi o le valli dell’altra è necessario che sia stata precedentemente stimato l’effetto dell’orientazione dei trasduttori rispetto alla direzione di propagazione delle onde e che sia noto se i trasduttori siano orientati in maniera concorde o discorde). A seguito della correzione dei tempi, si procede alla creazione di un diagramma profondità-tempi verticali, in cui rappresentare i tempi corretti in funzione della profondità della terna geofonica. 60 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo Il passo successivo è quello di individuare le dromocrone (fig. 3.11), cioè gli intervalli caratterizzati da una pendenza costante; tali pendenze sono sintomatiche della velocità di propagazione delle onde di corpo nei diversi sismostrati individuati. Per una maggiore comprensione della distribuzione delle velocità sismiche nel sottosuolo è possibile creare un diagramma profondità-velocità intervallari, come riportato in figura 3.12. Fig. 3.11 – Grafico delle dromocrone del DHS14 ubicato nel comune di Fivizzano, località Capoluogo. Fig. 3.12 – Grafico delle velocità intervallari del DHS14. L’utilizzo di indagini down-hole permette, quindi, una caratterizzazione in situ del terreno in termini di parametri elasto-dinamici e spessori dei sismostrati indagati. Gli svantaggi sono dati dal carattere estremamente puntuale del dato acquisito e dalla 61 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo scarsa attendibilità dello stesso per profondità d’investigazione inferiori alla distanza superficiale tra sorgente sismica e boccaforo. Infine, malgrado fosse ritenuto impossibile dalla maggior parte della comunità scientifica operante nel settore realizzare prove down-hole con profondità maggiori di circa 30 metri dal piano campagna (soprattutto per problemi di attenuazione del segnale che, come è risaputo, in tali tecniche è generato in superficie), in studi di esplorazione del sottosuolo nelle aree di indagine in Toscana, si sono ottenuti risultati soddisfacenti con prove down-hole spinte ad elevate profondità. 3.3 INDAGINI DIRETTE Le indagini geognostiche permettono la ricostruzione dei principali lineamenti del sottosuolo ed integrano gli elementi raccolti attraverso il rilevamento geologico di superficie. In particolare, mediante queste indagini è possibile identificare le proprietà fisiche, meccaniche, mineralogiche dei corpi sepolti, il loro assetto geometrico, nonché le caratteristiche strutturali e idrogeologiche. Tali indagini si dividono in due gruppi a seconda che vengano eseguite in sito o in laboratorio. Le prove di laboratorio vengono effettuate su piccoli campioni di terreno prelevati in sito. Questi dati sono dei dati puntuali cioè riferiti ad una porzione piccola e limitata di terreno e dal momento che questi hanno subito un disturbo durante l’esportazione e sono stati privati delle loro condizioni naturali, è opportuno che i risultati ottenuti da tali prove vengano confrontati con i dati delle prove di sito. Per questo motivo le indagini in sito sono da preferirsi a quelle di laboratorio, anche se quest’ultime sono economicamente meno onerose. Le prove in situ tendono a fornire indicazioni dello stesso ordine di grandezza del problema affrontato, in quanto i risultati si riferiscono a materiali situati nella loro posizione naturale e sottoposti alle reali sollecitazioni di carattere litostatico e tensionale. 62 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo La determinazione delle proprietà fisiche e mineralogiche avviene di norma attraverso indagini di laboratorio mentre per le caratterizzazioni meccaniche si può ricorrere sia a prove di sito che a prove di laboratorio. In generale possiamo affermare che quando si affronta un problema di carattere geologico vanno eseguite sia le prove in sito sia le prove di laboratorio e dall’analisi comparata dei dati ottenuti si riesce ad avere una buona caratterizzazione geologicatecnica dei materiali e a ricostruire delle sezioni geologico-tecniche che meglio approssimano le reali situazioni di sito. 3.3.1 INDAGINI IN SITO Le prove in sito permettono di identificare la natura dei terreni e di ricostruirne la stratigrafia oltre che ad identificare i principali lineamenti del sottosuolo. La raccolta di tali dati viene effettuata o in modo diretto, attraverso la realizzazione di sondaggi meccanici e prove penetrometriche o in modo indiretto, attraverso le indagini geofisiche. Naturalmente i sondaggi meccanici sono da preferirsi, nonostante abbiano costi di realizzazione elevati e tempi di esecuzione elevati, poiché danno informazioni dirette sulla litologia dei terreni attraversati. D’altra parte le indagini geofisiche hanno il limite di fornire indicazioni solamente su alcune proprietà intrinseche del terreno quali velocità delle onde sismiche, resistività ecc, però presentano molti vantaggi come rapidità di esecuzione, elevata profondità d’indagine e costi contenuti. E’ bene comunque ricordare che le indagini indirette devono essere eseguite ad integrazione di indagini dirette puntiformi. Queste ultime, infatti, svolgono la funzione di taratura per i dati geofisici. 63 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo 3.3.1.1 Sondaggi geognostici Le perforazioni di sondaggio hanno lo scopo di: x ricostruire il profilo stratigrafico mediante l’esame dei campioni estratti; x consentire il prelievo dei campioni per la determinazione delle proprietà fisiche e meccaniche; x consentire l’esecuzione di rilievi e misure sulle acque sotterranee; x consentire, mediante l’esecuzione di prove in sito, la determinazione delle proprietà geotecniche. Il numero può variare a seconda dell’estensione dell’area da indagare, delle caratteristiche geologiche dei terreni e del tipo di opere da realizzare. Anche nelle problematiche più semplici è comunque necessario eseguire almeno due sondaggi per correlare orizzontalmente i dati individuati nelle singole perforazioni. Per quanto riguarda l’ubicazione del sondaggio in superficie, essa dipende dal tipo di problema esistente, dalle caratteristiche geologiche dell’area ed anche dagli aspetti logistici legati all’accessibilità della zona. I sondaggi devono approfondirsi in misura tale da attraversare il volume del sottosuolo direttamente interessato dalla problematica geologica. Il loro diametro sarà in genere di circa 100 mm per campionare continuamente il materiale, mentre tale misura potrà cambiare sensibilmente nel caso di inserimenti di strumenti nel foro. Le tecnologie di perforazione più utilizzate sono la perforazione a rotazione, eseguita mediante un utensile che ruota sul fondo del foro staccando frammenti di materiale, e la perforazione a percussione, in cui l’utensile di perforazione viene infisso nel terreno o per caduta dello strumento stesso o per mezzo di una massa battente. 64 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo 3.3.1.2 Prove penetrometriche dinamiche La prova consiste nell’infissione a percussione di uno speciale campionatore che, penetrando nel terreno, consente di valutarne la resistenza meccanica alla penetrazione, attraverso la misura del numero di colpi corrispondenti ad un dato avanzamento dello strumento. Così facendo si valuta lo stato di addensamento dei terreni. Queste prove sono spesso usate per integrare le correlazioni stratigrafiche fra sondaggi, a causa del loro costo relativamente contenuto, e per dedurre la resistenza del terreno e la deformabilità degli strati attraversati. In tali prove l’infissione dello strumento avviene per caduta libera di un maglio di determinato peso Q ed una determinata altezza H. Tanto più sono numerosi i colpi richiesti per l’infissione standard dello strumento, tanto maggiore è la resistenza del terreno attraversato. Inoltre è possibile stimare mediante correlazioni empiriche i seguenti parametri: - densità relativa (Dr); - angolo di resistenza al taglio (IJR); - resistenza alla liquefazione dei terreni granulari; - modulo di taglio a piccole deformazioni sia nel caso di terreni a grana grossa che in quelli a grana fine. La prova può essere effettuata in fori di sondaggio, oppure in fori appositamente eseguiti. Sul fondo del foro, accuratamente pulito, dovrà essere infisso a percussione un campionatore di forma e dimensioni standard. Viene determinato il numero di colpi necessari alla penetrazione di 45 cm, misurati separatamente in tre tratti di 15 cm ciascuno. Questa prova è denominata prova SPT (Standard Penetration Test). Il campo di applicabilità della prova è in rapporto alla natura del terreno, infatti la prova va di solito eseguita in terreni granulari come sabbie e ghiaie fini e in presenza di grossi elementi lapidei la prova perde di significato. 65 CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo L’apparecchiatura per la realizzazione di una prova penetro metrica dinamica deve essere fornita di: x tubo campionatore, che di solito è fatto di acciaio indurito con superfici esterne ed interne lisce. Esistono diversi tipi di tubi campionatori. Uno tra i più utilizzati è quello tipo Raymond. Questo tubo, oltre la quota della scarpa, presenta un allargamento del diametro interno da 35 a 38,1 mm, in quanto è previsto il posizionamento di un cilindro portacampione in plastica; x aste, di norma in acciaio che collegano la testa di battuta del maglio con il campionatore. Queste devono essere diritte presentando un’inflessione inferiore all’1 per mille; x dispositivo di battuta, che consiste di una testa di battuta in acciaio strettamente avvitata all’estremità della batteria di battuta, un maglio ed un dispositivo per una caduta libera del maglio di 760 mm. 66 CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici CAPITOLO 4 4. MODULI ELASTO-DINAMICI Recentemente è cresciuto l’interesse da parte degli ingegneri per i parametri elastici del terreno determinati per via sismica, detti anche “dinamici” per distinguerli da quelli ottenibili in laboratorio su campioni indisturbati, detti “statici”. In generale, però, tutte le prove geotecniche, pur avendo raggiunto un elevato grado di sofisticazione ed affidabilità, soffrono della limitazione di essere puntuali, cioè relative ad un modesto volume di roccia, anche perché sono effettuate, nella maggior parte dei casi, su provini in laboratorio; pertanto esse non possono rappresentare completamente il comportamento di un terreno nelle sue condizioni di giacitura naturale. Viceversa le determinazioni effettuate per via sismica, utilizzando cioè i valori delle velocità delle onde P ed SH ricavate durante le varie prove geofisiche, sono riferibili a volumi di roccia significativi ed in condizioni indisturbate; inoltre i parametri determinati per via sismica sono riferiti a sollecitazioni di tipo dinamico e pertanto più significativi nei problemi di ingegneria sismica. E’ di fondamentale importanza una corretta valutazione delle velocità delle onde di compressione e di taglio e della densità del mezzo attraversato per una giusta valutazione dei parametri elasto-dinamici. Determinare esattamente i valori dei moduli che caratterizzano il mezzo permette di ottenere utili informazioni circa la sua natura e il tipo di risposta alle sollecitazioni dinamiche. 67 CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici 4.1 VELOCITA’ NEI MEZZI POROSI I mezzi porosi sono i materiali più complessi da studiare per la loro natura granulare e per la presenza delle fasi solida, liquida e gassosa. La velocità in un mezzo poroso è funzione di una molteplicità di parametri che interagiscono tra di loro. E’ comunque possibile individuare due parametri fondamentali direttamente influenzanti la velocità: - la superficie di contatto tra i singoli granuli; - la fase tra i granuli. Questi due parametri sono a loro volta funzione di: - porosità; - saturazione in una fase; - pressione; - grado di accoppiamento (coupling) solido-fluido; - temperatura. Tutti questi parametri agiscono in maniera proporzionalmente analoga sia sulle onde P che sulle onde S. L’unico comportamento divergente si ha riguardo al grado di saturazione. 4.1.1 EFFETTO DELLA POROSITA’ La velocità di un’onda P o S diminuisce all’aumentare della porosità, come mostrato nelle figure 4.1 e 4.2. Fig. 4.2 – Velocità di sedimenti marini sabbiosi saturati in funzione della porosità (x); la curva si riferisce alla velocità teorica; la retta si riferisce alla velocità dell’acqua 68 CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici Fig. 4.1 – Velocità delle onde P in funzione della porosità per campioni di 2 tipi di arenarie (x e u); le due curve si riferiscono, invece, a due equazioni di descrizione del fenomeno, delle quali quella in alto è l’equazione n. 2 di Willie o equazione time-average 4.1.2 EFFETTO DELLA SATURAZIONE La saturazione è l’unico parametro che agisce in maniera differente riguardo alle onde P (figura 4.3) e alle onde S (figura 4.4). Fig. 4.3 – Velocità delle onde P in rapporto alla saturazione in acqua 69 CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici Fig. 4.4 – Velocità delle onde S in rapporto alla saturazione in acqua Come si osserva nelle figure, l’aumento della saturazione in acqua porta per le onde P prima una diminuzione, poi un aumento della velocità; per le onde S una diminuzione della velocità. 4.1.3 INFLUENZA DELLA PRESSIONE La figura 4.5 illustra quattro curve di velocità per un’onda P e tre per un’onda S in funzione della pressione essendo: x Pc = pressione di confinamento; x Pp = pressione dei pori; x Pe = pressione effettiva. Pe = Pc - Pp (5.1) 70 CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici Quando la pressione dei pori è nulla (curve 1 e 2), cioè in condizioni drenate (sistema aperto), si ha una forte variazione della velocità delle onde P ed S per pressioni di confinamento minori di 1 kbar: queste variazioni sono dovute alla chiusura dei pori sotto l’effetto della pressione di confinamento, in assenza dell’azione di contrasto esercitata dalla pressione dei pori. Notare la grande variazione di velocità per le onde P che si propagano sia nel solido che nel liquido, e la modesta variazione che si ha per le onde S che non si propagano nel fluido. Quando la pressione dei pori uguaglia la pressione di confinamento (curve 3 e 4), cioè in condizioni non drenate (sistema chiuso) i pori non possono chiudersi come nel caso precedente e la variazione di velocità è piccola e linearmente proporzionale alla pressione. Fig. 4.5 – Influenza della pressione di sconfinamento sulla velocità 71 CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici E’ interessante vedere in figura 4.6, in condizioni drenate (sistema aperto) l’andamento della velocità per le onde P in funzione della pressione, al variare della saturazione. In riferimento alla stessa figura si osserva che all’aumentare della pressione la velocità rimane costante se il campione è saturo (100%) mentre aumenta e va all’asintoto orizzontale per un grado di saturazione del 95% e se il campione è secco, con valori maggiori nel primo caso. Fig. 4.6 – Effetto della pressione sulla velocità in campioni secchi, saturi e parzialmente saturi 72 CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici 4.1.4 EFFETTO DELLA TEMPERATURA La figura 4.7 mostra come la velocità delle onde P varia in funzione della temperatura e della natura del fluido. La variazione di temperatura fa variare la viscosità che influisce direttamente sulla velocità. Quando la viscosità non cambia, come per il gas il solido in figura, non ci sono variazioni di velocità. Fig. 4.7 – Influenza della temperatura sulla velocità 4.1.5 IL MODELLO DI WYLLIE Tra tutti i parametri che influenzano la velocità nei mezzi porosi, il fattore principale è la porosità. Infatti una variazione di porosità dal 3 al 30 % può dare variazioni di velocità del 60 %. Le velocità sismiche relative ai mezzi porosi presentano, in particolari condizioni, dei comportamenti difficili da spiegare. Un modello semplificativo capace di inquadrare tali comportamenti è quello di Wyllie che appare in figura 4.8. 