Per i sostenitori del vino naturale le emozioni nel calice sono
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Per i sostenitori del vino naturale le emozioni nel calice sono
( RITORNO ALLE RADICI ) Il vigneto va coltivato come un orto di Marco Pozzali foto di Francesco Orini Per i sostenitori del vino naturale le emozioni nel calice sono frutto di un lavoro quasi scomparso, che non ricorre a concimi chimici e riduce al minimo la tecnologia in cantina Il movimento dei vini naturali in Italia ha quasi 30 anni. Il primo decreto Cee per la certificazione dei prodotti agricoli risale al 1991, ma in quegli anni i produttori che si rifanno a un’agricoltura senza l’apporto della chimica sono pochi e soli: dalla critica enologica del tempo vengono considerati come contadini assai folcloristici, i cui vini sono sporchi e puzzano. SPIRITO diVINO SPIRITO diVINO 84 85 L’antitesi ideologica che ha connotato il decennio appena trascorso tra vino industriale e naturale sembra aver trovato un approdo più maturo, sereno e coerente da parte della critica, del mercato e, quel che più conta, del consumatore. La convivenza sullo stesso piano delle due correnti di pensiero, seppure ancora su posizioni diametralmente opposte, aiuta il confronto, la reciproca conoscenza, il dialogo o lo scontro. Non si tratta solo di filosofia, di idealità e di concetti: no, la prassi è nel vino, in ciò che si beve e in ciò che rimane dentro. A ognuno la libera scelta. Il movimento dei vini naturali in Italia, onda lunga di un più strutturato fermento francese a cui prevalentemente facciamo riferimento, ha quasi 30 anni: i primi pionieri del ritorno alle radici di una viticoltura arcaica, legata a doppio filo alle tradizioni contadine, muovono in quel periodo i primi incerti passi in un contesto nazionale di ben altra impostazione metodologica. Il nostro Paese ha infatti da poco superato lo scandalo del metanolo e l’onda lunga di Chernobyl pone enormi quesiti sulla salubrità delle colture e degli alimenti: siamo nel 1986. L’enologia sta diventando un enorme business, merito di un export in grande crescita; sul mercato interno si assiste al progressivo sdoganamento del percepito e dell’immagine stessa del vino. Così, le aziende spostano drasticamente le loro produzioni verso i vitigni internazionali, con coltivazioni intensive e certe, tramite il massiccio apporto della chimica in vigna, con I 20 italiani da non perdere come natura crea I BIANCHI Etza Müller Thurgau, Azienda agricola Radoar Pico, La Biancara di Angiolino Maule Pinot Grigio Sialis, Azienda agricola Terpin Collio Bianco della Castellada, Azienda agricola La Castellada Il Mio Malvasia, Camillo Donati Colli di Luni Vermentino, Santa Caterina I ROSSI Barolo Brunate Le Coste, Giuseppe Rinaldi Barbaresco Crichet Pajé, Roagna Novecento, Podere Il Santo Merlot, Radikon Terrano, Azienda agricola Zidarich Valpolicella Superiore Mithas, Corte Sant’Alda Amarone della Valpolicella, Azienda agricola Monte dall’Ora Brunello di Montalcino, Il Paradiso di Manfredi Montefalco Sagrantino, Azienda agricola Paolo Bea Vinupetra, I Vigneri di Salvo Foti Frappato di Vittoria, Arianna Occhipinti DA MEDITAZIONE Barolo Chinato, Azienda vinicola Cappellano Une Mufe di Piculit, Marco Sara Vecchio Samperi, Marco de Bartoli trattamenti sistemici per preservare il raccolto a ogni costo. In cantina le vinificazioni diventano via via attente, pulite, asettiche con un progressivo apporto di tecnologie industriali. Per contro, nei primi anni 90, inizia a crescere l’interesse per il biologico (è del 1991 il primo decreto Cee per la certificazione dei prodotti agricoli) e per la cultura steineriana-biodinamica. I produttori che si rifanno a un’agricoltura pulita e a vinificazioni tradizionali senza l’apporto della chimica sono pochi e soli: non c’è coordinamento, non si sono formati gruppi di lavoro. Dalla critica enologica del tempo vengono considerati come