UNIVERSITA` DEGLI STUDI “G. d`ANNUNZIO

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UNIVERSITA` DEGLI STUDI “G. d`ANNUNZIO
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “G. d’ANNUNZIO”
CHIETI - PESCARA
Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali
Corso di Laurea Specialistica in Scienze Geologiche Applicate
all’Ingegneria e alla Pianificazione Territoriale
Tesi di laurea sperimentale di II livello in Esplorazione geologica del
sottosuolo e Geofisica applicata
APPLICAZIONE DI TECNICHE GEOGNOSTICHE
INTEGRATE PER L’ESPLORAZIONE DEL
SOTTOSUOLO PER LA RISOLUZIONE DI
PROBLEMATICHE GEOLOGICHE (S.L.) IN AREE
SISMOLOGICAMENTE ATTIVE:
IL CASO DELL’OSPEDALE DI FIVIZZANO
Relatore:
Prof. Patrizio Signanini
Correlatore:
Prof. Mario L. Rainone
Anno Accademico 2007/2008
Laureanda:
Serena Scarano
(matr. 3061748)
Indice
INTRODUZIONE
pag. 1
1. IL RISCHIO SISMICO E LE SUE COMPONENTI
pag. 5
1.1 ESPOSIZIONE
pag. 9
1.2 VULNERABILITA’
pag. 9
1.3 PERICOLOSITA’ SISMICA
pag.11
1.4 PERICOLOSITA’ INDOTTA
pag.12
2. MICROZONAZIONE SISMICA
2.1 METODI SPEDITIVI
2.1.1 METODO BASATO SU CRITERI LITOTECNICI E SCENARI DI
pag. 14
pag. 16
pag. 16
PERICOLOSITA’
2.1.2 INDIVIDUAZIONE SPEDITIVA DI EFFETTI DI SITO DA DATI
pag. 19
MACROSISMICI
2.2 METODI SEMPLIFICATI
pag. 23
2.2.1 METODO MEDVEDEV
pag. 23
2.2.2 METODO BROILI
pag. 25
2.2.3 METODO DEI MICROTREMORI DI KANAI E TANAKA (1961)
pag. 25
2.2.4 METODO DI NAKAMURA (1989)
pag. 29
2.3 METODI ANALITICI
2.3.1 PROGRAMMA PROSHAKE 1.1
3. METODOLOGIE DI ESPLORAZIONE GEOLOGICA DEL
pag. 34
pag. 35
pag. 38
SOTTOSUOLO
3.1 ONDE SISMICHE
3.1.1 GEOMETRIA DEI RAGGI SISMICI
3.2 INDAGINI INDIRETTE
pag. 39
pag. 41
pag. 44
I
Indice
3.2.1 SISMICA A RIFRAZIONE
pag. 44
3.2.2 SISMICA A RIFLESSIONE
pag. 50
3.2.3 METODOLOGIA DOWN-HOLE
pag. 53
3.3 INDAGINI DIRETTE
pag. 62
3.3.1 INDAGINI IN SITO
pag. 63
3.3.1.1 Sondaggi geognostici
pag. 64
3.3.1.2 Prove penetrometriche dinamiche
pag. 65
4. MODULI ELASTO-DINAMICI
4.1 VELOCITA’ NEI MEZZI POROSI
pag. 67
pag. 68
4.1.1 EFFETTO DELLA POROSITA’
pag. 68
4.1.2 EFFETTO DELLA SATURAZIONE
pag. 69
4.1.3 INFLUENZA DELLA PRESSIONE
pag. 70
4.1.4 EFFETTO DELLA TEMPERATURA
pag. 73
4.1.5 IL MODELLO DI WYLLIE
pag. 73
4.1.6 COMPORTAMENTI ANOMALI RIGUARDANTI LA VELOCITA’
pag. 75
4.2 MODULI ELASTICI
pag. 76
4.2.1 MODULO DI YOUNG
pag. 76
4.2.2 COEFFICIENTE DI POISSON
pag. 77
4.2.3 MODULO DI RIGIDITA’
pag. 78
4.2.4 MODULO DI BULK
pag. 78
4.2.5 RAPPORTO VP/VS
pag. 78
5. RICOSTRUZIONE DEL CAMPO MACROSISMICO
DELLA TOSCANA SETTENTRIONALE
5.1 EFFETTI DEL TERREMOTO
pag. 80
pag. 83
5.2 ANALISI DEL DATO MACROSISMICO DISAGGREGATO NEL
COMUNE DI FIVIZZANO
pag. 87
6. CARATTERISTICHE GEOLOGICHE DEL COMUNE DI
FIVIZZANO (MS)
6.1 EVOLUZIONE GEOLOGICO-STRUTTURALE
pag. 96
pag. 96
II
Indice
DELL’APPENNINO NORD-OCCIDENTALE
6.2 INQUADRAMENTO GEOGRAFICO DEL COMUNE DI
FIVIZZANO
pag.100
6.3 CARATTERISTICHE GEOLOGICHE E GEOMORFOLOGICHE
DEL COMUNE DI FIVIZZANO
pag.101
7. L’ESPLORAZIONE DEL SOTTOSUOLO NEL COMUNE
DI FIVIZZANO
pag.111
7.1 INDAGINI GEOGNOSTICHE
pag.113
7.2 INDAGINI SISMICHE IN FORO
pag.120
7.3 INDAGINI SISMICHE A RIFRAZIONE
pag.128
7.4 INDAGINI SISMICHE A RIFLESSIONE
pag.137
7.5 CARTA DELLE ISOPACHE DELLA COPERTURA SISMICA
pag.140
7.6 CORRELAZIONI TRA I MODULI ELASTO-DINAMICI
pag.141
8. MODELLAZIONI MONODIMENSIONALI DINAMICHE
pag.144
8.1 PROSHAKE 1.1
pag.146
8.2 RISULTATI DELLE MODELLAZIONI MONODIMENSIONALI
pag.151
9. CONCLUSIONI
pag.162
BIBLIOGRAFIA
pag.171
III
Introduzione
INTRODUZIONE
La valutazione della pericolosità sismica locale è una tematica di attuale
interesse, alla luce delle recenti sciagure di natura sismica che hanno afflitto il nostro
Paese ed in cui è stato palese l’intervento di cause locali nella determinazione delle
amplificazioni al suolo.
Molteplici sono stati, nel corso degli ultimi decenni, gli approcci metodologici
seguiti dalla Comunità Scientifica, al fine di valutare l’entità della risposta sismica
locale. Nell’ambito di studi di microzonazione sismica, infatti, il problema della
valutazione dell’amplificazione locale può essere affrontato secondo metodi diversi
(qualitativi, semplificati, quantitativi).
Le notevoli eterogeneità e complessità di tale problematica implicano
necessariamente un approccio multidisciplinare, che preveda la partecipazione di
diverse professionalità scientifiche, nell’ambito di studi congiunti. Il tentativo del
presente lavoro è di definire, nell’ambito di tali studi, quale può essere l’apporto del
geologo applicato.
A prescindere dalla metodologia utilizzata, è fondamentale acquisire una buona
conoscenza del modello geologico s.l. del sito d’interesse, col duplice fine di definire
le caratteristiche geometriche e fisico-meccaniche dei litotipi indagati e di
individuare i parametri da utilizzare come dati di input nelle modellazioni numeriche,
in grado di simulare, attraverso modelli più o meno semplificati, l’entità del moto
sismico in superficie e sui manufatti presenti.
La metodologia quantitativa utilizzata in quest’ambito si riferisce alle modalità
operative adottate dal Programma VEL (Valutazione degli Effetti Locali) istituito
nelle aree sismicamente attive della Regione Toscana e che si colloca nell’ambito
della L.R. 30.07.1997 N 56 “Interventi sperimentali per la riduzione del rischio
sismico”.
Il Programma VEL è stato avviato fin dal 1998 nelle aree della Lunigiana e
Garfagnana dove è stata sperimentata e messa a punto la metodologia per poi
estenderla negli anni successivi alle altre aree a maggior rischio sismico della
1
Introduzione
Toscana (Mugello, Casentino, Valtiberina e Amiata). Le indagini ed i rilievi sono
stati concentrati nei centri urbani più significativi in termini di esposizione al rischio
sismico ed in corrispondenza degli edifici pubblici strategici e rilevanti indicati dagli
enti locali.
Lo scopo dell’indagine è di caratterizzare all'interno di ambiti territoriali a scala
subcomunale (frazioni e centri), quelle aree a comportamento omogeneo sotto il
profilo della risposta sismica locale in corrispondenza di un terremoto atteso, e
definire i possibili effetti sui principali centri urbani (con particolare attenzione agli
edifici strategici e rilevanti), sulle reti di servizio, sulle infrastrutture di
comunicazione e sugli insediamenti produttivi in modo da poter fornire agli enti
locali informazioni e parametri utili alla progettazione edilizia e pianificazione
urbanistica.
Le finalità del programma regionale VEL, possono essere così riassunte:
1) individuare le aree a comportamento omogeneo sotto il profilo della risposta
sismica locale in relazione ad un sisma atteso per l’area (terremoto di progetto),
all'interno di ambiti territoriali a scala comunale (capoluoghi e frazioni);
2) definire i possibili effetti locali sui principali centri urbani e sulle
infrastrutture, gli scenari di rischio sismico basati su informazioni di maggior
dettaglio e valutazioni di rischio sismico a scala territoriale ed urbana;
3) fornire agli enti locali ed ai professionisti i possibili incrementi dei parametri
progettuali previsti dalla normativa sismica e gli strumenti operativi per redigere
norme tecniche da adottare in sede di pianificazione territoriale, di formazione degli
strumenti urbanistici comunali con particolare riferimento ai piani di recupero;
4) realizzare una banca dati regionale/locale, di tipo geologico e geotecnico ed
un progetto di cartografia regionale/locale georeferenziata, ai fini VEL.
2
Introduzione
Fig.1 - I tre livelli di rischio non nullo elaborati dal
GNDT/CNR nei principali centri abitati della Garfagnana e
della Lunigiana
Gli elementi ed i parametri necessari per la definizione del modello di analisi di
amplificazione sono:
-
la conoscenza della geologia sepolta (spessori delle unità geologichotecniche e andamento dei relativi contatti);
-
la definizione delle velocità delle onde di taglio SH;
-
la determinazione del coefficiente di Poisson, della curva di decadimento,
del modulo di taglio (G/G0) e dell’incremento dello smorzamento al
crescere della deformazione.
I risultati dell’analisi VEL consistono in una serie di informazioni da utilizzare
sia nella fase di pianificazione urbanistica (carte geologiche, geomorfologiche,
litologico-tecniche, delle zone a maggiore pericolosità sismica locale, dati geotecnici
ottenuti da prove in situ e di laboratorio), sia in fase progettuale che per il
miglioramento ed adeguamento sismico degli edifici (spettri di risposta e fattori di
amplificazione ottenuti da analisi di modellazione numerica).
3
Introduzione
Il presente lavoro è stato suddiviso in due sezioni: la prima è relativa ai primi
quattro capitoli, attraverso i quali viene offerta una panoramica sulle principali
tematiche su cui si basa uno studio di valutazione degli effetti locali (definizione del
rischio sismico e delle sue componenti, concetto di effetto locale, indagini geofisiche
e geotecniche in campo dinamico, definizione dei principali metodi di
microzonazione sismica presenti nella letteratura specializzata).
La seconda parte (inerente gli ultimi quattro capitoli) illustra un esempio di
valutazione della risposta sismica nel centro abitato di Fivizzano (MS).
La scelta di questo sito è dettata principalmente dall’analisi del dato
macrosismico disaggregato relativo al terremoto del settembre 1920 (il maggiore
evento sismico verificatosi negli ultimi secoli nella Toscana settentrionale) che
indica, qualitativamente, la probabile presenza di amplificazioni locali nell’area del
centro storico di Fivizzano. Partendo da queste considerazioni si è resa necessaria
l’esigenza di tentare di definire quantitativamente l’entità di tali effetti locali.
4
CAPITOLO 1 - Il rischio sismico e le sue componenti
CAPITOLO 1
1.
IL RISCHIO SISMICO E LE SUE COMPONENTI
Il rischio sismico può essere definito, in prima approssimazione, come una delle
componenti fondamentali in cui è possibile distinguere il rischio geologico.
Esso, inteso nella sua accezione più generale, comprende il valore atteso relativo a
perdite umane, feriti, danni alle proprietà e perturbazioni alle attività economiche
dovuti ad un particolare fenomeno naturale (Canuti & Casagli, 1994).
Pertanto va differenziato (fig. 1.1), in una fase iniziale, in base alle caratteristiche
del fenomeno naturale che lo determina e che può derivare dalla manifestazione di
forze endogene (rischio da subsidenza, vulcanico o sismico) o dall’interazione tra la
componente geologica caratterizzante l’area ed i vari processi che si esplicano in
ambiente esogeno (rischio da valanghe e rischio idrogeologico s.l.).
Rischio sismico
PROCESSI
ENDOGENI
RISCHIO
GEOLOGICO
Rischio vulcanico
Rischio da subsidenza
PROCESSI
ESOGENI
Rischio da valanghe
Rischio idrogeologico s.l.
diretto
Rischio da
esondazione
Rischio per erosione
costiera
indiretto
Rischio da frane
Rischio per
inquinamento
della falda
Rischio per fenomeni
di erosione accelerata
Fig. 1.1 - Suddivisione del rischio geologico nelle
sue componenti
Tra le calamità naturali i terremoti occupano un posto rilevante in fatto di danni e
vittime procurate alla comunità.
Per la difesa dai terremoti è opportuno impostare un’efficace strategia
d’intervento che deve seguire due linee principali:
- valutazione dei provvedimenti e dei livelli di protezione da assumere;
- fornitura degli elementi atti a predisporre l’intervento durante la fase d’emergenza
post-terremoto e la determinazione dei parametri di pianificazione della ricostruzione,
5
CAPITOLO 1 - Il rischio sismico e le sue componenti
qualora l’analisi costi-benefici non induca a non adottare la protezione assoluta, cioè
livelli di protezione tali da non poter escludere il verificarsi di danni al seguito del
massimo terremoto possibile (terremoto di progetto) nell’area in esame. Premessa
indispensabile per approntare tale strategia è un’accurata stima del rischio sismico.
Alla definizione di rischio sismico di un sito concorrono, quindi, diversi parametri
non omogenei, di natura fisica ed economica. Ai primi appartengono quelli relativi
alla sorgente sismica, alla propagazione della perturbazione dalla sorgente al sito, ai
processi d’amplificazione del segnale nella parte terminale del percorso; a questi si
aggiungono le tipologie e la vulnerabilità (esprimibile come attitudine a subire danno)
delle opere antropiche presenti nell’area ed il parametro economico che è associato
all’entità del valore esposto, associato ai beni immobili e alle vittime potenziali.
Con il termine rischio sismico si definisce la probabilità d’occorrenza ed il
relativo grado di severità, in un determinato intervallo di tempo, dell’insieme dei
possibili effetti producibili da un terremoto sulla comunità esposta alla
manifestazione del fenomeno sismico, misurabili come danni attesi.
Tali danni sono principalmente imputabili a tre fattori:
1) Livello di sollecitazioni;
2) Caratteristiche di resistenza dei manufatti;
3) Fenomeni indotti.
Pertanto, in base a queste considerazioni, il danno atteso e quindi il rischio
sismico di un’area può essere definito in base alla seguente relazione:
R
f (V, E, P)
(1.1)
dove R è il rischio sismico, V la vulnerabilità E l’esposizione al rischio e P la
pericolosità sismica.
6
CAPITOLO 1 - Il rischio sismico e le sue componenti
EFFETTI PRIMARI
Danni alle persone (morti,
invalidi, feriti)
O agli edifici ed ai
Danni
beni in essi contenuti
Danni alle infrastrutture a
rete
Modificazioni
dell’ambiente fisico
EFFETTI DI ORDINE
SUPERIORE
EFFETTI SECONDARI
Perdita dell’abitazione
Cessazione o rallentamento
dell’attività produttiva
Disfunzione nell’erogazione
dei servizi
Comunità che ha subito
l’evento e dello stato, per le
operazioni di emergenza e
ricostruzione
Conseguenze psicologiche di
tipo traumatico
Disoccupazione
Mancate entrate familiari
Modifiche nell’andamento
demografico
Modificazioni del modo di
vivere delle famiglie e della
società
Esaurimento delle “risorse”
della comunità
Modificazioni del sistema
produttivo
Capitali “distolti” da altri
investimenti, per progetti di
emergenza e ricostruzione
Oneri finanziari degli
interventi
Tab. 1.1 – Principali danni ed effetti provocati da un fenomeno sismico
sulla comunità esposta al rischio.
Ognuno di questi parametri è suddivisibile in altri termini costitutivi e dal
contributo di ognuno di essi è possibile definire, quindi, il rischio sismico. In figura
1.2 è illustrato uno schema di massima sull’interazione tra il rischio e le sue
componenti.
7
ATTIVITA’ ECONOMICHE
- agricola
- industriale
- commerciale
- direzionale
ELEMENTI FISICI
- patrimonio edilizio
- attrzzature d’uso
collettivo
- reti infrastrutturali
- patrimonio produttivo
POPOLAZIONE
INSEDIATA
- distribuzione
- struttura della
popolazione
- condizioni socioeconomiche delle
famiglie
ELEMENTI
Sistemi di
relazioni
Componenti
interessate al
ciclo produttivo
Caratteristiche
strutturali, storicoarchitettoniche
Modalità, intensità,
frequenza d’uso,
caratteristiche e
ruolo strategico
Livello di preparazione e
capacità di adattamento
Individui, famiglie,
gruppi sociali “esposti”
PARAMETRI
DESCRITTIVI
VULNERABILITA’
DIFFERITA
VULNERABILITA’
INDOTTA
VULNERABILITA’
DIRETTA
VULNERABILITA’
RISCHIO DI ORDINE
SUPERIORE
RISCHIO SECONDARIO
RISCHIO PRIMARIO
ALLUVIONI
INCENDI,
ESPLOSIONI
FRANE
PERICOLOSITA’
INDOTTA
REPLICHE
CARATTERISTICHE
GEOLOGICHE
LOCALI
CARATTERISTICHE
SPAZIO-TEMPORALI
DELL’EVENTO DI
PROGETTO
- magnitudo,
accelerazione e
forma spettrale
- posizione epicentro
- curve di attenuazione
- periodo di ritorno
PERICOLOSITA’
SISMICA
CAPITOLO 1 - Il rischio sismico e le sue componenti
Fig. 1.2 – Diagramma di
flusso
in
cui
sono
evidenziate le relazioni tra
il rischio sismico ed i suoi
parametri
costituenti.
Tratto da AA.VV., 1987
8
CAPITOLO 1 - Il rischio sismico e le sue componenti
1.1
ESPOSIZIONE
Lo studio della comunità esposta al rischio si articola in due fasi:
- analisi dell’esposizione;
- valutazione della vulnerabilità.
Lo studio dell’esposizione consiste nell’analisi finalizzata all’individuazione, in
termini qualitativi e quantitativi, degli elementi componenti la realtà territoriale e/o
urbana, il cui stato, comportamento e sviluppo può venire alterato dall’evento
sismico.
Pertanto tali componenti vengono definite attraverso parametri ed indicatori
capaci di descrivere le modificazioni prefigurabili che essi subiscono nei tre momenti
fondamentali in cui si può articolare il fenomeno terremoto: l’evento, l’emergenza e
la ricostruzione.
Nel diagramma in figura 1.2 vengono sinteticamente riportati gli elementi e le
caratteristiche degli stessi da sottoporre all’analisi: il sistema insediativo, la
popolazione e le attività. Vengono altresì evidenziate le finalità e le uscite che
l’analisi così indirizzata consente di ottenere.
1.2 VULNERABILITA’
La vulnerabilità descrive la propensione di persone, beni o attività a subire danni
o modificazioni al verificarsi dell’evento sismico; può essere intesa come una misura
sia della perdita o della riduzione di efficienza sia della capacità residua a svolgere e
ad assicurare le funzioni che il sistema territoriale nel suo complesso normalmente
esplica in condizioni di regime.
In quest’ottica il problema si pone nei termini di individuare non solo i singoli
elementi che possono collassare sotto l’impatto del sisma, ma di individuare e
quantificare gli effetti che il loro collasso determina sul funzionamento del sistema
9
CAPITOLO 1 - Il rischio sismico e le sue componenti
territoriale, verificandoli rispetto ai tre momenti in cui si è articolato il fenomeno
terremoto. Nel diagramma di flusso, riportato in figura 1.2, vengono riportate le
componenti che concorrono alla definizione del concetto di vulnerabilità, distinte in:
x Vulnerabilità diretta: definita in rapporto alla propensione del singolo elemento
fisico a subire il collasso (ad esempio vulnerabilità di un singolo edificio, viadotto,
etc..);
x Vulnerabilità indotta: definita in rapporto agli effetti di crisi dell’organizzazione
del territorio generati dal collasso di uno o più elementi fisici (ad esempio, crisi del
sistema della mobilità indotto dall’ostruzione di una strada);
x Vulnerabilità differita: definita in rapporto agli effetti che si manifestano nelle fasi
successive all’evento e alla prima emergenza e tali da modificare con il
comportamento delle popolazioni insediate (ad esempio il disagio prodotto
dall’utilizzo di scuole come alloggio temporaneo o il disagio conseguente alla
riduzione della base occupazionale per il collasso di stabilimenti industriali o altro).
La procedura per la valutazione della vulnerabilità sismica (vulnerabilità diretta)
degli edifici in muratura, attualmente utilizzata dal Gruppo Nazionale per la Difesa
dai Terremoti, deriva da una proposta formulata nel 1983 (Benedetti e Petrini, 1984);
essa si basa sull'analisi di una serie di informazioni sulle caratteristiche degli elementi
costitutivi dell'edificio che vengono raccolte tramite schede. Nella sua prima
formulazione, la scheda di vulnerabilità è stata utilizzata dalla Regione Toscana nel
1983: essa è stata, successivamente più volte modificata nel corso degli anni, fino ad
assumere la sua forma attuale.
10
CAPITOLO 1 - Il rischio sismico e le sue componenti
1.3 PERICOLOSITA’ SISMICA
La pericolosità sismica (seismic hazard) è rappresentata dalle caratteristiche
fisiche dell’evento tellurico e la si può distinguere in tre aspetti principali:
1. Caratteristiche spazio-temporali dell’evento di progetto: s’intende il tipo di
sorgente, la localizzazione della zona di origine del terremoto, l’energia che essa può
produrre e quindi la dimensione dell’area interessata da uno scuotimento significativo
(cioè tale da produrre danni ai manufatti presenti), l’intervallo di tempo che in media
separa un evento dal successivo (pericolosità sismica di base). Sono conoscenze che
si acquisiscono tramite lo studio di terremoti già avvenuti e con indagini di tipo
sismogenetico, vale a dire con l’identificazione e la catalogazione di zone
sismicamente attive, nell’ambito di studi tendenti a stabilire la situazione dinamica di
porzioni di sottosuolo profonde anche parecchi chilometri (macrozonazione sismica);
2. Caratteristiche geologiche locali: gli effetti di un terremoto possono variare
sensibilmente da zona a zona, anche a distanza di poche decine di metri (pericolosità
sismica locale); una descrizione dettagliata della geologia locale e della morfologia
della zona, corredata da prove geofisiche e geotecniche tendenti a stabilire le
proprietà fisico-meccaniche dei diversi litotipi, permette di valutare le diversità in
risposta sismica. Queste indagini sono generalmente note con il nome di
“microzonazione sismica”;
3. Repliche: ogni terremoto è seguito da una serie più o meno lunga di altri
terremoti, in genere di intensità molto inferiore; spesso, in sede progettuale, le
repliche vengono trascurate. Esse sono invece importanti sia perché in alcuni casi
(Ancona 1972; Friuli 1976) raggiungono valori di intensità pari o maggiore della
prima scossa, intralciando non poco il processo di ricostruzione, sia perché
contribuiscono a tenere in uno stato d’ansia e di incertezza popolazioni già duramente
provate.
11
CAPITOLO 1 - Il rischio sismico e le sue componenti
RISCHIO SISMICO = PERICOLOSITA’ x VULNERABILITA’ x ESPOSIZIONE
PERICOLOSITA’ SISMICA DI BASE
Caratteristiche del sito
Caratteristiche del
terremoto alla
sorgente ed al bedrock
PERICOLOSITA’ SISMICA LOCALE
Fig. 1.3 – Relazione intercorrente tra pericolosità sismica locale e pericolosità
sismica di base o regionale
La differenza sostanziale intercorrente tra le informazioni deducibili dalla stima della
pericolosità sismica di base o regionale e la pericolosità locale (fig 1.3) consta nel
fatto che, mentre la prima può fornire informazioni relative alle caratteristiche del
moto sismico al bedrock, la seconda tenta di definire le modalità di distribuzione del
treno di onde sismiche nel percorso tra substrato sismico e superficie (fig. 1.3).
1.4 PERICOLOSITA’ INDOTTA
E’ importante ricordare, inoltre, che la dinamica del terremoto può innescare
condizioni di pericolosità indotta, quali:
x Attivazione di fenomeni franosi di neoformazione o accelerazione di processi
gravitativi già in atto (un caso drammatico di questa situazione si verificò nel centro
abitato di Calitri, in Irpinia, dopo il terremoto del 23 novembre 1980);
x Alluvionamento di bacini artificiali a seguito di cedimenti di dighe o di
riempimento degli invasi a causa di franamenti;
x Incendi dovuti a fughe di gas per danneggiamenti alle condutture o a causa di
cortocircuiti (durante il terremoto di San Francisco del 1906 l’incendio sviluppatosi
dopo il sisma recò più danni del terremoto stesso).
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CAPITOLO 1 - Il rischio sismico e le sue componenti
I terremoti sono sicuramente una causa importante di attivazione diretta o indiretta
di movimenti gravitativi; durante un evento sismico si registrano degli incrementi
delle sollecitazioni destabilizzanti (Canuti & Casagli, 1994) dati dall’applicazione di
una forza transitoria:
F=K ˜ W
(1.5)
dove K è l’accelerazione sismica prodotta e W la massa spostata.
Come rilevato da Ambraseys (1977), poi confermato da D’Elia et alii (1985) e da
Cotecchia et alii (1986), in base ad osservazioni registrate durante gli eventi sismici
del Friuli e dell’Irpinia, la corrispondenza diretta tra frana e sisma si ha solo nel caso
di pendii poco estesi, di lunghezza inferiore ai 30 metri, ed in materiali particolari
(Hutchinson, 1987). Essendo la lunghezza d’onda di un terremoto dell’ordine della
decina di metri, nel caso di pendii ben più estesi la destabilizzazione diretta verso
l’esterno del versante viene bilanciata dall’effetto stabilizzante, diretto in direzione
opposta, dovuta al treno d’onde successivo. Un’altra conseguenza diretta è data dai
fenomeni di liquefazione su terreni granulari saturi, in seguito a fenomeni di
densificazione generati dal terremoto. Viene così a determinarsi un considerevole
aumento delle pressioni interstiziali nel terreno, il quale, oltre un valore definito
critico, tende a perdere la resistenza al taglio e ad acquisire un comportamento fluido,
con evidente collasso delle strutture su esso ubicate.
Fenomeni indiretti possono ravvisarsi nella riattivazione di frane su terreni aventi
comportamento coesivo; il loro verificarsi, generalmente, si presenta traslato da un
punto di vista temporale rispetto all’evento sismico, poiché, come verificato da prove
di taglio torsionale (Lemos et alii, 1985; Sassa, 1992) i materiali coesivi tendono a
diminuire la loro resistenza al taglio residua, solo dopo un valore di picco iniziale.
E’ d’obbligo però il concetto che le ripercussioni di un sisma in una certa area,
compresi fenomeni diretti o indiretti in termini di stabilità dei versanti non è funzione
solo dei parametri propriamente fisici del terremoto, bensì diretta conseguenza
dell’interazione tra questi ultimi e le condizioni geologiche locali (litologia, assetto
strutturale, geomorfologico e idrogeologico) della zona d’esame.
13
CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica
CAPITOLO 2
2.
MICROZONAZIONE SISMICA
I metodi dedicati alla valutazione della distribuzione degli effetti locali a scala
comunale o sub-comunale, ovvero all’individuazione di aree a comportamento
omogeneo sotto il profilo della risposta sismica locale in corrispondenza di un
terremoto atteso, rientrano nell’ambito della definizione della pericolosità sismica
locale e vengono definiti metodi di microzonazione sismica o microzoning.
In diversi eventi sismici accaduti, sono state rilevate distruzioni molto
differenziate anche in aree limitrofe la cui spiegazione appare difficoltosa. In
particolare il problema si pone per quegli effetti definibili “a macchia di leopardo”
(D’Intinosante et alii, 2000), come i fenomeni di liquefazione rilevati nell’area
friulana durante la crisi sismica del 1976, a Salonicco (Grecia) nel 1978, a Fabriano
nella crisi sismica del 1997 che ha colpito l’area umbro-marchigiana in Italia
Centrale. In letteratura, del resto, sono citati moltissimi casi di forte differenziazione
degli effetti locali a distanza molto ravvicinata.