73 CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici Fig. 4.8 – Relazione teorica tra le velocità misurate e la velocità del fluido per un accoppiamento perfetto Questa figura può essere così interpretata: x nel caso in cui la componente roccia abbia un valore di velocità molto più alto della componente fluida (roccia-gas) la velocità misurata sarà quella della roccia; x nel caso in cui la roccia abbia velocità nettamente inferiore a quella del fluido, la velocità registrata sarà quella del fluido stesso corretta da un fattore definito coefficiente di sinuosità del liquido; x nel caso in cui le due velocità siano circa simili, la velocità registrata V sarà una media e precisamente espressa dall’equazione n.1 di Wyllie o del time average 1 / V = ĭ / V1 + (1 – ĭ)җ / V2 (4.2) Le differenze di comportamento descritte possono essere dovute oltre che alle differenze di velocità su menzionate, anche al grado di porosità della matrice solida. Infatti, con l’aumento del grado di porosità, la velocità può assumere valori inferiori a quelli del costituente a più bassa velocità del mezzo poroso. 74 CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici 4.1.6 COMPORTAMENTI ANOMALI RIGUARDANTI LA VELOCITA’ E’ possibile, durante le prospezioni, registrare velocità che potrebbero sembrare errate, alle quali è possibile, in base a tutto ciò che è stato detto precedentemente, tentare di dare una spiegazione: x in un mezzo poroso le velocità delle onde compressionali inferiori a quelle dell’aria trovano una giustificazione sia teorica che sperimentale: questi valori di velocità, rilevati nelle coltri più superficiali possono dipendere dal coupling di matrice ed essendo il primo arrivo in relazione al continuum aria, esso risulterà inferiore al valore di quest’ultimo mezzo per i descritti fenomeni di sinuosità; x in un mezzo poroso le velocità delle onde compressionali inferiori a quelle dell’acqua sotto il piano di falda possono aversi o in presenza di sedimenti con porosità superiore al 65%, oppure se una fase gassosa sostituisce parzialmente il mezzo liquido del sistema; x in un mezzo poroso in cui si ha un aumento del grado di saturazione con la profondità, il fatto che le onde P segnalino un bed-rock alla profondità reale, mentre le S sovrastimino la sua profondità, può essere spiegato, con quanto detto precedentemente: risulta, infatti, che le onde compressionali aumentano di velocità nel passaggio da condizioni di media saturazione a condizioni di completa saturazione, mentre le onde trasversali diminuiscono di velocità all’aumentare del grado di saturazione. 75 CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici 4.2 MODULI ELASTICI I moduli elastici possono essere utilizzati per risolvere le problematiche presenti nell’associazione tra velocità e parametri fisici. Infatti l’impiego di questi permette talora di “bypassare” l’ambiguità connessa con i valori di velocità, pur non trascurando il fatto che sono ricavati dalle velocità stesse. 4.2.1 MODULO DI YOUNG Esso è definito dall’equazione: E= ª¬9U VS2 K/U VS2 º¼ / ª¬3K/U VS2 1º¼ (4.3) Tale modulo dipende dalla porosità, dalla pressione litostatica e dagli altri moduli elastici. Aumenta in misura considerevole quando al campione “dry” a bassa porosità vengono aggiunte piccole quantità d’acqua; diminuisce quando un campione ad alta porosità viene sottoposto allo stesso trattamento. I minimi valori del modulo si registrano in litotipi ad alta porosità saturi in gas, mentre i valori massimi si hanno per litotipi sotto pressione saturati in acqua ed a bassa porosità. Il campo di variabilità è considerevole. Il modulo di Young ha le dimensioni di una pressione e si esprime in Newton/m2 o kg/cm2. 76 CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici 4.2.2 COEFFICIENTE DI POISSON Tra i moduli elastici dinamici tale parametro è l’unico che non necessita della conoscenza della densità per la sua determinazione. E’ definito dalla seguente equazione: (VP/VS) 2 -2 Ȟ=1 2 (VP/VS) 2 -1 (4.4) Sebbene in teoria esso sia considerato stress-indipendente e venga previsto assumere valori compresi tra 0.25 e 0.33, nei porous media esso risulta stressdipendente e tende ad assumere un più largo campo di valori e può addirittura giungere a valori negativi (Gregory, 1976). I valori più bassi del modulo di Poisson, in natura, si registrano per litotipi ad alta porosità, bassa pressione e gas saturati; in alcuni sedimenti incoerenti e saturi i valori possono risultare uguali o superiori a 0.49; nelle sospensioni assume valore di 0.5. Il coefficiente di Poisson è un numero adimensionale. Teoricamente, per mezzi isotropi, risulta stress-indipendente (Love, 1927) e varia tra 0.25 e 0.33. In pratica, per mezzi anisotropi, risulta stress-dipendente con il decadimento della VS, per grandi deformazioni, e può assumere un più esteso range di valori (fig. 4.9). Fig. 4.9 – Variabilità del coefficiente di Poisson nei diversi terreni. Tratto da D’Intinosante et alii, 2001 77 CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici 4.2.3 MODULO DI RIGIDITA’ Questo parametro è fortemente dipendente dalla porosità e dalla pressione; assume valori più bassi in litotipi ad alta porosità, bassa pressione e saturati in acqua. Il campo di variabilità di questo modulo (soprattutto nei porous media) è notevole. Il modulo di rigidità, che esalta il comportamento delle Vs, è definito dalla seguente equazione: G 4.2.4 U VS2 (4.5) MODULO DI BULK Il modulo di Bulk (K) è definito rispetto alle Vp, Vs e densità dalla seguente equazione: K=U (VP2 -4/3 VS2 ) (4.6) Questo modulo varia in funzione della porosità, della pressione e della quantità di fluido saturante. Tende ad aumentare con il grado di saturazione, col decrescere della porosità e con l’aumentare della pressione. 4.2.5 RAPPORTO VP/VS Questo parametro può fornire utili informazioni sullo stato di consolidazione e sulla presenza di gas nei mezzi porosi. Rapporti maggiori di 2 si riscontrano in presenza di sabbie saturate non consolidate, altri rapporti risultano altresì per terreni incoerenti argilloso-limosi ad alto grado di saturazione. Valori inferiori a 2 si registrano in presenza di rocce compatte o sedimenti gas saturati; in rocce saturate tale rapporto risulta dipendente dalla litologia, dalla 78 CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici quantità e geometria dei pori e dalle microfratture presenti e potrebbe, nota la litologia, fornire indicazioni su questi ultimi due parametri. Fig. 4.10 – Effetto della pressione e della saturazione in fluido sui moduli elastici delle rocce sedimentarie. Tratto da Pergalani & Signanini, 1984 Uno schema di comportamento dei moduli elasto-dinamici appare in figura 4.10 (Pergalani & Signanini, 1984). Le freccette in figura sono rappresentative del comportamento del modulo di rigidità e del coefficiente di Poisson in sedimenti incoerenti a pressione atmosferica, dove, in caso di completa saturazione, il primo tende a zero ed il secondo approssima il valore limite di 0.5. 79 CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale CAPITOLO 5 5. RICOSTRUZIONE DEL CAMPO MACROSISMICO DELLA TOSCANA SETTENTRIONALE La comprensione delle caratteristiche sismotettoniche dell’area di studio, della sua sismicità storica e dei probabili meccanismi ed energie liberate durante l’accadimento di eventi tellurici è un passo importante, al fine di inquadrare il sito investigato da un punto di vista della sua pericolosità di base. Inoltre, poiché dell’evento sismico considerato in questa sede non si possiedono registrazioni sperimentali, in quanto l’epoca (siamo alla fine del secondo decennio del XX secolo) ed il contesto socio-economico in forte crisi (le aree di Garfagnana e Lunigiana erano all’epoca a prevalente vocazione contadina ed oggetto di una forte corrente migratoria) non lo permettevano, la ricostruzione del campo macrosismico e delle caratteristiche dello scuotimento al suolo sono un passo fondamentale per la costruzione del terremoto di progetto, da utilizzare come input per le modellazioni numeriche. L’attività sismica dell’Appennino Nord-Occidentale può essere suddivisa in tre aree principali: 1) Garfagnana – Lunigiana: situate sul bordo est della parte interna della catena, nelle quali la neotettonica ed il vulcanismo confermano l’esistenza di strutture prevalentemente tensionali; 2) Bordo appenninico e sottosuolo padano, corrispondente all’attuale fronte attivo della catena con caratteristiche compressive; 3) Pistoia – Mugello: la depressione del Mugello è ancora una struttura a carattere distensivo mentre l’allineamento sismico di Pistoia ha caratteri trascorrenti. La Toscana settentrionale è un’area caratterizzata da una storia sismica importante, con una discreta frequenza di eventi sismici ad elevata intensità macrosismica (fig.5.1). La scelta di concentrare l’attenzione scientifica sulla comprensione delle caratteristiche di scuotimento e danneggiamento, relative al terremoto che devastò le 80 CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale aree della Garfagnana e della Lunigiana nel settembre del 1920, invece di basarsi sullo studio di eventi sismici più recenti, con la possibilità di acquisire dati diretti sui parametri free-field, è stata dettata dalle seguenti motivazioni: x il sisma del 7 settembre 1920 è di gran lunga il più intenso registrato in epoca recente nella porzione settentrionale della Toscana e questa è una condizione essenziale, affinché esso possa essere considerato come terremoto di progetto; x malgrado il carattere prevalentemente storico di tale evento tellurico escluda la possibilità di ricavare valide registrazioni strumentali, la distribuzione delle ripercussioni sulla popolazione, sul sistema insediativo e sull’ambiente è ben documentata. Fig. 1920 GARFAGNANA 1900 1834-35 PONTREMOLI 5.1 – Distribuzione temporale degli eventi sismici con I > 5 – 6 nella Lunigiana e Garfagnana dal 1400. Tratto da Ferrari (1987) 1837 ALPI APUANE 1800 1746 BARGA 1740 BARGA 1700 1730 MASSA 1641 PONTREMOLI 1600 1545 BORGO VAL DI TARO 1481 FIVIZZANO 1500 1400 1 2 3 4 5 6 7 8 Intensità macrosismica 81 CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale Le fonti storiche utilizzate per la ricostruzione temporale dell’evento sismico del 7 settembre 1920 sono di vario tipo (Patacca et alii, 1987): 1. osservazioni originali di studiosi, presenti nell’area al momento dell’evento catastrofico (De Stefani, 1920; Tosatti, 1922); 2. osservazioni fornite da studiosi che si recarono nell’area colpita nei giorni immediatamente successivi (Monnet, 1920, 1922); 3. considerazioni scaturite dalla lettura di dati strumentali (Alfani, 1920); 4. compilazioni e/o elaborazioni a varia distanza di tempo dall’evento sismico (Raddi, 1921; Ingrao, 1927; Cavasino 1935; Iaccarino, 1968); 5. cronache, in taluni casi corredate da illustrazioni fotografiche di periodici locali, regionali e nazionali (utili purchè analizzati criticamente ed in ordine cronologico, al fine di confrontare e vagliare le informazioni, filtrando le eventuali contraddizioni); 6. foto ed illustrazioni dell’epoca. La scossa principale si verificò alle ore 5.55 circa ora di Greenwich (7.55 ora locale, poiché in quel periodo era in voga l’ora legale, Tosatti, 1922) ed ebbe una durata di circa venti secondi (De Stefani, 1920; Ingrao, 1927; Cavasino 1935). Fu preceduta nelle ore precedenti (fig. 5.2) da una serie di scosse minori, la maggiore delle quali alle 14.05 del giorno precedente. Fig. 5.2 – Main shock del 7/9/1920 e scosse premonitrici, espresse in intensità Io. Tratto da Patacca et alii (1987) 82 CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale Il numero dei morti fu 171, mentre i feriti furono 650 e migliaia i senzatetto (La Nazione, 19/9/1920). Il numero poco elevato delle vittime derivò dalla combinazione di due cause: molte persone pernottarono all’aperto nella notte tra il 6 ed il 7 settembre, preoccupate a causa dell’evento sismico delle 14.05; inoltre a quell’ora, a causa dell’economia prettamente agricola dell’area, nelle abitazioni si trovavano prevalentemente donne e bambini. 5.1 EFFETTI DEL TERREMOTO I principali effetti sul territorio possono essere così distinti (Patacca et alii, 1987): x frequenza di fessure nel terreno e presenza di grosse frane indotte; x cadute di massi sia nell’area mesosismica sia al di fuori di essa, in condizioni di particolari gradienti morfologici (ad esempio le cave di marmo di Massa e Carrara); x intorbidamento delle sorgenti e variazioni in portata. In figura 5.3 sono illustrate due mappe delle isosiste (Iaccarino, 1968 in figura 5.3a ed Eva et alii, 1978 in figura 5.3b) relative agli effetti sulla popolazione del terremoto del settembre del 1920. Risulta, malgrado sia ravvisabile una buona differenziazione nei due elaborati, relativa a diversità delle fonti bibliografiche, un’ubicazione della zona di massima distruzione in corrispondenza dell’area della Bassa Lunigiana ed in corrispondenza di alcune zone isolate dell’Alta Garfagnana (ad esempio il comune di Villa Collemandina). La ricostruzione macrosismica effettuata da Iaccarino (1968) sembra essere scarsamente attendibile, poiché la fonte, ovvero il Bollettino Sismico Anno 1920 (Ingrao, 1927), presenta valori di intensità macrosismica, assegnata ad alcuni Comuni, molto contrastanti con dati provenienti da fonti meglio documentate. A titolo d’esempio è riportato un massimo relativo al grado VIII a SE di Firenze, che 83 CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale deriva molto probabilmente dalla confusione fatta dal Bollettino Sismico fra Regnano (frazione di Casola in Lunigiana, interessata da danni paragonabili al IX grado MCS) e Rignano in provincia di Firenze (a cui non sarebbe associabile un grado superiore al V MCS). VII VI IX VIII VII IX FIVIZZANO X VIII LA SPEZIA a) VI CARRARA VII VI MASSA PISTOIA VI 0 75 Km V V LUCCA VI b) PIACENZA Varzi Bobbio PARMAR. EMILIA MODENA V Bevania Borgo Taro GENOVA Pontremoli IX- X LA SPEZIA VI Fivizzano VIII IX- X VII Castelnuovo Barga PISTOIA Viareggio 0 125 Km V LUCCA Fig. 5.3 – Carte delle isosiste del terremoto del settembre 1920: a) Iaccarino, 1968, b) Eva et alii, 1978 84 CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale In entrambe le ricostruzioni macrosismiche è comunque evidente come l’area interessata severamente ricada quasi completamente nelle depressioni tettoniche della Lunigiana e della Garfagnana, dando l’impressione che il treno d’onde sismiche (caratterizzate secondo Patacca et alii (1987) da profondità ipocentrale poco elevata della sorgente) si sia, in linea di massima, incanalato in tale area, compresa tra il crinale appenninico ad est e la finestra tettonica delle Apuane a sud-ovest. La severità degli effetti del sisma sulla popolazione, sul sistema insediativo e sull’ambiente sembra, invece, fortemente condizionato dalle caratteristiche morfologiche, geologiche e geomorfologiche dei siti interessati, con