Ci sono Eni ed Enel. Ma anche Poste, Finmeccanica e
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Ci sono Eni ed Enel. Ma anche Poste, Finmeccanica e
Economia manager pubblici / chi sceglie chi Al gran valzer delle POLTRONE Ci sono Eni ed Enel. Ma anche Poste, Finmeccanica e Terna. Gli incarichi si libereranno tutti tra primavera e autunno. Così, i giochi si sono già aperti Di Camilla Conti e maurizio maggi I l prossimo tappone di montagna del Giro d’Italia delle superpoltrone si correrà in primavera, quando scadranno i consigli di amministrazione dei due colossi di Stato dell’energia, l’Eni e l’Enel. E a Roma s’infttiscono le chiacchiere della politica intorno ai destini dei due cocchieri di lungo corso, Paolo Scaroni e Fulvio Conti, che se fossero riconfermati festeggerebbero entrambi il quarto mandato da amministratore delegato. Se a quell’epoca sarà ancora in sella il governo guidato da Enrico Letta - è l’opinione dominante nella capitale - i due hanno ottime probabilità di restare in piedi pure loro. Qualcuno, maliziosamente, invita a notare le massicce campagne istituzionali in corso da parte di Eni ed Enel. «Sembrano più spot pro-rinnovi che iniziative pubblicitarie», è la battuta che circola. Sempre tra aprile e maggio del 2014 si sceglieranno i capi di altri gruppi dell’area pubblica come Finmeccanica, Terna e Poste Italiane. Telecom Italia non è più un’azienda statale, anche se la politica pensa di sì, e per trovare il sostituto di Franco Bernabé alla presidenza, accantonata l’idea di nominare Massimo Sarmi - ora alle Poste - è stata messa in pista la Egon Zehnder, 118 | | 31 ottobre 2013 la prima società di cacciatori di teste in Italia con oltre 16 milioni di parcelle. Insomma, il valzer delle nomine non smette mai di suonare, scatenando appetiti (sempre) e polemiche (spesso). Perché In Italia le cose non funzionano come nel resto d’Europa. In Francia, per esempio, per aspirare al Gotha dei manager è fondamentale provenire dalle scuo- Calendario scadenza del consiglio di amministrazione ansalDo sts primavera 2014 Consap primavera 2014 eni primavera 2014 enel primavera 2014 FinmeCCaniCa primavera 2014 FintenCa primavera 2014 meDiobanCa autunno 2014 poste italiane primavera 2014 teleCom italia* primavera 2014 terna primavera 2014 Carige**amministratore delegato vacante * presidente vacante dopo le dimissioni di Franco Bernabè ** cda appena rinnovato le giuste, e cioè l’Ena, l’École national d’administration, e l’École polytechnique. In Germania, è decisivo far parte del giro dei consigli d’amministrazione che contano, una potentissima lobby. In Inghilterra vige il “metodo anglosassone” e, a individuare amministratori delegati e presidenti operativi, ci pensano gli head hunter, i cacciatori di teste. E in Italia? Per diventare capo di una grande azienda, soprattutto se tra gli azionisti c’è lo Stato, è ancora meglio far parte del giro dei soliti noti. Insomma, il “metodo romano”, come spiega nell’articolo a pag. 120 il professor Severino Salvemini, che insegna management all’Università Bocconi, è sempre centrale nel processo di selezione della classe dirigente tricolore. Quando, per occupare la poltrona di presidente della Telecom Italia, i soci italiani di Telco, la holding che controlla il gruppo telefonico, hanno fatto capire che Sarmi, 65 anni, era la nomination ideale, molti cacciatori di teste hanno metaforicamente allargato le braccia. L’ipotesi poi ha perso quota - perché l’amministratore delegato delle Poste è alle prese con il salvataggio di Alitalia - ma il solo fatto che fosse inizialmente considerato il candidato perfetto conferma la pervicace resistenza del metodo romano. «Manca Foto: Gallerystock/Contrasto il coraggio, la voglia di puntare su persone che abbiano le capacità e l’energia per gestire momenti di cambiamento e innovazione, in molti casi assolutamente necessari», tuona Maurizia Villa, managing director per l’Italia di Korn/Ferry, la società di head hunting che ha consegnato