I fattori che possono influenzare la distribuzione della pericolosità locale a scala
di dettaglio sono:
a)
Fattori geologici e geotecnici, cioè morfologia superficiale e sepolta,
caratteristiche geolitologiche, geomorfologiche, idrogeologiche e fisico-meccaniche
dei terreni;
b)
Fattori sismologici (dati storici e strumentali). Lo studio dei dati storici ci porta
alla conoscenza della data del terremoto e degli effetti macrosismici rilevati
dall’analisi della distribuzione dei danni, mentre la possibilità di registrare parametri
strumentali ci permette di valutare, a seconda delle strumentazioni utilizzate:
meccanismi focali e contenuto spettrale della vibrazione in fase di input, magnitudo e
livelli di stress dinamico cui è soggetto il mezzo di propagazione, direzione di arrivo
della sollecitazione e sua durata, profondità ipocentrale, tipo di percorso seguito dalle
onde sismiche ed infine caratteristiche elastiche del mezzo.
14
CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica
Le informazioni strumentali sono molto dettagliate, ma la loro fruizione è
possibile da pochi anni, mentre lo studio delle caratteristiche macrosismiche offre dati
più imprecisi e qualitativi, i quali coprono però lassi più lunghi. Un grande tema dello
studio della pericolosità sismica è, infatti, il tentativo di correlazione tra dati storici e
strumentali, per unire la maggiore significatività dei primi al maggior dettaglio e
scientificità statistica degli ultimi.
Anche la microzonazione sismica, quindi, come tutto il settore delle discipline che
si occupano della definizione del rischio sismico e dei suoi parametri costitutivi, è
un’attività di ricerca di tipo interdisciplinare, vista la vasta gamma di parametri da
tenere in considerazione. Ciò significa che solo dalla collaborazione di ingegneri,
geologi, geotecnici, sismologi e geofisici può scaturire un prodotto adeguato alle
richieste degli utilizzatori ultimi delle carte di rischio (Amministrazioni Pubbliche ed
i loro tecnici, gli urbanisti ed i progettisti). E’ importante capire come sia
fondamentale individuare gli scopi ultimi della ricerca scientifica sia nella
comprensione fisica della fenomenologia sismica e nella conoscenza della struttura
della Terra, ma anche nell’individuazione di quelle grandezze e parametri che sono
adatti alla valutazione della risposta locale e, quindi, delle perdite e dei danni attesi,
degli extracosti di programmazione, etc..
Negli anni precedenti, nell’esecuzione di stime per la determinazione della
pericolosità sismica locale, vi era (e forse esiste ancora) una tendenza a condurre la
ricerca in maniera settoriale. L’utilizzo di linguaggi estremamente esclusivi e una
sorta di incomunicabilità tra settori scientifici portava alla realizzazione di stime,
spesso incomplete e sottostimate, della risposta sismica locale.
Al giorno d’oggi esistono esempi di collaborazione e di ricerca multidisciplinare,
come ad esempio il Progetto VEL, istituito dalla Regione Toscana e dalla Protezione
Civile per l’individuazione, a livello comunale e sub-comunale, di aree ad omogenea
risposta sismica, che vede la collaborazione di diversi enti scientifici ed accademici
italiani.
Non esiste un’uniformità nella realizzazione e nell’esecuzione di metodi di
microzonazione sismica; essi possono essere ascritti, in prima istanza, in tre tipologie
fondamentali:
15
CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica
1)
Metodi speditivi (qualitativi): basati su stime qualitative che utilizzano, per una
valutazione degli effetti locali, informazioni esistenti sulle caratteristiche geologicogeomorfologiche e sulla distribuzione dei danni nell’area in esame;
2)
Metodi semplificati: metodi, cioè, basati su indagini e valutazioni quantitative
semplificate;
3)
Metodi analitici (quantitativi): basati principalmente su indagini di dettaglio
(definizione dell’intensità del fenomeno sismico previsto o di progetto, delle
geometrie del sottosuolo e dei parametri fisico-meccanici dei litotipi indagati) e
previsioni della distribuzione dei parametri “ground-motion” effettuate per mezzo di
modelli di analisi numerica, i cui parametri di input sono desunti attraverso le
indagini multidisciplinari effettuate nell’area di studio.
2.1
METODI SPEDITIVI
Le metodologie ascritte a questa categoria fanno ricorso al rilievo statistico della
distribuzione del danno sul territorio correlandolo alle conoscenze disponibili sulla
costituzione del sottosuolo.
2.1.1 METODO BASATO SU CRITERI LITOTECNICI E SCENARI DI
PERICOLOSITA’
Tale metodo si basa sull’individuazione, a partire da analisi geologiche e
geomorfologiche, di scenari di pericolosità sismica, cioè di aree in cui si possono
verificare, in base a considerazioni qualitative o in riferimento ad una casistica nota di
danni verificati, particolari condizioni di amplificazione del moto del suolo o
particolari effetti (cedimenti, deformazioni) legati alle scadenti caratteristiche fisicomeccaniche dei terreni.
A tale scopo per prima viene prodotta una carta litologico-tecnica, basata
sull’individuazione di unità litotecniche suddivise in due categorie distinte: substrato
16
CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica
e coperture. I criteri guida per l’inserimento dei litotipi nelle varie unità litotecniche
del substrato sono identificati dalla verifica (per ogni tipologia di terreno o materiale
litoide) di composizione, grado di fatturazione, cementazione e tipo di stratificazione.
La definizione delle unità litotecniche della copertura tiene conto di una
suddivisione genetica, che può essere rappresentata da detriti di falda, coltri eluviali,
depositi alluvionali e accumuli di frana.
Tale elaborato, insieme alla carta geomorfologica e geologico tecnica, viene
utilizzato per l’individuazione degli scenari di pericolosità sismica, a partire da una
casistica di “situazioni tipo” descritte in tabella 2.1. Gli scenari sono distinti in quattro
gruppi:
1. Categorie 01, 02, 03, 04, 05: comprendono tutte le possibili situazioni franose in
atto, potenziali per normale evoluzione del versante o indotte da fenomeni di
instabilità dinamica che possono verificarsi a seguito di un terremoto;
2. Categorie 06, 07: si considerano effetti di amplificazione sismica ascrivibili a
particolari condizioni di riflessioni multiple legate a morfologia accidentata;
3. Categorie 08, 09: i due scenari di pericolosità sono accumunati dall’affioramento
di depositi superficiali incoerenti, seppur in condizioni morfologiche diverse;
4. Categorie 10, 11, 12, 13, 14: quest’ultimo gruppo contempla effetti di
amplificazione-cedimento dovuti sia alle caratteristiche intrinseche delle diverse
litofacies sia alle condizioni geologiche, geomorfologiche e geotecniche del sito
indagato.
Tali scenari sono da intendersi come prima lettura in chiave sismica delle
informazioni contenute nella cartografia di base (geologica, geomorfologica e
litotecnica), ad uso di quanti intervengono nel problema della pianificazione.
Ciascuno scenario non corrisponde, dunque ad un livello di pericolosità stimabile in
maniera oggettiva, ma segnala soltanto la possibilità che, in caso di un terremoto, in
determinate aree sussistano particolari problematiche, la cui gravità può anche
superare il livello standard di pericolosità attesa nell’area.
17
CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica
Scenari di pericolosità sismica
01
02
I GRUPPO
03
04
05
II GRUPPO
06
07
08
III GRUPPO
09
10
11
12
IV GRUPPO
13
14
Zona caratterizzata da uno o più corpi di frana e da
marcata instabilità dei versanti
Zona esposta al pericolo di frane da crollo o distacco di
massi da parete o sottesa a possibili movimenti di massa
Zona di vecchia frana, ora quiescente, interessata da
dissesti superficiali e da erosioni laterali o al piede
Zona di versante, o di impluvio, con copertura detritica
eterogenea con spessore dell’ordine dei metri,
fortemente incisa o interessata da erosione al piede e da
circolazione d’acqua d’infiltrazione
Zona eccessivamente acclive in rapporto al tipo di
substrato roccioso, al suo stato fisico e dalle condizioni
di giacitura degli strati
Zona di ciglio prospiciente una parete a strapiombo
(scarpata rocciosa, bordo di cava, nicchia di distacco di
frana, orlo di terrazzo fluviale)
Zona di cresta rocciosa, di cocuzzolo o di dorsale
Zona di fondovalle di ridotta sezione trasversale, a
fianchi piuttosto ripidi, con presenza di alluvioni
incoerenti
Zona pedemontana-pedecollinare di falda di detrito o di
conoide di deiezione
Zona di terreni granulari fini, sciolti o a debole coesione,
interessati da una falda acquifera superficiale
Zona di brusca variazione litologica o di contatto tra
litotipi aventi caratteristiche fisico-meccaniche diverse
e/o interessata da faglie e fratture singole o associate
Zona con terreni di fondazione particolarmente scadenti
a cui si sommano caratteristiche idrogeologiche negative
Zona con copertuta detritica incoerente a matrice
prevalentemente argillosa, a morfologia localmente
irregolare, non necessariamente acclive, interessata da
diffusi indizi d’instabilità superficiale e da una diffusa
circolazione idrica
Zona carsica o interessata da gallerie e cavità di natura
antropica
Tab. 2.1 – Scenari di pericolosità sismica. Tratto da G.N.D.T. – C.N.R. (1986)
18
CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica
2.1.2 INDIVIDUAZIONE SPEDITIVA DI EFFETTI DI SITO DA DATI
MACROSISMICI
L’utilizzo di dati macrosismici per la risoluzione di problematiche di
amplificazione locale è stato un tema ampiamente trattato negli ultimi anni in
numerose pubblicazioni scientifiche (D’Amico et alii, 2000; Gallipoli et alii, 1998;
Magri et alii, 1994; Mucciarelli et alii, 1992).
La procedura attraverso la quale, solitamente, viene effettuato il passaggio dal
dato macrosismico al dato puntuale può essere così schematizzata: raccolta e analisi
dei dati strumentali; raccolta e analisi dei dati tettonico-strutturali; censimento dei dati
storici; elaborazione di un modello basato sia su dati strumentali che tettonicostrutturali. Il fine è quello di definire un modello di sorgente semplice che preveda,
inoltre, una legge di attenuazione in funzione della distanza epicentrale e conseguente
ricostruzione di un campo macrosismico calcolato. Successivamente si analizzano
eventuali differenze tra il campo macrosismico calcolato e quello rilevato in
conseguenza di un forte evento sismico, individuando le aree di massima divergenza
dei due elaborati ed attribuendo la causa di ciò ad effetti locali.
In tabella 3.2 (D’Amico et alii, 2000), relativa ad alcune aree della Garfagnana e
della Lunigiana in riferimento all’evento sismico del 7 settembre 1920, è presentato il
tentativo di passaggio dal dato macrosismico alla determinazione degli effetti di sito,
realizzando per ogni comune una stima statistica dei valori di pericolosità a partire dai
soli dati epicentrali attenuati (Patt), secondo una legge di attenuazione espressa
attraverso la forma probabilistica proposta da Magri et alii, 1994 (fig. 2.1a).
Successivamente, una seconda stima della pericolosità (Patt+doc) è stata ricavata dai
dati epicentrali integrati con le osservazioni macrosismiche documentate dei
danneggiamenti (fig. 2.1b). La differenza tra le due stime di pericolosità ('P) viene,
infine, interpretata come valutazione della presenza o meno di effetti di sito nelle aree
indagate: valori positivi sono interpretati come indicatori di fenomeni di
amplificazione locale del moto sismico, mentre differenze negative testimonierebbero
l’assenza di simili effetti.
19
CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica
E’ palese che sia il campo macrosismico teorico sia quello rilevato presentino una
serie di errori ed approssimazioni insite, che possono essere così schematizzati:
x
imprecisioni nella determinazione della profondità ipocentrale ( con errori
maggiori in riferimento ai dati più antichi);
x
difficoltà o al limite aleatorietà nella schematizzazione di rapporti diretti tra dati
tettonici (soprattutto derivanti da indagini superficiali) ed energia liberata dai
terremoti;
x
imprecisione dei modelli geometrici. Com’è risaputo l’attenuazione, oltre che
dipendere dallo spreading, è in relazione con il coefficiente di attenuazione dei singoli
mezzi D, il quale a sua volta può trovare una correlazione “forzata” sia con il Qs,
(quality factor), sia con la velocità delle onde di taglio. Comunemente però questi
parametri non sono conosciuti; infatti, nei casi più ottimistici, si possiedono sommarie
e discontinue informazioni sulle velocità delle onde P attraverso profili
sismostratigrafici.
Per ciò che riguarda, poi, il dato macrosismico rilevato, comunemente espresso
attraverso la produzione di carte delle isosiste, realizzate in base ai valori delle
Intensità Macrosismiche calcolate secondo la scala MCS, vale la pena considerare che
questa scala è basata su dati qualitativi, derivanti dalla collezione statistica dei danni
ricavati in seguito ad un evento sismico, per cui poco adatta a descrivere
quantitativamente un evento sismico.
D’altra parte, il fine di un’indagine di “microzoning” è quello di definire,
all’interno di aree ristrette (magari caratterizzate dallo stesso grado IMCS), situazioni
di amplificazione o deamplificazione in grado di determinare una significativa
diversificazione dello scuotimento al suolo, dei valori dei parametri strong-motion e,
di conseguenza, del grado di danneggiamento delle vite umane e dei manufatti
presenti.
20
CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica
LOCALITA’
N. Ris
Patt
Patt+doc
P
Barga
14
27
35
8
Fosciandora
3
31
56
25
Gallicano
12
29
15
-14
Vergemoli
2
31
15
-14
Molazzano
3
30
17
-14
Castelnuovo di Garfagnana
21
33
16
-23
Pieve Fosciana
6
35
10
20
Castiglione di Garfagnana
3
36
57
22
Villa Collemandina
2
37
58
20
Corfino (Villa Collemandina)
5
40
57
17
Careggine
2
42
3957
-3
Vagli Sotto
4
44
59
15
Camporgiano
6
44
59
15
San Romano
1
43
58
15
Piazza al Serchio
6
51
60
9
Sillano
3
50
59
9
Giuncugnano
2
58
61
3
Minucciano
3
61
43
-18
Gorfigliano (Minucciano)
3
55
62
7
Casola in Lunigiana
3
61
63
2
Ugliancaldo (Casola in Lunigiana)
2
61
63
2
Vigneta (Casola in Lunigiana)
2
61
63
2
Fivizzano
26
52
52
0
Vinca (Fivizzano)
3
54
11
-43
Tenerano (Fivizzano)
2
49
32
-17
Fosdinovo
3
38
18
-20
Aulla
10
35
58
23
Licciana Nardi
7
40
58
18
Comano
4
45
39
-6
Bagnone
18
35
56
21
Villafranca in Lunigiana
4
34
35
1
Tresana
4
30
17
-13
Mulazzo
6
28
13
-15
Filattiera
4
34
63
29
Pontremoli
23
25
15
-10
Zeri
4
21
18
-3
Tab. 2.2 – Valori di pericolosità per intensità t VIII MCS e per un
tempo di esposizione di 50 anni. NRIS = numero totale dei risentimenti
macrosismici; Patt = dati epicentrali attenuati; Patt+doc = dati epicentrali
attenuati integrati con i risentimenti documentati; P = differenza
espressa in punti percentuali. Tratto da D’amico et alii (2000)
21
CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica
Fig. 2.1 – Mappe di pericolosità per intensità VIII MCS per un intervallo di
esposizione di 50 anni: a) livelli di pericolosità ottenuti dai soli dati epicentrali
attenuati al sito, b) valori ricavati da integrazione tra dati attenuati ed effetti
documentati. Tratto da D’Amico et alii, 2000
22
CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica
2.2 METODI SEMPLIFICATI
A differenza dei metodi speditivi, che esprimono la variabilità delle condizioni
locali in forma qualitativa, quelli semplificati quantizzano la risposta del sottosuolo
attraverso parametri fisico-meccanici elementari, spesso dedotti da indagini
sperimentali speditive e da informazioni esistenti, utilizzando correlazioni empiriche
di carattere generale.
2.2.1
METODO MEDVEDEV
Si tratta di una formula empirica basata sull’osservazione delle distribuzioni dei
danni (intensità macrosismica) dovute a terremoti avvenuti nella regione russa in un
intervallo di tempo compreso tra il 1887 ed il 1949 e sulle loro correlazioni empiriche
con la natura litologica superficiale (20-25 metri) dei siti.
In base a queste osservazioni Medvedev (1965) propose il calcolo del fattore di
incremento locale (n0):
(2.1)
dove R0 è l’impedenza di una roccia di riferimento (uguale al prodotto tra la densità
del litotipo e la sua velocità di propagazione delle onde compressionali), Rn è invece
l’impedenza del terreno considerato; il valore 1.67 è un coefficiente statisticamente
determinato.
Medvedev intende come roccia di riferimento il granito, poiché osserva che è la
roccia che risponde ai sismi con le amplificazioni minori, avendo stabilito sette
categorie fondamentali di litotipi, a partire dalle rocce granitiche (cui viene associato
un valore di incremento pari a 0), fino ai terreni limosi (con incremento compreso tra
2 e 3).
L’incremento espresso dalla (2.1) si riferisce a terreni in assenza di falda freatica;
un ulteriore fattore d’incremento sarà, quindi, dovuto alla presenza di falda freatica a
scarse profondità dal piano campagna, e verrà espresso con la seguente equazione:
23
CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica
(2.2)
dove z rappresenta la profondità (in metri) della falda freatica dal piano campagna.
Pertanto l’incremento totale n sarà dato dalla somma:
(2.3)
Poiché in genere il sottosuolo si presenta come una successione di terreni a
diversa densità e velocità di propagazione delle onde sismiche, il termine Rn =
Vn Jn è da intendersi come media ponderata degli orizzonti compresi nello spessore
considerato, e cioè:
(2.4)
dove Vi, Ji ed hi rappresentano rispettivamente la velocità (km/sec), la densità (g/cm3)
e lo spessore (m) dell’i-esimo orizzonte. Medvedev considera che la zona di
sottosuolo entro cui diviene influente l’azione del terreno ai fini del verificarsi di
incrementi sismici corrisponda ai primi dieci metri di profondità del terreno.
Tale metodo, nonostante la notevole diffusione applicativa in tutto il mondo,
presenta i sottoelencati limiti:
a. difficoltà nell’inserire tutti i parametri caratteristici nella valutazione degli effetti
locali in una sola formula;
b. la mancanza di registrazioni accelerometriche non permette di valutare il
maggiore potenziale distruttivo delle onde di taglio S;
c. non vengono presi in esame gli effetti topografici e morfologici;
d. non si considera l’energia ed il contenuto spettrale del terremoto di eccitazione;
e. il metodo prescinde da qualsiasi analisi di pericolosità sismica ed i risultati
ricavati su scala regionale russa non è detto si possano estendere alla sismicità del
resto del mondo;
24
CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica
f. l’incremento sismico viene utilizzato indipendentemente dall’intensità di
riferimento; ciò significa considerare una metrica interna alla scala macrosismica e
supporre un comportamento lineare dei terreni sottoposti a sollecitazioni assai
diverse.
2.2.2
METODO BROILI
Il metodo fu messo a punto da Broili (1979) nell’ambito degli studi che seguirono
l’evento sismico del Friuli del 1976 (Broili et alii, 1980, Brambati et alii, 1980,
Signanini et alii, 1981) e si basa sulla valutazione del dato geotecnico e idrogeologico
ai fini del computo del decremento locale in risposta meccanica ed idraulica del
terreno.
Tale metodologia può essere intesa come riproposizione del metodo Medvedev: i
principi sono gli stessi, ma l’organizzazione del lavoro ed i risultati acquisiti risultano
talvolta differenti.
Il metodo propone in fase iniziale una distribuzione delle unità litologiche (C1 –
C11) in base ad una classificazione meccanica e tecnica del terreno, come visibile in
tabella 2.3, dov’è proposta anche una stima dei rispettivi valori di densità (J), velocità
di propagazione delle onde P (V) e rigidità sismica (R).
In particolare, definita una litofacies di riferimento, che risulta essere il terreno
meccanicamente migliore disponibile nell’area in esame (classe C1), l’incremento
dell’intensità sismica locale peculiare di ciascuna delle successive dieci classi di
terreno viene definito sia in condizioni asciutte, sia in presenza di una falda idrica a
varie profondità rispetto al piano di fondazione (0-2-5 metri, tab. 2.4).
Hw
I
Tab. 2.3 - Diversi valori dell’incremento
0
1
2
0.9
5
0.4
di intensità macrosismica (valore espresso
in gradi) in funzione della profondità della
superficie freatica dal piano di fondazione
Hw (in metri). Tratto da Broili (1979)
25
CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica
Definizione delle litofacies
Rocce carbonatiche massicce, molto compatte,
rocce
stratificate,
compatte,
scarsamente
fratturate (A1, B1)
Rocce carbonatiche stratificate o nettamente
stratificate, mediamente fratturate (A2)
Rocce carbonatiche e arenarie sottilmente
stratificate e molto fratturate: arenarie e marne in
strati di media potenza, poco suddivise: marne
compatte e massicce (A3, B2)
Rocce carbonatiche molto fratturate; arenarie e
marne in facies prevalentemente marnosa,
fittamente stratificate e suddivise; evaporati in
strati medi e sottili, conglomerati e brecce ben
cementati e poco fratturati (B3, C2.2)
Rocce estremamente fratturate, sino a
cataclastiche;
conglomerati
scarsamente
cementati, localmente degradati, più o meno
fratturati; arenarie poco compatte; marne e marne
argillose poco compatte; evaporati molto
suddivise; argilliti e argille sovraconsolidate;
conglomerati
o
brecce
ghiaioso-sabbiosi
leggermente cementati (A4, B4, B3, C1, C2.1)
Argille marnose, argilliti consolidate (NSPT>30,
Ic=0.75-1, cu = 100-200 kPa); sabbie ghiaiose
scarsamente limose, molto dense (NSPT>40,
Dr>0.7) localmente leggermente cementate o
legate
Argille dure (NSPT=15, Ic=0.75, cu = 100 kPa) ;
sabbie ghiaioso-limose dense D2 (NSPT=30-40);
sabbie grossolane (Dr=0.6-0.7)
Sabbie e ghiaie limose, dense (NSPT=25-30), con
lenti o strati sottili limo-argillosi; sabbie limose
mediamente dense (NSPT=10-25, Dr=0.4-0.6);
argille dure (NSPT=10-15, Ic=0.5-0.75, cu = 50-10
kPa)
Sabbie ghiaiose con molto limo mediamente
dense (NSPT=10-25) con lenti e strati limoargillosi; sabbie e sabbie limose sciolte E2
(NSPT=5-10, Dr=0.2-0.4); limi, argille plastiche F1
(NSPT=5-10, Ic=0.4-0.5, cu = 25-50 kPa)
Sabbie argillose molto sciolte (NSPT<5, Dr<0.2)
con lenti e orizzonti limosi e argillosi plastici
(NSPT=2-5, Ic=0.25-0.4, cu = 10-25 kPa); sabbie
fini omogenee; riporti detritici non compattati
Argille molto soffici (NSPT<2, Ic=0, cu = 10 kPa);
limi sciolti (NSPT=0-5); argille organiche,
sedimenti torbosi e torbe molto soffici F2
classe
J (t/m3)
V (Km/sec)
R
1
2.6
5.7-3.8
•10
2
2.5
3.8-3.0
10-8
3
2.5
3.0-2.5
8-6
4
2.4
2.5-1.75
6-4
5
2.3-2.2
1.75-0.9
4-2
6
2.2-2.1
0.9-0.5
2-1
7
2.1-2.0
0.5-0.4
1-0.8
8
2.0-1.9
0.4-0.3
0.8-0.6
9
1.9-1.7
0.3-0.25
0.6-0.4
10
1.7-1.6
0.25-0.15
0.4-0.2
11
1.6-1.2
0.15-0.1
0.2-0.1
Tab. 2.4 - Classi di appartenenza, proposte da Broili (1979)
26
CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica
Partendo da queste ipotesi, Broili, facendo riferimento alla formulazione espressa
da Medvedev, attribuisce le unità litologiche proposte, costituite da sei zone
omogenee e caratterizzate da condizioni più scadenti riguardo alla risposta sismica
locale (fig. 2.2).
Nota la classe litologica (C1) e calcolata la rigidità sismica (JV) e stabilita la
posizione locale della falda nel sottosuolo (Hw), risulta definita l’attribuzione del sito
ad una delle sei zone di omogeneità previste (Z1-Z6). Inoltre risulta determinabile
l’incremento sismico (n) ed il valore del coefficiente c di risposta meccanica ed
idrogeologica del terreno (da utilizzare come aggravio nel computo della
sollecitazione locale, dell’intensità macrosismica).
Per capire il significato delle sei zone (Z1 – Z6) ne viene fatta una breve
descrizione:
Zona Z1: divisa in tre sottozone, la prima delle quali (Z1a) è interessata
dall’affioramento delle facies litologiche C1 e C2 e comprende rocce sia massicce sia
stratificate, con ridotto grado di fatturazione. Sotto il profilo geo-meccanico si tratta
di terreni con buone caratteristiche in termini di deformabilità, potenza ed elasticità;
l’acqua non influisce in maniera sensibile su queste proprietà e la risposta sismica è
ottimale. La seconda sottozona (Z1b) è interessata dall’affioramento della classe
litologica C3, costituita da masse rocciose caratterizzate da un progressivo aumento
della deformabilità; in tale contesto l’autore considera importante l’aspetto
idrogeologico nei problemi di instabilità. Nella terza sottozona (Z1c) interessata dalla
facies litologica C4 si ha un’ulteriore diminuzione delle resistenze meccaniche a causa
dell’elevata fratturazione delle rocce;
Zona Z2: interessata dalle classi litologiche C5 e C6 che mostrano un sensibile
aumento della deformabilità rispetto alla classe precedente; la profondità della falda
freatica assume, pertanto, un’importanza rilevante, influendo sulla degradazione delle
caratteristiche fisico-meccaniche dei terreni;
Zona Z3 – Z4: riguardano le facies litologiche C7, C8 e C9, caratterizzate dalla
presenza di litotipi con ridotta resistenza meccanica dovuta al minore addensamento
ed alla minore coesione;
27
CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica
Fig. 2.2 – Diagramma per la determinazione delle zone di omogeneità
geologico-geotecnica in prospettiva sismica e per la determinazione del
coefficiente di risposta meccanica ed idrologica dei terreni. Tratto da Broili,
1979
28
CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica
Zona Z5: riguarda gli affioramenti delle unità litologiche C9 e C10 con falda al
piano di fondazione o con falda assente, o di profondità inferiore a 5 metri. Tali aree
sono considerate dall’autore piuttosto instabili in condizioni di sollecitazione
dinamica, quindi sono sconsigliate per la costruzione di opere che richiedano elevate
condizioni di sicurezza o nel caso di una massiccia urbanizzazione;
Zona Z6: vi appartengono le litofacies C10 e C11 che sono le più scadenti in
relazione alla fattibilità di soluzioni progettuali e di utilizzo tecnico del suolo.
Accanto alle sei zone descritte, sono da delimitare altre zone che presentino
caratteristiche geomorfologiche significative dal punto di vista della stabilità o
dell’incremento di intensità sismica, quali aree in frana, zone al margine di terrazzi,
aree passibili di rischio di liquefazione o con zampillamento diffuso, aree
caratterizzate da presenza di importanti elementi tettonici, strutture sepolte, etc..
In generale tale metodologia (parallelamente al metodo Medvedev) fornisce
indicazioni sul possibile aumento del grado di danneggiamento potenziale al
peggiorare delle caratteristiche geologiche s.l. del terreno, ma non consente di tener
conto delle risposte sismiche di edifici con diversa struttura nella medesima
situazione geotecnica locale. In conclusione si può muovere come critica al metodo,
la carenza di informazioni di carattere ingegneristico e sismologico.
2.2.3
METODO DEI MICROTREMORI DI KANAI E TANAKA (1961)
Tra i metodi semplificati, tesi alla registrazione delle ampiezze del moto in
superficie a causa di vibrazioni di origine naturale e/o artificiale di minore intensità
rispetto a quelle provocate da un evento strong-motion, il metodo proposto da Kanai
& Tanaka (1961) fu l’antesiniano. I microtremori fanno parte delle vibrazioni definite
rumore di fondo ambientale, e risultano dalla sovrapposizione degli effetti di sorgenti
naturali (vento, moto ondoso, variazioni di pressione atmosferica) e disturbi artificiali
(traffico, macchinari o infrastrutture industriali).