una distribuzione areale molto complicata, definibile “a macchia di leopardo” (D’Intinosante et alii, 2000). Era già noto qualitativamente agli Autori che riferirono nei periodi immediatamente successivi all’evento sismico (De Stefani, 1920; Raddi, 1921) come gli effetti del sisma fossero differenziati in intensità in base alla natura geologica s.l. dei siti interessati e come i maggiori fenomeni di amplificazione si riscontrassero nelle aree poggianti su depositi fluvio-lacustri, caratterizzati da scarse proprietà fisico-meccaniche. E’ palese che sia il campo macrosismico teorico sia quello rilevato presentino, come espresso nei capitoli precedenti, una serie di errori ed approssimazioni insiti, che possono essere così schematizzati: x imprecisioni nella determinazione della profondità ipocentrale (con errori maggiori in riferimento ai dati più antichi); x difficoltà o al limite aleatorietà nella schematizzazione di rapporti diretti tra dati tettonici (soprattutto derivanti da indagini superficiali) ed energia liberata dai terremoti; x imprecisione dei modelli geometrici. Com’è risaputo l’attenuazione, oltre che dipendere dallo “spreading”, è in relazione con il coefficiente di attenuazione dei singoli mezzi D, il quale a sua volta può trovare una correlazione “forzata” sia con il Qs, (quality factor), sia con la velocità delle onde di taglio. Comunemente però questi parametri non sono conosciuti; infatti, nei casi più ottimistici, si possiedono 85 CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale sommarie e discontinue informazioni sulle velocità delle onde P attraverso profili sismostratigrafici. In tabella 5.1 è presentato il numero delle vittime del terremoto del 1920, distinto in base ai Comuni d’appartenenza, secondo l’elenco ufficiale trasmesso dalle autorità regionali al Ministero dell’Interno (“La Nazione”, 19/09/1920). Questi dati sono utili per inquadrare a piccola scala la severità dell’evento sulla comunità esposta al rischio, ma vanno considerati perlomeno in maniera critica, qualora si voglia utilizzarli per stime di pericolosità locale (D’Amico et alii, 2000). Infatti, il numero delle vittime si riferisce ai Comuni in quanto unità amministrative, includendo pertanto capoluoghi e frazioni che sono, talora, molto distanti e possono ricadere in aree circoscritte da isosiste caratterizzate da un grado diverso da quello assegnato ai capoluoghi. LOCALITA’ MORTI FERITI Fivizzano 45 300 Villa Collemandina 27 100 Casola 19 60 Minucciano 16 30 Camporgiano 12 15 Castiglione di Garfagnana 9 20 Vagli di Sotto 5 30 Licciana Nardi 5 15 Villafranca 5 9 Massa 5 7 Piazza al Serchio 4 20 Aulla 4 12 Carrara 3 7 Pieve Fosciana 1 20 Bagnone 1 9 Filattiera 1 1 Fosciandora 1 - S. Romano 1 - Sillano 1 - Mulazzo - 1 Tab. 5.1 – Numero di morti e feriti relativi ai vari comuni colpiti, secondo l’elenco ufficiale trasmesso dalle autorità regionali al Ministero dell’Interno (“La Nazione”, 19/09/1920) 86 CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale 5.2 ANALISI DEL DATO MACROSISMICO DISAGGREGATO NEL COMUNE DI FIVIZZANO La necessità di considerare il dato macrosismico in maniera disaggregata, per una migliore localizzazione dell’intensità degli effetti sulla popolazione è palese per il comprensorio fivizzanese. Leggendo attentamente le cronache e potendo, inoltre, ascoltare testimonianze dirette sull’evento del 1920, ci si è accorti che la distribuzione delle vittime, e conseguentemente delle distruzioni, era fortemente differenziata nell’area. Va rilevato che il comune di Fivizzano è, ed era, un grosso comprensorio di circa 20.000 abitanti che comprendeva, oltre al paese (in cui risiedevano circa 1800 abitanti), una serie di frazioni, distribuite su una superficie di circa 180,23 Km2. In tabella 5.2 è possibile notare la distribuzione degli effetti del sisma del 7 settembre 1920 sulle località maggiormente colpite nel comune di Fivizzano, attraverso la lettura disaggregata del dato macrosismico sul numero di vittime. LOCALITA’ MORTI CARATTERISTICHE GEOLOGICHE Fivizzano centro 27 Sassalbo 8 Mommio 4 Moncigoli 3 Collegnago 2 Soliera 1 Depositi alluvionali terrazzati sabbioso-ghiaiosi di spessore variabile tra i 25 ed i 40 metri Depositi morenici con presenza di frane attive sul centro abitato Unità alloctone in contatto tettonico con le arenarie del Macigno. Presenza di depositi detritici e frane attive sul centro abitato Centro abitato poggiante in parte su torbiditi calcaree alloctone ed in parte su depositi grossolani di origine lacustre ed alluvioni, dello spessore di pochi metri, nel fondovalle Calcari eocenici alloctoni in contatto tettonico con la formazione tettonizzata del “Flysh ad Elmintoidi” Centro abitato sito in parte sulla formazione del “Flysh ad Elmintoidi ed in parte su depositi fluviolacustri Tab. 5.2 – Distribuzione delle vittime del terremoto del settembre 1920 nelle località maggiormente colpite nel comprensorio fivizzanese e schematica caratterizzazione geologica delle aree Per ogni località è riportata anche una schematica descrizione delle caratteristiche geologiche del sito, in maniera tale da poter evidenziare come, per queste località, 87 CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale sussistano condizioni geologiche s.l. in grado di interferire (attraverso fenomeni di amplificazione sismica) sulla risposta sismica locale. Sassalbo fu completamente distrutta a seguito del terremoto del 1920, con un numero elevato di morti (tab. 5.2) e di feriti. La probabile causa della forte amplificazione locale accaduta nell’area è dovuta alle scarse proprietà fisicomeccaniche dei litotipi su cui è sito il paese (depositi morenici quaternari, su cui sono presenti fenomeni gravitativi attivi). Anche Mommio presenta una situazione similare: il centro storico poggia su una spianata morfologica, costituita da depositi detritici di versante, su cui si sono impostati fenomeni gravitativi attivi e quiescenti. La frazione di Collegnago, posta su un crinale costituito da calcari eocenici dell’unità di Canetolo, in contatto tettonico con formazione del Flysh ad Elmintoidi, presenta estesi fenomeni gravitativi, che insistono sia sul centro abitato che nei versanti limitrofi. Moncigoli e Soliera, invece, sono località poste in destra idrografica del torrente Rosaro, ad alcuni km di distanza dal centro storico di Fivizzano. L’elevato numero di vittime riferita a Moncigoli è ascrivibile (La Nazione, 9 settembre 1920) alla caduta del cornicione della chiesa che colpì tre bambini, che attraversavano di corsa la piazza del paese. In figura 5.4 è proposta, invece, una carta del piano quotato (Patacca et alii, 1987), relativa all’area comunale di Fivizzano. Le località sono contrassegnate da un codice identificativo del sito (da 1 a 18), e da un simbolo inerente l’intensità macrosismica rilevata. E’ ben comprensibile, dalla lettura di tale elaborato come la distribuzione delle intensità, ricavate dalla lettura del dato macrosismico, sia ben differenziata ed eterogenea nell’area fivizzanese. Questa rappresentazione, rispetto alle precedenti (fig. 5.3), rispetta fedelmente il piano quotato reale e non elimina, attraverso lisciature più o meno arbitrarie, anomalie che soltanto analisi di tipo quantitativo permettono di attribuire ad amplificazioni o attenuazioni locali o ad effetti di strutture regionali o a fenomeni 88 CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale direttamente connessi alla geometria ed alla dinamica della sorgente (Patacca et alii, 1987). Fig. 5.4 – Isosiste del terremoto del 7 settembre 1920 nel comprensorio fivizzanese. Tratto da Patacca et alii, 1987 89 CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale Oltre le considerazioni fatte per i siti maggiormente danneggiati dal sisma del 1920 (tab. 5.2) è possibile notare come l’evento sismico si sia manifestato in maniera poco intensa per quelle frazioni poste nella valle del Lucido (Aiola, Equi Terme, Monzone, Tenerano e Vinca), le quali sono situate in aree in cui non sussistono condizioni per l’innesco di effetti locali. Come citato in precedenza, il centro storico di Fivizzano fu, invece, interessato da danni ingenti sia alla popolazione (tab. 5.2) sia al patrimonio storico-artistico. A tal riguardo, in figura 5.5 è illustrata una carta dei danni relativa agli effetti del terremoto del 1920 sui manufatti presenti nel nucleo storico di Fivizzano. Fig. 5.5 – Carta dei danni relativa agli effetti sui manufatti presenti nel nucleo storico di Fivizzano, a seguito del terremoto del 1920 90 CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale I gradi di danneggiamento sono stati distinti in tre categorie: edifici con gravi lesioni strutturali, con lievi lesioni strutturali ed, infine, manufatti caratterizzate da lesioni di natura non strutturale. La ricostruzione è stata effettuata in base a tre distinte fonti storicobibliografiche: 1. cronache di quotidiani dell’epoca, con particolare riferimento agli articoli immediatamente successivi all’accadimento dell’evento sismico; 2. consultazione di fotografie e cartoline dell’epoca (utili per una stima, seppure qualitativa, del tipo di danneggiamento e dell’ubicazione degli edifici danneggiati), confrontate con illustrazioni precedenti il 1920 ed attuali; 3. confronto tra l’attuale distribuzione urbanistica del sito di Fivizzano con mappe catastali del diciannovesimo secolo. Le figure, dalla 5.6 alla 5.11, riportano alcune foto dell’epoca, in cui è possibile osservare la severità dell’evento sismico oggetto d’esame sul patrimonio edilizio fivizzanese. Fig. 5.6 – Rappresentazione dei danni presso il bordo del terrazzo fluviale di Fivizzano (odierna Via delle Mura) 91 CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale Fig. 5.7 – Piazza Garibaldi (settore meridionale dell’abitato di Fivizzano) a seguito dell’evento sismico del 1920 Fig. 5.8 – Le gravi lesioni agli edifici ubicati in Piazza Medicea (settore settentrionale) 92 CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale Fig. 5.9 – Danni su Casa Battistini (Piazza Medicea) Fig. 5.10 – Danni sulle abitazioni site nella Via Interna (attuale Via Giulia) 93 CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale Fig. 5.11 – Danni sulle abitazioni in Via Labindo. La freccia nera indica il Palazzo Fantoni, che resistette discretamente all’intensità dell’evento sismico La maggior parte delle abitazioni fu interessata da gravi danni di natura strutturale, a causa dei quali fu necessario ricorrere all’abbattimento degli stessi o, al fine di diminuire l’inerzia delle strutture, si ricorse alla diminuzione di 1 o 2 piani. Tra i pochi edifici, interessati lievemente dall’evento sismico, e per i quali furono necessari soltanto alcuni interventi di adeguamento sismico, citiamo il Palazzo Fantoni ed il Palazzo Benedetti (presso la porta Modenese, nel settore nord occidentale del centro storico) ed il Palazzo Cojari (sito nella Piazza Medicea). Tali edifici risentirono in maniera decisamente minore degli effetti del sisma grazie, probabilmente, alle migliori caratteristiche ingegneristico-architettoniche. E’ necessario sottolineare anche che nell’area attualmente occupata dal complesso ospedaliero sorgeva un convento che non subì alcun danno importante, a 94 CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale differenza delle ampie distruzioni che si verificarono nel centro storico, tanto da essere utilizzato per ricoverare feriti e sopravvissuti. Proprio per cercare di spiegare questa “anomala” situazione lo studio effettuato con questo lavoro di tesi è stato concentrato nell’area dell’ospedale. 95 CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS) CAPITOLO 6 6. CARATTERISTICHE GEOLOGICHE DEL COMUNE DI FIVIZZANO (MS) 6.1 EVOLUZIONE GEOLOGICO-STRUTTURALE DELL’APPENNINO NORDOCCIDENTALE L’evoluzione strutturale dell’Appennino nord-occidentale può essere considerata, per lo meno per i suoi episodi più antichi, in correlazione con le Alpi occidentali. Infatti, almeno in corrispondenza del segmento Toscana-Corsica nord-orientale, le due catene sono parallele, con asimmetrie strutturali opposte (Cattaneo et alii, 1987). Secondo un approccio semplificato, la storia compressionale di ambedue le zone può essere divisa in due parti (Boccaletti et alii, 1972; Reutter et alii, 1978): x una prima, comune, legata alla distruzione del solco oceanico che nel Giurassico superiore – Cretaceo inferiore separava le croste Europea e Insubro-Appenninica; x una successiva evoluzione, in cui la deformazione viene trasferita alle stesse croste in collisione. Il primo episodio (la consunzione della crosta oceanica) è quello di maggiore durata (dal Cretaceo superiore al Paleocene), in cui si registrano numerosi stadi successivi (Cattaneo et alii, 1987): subduzione di una parte della crosta oceanica con fenomeni di metamorfismo di alta pressione (Dal Piaz et alii, 1972); sedimentazione di spessi cunei di flysh nella zona di sutura o nel bacino oceanico raccorciato (Haccard et alii, 1972); obduzione della crosta oceanica residua verso il margine appenninico. Per ciò che concerne il secondo episodio (evoluzione post-collisionale), esso si manifesta attraverso una deformazione compressiva lungo le fasce duttili appenniniche a partire dall’Oligocene superiore. Una larga fascia di taglio di quest’età è visibile nelle Alpi Apuane. La successiva fase d’evoluzione strutturale dell’Appennino settentrionale, a partire dal Miocene superiore, si manifesta attraverso importanti fenomeni 96 CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS) estensionali, successivi agli eventi compressivi ed estensionali, che avevano prodotto l’impilamento delle unità della catena (Bernini, 1991). A seguito di questa evoluzione distensiva, migrata progressivamente nel tempo verso NE e NW, si sono generati alcuni bacini distensivi, bordati da faglie dirette, allungati in direzione NNW-SSE, tra i quali sono da menzionare la Lunigiana, la Garfagnana ed il Mugello. In questo contesto strutturale si è verificata una rotazione antioraria della penisola italiana con conseguente migrazione spazio temporale del sistema catena-avanfossaavampaese e l'individuazione di fosse tettoniche determinate. La depressione tettonica della Lunigiana ha origine circa 3 milioni di anni fa, in un periodo compreso fra il Rusciniano superiore ed il Villafranchiano inferiore; nei blocchi strutturalmente più ribassati s’instaurarono due bacini lacustri che coprivano una superficie di circa 100 Km2, noti in letteratura come il "Bacino lacustre di Pontremoli" ed il "Bacino lacustre di Aulla-Olivola". I due laghi comunicavano tra loro attraverso una fascia stretta ed allungata individuata dalle attuali località della "Fornace" (comune di Bagnone), "Merizzo" (comune di Villafranca in Lunigiana) e " Amola" (comune di Licciana Nardi). Nel corso del villafranchiano i due bacini vennero colmati da depositi lacustri, fluvio-lacustri e fluviali successivamente incisi e terrazzati da sedimenti conglomerati a prevalenti elementi di arenaria Macigno di età pleistocenica. In figura 6.1 è visibile uno schema geologico della Lunigiana (Boccaletti & Coli, 1982mod), in cui è possibile notare la presenza di tre distinti domini geologici: la Successione Toscana non metamorfica (la copertura sedimentaria del margine apulo), le Unità alloctone rappresentate dal dominio ligure esterno e dalle formazioni inerenti all’Unità di Canetolo ed, infine, il potente complesso metamorfico delle Alpi