la cloche di Alitalia a Gabriele Del Torchio, manager che la sua carriera se l’è costruita sul campo, passando dai mac- chinari per le costruzioni al calcestruzzo, dagli assali per i trattori alle motociclette. Per Villa, soprattutto nelle imprese controllate o infuenzate dalla politica, non c’è alcuno sforzo per ricercare profli che non siano ovvii. «E allora che si fa? Ci si orienta su persone molto “networked”, esperte nel tessere reti di relazioni, spesso anche di una certa età. Ma così non si va da nessuna parte, non si generano nuovi talenti. E, fniti i Sarmi, dove andranno a pescare?». Proprio per dare l’impressione di voler voltare pagina, del resto, il governo Letta - nella veste di azionista di 32 società - a fne giugno ha varato regole più stringenti per scegliere gli amministratori migliori. Istituendo anche un comitato di garanzia che deve sfornare parere positivo sui requisiti e le procedure di nomina dei manager. 31 ottobre 2013 | | 119 Economia DA SInISTRA, In SEnSO ORARIO: MASSIMO SARMI, FULvIO COnTI, PAOLO SCAROnI E MAURIzIA vILLA. In BASSO A DESTRA: SEvERInO SALvEMInI mentre tramonta quella di Giuseppe Zampini, adesso ad Ansaldo Energia. Il ricorso alle risorse interne, del resto, è un’arma che in Italia viene utilizzata spesso, forse ancora più che in Europa. Il che non è per forza un aspetto negativo. Uno studio della società di head hunting Spencer Stuart a livello continentale rivela che le performance dei Ceo (capi azienda) che fanno carriera sono migliori di quelle dei Ceo assoldati dall’esterno. I risultati dei primi sono «solidi» nel 50 per cento dei casi e «da fuoriclasse» nel 26 per cento delle occasioni. Percentuali che scendono, rispettivamente, al 47 e al 23 per cento esaminando le performance dei boss che arrivano da altre società. «Perché non sempre serve la discontinuità: a volte l’esigenza di un’azienda è quella di continuare con lo stesso stile di gestione», sostiene Enzo De Angelis, partner di Spencer Stuart. A vedere i risultati delle imprese italiane, però, si nota un maggior bisogno di manager che sappiano impri- Boiardo che va, boiardo che viene di Severino Salvemini Le teste cadono, i commenti di stima e riconoscenza si sprecano e subito si pensa a chi avvicenderà i vertici delle grandi aziende. I nomi che spiccano sulle pagine dei giornali sono quelli in uscita di Enrico Cucchiani e di Franco Bernabè, ma sono parecchi quelli che vanno e che vengono tra le porte girevoli del top management italiano, come scriveva Alberto Statera su “Repubblica”. Ci sono almeno tre scuole di pensiero nelle decisioni di turnover manageriale. La prima, e la più diffusa, è quella dei fedelissimi: è il “metodo italiano”. Si promuovono al vertice i mediani da allevamento interno, quelli con elevata anzianità e lealtà aziendale, che hanno fdelizzato con gli azionisti. Adottata 120 | | 31 ottobre 2013 spesso nelle aziende a controllo familiare, dà vantaggi di inerzia organizzativa perché cementa il gruppo dirigente storico. Ha lo svantaggio conformistico di non prevedere choc elettrizzanti nella cultura gestionale, quali potrebbero provenire dall’ingresso di un manager esterno orientato alla discontinuità. Esempi sono Tondato di Autogrill, Sala di Lottomatica, Castellucci di Autostrade, Moscetti di Amplifon, Pansa di Finmeccanica e l’ultimo caso di Messina in Intesa Sanpaolo. Talmente coesi con l’azienda da diventare a volte inamovibili. La seconda scuola di pensiero è quella dei soliti noti: è il “metodo romano”. Il bacino dei promossi (e contemporaneamente dei rimossi) è composto da una oligarchia di dirigenti, che ricorda quelli che Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani chiamavano negli anni Settanta “razza padrona”. Una sorta di “sliding doors” per cui chi esce da una organizzazione entra in un’altra, indipendentemente dalle competenze idiosincratiche dei settori specifci. Il criterio decisionale è l’appartenenza a una casta alto-borghese dove, più che lo stile di direzione e