Il metodo si basa sul tentativo di correlare, nel dominio delle frequenze, gli
spettri desunti da misure sui microtremori e spettri relativi ad eventi sismici avvenuti
29
CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica
nella medesima area. Una similitudine tra i sovracitati spettri fornirebbe un metodo
rapido e poco dispendioso per la previsione delle caratteristiche di un evento sismico
nel sito di monitoraggio. Nonostante i toni trionfalistici con i quali gli autori
presentarono il loro metodo, dopo averlo tarato in alcune località giapponesi e
statunitensi, sussistono alcuni dubbi (Siro, 1980) sulla qualità delle informazioni
ricavate:
Fig. 2.3 – Corrispondenze tra spettri di microtremori e di
terremoti secondo Kanai & Tanaka (1961)
30
CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica
x filtraggio di frequenze poco evidente e instabilità temporale degli spettri di
microtremori (soprattutto nel caso di litotipi litoidi o coesivi sovraconsolidati), il che
farebbe presupporre che gli spettri desunti non siano una proprietà intrinseca del
terreno, bensì fortemente dipendenti dalla natura della sorgente;
x non si ha nessuna informazione sul rapporto tra risposta sismica e meccanismi
focali del sisma;
x non linearità del terreno, che si traduce in una forte dipendenza delle frequenze del
sisma dalla sua intensità (fig. 2.4);
x Studi condotti tramite prove dinamiche di laboratorio dimostrano che il diverso
livello delle deformazioni cui il terreno viene assoggettato dai microtremori e dai
terremoti forti può provocare la diminuzione da 2 a 10 volte del modulo di taglio G ed
un aumento da 2 a 15 volte del fattore di smorzamento D (Seed & Idriss, 1969).
Fig. 2.4 – Spostamento di picchi spettrali verso frequenze più
basse al crescere della magnitudo. Tratto da Sigimura, 1982
mod
31
CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica
2.2.4 METODO DI NAKAMURA (1989)
L’applicazione del metodo corrisponde ad accertare che la frequenza di risonanza
di uno strato coincida con la frequenza per la quale assume il valore massimo il
rapporto RHV = HS / VS (Horizontal to Vertical Ratio) tra gli spettri delle componenti
orizzontale e verticale del moto del suolo nello stesso sito (fig. 2.5).
Il metodo dei rapporti spettrali si basa sull’individuazione di un sito di
riferimento, presumibilmente privo di effetti di sito rilevanti, rispetto al quale
confrontare il segnale sismico del sito da analizzare. Nakamura (1989) ha proposto
una tecnica per l’interpretazione dei microtremori che dovrebbe fornire stime
attendibili sia della frequenza fondamentale del deposito che dell’amplificazione
relativa a tale frequenza.
Questa metodologia non richiede l’individuazione di una stazione di riferimento,
permettendo così di operare in campagna utilizzando una sola stazione sismica. La
tecnica di Nakamura considera i microtremori composti principalmente da onde di
Rayleigh e considera che l’amplificazione relativa agli effetti di sito sia causata dalla
presenza di uno strato sedimentario giacente su di un semispazio. In queste condizioni
ci sono quattro componenti del moto sismico da considerare:
x le componenti orizzontali in superficie (HS) e alla base dei sedimenti (HB);
x le componenti verticali in superficie (VS) e alla base dei sedimenti (VB).
Secondo Nakamura è possibile stimare la forma spettrale della sorgente dei
microtremori AS(Ȧ) (in funzione della frequenza) con la seguente relazione:
A S (Z) =
VS (Z)
VB(Z)
(2.5)
dove VS e VB sono le ordinate spettrali delle componenti verticali del moto,
rispettivamente in superficie e alla base di sedimenti.
32
CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica
Fig. 2.5 – Esempio di spettro di ampiezza del rapporto H/Z di uno specifico sito
Nakamura definisce come effetto di sito il rapporto spettrale SE(Ȧ):
S E (Z) =
H S (Z)
H B(Z)
(2.6)
dove HS e HB sono le ordinate spettrali delle componenti orizzontali del moto
rispettivamente in superficie e alla base dei sedimenti.
Per compensare l’effetto di sito SE(Ȧ) dallo spettro di sorgente AS(Ȧ) viene
calcolato il rapporto spettrale modificato SM(Ȧ) come:
S M (Z) =
S E (Z) H S (Z) VS(Z)
=
A S (Z) H B(Z) VB(Z)
(2.7)
Nakamura assume che per tutte le frequenze di interesse HB (Z)/VB (Z) = 1,
basandosi su registrazioni, sperimentalmente verificate da lui, di microtremori in
pozzo; quindi l’effetto di sito modificato SM(Ȧ) è descritto da :
S M (Z) =
S E (Z) H S (Z)
=
A S (Z) VS (Z)
(2.8)
La frequenza di risonanza è ricercata al primo picco individuato dal rapporto della
componente orizzontale su quella verticale dei segnali registrati.
33
CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica
2.3 METODI ANALITICI
L'applicazione dei metodi semplificati può essere migliorata solo approfondendo
adeguatamente le indagini geotecniche e geofisiche del sottosuolo e adottando metodi
di previsione più sofisticati sia in termini di caratterizzazione meccanica sia di
modelli di analisi della risposta sismica locale.
In sintesi i metodi quantitativi richiede l’adozione di:
x un modello geometrico espresso in termini di sezioni e profili di calcolo, tenendo
conto di eterogeneità della stratificazione (formazioni distinguibili secondo proprietà
fisico-meccaniche),
morfologia
superficiale
(rilievo
topografico)
e
sepolta
(andamento del substrato rigido);
x un modello meccanico del comportamento dei terreni di copertura ottenuto
mediante apposite indagini in sito e in laboratorio per la determinazione della densità
e dei parametri di deformabilità al taglio semplice;
x un modello numerico in grado di simulare la risposta del sottosuolo al terremoto di
riferimento applicato al bedrock e di restituirne la risposta in superficie in termini di
accelerogrammi e spettri di risposta.
In tabella 2.5 sono riportate le caratteristiche tecniche principali dì alcuni dei
codici di calcolo specificamente sviluppati per l’analisi dei problemi di risposta
sismica locale, gran parte dei quali sono commercializzati direttamente dall’istituto di
ricerca che ne ha curato lo sviluppo.
In mancanza di un metodo di soluzione
universale, che peraltro il più delle volte può risultare sovradimensionato, conviene
selezionare quello che meglio si adatta al problema specifico e che consenta
perlomeno di coglierne gli aspetti essenziali.
34
CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica
CODICE DI
CALCOLO
SHAKE
SHAKE 91
PROSHAKE 1.1
GEOMETRIA E
CONDIZIONI AL
CONTORNO
Monofase lineare
1-D
equivalente
frontiera e base elastica
Visco-elastico
MASH
1-D
CHARSOIL
1-D
base e superficie libera
inclinate
DESRA
DESRAMOND
1-D
frontiera rigida
DYNAFLOW
GEFDYN
2-D
base rigida o
assorbente, superficie
libera qualsiasi
2-D/3-D
base orizzontale,
frontiera laterale
assorbente
2-D
2-D/3-D
FLAC
2D
QUAD-4M
LUSH
FLUSH
LEGAME
COSTITUTIVO
METODO DI
ANALISI
FONTE
Continuo
Dominio
frequenze
Berkley-Davis
Shnabel et al. (1972)
Idriss & Sun (1992)
Discreto
Dominio tempi
Berkley
Martin & Sedd (1978)
Linee
caratteristiche
Ann Arbor
Streeter et al. (1974)
Discreto
Dominio tempi
Vancouver-RPI
Finn et al. (1976)
Vucetic (1986)
Monofase lineare
equivalente
Visco-elastico
F.M.E.
Dominio tempi
Davis
Hudson, Idriss & Beikae
(1993)
Monofase lineare
equivalente
Visco-elastico
F.M.E.
Dominio
frequenze
Berkley
Lysimer et al. (1975)
Tensioni effettive
Elasto-plastico
F.M.E.
Dominio tempi
Differenze finite
Dominio
frequenze
Monofase non
lineare Viscoelastico
Monofase lineare
equivalente
Isteretico
Monofase lineare
equivalente
Isteretico
Elastico non lineare
equivalente
Princeton-EPC
Prèvost (1981)
Minneapolis-ICG
Coetzee etal. (1995)
Tab. 2.5 – Caratteristiche dei codici di calcolo più diffusi per l’analisi della risposta
sismica locale. Tratto da Silvestri (1998), mod
2.3.1 PROGRAMMA PROSHAKE 1.1
Il programma calcola la risposta associata alla propagazione verticale di onde S su
modelli monodimensionali.
Il codice di calcolo Proshake1.1 rappresenta l’evoluzione dei programmi
SHAKE85 (Schnabel et alii, 1972) e SHAKE91 (Idriss & Sun, 1992), utilizzando
un’interfaccia semplificata che consente un utilizzo molto più agevole e veloce,
rispetto alle precedenti versioni, scritte il linguaggio Fortran.
Il programma è organizzato in tre settori (Input Manager, Solution Manager e
Output Manager). L’Input Manager permette l’inserimento dei dati di input richiesti
dal programma (assetto stratigrafico della verticale su cui eseguire la modellazione,
valori di Vs dei litotipi oggetto d’esame, peso di volume dei terreni indagati
necessario per il calcolo del modulo di taglio massimo G0, curve di decadimento del
35
CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica
modulo di taglio normalizzato G/G0 e del damping ] ed infine un terremoto di
progetto da applicare in fase di input). I dati immessi sono salvati in un file con
estensione .dat.
Il Solution Manager è utilizzato per eseguire l'analisi lineare equivalente,
illustrando la variazione della tensione di taglio efficace e dell’errore associato alla
variazione del modulo di taglio e dello smorzamento in funzione della profondità per
ogni step di iterazione. Il risultato verrà salvato in un file con un'estensione .lyr.
Infine, per mezzo dell’Output Manager, sarà possibile osservare graficamente i
risultati della modellazione numerica attraverso diagrammi ground motion (timehistory, spettri di Fourier, di fase e di potenza), grafici di distribuzione temporale di
sforzi e deformazioni di taglio nel terreno, spettri di risposta, funzioni di trasferimento
ed altri parametri ground-motion sia nel dominio del tempo che delle frequenze.
ProShake1.1 utilizza un approccio nel dominio delle frequenze per risolvere il
problema della valutazione della risposta sismica locale.
Il modello fisico consiste di N strati piani e paralleli, di estensione orizzontale
infinita, su un semispazio (bedrock). Ogni strato, considerato omogeneo ed isotropo,
è caratterizzato dallo spessore h, dalla densità U, dal modulo di taglio G, e dal fattore
di smorzamento (]). Il programma è applicabile solo qualora il modello sia a strati
orizzontali paralleli infinitamente estesi.
L'equazione d'onda utilizzata nel modello (viscoelastico linearizzato di KelvinVoigt) è:
U(G 2 u / Gt 2 ) = G(G 2 u / Gx 2 ) + K G 3 u / (Gx 2 Gt)
(2.9)
dove
K = (2G ]/Z)
G 2 u / Gt 2 = moto sismico
In figura 2.6 è possibile osservare graficamente il procedimento utilizzato dal
codice ProShake1.1; le fig. 2.6a e 2.6b riportano le caratteristiche del moto di input
rispettivamente nel dominio del tempo e delle frequenze. In figura 2.6c è possibile
36
CAPITOLO 2 – Microzonazione sismica
osservare la funzione di trasferimento calcolata da programma (i picchi della funzione
mostrano chiaramente le caratteristiche di amplificazione relative alle frequenze
naturali del terreno); è inoltre possibile notare come la maggiore amplificazione si
ravvisi alla frequenza più bassa, che viene definita frequenza fondamentale. Infine le
figure 2.6d e 2.6e mostrano rispettivamente il contenuto spettrale del segnale in
output ed il relativo sismogramma nel dominio del tempo (ottenuto attraverso la
trasformata inversa di Fourier del segnale di output nel dominio delle frequenze).
Fig. 2.6 – Rappresentazione grafica del procedimento utilizzato dal codice di calcolo
ProShake1.1: a) time history del moto di input e b) suo contenuto spettrale; c) funzione
di trasferimento; d) spettro di Fourier del moto in output ed e) rappresentazione nel
dominio del tempo ottenuta attraverso la trasformata inversa di Fourier
37
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
CAPITOLO 3
3.
METODOLOGIE DI ESPLORAZIONE GEOLOGICA DEL
SOTTOSUOLO
Le indagini geofisiche, utilizzate nell’ambito di problematiche di rischio sismico e
più in particolare negli studi per la valutazione dell’amplificazione locale, sono le
tecniche più diffuse per studiare il sottosuolo, andandone ad individuare l’assetto
strutturale e stratigrafico e la morfologia sepolta e determinando la rigidezza media
dei terreni e rocce.
Queste metodologie di indagine si basano principalmente sullo studio della
propagazione di onde elastiche, che generate in superficie si propagano in profondità
per poi risalire quando incontrano superfici di discontinuità tra materiali con
caratteristiche geologico-tecniche differenti tra loro.
Gli obiettivi principali delle indagini geofisiche sono:
x
la ricostruzione delle geometrie del sottosuolo per estesi volumi di terreno, e
quindi definire gli spessori delle coperture e delle principali unità litotecniche e le
geometrie dei corpi che possono essere sede di movimenti franosi;
x
la caratterizzazione delle unità litologico-tecniche tramite la velocità delle onde P
e SH;
x la determinazione dei moduli elastici dinamici e il coefficiente di Poisson delle
diverse unità litologico-tecniche.
Per ricostruire le geometrie del sottosuolo si possono eseguire diverse
metodologie tra cui le indagini geognostiche classiche (sondaggi meccanici), oppure
metodologie indirette come la sismica a rifrazione e la sismica a riflessione sia con
onde P che con onde SH.
Per quanto riguarda la determinazione delle velocità dei mezzi indagati oltre alla
sismica di superficie utilizzata per la ricostruzione delle geometrie (sismica a
rifrazione), si possono utilizzare anche metodi sismici in foro come down-hole e VSP
(Vertical Seismic Profile).
38
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
I parametri desunti da tali indagini in situ, insieme a quelli ricavati
dall’esecuzione di prove geotecniche di laboratorio sono utilizzati ai fini della
modellazione dinamica mono e bidimensionale come dati di input.
3.1
ONDE SISMICHE
Le onde sismiche si generano dal moto vibratorio delle particelle di un corpo, che
si innesca quando questo viene sollecitato da uno sforzo impulsivo.
Per reazione elastica del corpo questo moto viene trasmesso da una particella a
tutte le circostanti, cosicchè le onde sismiche prodotte si propagano in tutte le
direzioni e, poiché interessano tutta la massa del corpo, vengono chiamate “onde di
massa” (Carrara e Rapolla, 1992).
Le onde sismiche non sono caratterizzate da un trasporto di materia, ma da un
trasferimento di energia che può arrivare anche a distanze considerevoli.
In base alla direzione di propagazione tali onde possono essere distinte in due
tipologie:
x onde longitudinali, si propagano nella stessa direzione di vibrazione delle
particelle;
x onde traversali, la loro direzione di propagazione è normale al moto delle
particelle.
Le onde longitudinali sono dette anche “onde di compressione” in quanto
generate dalla reazione elastica del corpo che si oppone alla variazione di volume
(componenti normali dello sforzo); mentre le onde trasversali sono dette “onde di
taglio” in quanto generate da reazione elastica che si oppone alla variazione di forma
del corpo (componenti tangenziali dello sforzo) (fig. 3.1).
Durante l’arrivo delle onde di compressione P il corpo subisce solo una variazione
di forma e la velocità (VP) sarà fortemente legata al modulo di incompressibilità K.
Le onde di taglio S provocano anche un cambiamento di volume e sono influenzate
dal modulo di taglio ȝ.
39
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
VP
VS
K 4P
J
P
3
J
(3.1)
(3.2)
dove Ȗ è la densità del mezzo attraversato dalle onde sismiche.
Risulta chiaro che, poiché la rigidità di un fluido è nulla, le onde di taglio non
possono essere trasmesse da tali mezzi. La velocità delle onde P è sempre maggiore, a
parità di mezzo attraversato, rispetto alla velocità delle onde S, infatti il termine P
simboleggia la parola “prime”, poiché le onde di tipo P giungono per prime al
sismografo rispetto alle onde S (seconde).
E’ importante sapere che per uno stesso mezzo la velocità di queste onde può
variare in maniera considerevole visto che intervengono altre caratteristiche
meccaniche dei materiali come grado di compattazione, porosità, tessitura e grado di
fratturazione che determinano cambiamenti di densità e di conseguenza variazioni di
velocità all’interno del mezzo.
Fig. 3.1 – Tipi di onde utilizzate nell’esplorazione geologica del sottosuolo.
40
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
Oltre a questi due tipi principali di onde elastiche, che sono più frequentemente
utilizzate nella prospezione geofisica, ve ne sono altri due fondamentali (fig. 3.1):
x onde di Rayleigh;
x onde di Love.
Le onde di Rayleigh si producono alla superficie libera di un mezzo dalla
combinazione delle onde longitudinali e trasversali; si ottiene così un movimento
delle particelle superficiali di tipo ellittico; l’ampiezza delle ellissi decresce
esponenzialmente con la distanza dalla superficie libera; le particelle compiono
questo movimento ellittico in senso retrogrado alla direzione di propagazione delle
onde che vengono così generate; la velocità delle onde di Rayleigh è inferiore a quella
delle onde di massa.
Le onde di Love sono caratterizzate dalla vibrazione orizzontale delle particelle
del terreno, perpendicolarmente alla direzione di propagazione dell’onda. Sono onde
legate alla stratificazione e derivano da riflessione multipla, tra la superficie inferiore
e superiore di uno strato, di onde S intrappolate.
3.1.1
GEOMETRIA DEI RAGGI SISMICI
Quando un’onda sismica incontra una superficie di separazione tra due mezzi
isotropi con caratteristiche elastiche diverse, una parte dell’energia si riflette nello
stesso mezzo in cui si propaga l’onda incidente, una parte si rifrange nell’altro e una
parte subisce il fenomeno della diffrazione. Per un’interfaccia piatta, un raggio
d’onda è riflesso e rifratto secondo la legge di Snell:
sin(i ) sin( r )
V1 V2
(3.3)
come è illustrato in figura 4.2.
Se l’angolo di emergenza r = 90°, la relazione che descrive la legge di Snell
diventa:
41
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
ic
arcsin V1 V2 (3.4)
Quando l’angolo di incidenza ic raggiunge questo valore critico (angolo di
incidenza critico) la rifrazione si ha lungo l’interfaccia; oltre questo valore si ha la
riflessione totale.
Fig. 3.2 – Legge di Snell
Fig. 3.3 – Percorso dei raggi sismici
42
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
Gli arrivi riflessi e rifratti si hanno allo stesso tempo per una distanza pari alla
distanza critica xc.
Il punto di intersezione tra la diretta e la rifratta è invece chiamato punto di
crossover (fig. 3.3), oltre il quale l’onda rifratta arriva prima della diretta.
Si definisce impedenza sismica o rigidità, il prodotto della velocità per la densità
del mezzo in cui l’onda si propaga (R=ViȖi).
Per incidenze prossime alla normale, cioè per angoli di incidenza piccoli rispetto
alla normale alla superficie di separazione, la frazione di energia riflessa r e trasmessa
t, sono espresse da:
r
t
R1 R2 R1 R2 (3.5)
2 R2 R1 R2 (3.6)
dove r e t sono chiamati rispettivamente “coefficiente di riflessione” e
“coefficiente di rifrazione” e rappresentano il rapporto tra l’ampiezza dell’onda
riflessa o rifratta con l’ampiezza dell’onda incidente. Se consideriamo il coefficiente
di riflessione r si può facilmente notare che quando il rapporto R1/R2 tende ad infinito,
r tende a 1, quindi l’onda riflessa ha la stessa ampiezza e fase dell’onda incidente;
quando R1/R2 tende a zero, r tende a -1, l’onda riflessa avrà la stessa ampiezza
dell’onda incidente ma sarà in opposizione di fase.
Per quanto riguarda il coefficiente di rifrazione t, esso è sempre maggiore o
minore di uno a seconda che R2 sia maggiore di R1 o viceversa. Quando R2 è molto
maggiore di R1, cioè in pratica nel passaggio da un mezzo rigido ad uno con rigidità
minore, il coefficiente di rifrazione t tende a 2, quindi si ha un’amplificazione
dell’onda.
Questo chiarisce in parte gli effetti disastrosi dei terremoti sui manufatti fondati su
terreni a bassa rigidità sovrapposti a terreni rigidi e l’importanza che si dà alla corretta
valutazione della rigidità sismica dei terreni, specialmente se riferita alle onde di
taglio che hanno un potere distruttivo maggiore di quello delle onde di compressione.
Bisogna considerare anche il fatto che le formazioni presenti nel sottosuolo sono
spesso in condizioni di saturazione totale (sottofalda) e che le azioni in campo
43
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
dinamico avvengono molto rapidamente, trovandoci in condizioni di drenaggio
impedito, per cui il fenomeno sismico produce deformazioni volumetriche (indotte
dalle onde P) trascurabili rispetto a quelle distorsionali (indotte dalle onde S), quindi
la modellazione meccanica di un fenomeno sismico viene fatto con l’utilizzo di onde
di taglio S.
3.2
INDAGINI INDIRETTE
3.2.1 SISMICA A RIFRAZIONE
La sismica a rifrazione è un metodo attualmente utilizzato in:
- ingegneria civile per studi preliminari, per la determinazione della geometria e
delle caratteristiche fisico-meccaniche del sottosuolo, per la ricerca di cavità;
- idrogeologia per trovare la profondità della superficie piezometrica, zone fratturate,
canali carsici;
- ricerca petrolifera per la determinazione dei parametri della zona alterata e delle
caratteristiche delle formazioni superficiali.
Lo scopo della prova consiste nel caratterizzare dinamicamente, tramite la misura
della velocità di propagazione delle onde di compressione (VP) e di taglio (VSH), le
unità litologiche presenti nell’area di indagine e determinare la geometria (spessori e
superfici di contatto) nel sottosuolo. L’utilizzo sia delle onde di compressione che di
taglio consente di calcolare i moduli elastici dinamici ed il coefficiente di Poisson.
E’ bene ricordare che un orizzonte sismico non necessariamente coincide con un
orizzonte litologico, in quanto la velocità di propagazione di un impulso sismico, può
variare nell’ambito di uno stesso litotipo perché per variazioni di compattazione,
fratturazione, porosità ecc., cambiano le caratteristiche elastiche.
La prova trova il suo miglior campo di applicazione con profondità delle
coperture da esplorare inferiore ai 30-40 m. Si rende necessaria soprattutto quando i
44
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
risultati da ottenere devono essere di qualità e precisione discreta e quando
interessano dati medi relativi ad ampi volumi di terreno.
La sismica a rifrazione consiste nel produrre sulla superficie del terreno, in
prossimità del sito da indagare, sollecitazioni dinamiche verticali per la generazione
delle onde P e orizzontali per la generazione delle onde SH e nel registrare a distanze
note e prefissate mediante geofoni rispettivamente a componente verticale ed
orizzontale, le vibrazioni prodotte.
La sismica a rifrazione con onde di taglio SH è ancora scarsamente utilizzata nella
prospezione sismica, pur avendo dimostrato una buona applicabilità, costi di
esecuzione contenuti e soprattutto una maggiore risoluzione in particolari situazioni,
rispetto alle onde di compressione.
Bisogna dire però che negli ultimi anni questa pratica si sta accompagnando
sempre più spesso alla sismica a rifrazione in onde P, poiché per i problemi di
microzonazione sismica il parametro VS è fondamentale per la caratterizzazione
geologico-tecnica dei litotipi, per la determinazione dei parametri elasto-dinamici e
per il corretto funzionamento di alcuni programmi di calcolo sia di tipo 1D che 2D
che permettono di calcolare spettri di risposta, fattori di amplificazione etc..
L’indagine consiste nel produrre sulla superficie del terreno sollecitazioni
dinamiche orizzontali di direzioni opposte e nel registrare le vibrazioni prodotte a
distanze note mediante sensori a componente orizzontale. L’interpretazione dei
segnali rilevati e la conseguente stima del profilo di velocità delle onde SH possono
ricondursi
sostanzialmente
a
due
fasi
fondamentali:
la
prima
relativa
all’individuazione del primo arrivo in SH, la seconda rappresentata dalla
ricostruzione delle dromocrone e successiva relativa interpretazione secondo le
normali tecniche utilizzate per le onde P.
La catena dei geofoni che costituisce il sistema ricevente, si chiama stendimento;
lo stendimento, insieme con il numero degli scoppi viene comunemente chiamato
copertura. Il numero degli scoppi per ogni linea sismica può variare da un minimo di
3 fino ad un massimo di 9, a seconda dell’accuratezza con cui si vuole ricostruire la
45
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
geometria del riflettore, dalla profondità a cui esso si trova, dalle caratteristiche dei
materiali che costituiscono il sito e dalla lunghezza dello stendimento.
Uno schema relativo alla geometria di acquisizione è illustrato in figura 4.4.
Fig. 3.4 – Schema di acquisizione di una prova sismica a rifrazione, attraverso
l’utilizzo di sette punti di energizzazione e 24 ricevitori
L’apparecchiatura utilizzata in questo tipo di prove si deve comporre delle
seguenti parti:
x sistema sorgente;
x sistema di ricezione;
x trigger;
x sistema di acquisizione dati.
Per tale metodologia di prospezione, particolare cura va posta nella scelta del
“sistema sorgente” che deve essere in grado di generare onde elastiche ad alta
frequenza, ricche di energia, con forme d’onda ripetibili e direzionali, cioè con la
possibilità di ottenere prevalentemente onde di taglio polarizzate sul piano
orizzontale.
L’energizzazione per onde P può essere eseguita tramite caduta libera di un grave
da un’altezza di circa 3 m; sistemi vibranti, cioè tavole ancorate al suolo alle quali si
imprimono vibrazioni a frequenza nota e voluta, con possibilità di variazione della
frequenza impressa; martello; cannoncino industriale; esplosivo, rappresentato da una
carica di dinamite interrata e fatta esplodere al fondo di un perforo appositamente
eseguito, a profondità e in quantità dettate dallo scopo dell’obiettivo da raggiungere.
46
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
Le onde SH vengono normalmente generate con un parallelepipedo di legno o una
cassa di ferro, riempita di materiale terrigeno, entrambi di forma tale da poter essere
colpiti lateralmente ad ambedue le estremità con una massa pesante.
In tutti e due i casi l’asse maggiore del sistema sorgente deve essere posto
perpendicolarmente alla direzione dello stendimento.
E’ importante che il parallelepipedo venga gravato di un carico statico addizionale
in modo che possa rimanere aderente al terreno, sia al momento in cui viene colpito,
sia successivamente, affinché l’energia prodotta non venga in parte dispersa.
Un buon accoppiamento parallelepipedo-terreno si ottiene facilmente in terreni a
granulometria fine; nel caso di presenza di terreni a granulometria più grossolana sarà
necessario mettere uno strato di materiale fine a contatto con il parallelepipedo
energizzante.
La scelta del tipo di energizzazione dipende dalle caratteristiche del sito da
indagare e dall’analisi costi-benefici; naturalmente più potente sarà l’energizzazione
più vantaggi si avranno, ed in particolare si otterranno un aumento del contrasto
segnale-rumore, una migliore qualità del segnale ed una profondità di investigazione
maggiore.
Il sistema di ricezione è costituito da 24 geofoni verticali per le onde P con
frequenza propria variabile tra 4 e 14 Hz e 24 geofoni orizzontali per le onde SH con
frequenza variabile tra 4.5 e 15 Hz. La distanza intergeofonica in genere è di 5 m
sulla stesa di 120 m e 10 m sulla stesa di 240 m.
Il trigger generalmente consiste in un circuito elettrico che viene chiuso
nell’istante in cui viene generata la sollecitazione sismica di input, consentendo ad un
condensatore di scaricare la carica precedentemente immagazzinata che viene inviata
ad un sensore collegato al sistema di acquisizione dati; in questo modo è possibile
individuare l’esatto istante in cui la sorgente viene attivata e parte la sollecitazione
dinamica.
47
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
Il sistema di acquisizione dati è un sistema multicanale (24 canali) in grado di
registrare su ciascun canale le forme d’onda e di conservarle su memoria di massa
dinamica a 16 bit. Esso è collegato a ciascuno dei trasduttori di velocità ed al trigger
consentendo di registrare in forma numerica e visualizzare come tracce su un apposito
monitor le vibrazioni a partire dall’impulso inviato al trigger.
Per l’acquisizione in SH, poiché è necessario eseguire la differenza tra la traccia
relativa alla battuta destra e quella relativa alla battuta sinistra, occorre una
strumentazione che preveda l’inversione di polarità.
L’interpretazione dei segnali rilevati e la conseguente stima del profilo di velocità
delle onde P ed SH possono ricondursi sostanzialmente a due fasi fondamentali: la
prima relativa all’individuazione del primo arrivo, la seconda rappresentata dalla
ricostruzione delle dromocrone e successiva relativa interpretazione (Delay-time,
GRM, tempo intercetto).