Apuane. La regione è caratterizzata da sistemi di faglie normali disposti lungo due direttrici principali ad andamento NW-SE (appenninico) e NE-SW (antiappenninico). I sistemi di faglie di gran lunga più sviluppati sono quelli ad andamento appenninico, costituiti da faglie normali, immergenti sia a NE sia a SW, i quali 97 CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS) producono due fosse asimmetriche nelle cui zone si sono conservati i depositi fluviolacustri plioquaternari. Fig. 6.1 – Schema geologico semplificato della Lunigiana, da Boccaletti & Coli (1982mod): 1) Coperture quaternarie (alluvioni, depositi morenici, coperture detritiche); 2) Depositi fluvio-lacustri (Pleistocene medio-Pliocene inferiore); 3) Unità liguri s.l. (Paleocene-Giurassico superiore); 4) Unità Toscana non metamorfica (Miocene inferiore-Triassico); 5) Unità Toscana metamorfica (Oligocene-Paleozoico); 6) Principali faglie estensionali (i trattini indicano il lato ribassato); 7) Assi di anticlinale nell’Unità Toscana non metamorfica 98 CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS) In figura 6.2 è illustrato un blocco-diagramma, in cui è schematizzata la complessa struttura estensionale della Lunigiana vista prospetticamente da NW (Bernini, 1991). Si tratta di due semi-graben limitati da master fault poste sui margini esterni e separati dall’horst di M. Picchiara – M. Cornoviglio. Verso SE il semi-graben dell’alta val Magra prosegue nel più stretto graben della Garfagnana, venendo parzialmente interrotto dal nucleo metamorfico delle Alpi Apuane, mentre il semigraben della val di Vara si biforca costituendo la depressione del golfo della Spezia e la fossa della bassa val di Magra, separate dall’horst di M. Marcello. I sistemi di faglie che gradonano i margini delle due fosse tettoniche sono troncati bruscamente, verso NW, dal “Sistema trasversale del Taro” (Papani et alii, 1991) che, attraversando tutta la catena, sembra in qualche modo collegare le strutture estensionali della Lunigiana ai fronti di accavallamento padani (Bernini & Papani, 1987). Fig. 6.2 – Blocco-diagramma in cui è schematizzata la complessa struttura estensionale della Lunigiana vista prospetticamente da NW (Bernini, 1991) 99 CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS) 6.2 INQUADRAMENTO GEOGRAFICO DEL COMUNE DI FIVIZZANO L’area oggetto di studio appartiene al territorio comunale di Fivizzano (località Capoluogo) che sorge a 332 m s.l.m., sulle pendici sud-occidentali dell’Appennino tosco-emiliano nella Lunigiana, ed in particolare in provincia di Massa Carrara. Il suo territorio comunale si estende per circa 180,58 km2 e comprende ben 35 frazioni. La zona ricade nel foglio geologico n°96, di nome Massa, della Carta Geologica d’Italia elaborata dall’I.G.M. (Istituto Geografico Militare) con scala 1:100000. Fig. 6.3 – Inquadramento geografico della Lunigiana 100 CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS) 6.3 CARATTERISTICHE GEOLOGICHE E GEOMORFOLOGICHE DEL COMUNE DI FIVIZZANO In figura 6.4 è illustrato uno schema geologico dell’area del centro abitato fivizzanese. Quest’area è caratterizzata dalla presenza (per lo più sepolta o affiorante alla base dei fossi che incidono in direzione NE-SW il terrazzo fluviale, su cui giace il centro abitato) di un substrato costituito da litotipi ascrivibili a tre diverse formazioni geologiche: (mg) Arenarie del Macigno (Oligocene superiore /Miocene inferiore) Costituiscono i depositi di avanfossa della successione Toscana non metamorfica e sono costituiti da torbiditi quarzoso feldspatiche-micacee, da sottili a molto spesse, cui si alternano livelli da sottili a medi di marne ed argilliti siltose grigie. Le arenarie del Macigno sono in contatto tettonico con le unità alloctone del substrato attraverso un importante elemento tettonico a carattere distensivo a direzione circa appenninica (NW-SE); (cGV) Calcari del Groppo del Vescovo (Eocene inferiore) Sono calcari grigio-chiari, calcari marnosi, marne ed argille in sequenze torbiditiche, di origine alloctona ed affioranti nel settore orientale dell’area (nuova zona d’espansione dell’abitato di Fivizzano e nelle frazioni di Certaldola e Motta) ed alla base del Fosso della Concia. (ac) Argille e calcari di Canetolo (Cretaceo superiore / Eocene medio) Argille grigio-scure alternate a calcari a grana fine, a calcareniti organogene ed a calcari marnosi a base calcarenitica, con presenza di lenti ed inclusi litoidi arenaci o calcarenitici. Affiorano nella porzione meridionale dell’area nei fossi della Concia e della Stradella, oltre che costituire il substrato su cui poggia il terrazzo fluviale su cui sorge l’area storica del paese di Fivizzano. 101 CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS) Le giaciture degli strati negli affioramenti calcarei alla base dei fossi sono coincidenti e suggeriscono un assetto strutturale delle unità alloctone in apparente monoclinale. Il fatto che i calcari del Groppo del Vescovo siano, nell’area, stratigraficamente inferiori alle Argille e Calcari di Canetolo, lascia supporre la presenza di una piega coricata a vergenza appenninica, di cui i litotipi in esame costituiscono il fianco rovesciato. I depositi di copertura quaternari, in discordanza coi termini sottostanti sono costituiti da depositi di colmata e terreni di riporto (rp), depositi detritici (dt) ed i depositi alluvionali terrazzati antichi (ct/mg) in sinistra idrografica del torrente Rosaro. Questo corso d’acqua, oggi ben incassato nel suo alveo, a dimostrazione che l’area è tendenzialmente in una fase di sollevamento, determina la presenza di quattro ordini di terrazzi. Sul più antico di questi, giace il centro storico fivizzanese. Si tratta per lo più di sabbie giallastro-ocracea con intercalazione di livelli centimetrici limoso-sabbiosi e frequenti inclusi litoidi di natura arenacei. Nell’area è inoltre possibile notare, lungo le scarpate del terrazzo fluviale ed in concomitanza delle aree più acclivi ad E del centro storico, la presenza di fenomeni gravitativi attivi e quiescenti. 102 CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS) Fig. 6.4 – Carta geologica del comune di Fivizzano (Gruppo di Lavoro “Progetto VEL”) 103 CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS) Come si nota dalla carta geologica riportata in figura 6.4, sono state realizzate due sezioni geologiche (A-A’ e C-C’), posizionate in maniera ortogonale rispetto alle tracce delle due faglie individuate nei pressi dell’ospedale del centro abitato di Fivizzano. In figura 6.5 è rappresentata una sezione geologico-tecnica che segue la traccia A-A’ e che è stata realizzata integrando l’analisi dei dati derivanti dal rilevamento di superficie con i risultati ottenuti tramite le indagini geognostiche (paragrafo 7.1). Nella sezione sono rappresentate le litologie del sottosuolo rinvenute tramite i sondaggi senza evidenziare la natura dei contatti tra esse, in quanto ciò è indicato nelle successive sezioni geologiche. Le successive sezioni geologiche (fig. 6.6 - 6.7 - 6.8 - 6.9) mostrano due diverse ipotesi di ricostruzione del sottosuolo in riferimento soprattutto alla situazione sottostante il complesso ospedaliero. Tali ricostruzioni verranno discusse nel capitolo 9 dedicato alle conclusioni. 104 CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS) Fig. 6.5 – Sezione geologico-tecnica lungo la traccia A-A’ 105 CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS) Fig. 6.6 – Sezione geologica lungo la traccia A-A’ 106 CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS) Fig. 6.7 – Sezione geologica lungo la traccia C-C’ 107 CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS) Fig. 6.8 – Sezione geologica lungo la traccia A-A’, mostrante la faglia inversa ipotizzata 108 CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS) Fig. 6.9 – Sezione geologica lungo la traccia C-C’, mostrante la faglia inversa ipotizzata 109 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano CAPITOLO 7 7. L’ESPLORAZIONE DEL SOTTOSUOLO NEL COMUNE DI FIVIZZANO La conoscenza delle caratteristiche geologiche di una determinata area di studio è una fase fondamentale per la realizzazione di un modello geologico in grado di fornire un’ottimale visione degli aspetti caratteristici dell’area stessa e delle problematiche di natura geologica presenti. Tale conoscenza viene acquisita inizialmente attraverso un’accurata acquisizione bibliografica ed un rilevamento di superficie. Essa, ad ogni modo, non è completamente esaustiva nel fornire spiegazioni concrete riguardo alle diverse incognite messe in luce nelle fasi iniziali della ricerca o in corso d’opera. Ciò risulta maggiormente chiaro, qualora l’area d’indagine presenti un elevato grado d’urbanizzazione, come nel caso di Fivizzano, tale da rendere vane o quantomeno limitate le possibilità di ricerca legate alle tecniche classiche di rilevamento geologico, rappresentate ad esempio dallo studio aerofotogrammetrico o dal rilievo di campagna. Inoltre, qualora il problema applicativo da verificare, nel nostro caso la valutazione della risposta sismica locale, preveda la conoscenza di particolari caratteristiche dei litotipi oggetto d’esame, si rende necessario affiancare ad una prima fase di rilevamento geologico di superficie una successiva fase di esplorazione del sottosuolo. Il fine è quello di ottenere, dall’esame integrato dei risultati, una buona conoscenza delle geometrie e degli spessori sia delle unità di copertura sia dei litotipi ascrivibili al substrato. Poiché il fine di tali indagini di esplorazione del sottosuolo è, in questo caso, quello di ottenere una parametrizzazione in campo dinamico dei terreni indagati, al fine di fornire dati da inserire in fase di input per le modellazioni numeriche, si è proceduto all’attivazione di una fase di indagine multidisciplinare del sottosuolo, eseguita in diverse campagne di misura, e che è consistita nell’esecuzione di: 111 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano x 14 sondaggi geognostici; x 9 prove sismiche in foro in onde P ed SH (down-hole); x 23 linee sismiche a rifrazione in onde P ed SH; x 2 linee sismiche a riflessione. Mentre la fase di ricostruzione del modello geologico di sottosuolo, nel presente lavoro di tesi, ha coinvolto l’intera area del comune di Fivizzano (località Capoluogo), utilizzando, quindi, tutte le indagini sopra elencate, la fase di modellazione monodimensionale è stata svolta nella particolare area occupata dall’ospedale dello stesso centro abitato, in quanto la restante parte del comune è stata già interessata da studi di modellazione. In figura 7.1 è mostrata l’ubicazione delle indagini di sottosuolo del comune di Fivizzano, località Capoluogo. Fig. 7.1 – Carta di ubicazione delle indagini di esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano, località Capoluogo 112 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano 7.1 INDAGINI GEOGNOSTICHE Nel centro abitato di Fivizzano in località Capoluogo sono stati realizzati, nel periodo di tempo compreso tra novembre 2004 e settembre 2005, 11 sondaggi geognostici, in aggiunta ai tre sondaggi effettuati nel febbraio 2001, al fine di ottenere una caratterizzazione litologica e stratigrafica dei terreni indagati. I dati ottenuti, integrati con i risultati delle indagini sismiche, hanno avuto lo scopo di definire gli spessori delle unità della copertura, costituiti nell’area dai depositi alluvionali terrazzati del torrente Rosaro, e conseguentemente di definire le profondità del contatto tra le coperture ed il substrato sismico. Nella tabella 7.1 sono elencate le principali caratteristiche tecnico-logistiche dei sondaggi geognostici più recenti. PROFONDITA’ METODO DI D’INVESTIGAZIONE (m) PERFORAZIONE 325 50 carotaggio continuo S5 379.10 43 carotaggio continuo S6 351 35 carotaggio continuo S7 333 25 carotaggio continuo S9 370.60 21 carotaggio continuo S10 370 20 carotaggio continuo S11 370.60 53.40 S12 379.10 50 carotaggio continuo e distruzione di nucleo carotaggio continuo S14 336 35 carotaggio continuo S15 343 78 carotaggio continuo S16 326 41.50 carotaggio continuo SIGLA QUOTA p.c. (m s.l.m) S4 Tab. 7.1 – Principali caratteristiche tecnico-logistiche dei sondaggi geognostici più recenti Le figure dalla 7.2 alla 7.4 mostrano una ricostruzione semplificata delle stratigrafie relative agli 11 sondaggi geognostici eseguiti tra il 2004 ed il 2005. Da queste ricostruzioni è possibile dedurre osservazioni di carattere litologico; infatti, 113 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano dal sondaggio S4 si osserva che al di sotto del terreno di riporto stradale (rp) sono stati rinvenuti litotipi ascrivibili ai depositi alluvionali terrazzati antichi (ct/mg) che alternano spessori sabbioso-limosi a spessori più sabbiosi, di colore marrone-ocra, fino ad una profondità di 6 m. Successivamente si entra nel substrato della Formazione dei Calcari del Groppo del Vescovo (cGV) dell’Unità di Canetolo, caratterizzato dalla presenza di uno strato argillitico dello spessore di circa 2 m intensamente alterato e fratturato, per passare a 8 m di profondità definitivamente nella formazione calcarea e calcareo-marnosa fino a -50 m dal p.c.. Fig. 7.2 – Ricostruzione semplificata delle stratigrafie dei sondaggi S4, S5 e S6 114 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano Nel sondaggio S5 il materiale di riporto stradale è presente per uno spessore esiguo di -0,3 m dal p.c.; è seguito da deposito detritico (dt) sciolto, costituito da ghiaie e ciottoli eterometrici di arenaria e che si estende fino a 3 m di profondità. A tale profondità inizia il substrato composto da una litologia di natura arenacea di colore marrone scuro, appartenente alla Formazione del Macigno (mg) della Successione Toscana, che si presenta, a partire dai 15,50 m di profondità, completamente alterata e fratturata ridotta a breccia di frizione o cataclasite, fino a -18 m dal p.c., profondità alla quale lascia il posto ad una breccia di frizione o cataclasite costituita, però, da clasti calcarei di colore grigio chiaro con cui si passa, da 25,50 m a 43 m di profondità, ai calcari appartenenti alla Formazione dei Calcari del Groppo del Vescovo. Per ciò che concerne il sondaggio S6 si può osservare come, dopo uno spessore di circa 1 m di materiale di riporto stradale, sono stati rinvenuti depositi alluvionali terrazzati antichi fino a 26 m di profondità, costituiti da ghiaia sabbiosa limosa color ocra eterometrica, ghiaie e sabbie medie color grigio-verdi, sabbie medio-grossolane con limi color giallo e sabbie medio-fini color marroncino chiaro. Successivamente ha inizio il substrato rappresentato dalle Argille e Calcari (ac) del Complesso di Canetolo, formati da un’alternanza tra strati fatti di argilliti grigio scuro molto alterate e fratturate e calcari grigio chiaro a struttura compatta, fratturati. Questa formazione si estende fino a 35 m di profondità. I primi 0,4 m di profondità dell’S7 sono interessati da terreno di riporto stradale. Segue, poi, la copertura alluvionale di sabbie da medie a fini, limose e a tratti argillose di colore ocra con ghiaia eterometrica (2-6 cm), ascrivibile ai depositi alluvionali terrazzati antichi, che si estendono fino a -17,40 m dal p.c.. Inizia, qui e per 7,6 m, il substrato rappresentato dai Calcari del Groppo del Vescovo, costituiti da calcari di colore grigio chiaro a struttura compatta da poco a molto fratturato e lievemente alterato. Nel sondaggio S9 il terreno di riporto, costituito da materiale sciolto debolmente addensato con sabbie, ghiaie e laterizi in matrice limosa, è presente fino a 5 m di profondità. Successivamente, dopo uno spessore di 1,50 m di depositi detritici 115 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano rappresentati da sabbia con ghiaia eterometrica, inizia il substrato che arriva fino a 21 m dal p.c. e che è composto da arenarie con granulometria medio-grossa alterata e fratturata, appartenenti alla formazione del Macigno. Osservando la ricostruzione stratigrafica del sondaggio S10 si può notare che al di sotto del materiale di riporto stradale (1 m di spessore) è stato rinvenuto del detrito fatto di sabbie e ghiaie eterometriche (2-4 cm) fino a -5 m dal p.c.; profondità alla quale inizia il substrato rappresentato da un’alternanza di argilliti grigio scuro molto alterate e fratturate con aspetto caotico e calcari grigio chiaro a struttura compatta con numerose fratture ma poco alterati, ascrivibile alla formazione delle Argille e Calcari del Complesso di Canetolo. Il substrato è stato rinvenuto fino alla profondità di perforazione di 20 m. Il materiale di riporto, visibile nel sondaggio S11, si presenta da sciolto a debolmente addensato con sabbie, ghiaie e laterizi in matrice limosa e arriva a 2 m di profondità. Questo lascia il posto a 4,3 m di deposito detritico seguito dal substrato presente fino a -53,40 m dal p.c.. Quest’ultimo è rappresentato da 42,7 m di arenarie a struttura granulare con granulometria a tratti fine e completamente alterata, a tratti da media a grossolana debolmente alterata, con una colorazione variabile dal marrone al grigio verde, ascrivibili alla Formazione del Macigno. Tramite un livello di 2 m di spessore di breccia di frizione composta da breccia calcarea sciolta molto frantumata, si passa ad argilliti di colore grigio scuro, molto fratturate ed alterate, appartenenti probabilmente alle Argille e Calcari di Canetolo. 