la determinazione verso i risultati, contano il capitale relazionale, la capacità di navigazione in acque increspate, l’apprezzamento bipartisan dell’intero arco parlamentare. Ecco allora che, se nasce il fabbisogno in Telecom, si pesca alle Poste e qui si rimpiazza recuperando dalla Cassa Depositi e Prestiti. Oppure dall’Eni all’Enel o a una società territoriale di servizi Foto: Imagoeconomica(3), D. Monteleone/Contrasto I quali saranno selezionati e proposti dalle società di cacciatori di teste, nel nome della trasparenza. Peccato che, dieci giorni dopo, alla presidenza di Finmeccanica sia stato chiamato Gianni De Gennaro, ex capo della Polizia ed ex sottosegretario con delega ai Servizi segreti del governo Monti. Una scelta fatta con tutti i crismi, dirà il premier in Parlamento. Una scelta tuttavia anticipata, addirittura a fne maggio, dal faccendiere Luigi Bisignani, autore del libro “L’uomo che sussurrava ai potenti”. Avrà sussurrato il nome di De Gennaro pure ai cacciatori di teste? L’ex superpoliziotto dovrebbe resistere al rinnovo del consiglio di amministrazione di primavera 2014, mentre non pare scontata la permanenza di Alessandro Pansa in qualità di amministratore delegato di Finmeccanica: brilla, infatti, la stella di Giuseppe Giordo, oggi alla guida di Alenia Aermacchi, La carica delle trecento donne Ben 300 donne in arrivo nelle società controllate dal ministero dell’Economia, per via diretta o indiretta; almeno altre 10 mila nella miriade di società di regioni, province, comuni, università: tutti soggetti tenuti ad applicare la legge sulle quote di genere nei board, che impone di portarle prima al 20 e poi al 30 per cento nei consigli e nei collegi dei sindaci. Ma, mentre nei gruppi quotati in Borsa, a due anni dalla legge, si vedono i primi timidi risultati (la quota femminile è salita da un infimo 8,4 per cento a un più decoroso 12,99, per le società pubbliche si è partiti in salita: mesi e mesi per fare il regolamento – entrato in vigore solo a febbraio 2013 - e nessuna anagrafe centrale per controllare. Così, uno sparuto drappello di sceriffe delle Pari opportunità deve rincorrere comunicati, denunce, segnalazioni da tutt’Italia. Ne sarà dato un primo bilancio il 28 ottobre, in un convegno. Che dichiarerà lotta aperta ai “furbetti delle quote”. Finora sono 15 i procedimenti avviati contro board a sesso unico; ma, a quanto pare, in giro per l’Italia, per evitare lo tsunami di 10 mila nomine femminili in arrivo, sta succedendo di tutto. C’è chi ignora la legge, facendo designazioni tutte al maschile: dalle acque di Novara al gas di Foggia ai trasporti di Carrara alla società dei rifiuti di Napoli, che ha scelto i sindaci in violazione della legge sulle quote. E anche nel board della nuova Abc, “Acqua bene comune”, Luigi De Magistris ha voluto tre uomini. Un altro trucco molto praticato è quello di mettere le donne solo come sindaci supplenti. Altrove si ricorre a espedienti più sottili: per esempio, nominando un amministratore unico, al maschile. Si fa bella figura, tagliando le poltrone, e si evita di dover rispettare le quote: ultimi casi segnalati, quelli del Molise, con due amministratori per Finmolise e Gam, nominati da una giunta regionale anch’essa tutta al maschile. Roberta Carlini mere un cambio di rotta. E Claudia Parzani, presidente di Valore D, la prima associazione fondata da grandi imprese per sostenere la leadership femminile in azienda, sottolinea come la tendenza a pescare dall’interno i manager «non aiuta le donne a emergere, dato che in azienda ce ne sono poche. Ecco perché vedo con grande favore il ricorso a selezionatori di professione». La diffcoltà del ricambio manageriale, secondo gli esperti, è legata anche alla struttura sempre più energetici, senza imbarazzo sulle peculiari differenze, oppure dai quotidiani alle ferrovie. Occasionalmente si assiste anche a qualche emoscambio con i banchi del governo di passaggio e con qualche Authority. La terza scuola di pensiero è quella