La sismica a rifrazione presenta dei limiti insiti nel metodo che portano alla sua
inapplicabilità o ad una certa approssimazione in determinati contesti. Questi limiti
sono essenzialmente quattro:
-
inversione di velocità, cioè con uno strato a velocità minore rispetto al
superiore, che comporta una sovrastima delle profondità anche del 20-30% in
quanto tale strato non appare nel diagramma tempo-distanza;
-
strato sottile (blind zone), che è la causa di errori nel calcolo di profondità
perché questo strato non è visibile nel diagramma tempo-distanza;
-
elevata inclinazione del rifrattore, per cui l’onda rifratta non arriva in
superficie;
-
poca estensione laterale dello strato, che provoca lo stesso effetto del rifrattore
troppo inclinato.
Come accennato precedentemente, i metodi di interpretazione dei dati di sismica a
rifrazione sono:
-
metodo del tempo intercetto;
48
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
-
metodo del Delay-time;
-
metodo reciproco generalizzato (GRM).
In questa sede sarà discusso solo il metodo GRM in quanto questo è stato
utilizzato.
Si considera il rifrattore piatto localmente dato che si considera tale solo sulla
verticale di R, R’ che non è raggiunto dagli arrivi rifratti.
Quando il marker è orizzontale, gli arrivi rifratti registrati in R si originano da C
ed E traslati da una distanza chiamata half-offset h tanic. Se si vuole calcolare il
delay-time che corrisponde alla rifrazione che si ha nel punto H di figura 3.5, gli
arrivi rifratti devono essere registrati ai ricevitori X e Y per entrambi gli scoppi
diretto e inverso. I sensori in X e Y sono situati in entrambi i lati del punto R. La
distanza XY corrisponde al doppio dell’offset 2 h tanic. Questo nuovo approccio
chiamato metodo GRM (Generalized Reciprocal Method), è il miglioramento del
delay-time è consiste nel calcolare le curve t+ e t- in funzione della distanza XY.
Fig. 3.5 – Metodo GRM
49
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
Il valore ottimale di XY è la distanza per la quale:
-
la curva t- dà il profilo di velocità più liscio;
-
la curva t+ dà un profilo di profondità (in tempi) meno liscio.
3.2.2 SISMICA A RIFLESSIONE
La sismica a riflessione è una metodologia che, seppur largamente utilizzata per
l’esplorazione geologica del sottosuolo (ad esempio nella ricerca petrolifera), trova,
nella prospezione “a piccola profondità” un impiego ancora molto limitato soprattutto
considerandone le grandi potenzialità. E’ pur vero che in taluni contesti geologici,
questa metodologia, almeno nella casistica nota, ha fornito risultati non sempre
soddisfacenti ma il poter superare quei limiti propri della tecnica a rifrazione
soprattutto per quanto riguarda la ricostruzione delle geometrie del sottosuolo la
rende di estremo interesse soprattutto se eseguita con modalità che consentono una
risoluzione molto alta.
In figura 3.6 è possibile osservare la geometria di esecuzione di una prospezione
sismica a riflessione secondo una delle modalità esecutive più diffuse nelle
prospezioni a piccola profondità (off-end push increase), in cui la sorgente è
all’esterno dello stendimento dei geofoni (off-end spread), secondo una distanza dal
primo ricevitore (offset) necessaria per minimizzare l’interferenza tra le onde di
superficie e gli arrivi riflessi.
Fig. 3.6 – Schema
semplificato
di
esecuzione di una
prospezione sismica a
riflessione,
secondo
una geometria di tipo
off-end push increase
50
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
Come è noto, a differenza della metodologia sismica a rifrazione, nella
prospezione sismica a riflessione si utilizza tutta la registrazione e per quanto attiene
la metodologia “multicanale”, l’elemento caratterizzante è rappresentato, in sintesi,
dalla correzione e somma di tutte le tracce che convergono in un unico punto (CDP).
Mediante un opportuno processing vengono raccolte varie tracce dei
sismogrammi che convergono sul medesimo CDP (famiglia). Indi viene individuata
la velocità di propagazione dei singoli livelli riflettori e si apporta così una correzione
temporale alle tracce di ogni singola famiglia (correzione di move-out) in modo da
poterle poi sommare aumentando il rapporto segnale – rumore (stacking e creando
una sezione stack) in cui visualmente è possibile riconoscere i singoli riflettori.
Naturalmente esiste tutta un’altra serie di operazioni che si svolgono in fase di
processing quali filtraggi, filtraggi F – K, deconvoluzione, correzioni statiche, etc.,
che rendono tale metodologia ancora poco utilizzata nel mondo professionale per
problematiche di tipo geologico ingegneristico. Un’ulteriore difficoltà è dovuta al
fatto che più è superficiale la prospezione più difficoltoso è il processing, sia per
problemi legati alla risolutività del metodo, sia per le presenza di onde superficiali
che mascherano le onde di corpo riflesse.
Va rilevato che le onde superficiali (Rayleigh) vengono evidenziate e in qualche
modo filtrate nel caso di prospezioni con onde di compressione (arrays, filtri di
frequenza e F - K). Per le onde SH, per la particolare disposizione dei geofoni e per il
sistema di energizzazione adottato, questo tipo di onde superficiali non è presente;
sono talora presenti, invece, onde di Love che possono essere eliminate o ridotte sia
in fase di acquisizione sia in fase di processing.
Come per la sismica a rifrazione, anche la sismica a riflessione può essere
eseguita utilizzando sia le onde di compressione (P), sia quelle di taglio S. In
quest’ultimo caso, è opportuno sottolineare che quando si parla di onde S ci si vuol
riferire alle onde SH (onde di taglio polarizzate orizzontalmente), perché in
condizioni normali, a differenza delle SV, non trasmutano e questo è importante
soprattutto perché in mezzi eterogenei come in genere quelli superficiali risulta il più
delle volte impossibile riconoscere le SV dalle P. In generale, ma soprattutto per
51
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
formazioni non lapidee, il metodo in SH è da preferire alla riflessione in P,
specificatamente per ciò che riguarda le indagini di rischio sismico per i seguenti
motivi:
x
evidenzia livelli a contrasto di rigidità sismica;
x
permette di evidenziare livelli di inversione di velocità delle onde di taglio e
conseguentemente contraddistinti da differente rigidità sismica e modulo di taglio
dinamico;
x
non è disturbata dalla presenza di livelli a differente grado di saturazione;
x
consente di acquisire un quadro conoscitivo, relativamente alle geometrie del
sottosuolo migliore rispetto a quello ottenibile dalle perforazioni;
x
fornisce, in particolare per i primi metri dal piano di campagna, i valori di velocità
delle onde di taglio SH per quanto riguarda la propagazione in senso verticale;
x
ha una risoluzione (a parità di frequenza) migliore dalle onde di compressione;
x
ha un’attenuazione (nei mezzi insaturi) minore delle onde di compressione.
Gli svantaggi sono dovuti essenzialmente al costo relativamente alto rispetto alle
altre prospezioni di superficie; ciò è dovuto sia alle particolari cure in ogni sezione sia
per il fatto che non si opera con stendimenti lunghi e che l’interspazio tra i geofoni
deve essere limitato. Inoltre, l’elevato costo è dovuto al fatto che spesso in fase di
processing è necessario analizzare ed isolare le onde superficiali, registrazione per
registrazione o famiglia per famiglia rendendo l’elaborazione molto più onerosa di
quella che in sismica profonda e automatizzata.
52
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
3.2.3 METODOLOGIA DOWN-HOLE
Allo scopo di tarare o rendere comunque più affidabile l’interpretazione di un
rilevamento di superficie, si utilizzano misure sismiche in foro. Questo tipo di misure
va effettuato ogniqualvolta si necessita di un’accurata conoscenza delle caratteristiche
elastiche dei litotipi presenti nel sottosuolo.
Le tecniche di prospezione sismica in foro possono essere distinte principalmente
in base alla geometria di acquisizione, ovvero in riferimento al posizionamento del
sistema sorgente e del sistema di acquisizione.
In figura 3.7 è riportato uno schema semplificato delle tre prove sismiche in foro
più diffuse:
x
la prova cross-hole (fig. 3.7a), in cui vengono richiesti due o più fori di
sondaggio, a distanza di solito non superiore a 10 m, in cui alloggiare il sistema
sorgente ed i ricevitori;
x
la prova up-hole (fig. 3.7b), in cui la sorgente energizzante è posta all’interno
del perforo ed i ricevitori in superficie;
x
la prova down-hole (fig. 3.7c), in cui la sorgente è posta in superficie ed i
sensori all’interno del foro di sondaggio.
Fig. 3.7 – Schema semplificato della geometria di acquisizione delle prove
sismiche in foro: a) prova cross-hole, b) prova up-hole, c) prova down-hole
53
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
Il metodo down-hole rappresenta una delle più accurate misure sismiche per la
determinazione delle proprietà fisico-meccaniche dinamiche dei terreni (Gasperini &
Signanini, 1983).
La metodologia consiste nella registrazione a varie profondità, mediante uno o più
geofoni collocati in foro, dei primi arrivi delle onde generate da una sorgente posta in
superficie a breve distanza dal boccaforo, al fine di ottenere un profilo di
distribuzione delle velocità di propagazione delle onde di corpo nei litotipi presenti
nel sottosuolo.
Si suppone che il volume di terreno, interessato dalle indagini sia stratificato
orizzontalmente e che all’interno di ogni strato il comportamento del terreno si possa
considerare elastico, omogeneo ed isotropo. Qualora queste caratteristiche non siano
verificate è necessario operare con più punti di energizzazione.
Esecuzione della prova
L’esecuzione della prova down-hole deve essere preceduta da una fase
preparatoria di realizzazione del foro in cui alloggiare i ricevitori e di preparazione
degli strumenti di registrazione. Durante la fase di perforazione del sondaggio è
necessario operare in maniera tale da ridurre al minimo il disturbo sulle pareti e nelle
zone di terreno circostanti il foro. La perforazione deve essere eseguita a rotazione ed
è opportuno sostenere le pareti con fango bentonitico. Successivamente il foro deve
essere rivestito con una tubazione in materiale ad alta impedenza alle vibrazioni. Si
devono utilizzare tubi a sezione circolare in PVC, di spessore maggiore o uguale a 3
mm.
Infine il foro deve essere cementato in corrispondenza dello spazio anulare
compreso tra le pareti e il tubo di rivestimento e chiuso con un packer, in modo da
garantire la continuità del contatto terreno-tubazione.
Una prova down-hole consiste nel produrre, sulla superficie del terreno, una
sollecitazione orizzontale mediante una sorgente meccanica, e nello studiare il treno
d’onde, P e S, che si propagano all’interno del terreno alle varie profondità in
direzione verticale, con vibrazioni polarizzate nella direzione di propagazione (onde
54
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
P), e dirette perpendicolarmente alla direzione di propagazione, polarizzate su un
piano orizzontale (onde SH). Mediante due ricevitori (geofoni tridimensionali)
disposti nel terreno a profondità note, viene valutato l’istante di arrivo del treno di
onde P e S, rispetto all’istante in cui vengono indotte le sollecitazioni alla sorgente;
dividendo quindi per tali valori la distanza (nota) tra sorgente e ricevitori, si può
ricavare la velocità delle onde P e S.
L’apparecchiatura utilizzata per questo tipo di prove deve essere composta delle
seguenti parti (fig.3.8):
x sistema sorgente;
x sistema di ricezione;
x sistema di acquisizione dati;
x trigger.
Fig. 3.8 – Schema di esecuzione di una prova down-hole
55
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
La sorgente deve essere in grado di generare onde elastiche ad alta frequenza
ricche di energia, con forme d’onda ripetibili e direzionali, cioè con la possibilità di
ottenere prevalentemente onde di compressione e/o di taglio polarizzate su piani
orizzontali (ed eventualmente anche verticali). Per generare le onde di compressione
P, si utilizzano i metodi classici quali caduta di un grave, mazza, esplosivo, etc.. La
generazione delle onde SH la sorgente è generalmente affidata da un parallelepipedo
di forma tale da potere essere colpito lateralmente ad entrambe le estremità con un
martello (fig. 3.9).
E’ importante che il parallelepipedo venga gravato di un carico statico addizionale
in modo che possa rimanere aderente al terreno sia al momento in cui viene colpito
sia successivamente, affinché l’energia prodotta non venga in parte dispersa. Con
questo dispositivo è possibile generare essenzialmente delle onde elastiche di taglio
polarizzate orizzontalmente, con uniformità nella polarizzazione e con una
generazione di onde P trascurabile. Inoltre, data l’entità di energia generalmente
prodotta, le deformazioni indotte nel terreno in prossimità della superficie sono
inferiori a 10-2% e decrescono con la profondità.
Fig. 3.9 – Particolare della fase di energizzazione in onde SH
56
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
Risulta estremamente importante curare un buon accoppiamento (coupling) tra il
terreno ed il sistema energizzante, soprattutto nell’esecuzione di prove in onde SH (lo
stesso concetto è estendibile alle altre prospezioni geofisiche in campo sismico che
utilizzano gli stessi sistemi energizzanti e che saranno illustrate nei paragrafi
successivi), al fine di evitare che l’energia prodotta in parte venga dispersa e che si
proceda alla generazione di onde puramente di taglio, senza che sia ravvisabile alcun
importante contenuto in onde P.
Il sistema di ricezione, nella sua versione ottimale, si deve comporre di due (o
più) ricevitori, ciascuno dei quali è costituito da un trasduttore di velocità orientato
secondo le componenti di una terna cartesiana ortonormale. I trasduttori devono
possedere appropriate caratteristiche di frequenza e sensitività tali da potere ricevere
in maniera adeguata il treno d’onde prodotto dalla sorgente. La risposta in frequenza
dei trasduttori non deve variare più del 5% su un campo di frequenze compreso tra
metà e due volte la frequenza predominante del treno d’onde che si propaga
all’interno del mezzo.
I ricevitori devono essere collegati, secondo la loro lunghezza, in modo di fissarne
la distanza verticale (compresa tra 1 e 3 m) e l’orientazione relativa (in modo che i
trasduttori orizzontali siano paralleli e concordi a due a due) e in modo tale da potere
anche controllare dalla superficie l’orientazione assoluta. Bisogna porre particolare
attenzione al fatto che i sistemi previsti per mantenere costanti le distanze e per
garantire l’isorientazione dei geofoni non producano interazione sismica tra i due
sensori. E' necessario, inoltre, adottare un adeguato sistema di ancoraggio per
garantire un buon accoppiamento in foro tra i ricevitori e le pareti di rivestimento.
Il trigger generalmente consiste in un circuito elettrico che viene chiuso
nell’istante in cui viene generata la sollecitazione sismica di input, consentendo ad un
condensatore di scaricare la carica precedentemente immagazzinata che viene inviata
ad un sensore collegato al sistema di acquisizione dati; in questo modo è possibile
individuare e visualizzare l’esatto istante in cui la sorgente viene attivata ed in cui la
sollecitazione dinamica ha inizio.
57
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
Un ottimale sistema-trigger (interruttore, geofono starter, etc.) all’atto di
sollecitazioni ripetute non deve presentare differenze di chiusura circuito superiori a
0.5 millisecondi.
Il sistema di acquisizione dati è costituito da un sistema multicanale in grado di
registrare su ciascun canale in forma digitale le forme d’onda e di conservarle su
memoria di massa dinamica minima a 16 bit. Esso è collegato a ciascuno dei
trasduttori di velocità e al sensore del trigger e consente quindi di registrare in forma
numerica e visualizzare come tracce su un apposito monitor le vibrazioni a partire
dall’impulso inviato dal trigger.
Elaborazione dei dati
La metodologia classica di elaborazione dei dati di una prova down-hole si
articola nelle seguenti fasi:
1. picking dei primi arrivi, che consente di conoscere i tempi di arrivo
obliqui;
2. misura dei tempi di ricezione dei primi impulsi rilevati (t);
3. calcolo dei tempi verticali (t*), cioè tempi per percorsi verticali (secondo
l’asse del perforo), secondo la seguente equazione:
t* =
z
t=
d
z
2
z +R 2
t
(3.7)
dove
t* è il tempo verticale;
z la profondità del ricevitore;
d la distanza effettiva tra sorgente e ricevitore;
R la distanza superficiale tra sorgente e centro del foro;
t il tempo obliquo registrato dal geofono, come visibile nello schema semplificato
in figura 3.10.
58
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
Fig. 3.10 – Schema semplificato di una prova down-hole in cui z è la
profondità verticale d’investigazione, R la distanza superficiale tra sorgente
e boccaforo e d l’effettivo percorso delle onde sismiche dallo shot-point al
ricevitore
Infatti, il percorso delle onde sismiche dovrebbe essere verticale dalla sorgente al
ricevitore, per cui l’energizzazione dovrebbe essere fatta il più vicino possibile al
pozzo; questa necessità si scontra, comunque, con l’esigenza di allontanare la
sorgente dal boccaforo per far in modo che i primi arrivi registrati nel sismogramma
non siano dovuti al percorso fatto lungo la cementazione del foro alla velocità del
cemento (rifrazione sul casing).
La distanza sorgente-boccaforo va valutata caso per caso anche in relazione alla
quantità di cemento utilizzata. Se, infatti, la quantità di boiacca è più del doppio
dell’interspazio foro-tubo, essa va aumentata. In genere tale distanza non è maggiore
di tre metri, considerando anche il fatto che all’aumentare di questa aumenta la
possibilità di avere primi arrivi rifratti e non diretti e di misurare, quindi una velocità
orizzontale. I dati possono essere attendibili quando la profondità del geofono P è
maggiore della distanza boccaforo-punto energizzante R.
59
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
Per determinare il tempo di arrivo delle onde P e S ai ricevitori, si procede ad
un’analisi visuale delle registrazioni delle vibrazioni rilevate dai trasduttori del
ricevitore confrontate con il segnale di trigger.
Operando con il doppio sistema di energizzazione, percussione verticale per le
onde P, percussione orizzontale per le SH, nelle registrazioni energizzate in verticale
si valuterà il primo attivo in P; nelle registrazioni energizzate con percussione
orizzontale, sottratte le registrazioni “battuta destra-battuta sinistra”, il primo arrivo
sarà costituito dalle onde di taglio SH poiché eventuali onde di compressione
provocate durante l’energizzazione tenderanno, con la differenza “battuta destrabattuta sinistra” a ridursi in ampiezza laddove le SH (che invertono in polarità a
seconda della direzione di battuta) tenderanno a sommarsi aumentando così
d’ampiezza.
S’ipotizza che il percorso delle onde tra sorgente e ricevitori sia rettilineo,
trascurando i fenomeni di rifrazione che ne modificano il percorso.
Va rilevato che non sempre i tracciati registrati dai ricevitori sono chiari e
univocamente interpretabili sia per l’eventuale presenza di onde rifratte di ampiezze
non trascurabili che, precedendo quelle dirette, ingannano sui reali tempi d’arrivo
indicando velocità intervallari anomale e sia perché, soprattutto in profondità,
l’istante di primo arrivo delle onde non è talora facilmente individuabile; sfruttando il
fatto di disporre di più ricevitori si può far riferimento ai tracciati registrati da
ciascuno di essi ricercando dei punti caratteristici (picchi o valli) successivi al primo
arrivo ritrovabili in entrambi i segnali e stimandone il ritardo e quindi ricavando la
velocità d’intervallo (in tal caso affinché ad ogni picco dell’una registrazione
corrispondano rispettivamente i picchi o le valli dell’altra è necessario che sia stata
precedentemente stimato l’effetto dell’orientazione dei trasduttori rispetto alla
direzione di propagazione delle onde e che sia noto se i trasduttori siano orientati in
maniera concorde o discorde).
A seguito della correzione dei tempi, si procede alla creazione di un diagramma
profondità-tempi verticali, in cui rappresentare i tempi corretti in funzione della
profondità della terna geofonica.
60
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
Il passo successivo è quello di individuare le dromocrone (fig. 3.11), cioè gli
intervalli caratterizzati da una pendenza costante; tali pendenze sono sintomatiche
della velocità di propagazione delle onde di corpo nei diversi sismostrati individuati.
Per una maggiore comprensione della distribuzione delle velocità sismiche nel
sottosuolo è possibile creare un diagramma profondità-velocità intervallari, come
riportato in figura 3.12.
Fig. 3.11 – Grafico delle
dromocrone del DHS14 ubicato
nel comune di Fivizzano, località
Capoluogo.
Fig. 3.12 – Grafico delle velocità
intervallari del DHS14.
L’utilizzo di indagini down-hole permette, quindi, una caratterizzazione in situ del
terreno in termini di parametri elasto-dinamici e spessori dei sismostrati indagati. Gli
svantaggi sono dati dal carattere estremamente puntuale del dato acquisito e dalla
61
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
scarsa attendibilità dello stesso per profondità d’investigazione inferiori alla distanza
superficiale tra sorgente sismica e boccaforo.
Infine, malgrado fosse ritenuto impossibile dalla maggior parte della comunità
scientifica operante nel settore realizzare prove down-hole con profondità maggiori di
circa 30 metri dal piano campagna (soprattutto per problemi di attenuazione del
segnale che, come è risaputo, in tali tecniche è generato in superficie), in studi di
esplorazione del sottosuolo nelle aree di indagine in Toscana, si sono ottenuti risultati
soddisfacenti con prove down-hole spinte ad elevate profondità.
3.3
INDAGINI DIRETTE
Le indagini geognostiche permettono la ricostruzione dei principali lineamenti del
sottosuolo ed integrano gli elementi raccolti attraverso il rilevamento geologico di
superficie. In particolare, mediante queste indagini è possibile identificare le proprietà
fisiche, meccaniche, mineralogiche dei corpi sepolti, il loro assetto geometrico,
nonché le caratteristiche strutturali e idrogeologiche.
Tali indagini si dividono in due gruppi a seconda che vengano eseguite in sito o in
laboratorio.
Le prove di laboratorio vengono effettuate su piccoli campioni di terreno prelevati
in sito. Questi dati sono dei dati puntuali cioè riferiti ad una porzione piccola e
limitata di terreno e dal momento che questi hanno subito un disturbo durante
l’esportazione e sono stati privati delle loro condizioni naturali, è opportuno che i
risultati ottenuti da tali prove vengano confrontati con i dati delle prove di sito. Per
questo motivo le indagini in sito sono da preferirsi a quelle di laboratorio, anche se
quest’ultime sono economicamente meno onerose.
Le prove in situ tendono a fornire indicazioni dello stesso ordine di grandezza del
problema affrontato, in quanto i risultati si riferiscono a materiali situati nella loro
posizione naturale e sottoposti alle reali sollecitazioni di carattere litostatico e
tensionale.
62
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
La determinazione delle proprietà fisiche e mineralogiche avviene di norma
attraverso indagini di laboratorio mentre per le caratterizzazioni meccaniche si può
ricorrere sia a prove di sito che a prove di laboratorio.
In generale possiamo affermare che quando si affronta un problema di carattere
geologico vanno eseguite sia le prove in sito sia le prove di laboratorio e dall’analisi
comparata dei dati ottenuti si riesce ad avere una buona caratterizzazione geologicatecnica dei materiali e a ricostruire delle sezioni geologico-tecniche che meglio
approssimano le reali situazioni di sito.
3.3.1
INDAGINI IN SITO
Le prove in sito permettono di identificare la natura dei terreni e di ricostruirne la
stratigrafia oltre che ad identificare i principali lineamenti del sottosuolo.
La raccolta di tali dati viene effettuata o in modo diretto, attraverso la
realizzazione di sondaggi meccanici e prove penetrometriche o in modo indiretto,
attraverso le indagini geofisiche.
Naturalmente i sondaggi meccanici sono da preferirsi, nonostante abbiano costi di
realizzazione elevati e tempi di esecuzione elevati, poiché danno informazioni dirette
sulla litologia dei terreni attraversati. D’altra parte le indagini geofisiche hanno il
limite di fornire indicazioni solamente su alcune proprietà intrinseche del terreno
quali velocità delle onde sismiche, resistività ecc, però presentano molti vantaggi
come rapidità di esecuzione, elevata profondità d’indagine e costi contenuti. E’ bene
comunque ricordare che le indagini indirette devono essere eseguite ad integrazione
di indagini dirette puntiformi. Queste ultime, infatti, svolgono la funzione di taratura
per i dati geofisici.
63
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
3.3.1.1
Sondaggi geognostici
Le perforazioni di sondaggio hanno lo scopo di:
x
ricostruire il profilo stratigrafico mediante l’esame dei campioni estratti;
x
consentire il prelievo dei campioni per la determinazione delle proprietà
fisiche e meccaniche;
x
consentire l’esecuzione di rilievi e misure sulle acque sotterranee;
x
consentire, mediante l’esecuzione di prove in sito, la determinazione delle
proprietà geotecniche.
Il numero può variare a seconda dell’estensione dell’area da indagare, delle
caratteristiche geologiche dei terreni e del tipo di opere da realizzare. Anche nelle
problematiche più semplici è comunque necessario eseguire almeno due sondaggi per
correlare orizzontalmente i dati individuati nelle singole perforazioni.
Per quanto riguarda l’ubicazione del sondaggio in superficie, essa dipende dal tipo
di problema esistente, dalle caratteristiche geologiche dell’area ed anche dagli aspetti
logistici legati all’accessibilità della zona.
I sondaggi devono approfondirsi in misura tale da attraversare il volume del
sottosuolo direttamente interessato dalla problematica geologica.
Il loro diametro sarà in genere di circa 100 mm per campionare continuamente il
materiale, mentre tale misura potrà cambiare sensibilmente nel caso di inserimenti di
strumenti nel foro.
Le tecnologie di perforazione più utilizzate sono la perforazione a rotazione,
eseguita mediante un utensile che ruota sul fondo del foro staccando frammenti di
materiale, e la perforazione a percussione, in cui l’utensile di perforazione viene
infisso nel terreno o per caduta dello strumento stesso o per mezzo di una massa
battente.
64
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
3.3.1.2
Prove penetrometriche dinamiche
La prova consiste nell’infissione a percussione di uno speciale campionatore che,
penetrando nel terreno, consente di valutarne la resistenza meccanica alla
penetrazione, attraverso la misura del numero di colpi corrispondenti ad un dato
avanzamento dello strumento.
Così facendo si valuta lo stato di addensamento dei terreni.
Queste prove sono spesso usate per integrare le correlazioni stratigrafiche fra
sondaggi, a causa del loro costo relativamente contenuto, e per dedurre la resistenza
del terreno e la deformabilità degli strati attraversati.
In tali prove l’infissione dello strumento avviene per caduta libera di un maglio di
determinato peso Q ed una determinata altezza H. Tanto più sono numerosi i colpi
richiesti per l’infissione standard dello strumento, tanto maggiore è la resistenza del
terreno attraversato. Inoltre è possibile stimare mediante correlazioni empiriche i
seguenti parametri:
-
densità relativa (Dr);
-
angolo di resistenza al taglio (IJR);
-
resistenza alla liquefazione dei terreni granulari;
-
modulo di taglio a piccole deformazioni sia nel caso di terreni a grana grossa
che in quelli a grana fine.
La prova può essere effettuata in fori di sondaggio, oppure in fori appositamente
eseguiti. Sul fondo del foro, accuratamente pulito, dovrà essere infisso a percussione
un campionatore di forma e dimensioni standard. Viene determinato il numero di
colpi necessari alla penetrazione di 45 cm, misurati separatamente in tre tratti di 15
cm ciascuno. Questa prova è denominata prova SPT (Standard Penetration Test).
Il campo di applicabilità della prova è in rapporto alla natura del terreno, infatti la
prova va di solito eseguita in terreni granulari come sabbie e ghiaie fini e in presenza
di grossi elementi lapidei la prova perde di significato.
65
CAPITOLO 3 – Metodologie di esplorazione geologica del sottosuolo
L’apparecchiatura per la realizzazione di una prova penetro metrica dinamica
deve essere fornita di:
x
tubo campionatore, che di solito è fatto di acciaio indurito con superfici
esterne ed interne lisce. Esistono diversi tipi di tubi campionatori. Uno tra i
più utilizzati è quello tipo Raymond. Questo tubo, oltre la quota della
scarpa, presenta un allargamento del diametro interno da 35 a 38,1 mm, in
quanto è previsto il posizionamento di un cilindro portacampione in plastica;
x
aste, di norma in acciaio che collegano la testa di battuta del maglio con il
campionatore. Queste devono essere diritte presentando un’inflessione
inferiore all’1 per mille;
x
dispositivo di battuta, che consiste di una testa di battuta in acciaio
strettamente avvitata all’estremità della batteria di battuta, un maglio ed un
dispositivo per una caduta libera del maglio di 760 mm.
66
CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici
CAPITOLO 4
4.
MODULI ELASTO-DINAMICI
Recentemente è cresciuto l’interesse da parte degli ingegneri per i parametri
elastici del terreno determinati per via sismica, detti anche “dinamici” per distinguerli
da quelli ottenibili in laboratorio su campioni indisturbati, detti “statici”.
In generale, però, tutte le prove geotecniche, pur avendo raggiunto un elevato
grado di sofisticazione ed affidabilità, soffrono della limitazione di essere puntuali,
cioè relative ad un modesto volume di roccia, anche perché sono effettuate, nella
maggior parte dei casi, su provini in laboratorio; pertanto esse non possono
rappresentare completamente il comportamento di un terreno nelle sue condizioni di
giacitura naturale. Viceversa le determinazioni effettuate per via sismica, utilizzando
cioè i valori delle velocità delle onde P ed SH ricavate durante le varie prove
geofisiche, sono riferibili a volumi di roccia significativi ed in condizioni
indisturbate; inoltre i parametri determinati per via sismica sono riferiti a
sollecitazioni di tipo dinamico e pertanto più significativi nei problemi di ingegneria
sismica.