116 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano Fig. 7.3 – Ricostruzione semplificata delle stratigrafie dei sondaggi S7, S9, S10 e S11 Dall’analisi dell’S12 si nota che il materiale di riporto stradale è visibile per 0,3 m di spessore dal p.c.; dopo un modesto strato di detrito composto da ghiaie e ciottoli eterometrici, ha inizio il substrato che è rappresentato inizialmente, e fino a 22 m di profondità, dalla formazione del Macigno con arenaria a granulometria da fine a grossolana molto fratturata ed alterata di colore marrone, e successivamente, fino a 50 m dal p.c., dai Calcari del Groppo del Vescovo con calcari grigio chiari a struttura compatta completamente fratturati. Nell’S14 il terreno di riporto stradale è presente fino ad 1 m di spessore; successivamente sono presenti 23,20 m di depositi alluvionali terrazzati antichi, 117 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano costituiti da sabbie da medie a fini, limose e a tratti argillose color ocra con ghiaia eterometrica (2-6 cm). Alla profondità di 24,20 m è stato rinvenuto il substrato composto da calcari di colore da grigio chiaro a grigio scuro a struttura compatta, mediamente fratturati ed alterati, appartenenti alla formazione dei Calcari del Groppo del Vescovo. Il substrato è stato rinvenuto fino a 35 m di profondità. Con l’S15, tranne un modesto spessore di terreno di riporto (circa 0,3 m), si entra subito nell’unità litostratigrafica dei depositi alluvionali terrazzati antichi. Essi sono presenti fino a 38,5 m di profondità e sono rappresentati nella parte alta da sabbie da medie a fini, limose e a tratti argillose color ocra con ghiaia eterometrica (2-6 cm) di natura arenacea, per poi passare nella parte basale del deposito a ciottoli e blocchi arenacei di macigno anche di considerevoli dimensioni. Successivamente si entra nel substrato costituito dalla Formazione delle Argille e Calcari di Canetolo (33 m di spessore) caratterizzato dalla presenza di argilliti grigio scuro, alternate a calcari, calcari marnosi e marne di colore grigio chiari e grigio scuri fino ad una profondità di 70 m circa per poi entrare definitivamente nella Formazione dei Calcari del Groppo del Vescovo, caratterizzata dalla presenza di calcari e calcari marnosi di colore grigio chiari e marroncini, fino alla profondità di fine sondaggio. I depositi alluvionali terrazzati antichi si rinvengono, nell’S16, dopo un modesto spessore di terreno di riporto (0,3 m). Essi sono costituiti nella parte alta da sabbie limose a tratti argillose di color ocra con ghiaie eterometriche di natura arenacea per poi passare nella parte basale del deposito a ciottoli e blocchi arenacei di macigno anche di considerevoli dimensioni fino ad una profondità di -36,50 m circa. Il successivo substrato è rappresentato dalla Formazione delle Argille e Calcari, caratterizzata dalla presenza di argilliti grigio scuro, alternate a calcari, calcari marnosi e marne di colore grigio chiaro e grigio scuro fino ad una profondità di 41,50 m dal p.c.. 118 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano Fig. 7.4 – Ricostruzione semplificata delle stratigrafie dei sondaggi S12, S14, S15 e S16 119 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano 7.2 INDAGINI SISMICHE IN FORO Terminata la perforazione, ciascun foro è stato attrezzato con una tubazione in PVC ed è stata eseguita la cementazione dell’intercapedine foro-tubo mediante una miscela cementizia al fine di garantire un miglior contatto con i terreni circostanti in modo da poter effettuare delle prove sismiche in foro secondo lo schema down-hole descritto nel paragrafo 3.2.3. I fori di sondaggio utilizzati a questo scopo sono i fori S4, S6, S7, S9, S14, S15 ed S16. Tali prove sismiche si sono aggiunte a quelle già effettuate precedentemente utilizzando i fori di sondaggio S1 ed S3 (“ESSO”). In questo lavoro verranno discusse solo le prime sette prove sismiche elencate. In tutte le indagini down-hole sono stati utilizzati, come sorgenti, una mazza da 10 kg con piattello di battuta per le onde P, per le onde S un parallelepipedo di legno percosso sulle estremità opposte da un doppio pendolo da 30 kg montato su di un autocarro. Le sorgenti sono state disposte ad una distanza dal foro di sondaggio che varia tra 3 e 3,5 m. Il sistema di ricezione è costituito da una coppia di geofoni tridimensionali posti ad una distanza tra loro di 1 m. L’acquisizione è stata svolta procedendo dall’alto verso il basso; una volta raggiunta la massima profondità d’indagine sono state eseguite misurazioni in risalita ogni 2 metri di profondità. Nelle figure che seguono sono illustrate le dromocrone, cioè le rappresentazioni nel diagramma spazio-tempo dei tempi di primo arrivo corretti, e le rappresentazioni delle velocità intervallari nel diagramma spazio-velocità, per ogni indagine sismica down-hole. Dai grafici relativi al down-hole DH S4 (fig. 7.5) si individuano 3 sismostrati di cui il primo (0-6 m) è attribuibile alla copertura alluvionale, il secondo ed il terzo ai Calcari del Groppo del Vescovo; la differenza in velocità tra gli ultimi due sismostrati probabilmente è dovuta alla maggiore alterazione della parte alta dei calcari del Groppo del Vescovo, che presentano anche un primo livello di argilliti molto alterate e fratturate. 120 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano Fig. 7.5 – Grafici delle dromocrone e delle velocità intervallari relativi al DH S4 Tramite il down-hole S6 (fig. 7.6) sono stati individuati 6 sismostrati di cui il primo è comprensivo di un modesto livello di terreno di riporto e di un primo livello di depositi alluvionali terrazzati; dal secondo al quinto livello si osservano velocità delle onde P che variano da 1395,7 m/sec a 1589,5 m/sec, con i due sismostrati intermedi a velocità maggiore, e velocità delle onde SH variabili tra 452,6 m/sec del secondo sismostrato a 418,7 m/sec del quinto sismostrato, presentando anch’esse un aumento di valore nello strato intermedio. Per questi sismostrati ci si può riferire a depositi alluvionali terrazzati in cui le differenze di velocità sono imputabili alle alternanze tra livelli di ghiaie, sabbie e argille limose con diversi gradi di addensamento e cementazione. Il sesto sismostrato può essere rappresentativo della Formazione delle Argille e Calcari. 121 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano Fig. 7.6 – Grafici delle dromocrone e delle velocità intervallari relativi al DH S6 Il down-hole DH S7 mostra la presenza di 7 sismostrati, suddivisibili in questo modo: il primo è rappresentativo del terreno di riporto stradale; dal secondo al sesto ci si può riferire ai depositi alluvionali terrazzati con variazioni di velocità dovute alla presenza prima di sabbie e poi di limi sabbiosi, separati da un trovante lapideo completamente alterato; l’ultimo sismostrato è attribuibile ai calcari del Groppo del Vescovo. Fig. 7.7 – Grafici delle dromocrone e delle velocità intervallari relativi al DH S7 122 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano I quattro sismostrati del DH S9 sono rappresentativi di un sottosuolo caratterizzato, nell’ordine, dal terreno di riporto fino a 5 m (primo sismostrato), deposito detritico fino a circa 7 m (secondo sismostrato), Formazione del Macigno fino in profondità (sismostrati terzo e quarto). Le diverse velocità registrate per il terzo ed il quarto sismostrato sono dovute al diverso grado di fratturazione dell’arenaria. Fig. 7.8 – Grafici delle dromocrone e delle velocità intervallari relativi al DH S9 Per ciò che concerne il DH S14, il primo sismostrato a velocità più basse è attribuibile ai primi metri di depositi alluvionali comprensivi di terreno di riporto; i depositi alluvionali si estendono, però, anche per i successivi due sismostrati. Nel terzo sismostrato la presenza di un salto nella rappresentazione delle Vp potrebbe essere stato causato dal raggiungimento di un livello di trovante lapideo all’interno dei depositi alluvionali stessi. L’ultimo sismostrato, con una velocità delle onde P di 123 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano 3926,6 m/sec e delle onde SH di 1641,9 m/sec, è rappresentativo dei Calcari del Groppo del Vescovo. Fig. 7.9 – Grafici delle dromocrone e delle velocità intervallari relativi al DH S14 Sette sismostrati caratterizzano il down-hole realizzato utilizzando il foro di sondaggio S15. I primi 5 sismostrati interessano tutti i depositi alluvionali terrazzati; anche qui, però, la suddivisione in diversi sismostrati, caratterizzati da differenti velocità, è dovuta alla locale presenza di trovanti lapidei (ciottoli e blocchi) che provocano gli aumenti di velocità visibili dal grafico delle dromocrone. Bisogna anche osservare che il quinto sismostrato è interessato dalla presenza di falda acquifera che contribuisce alla variazione di velocità. Il netto aumento di entrambe le velocità passando dal quinto al sesto sismostrato permette di riferire quest’ultimo alla presenza di substrato costituito inizialmente dalle Argille e Calcari dell’Unità di 124 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano Canetolo fino a circa 70 m, successivamente dai Calcari del Groppo del Vescovo rappresentati dal settimo sismostrato in cui, però si osserva una diminuzione della velocità delle onde P, mentre le onde SH mantengono un costante aumento di velocità. Fig. 7.10 – Grafici delle dromocrone e delle velocità intervallari relativi al DH S15 L’ultimo down-hole analizzato, il DH S16, è caratterizzato da 5 sismostrati di cui il primo è ascrivibile, dopo un modesto spessore di terreno di riporto, ai depositi alluvionali terrazzati, i quali si presentano anche nel secondo, terzo e quarto sismostrato, con velocità differenti dovute anche qui, probabilmente, alla locale presenza (visibile soprattutto nel terzo sismostrato) di trovanti lapidei. L’ultimo sismostrato, reinterpretato, è ascrivibile, invece, al substrato rappresentato dalla Formazione delle Argille e Calcari molto fratturati. 125 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano Fig. 7.11 – Grafici delle dromocrone e delle velocità intervallari relativi al DH S16 In base ai valori di propagazione delle onde di compressione e delle onde di taglio polarizzate orizzontalmente, ricavati dall’elaborazione dei dati e grazie al confronto di taratura con le stratigrafie dei sondaggi geognostici, è stato possibile effettuare un’attribuzione litologica dei sismostrati individuati, come riportato in tabella 7.2. 126 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano SIGLA DH S4 DH S6 DH S7 DH S9 DH S14 DH S15 VELOCITA’ SISMICHE (m/sec) Vp=509,0 Vs=246,1 Vp=2616,3 Vs=882,4 Vp=3660,7 Vs=1692,3 Vp=964,9 Vs=261,9 Vp=1395,7 Vs=452,6 Vp=2137,3 Vs=364,2 Vp=2424,9 Vs=1010,1 Vp=1589,5 Vs=418,7 Vp=1790,7 Vs=740,2 Vp=421,0 Vs=332,5 Vp=519,3 Vs=335,3 Vp=1123,1 Vs=493,7 Vp=1785,1 Vs=1279,1 Vp=973,5 Vs=331,1 Vp=2265,0 Vs=976,6 Vp=2610,9 Vs=1175,2 Vp=434,9 Vs=177,4 Vp=944,2 Vs=272,9 Vp=1186,3 Vs=653,2 Vp=1685,3 Vs=1147,5 Vp=834,9 Vs=319,4 Vp=1471,7 Vs=712,9 Vp=3696,2 Vs=1005,0 Vp=3926,5 Vs=1641,9 Vp=630,3 Vs=369,8 Vp=1246,5 Vs=527,9 Vp=962,0 Vs=651,3 Vp=1210,8 Vs=301,8 Vp=1276,5 Vs=603,0 ATTRIBUZIONE LITOLOGICA Depositi alluvionali terrazzati Calcari del Groppo del Vescovo Depositi alluvionali terrazzati Argille e Calcari Terreno di riporto Depositi alluvionali terrazzati Calcari del Groppo del Vescovo Terreno di riporto Deposito detritico Macigno Depositi alluvionali terrazzati Calcari del Groppo del Vescovo Depositi alluvionali terrazzati 127 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano DH S16 Vp=3714,8 Vs=1477,5 Vp=3135,1 Vs=1712,1 Vp=752,6 Vs=484,8 Vp=985,5 Vs=722,2 Vp=1344,7 Vs=724,0 Vp=2371,6 Vs=782,4 Vp=2700 Vs=1715 Argille e Calcari Calcari del Groppo del Vescovo Depositi alluvionali terrazzati Argille e Calcari Tab. 7.2 – Tabella riassuntiva dei down-hole analizzati 7.3 INDAGINI SISMICHE A RIFRAZIONE La realizzazione di sondaggi geognostici e l’esecuzione nei fori di indagini sismiche di tipo down-hole permette di avere una buona caratterizzazione geometrica (in termini di spessori) e fisico-meccanica dei litotipi oggetto d’indagine. Tali indagini, però, offrono una risoluzione puntuale delle incognite di natura geologico-tecnica. Per questo motivo è necessario ampliare queste conoscenze puntuali; ciò è possibile attraverso diverse modalità: x correlazione in base ai dati geologici di superficie (ma questo approccio, estremamente qualitativo non tiene conto dell’elevata variabilità spaziale dei parametri fisico-meccanici dei litotipi); x aumento del numero di indagini geognostiche, al fine di poter acquisire un numero maggiore di dati (il problema, a nostro avviso, risiede nell’eccessivo costo e dalle problematiche di tipo logistico che vengono a crearsi, soprattutto in riferimento ad indagini in centri abitati); x estensione delle conoscenze puntuali, desunte dalle indagini in foro, attraverso la realizzazione di indagini sismiche a rifrazione. Quest’ultima modalità operativa è stata quella utilizzata nell’ambito delle indagini di esplorazione del sottosuolo nell’area fivizzanese. In questa maniera è stato possibile sia estendere le conoscenze sulle geometrie sepolte delle coperture e 128 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano del substrato sismico sia acquisire una serie di valori di velocità di propagazione delle onde di compressione e di taglio polarizzate orizzontalmente, da utilizzare come parametri di input nelle