che dovrebbe essere la più sana: è il “metodo anglosassone”. Si sostituisce il vertice con persone che hanno competenze nel settore o in altri contigui, basandosi sulla reputazione, sul merito e sui risultati conseguiti. Poiché tale pratica richiede uno scouting sul mercato del lavoro (che non è sempre totalmente disclosed) ciò viene fatto spesso dai cacciatori di teste, che ricevono il mandato dal Comitato Nomine del Consiglio. Con il sottoprodotto non indifferente di tenere alta la soglia della buona governance dell’impresa (sempre che gli head hunter svolgano un compito vero e “piatta” di molte società, dove sotto il leader non c’è un vero numero due. Quindi è diffcile per i nuovi mettersi in mostra e non si scappa dal circolo chiuso dei soliti noti. Qualche sommovimento però c’è stato. «Mai come in questi anni vediamo ex responsabili fnanziari nel ruolo di capi-azienda. Piace, alle banche creditrici, sapere che in questi periodi di crisi, ristrutturazioni e alti indebitamenti, a guidare un’impresa siano uomini esperti di numeri», fa notare Massimo Milletti, non si prestino invece a mettere la loro frma in calce a una fnta ricerca già preimpostata dal committente). È il caso recente di Modiano in Sea, di Costamagna in Impregilo, di Del Torchio in Alitalia, di Viola e Profumo in Mps. Le tre scuole di pensiero (i fedelissimi inamovibili, gli oligarchi della casta, i manager con pedigree) è normale che si intersechino e che prevalgano a vicenda nei diversi momenti storici. A questo proposito il momento odierno sembra un po’ di retroguardia. Dopo una stagione di “degenerazione” liberistica, grazie anche al fallimento degli “animal spirits”, si respira un’aria di ri-statalizzazione e di ritorno alla mano pubblica, nonostante il mantra delle privatizzazioni recitato dal Governo. È vero che «il mercato quando si può, lo Stato quando è necessario», ma gli attuali casi capo della Eric Salmon. Tra i fenomeni in atto c’è anche un certo rifusso dell’onda dei “McKinsey boys, con l’uscita di scena di Enrico Cucchiani e Corrado Passera (entrambi da Intesa Sanpaolo), compensata però dall’ascesa di Aldo Bisio ai vertici di Vodafone Italia. Un tasto su cui battono all’unisono i cacciatori di teste è quello del “largo ai giovani”. Tutti citano il caso di Andrea Guerra, approdato neppure quarantenne alla Luxottica e diventato un’icona per una generazione che in vetta stenta assai ad arrivare. Eppure, anche per incarichi di grande spessore, i nomi di parecchi tra i 40 e i 50 anni girano. Come quelli di Luigi Gubitosi, direttore generale della Rai, o dei banchieri Fabio Gallia (capo di Bnl-Bnp Paribas) e Bernardo Mingrone (direttore fnanziario all’Mps) o di Flavio Valeri (capo di Deutsche Bank in Italia). Spesso nelle liste predisposte dai cacciatori di teste ci entrano, i giovani. Poi, specie se l’azionista è pubblico, la scelta fnisce sempre per premiare i nomi più noti. La chiamano prudenza. Gli imprenditori privati un po’ più di coraggio ce l’hanno, anche se forse non quanto basterebbe. Dice Maurizia Villa di Korn/Ferry: «L’Italia deve aprirsi, bisogna portare dentro le imprese delle persone che sanno come va il mondo. Da noi capita che alla guida di grandi aziende, ci siano ancora persone che non sanno parlare bene l’inglese». n di Telecom, di Alitalia, di Ansaldo Energia, di Snam, di Avio Spazio lasciano percepire una forte voglia di Iri-bis. E ciò inquina anche lo stato di salute culturale e professionale del nostro ceto dirigente. Quando le pedine che comandano le aziende della grande industria non sono mosse dalle regole del gioco meritocratico, ma invece dalla scacchiera che si trova nei palazzi del governo, emerge la logica più inciuciona della politica e il pendolo che ci spingeva verso modalità di conduzione più moderne e globali ritorna velocemente verso la stagione di quaranta anni fa. Con il ritorno di quei boiardi di Stato che speravamo di aver defnitivamente cacciato sul viale del tramonto. 31 ottobre 2013 | | 121