E’ di fondamentale importanza una corretta valutazione delle velocità delle onde
di compressione e di taglio e della densità del mezzo attraversato per una giusta
valutazione dei parametri elasto-dinamici.
Determinare esattamente i valori dei moduli che caratterizzano il mezzo permette
di ottenere utili informazioni circa la sua natura e il tipo di risposta alle sollecitazioni
dinamiche.
67
CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici
4.1 VELOCITA’ NEI MEZZI POROSI
I mezzi porosi sono i materiali più complessi da studiare per la loro natura
granulare e per la presenza delle fasi solida, liquida e gassosa.
La velocità in un mezzo poroso è funzione di una molteplicità di parametri che
interagiscono tra di loro. E’ comunque possibile individuare due parametri
fondamentali direttamente influenzanti la velocità:
-
la superficie di contatto tra i singoli granuli;
-
la fase tra i granuli.
Questi due parametri sono a loro volta funzione di:
-
porosità;
-
saturazione in una fase;
-
pressione;
-
grado di accoppiamento (coupling) solido-fluido;
-
temperatura.
Tutti questi parametri agiscono in maniera proporzionalmente analoga sia sulle
onde P che sulle onde S. L’unico comportamento divergente si ha riguardo al grado
di saturazione.
4.1.1
EFFETTO DELLA POROSITA’
La velocità di un’onda P o S diminuisce all’aumentare della porosità, come
mostrato nelle figure 4.1 e 4.2.
Fig. 4.2 – Velocità di
sedimenti
marini
sabbiosi saturati in
funzione della porosità
(x); la curva si riferisce
alla velocità teorica; la
retta si riferisce alla
velocità dell’acqua
68
CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici
Fig. 4.1 – Velocità delle onde P in funzione della porosità per campioni di 2 tipi di
arenarie (x e u); le due curve si riferiscono, invece, a due equazioni di descrizione
del fenomeno, delle quali quella in alto è l’equazione n. 2 di Willie o equazione
time-average
4.1.2
EFFETTO DELLA SATURAZIONE
La saturazione è l’unico parametro che agisce in maniera differente riguardo
alle onde P (figura 4.3) e alle onde S (figura 4.4).
Fig. 4.3 – Velocità
delle onde P in
rapporto
alla
saturazione in acqua
69
CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici
Fig. 4.4 – Velocità delle onde S in rapporto alla saturazione in acqua
Come si osserva nelle figure, l’aumento della saturazione in acqua porta per le
onde P prima una diminuzione, poi un aumento della velocità; per le onde S una
diminuzione della velocità.
4.1.3
INFLUENZA DELLA PRESSIONE
La figura 4.5 illustra quattro curve di velocità per un’onda P e tre per un’onda S
in funzione della pressione essendo:
x
Pc = pressione di confinamento;
x
Pp = pressione dei pori;
x
Pe = pressione effettiva.
Pe = Pc - Pp
(5.1)
70
CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici
Quando la pressione dei pori è nulla (curve 1 e 2), cioè in condizioni drenate
(sistema aperto), si ha una forte variazione della velocità delle onde P ed S per
pressioni di confinamento minori di 1 kbar: queste variazioni sono dovute alla
chiusura dei pori sotto l’effetto della pressione di confinamento, in assenza
dell’azione di contrasto esercitata dalla pressione dei pori. Notare la grande
variazione di velocità per le onde P che si propagano sia nel solido che nel liquido, e
la modesta variazione che si ha per le onde S che non si propagano nel fluido.
Quando la pressione dei pori uguaglia la pressione di confinamento (curve 3 e 4),
cioè in condizioni non drenate (sistema chiuso) i pori non possono chiudersi come
nel caso precedente e la variazione di velocità è piccola e linearmente proporzionale
alla pressione.
Fig. 4.5 – Influenza della pressione di sconfinamento
sulla velocità
71
CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici
E’ interessante vedere in figura 4.6, in condizioni drenate (sistema aperto)
l’andamento della velocità per le onde P in funzione della pressione, al variare della
saturazione.
In riferimento alla stessa figura si osserva che all’aumentare della pressione la
velocità rimane costante se il campione è saturo (100%) mentre aumenta e va
all’asintoto orizzontale per un grado di saturazione del 95% e se il campione è secco,
con valori maggiori nel primo caso.
Fig. 4.6 – Effetto della pressione sulla velocità in campioni
secchi, saturi e parzialmente saturi
72
CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici
4.1.4
EFFETTO DELLA TEMPERATURA
La figura 4.7 mostra come la velocità delle onde P varia in funzione della
temperatura e della natura del fluido. La variazione di temperatura fa variare la
viscosità che influisce direttamente sulla velocità. Quando la viscosità non cambia,
come per il gas il solido in figura, non ci sono variazioni di velocità.
Fig. 4.7 – Influenza della temperatura sulla velocità
4.1.5
IL MODELLO DI WYLLIE
Tra tutti i parametri che influenzano la velocità nei mezzi porosi, il fattore
principale è la porosità. Infatti una variazione di porosità dal 3 al 30 % può dare
variazioni di velocità del 60 %.
Le velocità sismiche relative ai mezzi porosi presentano, in particolari
condizioni, dei comportamenti difficili da spiegare. Un modello semplificativo
capace di inquadrare tali comportamenti è quello di Wyllie che appare in figura 4.8.
73
CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici
Fig.
4.8
–
Relazione
teorica tra le
velocità misurate
e la velocità del
fluido per un
accoppiamento
perfetto
Questa figura può essere così interpretata:
x nel caso in cui la componente roccia abbia un valore di velocità molto più alto
della componente fluida (roccia-gas) la velocità misurata sarà quella della roccia;
x nel caso in cui la roccia abbia velocità nettamente inferiore a quella del fluido,
la velocità registrata sarà quella del fluido stesso corretta da un fattore definito
coefficiente di sinuosità del liquido;
x nel caso in cui le due velocità siano circa simili, la velocità registrata V sarà
una media e precisamente espressa dall’equazione n.1 di Wyllie o del time average
1 / V = ĭ / V1 + (1 – ĭ)җ / V2
(4.2)
Le differenze di comportamento descritte possono essere dovute oltre che alle
differenze di velocità su menzionate, anche al grado di porosità della matrice solida.
Infatti, con l’aumento del grado di porosità, la velocità può assumere valori inferiori
a quelli del costituente a più bassa velocità del mezzo poroso.
74
CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici
4.1.6
COMPORTAMENTI ANOMALI RIGUARDANTI LA VELOCITA’
E’ possibile, durante le prospezioni, registrare velocità che potrebbero
sembrare errate, alle quali è possibile, in base a tutto ciò che è stato detto
precedentemente, tentare di dare una spiegazione:
x in un mezzo poroso le velocità delle onde compressionali inferiori a quelle
dell’aria trovano una giustificazione sia teorica che sperimentale: questi valori di
velocità, rilevati nelle coltri più superficiali possono dipendere dal coupling di
matrice ed essendo il primo arrivo in relazione al continuum aria, esso risulterà
inferiore al valore di quest’ultimo mezzo per i descritti fenomeni di sinuosità;
x in un mezzo poroso le velocità delle onde compressionali inferiori a quelle
dell’acqua sotto il piano di falda possono aversi o in presenza di sedimenti con
porosità superiore al 65%, oppure se una fase gassosa sostituisce parzialmente il
mezzo liquido del sistema;
x in un mezzo poroso in cui si ha un aumento del grado di saturazione con la
profondità, il fatto che le onde P segnalino un bed-rock alla profondità reale, mentre
le S sovrastimino la sua profondità, può essere spiegato, con quanto detto
precedentemente: risulta, infatti, che le onde compressionali aumentano di velocità
nel passaggio da condizioni di media saturazione a condizioni di completa
saturazione, mentre le onde trasversali diminuiscono di velocità all’aumentare del
grado di saturazione.
75
CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici
4.2 MODULI ELASTICI
I moduli elastici possono essere utilizzati per risolvere le problematiche
presenti nell’associazione tra velocità e parametri fisici. Infatti l’impiego di questi
permette talora di “bypassare” l’ambiguità connessa con i valori di velocità, pur non
trascurando il fatto che sono ricavati dalle velocità stesse.
4.2.1
MODULO DI YOUNG
Esso è definito dall’equazione:
E= ª¬9U VS2 K/U VS2 º¼ / ª¬3K/U VS2 1º¼
(4.3)
Tale modulo dipende dalla porosità, dalla pressione litostatica e dagli altri moduli
elastici.
Aumenta in misura considerevole quando al campione “dry” a bassa porosità
vengono aggiunte piccole quantità d’acqua; diminuisce quando un campione ad alta
porosità viene sottoposto allo stesso trattamento.
I minimi valori del modulo si registrano in litotipi ad alta porosità saturi in gas,
mentre i valori massimi si hanno per litotipi sotto pressione saturati in acqua ed a
bassa porosità.
Il campo di variabilità è considerevole.
Il modulo di Young ha le dimensioni di una pressione e si esprime in Newton/m2
o kg/cm2.
76
CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici
4.2.2
COEFFICIENTE DI POISSON
Tra i moduli elastici dinamici tale parametro è l’unico che non necessita della
conoscenza della densità per la sua determinazione.
E’ definito dalla seguente
equazione:
(VP/VS) 2 -2
Ȟ=1 2
(VP/VS) 2 -1
(4.4)
Sebbene in teoria esso sia considerato stress-indipendente e venga previsto
assumere valori compresi tra 0.25 e 0.33, nei porous media esso risulta stressdipendente e tende ad assumere un più largo campo di valori e può addirittura
giungere a valori negativi (Gregory, 1976). I valori più bassi del modulo di Poisson,
in natura, si registrano per litotipi ad alta porosità, bassa pressione e gas saturati; in
alcuni sedimenti incoerenti e saturi i valori possono risultare uguali o superiori a
0.49; nelle sospensioni assume valore di 0.5. Il coefficiente di Poisson è un numero
adimensionale.
Teoricamente, per mezzi isotropi, risulta stress-indipendente (Love, 1927) e varia
tra 0.25 e 0.33. In pratica, per mezzi anisotropi, risulta stress-dipendente con il
decadimento della VS, per grandi deformazioni, e può assumere un più esteso range
di valori (fig. 4.9).
Fig. 4.9 – Variabilità del coefficiente di Poisson nei diversi terreni. Tratto da
D’Intinosante et alii, 2001
77
CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici
4.2.3
MODULO DI RIGIDITA’
Questo parametro è fortemente dipendente dalla porosità e dalla pressione;
assume valori più bassi in litotipi ad alta porosità, bassa pressione e saturati in acqua.
Il campo di variabilità di questo modulo (soprattutto nei porous media) è notevole. Il
modulo di rigidità, che esalta il comportamento delle Vs, è definito dalla seguente
equazione:
G
4.2.4
U VS2
(4.5)
MODULO DI BULK
Il modulo di Bulk (K) è definito rispetto alle Vp, Vs e densità dalla seguente
equazione:
K=U (VP2 -4/3 VS2 )
(4.6)
Questo modulo varia in funzione della porosità, della pressione e della quantità di
fluido saturante. Tende ad aumentare con il grado di saturazione, col decrescere della
porosità e con l’aumentare della pressione.
4.2.5 RAPPORTO VP/VS
Questo parametro può fornire utili informazioni sullo stato di consolidazione e
sulla presenza di gas nei mezzi porosi.
Rapporti maggiori di 2 si riscontrano in presenza di sabbie saturate non
consolidate, altri rapporti risultano altresì per terreni incoerenti argilloso-limosi ad
alto grado di saturazione.
Valori inferiori a 2 si registrano in presenza di rocce compatte o sedimenti gas
saturati; in rocce saturate tale rapporto risulta dipendente dalla litologia, dalla
78
CAPITOLO 4 – Moduli elasto-dinamici
quantità e geometria dei pori e dalle microfratture presenti e potrebbe, nota la
litologia, fornire indicazioni su questi ultimi due parametri.
Fig.
4.10
–
Effetto
della
pressione e della
saturazione
in
fluido
sui
moduli elastici
delle
rocce
sedimentarie.
Tratto
da
Pergalani
&
Signanini, 1984
Uno schema di comportamento dei moduli elasto-dinamici appare in figura 4.10
(Pergalani & Signanini, 1984). Le freccette in figura sono rappresentative del
comportamento del modulo di rigidità e del coefficiente di Poisson in sedimenti
incoerenti a pressione atmosferica, dove, in caso di completa saturazione, il primo
tende a zero ed il secondo approssima il valore limite di 0.5.
79
CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale
CAPITOLO 5
5.
RICOSTRUZIONE DEL CAMPO MACROSISMICO DELLA
TOSCANA SETTENTRIONALE
La comprensione delle caratteristiche sismotettoniche dell’area di studio, della
sua sismicità storica e dei probabili meccanismi ed energie liberate durante
l’accadimento di eventi tellurici è un passo importante, al fine di inquadrare il sito
investigato da un punto di vista della sua pericolosità di base.
Inoltre, poiché dell’evento sismico considerato in questa sede non si possiedono
registrazioni sperimentali, in quanto l’epoca (siamo alla fine del secondo decennio
del XX secolo) ed il contesto socio-economico in forte crisi (le aree di Garfagnana e
Lunigiana erano all’epoca a prevalente vocazione contadina ed oggetto di una forte
corrente migratoria) non lo permettevano, la ricostruzione del campo macrosismico e
delle caratteristiche dello scuotimento al suolo sono un passo fondamentale per la
costruzione del terremoto di progetto, da utilizzare come input per le modellazioni
numeriche.
L’attività sismica dell’Appennino Nord-Occidentale può essere suddivisa in tre
aree principali:
1) Garfagnana – Lunigiana: situate sul bordo est della parte interna della catena,
nelle quali la neotettonica ed il vulcanismo confermano l’esistenza di strutture
prevalentemente tensionali;
2) Bordo appenninico e sottosuolo padano, corrispondente all’attuale fronte
attivo della catena con caratteristiche compressive;
3) Pistoia – Mugello: la depressione del Mugello è ancora una struttura a
carattere distensivo mentre l’allineamento sismico di Pistoia ha caratteri trascorrenti.
La Toscana settentrionale è un’area caratterizzata da una storia sismica
importante, con una discreta frequenza di eventi sismici ad elevata intensità
macrosismica (fig.5.1).
La scelta di concentrare l’attenzione scientifica sulla comprensione delle
caratteristiche di scuotimento e danneggiamento, relative al terremoto che devastò le
80
CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale
aree della Garfagnana e della Lunigiana nel settembre del 1920, invece di basarsi
sullo studio di eventi sismici più recenti, con la possibilità di acquisire dati diretti sui
parametri free-field, è stata dettata dalle seguenti motivazioni:
x il sisma del 7 settembre 1920 è di gran lunga il più intenso registrato in epoca
recente nella porzione settentrionale della Toscana e questa è una condizione
essenziale, affinché esso possa essere considerato come terremoto di progetto;
x malgrado il carattere prevalentemente storico di tale evento tellurico escluda la
possibilità di ricavare valide registrazioni strumentali, la distribuzione delle
ripercussioni sulla popolazione, sul sistema insediativo e sull’ambiente è ben
documentata.
Fig.
1920
GARFAGNANA
1900
1834-35
PONTREMOLI
5.1
–
Distribuzione
temporale degli eventi
sismici con I > 5 – 6
nella Lunigiana e
Garfagnana dal 1400.
Tratto
da
Ferrari
(1987)
1837
ALPI APUANE
1800
1746
BARGA
1740
BARGA
1700
1730
MASSA
1641
PONTREMOLI
1600
1545
BORGO VAL DI TARO
1481
FIVIZZANO
1500
1400
1
2
3
4
5
6
7
8
Intensità macrosismica
81
CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale
Le fonti storiche utilizzate per la ricostruzione temporale dell’evento sismico del
7 settembre 1920 sono di vario tipo (Patacca et alii, 1987):
1. osservazioni originali di studiosi, presenti nell’area al momento dell’evento
catastrofico (De Stefani, 1920; Tosatti, 1922);
2. osservazioni fornite da studiosi che si recarono nell’area colpita nei giorni
immediatamente successivi (Monnet, 1920, 1922);
3. considerazioni scaturite dalla lettura di dati strumentali (Alfani, 1920);
4. compilazioni e/o elaborazioni a varia distanza di tempo dall’evento sismico
(Raddi, 1921; Ingrao, 1927; Cavasino 1935; Iaccarino, 1968);
5. cronache, in taluni casi corredate da illustrazioni fotografiche di periodici
locali, regionali e nazionali (utili purchè analizzati criticamente ed in ordine
cronologico, al fine di confrontare e vagliare le informazioni, filtrando le eventuali
contraddizioni);
6. foto ed illustrazioni dell’epoca.
La scossa principale si verificò alle ore 5.55 circa ora di Greenwich (7.55 ora
locale, poiché in quel periodo era in voga l’ora legale, Tosatti, 1922) ed ebbe una
durata di circa venti secondi (De Stefani, 1920; Ingrao, 1927; Cavasino 1935).
Fu preceduta nelle ore precedenti (fig. 5.2) da una serie di scosse minori, la
maggiore delle quali alle 14.05 del giorno precedente.
Fig. 5.2 –
Main shock
del 7/9/1920
e
scosse
premonitrici,
espresse in
intensità Io.
Tratto
da
Patacca et
alii (1987)
82
CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale
Il numero dei morti fu 171, mentre i feriti furono 650 e migliaia i senzatetto (La
Nazione, 19/9/1920).
Il numero poco elevato delle vittime derivò dalla combinazione di due cause:
molte persone pernottarono all’aperto nella notte tra il 6 ed il 7 settembre,
preoccupate a causa dell’evento sismico delle 14.05; inoltre a quell’ora, a causa
dell’economia prettamente agricola dell’area, nelle abitazioni si trovavano
prevalentemente donne e bambini.
5.1 EFFETTI DEL TERREMOTO
I principali effetti sul territorio possono essere così distinti (Patacca et alii, 1987):
x
frequenza di fessure nel terreno e presenza di grosse frane indotte;
x
cadute di massi sia nell’area mesosismica sia al di fuori di essa, in condizioni di
particolari gradienti morfologici (ad esempio le cave di marmo di Massa e
Carrara);
x
intorbidamento delle sorgenti e variazioni in portata.
In figura 5.3 sono illustrate due mappe delle isosiste (Iaccarino, 1968 in figura
5.3a ed Eva et alii, 1978 in figura 5.3b) relative agli effetti sulla popolazione del
terremoto del settembre del 1920.
Risulta, malgrado sia ravvisabile una buona differenziazione nei due elaborati,
relativa a diversità delle fonti bibliografiche, un’ubicazione della zona di massima
distruzione in corrispondenza dell’area della Bassa Lunigiana ed in corrispondenza di
alcune zone isolate dell’Alta Garfagnana (ad esempio il comune di Villa
Collemandina).
La ricostruzione macrosismica effettuata da Iaccarino (1968) sembra essere
scarsamente attendibile, poiché la fonte, ovvero il Bollettino Sismico Anno 1920
(Ingrao, 1927), presenta valori di intensità macrosismica, assegnata ad alcuni
Comuni, molto contrastanti con dati provenienti da fonti meglio documentate. A
titolo d’esempio è riportato un massimo relativo al grado VIII a SE di Firenze, che
83
CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale
deriva molto probabilmente dalla confusione fatta dal Bollettino Sismico fra
Regnano (frazione di Casola in Lunigiana, interessata da danni paragonabili al IX
grado MCS) e Rignano in provincia di Firenze (a cui non sarebbe associabile un
grado superiore al V MCS).
VII
VI
IX
VIII
VII
IX FIVIZZANO
X
VIII
LA SPEZIA
a)
VI
CARRARA
VII
VI
MASSA
PISTOIA
VI
0
75 Km
V
V
LUCCA
VI
b)
PIACENZA
Varzi
Bobbio
PARMAR. EMILIA
MODENA
V
Bevania
Borgo Taro
GENOVA
Pontremoli
IX- X
LA SPEZIA
VI
Fivizzano
VIII
IX- X
VII
Castelnuovo
Barga
PISTOIA
Viareggio
0
125 Km
V
LUCCA
Fig. 5.3 – Carte delle isosiste del terremoto del settembre 1920: a) Iaccarino, 1968,
b) Eva et alii, 1978
84
CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale
In entrambe le ricostruzioni macrosismiche è comunque evidente come l’area
interessata severamente ricada quasi completamente nelle depressioni tettoniche della
Lunigiana e della Garfagnana, dando l’impressione che il treno d’onde sismiche
(caratterizzate secondo Patacca et alii (1987) da profondità ipocentrale poco elevata
della sorgente) si sia, in linea di massima, incanalato in tale area, compresa tra il
crinale appenninico ad est e la finestra tettonica delle Apuane a sud-ovest.
La severità degli effetti del sisma sulla popolazione, sul sistema insediativo e
sull’ambiente sembra, invece, fortemente condizionato dalle caratteristiche
morfologiche, geologiche e geomorfologiche dei siti interessati, con una
distribuzione areale molto complicata, definibile “a macchia di leopardo”
(D’Intinosante et alii, 2000). Era già noto qualitativamente agli Autori che riferirono
nei periodi immediatamente successivi all’evento sismico (De Stefani, 1920; Raddi,
1921) come gli effetti del sisma fossero differenziati in intensità in base alla natura
geologica s.l. dei siti interessati e come i maggiori fenomeni di amplificazione si
riscontrassero nelle aree poggianti su depositi fluvio-lacustri, caratterizzati da scarse
proprietà fisico-meccaniche.
E’ palese che sia il campo macrosismico teorico sia quello rilevato presentino,
come espresso nei capitoli precedenti, una serie di errori ed approssimazioni insiti,
che possono essere così schematizzati:
x imprecisioni nella determinazione della profondità ipocentrale (con errori maggiori
in riferimento ai dati più antichi);
x difficoltà o al limite aleatorietà nella schematizzazione di rapporti diretti tra dati
tettonici (soprattutto derivanti da indagini superficiali) ed energia liberata dai
terremoti;
x imprecisione dei modelli geometrici. Com’è risaputo l’attenuazione, oltre che
dipendere dallo “spreading”, è in relazione con il coefficiente di attenuazione dei
singoli mezzi D, il quale a sua volta può trovare una correlazione “forzata” sia con il
Qs, (quality factor), sia con la velocità delle onde di taglio. Comunemente però questi
parametri non sono conosciuti; infatti, nei casi più ottimistici, si possiedono
85
CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale
sommarie e discontinue informazioni sulle velocità delle onde P attraverso profili
sismostratigrafici.
In tabella 5.1 è presentato il numero delle vittime del terremoto del 1920, distinto
in base ai Comuni d’appartenenza, secondo l’elenco ufficiale trasmesso dalle autorità
regionali al Ministero dell’Interno (“La Nazione”, 19/09/1920). Questi dati sono utili
per inquadrare a piccola scala la severità dell’evento sulla comunità esposta al
rischio, ma vanno considerati perlomeno in maniera critica, qualora si voglia
utilizzarli per stime di pericolosità locale (D’Amico et alii, 2000).
Infatti, il numero delle vittime si riferisce ai Comuni in quanto unità
amministrative, includendo pertanto capoluoghi e frazioni che sono, talora, molto
distanti e possono ricadere in aree circoscritte da isosiste caratterizzate da un grado
diverso da quello assegnato ai capoluoghi.
LOCALITA’
MORTI
FERITI
Fivizzano
45
300
Villa Collemandina
27
100
Casola
19
60
Minucciano
16
30
Camporgiano
12
15
Castiglione di Garfagnana
9
20
Vagli di Sotto
5
30
Licciana Nardi
5
15
Villafranca
5
9
Massa
5
7
Piazza al Serchio
4
20
Aulla
4
12
Carrara
3
7
Pieve Fosciana
1
20
Bagnone
1
9
Filattiera
1
1
Fosciandora
1
-
S. Romano
1
-
Sillano
1
-
Mulazzo
-
1
Tab. 5.1 –
Numero di
morti e feriti
relativi
ai
vari comuni
colpiti,
secondo
l’elenco
ufficiale
trasmesso
dalle
autorità
regionali al
Ministero
dell’Interno
(“La
Nazione”,
19/09/1920)
86
CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale
5.2 ANALISI DEL DATO MACROSISMICO DISAGGREGATO NEL
COMUNE DI FIVIZZANO
La necessità di considerare il dato macrosismico in maniera disaggregata, per una
migliore localizzazione dell’intensità degli effetti sulla popolazione è palese per il
comprensorio fivizzanese.
Leggendo attentamente le cronache e potendo, inoltre, ascoltare testimonianze
dirette sull’evento del 1920, ci si è accorti che la distribuzione delle vittime, e
conseguentemente delle distruzioni, era fortemente differenziata nell’area.
Va rilevato che il comune di Fivizzano è, ed era, un grosso comprensorio di circa
20.000 abitanti che comprendeva, oltre al paese (in cui risiedevano circa 1800
abitanti), una serie di frazioni, distribuite su una superficie di circa 180,23 Km2. In
tabella 5.2 è possibile notare la distribuzione degli effetti del sisma del 7 settembre
1920 sulle località maggiormente colpite nel comune di Fivizzano, attraverso la
lettura disaggregata del dato macrosismico sul numero di vittime.
LOCALITA’
MORTI
CARATTERISTICHE GEOLOGICHE
Fivizzano centro
27
Sassalbo
8
Mommio
4
Moncigoli
3
Collegnago
2
Soliera
1
Depositi alluvionali terrazzati sabbioso-ghiaiosi di
spessore variabile tra i 25 ed i 40 metri
Depositi morenici con presenza di frane attive sul
centro abitato
Unità alloctone in contatto tettonico con le
arenarie del Macigno. Presenza di depositi detritici
e frane attive sul centro abitato
Centro abitato poggiante in parte su torbiditi
calcaree alloctone ed in parte su depositi
grossolani di origine lacustre ed alluvioni, dello
spessore di pochi metri, nel fondovalle
Calcari eocenici alloctoni in contatto tettonico con
la formazione tettonizzata del “Flysh ad
Elmintoidi”
Centro abitato sito in parte sulla formazione del
“Flysh ad Elmintoidi ed in parte su depositi fluviolacustri
Tab. 5.2 – Distribuzione delle vittime del terremoto del settembre 1920
nelle località maggiormente colpite nel comprensorio fivizzanese e
schematica caratterizzazione geologica delle aree
Per ogni località è riportata anche una schematica descrizione delle caratteristiche
geologiche del sito, in maniera tale da poter evidenziare come, per queste località,
87
CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale
sussistano condizioni geologiche s.l. in grado di interferire (attraverso fenomeni di
amplificazione sismica) sulla risposta sismica locale.
Sassalbo fu completamente distrutta a seguito del terremoto del 1920, con un
numero elevato di morti (tab. 5.2) e di feriti. La probabile causa della forte
amplificazione locale accaduta nell’area è dovuta alle scarse proprietà fisicomeccaniche dei litotipi su cui è sito il paese (depositi morenici quaternari, su cui sono
presenti fenomeni gravitativi attivi).
Anche Mommio presenta una situazione similare: il centro storico poggia su una
spianata morfologica, costituita da depositi detritici di versante, su cui si sono
impostati fenomeni gravitativi attivi e quiescenti.
La frazione di Collegnago, posta su un crinale costituito da calcari eocenici
dell’unità di Canetolo, in contatto tettonico con formazione del Flysh ad Elmintoidi,
presenta estesi fenomeni gravitativi, che insistono sia sul centro abitato che nei
versanti limitrofi.
Moncigoli e Soliera, invece, sono località poste in destra idrografica del torrente
Rosaro, ad alcuni km di distanza dal centro storico di Fivizzano. L’elevato numero di
vittime riferita a Moncigoli è ascrivibile (La Nazione, 9 settembre 1920) alla caduta
del cornicione della chiesa che colpì tre bambini, che attraversavano di corsa la
piazza del paese.
In figura 5.4 è proposta, invece, una carta del piano quotato (Patacca et alii,
1987), relativa all’area comunale di Fivizzano.
Le località sono contrassegnate da un codice identificativo del sito (da 1 a 18), e
da un simbolo inerente l’intensità macrosismica rilevata.
E’ ben comprensibile, dalla lettura di tale elaborato come la distribuzione delle
intensità, ricavate dalla lettura del dato macrosismico, sia ben differenziata ed
eterogenea nell’area fivizzanese.
Questa rappresentazione, rispetto alle precedenti (fig. 5.3), rispetta fedelmente il
piano quotato reale e non elimina, attraverso lisciature più o meno arbitrarie,
anomalie che soltanto analisi di tipo quantitativo permettono di attribuire ad
amplificazioni o attenuazioni locali o ad effetti di strutture regionali o a fenomeni
88
CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale
direttamente connessi alla geometria ed alla dinamica della sorgente (Patacca et alii,
1987).