modellazioni numeriche. I dati, in termini di Vp e Vs, desunti da prove sismiche a rifrazione, sono chiaramente più mediati, rispetto ai risultati di una prova down-hole, ma sicuramente caratterizzati da un’estendibilità areale maggiore. In questo lavoro, delle 23 linee sismiche a rifrazione con onde P ed SH effettuate nel comune fivizzanese, verranno analizzate le 7 prospezioni eseguite nei pressi del Complesso Ospedaliero di Fivizzano. In tabella 7.3 sono riportate le principali caratteristiche geometriche delle indagini di sismica a rifrazione. LINEA LUNGHEZZA DELLA DISTANZA NUMERO DI SISMICA BASE (m) INTERGEOFONICA (m) ENERGIZZAZIONI St10 92 4 7 St13 115 5 7 St15 120 5 7 St16 120 5 7 St23 88 variabile 7 St24 96,4 variabile 7 St25 94 variabile 7 Tab. 7.3 – Caratteristiche geometriche delle indagini di sismica a rifrazione I segnali rilevati sono stati interpretati prima attraverso il picking dei primi arrivi sia per le onde P che per le onde SH, e successivamente attraverso una ricostruzione delle dromocrone tramite l’utilizzo del metodo GRM. Di seguito vengono illustrate le sezioni sismostratigrafiche relative alle linee sismiche citate precedentemente; la visione comparata di queste sezioni permette di 129 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano comprendere le geometrie dei contatti tra i litotipi ascrivibili alle coperture ed al substrato dell’area fivizzanese. Fig. 7.12 – Sezione sismostratigrafica relativa alla linea sismica St10 Nella figura precedente è illustrata la sezione sismostratigrafica relativa alla linea sismica St10, in cui si nota che l’individuazione dei tempi di primo arrivo dei sismogrammi ottenuti sia con onde P che con onde SH, ha consentito, in fase interpretativa, di rilevare tre sismostrati: il primo è costituito da rilevato e massicciata, con velocità Vp comprese tra 400 e 620 m/sec e velocità Vs tra 260 e 130 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano 350 m/sec; le velocità del secondo sismostrato possono essere ascrivibili ai depositi alluvionali; il terzo sismostrato potrebbe avere una geometria più complessa, in quanto le velocità registrate sono tipiche, nella prima parte delle Argille e Calcari, nella seconda dei Calcari del Groppo del Vescovo. Fig. 7.13 – Sezione sismostratigrafica relativa alla linea sismica St13 Nella sezione sismostratigrafica, relativa alla stesa sismica St13, il primo sismostrato, costituito dalla massicciata stradale, da terreno di riporto e dalla porzione più superficiale areata del detrito di copertura, presenta, sia con le onde P che SH, spessori pressoché costanti variabili tra 2.0 e 3.0 metri; le velocità ottenute per questo sismostrato variano da 400 a 450 m/sec per le onde P, mentre le onde SH assumono valori variabili da 170 a 190 m/sec. Il secondo sismostrato, costituito dalla 131 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano copertura detritica, presenta velocità delle onde P che si attestano sui 1070 m/sec e velocità delle onde SH variabili tra 490 e 500 m/sec. Il rifrattore principale presenta, sia con le onde P che con le onde SH pressoché lo stesso andamento e la stessa profondità, e può essere ascrivibile alle Argille e Calcari di Canetolo. La sezione sismostratigrafica St15 (fig. 7.14) mostra la presenza di tre sismostrati: il primo, con medie velocità, correlabile con la massicciata stradale, il terreno di riporto e la copertura detritica; segue un secondo strato caratterizzato da velocità Vp = 2100÷2270 m/sec e Vs = 830÷1060 m/sec, riferibili alle argilliti e calcari mediamente fratturati della formazione delle “Argille e calcari”; il terzo ed ultimo strato, con velocità Vp = 3350÷3480 m/sec e Vs = 1800÷1830 m/sec, è riferibile alle argilliti e calcari da poco fratturati a sani della formazione delle “Argille e calcari”. 132 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano Fig. 7.14 – Sezioni sismostratigrafiche relative alle linee sismiche St15 e St16 133 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano Nella sezione St16 (fig. 7.14) il primo sismostrato individuato è caratterizzato da basse velocità (Vp = 260÷320 m/sec e Vs = 150÷220 m/sec), che fanno ipotizzare la presenza di terreno agrario e depositi alluvionali terrazzati costituiti da sabbie e ghiaie eterometriche da sciolte a mediamente addensate; segue un secondo strato caratterizzato da velocità riferibili alle sabbie ed alle ghiaie da addensate a molto addensate; il terzo ed ultimo strato è ascrivibile alle argilliti e calcari da poco fratturati a sani della formazione delle Argille e Calcari. Fig. 7.15 – Sezione sismostratigrafica relativa alla linea sismica St23 L’interpretazione della linea sismica St23 (fig. 7.15) ha portato all’individuazione di tre sismostrati: il primo, con velocità delle onde P compresa tra 240 e 280 m/sec e velocità delle onde SH compresa tra 135 145 m/sec, comprende la massicciata 134 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano stradale, lo strato areato ed il terreno di riporto, con spessore variabile lungo tutta la sezione; il secondo sismostrato, costituito essenzialmente da detrito di copertura, presenta velocità Vp variabili da 600 a 650 m/sec e velocità Vs variabili da 380 a 390 m/sec. Il rifrattore principale, che costituisce la linea di separazione tra i suddetti depositi di copertura ed il sottostante substrato sismico presenta, sia con le onde P che SH, una morfologia abbastanza uniforme. Questo sismostrato presenta velocità delle onde P comprese tra 2090 e 2200 m/sec e velocità delle onde SH tra 765 e 780 m/sec, che ben si accordano con i litotipi presenti nell’area in oggetto, in particolare le Argille e Calcari e la formazione del Macigno, non potendo però discriminare tra i due. Fig. 7.16 – Sezione sismostratigrafica relativa alla linea sismica St24 135 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano Anche per lo stendimento St24 (fig. 7.16) sono stati individuati tre sismostrati così suddivisi: il primo è relativo alla massicciata stradale, al terreno di riporto ed allo strato areato, come nel caso precedente, con velocità delle onde P compresa tra 200 e 340 m/sec e velocità delle onde SH variabile tra 95 e 170 m/sec; il secondo sismostrato, avente velocità Vp che variano tra 530 e 580 m/sec, mentre la velocità delle onde SH si mantiene sui 270 m/sec, è riferibile al detrito di copertura; il terzo sismostrato ha valori di velocità, sia di onde P che di onde SH, tali da far pensare alle Argille e Calcari o alla Formazione del Macigno, senza poterne, però, individuare il passaggio. Fig. 7.17 – Sezione sismostratigrafica relativa alla linea sismica St25 La sezione litostratigrafica dell’indagine sismica St25 (fig. 7.17) illustra gli stessi sismostrati visti nelle sezioni precedenti, e quindi massicciata stradale, strato areato e terreno di riporto per il primo sismostrato, detrito di copertura per il secondo, Argille e Calcari e Macigno per il terzo, mostrando leggere differenze di velocità. 136 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano 7.4 INDAGINI SISMICHE A RIFLESSIONE Nell’ambito dell’attività di ricerca sull’applicazione di tecniche geofisiche per la ricostruzione del sottosuolo, è stata condotta nel comune di Fivizzano, nei pressi dell’Ospedale civile, una campagna di indagini sismiche a riflessione con onde SH. Tale campagna è stata svolta nel Novembre 2004 ed i dati ottenuti dall’acquisizione di campagna sono stati rielaborati ed interpretati fino ad ottenere le sezioni finali. L’ubicazione delle due linee sismiche, denominate Fiv Ln1 e Fiv Ln2, è mostrata in figura 7.1. Per entrambe le linee, della lunghezza di 56 m, è stata utilizzata la geometria d’acquisizione “offend push increase”, che prevede la sorgente energizzante posta all’esterno dello stendimento geofonico (fig. 7.18). Fig. 7.18 – Schema della geometria dello stendimento L’energizzazione in onde SH è stata ottenuta percuotendo con una massa battente del peso di 5 kg una cassa metallica alternativamente ai due lati opposti. Per ciascun punto d’energizzazione (shot-point) in onde SH sono state eseguite due registrazioni, una per la “battuta destra” e l’altra per la “battuta sinistra”. Tale metodologa consente una facile discriminazione dell’arrivo delle onde SH perché la fase, per le due diverse battute, è opposta. La lettura delle sezioni migrate non è stata un’operazione semplice a causa delle caratteristiche del sottosuolo che hanno prodotto un forte “ringing” del segnale riflesso e notevoli effetti diffrattivi. Ciò è attribuibile all’estrema eterogeneità del 137 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano sottosuolo, difficilmente risolubile persino mediante tecniche di acquisizione e di processing ad alta risoluzione quali quelle utilizzate. Nelle sezioni mostrate in figura 7.19 e 7.20 sono evidenziate, tramite linee rosse tratteggiate, delle discontinuità che possono essere associate ad una struttura principale ad angolo relativamente basso, legata probabilmente ad un cinematismo di tipo inverso, ben visibile in entrambe le sezioni. Altri lineamenti di tipo sub verticale che interrompono la continuità dei riflettori sono osservabili in entrambe le sezioni e sarebbero associati ad un cinematismo diretto. Con linee blu tratteggiate, invece, sono indicati riflettori discontinui ad andamento sub-orizzontale che potrebbero essere associati alla stratificazione. Questi riflettori hanno pendenze differenti, probabilmente a causa di movimenti differenziali che li hanno interessati. La taratura dei riflettori superficiali mediante sondaggio geognostico risulta poco significativa a causa della presenza di forti effetti diffrattivi nei primi 50 ms, dovuti alla fratturazione degli elementi litoidi presenti, che mascherano il reale andamento dei contrasti di rigidità sismica. La presenza delle strutture inverse principali sarebbe stata individuata, comunque, anche mediante tali indagini dirette (paragrafo 7.1). 138 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano Fig. 7.19 – Sezione sismica a riflessione Ln1 Fig. 7.20 – Sezione sismica a riflessione Ln2 139 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano 7.5 CARTA DELLE ISOPACHE DELLA COPERTURA SISMICA L’utilizzo dei risultati delle indagini sismiche sopra descritte, integrati con quelli desunti dalle restanti indagini di esplorazione del sottosuolo, ha permesso la realizzazione di una carta delle isopache della coltre sismica (fig. 7.21), con cui si indicano tutti quei litotipi che, in base alle caratteristiche fisico-meccaniche, sia dinamiche sia statiche, non possono essere considerate come substrato sismico, per il quale è richiesta una Vs t1000 m/sec, nel caso di substrato rigido, o almeno 800 m/sec, nel caso di substrato deformabile. Fig. 7.21 – Carta delle isopache della copertura sismica dell’area circostante l’ospedale di Fivizzano 140 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano Come si osserva dalla carta delle isopache lo spessore della coltre sismica va progressivamente aumentando spostandosi verso nord e nell’area denominata “Il piano”, arrivando a profondità anche maggiori di 35 m. Nella zona dove sorge il complesso ospedaliero di Fivizzano e nel settore adiacente alla Piazza della Libertà, invece, lo spessore della copertura sismica diminuisce arrivando a profondità anche minori di 5 m. La situazione della coltre sismica ora descritta ha una diretta influenza sulla risposta sismica locale del sito; questo verrà discusso nel prossimo capitolo. 7.5 CORRELAZIONI TRA I MODULI ELASTO-DINAMICI L’analisi delle informazioni ricavate da una campagna di esplorazione del sottosuolo, attraverso l’utilizzo di indagini sismiche e geognostiche, atta all’osservazione dei valori di propagazione delle onde sismiche nel terreno ed alla valutazione delle caratteristiche fisico-meccaniche in campo dinamico deve essere implementata, avvalendosi dell’osservazione di parametri elasto-dinamici (rapporto Vp/Vs, modulo di Poisson e modulo di Young), ricavati dai valori di Vp e Vs misurati e dalla conoscenza, per alcuni di questi moduli, della densità. Di seguito sono riportati i grafici ottenuti con l’utilizzo dei parametri elastodinamici sopra elencati, calcolati in funzione della Vs, in quanto questo è il parametro fondamentale da prendere in considerazione nelle indagini di microzonazione sismica. In figura 7.22 è mostrato un grafico in cui sono messi in relazione il rapporto Vp/Vs e la velocità Vs per i litotipi presenti nell’area di studio. Si può osservare che i maggiori valori del rapporto Vp/Vs si hanno per i depositi alluvionali terrazzati ed in parte per i depositi detritici, rappresentativi di depositi non consolidati, per i quali questo parametro ha il maggior grado di variabilità. I valori minori, invece, si hanno per i litotipi a carattere litoide, come le argille e calcari, i calcari del Groppo del Vescovo e le arenarie del Macigno. I bassi valori riscontrabili anche per il terreno di 141 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano riporto ed il detrito potrebbe essere imputato alla presenza di depositi gas saturati, inoltre bisogna ricordare, come accennato prima, che per questi depositi il rapporto ha un’ampia variabilità. Fig. 7.22 – Rapporto Vp/Vs in funzione della Vs La relazione esistente tra Vs e coefficiente di Poisson è illustrata in figura 7.23. Anche in questo caso l’areato ha il maggior grado di variabilità, infatti, passa da valori negativi a valori positivi. Si osserva che i valori maggiori si hanno per i litotipi ascrivibili ai depositi alluvionali, caratterizzati da un maggior grado di frazione fine, e alla formazione del Macigno. I bassi valori visibili per alcuni elementi appartenenti alla copertura sono dovuti al fatto che ci si trova in presenza di sedimenti a bassa pressione litostatica e gas-saturati. 142 CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano Fig. 7.23 – Coefficiente di Poisson in funzione della Vs Nel grafico di figura 7.24 è riportata, invece, la relazione tra il modulo di Young ed il rapporto Vp/Vs. Osservando il grafico si potrebbe tracciare un limite di separazione tra le unità di copertura, caratterizzati da valori inferiori, ed i litotipi del substrato, con valori maggiori. Fig. 7.24 – Modulo di Young in funzione del rapporto Vp/Vs 143 CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche CAPITOLO 8 8. MODELLAZIONI MONODIMENSIONALI DINAMICHE Nei capitoli precedenti sono state descritte le modalità tecniche e scientifiche attraverso le quali vengono acquisiti i parametri necessari alla determinazione del modello geologico-tecnico dell’area di studio. Tali parametri sono utilizzanti, inoltre, come dati di input nella realizzazione di modellazioni numeriche in campo dinamico, al fine di simulare il comportamento dei terreni soggetti ad un determinato evento sismico, permettendo, quindi, di valutarne la risposta sismica locale. Queste simulazioni nascono con l’intento di sopperire, come nel nostro caso, alla totale mancanza di dati ground-motion, ascrivibile sia alla natura storica dell’evento sismico considerato, sia all’assenza che si rileva tutt’oggi (in territorio italiano) di una capillare rete accelerometrica in grado di registrare la diversa risposta sismica ad una scala locale, ascrivibile all’attività di forti terremoti. Le modellazioni numeriche monodimensionali realizzate nel centro abitato di Fivizzano hanno come fine quello di valutare l’entità dei fenomeni di amplificazione che si registrano nell’area stessa. A questo scopo sono state realizzate 26 simulazioni monodimensionali con il programma ProShake 1.1 a Fivizzano, in particolare nell’area in cui è ubicato il complesso ospedaliero (sede di nuove indagini come indicato nel capitolo precedente). I punti di calcolo della modellazione sono stati scelti in corrispondenza delle basi sismiche a rifrazione, sulle verticali in cui erano evidenti le irregolarità dei sismostrati, potendone osservare una variazione degli spessori. L’ubicazione di questa campagna di modellazioni è riportata in figura 8.1. 