Fig. 5.4 – Isosiste del terremoto del 7 settembre 1920 nel comprensorio
fivizzanese. Tratto da Patacca et alii, 1987
89
CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale
Oltre le considerazioni fatte per i siti maggiormente danneggiati dal sisma del
1920 (tab. 5.2) è possibile notare come l’evento sismico si sia manifestato in maniera
poco intensa per quelle frazioni poste nella valle del Lucido (Aiola, Equi Terme,
Monzone, Tenerano e Vinca), le quali sono situate in aree in cui non sussistono
condizioni per l’innesco di effetti locali.
Come citato in precedenza, il centro storico di Fivizzano fu, invece, interessato
da danni ingenti sia alla popolazione (tab. 5.2) sia al patrimonio storico-artistico.
A tal riguardo, in figura 5.5 è illustrata una carta dei danni relativa agli effetti del
terremoto del 1920 sui manufatti presenti nel nucleo storico di Fivizzano.
Fig. 5.5 – Carta dei danni relativa agli effetti sui manufatti presenti nel
nucleo storico di Fivizzano, a seguito del terremoto del 1920
90
CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale
I gradi di danneggiamento sono stati distinti in tre categorie: edifici con gravi
lesioni strutturali, con lievi lesioni strutturali ed, infine, manufatti caratterizzate da
lesioni di natura non strutturale.
La ricostruzione è stata effettuata in base a tre distinte fonti storicobibliografiche:
1. cronache di quotidiani dell’epoca, con particolare riferimento agli articoli
immediatamente successivi all’accadimento dell’evento sismico;
2. consultazione di fotografie e cartoline dell’epoca (utili per una stima, seppure
qualitativa, del tipo di danneggiamento e dell’ubicazione degli edifici danneggiati),
confrontate con illustrazioni precedenti il 1920 ed attuali;
3. confronto tra l’attuale distribuzione urbanistica del sito di Fivizzano con
mappe catastali del diciannovesimo secolo.
Le figure, dalla 5.6 alla 5.11, riportano alcune foto dell’epoca, in cui è possibile
osservare la severità dell’evento sismico oggetto d’esame sul patrimonio edilizio
fivizzanese.
Fig. 5.6 – Rappresentazione dei danni presso il bordo del terrazzo
fluviale di Fivizzano (odierna Via delle Mura)
91
CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale
Fig. 5.7 – Piazza Garibaldi (settore meridionale dell’abitato di Fivizzano) a seguito
dell’evento sismico del 1920
Fig. 5.8 – Le gravi lesioni agli edifici ubicati in Piazza Medicea
(settore settentrionale)
92
CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale
Fig. 5.9 – Danni su
Casa Battistini (Piazza
Medicea)
Fig. 5.10 – Danni
sulle abitazioni site
nella Via Interna
(attuale Via Giulia)
93
CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale
Fig. 5.11 – Danni
sulle abitazioni in
Via Labindo. La
freccia nera indica
il Palazzo Fantoni,
che
resistette
discretamente
all’intensità
dell’evento
sismico
La maggior parte delle abitazioni fu interessata da gravi danni di natura
strutturale, a causa dei quali fu necessario ricorrere all’abbattimento degli stessi o, al
fine di diminuire l’inerzia delle strutture, si ricorse alla diminuzione di 1 o 2 piani.
Tra i pochi edifici, interessati lievemente dall’evento sismico, e per i quali furono
necessari soltanto alcuni interventi di adeguamento sismico, citiamo il Palazzo
Fantoni ed il Palazzo Benedetti (presso la porta Modenese, nel settore nord
occidentale del centro storico) ed il Palazzo Cojari (sito nella Piazza Medicea). Tali
edifici risentirono in maniera decisamente minore degli effetti del sisma grazie,
probabilmente, alle migliori caratteristiche ingegneristico-architettoniche.
E’ necessario sottolineare anche che nell’area attualmente occupata dal
complesso ospedaliero sorgeva un convento che non subì alcun danno importante, a
94
CAPITOLO 5 – Ricostruzione del campo macrosismico della Toscana settentrionale
differenza delle ampie distruzioni che si verificarono nel centro storico, tanto da
essere utilizzato per ricoverare feriti e sopravvissuti. Proprio per cercare di spiegare
questa “anomala” situazione lo studio effettuato con questo lavoro di tesi è stato
concentrato nell’area dell’ospedale.
95
CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS)
CAPITOLO 6
6. CARATTERISTICHE GEOLOGICHE DEL COMUNE DI
FIVIZZANO (MS)
6.1 EVOLUZIONE GEOLOGICO-STRUTTURALE DELL’APPENNINO NORDOCCIDENTALE
L’evoluzione strutturale dell’Appennino nord-occidentale può essere considerata,
per lo meno per i suoi episodi più antichi, in correlazione con le Alpi occidentali.
Infatti, almeno in corrispondenza del segmento Toscana-Corsica nord-orientale, le
due catene sono parallele, con asimmetrie strutturali opposte (Cattaneo et alii, 1987).
Secondo un approccio semplificato, la storia compressionale di ambedue le zone
può essere divisa in due parti (Boccaletti et alii, 1972; Reutter et alii, 1978):
x
una prima, comune, legata alla distruzione del solco oceanico che nel Giurassico
superiore – Cretaceo inferiore separava le croste Europea e Insubro-Appenninica;
x
una successiva evoluzione, in cui la deformazione viene trasferita alle stesse
croste in collisione.
Il primo episodio (la consunzione della crosta oceanica) è quello di maggiore
durata (dal Cretaceo superiore al Paleocene), in cui si registrano numerosi stadi
successivi (Cattaneo et alii, 1987): subduzione di una parte della crosta oceanica con
fenomeni di metamorfismo di alta pressione (Dal Piaz et alii, 1972); sedimentazione
di spessi cunei di flysh nella zona di sutura o nel bacino oceanico raccorciato
(Haccard et alii, 1972); obduzione della crosta oceanica residua verso il margine
appenninico.
Per ciò che concerne il secondo episodio (evoluzione post-collisionale), esso si
manifesta attraverso una deformazione compressiva lungo le fasce duttili
appenniniche a partire dall’Oligocene superiore. Una larga fascia di taglio di
quest’età è visibile nelle Alpi Apuane.
La successiva fase d’evoluzione strutturale dell’Appennino settentrionale, a
partire dal Miocene superiore, si manifesta attraverso importanti fenomeni
96
CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS)
estensionali, successivi agli eventi compressivi ed estensionali, che avevano prodotto
l’impilamento delle unità della catena (Bernini, 1991).
A seguito di questa evoluzione distensiva, migrata progressivamente nel tempo
verso NE e NW, si sono generati alcuni bacini distensivi, bordati da faglie dirette,
allungati in direzione NNW-SSE, tra i quali sono da menzionare la Lunigiana, la
Garfagnana ed il Mugello.
In questo contesto strutturale si è verificata una rotazione antioraria della penisola
italiana con conseguente migrazione spazio temporale del sistema catena-avanfossaavampaese e l'individuazione di fosse tettoniche determinate.
La depressione tettonica della Lunigiana ha origine circa 3 milioni di anni fa, in
un periodo compreso fra il Rusciniano superiore ed il Villafranchiano inferiore; nei
blocchi strutturalmente più ribassati s’instaurarono due bacini lacustri che coprivano
una superficie di circa 100 Km2, noti in letteratura come il "Bacino lacustre di
Pontremoli" ed il "Bacino lacustre di Aulla-Olivola". I due laghi comunicavano tra
loro attraverso una fascia stretta ed allungata individuata dalle attuali località della
"Fornace" (comune di Bagnone), "Merizzo" (comune di Villafranca in Lunigiana) e "
Amola" (comune di Licciana Nardi).
Nel corso del villafranchiano i due bacini vennero colmati da depositi lacustri,
fluvio-lacustri e fluviali successivamente incisi e terrazzati da sedimenti
conglomerati a prevalenti elementi di arenaria Macigno di età pleistocenica.
In figura 6.1 è visibile uno schema geologico della Lunigiana (Boccaletti & Coli,
1982mod), in cui è possibile notare la presenza di tre distinti domini geologici: la
Successione Toscana non metamorfica (la copertura sedimentaria del margine apulo),
le Unità alloctone rappresentate dal dominio ligure esterno e dalle formazioni
inerenti all’Unità di Canetolo ed, infine, il potente complesso metamorfico delle Alpi
Apuane.
La regione è caratterizzata da sistemi di faglie normali disposti lungo due
direttrici principali ad andamento NW-SE (appenninico) e NE-SW (antiappenninico).
I sistemi di faglie di gran lunga più sviluppati sono quelli ad andamento
appenninico, costituiti da faglie normali, immergenti sia a NE sia a SW, i quali
97
CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS)
producono due fosse asimmetriche nelle cui zone si sono conservati i depositi fluviolacustri plioquaternari.
Fig. 6.1 – Schema geologico semplificato della Lunigiana, da Boccaletti & Coli
(1982mod): 1) Coperture quaternarie (alluvioni, depositi morenici, coperture
detritiche); 2) Depositi fluvio-lacustri (Pleistocene medio-Pliocene inferiore); 3) Unità
liguri s.l. (Paleocene-Giurassico superiore); 4) Unità Toscana non metamorfica
(Miocene inferiore-Triassico); 5) Unità Toscana metamorfica (Oligocene-Paleozoico);
6) Principali faglie estensionali (i trattini indicano il lato ribassato); 7) Assi di
anticlinale nell’Unità Toscana non metamorfica
98
CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS)
In figura 6.2 è illustrato un blocco-diagramma, in cui è schematizzata la
complessa struttura estensionale della Lunigiana vista prospetticamente da NW
(Bernini, 1991).
Si tratta di due semi-graben limitati da master fault poste sui margini esterni e
separati dall’horst di M. Picchiara – M. Cornoviglio. Verso SE il semi-graben
dell’alta val Magra prosegue nel più stretto graben della Garfagnana, venendo
parzialmente interrotto dal nucleo metamorfico delle Alpi Apuane, mentre il
semigraben della val di Vara si biforca costituendo la depressione del golfo della
Spezia e la fossa della bassa val di Magra, separate dall’horst di M. Marcello.
I sistemi di faglie che gradonano i margini delle due fosse tettoniche sono
troncati bruscamente, verso NW, dal “Sistema trasversale del Taro” (Papani et alii,
1991) che, attraversando tutta la catena, sembra in qualche modo collegare le
strutture estensionali della Lunigiana ai fronti di accavallamento padani (Bernini &
Papani, 1987).
Fig. 6.2 – Blocco-diagramma in cui è schematizzata la
complessa struttura estensionale della Lunigiana vista
prospetticamente da NW (Bernini, 1991)
99
CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS)
6.2
INQUADRAMENTO GEOGRAFICO DEL COMUNE DI FIVIZZANO
L’area oggetto di studio appartiene al territorio comunale di Fivizzano (località
Capoluogo) che sorge a 332 m s.l.m., sulle pendici sud-occidentali dell’Appennino
tosco-emiliano nella Lunigiana, ed in particolare in provincia di Massa Carrara.
Il suo territorio comunale si estende per circa 180,58 km2 e comprende ben 35
frazioni. La zona ricade nel foglio geologico n°96, di nome Massa, della Carta
Geologica d’Italia elaborata dall’I.G.M. (Istituto Geografico Militare) con scala
1:100000.
Fig. 6.3 –
Inquadramento
geografico
della Lunigiana
100
CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS)
6.3 CARATTERISTICHE GEOLOGICHE E GEOMORFOLOGICHE DEL
COMUNE DI FIVIZZANO
In figura 6.4 è illustrato uno schema geologico dell’area del centro abitato
fivizzanese. Quest’area è caratterizzata dalla presenza (per lo più sepolta o affiorante
alla base dei fossi che incidono in direzione NE-SW il terrazzo fluviale, su cui giace
il centro abitato) di un substrato costituito da litotipi ascrivibili a tre diverse
formazioni geologiche:
(mg)
Arenarie del Macigno (Oligocene superiore /Miocene inferiore)
Costituiscono i depositi di avanfossa della successione Toscana non
metamorfica e sono costituiti da torbiditi quarzoso feldspatiche-micacee, da
sottili a molto spesse, cui si alternano livelli da sottili a medi di marne ed
argilliti siltose grigie. Le arenarie del Macigno sono in contatto tettonico con
le unità alloctone del substrato attraverso un importante elemento tettonico a
carattere distensivo a direzione circa appenninica (NW-SE);
(cGV) Calcari del Groppo del Vescovo (Eocene inferiore)
Sono calcari grigio-chiari, calcari marnosi, marne ed argille in sequenze
torbiditiche, di origine alloctona ed affioranti nel settore orientale dell’area
(nuova zona d’espansione dell’abitato di Fivizzano e nelle frazioni di
Certaldola e Motta) ed alla base del Fosso della Concia.
(ac)
Argille e calcari di Canetolo (Cretaceo superiore / Eocene medio)
Argille grigio-scure alternate a calcari a grana fine, a calcareniti organogene
ed a calcari marnosi a base calcarenitica, con presenza di lenti ed inclusi
litoidi arenaci o calcarenitici. Affiorano nella porzione meridionale dell’area
nei fossi della Concia e della Stradella, oltre che costituire il substrato su cui
poggia il terrazzo fluviale su cui sorge l’area storica del paese di Fivizzano.
101
CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS)
Le giaciture degli strati negli affioramenti calcarei alla base dei fossi sono
coincidenti e suggeriscono un assetto strutturale delle unità alloctone in apparente
monoclinale.
Il fatto che i calcari del Groppo del Vescovo siano, nell’area, stratigraficamente
inferiori alle Argille e Calcari di Canetolo, lascia supporre la presenza di una piega
coricata a vergenza appenninica, di cui i litotipi in esame costituiscono il fianco
rovesciato.
I depositi di copertura quaternari, in discordanza coi termini sottostanti sono
costituiti da depositi di colmata e terreni di riporto (rp), depositi detritici (dt) ed i
depositi alluvionali terrazzati antichi (ct/mg) in sinistra idrografica del torrente
Rosaro.
Questo corso d’acqua, oggi ben incassato nel suo alveo, a dimostrazione che
l’area è tendenzialmente in una fase di sollevamento, determina la presenza di
quattro ordini di terrazzi. Sul più antico di questi, giace il centro storico fivizzanese.
Si tratta per lo più di sabbie giallastro-ocracea con intercalazione di livelli
centimetrici limoso-sabbiosi e frequenti inclusi litoidi di natura arenacei.
Nell’area è inoltre possibile notare, lungo le scarpate del terrazzo fluviale ed in
concomitanza delle aree più acclivi ad E del centro storico, la presenza di fenomeni
gravitativi attivi e quiescenti.
102
CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS)
Fig. 6.4 – Carta geologica del comune di Fivizzano (Gruppo di Lavoro “Progetto VEL”)
103
CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS)
Come si nota dalla carta geologica riportata in figura 6.4, sono state realizzate
due sezioni geologiche (A-A’ e C-C’), posizionate in maniera ortogonale rispetto alle
tracce delle due faglie individuate nei pressi dell’ospedale del centro abitato di
Fivizzano.
In figura 6.5 è rappresentata una sezione geologico-tecnica che segue la traccia
A-A’ e che è stata realizzata integrando l’analisi dei dati derivanti dal rilevamento di
superficie con i risultati ottenuti tramite le indagini geognostiche (paragrafo 7.1).
Nella sezione sono rappresentate le litologie del sottosuolo rinvenute tramite i
sondaggi senza evidenziare la natura dei contatti tra esse, in quanto ciò è indicato
nelle successive sezioni geologiche.
Le successive sezioni geologiche (fig. 6.6 - 6.7 - 6.8 - 6.9) mostrano due diverse
ipotesi di ricostruzione del sottosuolo in riferimento soprattutto alla situazione
sottostante il complesso ospedaliero. Tali ricostruzioni verranno discusse nel capitolo
9 dedicato alle conclusioni.
104
CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS)
Fig. 6.5 – Sezione geologico-tecnica lungo la traccia A-A’
105
CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS)
Fig. 6.6 – Sezione geologica lungo la traccia A-A’
106
CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS)
Fig. 6.7 – Sezione geologica lungo la traccia C-C’
107
CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS)
Fig. 6.8 – Sezione geologica lungo la traccia A-A’, mostrante la faglia inversa ipotizzata
108
CAPITOLO 6 – Caratteristiche geologiche del comune di Fivizzano (MS)
Fig. 6.9 – Sezione geologica lungo la traccia C-C’, mostrante la faglia inversa ipotizzata
109
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
CAPITOLO 7
7. L’ESPLORAZIONE DEL SOTTOSUOLO NEL COMUNE DI
FIVIZZANO
La conoscenza delle caratteristiche geologiche di una determinata area di studio è
una fase fondamentale per la realizzazione di un modello geologico in grado di
fornire un’ottimale visione degli aspetti caratteristici dell’area stessa e delle
problematiche di natura geologica presenti. Tale conoscenza viene acquisita
inizialmente attraverso un’accurata acquisizione bibliografica ed un rilevamento di
superficie. Essa, ad ogni modo, non è completamente esaustiva nel fornire
spiegazioni concrete riguardo alle diverse incognite messe in luce nelle fasi iniziali
della ricerca o in corso d’opera.
Ciò risulta maggiormente chiaro, qualora l’area d’indagine presenti un elevato
grado d’urbanizzazione, come nel caso di Fivizzano, tale da rendere vane o
quantomeno limitate le possibilità di ricerca legate alle tecniche classiche di
rilevamento geologico, rappresentate ad esempio dallo studio aerofotogrammetrico o
dal rilievo di campagna.
Inoltre, qualora il problema applicativo da verificare, nel nostro caso la
valutazione della risposta sismica locale, preveda la conoscenza di particolari
caratteristiche dei litotipi oggetto d’esame, si rende necessario affiancare ad una
prima fase di rilevamento geologico di superficie una successiva fase di esplorazione
del sottosuolo.
Il fine è quello di ottenere, dall’esame integrato dei risultati, una buona
conoscenza delle geometrie e degli spessori sia delle unità di copertura sia dei litotipi
ascrivibili al substrato.
Poiché il fine di tali indagini di esplorazione del sottosuolo è, in questo caso,
quello di ottenere una parametrizzazione in campo dinamico dei terreni indagati, al
fine di fornire dati da inserire in fase di input per le modellazioni numeriche, si è
proceduto all’attivazione di una fase di indagine multidisciplinare del sottosuolo,
eseguita in diverse campagne di misura, e che è consistita nell’esecuzione di:
111
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
x
14 sondaggi geognostici;
x
9 prove sismiche in foro in onde P ed SH (down-hole);
x
23 linee sismiche a rifrazione in onde P ed SH;
x
2 linee sismiche a riflessione.
Mentre la fase di ricostruzione del modello geologico di sottosuolo, nel presente
lavoro di tesi, ha coinvolto l’intera area del comune di Fivizzano (località
Capoluogo), utilizzando, quindi, tutte le indagini sopra elencate, la fase di
modellazione monodimensionale è stata svolta nella particolare area occupata
dall’ospedale dello stesso centro abitato, in quanto la restante parte del comune è
stata già interessata da studi di modellazione.
In figura 7.1 è mostrata l’ubicazione delle indagini di sottosuolo del comune di
Fivizzano, località Capoluogo.
Fig. 7.1 – Carta di ubicazione delle indagini di esplorazione del sottosuolo nel
comune di Fivizzano, località Capoluogo
112
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
7.1 INDAGINI GEOGNOSTICHE
Nel centro abitato di Fivizzano in località Capoluogo sono stati realizzati, nel
periodo di tempo compreso tra novembre 2004 e settembre 2005, 11 sondaggi
geognostici, in aggiunta ai tre sondaggi effettuati nel febbraio 2001, al fine di
ottenere una caratterizzazione litologica e stratigrafica dei terreni indagati.
I dati ottenuti, integrati con i risultati delle indagini sismiche, hanno avuto lo
scopo di definire gli spessori delle unità della copertura, costituiti nell’area dai
depositi alluvionali terrazzati del torrente Rosaro, e conseguentemente di definire le
profondità del contatto tra le coperture ed il substrato sismico.
Nella tabella 7.1 sono elencate le principali caratteristiche tecnico-logistiche dei
sondaggi geognostici più recenti.
PROFONDITA’
METODO DI
D’INVESTIGAZIONE (m)
PERFORAZIONE
325
50
carotaggio continuo
S5
379.10
43
carotaggio continuo
S6
351
35
carotaggio continuo
S7
333
25
carotaggio continuo
S9
370.60
21
carotaggio continuo
S10
370
20
carotaggio continuo
S11
370.60
53.40
S12
379.10
50
carotaggio continuo e
distruzione di nucleo
carotaggio continuo
S14
336
35
carotaggio continuo
S15
343
78
carotaggio continuo
S16
326
41.50
carotaggio continuo
SIGLA
QUOTA p.c. (m s.l.m)
S4
Tab. 7.1 – Principali caratteristiche tecnico-logistiche dei sondaggi geognostici più
recenti
Le figure dalla 7.2 alla 7.4 mostrano una ricostruzione semplificata delle
stratigrafie relative agli 11 sondaggi geognostici eseguiti tra il 2004 ed il 2005. Da
queste ricostruzioni è possibile dedurre osservazioni di carattere litologico; infatti,
113
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
dal sondaggio S4 si osserva che al di sotto del terreno di riporto stradale (rp) sono
stati rinvenuti litotipi ascrivibili ai depositi alluvionali terrazzati antichi (ct/mg) che
alternano spessori sabbioso-limosi a spessori più sabbiosi, di colore marrone-ocra,
fino ad una profondità di 6 m. Successivamente si entra nel substrato della
Formazione dei Calcari del Groppo del Vescovo (cGV) dell’Unità di Canetolo,
caratterizzato dalla presenza di uno strato argillitico dello spessore di circa 2 m
intensamente alterato e fratturato, per passare a 8 m di profondità definitivamente
nella formazione calcarea e calcareo-marnosa fino a -50 m dal p.c..
Fig. 7.2 – Ricostruzione semplificata delle stratigrafie dei sondaggi S4, S5 e S6
114
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
Nel sondaggio S5 il materiale di riporto stradale è presente per uno spessore esiguo
di -0,3 m dal p.c.; è seguito da deposito detritico (dt) sciolto, costituito da ghiaie e
ciottoli eterometrici di arenaria e che si estende fino a 3 m di profondità. A tale
profondità inizia il substrato composto da una litologia di natura arenacea di colore
marrone scuro, appartenente alla Formazione del Macigno (mg) della Successione
Toscana, che si presenta, a partire dai 15,50 m di profondità, completamente alterata
e fratturata ridotta a breccia di frizione o cataclasite, fino a -18 m dal p.c., profondità
alla quale lascia il posto ad una breccia di frizione o cataclasite costituita, però, da
clasti calcarei di colore grigio chiaro con cui si passa, da 25,50 m a 43 m di
profondità, ai calcari appartenenti alla Formazione dei Calcari del Groppo del
Vescovo.
Per ciò che concerne il sondaggio S6 si può osservare come, dopo uno spessore
di circa 1 m di materiale di riporto stradale, sono stati rinvenuti depositi alluvionali
terrazzati antichi fino a 26 m di profondità, costituiti da ghiaia sabbiosa limosa color
ocra eterometrica, ghiaie e sabbie medie color grigio-verdi, sabbie medio-grossolane
con limi color giallo e sabbie medio-fini color marroncino chiaro. Successivamente
ha inizio il substrato rappresentato dalle Argille e Calcari (ac) del Complesso di
Canetolo, formati da un’alternanza tra strati fatti di argilliti grigio scuro molto
alterate e fratturate e calcari grigio chiaro a struttura compatta, fratturati. Questa
formazione si estende fino a 35 m di profondità.
I primi 0,4 m di profondità dell’S7 sono interessati da terreno di riporto stradale.
Segue, poi, la copertura alluvionale di sabbie da medie a fini, limose e a tratti
argillose di colore ocra con ghiaia eterometrica (2-6 cm), ascrivibile ai depositi
alluvionali terrazzati antichi, che si estendono fino a -17,40 m dal p.c.. Inizia, qui e
per 7,6 m, il substrato rappresentato dai Calcari del Groppo del Vescovo, costituiti da
calcari di colore grigio chiaro a struttura compatta da poco a molto fratturato e
lievemente alterato.
Nel sondaggio S9 il terreno di riporto, costituito da materiale sciolto debolmente
addensato con sabbie, ghiaie e laterizi in matrice limosa, è presente fino a 5 m di
profondità. Successivamente, dopo uno spessore di 1,50 m di depositi detritici
115
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
rappresentati da sabbia con ghiaia eterometrica, inizia il substrato che arriva fino a 21 m dal p.c. e che è composto da arenarie con granulometria medio-grossa alterata e
fratturata, appartenenti alla formazione del Macigno.
Osservando la ricostruzione stratigrafica del sondaggio S10 si può notare che al
di sotto del materiale di riporto stradale (1 m di spessore) è stato rinvenuto del detrito
fatto di sabbie e ghiaie eterometriche (2-4 cm) fino a -5 m dal p.c.; profondità alla
quale inizia il substrato rappresentato da un’alternanza di argilliti grigio scuro molto
alterate e fratturate con aspetto caotico e calcari grigio chiaro a struttura compatta
con numerose fratture ma poco alterati, ascrivibile alla formazione delle Argille e
Calcari del Complesso di Canetolo. Il substrato è stato rinvenuto fino alla profondità
di perforazione di 20 m.
Il materiale di riporto, visibile nel sondaggio S11, si presenta da sciolto a
debolmente addensato con sabbie, ghiaie e laterizi in matrice limosa e arriva a 2 m di
profondità. Questo lascia il posto a 4,3 m di deposito detritico seguito dal substrato
presente fino a -53,40 m dal p.c.. Quest’ultimo è rappresentato da 42,7 m di arenarie
a struttura granulare con granulometria a tratti fine e completamente alterata, a tratti
da media a grossolana debolmente alterata, con una colorazione variabile dal
marrone al grigio verde, ascrivibili alla Formazione del Macigno. Tramite un livello
di 2 m di spessore di breccia di frizione composta da breccia calcarea sciolta molto
frantumata, si passa ad argilliti di colore grigio scuro, molto fratturate ed alterate,
appartenenti probabilmente alle Argille e Calcari di Canetolo.
116
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
Fig. 7.3 – Ricostruzione semplificata delle stratigrafie dei sondaggi S7, S9, S10 e S11
Dall’analisi dell’S12 si nota che il materiale di riporto stradale è visibile per 0,3
m di spessore dal p.c.; dopo un modesto strato di detrito composto da ghiaie e ciottoli
eterometrici, ha inizio il substrato che è rappresentato inizialmente, e fino a 22 m di
profondità, dalla formazione del Macigno con arenaria a granulometria da fine a
grossolana molto fratturata ed alterata di colore marrone, e successivamente, fino a 50 m dal p.c., dai Calcari del Groppo del Vescovo con calcari grigio chiari a struttura
compatta completamente fratturati.
Nell’S14 il terreno di riporto stradale è presente fino ad 1 m di spessore;
successivamente sono presenti 23,20 m di depositi alluvionali terrazzati antichi,
117
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
costituiti da sabbie da medie a fini, limose e a tratti argillose color ocra con ghiaia
eterometrica (2-6 cm). Alla profondità di 24,20 m è stato rinvenuto il substrato
composto da calcari di colore da grigio chiaro a grigio scuro a struttura compatta,
mediamente fratturati ed alterati, appartenenti alla formazione dei Calcari del Groppo
del Vescovo. Il substrato è stato rinvenuto fino a 35 m di profondità.
Con l’S15, tranne un modesto spessore di terreno di riporto (circa 0,3 m), si entra
subito nell’unità litostratigrafica dei depositi alluvionali terrazzati antichi. Essi sono
presenti fino a 38,5 m di profondità e sono rappresentati nella parte alta da sabbie da
medie a fini, limose e a tratti argillose color ocra con ghiaia eterometrica (2-6 cm) di
natura arenacea, per poi passare nella parte basale del deposito a ciottoli e blocchi
arenacei di macigno anche di considerevoli dimensioni. Successivamente si entra nel
substrato costituito dalla Formazione delle Argille e Calcari di Canetolo (33 m di
spessore) caratterizzato dalla presenza di argilliti grigio scuro, alternate a calcari,
calcari marnosi e marne di colore grigio chiari e grigio scuri fino ad una profondità di
70 m circa per poi entrare definitivamente nella Formazione dei Calcari del Groppo
del Vescovo, caratterizzata dalla presenza di calcari e calcari marnosi di colore grigio
chiari e marroncini, fino alla profondità di fine sondaggio.
I depositi alluvionali terrazzati antichi si rinvengono, nell’S16, dopo un modesto
spessore di terreno di riporto (0,3 m). Essi sono costituiti nella parte alta da sabbie
limose a tratti argillose di color ocra con ghiaie eterometriche di natura arenacea per
poi passare nella parte basale del deposito a ciottoli e blocchi arenacei di macigno
anche di considerevoli dimensioni fino ad una profondità di -36,50 m circa. Il
successivo substrato è rappresentato dalla Formazione delle Argille e Calcari,
caratterizzata dalla presenza di argilliti grigio scuro, alternate a calcari, calcari
marnosi e marne di colore grigio chiaro e grigio scuro fino ad una profondità di 41,50 m dal p.c..
118
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
Fig. 7.4 – Ricostruzione semplificata delle stratigrafie dei sondaggi S12, S14, S15 e S16
119
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
7.2 INDAGINI SISMICHE IN FORO
Terminata la perforazione, ciascun foro è stato attrezzato con una tubazione in
PVC ed è stata eseguita la cementazione dell’intercapedine foro-tubo mediante una
miscela cementizia al fine di garantire un miglior contatto con i terreni circostanti in
modo da poter effettuare delle prove sismiche in foro secondo lo schema down-hole
descritto nel paragrafo 3.2.3. I fori di sondaggio utilizzati a questo scopo sono i fori
S4, S6, S7, S9, S14, S15 ed S16. Tali prove sismiche si sono aggiunte a quelle già
effettuate precedentemente utilizzando i fori di sondaggio S1 ed S3 (“ESSO”).
In questo lavoro verranno discusse solo le prime sette prove sismiche elencate.
In tutte le indagini down-hole sono stati utilizzati, come sorgenti, una mazza da
10 kg con piattello di battuta per le onde P, per le onde S un parallelepipedo di legno
percosso sulle estremità opposte da un doppio pendolo da 30 kg montato su di un
autocarro. Le sorgenti sono state disposte ad una distanza dal foro di sondaggio che
varia tra 3 e 3,5 m. Il sistema di ricezione è costituito da una coppia di geofoni
tridimensionali posti ad una distanza tra loro di 1 m. L’acquisizione è stata svolta
procedendo dall’alto verso il basso; una volta raggiunta la massima profondità
d’indagine sono state eseguite misurazioni in risalita ogni 2 metri di profondità.
Nelle figure che seguono sono illustrate le dromocrone, cioè le rappresentazioni
nel diagramma spazio-tempo dei tempi di primo arrivo corretti, e le rappresentazioni
delle velocità intervallari nel diagramma spazio-velocità, per ogni indagine sismica
down-hole.
Dai grafici relativi al down-hole DH S4 (fig. 7.5) si individuano 3 sismostrati di
cui il primo (0-6 m) è attribuibile alla copertura alluvionale, il secondo ed il terzo ai
Calcari del Groppo del Vescovo; la differenza in velocità tra gli ultimi due
sismostrati probabilmente è dovuta alla maggiore alterazione della parte alta dei
calcari del Groppo del Vescovo, che presentano anche un primo livello di argilliti
molto alterate e fratturate.
120
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
Fig. 7.5 – Grafici delle dromocrone e delle velocità intervallari relativi al DH S4
Tramite il down-hole S6 (fig. 7.6) sono stati individuati 6 sismostrati di cui il
primo è comprensivo di un modesto livello di terreno di riporto e di un primo livello
di depositi alluvionali terrazzati; dal secondo al quinto livello si osservano velocità
delle onde P che variano da 1395,7 m/sec a 1589,5 m/sec, con i due sismostrati
intermedi a velocità maggiore, e velocità delle onde SH variabili tra 452,6 m/sec del
secondo sismostrato a 418,7 m/sec del quinto sismostrato, presentando anch’esse un
aumento di valore nello strato intermedio. Per questi sismostrati ci si può riferire a
depositi alluvionali terrazzati in cui le differenze di velocità sono imputabili alle
alternanze tra livelli di ghiaie, sabbie e argille limose con diversi gradi di
addensamento e cementazione. Il sesto sismostrato può essere rappresentativo della
Formazione delle Argille e Calcari.
121
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
Fig. 7.6 – Grafici delle dromocrone e delle velocità intervallari relativi al DH S6
Il down-hole DH S7 mostra la presenza di 7 sismostrati, suddivisibili in questo
modo: il primo è rappresentativo del terreno di riporto stradale; dal secondo al sesto
ci si può riferire ai depositi alluvionali terrazzati con variazioni di velocità dovute
alla presenza prima di sabbie e poi di limi sabbiosi, separati da un trovante lapideo
completamente alterato; l’ultimo sismostrato è attribuibile ai calcari del Groppo del
Vescovo.
Fig. 7.7 – Grafici delle dromocrone e delle velocità intervallari relativi al DH S7
122
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
I quattro sismostrati del DH S9 sono rappresentativi di un sottosuolo
caratterizzato, nell’ordine, dal terreno di riporto fino a 5 m (primo sismostrato),
deposito detritico fino a circa 7 m (secondo sismostrato), Formazione del Macigno
fino in profondità (sismostrati terzo e quarto). Le diverse velocità registrate per il
terzo ed il quarto sismostrato sono dovute al diverso grado di fratturazione
dell’arenaria.
Fig. 7.8 – Grafici delle dromocrone e delle velocità intervallari relativi al DH S9
Per ciò che concerne il DH S14, il primo sismostrato a velocità più basse è
attribuibile ai primi metri di depositi alluvionali comprensivi di terreno di riporto; i
depositi alluvionali si estendono, però, anche per i successivi due sismostrati. Nel
terzo sismostrato la presenza di un salto nella rappresentazione delle Vp potrebbe
essere stato causato dal raggiungimento di un livello di trovante lapideo all’interno
dei depositi alluvionali stessi. L’ultimo sismostrato, con una velocità delle onde P di
123
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
3926,6 m/sec e delle onde SH di 1641,9 m/sec, è rappresentativo dei Calcari del
Groppo del Vescovo.
Fig. 7.9 – Grafici delle dromocrone e delle velocità intervallari relativi al DH S14
Sette sismostrati caratterizzano il down-hole realizzato utilizzando il foro di
sondaggio S15. I primi 5 sismostrati interessano tutti i depositi alluvionali terrazzati;
anche qui, però, la suddivisione in diversi sismostrati, caratterizzati da differenti
velocità, è dovuta alla locale presenza di trovanti lapidei (ciottoli e blocchi) che
provocano gli aumenti di velocità visibili dal grafico delle dromocrone. Bisogna
anche osservare che il quinto sismostrato è interessato dalla presenza di falda
acquifera che contribuisce alla variazione di velocità. Il netto aumento di entrambe le
velocità passando dal quinto al sesto sismostrato permette di riferire quest’ultimo alla
presenza di substrato costituito inizialmente dalle Argille e Calcari dell’Unità di
124
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
Canetolo fino a circa 70 m, successivamente dai Calcari del Groppo del Vescovo
rappresentati dal settimo sismostrato in cui, però si osserva una diminuzione della
velocità delle onde P, mentre le onde SH mantengono un costante aumento di
velocità.
Fig. 7.10 – Grafici delle dromocrone e delle velocità intervallari relativi al DH S15
L’ultimo down-hole analizzato, il DH S16, è caratterizzato da 5 sismostrati di cui
il primo è ascrivibile, dopo un modesto spessore di terreno di riporto, ai depositi
alluvionali terrazzati, i quali si presentano anche nel secondo, terzo e quarto
sismostrato, con velocità differenti dovute anche qui, probabilmente, alla locale
presenza (visibile soprattutto nel terzo sismostrato) di trovanti lapidei. L’ultimo
sismostrato, reinterpretato, è ascrivibile, invece, al substrato rappresentato dalla
Formazione delle Argille e Calcari molto fratturati.
125
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
Fig. 7.11 – Grafici delle dromocrone e delle velocità intervallari relativi al DH S16
In base ai valori di propagazione delle onde di compressione e delle onde di
taglio polarizzate orizzontalmente, ricavati dall’elaborazione dei dati e grazie al
confronto di taratura con le stratigrafie dei sondaggi geognostici, è stato possibile
effettuare un’attribuzione litologica dei sismostrati individuati, come riportato in
tabella 7.2.
126
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
SIGLA
DH S4
DH S6
DH S7
DH S9
DH S14
DH S15
VELOCITA’ SISMICHE
(m/sec)
Vp=509,0
Vs=246,1
Vp=2616,3
Vs=882,4
Vp=3660,7
Vs=1692,3
Vp=964,9
Vs=261,9
Vp=1395,7
Vs=452,6
Vp=2137,3
Vs=364,2
Vp=2424,9
Vs=1010,1
Vp=1589,5
Vs=418,7
Vp=1790,7
Vs=740,2
Vp=421,0
Vs=332,5
Vp=519,3
Vs=335,3
Vp=1123,1
Vs=493,7
Vp=1785,1
Vs=1279,1
Vp=973,5
Vs=331,1
Vp=2265,0
Vs=976,6
Vp=2610,9
Vs=1175,2
Vp=434,9
Vs=177,4
Vp=944,2
Vs=272,9
Vp=1186,3
Vs=653,2
Vp=1685,3
Vs=1147,5
Vp=834,9
Vs=319,4
Vp=1471,7
Vs=712,9
Vp=3696,2
Vs=1005,0
Vp=3926,5
Vs=1641,9
Vp=630,3
Vs=369,8
Vp=1246,5
Vs=527,9
Vp=962,0
Vs=651,3
Vp=1210,8
Vs=301,8
Vp=1276,5
Vs=603,0
ATTRIBUZIONE LITOLOGICA
Depositi alluvionali terrazzati
Calcari del Groppo del Vescovo
Depositi alluvionali terrazzati
Argille e Calcari
Terreno di riporto
Depositi alluvionali terrazzati
Calcari del Groppo del Vescovo
Terreno di riporto
Deposito detritico
Macigno
Depositi alluvionali terrazzati
Calcari del Groppo del Vescovo
Depositi alluvionali terrazzati
127
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
DH S16
Vp=3714,8
Vs=1477,5
Vp=3135,1
Vs=1712,1
Vp=752,6
Vs=484,8
Vp=985,5
Vs=722,2
Vp=1344,7
Vs=724,0
Vp=2371,6
Vs=782,4
Vp=2700
Vs=1715
Argille e Calcari
Calcari del Groppo del Vescovo
Depositi alluvionali terrazzati
Argille e Calcari
Tab. 7.2 – Tabella riassuntiva dei down-hole analizzati
7.3 INDAGINI SISMICHE A RIFRAZIONE
La realizzazione di sondaggi geognostici e l’esecuzione nei fori di indagini
sismiche di tipo down-hole permette di avere una buona caratterizzazione geometrica
(in termini di spessori) e fisico-meccanica dei litotipi oggetto d’indagine.
Tali indagini, però, offrono una risoluzione puntuale delle incognite di natura
geologico-tecnica. Per questo motivo è necessario ampliare queste conoscenze
puntuali; ciò è possibile attraverso diverse modalità:
x correlazione in base ai dati geologici di superficie (ma questo approccio,
estremamente qualitativo non tiene conto dell’elevata variabilità spaziale dei
parametri fisico-meccanici dei litotipi);
x aumento del numero di indagini geognostiche, al fine di poter acquisire un numero
maggiore di dati (il problema, a nostro avviso, risiede nell’eccessivo costo e dalle
problematiche di tipo logistico che vengono a crearsi, soprattutto in riferimento ad
indagini in centri abitati);
x estensione delle conoscenze puntuali, desunte dalle indagini in foro, attraverso la
realizzazione di indagini sismiche a rifrazione.
Quest’ultima modalità operativa è stata quella utilizzata nell’ambito delle
indagini di esplorazione del sottosuolo nell’area fivizzanese. In questa maniera è
stato possibile sia estendere le conoscenze sulle geometrie sepolte delle coperture e
128
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
del substrato sismico sia acquisire una serie di valori di velocità di propagazione
delle onde di compressione e di taglio polarizzate orizzontalmente, da utilizzare
come parametri di input nelle modellazioni numeriche.
I dati, in termini di Vp e Vs, desunti da prove sismiche a rifrazione, sono
chiaramente più mediati, rispetto ai risultati di una prova down-hole, ma sicuramente
caratterizzati da un’estendibilità areale maggiore.
In questo lavoro, delle 23 linee sismiche a rifrazione con onde P ed SH effettuate
nel comune fivizzanese, verranno analizzate le 7 prospezioni eseguite nei pressi del
Complesso Ospedaliero di Fivizzano.
In tabella 7.3 sono riportate le principali caratteristiche geometriche delle
indagini di sismica a rifrazione.
LINEA
LUNGHEZZA DELLA
DISTANZA
NUMERO DI
SISMICA
BASE (m)
INTERGEOFONICA (m)
ENERGIZZAZIONI
St10
92
4
7
St13
115
5
7
St15
120
5
7
St16
120
5
7
St23
88
variabile
7
St24
96,4
variabile
7
St25
94
variabile
7
Tab. 7.3 – Caratteristiche geometriche delle indagini di sismica a rifrazione
I segnali rilevati sono stati interpretati prima attraverso il picking dei primi
arrivi sia per le onde P che per le onde SH, e successivamente attraverso una
ricostruzione delle dromocrone tramite l’utilizzo del metodo GRM.
Di seguito vengono illustrate le sezioni sismostratigrafiche relative alle linee
sismiche citate precedentemente; la visione comparata di queste sezioni permette di
129
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
comprendere le geometrie dei contatti tra i litotipi ascrivibili alle coperture ed al
substrato dell’area fivizzanese.
Fig. 7.12 – Sezione sismostratigrafica relativa alla linea sismica St10
Nella figura precedente è illustrata la sezione sismostratigrafica relativa alla linea
sismica St10, in cui si nota che l’individuazione dei tempi di primo arrivo dei
sismogrammi ottenuti sia con onde P che con onde SH, ha consentito, in fase
interpretativa, di rilevare tre sismostrati: il primo è costituito da rilevato e
massicciata, con velocità Vp comprese tra 400 e 620 m/sec e velocità Vs tra 260 e
130
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
350 m/sec; le velocità del secondo sismostrato possono essere ascrivibili ai depositi
alluvionali; il terzo sismostrato potrebbe avere una geometria più complessa, in
quanto le velocità registrate sono tipiche, nella prima parte delle Argille e Calcari,
nella seconda dei Calcari del Groppo del Vescovo.
Fig. 7.13 – Sezione sismostratigrafica relativa alla linea sismica St13
Nella sezione sismostratigrafica, relativa alla stesa sismica St13, il primo
sismostrato, costituito dalla massicciata stradale, da terreno di riporto e dalla
porzione più superficiale areata del detrito di copertura, presenta, sia con le onde P
che SH, spessori pressoché costanti variabili tra 2.0 e 3.0 metri; le velocità ottenute
per questo sismostrato variano da 400 a 450 m/sec per le onde P, mentre le onde SH
assumono valori variabili da 170 a 190 m/sec. Il secondo sismostrato, costituito dalla
131
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
copertura detritica, presenta velocità delle onde P che si attestano sui 1070 m/sec e
velocità delle onde SH variabili tra 490 e 500 m/sec. Il rifrattore principale presenta,
sia con le onde P che con le onde SH pressoché lo stesso andamento e la stessa
profondità, e può essere ascrivibile alle Argille e Calcari di Canetolo.
La sezione sismostratigrafica St15 (fig. 7.14) mostra la presenza di tre
sismostrati: il primo, con medie velocità, correlabile con la massicciata stradale, il
terreno di riporto e la copertura detritica; segue un secondo strato caratterizzato da
velocità Vp = 2100÷2270 m/sec e Vs = 830÷1060 m/sec, riferibili alle argilliti e
calcari mediamente fratturati della formazione delle “Argille e calcari”; il terzo ed
ultimo strato, con velocità Vp = 3350÷3480 m/sec e Vs = 1800÷1830 m/sec, è
riferibile alle argilliti e calcari da poco fratturati a sani della formazione delle
“Argille e calcari”.
132
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
Fig. 7.14 – Sezioni sismostratigrafiche relative alle linee sismiche St15 e St16
133
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
Nella sezione St16 (fig. 7.14) il primo sismostrato individuato è caratterizzato da
basse velocità (Vp = 260÷320 m/sec e Vs = 150÷220 m/sec), che fanno ipotizzare la
presenza di terreno agrario e depositi alluvionali terrazzati costituiti da sabbie e
ghiaie eterometriche da sciolte a mediamente addensate; segue un secondo strato
caratterizzato da velocità riferibili alle sabbie ed alle ghiaie da addensate a molto
addensate; il terzo ed ultimo strato è ascrivibile alle argilliti e calcari da poco
fratturati a sani della formazione delle Argille e Calcari.
Fig. 7.15 – Sezione sismostratigrafica relativa alla linea sismica St23
L’interpretazione della linea sismica St23 (fig. 7.15) ha portato all’individuazione
di tre sismostrati: il primo, con velocità delle onde P compresa tra 240 e 280 m/sec e
velocità delle onde SH compresa tra 135 145 m/sec, comprende la massicciata
134
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
stradale, lo strato areato ed il terreno di riporto, con spessore variabile lungo tutta la
sezione; il secondo sismostrato, costituito essenzialmente da detrito di copertura,
presenta velocità Vp variabili da 600 a 650 m/sec e velocità Vs variabili da 380 a 390
m/sec. Il rifrattore principale, che costituisce la linea di separazione tra i suddetti
depositi di copertura ed il sottostante substrato sismico presenta, sia con le onde P
che SH, una morfologia abbastanza uniforme. Questo sismostrato presenta velocità
delle onde P comprese tra 2090 e 2200 m/sec e velocità delle onde SH tra 765 e 780
m/sec, che ben si accordano con i litotipi presenti nell’area in oggetto, in particolare
le Argille e Calcari e la formazione del Macigno, non potendo però discriminare tra i
due.
Fig. 7.16 – Sezione sismostratigrafica relativa alla linea sismica St24
135
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
Anche per lo stendimento St24 (fig. 7.16) sono stati individuati tre sismostrati
così suddivisi: il primo è relativo alla massicciata stradale, al terreno di riporto ed
allo strato areato, come nel caso precedente, con velocità delle onde P compresa tra
200 e 340 m/sec e velocità delle onde SH variabile tra 95 e 170 m/sec; il secondo
sismostrato, avente velocità Vp che variano tra 530 e 580 m/sec, mentre la velocità
delle onde SH si mantiene sui 270 m/sec, è riferibile al detrito di copertura; il terzo
sismostrato ha valori di velocità, sia di onde P che di onde SH, tali da far pensare alle
Argille e Calcari o alla Formazione del Macigno, senza poterne, però, individuare il
passaggio.
Fig. 7.17 – Sezione sismostratigrafica relativa alla linea sismica St25
La sezione litostratigrafica dell’indagine sismica St25 (fig. 7.17) illustra gli stessi
sismostrati visti nelle sezioni precedenti, e quindi massicciata stradale, strato areato e
terreno di riporto per il primo sismostrato, detrito di copertura per il secondo, Argille
e Calcari e Macigno per il terzo, mostrando leggere differenze di velocità.
136
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
7.4 INDAGINI SISMICHE A RIFLESSIONE
Nell’ambito dell’attività di ricerca sull’applicazione di tecniche geofisiche per la
ricostruzione del sottosuolo, è stata condotta nel comune di Fivizzano, nei pressi
dell’Ospedale civile, una campagna di indagini sismiche a riflessione con onde SH.
Tale campagna è stata svolta nel Novembre 2004 ed i dati ottenuti dall’acquisizione
di campagna sono stati rielaborati ed interpretati fino ad ottenere le sezioni finali.
L’ubicazione delle due linee sismiche, denominate Fiv Ln1 e Fiv Ln2, è mostrata
in figura 7.1.
Per entrambe le linee, della lunghezza di 56 m, è stata utilizzata la geometria
d’acquisizione “offend push increase”, che prevede la sorgente energizzante posta
all’esterno dello stendimento geofonico (fig. 7.18).
Fig. 7.18 – Schema della geometria dello stendimento
L’energizzazione in onde SH è stata ottenuta percuotendo con una massa battente
del peso di 5 kg una cassa metallica alternativamente ai due lati opposti. Per ciascun
punto d’energizzazione (shot-point) in onde SH sono state eseguite due registrazioni,
una per la “battuta destra” e l’altra per la “battuta sinistra”. Tale metodologa consente
una facile discriminazione dell’arrivo delle onde SH perché la fase, per le due diverse
battute, è opposta.
La lettura delle sezioni migrate non è stata un’operazione semplice a causa delle
caratteristiche del sottosuolo che hanno prodotto un forte “ringing” del segnale
riflesso e notevoli effetti diffrattivi. Ciò è attribuibile all’estrema eterogeneità del
137
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
sottosuolo, difficilmente risolubile persino mediante tecniche di acquisizione e di
processing ad alta risoluzione quali quelle utilizzate.
Nelle sezioni mostrate in figura 7.19 e 7.20 sono evidenziate, tramite linee rosse
tratteggiate, delle discontinuità che possono essere associate ad una struttura
principale ad angolo relativamente basso, legata probabilmente ad un cinematismo di
tipo inverso, ben visibile in entrambe le sezioni.
Altri lineamenti di tipo sub verticale che interrompono la continuità dei riflettori
sono osservabili in entrambe le sezioni e sarebbero associati ad un cinematismo
diretto.
Con linee blu tratteggiate, invece, sono indicati riflettori discontinui ad
andamento sub-orizzontale che potrebbero essere associati alla stratificazione. Questi
riflettori hanno pendenze differenti, probabilmente a causa di movimenti differenziali
che li hanno interessati.
La taratura dei riflettori superficiali mediante sondaggio geognostico risulta poco
significativa a causa della presenza di forti effetti diffrattivi nei primi 50 ms, dovuti
alla fratturazione degli elementi litoidi presenti, che mascherano il reale andamento
dei contrasti di rigidità sismica. La presenza delle strutture inverse principali sarebbe
stata individuata, comunque, anche mediante tali indagini dirette (paragrafo 7.1).
138
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
Fig. 7.19 – Sezione sismica a riflessione Ln1
Fig. 7.20 – Sezione sismica a riflessione Ln2
139
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
7.5 CARTA DELLE ISOPACHE DELLA COPERTURA SISMICA
L’utilizzo dei risultati delle indagini sismiche sopra descritte, integrati con quelli
desunti dalle restanti indagini di esplorazione del sottosuolo, ha permesso la
realizzazione di una carta delle isopache della coltre sismica (fig. 7.21), con cui si
indicano tutti quei litotipi che, in base alle caratteristiche fisico-meccaniche, sia
dinamiche sia statiche, non possono essere considerate come substrato sismico, per il
quale è richiesta una Vs t1000 m/sec, nel caso di substrato rigido, o almeno 800
m/sec, nel caso di substrato deformabile.
Fig. 7.21 – Carta delle isopache della copertura sismica dell’area circostante
l’ospedale di Fivizzano
140
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
Come si osserva dalla carta delle isopache lo spessore della coltre sismica va
progressivamente aumentando spostandosi verso nord e nell’area denominata “Il
piano”, arrivando a profondità anche maggiori di 35 m. Nella zona dove sorge il
complesso ospedaliero di Fivizzano e nel settore adiacente alla Piazza della Libertà,
invece, lo spessore della copertura sismica diminuisce arrivando a profondità anche
minori di 5 m.
La situazione della coltre sismica ora descritta ha una diretta influenza sulla
risposta sismica locale del sito; questo verrà discusso nel prossimo capitolo.
7.5 CORRELAZIONI TRA I MODULI ELASTO-DINAMICI
L’analisi delle informazioni ricavate da una campagna di esplorazione del
sottosuolo, attraverso l’utilizzo di indagini sismiche e geognostiche, atta
all’osservazione dei valori di propagazione delle onde sismiche nel terreno ed alla
valutazione delle caratteristiche fisico-meccaniche in campo dinamico deve essere
implementata, avvalendosi dell’osservazione di parametri elasto-dinamici (rapporto
Vp/Vs, modulo di Poisson e modulo di Young), ricavati dai valori di Vp e Vs
misurati e dalla conoscenza, per alcuni di questi moduli, della densità.
Di seguito sono riportati i grafici ottenuti con l’utilizzo dei parametri elastodinamici sopra elencati, calcolati in funzione della Vs, in quanto questo è il
parametro fondamentale da prendere in considerazione nelle indagini di
microzonazione sismica.
In figura 7.22 è mostrato un grafico in cui sono messi in relazione il rapporto
Vp/Vs e la velocità Vs per i litotipi presenti nell’area di studio. Si può osservare che i
maggiori valori del rapporto Vp/Vs si hanno per i depositi alluvionali terrazzati ed in
parte per i depositi detritici, rappresentativi di depositi non consolidati, per i quali
questo parametro ha il maggior grado di variabilità. I valori minori, invece, si hanno
per i litotipi a carattere litoide, come le argille e calcari, i calcari del Groppo del
Vescovo e le arenarie del Macigno. I bassi valori riscontrabili anche per il terreno di
141
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
riporto ed il detrito potrebbe essere imputato alla presenza di depositi gas saturati,
inoltre bisogna ricordare, come accennato prima, che per questi depositi il rapporto
ha un’ampia variabilità.
Fig. 7.22 – Rapporto Vp/Vs in funzione della Vs
La relazione esistente tra Vs e coefficiente di Poisson è illustrata in figura 7.23.
Anche in questo caso l’areato ha il maggior grado di variabilità, infatti, passa da
valori negativi a valori positivi. Si osserva che i valori maggiori si hanno per i litotipi
ascrivibili ai depositi alluvionali, caratterizzati da un maggior grado di frazione fine,
e alla formazione del Macigno. I bassi valori visibili per alcuni elementi appartenenti
alla copertura sono dovuti al fatto che ci si trova in presenza di sedimenti a bassa
pressione litostatica e gas-saturati.
142
CAPITOLO 7 – L’esplorazione del sottosuolo nel comune di Fivizzano
Fig. 7.23 – Coefficiente di Poisson in funzione della Vs
Nel grafico di figura 7.24 è riportata, invece, la relazione tra il modulo di Young
ed il rapporto Vp/Vs. Osservando il grafico si potrebbe tracciare un limite di
separazione tra le unità di copertura, caratterizzati da valori inferiori, ed i litotipi del
substrato, con valori maggiori.
Fig. 7.24 – Modulo di Young in funzione del rapporto Vp/Vs
143
CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche
CAPITOLO 8
8.
MODELLAZIONI MONODIMENSIONALI DINAMICHE
Nei capitoli precedenti sono state descritte le modalità tecniche e scientifiche
attraverso le quali vengono acquisiti i parametri necessari alla determinazione del
modello geologico-tecnico dell’area di studio.
Tali parametri sono utilizzanti, inoltre, come dati di input nella realizzazione di
modellazioni numeriche in campo dinamico, al fine di simulare il comportamento dei
terreni soggetti ad un determinato evento sismico, permettendo, quindi, di valutarne
la risposta sismica locale.
Queste simulazioni nascono con l’intento di sopperire, come nel nostro caso, alla
totale mancanza di dati ground-motion, ascrivibile sia alla natura storica dell’evento
sismico considerato, sia all’assenza che si rileva tutt’oggi (in territorio italiano) di
una capillare rete accelerometrica in grado di registrare la diversa risposta sismica ad
una scala locale, ascrivibile all’attività di forti terremoti.
Le modellazioni numeriche monodimensionali realizzate nel centro abitato di
Fivizzano hanno come fine quello di valutare l’entità dei fenomeni di amplificazione
che si registrano nell’area stessa.
A questo scopo sono state realizzate 26 simulazioni monodimensionali con il
programma ProShake 1.1 a Fivizzano, in particolare nell’area in cui è ubicato il
complesso ospedaliero (sede di nuove indagini come indicato nel capitolo
precedente). I punti di calcolo della modellazione sono stati scelti in corrispondenza
delle basi sismiche a rifrazione, sulle verticali in cui erano evidenti le irregolarità dei
sismostrati, potendone osservare una variazione degli spessori. L’ubicazione di
questa campagna di modellazioni è riportata in figura 8.1.
144
CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche
Fig. 8.1 – Ubicazione delle modellazioni monodimensionali nell’area del
complesso ospedaliero di Fivizzano
145
CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche
8.1 PROSHAKE 1.1
Il programma di modellazione monodimensionale descritto in questo paragrafo
calcola la risposta sismica associata alla propagazione verticale di onde SH. Il codice
di calcolo ProShake 1.1 rappresenta l’evoluzione dei programmi Shake 85 (Schnabel
et alii, 1972) e Shake 91 (Idriss & Sun, 1992), utilizzando un’interfaccia semplificata
che consente un utilizzo molto più agevole e veloce, rispetto alle altre versioni scritte
in linguaggio “fortran”.
Il programma è organizzato in tre settori, denominati “managers”:
1. input manager;
2. solution manager;
3. output manager.
Di seguito verranno descritte le caratteristiche dei tre “managers”.
L’input manager consente di inserire i dati di ingresso (input), controllandoli e
salvandoli in un file con estensione “.dat” prima dell’esecuzione di programma.
I dati di input necessari ad effettuare le modellazioni sono accelerogrammi e
spettri di risposta del terremoto di progetto utilizzato per le simulazioni, l’assetto
stratigrafico della verticale sui cui vengono eseguite le modellazioni, i valori di Vs
dei litotipi indagati, spessori e densità dei sismostrati, ricavati nella campagna di
esplorazione del sottosuolo, curve di valori di rigidezza (G normalizzato al modulo di
taglio iniziale G0) ed i coefficienti di smorzamento interno (ȗ) in relazione alla
deformazione tangenziale (Ȗ).