144 CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche Fig. 8.1 – Ubicazione delle modellazioni monodimensionali nell’area del complesso ospedaliero di Fivizzano 145 CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche 8.1 PROSHAKE 1.1 Il programma di modellazione monodimensionale descritto in questo paragrafo calcola la risposta sismica associata alla propagazione verticale di onde SH. Il codice di calcolo ProShake 1.1 rappresenta l’evoluzione dei programmi Shake 85 (Schnabel et alii, 1972) e Shake 91 (Idriss & Sun, 1992), utilizzando un’interfaccia semplificata che consente un utilizzo molto più agevole e veloce, rispetto alle altre versioni scritte in linguaggio “fortran”. Il programma è organizzato in tre settori, denominati “managers”: 1. input manager; 2. solution manager; 3. output manager. Di seguito verranno descritte le caratteristiche dei tre “managers”. L’input manager consente di inserire i dati di ingresso (input), controllandoli e salvandoli in un file con estensione “.dat” prima dell’esecuzione di programma. I dati di input necessari ad effettuare le modellazioni sono accelerogrammi e spettri di risposta del terremoto di progetto utilizzato per le simulazioni, l’assetto stratigrafico della verticale sui cui vengono eseguite le modellazioni, i valori di Vs dei litotipi indagati, spessori e densità dei sismostrati, ricavati nella campagna di esplorazione del sottosuolo, curve di valori di rigidezza (G normalizzato al modulo di taglio iniziale G0) ed i coefficienti di smorzamento interno (ȗ) in relazione alla deformazione tangenziale (Ȗ). Nell’input manager è, inoltre, possibile osservare graficamente i dati di input immessi per controllare eventuali errori in fase di immissione dei dati. Prima di procedere con l’elaborazione è necessario, sempre in questa fase, specificare gli output desiderati. Il solution manager è utilizzato per eseguire l’analisi lineare equivalente, illustrando la variazione della deformazione di taglio efficace e dell’errore associato 146 CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche alla variazione del modulo di taglio e dello smorzamento in funzione della profondità per ogni step di iterazione. Quando gli errori diminuiscono sotto la tolleranza di errore specificata sulla forma di input motion nell’input manager a tutte le profondità, o quando il numero massimo di iterazione è stato raggiunto, il programma cesserà di iterare. Anche in questa fase, al completamento dell’analisi, il risultato viene salvato in un file con estensione “.lyr”. Per mezzo dell’output manager, infine, sarà possibile osservare graficamente i risultati della modellazione numerica attraverso i diagrammi ground-motion (timehistory, spettri di Fourier, spettri di fase e spettri di potenza), grafici di distribuzione temporale di sforzi e deformazioni di taglio nel terreno, spettri di risposta, funzioni di trasferimento ed altri parametri ground-motion, sia nel dominio del tempo, sia delle frequenze. Il programma ProShake 1.1 utilizza un approccio nel dominio delle frequenze per risolvere il problema della valutazione della risposta sismica locale. Il modello fisico consiste in N strati piani e paralleli, di estensione orizzontale infinita, su un semispazio rigido (bedrock). Ogni strato, considerato omogeneo ed isotropo, è caratterizzato dallo spessore h, dalla densità ȡ, dal modulo di taglio G e dal fattore di smorzamento ȗ. Il programma è applicabile solo qualora il modello sia a strati orizzontali paralleli infinitamente estesi. L’equazione d’onda utilizzata nel modello (viscoelastico linearizzato di KelvinVoigt) è: U G 2 u Gt 2 G G 2 u Gx 2 K >G 3 u Gx 2Gt @ (8.1) dove K 2G9 Z G 2 u Gt 2 = moto sismico 147 CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche Per ciò che concerne la determinazione del terremoto di progetto, è stato utilizzato un terremoto ottenuto precedentemente tramite una prima analisi di pericolosità dell’area effettuata stimando i parametri di scuotimento del terreno attesi su sito rigido, aventi probabilità di eccedenza del 10% in 50 anni (periodo di ritorno equivalente = 475 anni). Il periodo di ritorno utilizzato rappresenta un valore convenzionale adottato in molte normative internazionali (tra cui anche l’Eurocodice 8, ENV 1998-1-1, 1994) a fini di classificazione sismica. I risultati di dette analisi consistono in spettri a pericolosità uniforme in pseudoaccelerazione al 5% dello smorzamento critico. La scelta degli spettri a pericolosità uniforme anziché di quello deterministico con pari periodo di ritorno, è stata dettata dalla impossibilità di separare, all’interno della zona sismogenetica, il contributo di ciascuna singola struttura, e pertanto si è ritenuto più corretto utilizzare il contributo cumulato, su base probabilistica, della scuotibilità derivante da tutte le potenziali sorgenti esistenti nell’area. In particolare utilizzando il catalogo dei terremoti (Gruppo di Lavoro CPTI, 1999), le zone sismogenetiche (Scandone, 1999) e leggi di attenuazione (Sabetta e Pugliese, 1996), si sono ottenuti per i centri oggetto di indagine i valori attesi di picco di accelerazione (Pga), picco di velocità (Pgv), Arias Intensity (Ai), durata dell’evento (d), ordinate spettrali per i vari periodi, in termini di pseudovelocità (Psv) al 5% dello smorzamento critico. A partire dagli spettri ottenuti sono stati generati accelerogrammi sintetici (Sabetta e Pugliese, 1996), fissata la magnitudo e distanza compatibile con la Pga ottenuta dall’analisi precedente. Per l’area fivizzanese, considerata area epicentrale del terremoto del 1920 ed in riferimento all’intensità dei danneggiamenti subiti, è stato scelto il moto di input (fig. 8.2), caratterizzato dai maggiori valori di Pga ricavata. 148 CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche Fig. 8.2 – Moto di input utilizzato nelle simulazioni numeriche: a) time history, b) spettro di risposta al 5% di smorzamento I programmi di modellazione numerica in campo dinamico richiedono, inoltre, in fase di input, informazioni relative ai valori di rigidezza (G normalizzato al modulo di taglio iniziale G0) e dei coefficienti di smorzamento interno ([%) in relazione alla deformazione tangenziale (J%). Tali parametri (tab. 8.2), congiuntamente ai valori di densità utilizzati per i diversi litotipi indagati (tab. 8.3), sono stati desunti da indagini di esplorazione del 149 CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche sottosuolo condotte nell’ambito del Progetto VEL in alcune località della Garfagnana (Pergalani et alii, 2000; Petrini et alii, 2000; Ferrini et alii, 2001). Deformazione tangenziale (J %) 0.0001 0.001 Litotipo Depositi di riporto (rp/dt) Depositi alluvionali terrazzati (ct/mg) Argille e calcari (ac) Calcari eocenici Macigno G/G0 [ G/G0 [ G/G0 [ G/G0 [ G/G0 [ 0.98 0.95 1 2.6 0.99 4.6 1 0.05 1 0.39 0.95 1.5 0.97 2.7 0.93 4.8 1 0.05 0.99 0.81 0.01 0.1 1 0.78 3.9 0.75 4.5 0.67 7.8 0.8 1.5 0.9 1.5 0.38 10.8 0.17 16 0.24 18.4 0.75 4 0.72 2.98 0.06 17 0.015 22 0.05 21.9 0.6 7 0.55 4.6 Tab 8.2 – Valori di rigidezza (G normalizzato al modulo di taglio iniziale G0) e dei coefficienti di smorzamento interno ([%) in relazione alla deformazione tangenziale (J%) per i litotipi indagati nel sito di Fivizzano Litotipo Depositi di riporto (rp/dt) Depositi alluvionali terrazzati (ct/mg) Argille e calcari (ac) compatti Calcari eocenici alterati Macigno J(kN/m3) 18 19 21 26 23 25 Tab 8.3 – Valori di densità utilizzati nelle modellazioni numeriche 150 CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche 8.2 RISULTATI DELLE MODELLAZIONI MONODIMENSIONALI In questo paragrafo vengono riportati e discussi i risultati delle 26 modellazioni monodimensionali effettuate nell’area dell’ospedale del comune di Fivizzano. Vengono mostrati innanzitutto gli spettri di risposta in pseudoaccelerazione caratterizzati dallo stesso valore di smorzamento (5%) e che sono una rappresentazione della massima risposta in accelerazione del suolo ad un determinato evento sismico (in questo caso l’accelerogramma di input di figura 8.2) in funzione della frequenza (f) o del periodo (T=1/f). Successivamente, tramite l’utilizzo degli spettri di risposta in pseudovelocità, ottenuti anch’essi con il codice di calcolo Proshake 1.1, sono stati calcolati i fattori di amplificazione intesi come rapporto tra l’intensità spettrale di output e l’intensità spettrale di input, come mostrato di seguito: PSV(T,[ )OUTPUT dT PSV(T,[ ) INPUT 0.1 0.5 Fa(PSV)= ³ (8.2) dove PSV è lo spettro di risposta in pseudovelocità, T è il periodo e ȗ è lo smorzamento critico. I valori dei fattori di amplificazione (figure 8.5, 8.8, 8.12, 8.14) sono stati calcolati prendendo in considerazione due diversi range di periodo, ed in particolare sono stati calcolati FA per un periodo compreso tra 0,1 e 0,5 e FA per un periodo più lungo compreso tra 0,1 e 2,5. La scelta di questi due intervalli è dettata dal fatto che ogni edificio, a seconda di come esso è strutturato, risulta essere più sensibile a delle particolari frequenze, ad esempio edifici elevati sono in genere più suscettibili a basse frequenze, mentre risultano più pericolosi sismi caratterizzati da alte frequenze per edifici di pochi piani, e, per uno studio di microzonazione sismica come quello effettuato in questo lavoro, è necessario valutare queste particolari situazioni. Per i punti di modellazione analizzati sono stati calcolati anche i valori del Vs30, cioè gli spettri di risposta in funzione della legge n°32/74 in materia di normativa 151 CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche antisismica., varata nel mese di Marzo 2003 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Tale legge disciplina le norme tecniche per il progetto, la valutazione e l’adeguamento sismico degli edifici soggetti ad azioni sismiche. Lo scopo delle norme è di assicurare che in caso di evento sismico sia protetta la vita umana, siano limitati i danni e rimangano funzionanti le strutture essenziali agli interventi di protezione civile. In particolare, le costruzioni devono essere dotate di un livello di protezione antisismica differenziato in funzione della loro importanza e del loro uso, e quindi delle conseguenze più o meno gravi di un loro danneggiamento per effetto di un evento sismico. A tale scopo si istituiscono diverse categorie di importanza, a ciascuna delle quali è associato un fattore ș di importanza. Tale fattore amplifica l’intensità dell’azione sismica di progetto rispetto al valore che per essa si assume per costruzioni di importanza ordinaria (azione sismica di riferimento). Il fattore di importanza si applica in ugual misura all’azione sismica di collasso e per lo stato limite di danno. Ai fini della definizione dell’azione sismica di progetto si definiscono le seguenti categorie di profilo stratigrafico del profilo di fondazione: A – Formazioni litoidi o suoli omogenei molto rigidi caratterizzati da valori di Vs30 superiori a 800 m/sec, comprendenti eventuali strati di alterazione superficiale di spessore massimo pari a 5 m. B – Depositi di sabbie o ghiaie molto addensate o argille molto consistenti, con spessori di diverse decine di metri, caratterizzati da un graduale miglioramento delle proprietà meccaniche con la profondità e da valori di Vs30 compresi tra 360 m/sec e 800 m/sec (resistenza penetrometrica Nspt>50 o Cu coesione non drenata >250 Kpa); C – Depositi di sabbie e ghiaie mediamente addensate, o di argilla di media consistenza, con spessori variabili da diverse decine fino a centinaia di metri, caratterizzati da valori di Vs30 compresi tra 180 e 360 m/sec. 152 CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche D – Depositi di terreni granulari da sciolti a poco addensati oppure coesivi da poco a mediamente consistenti caratterizzati da valori Vs30 minori di 180 m/sec. E – Profili di terreno costituiti da strati superficiali alluvionali, con valori di Vs30 simile a quelli dei tipi C o D e spessore compreso tra i 5 ed i 20 metri, giacenti su di un substrato di materiale più rigido con Vs30 maggiore di 800 m/sec. Nelle definizioni precedenti Vs30 è la velocità media di propagazione entro trenta metri di profondità delle onde di taglio e viene calcolata con la seguente espressione: VS 30 30 hi ¦ i 1,N Vi (8.3) dove hi e Vi indicano lo spessore (in metri) e la velocità delle onde di taglio dello strato i-esimo, per un totale di n strati presenti nei trenta metri superiori. Ai fini dell’applicazione il territorio nazionale viene suddiviso in zone sismiche, ciascuna contrassegnata da un diverso valore di accelerazione orizzontale massima a cui viene associato un particolare spettro di risposta. Di seguito vengono riportati i risultati delle Vs30 calcolate nel comune di Fivizzano. 153 CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche Punti di calcolo ST10A VS30 748 Categoria B ST10B 779 B ST10C 719 B ST13A 618 B ST13B 594 B ST13C 600 B ST15A 1579 A ST15B 1266 A ST15C 1430 A ST16A 783 B ST16B 563 B ST16C 469 B ST23A 546 B ST23B 476 B ST23C 570 B ST24A 573 B ST24B 489 B ST24C 620 B ST25A 665 B ST25B 647 B ST25C 774 B Tab. 8.4 – Valori di Vs30 calcolati e relativa categoria di suolo Nelle figure che seguono sono mostrati i risultati delle modellazioni monodimensionali ottenuti con il programma ProShake 1.1, confrontati con la normativa sismica appena descritta. Dall’analisi comparata tra gli spettri di risposta ottenuti con le modellazioni monodimensionali e quelli relativi al terreno di appartenenza delle Vs30, possiamo notare come per la zona indagata, la normativa tende a sottovalutare la risposta sismica locale. 