Nell’input manager è, inoltre, possibile osservare graficamente i dati di input
immessi per controllare eventuali errori in fase di immissione dei dati.
Prima di procedere con l’elaborazione è necessario, sempre in questa fase,
specificare gli output desiderati.
Il solution manager è utilizzato per eseguire l’analisi lineare equivalente,
illustrando la variazione della deformazione di taglio efficace e dell’errore associato
146
CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche
alla variazione del modulo di taglio e dello smorzamento in funzione della profondità
per ogni step di iterazione. Quando gli errori diminuiscono sotto la tolleranza di
errore specificata sulla forma di input motion nell’input manager a tutte le
profondità, o quando il numero massimo di iterazione è stato raggiunto, il
programma cesserà di iterare.
Anche in questa fase, al completamento dell’analisi, il risultato viene salvato in
un file con estensione “.lyr”.
Per mezzo dell’output manager, infine, sarà possibile osservare graficamente i
risultati della modellazione numerica attraverso i diagrammi ground-motion (timehistory, spettri di Fourier, spettri di fase e spettri di potenza), grafici di distribuzione
temporale di sforzi e deformazioni di taglio nel terreno, spettri di risposta, funzioni di
trasferimento ed altri parametri ground-motion, sia nel dominio del tempo, sia delle
frequenze.
Il programma ProShake 1.1 utilizza un approccio nel dominio delle frequenze per
risolvere il problema della valutazione della risposta sismica locale.
Il modello fisico consiste in N strati piani e paralleli, di estensione orizzontale
infinita, su un semispazio rigido (bedrock). Ogni strato, considerato omogeneo ed
isotropo, è caratterizzato dallo spessore h, dalla densità ȡ, dal modulo di taglio G e
dal fattore di smorzamento ȗ. Il programma è applicabile solo qualora il modello sia a
strati orizzontali paralleli infinitamente estesi.
L’equazione d’onda utilizzata nel modello (viscoelastico linearizzato di KelvinVoigt) è:
U G 2 u Gt 2 G G 2 u Gx 2 K >G 3 u Gx 2Gt @
(8.1)
dove
K
2G9 Z G 2 u Gt 2 = moto sismico
147
CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche
Per ciò che concerne la determinazione del terremoto di progetto, è stato utilizzato un
terremoto ottenuto precedentemente tramite una prima analisi di pericolosità
dell’area effettuata stimando i parametri di scuotimento del terreno attesi su sito
rigido, aventi probabilità di eccedenza del 10% in 50 anni (periodo di ritorno
equivalente = 475 anni).
Il periodo di ritorno utilizzato rappresenta un valore convenzionale adottato in
molte normative internazionali (tra cui anche l’Eurocodice 8, ENV 1998-1-1, 1994) a
fini di classificazione sismica. I risultati di dette analisi consistono in spettri a
pericolosità uniforme in pseudoaccelerazione al 5% dello smorzamento critico. La
scelta degli spettri a pericolosità uniforme anziché di quello deterministico con pari
periodo di ritorno, è stata dettata dalla impossibilità di separare, all’interno della zona
sismogenetica, il contributo di ciascuna singola struttura, e pertanto si è ritenuto più
corretto utilizzare il contributo cumulato, su base probabilistica, della scuotibilità
derivante da tutte le potenziali sorgenti esistenti nell’area.
In particolare utilizzando il catalogo dei terremoti (Gruppo di Lavoro CPTI,
1999), le zone sismogenetiche (Scandone, 1999) e leggi di attenuazione (Sabetta e
Pugliese, 1996), si sono ottenuti per i centri oggetto di indagine i valori attesi di
picco di accelerazione (Pga), picco di velocità (Pgv), Arias Intensity (Ai), durata
dell’evento (d), ordinate spettrali per i vari periodi, in termini di pseudovelocità (Psv)
al 5% dello smorzamento critico.
A partire dagli spettri ottenuti sono stati generati accelerogrammi sintetici
(Sabetta e Pugliese, 1996), fissata la magnitudo e distanza compatibile con la Pga
ottenuta dall’analisi precedente.
Per l’area fivizzanese, considerata area epicentrale del terremoto del 1920 ed in
riferimento all’intensità dei danneggiamenti subiti, è stato scelto il moto di input (fig.
8.2), caratterizzato dai maggiori valori di Pga ricavata.
148
CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche
Fig. 8.2 – Moto di input utilizzato nelle simulazioni numeriche: a) time history,
b) spettro di risposta al 5% di smorzamento
I programmi di modellazione numerica in campo dinamico richiedono, inoltre, in
fase di input, informazioni relative ai valori di rigidezza (G normalizzato al modulo
di taglio iniziale G0) e dei coefficienti di smorzamento interno ([%) in relazione alla
deformazione tangenziale (J%).
Tali parametri (tab. 8.2), congiuntamente ai valori di densità utilizzati per i
diversi litotipi indagati (tab. 8.3), sono stati desunti da indagini di esplorazione del
149
CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche
sottosuolo condotte nell’ambito del Progetto VEL in alcune località della Garfagnana
(Pergalani et alii, 2000; Petrini et alii, 2000; Ferrini et alii, 2001).
Deformazione tangenziale (J %)
0.0001 0.001
Litotipo
Depositi di riporto
(rp/dt)
Depositi alluvionali
terrazzati (ct/mg)
Argille e calcari (ac)
Calcari eocenici
Macigno
G/G0
[
G/G0
[
G/G0
[
G/G0
[
G/G0
[
0.98
0.95
1
2.6
0.99
4.6
1
0.05
1
0.39
0.95
1.5
0.97
2.7
0.93
4.8
1
0.05
0.99
0.81
0.01
0.1
1
0.78
3.9
0.75
4.5
0.67
7.8
0.8
1.5
0.9
1.5
0.38
10.8
0.17
16
0.24
18.4
0.75
4
0.72
2.98
0.06
17
0.015
22
0.05
21.9
0.6
7
0.55
4.6
Tab 8.2 – Valori di rigidezza (G normalizzato al modulo di taglio
iniziale G0) e dei coefficienti di smorzamento interno ([%) in relazione
alla deformazione tangenziale (J%) per i litotipi indagati nel sito di
Fivizzano
Litotipo
Depositi di riporto (rp/dt)
Depositi alluvionali terrazzati
(ct/mg)
Argille e calcari (ac)
compatti
Calcari eocenici
alterati
Macigno
J(kN/m3)
18
19
21
26
23
25
Tab 8.3 – Valori di densità utilizzati nelle modellazioni numeriche
150
CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche
8.2
RISULTATI DELLE MODELLAZIONI MONODIMENSIONALI
In questo paragrafo vengono riportati e discussi i risultati delle 26 modellazioni
monodimensionali effettuate nell’area dell’ospedale del comune di Fivizzano.
Vengono mostrati innanzitutto gli spettri di risposta in pseudoaccelerazione
caratterizzati dallo stesso valore di smorzamento (5%) e che sono una
rappresentazione della massima risposta in accelerazione del suolo ad un determinato
evento sismico (in questo caso l’accelerogramma di input di figura 8.2) in funzione della
frequenza (f) o del periodo (T=1/f). Successivamente, tramite l’utilizzo degli spettri di
risposta in pseudovelocità, ottenuti anch’essi con il codice di calcolo Proshake 1.1, sono
stati calcolati i fattori di amplificazione intesi come rapporto tra l’intensità spettrale di
output e l’intensità spettrale di input, come mostrato di seguito:
PSV(T,[ )OUTPUT
dT
PSV(T,[ ) INPUT
0.1
0.5
Fa(PSV)= ³
(8.2)
dove PSV è lo spettro di risposta in pseudovelocità, T è il periodo e ȗ è lo
smorzamento critico.
I valori dei fattori di amplificazione (figure 8.5, 8.8, 8.12, 8.14) sono stati calcolati
prendendo in considerazione due diversi range di periodo, ed in particolare sono stati
calcolati FA per un periodo compreso tra 0,1 e 0,5 e FA per un periodo più lungo
compreso tra 0,1 e 2,5. La scelta di questi due intervalli è dettata dal fatto che ogni
edificio, a seconda di come esso è strutturato, risulta essere più sensibile a delle
particolari frequenze, ad esempio edifici elevati sono in genere più suscettibili a basse
frequenze, mentre risultano più pericolosi sismi caratterizzati da alte frequenze per
edifici di pochi piani, e, per uno studio di microzonazione sismica come quello effettuato
in questo lavoro, è necessario valutare queste particolari situazioni.
Per i punti di modellazione analizzati sono stati calcolati anche i valori del Vs30,
cioè gli spettri di risposta in funzione della legge n°32/74 in materia di normativa
151
CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche
antisismica., varata nel mese di Marzo 2003 dalla Presidenza del Consiglio dei
Ministri.
Tale legge disciplina le norme tecniche per il progetto, la valutazione e
l’adeguamento sismico degli edifici soggetti ad azioni sismiche. Lo scopo delle
norme è di assicurare che in caso di evento sismico sia protetta la vita umana, siano
limitati i danni e rimangano funzionanti le strutture essenziali agli interventi di
protezione civile.
In particolare, le costruzioni devono essere dotate di un livello di protezione
antisismica differenziato in funzione della loro importanza e del loro uso, e quindi
delle conseguenze più o meno gravi di un loro danneggiamento per effetto di un
evento sismico. A tale scopo si istituiscono diverse categorie di importanza, a
ciascuna delle quali è associato un fattore ș di importanza. Tale fattore amplifica
l’intensità dell’azione sismica di progetto rispetto al valore che per essa si assume per
costruzioni di importanza ordinaria (azione sismica di riferimento). Il fattore di
importanza si applica in ugual misura all’azione sismica di collasso e per lo stato
limite di danno.
Ai fini della definizione dell’azione sismica di progetto si definiscono le seguenti
categorie di profilo stratigrafico del profilo di fondazione:
A – Formazioni litoidi o suoli omogenei molto rigidi caratterizzati da valori di
Vs30 superiori a 800 m/sec, comprendenti eventuali strati di alterazione superficiale
di spessore massimo pari a 5 m.
B – Depositi di sabbie o ghiaie molto addensate o argille molto consistenti, con
spessori di diverse decine di metri, caratterizzati da un graduale miglioramento delle
proprietà meccaniche con la profondità e da valori di Vs30 compresi tra 360 m/sec e
800 m/sec (resistenza penetrometrica Nspt>50 o Cu coesione non drenata >250 Kpa);
C – Depositi di sabbie e ghiaie mediamente addensate, o di argilla di media
consistenza, con spessori variabili da diverse decine fino a centinaia di metri,
caratterizzati da valori di Vs30 compresi tra 180 e 360 m/sec.
152
CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche
D – Depositi di terreni granulari da sciolti a poco addensati oppure coesivi da
poco a mediamente consistenti caratterizzati da valori Vs30 minori di 180 m/sec.
E – Profili di terreno costituiti da strati superficiali alluvionali, con valori di
Vs30 simile a quelli dei tipi C o D e spessore compreso tra i 5 ed i 20 metri, giacenti
su di un substrato di materiale più rigido con Vs30 maggiore di 800 m/sec.
Nelle definizioni precedenti Vs30 è la velocità media di propagazione entro
trenta metri di profondità delle onde di taglio e viene calcolata con la seguente
espressione:
VS 30
30
hi
¦
i 1,N Vi
(8.3)
dove hi e Vi indicano lo spessore (in metri) e la velocità delle onde di taglio dello
strato i-esimo, per un totale di n strati presenti nei trenta metri superiori.
Ai fini dell’applicazione il territorio nazionale viene suddiviso in zone sismiche,
ciascuna contrassegnata da un diverso valore di accelerazione orizzontale massima a
cui viene associato un particolare spettro di risposta.
Di seguito vengono riportati i risultati delle Vs30 calcolate nel comune di
Fivizzano.
153
CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche
Punti di calcolo
ST10A
VS30
748
Categoria
B
ST10B
779
B
ST10C
719
B
ST13A
618
B
ST13B
594
B
ST13C
600
B
ST15A
1579
A
ST15B
1266
A
ST15C
1430
A
ST16A
783
B
ST16B
563
B
ST16C
469
B
ST23A
546
B
ST23B
476
B
ST23C
570
B
ST24A
573
B
ST24B
489
B
ST24C
620
B
ST25A
665
B
ST25B
647
B
ST25C
774
B
Tab. 8.4 – Valori di Vs30 calcolati e relativa categoria
di suolo
Nelle figure che seguono sono mostrati i risultati delle modellazioni
monodimensionali ottenuti con il programma ProShake 1.1, confrontati con la
normativa sismica appena descritta. Dall’analisi comparata tra gli spettri di risposta
ottenuti con le modellazioni monodimensionali e quelli relativi al terreno di
appartenenza delle Vs30, possiamo notare come per la zona indagata, la normativa
tende a sottovalutare la risposta sismica locale.
154
CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche
Fig. 8.3 – Spettri di risposta calcolati nei punti di misura disposti in
corrispondenza della base sismica ST10
Fig. 8.4 – Spettri di risposta calcolati nei punti di misura disposti in
corrispondenza della base sismica ST13
155
CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche
Fig. 8.5 – Fattori di amplificazione per un periodo compreso tra 0,1 e 0,5 sec
e 0,1 e 2,5 sec per i punti di modellazione ubicati sulle basi sismiche ST10 e
ST13
Fig. 8.6 – Spettri di risposta calcolati nei punti di misura disposti in
corrispondenza della base sismica ST15
156
CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche
Fig. 8.7 – Spettri di risposta calcolati nei punti di misura disposti in
corrispondenza della base sismica ST16
Fig. 8.8 – Fattori di amplificazione per un periodo compreso tra 0,1 e 0,5 sec e
0,1 e 2,5 sec per i punti di modellazione ubicati sulle basi sismiche ST15 e
ST16
157
CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche
Fig. 8.9 – Spettri di risposta calcolati nei punti di misura disposti in
corrispondenza della base sismica ST23
Fig. 8.10 – Spettri di risposta calcolati nei punti di misura disposti in
corrispondenza della base sismica ST24
158
CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche
Fig. 8.11 – Spettri di risposta calcolati nei punti di misura disposti in
corrispondenza della base sismica ST25
Fig. 8.12 – Fattori di amplificazione per un periodo compreso tra 0,1 e 0,5
sec e 0,1 e 2,5 sec per i punti di modellazione ubicati sulle basi sismiche
ST23, ST24 e ST25
159
CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche
Fig. 8.13 – Spettri di risposta calcolati nei punti di misura disposti in
corrispondenza dei down-hole
Fig. 8.14 – Fattori di amplificazione per un periodo compreso tra 0,1 e 0,5 sec e
0,1 e 2,5 sec per i punti di modellazione in corrispondenza dei down-hole
160
CAPITOLO 8 – Modellazioni monodimensionali dinamiche
Dall’osservazione degli spettri di risposta illustrati nelle figure precedenti, si
possono desumere le seguenti affermazioni:
x
nel settore centrale, attorno alla Piazza della Libertà, si notano spettri di
risposta con contenuto spettrale piccato su frequenze comprese tra 5 e 3 Hz e
valori più alti di pseudoaccelerazione in corrispondenza di un contrasto di
impedenza più marcato rappresentato dal passaggio, in profondità, dai
depositi alluvionali terrazzati ai calcari del Groppo del Vescovo (ST10C). Ma
vi sono anche risposte che non mostrano apprezzabili amplificazioni (ST15AST15B-ST15C); questo può essere giustificato da un contrasto di velocità non
eccessivo esistente tra il substrato costituito dalle Argille e Calcari ed il
litotipo sovrastante rappresentato dal terreno di riporto;
x
riferendosi in particolare ai punti di modellazione ubicati sulla base sismica
ST16 si osservano amplificazioni maggiori e piccate su frequenze comprese
tra 8 e 2 Hz (ST16B e ST16C), dovute al graduale approfondimento del
substrato costituito dalle Argille e Calcari e quindi ad un sempre maggior
spessore dei depositi alluvionali terrazzati sovrastanti;
x
nell’area occupata dall’ospedale si notano amplificazioni caratterizzate da un
contenuto spettrale piccato su bassi periodi. Le amplificazioni registrate
possono essere spiegate dalla presenza di un contrasto d’impedenza forte tra
il substrato rappresentato da Macigno e Argille e Calcari ed il litotipo
sovrastante, rappresentato dal detrito di copertura e dal riporto. Inoltre, se si
osservano in particolare i punti di modellazione ST23B, ST24B ed ST25B, si
può affermare che le maggiori amplificazioni per questi punti sono dovute
all’aumento di spessore dei depositi detritici e del terreno di riporto, rispetto
ai restanti punti di modellazione ubicati sulle stesse basi sismiche. Si nota
anche l’amplificazione pressoché nulla nel punto ST25C, in cui lo spessore
del detrito di copertura diminuisce e quello del terreno di riporto è esiguo.
161
CAPITOLO 9 - Conclusioni
CAPITOLO 9
9. CONCLUSIONI
Lo studio realizzato in questa tesi, basatosi su di un’analisi multidisciplinare del
sottosuolo effettuata attraverso l’interpretazione integrata di indagini geognostiche,
indagini sismiche a rifrazione e a riflessione e prove down-hole (capitolo 7), delinea
per il comune di Fivizzano, ed in particolare per l’area occupata dall’ospedale, un
quadro complesso.
Come già accennato nel paragrafo 6.3, nelle sezioni di figure 6.6 – 6.7 – 6.8 –
6.9 vengono illustrate due differenti ipotesi di ricostruzione del sottosuolo.
Le sezioni geologiche di figura 6.6 e 6.7 mostrano una prima ipotesi, visibile
anche nella carta geologica di figura 6.5, in cui è stata ipotizzata la presenza di una
frana che ha coinvolto la Formazione del Macigno e l’Unità di Canetolo, portando
alla dislocazione della faglia diretta che mette in contatto le sopracitate formazioni
geologiche. Il fenomeno gravitativo presente lungo lo specchio di faglia
spiegherebbe la sovrapposizione della Formazione del Macigno su quella delle
Argille e Calcari, riscontrata nel sondaggio S11, sovrapposizione anomala
considerando che le Argille e Calcari di Canetolo fanno parte dell’unità alloctona
del dominio subligure e sono sovrascorsi sulla formazione del Macigno.
Un’ipotesi alternativa a quella sopra descritta per spiegare l’anomala
sovrapposizione litologica potrebbe essere la classificazione della faglia come
inversa. Questa tesi è illustrata nelle sezioni geologiche di figura 6.8 e 6.9.
Dalle indagini effettuate nell’area e discusse in questo lavoro di tesi sono emersi
elementi imprevisti che si pongono in contraddizione con l’ipotesi che ascrive a tale
discontinuità un carattere distensivo.
Dai sondaggi geognostici S5 ed S12 si è notata la presenza, al contatto tra tetto e
letto, di depositi cataclasitici ricchi di calcite spatica con cristalli ben formati; ma
considerando la fragilità dei cristalli di calcite si potrebbe affermare che la faglia in
oggetto non presenti indizi di attività recente e quindi non possa essere classificata
come faglia sismogenetica o attiva.
162
CAPITOLO 9 - Conclusioni
In secondo luogo vi è l’assenza di un riscontro morfologico visibile nelle due
sezioni di sismica a riflessione effettuate nell’area in questione; in queste sezioni,
infatti, non si nota la presenza di una superficie di scorrimento di proporzioni tali da
giustificare la presenza della frana che avrebbe coinvolto la Formazione del
Macigno e quelle dell’Unità di Canetolo.
In questo lavoro, comunque, non verrà approfondita l’analisi volta a capire la
natura della suddetta faglia.
Per ciò che concerne lo studio della risposta sismica locale, la metodologia
utilizzata nel presente lavoro di tesi si riferisce alle modalità operative adottate
nell’ambito del Progetto VEL (Valutazione degli Effetti Locali) istituito dalla
Regione Toscana in base alla L.R. 30/07/1997 N 56 “Interventi sperimentali per la
riduzione del rischio sismico”.
Uno degli scopi finali di tale Programma sarà quello di definire, ad una scala di
dettaglio, zone caratterizzate da un omogeneo valore della risposta sismica locale,
nelle principali aree sismicamente attive della Regione Toscana, attraverso una
metodologia operativa di tipo quantitativa (cap. 5), che può essere schematizzata nel
seguente modo:
1. definizione delle aree d’indagine;
2. definizione del modello geologico-tecnico attraverso il contributo integrato
delle informazioni desunte dalla caratterizzazione geologico-geomorfologica di
superficie e dalla conseguente fase di esplorazione multidisciplinare del sottosuolo;
3. determinazione dei parametri di input (statici e dinamici) direttamente
acquisiti attraverso la realizzazione della precedente fase (caratterizzazione
geometrica e parametrizzazione fisico-meccanica dei litotipi indagati);
4. definizione del moto di input;
5. esecuzione delle modellazioni dinamiche (monodimensionali), in grado di
fornire, in fase di output, ai Comuni ed ai progettisti, parametri di interesse per
mezzo di spettri di risposta e fattori d’amplificazione.
163
CAPITOLO 9 - Conclusioni
Tale metodologia, se paragonata ad altre metodiche di analisi degli effetti locali
dei terreni, è di certo caratterizzata da elevati costi e tempi non brevi di esecuzione,
ma, d’altra parte, consente di considerare le diverse incognite che sono presenti in
studi multidisciplinari, nella maniera più esaustiva possibile.
C’è però da considerare che solo attraverso un approccio quantitativo è possibile
considerare, nella maniera più esaustiva possibile, le diverse incognite che sono
presenti in studi così multidisciplinari ed eterogenei.
Attraverso il caso di Fivizzano è stato possibile verificare un esempio di
applicazione di tale metodologia d’indagine, tenendo presente che sarebbe
necessario effettuare nell’area ulteriori modellazioni bidimensionali.
Dall’analisi delle modellazioni monodimensionali, mostrate e descritte nel
capitolo 8, si osserva che le amplificazioni registrate nei vari punti di modellazione
si presentano, in generale, all’interno di un simile range di frequenze.
Per i punti di modellazione è stata utilizzata anche la formula semplificata di
Bard (1986) che permette di calcolare la frequenza fondamentale del terreno,
tenendo in considerazione lo spessore del deposito. La suddetta formula è la
seguente:
F0
1
T0
Vs
4H
(9.1)
dove F0 è la frequenza fondamentale, T0 è il periodo fondamentale, Vs è la
velocità di propagazione delle onde di taglio ed H è lo spessore del deposito.
Le frequenze calcolate nei suddetti punti sono riportate in tabella 9.1 e sono
state confrontate con i valori di picco di frequenze avuti tramite le modellazioni
monodimensionali.
164
CAPITOLO 9 - Conclusioni
FREQUENZA
PUNTO DI
PICCO DI FREQUENZA
MISURA
MONODIMENSIONALE (Hz)
ST10A
6,25
7,6
ST10B
8,3
9
ST10C
6,25
6,2
ST13A
10
10,4
ST13B
8,3
7,2
ST13C
8,3
7,4
ST15A
3,6
50
ST15B
3,6
35
ST15C
3,6
41
ST16A
12,5
13,6
ST16B
6,25
4,5
ST16C
2.8
2,4
ST23A
12,5
11,3
ST23B
8,3
6,5
ST23C
10
9,8
ST24A
8,3
8,4
ST24B
6,3
6
ST24C
10
9,8
ST25A
12,5
10,1
ST25B
10
8,6
ST25C
6
18,7
CALCOLATA CON BARD
(Hz)
Tab. 9.1 - Confronto tra le frequenze calcolate con il ProShake 1.1 e quelle
calcolate con la formula semplificata di Bard
Come si può notare dalla tabella, le frequenze calcolate con entrambi i metodi
mostrano una corrispondenza abbastanza buona. I valori più bassi si hanno in
corrispondenza dei punti in cui il substrato sismico è più profondo.
165
CAPITOLO 9 - Conclusioni
Le differenze, anche sostanziali, esistenti tra i valori calcolati con la formula di
Bard e i valori calcolati con il Proshake, in corrispondenza dei medesimi punti di
misura, sono da attribuire alla presenza di un substrato più superficiale e velocità
della copertura maggiori, i due parametri che la formula di Bard prende in
considerazione e che fanno sì che i risultati delle frequenze fondamentali siano così
elevati. Questa differenza sta a significare, anche, che, avendo il terreno una
frequenza fondamentale così elevata e registrando, invece, un’amplificazione dello
stesso terreno, a seguito di un terremoto, su frequenze molto più basse, non ci si
aspettano conseguenze in quest’area.
Allo scopo di mettere in evidenza il ruolo basilare svolto dallo spessore della
copertura, è stato eseguito un confronto tra gli spettri di risposta calcolati in
corrispondenza dei punti di modellazione ubicati sulla stesa sismica ST16,
considerando, per ciascun punto, un differente valore di spessore della copertura
(fig. 9.1 – 9.2 – 9.3).
Fig. 9.1 – Spettri di risposta calcolati nel punto di misura ST16A per differenti
valori dello spessore della copertura (in rosso il valore reale)
166
CAPITOLO 9 - Conclusioni
Fig. 9.2 – Spettri di risposta calcolati nel punto di misura ST16B per
differenti valori dello spessore della copertura (in rosso il valore reale)
Fig. 9.3 – Spettri di risposta calcolati nel punto di misura ST16C per
differenti valori dello spessore della copertura (in verde il valore reale)
167
CAPITOLO 9 - Conclusioni
Osservando le figure precedenti, mostranti gli spettri calcolati, si nota
facilmente che approfondendosi il substrato sismico lo spettro registrato viene
traslato verso frequenze gradualmente minori e, in più, a partire da spessori di circa
50 m lo spettro si abbassa verso valori di PSA inferiori. Particolare attenzione va
posta, anche, sugli spettri i cui andamenti abbracciano un range di frequenze più
ampio, sviluppando, per questo motivo, una situazione di maggior rischio.
Il confronto con gli spettri di risposta relativi al terreno di appartenenza ottenuti
tramite il calcolo del Vs30 mettono in evidenza come questo metodo di stima del
rischio sismico non sia completamente attendibile in quanto prende in
considerazione solo i primi 30 m di terreno, non valutando ciò che può succedere
anche nella parte sottostante. Questo si può osservare più in particolare esaminando
gli spettri illustrati in figura 9.4.
Fig. 9.4 – Spettri di risposta calcolati per differenti valori di velocità e di
spessore della copertura, confrontati con lo spettro di normativa
168
CAPITOLO 9 - Conclusioni
Dalla figura si può osservare che aumentando lo spessore della copertura e
variando la sua velocità gli spettri di risposta ricadono all’interno della finestra
considerata pericolosa dallo spettro di normativa, sottostimando quindi la risposta
sismica locale, proprio perché con il calcolo del Vs30 non si riesce a valutare il
contributo di ciò che si trova oltre i primi 30 metri.
In conclusione, per una buona valutazione della risposta sismica ed anche in
campo progettuale è importante prendere in considerazione diversi parametri, non
fermandosi alla sola interpretazione dei risultati ottenuti tramite calcoli o
modellazioni, ma valutando anche quei fattori che, già ad una prima analisi
approssimativa, possono fornire indicazioni in merito alla risposta sismica locale.
Sulla base dei risultati acquisiti dalle modellazioni, e conseguentemente, dei
valori di fattore di amplificazione calcolati (capitolo 8), è stata realizzata una carta
della distribuzione areale dei fattori di amplificazione con periodo compreso tra 0.1
e 0.5 sec.
Fig. 9.4 – Carta della distribuzione areale dei fattori di amplificazione con periodo
compreso tra 0,1 e 0,5 sec nel centro abitato di Fivizzano (zona ospedale)
169
CAPITOLO 9 - Conclusioni
In figura 9.4 si può osservare come le aree in cui lo spessore della copertura è
maggiore presentino un valore del fattore di amplificazione più elevato rispetto al
settore in cui il substrato è più superficiale, come succede nella zona occupata
dall’ospedale. Questo aspetto è imputabile anche alla presenza, nelle aree con
maggiore amplificazione, di un contrasto di impedenza e di velocità più alto se
paragonato alle zone circostanti.
In conclusione, grazie allo studio effettuato in questo lavoro di tesi, è possibile
affermare che:
x
la valutazione della risposta sismica locale necessita di un’accurata
ricostruzione del modello geologico del sottosuolo tramite l’utilizzo di
informazioni geologiche di superficie e di indagini geognostiche e
geofisiche;
x
la scelta dei parametri di input per le modellazioni monodimensionali
deriva da una buona conoscenza delle caratteristiche fisico-meccaniche
dei litotipi investigati;
x
i risultati delle modellazioni monodimensionali evidenziano come esse
siano influenzate dallo spessore della coltre sismica e dai contrasti di
impedenza sismica;
x
gli spettri calcolati con differenti valori dello spessore della copertura
sottolineano il contributo determinante di quest’ultimo nella valutazione
della risposta sismica locale amplificando gli effetti in modo
considerevole.
170
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