154 CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche Fig. 8.3 – Spettri di risposta calcolati nei punti di misura disposti in corrispondenza della base sismica ST10 Fig. 8.4 – Spettri di risposta calcolati nei punti di misura disposti in corrispondenza della base sismica ST13 155 CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche Fig. 8.5 – Fattori di amplificazione per un periodo compreso tra 0,1 e 0,5 sec e 0,1 e 2,5 sec per i punti di modellazione ubicati sulle basi sismiche ST10 e ST13 Fig. 8.6 – Spettri di risposta calcolati nei punti di misura disposti in corrispondenza della base sismica ST15 156 CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche Fig. 8.7 – Spettri di risposta calcolati nei punti di misura disposti in corrispondenza della base sismica ST16 Fig. 8.8 – Fattori di amplificazione per un periodo compreso tra 0,1 e 0,5 sec e 0,1 e 2,5 sec per i punti di modellazione ubicati sulle basi sismiche ST15 e ST16 157 CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche Fig. 8.9 – Spettri di risposta calcolati nei punti di misura disposti in corrispondenza della base sismica ST23 Fig. 8.10 – Spettri di risposta calcolati nei punti di misura disposti in corrispondenza della base sismica ST24 158 CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche Fig. 8.11 – Spettri di risposta calcolati nei punti di misura disposti in corrispondenza della base sismica ST25 Fig. 8.12 – Fattori di amplificazione per un periodo compreso tra 0,1 e 0,5 sec e 0,1 e 2,5 sec per i punti di modellazione ubicati sulle basi sismiche ST23, ST24 e ST25 159 CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche Fig. 8.13 – Spettri di risposta calcolati nei punti di misura disposti in corrispondenza dei down-hole Fig. 8.14 – Fattori di amplificazione per un periodo compreso tra 0,1 e 0,5 sec e 0,1 e 2,5 sec per i punti di modellazione in corrispondenza dei down-hole 160 CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche Dall’osservazione degli spettri di risposta illustrati nelle figure precedenti, si possono desumere le seguenti affermazioni: x nel settore centrale, attorno alla Piazza della Libertà, si notano spettri di risposta con contenuto spettrale piccato su frequenze comprese tra 5 e 3 Hz e valori più alti di pseudoaccelerazione in corrispondenza di un contrasto di impedenza più marcato rappresentato dal passaggio, in profondità, dai depositi alluvionali terrazzati ai calcari del Groppo del Vescovo (ST10C). Ma vi sono anche risposte che non mostrano apprezzabili amplificazioni (ST15AST15B-ST15C); questo può essere giustificato da un contrasto di velocità non eccessivo esistente tra il substrato costituito dalle Argille e Calcari ed il litotipo sovrastante rappresentato dal terreno di riporto; x riferendosi in particolare ai punti di modellazione ubicati sulla base sismica ST16 si osservano amplificazioni maggiori e piccate su frequenze comprese tra 8 e 2 Hz (ST16B e ST16C), dovute al graduale approfondimento del substrato costituito dalle Argille e Calcari e quindi ad un sempre maggior spessore dei depositi alluvionali terrazzati sovrastanti; x nell’area occupata dall’ospedale si notano amplificazioni caratterizzate da un contenuto spettrale piccato su bassi periodi. Le amplificazioni registrate possono essere spiegate dalla presenza di un contrasto d’impedenza forte tra il substrato rappresentato da Macigno e Argille e Calcari ed il litotipo sovrastante, rappresentato dal detrito di copertura e dal riporto. Inoltre, se si osservano in particolare i punti di modellazione ST23B, ST24B ed ST25B, si può affermare che le maggiori amplificazioni per questi punti sono dovute all’aumento di spessore dei depositi detritici e del terreno di riporto, rispetto ai restanti punti di modellazione ubicati sulle stesse basi sismiche. Si nota anche l’amplificazione pressoché nulla nel punto ST25C, in cui lo spessore del detrito di copertura diminuisce e quello del terreno di riporto è esiguo. 161 CAPITOLO 9 - Conclusioni CAPITOLO 9 9. CONCLUSIONI Lo studio realizzato in questa tesi, basatosi su di un’analisi multidisciplinare del sottosuolo effettuata attraverso l’interpretazione integrata di indagini geognostiche, indagini sismiche a rifrazione e a riflessione e prove down-hole (capitolo 7), delinea per il comune di Fivizzano, ed in particolare per l’area occupata dall’ospedale, un quadro complesso. Come già accennato nel paragrafo 6.3, nelle sezioni di figure 6.6 – 6.7 – 6.8 – 6.9 vengono illustrate due differenti ipotesi di ricostruzione del sottosuolo. Le sezioni geologiche di figura 6.6 e 6.7 mostrano una prima ipotesi, visibile anche nella carta geologica di figura 6.5, in cui è stata ipotizzata la presenza di una frana che ha coinvolto la Formazione del Macigno e l’Unità di Canetolo, portando alla dislocazione della faglia diretta che mette in contatto le sopracitate formazioni geologiche. Il fenomeno gravitativo presente lungo lo specchio di faglia spiegherebbe la sovrapposizione della Formazione del Macigno su quella delle Argille e Calcari, riscontrata nel sondaggio S11, sovrapposizione anomala considerando che le Argille e Calcari di Canetolo fanno parte dell’unità alloctona del dominio subligure e sono sovrascorsi sulla formazione del Macigno. Un’ipotesi alternativa a quella sopra descritta per spiegare l’anomala sovrapposizione litologica potrebbe essere la classificazione della faglia come inversa. Questa tesi è illustrata nelle sezioni geologiche di figura 6.8 e 6.9. Dalle indagini effettuate nell’area e discusse in questo lavoro di tesi sono emersi elementi imprevisti che si pongono in contraddizione con l’ipotesi che ascrive a tale discontinuità un carattere distensivo. Dai sondaggi geognostici S5 ed S12 si è notata la presenza, al contatto tra tetto e letto, di depositi cataclasitici ricchi di calcite spatica con cristalli ben formati; ma considerando la fragilità dei cristalli di calcite si potrebbe affermare che la faglia in oggetto non presenti indizi di attività recente e quindi non possa essere classificata come faglia sismogenetica o attiva. 162 CAPITOLO 9 - Conclusioni In secondo luogo vi è l’assenza di un riscontro morfologico visibile nelle due sezioni di sismica a riflessione effettuate nell’area in questione; in queste sezioni, infatti, non si nota la presenza di una superficie di scorrimento di proporzioni tali da giustificare la presenza della frana che avrebbe coinvolto la Formazione del Macigno e quelle dell’Unità di Canetolo. In questo lavoro, comunque, non verrà approfondita l’analisi volta a capire la natura della suddetta faglia. Per ciò che concerne lo studio della risposta sismica locale, la metodologia utilizzata nel presente lavoro di tesi si riferisce alle modalità operative adottate nell’ambito del Progetto VEL (Valutazione degli Effetti Locali) istituito dalla Regione Toscana in base alla L.R. 30/07/1997 N 56 “Interventi sperimentali per la riduzione del rischio sismico”. Uno degli scopi finali di tale Programma sarà quello di definire, ad una scala di dettaglio, zone caratterizzate da un omogeneo valore della risposta sismica locale, nelle principali aree sismicamente attive della Regione Toscana, attraverso una metodologia operativa di tipo quantitativa (cap. 5), che può essere schematizzata nel seguente modo: 1. definizione delle aree d’indagine; 2. definizione del modello geologico-tecnico attraverso il contributo integrato delle informazioni desunte dalla caratterizzazione geologico-geomorfologica di superficie e dalla conseguente fase di esplorazione multidisciplinare del sottosuolo; 3. determinazione dei parametri di input (statici e dinamici) direttamente acquisiti attraverso la realizzazione della precedente fase (caratterizzazione geometrica e parametrizzazione fisico-meccanica dei litotipi indagati); 4. definizione del moto di input; 5. esecuzione delle modellazioni dinamiche (monodimensionali), in grado di fornire, in fase di output, ai Comuni ed ai progettisti, parametri di interesse per mezzo di spettri di risposta e fattori d’amplificazione. 163 CAPITOLO 9 - Conclusioni Tale metodologia, se paragonata ad altre metodiche di analisi degli effetti locali dei terreni, è di certo caratterizzata da elevati costi e tempi non brevi di esecuzione, ma, d’altra parte, consente di considerare le diverse incognite che sono presenti in studi multidisciplinari, nella maniera più esaustiva possibile. C’è però da considerare che solo attraverso un approccio quantitativo è possibile considerare, nella maniera più esaustiva possibile, le diverse incognite che sono presenti in studi così multidisciplinari ed eterogenei. Attraverso il caso di Fivizzano è stato possibile verificare un esempio di applicazione di tale metodologia d’indagine, tenendo presente che sarebbe necessario effettuare nell’area ulteriori modellazioni bidimensionali. Dall’analisi delle modellazioni monodimensionali, mostrate e descritte nel capitolo 8, si osserva che le amplificazioni registrate nei vari punti di modellazione si presentano, in generale, all’interno di un simile range di frequenze. Per i punti di modellazione è stata utilizzata anche la formula semplificata di Bard (1986) che permette di calcolare la frequenza fondamentale del terreno, tenendo in considerazione lo spessore del deposito. La suddetta formula è la seguente: F0 1 T0 Vs 4H (9.1) dove F0 è la frequenza fondamentale, T0 è il periodo fondamentale, Vs è la velocità di propagazione delle onde di taglio ed H è lo spessore del deposito. Le frequenze calcolate nei suddetti punti sono riportate in tabella 9.1 e sono state confrontate con i valori di picco di frequenze avuti tramite le modellazioni monodimensionali. 164 CAPITOLO 9 - Conclusioni FREQUENZA PUNTO DI PICCO DI FREQUENZA MISURA MONODIMENSIONALE (Hz) ST10A 6,25 7,6 ST10B 8,3 9 ST10C 6,25 6,2 ST13A 10 10,4 ST13B 8,3 7,2 ST13C 8,3 7,4 ST15A 3,6 50 ST15B 3,6 35 ST15C 3,6 41 ST16A 12,5 13,6 ST16B 6,25 4,5 ST16C 2.8 2,4 ST23A 12,5 11,3 ST23B 8,3 6,5 ST23C 10 9,8 ST24A 8,3 8,4 ST24B 6,3 6 ST24C 10 9,8 ST25A 12,5 10,1 ST25B 10 8,6 ST25C 6 18,7 CALCOLATA CON BARD (Hz) Tab. 9.1 - Confronto tra le frequenze calcolate con il ProShake 1.1 e quelle calcolate con la formula semplificata di Bard Come si può notare dalla tabella, le frequenze calcolate con entrambi i metodi mostrano una corrispondenza abbastanza buona. I valori più bassi si hanno in corrispondenza dei punti in cui il substrato sismico è più profondo. 165 CAPITOLO 9 - Conclusioni Le differenze, anche sostanziali, esistenti tra i valori calcolati con la formula di Bard e i valori calcolati con il Proshake, in corrispondenza dei medesimi punti di misura, sono da attribuire alla presenza di un substrato più superficiale e velocità della copertura maggiori, i due parametri che la formula di Bard prende in considerazione e che fanno sì che i risultati delle frequenze fondamentali siano così elevati. Questa differenza sta a significare, anche, che, avendo il terreno una frequenza fondamentale così elevata e registrando, invece, un’amplificazione dello stesso terreno, a seguito di un terremoto, su frequenze molto più basse, non ci si aspettano conseguenze in quest’area. Allo scopo di mettere in evidenza il ruolo basilare svolto dallo spessore della copertura, è stato eseguito un confronto tra gli spettri di risposta calcolati in corrispondenza dei punti di modellazione ubicati sulla stesa sismica ST16, considerando, per ciascun punto, un differente valore di spessore della copertura (fig. 9.1 – 9.2 – 9.3). Fig. 9.1 – Spettri di risposta calcolati nel punto di misura ST16A per differenti valori dello spessore della copertura (in rosso il valore reale) 166 CAPITOLO 9 - Conclusioni Fig. 9.2 – Spettri di risposta calcolati nel punto di misura ST16B per differenti valori dello spessore della copertura (in rosso il valore reale) Fig. 9.3 – Spettri di risposta calcolati nel punto di misura ST16C per differenti valori dello spessore della copertura (in verde il valore reale) 167 CAPITOLO 9 - Conclusioni Osservando le figure precedenti, mostranti gli spettri calcolati, si nota facilmente che approfondendosi il substrato sismico lo spettro registrato viene traslato verso frequenze gradualmente minori e, in più, a partire da spessori di circa 50 m lo spettro si abbassa verso valori di PSA inferiori. Particolare attenzione va posta, anche, sugli spettri i cui andamenti abbracciano un range di frequenze più ampio, sviluppando, per questo motivo, una situazione di maggior rischio. Il confronto con gli spettri di risposta relativi al terreno di appartenenza ottenuti tramite il calcolo del Vs30 mettono in evidenza come questo metodo di stima del rischio sismico non sia completamente attendibile in quanto prende in considerazione solo i primi 30 m di terreno, non valutando ciò che può succedere anche nella parte sottostante. Questo si può osservare più in particolare esaminando gli spettri illustrati in figura 9.4. Fig. 9.4 – Spettri di risposta calcolati per differenti valori di velocità e di spessore della copertura, confrontati con lo spettro di normativa 168 CAPITOLO 9 - Conclusioni Dalla figura si può osservare che aumentando lo spessore della copertura e variando la sua velocità gli spettri di risposta ricadono all’interno della finestra considerata pericolosa dallo spettro di normativa, sottostimando quindi la risposta sismica locale, proprio perché con il calcolo del Vs30 non si riesce a valutare il contributo di ciò che si trova oltre i primi 30 metri. In conclusione, per una buona valutazione della risposta sismica ed anche in campo progettuale è importante prendere in considerazione diversi parametri, non fermandosi alla sola interpretazione dei risultati ottenuti tramite calcoli o modellazioni, ma valutando anche quei fattori che, già ad una prima analisi approssimativa, possono fornire indicazioni in merito alla risposta sismica locale. Sulla base dei risultati acquisiti dalle modellazioni, e conseguentemente, dei valori di fattore di amplificazione calcolati (capitolo 8), è stata realizzata una carta della distribuzione areale dei fattori di amplificazione con periodo compreso tra 0.1 e 0.5 sec. Fig. 9.4 – Carta della distribuzione areale dei fattori di amplificazione con periodo compreso tra 0,1 e 0,5 sec nel centro abitato di Fivizzano (zona ospedale) 169 CAPITOLO 9 - Conclusioni In figura 9.4 si può osservare come le aree in cui lo spessore della copertura è maggiore presentino un valore del fattore di amplificazione più elevato rispetto al settore in cui il substrato è più superficiale, come succede nella zona occupata dall’ospedale. Questo aspetto è imputabile anche alla presenza, nelle aree con maggiore amplificazione, di un contrasto di impedenza e di velocità più alto se paragonato alle zone circostanti. In conclusione, grazie allo studio effettuato in questo lavoro di tesi, è possibile affermare che: x la valutazione della risposta sismica locale necessita di un’accurata ricostruzione del modello geologico del sottosuolo tramite l’utilizzo di informazioni geologiche di superficie e di indagini geognostiche e geofisiche; x la scelta dei parametri di input per le modellazioni monodimensionali deriva da una buona conoscenza delle caratteristiche fisico-meccaniche dei litotipi investigati; x i risultati delle modellazioni monodimensionali evidenziano come esse siano influenzate dallo spessore della coltre sismica e dai contrasti di impedenza sismica; x gli spettri calcolati con differenti valori dello spessore della copertura sottolineano il contributo determinante di quest’ultimo nella valutazione della risposta sismica locale amplificando gli effetti in modo considerevole. 170 Bibliografia AA. VV. (1987) – Progetto Terremoto in Garfagnana e Lunigiana. Consiglio Nazionale delle Ricerche (GNDT) e Regione Toscana. Edizioni “La Mandragora”, Firenze. AA.VV. (2000) – Valutazione degli effetti locali, Programma VEL – Istruzioni tecniche per le indagini geologico-tecniche, le indagini geofisiche e geotecniche, statiche e dinamiche finalizzate alla valutazione degli effetti locali nei comuni classificati sismici. “Progetto Terremoto” in Garfagnana e Lunigiana, atto di programmazione negoziata tra regione Toscana e Dipartimento della Protezione Civile. REGIONE TOSCANA, Dip.To delle Politiche Territoriali ed Ambientali, U.O.C. Rischio Sismico, Firenze. Aki K. (1988) – Local site effects on strong ground motion. Earthquake Engineering and Soil Dynamics II: Recent Advances in Ground motion evaluation. J.L. Von Thun (Ed.), Park City, Utah, ASCE, Geotechnical Special Publication, n° 20. Bard P.Y. & Bouchon M. (1985) – The two-dimensional resonance of sedimentfilled valleys. Bull. Seism. Soc. Of America, Vol. 75. Bard P.Y. & Gabriel J.C. 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