contadini assai folcloristici, i cui vini sono sporchi e puzzano. Tutti gli anni 90 corrono sotto silenzio, nonostante nelle terre di confine tra Friuli e Slovenia il germe del ritorno alla tradizione abbia gettato interessanti basi, diventate poi modello da seguire, fin dal 1984, attorno alla figura di Josko Gravner e di alcuni altri uomini del vino che vicino a lui vivono e lavorano, come per esempio Stanko Radikon, i fratelli Bensa, Edi Kante e lo sloveno Valter Mlečnik. Gravner, si sa, ha poi progressivamente ritenuto di lavorare solo, lasciando ogni forma di confronto e seguendo una personalissima strada. Il nuovo millennio porta con sé una ventata di novità: molti produttori di impronta naturale iniziano a confrontare le proprie reciproche esperienze e idealità, dando vita ad alcuni movimenti e gruppi. Tra i primi ricordiamo Viniveri, naturale continuazione del lavoro di Arianna Occhipinti-Keiko&Maika L Stefano Scatà ( RITORNO ALLE RADICI ) In alto, il pioniere Josko Gravner. A fianco, alcuni tra i migliori produttori di vini naturali italiani. Dall’alto, da sinistra: Norbert Blasbichler (Radoar), Andrea Kihlgren (Santa Caterina), Giuseppe Rinaldi, Franco Terpin, le forme della natura tra le ripide viti della Valtellina, Carlo Venturini (Monte dall’Ora), Marco Sara, Eugenio Barbieri (Podere Il Santo), Arianna Occhipinti. SPIRITO diVINO SPIRITO diVINO 86 87 ( RITORNO ALLE RADICI ) Fredi Marcarini «I grandi vini, quelli emozionanti, sono frutto di un lavoro agricolo che è ormai quasi scomparso» Radikon, Bensa e Mlečnik, al momento della cui genesi vede insieme molte figure di primo piano come Teobaldo Cappellano, Beppe Rinaldi, Paolo Bea, ancora oggi nel gruppo, e altre che nel corso del tempo hanno preso altre strade. Si pensi ad Angiolino Maule che, alcuni anni più tardi, ha fondato l’associazione di viticoltori naturali VinNatur. Ed è proprio VinNatur che gioca oggi un ruolo di primo piano nel panorama dei naturali, così come, ancora, il Consorzio Viniveri e il gruppo Renaissance des Appellations, un’associazione di vignaioli creata da Nicolas Joly nel 2001, che ora ha la sua costola italiana: Renaissance Italia. Chiedersi oggi che cosa significhi vino naturale, cercarne una precisa definizione e un’identità, stretta tra vuoti giuridici e di ordine pratico, produttivo tra lacunose normative dell’agricoltura biologica o biodinamica, ha poco senso: il tema, se solamente teorico, annoia e non convince, da qualsiasi punto lo si analizzi. Noi preferiamo cercare di capire in profondità, degustando senza preconcetti di sorta, conoscendo i rischi, le enormi variabili, le incertezze, le bufale. Il vino è frutto della terra, di un particolare, unico, irripetibile incontro tra un luogo, la sua conformazione, il suo clima. In un contesto globale, economicamente in flessione, quanto ancora è dominante il mercato, le leggi di domanda e offerta, la richiesta, gli interessi economici? Quanto spazio ancora c’è per vini tecnicamente perfetti, sempre uguali ma, forse, senza anima? A mol- ti è capitato di partecipare a degustazioni in cui non emergessero differenze sostanziali tra le varie annate: stessi profumi, stessa morbidezza, stesso palato. Vini adatti a un pubblico che ha bisogno di essere rassicurato da una firma riconoscibile, da una marca. Dopo 30 anni di elevata tecnologia applicata alle produzioni vinicole, in particolare nel lavoro in cantina, ritornare all’antico non significa per nulla regredire qualitativamente. Anzi. Si apre il mercato a nuove possibilità e a una visione etica della produzione. Un modo altro di scegliere che inverte i concetti del pensiero comune. Non più l’esito finale, il vino da vendere, ma la sua partenza, la terra dove la vite affonda le radici. I produttori naturali partono da assunti precisi: perché le radici respirino, i terreni devono essere vivi, vitali. L’utilizzo massiccio dei diserbanti annienta i microrganismi, rendendo morente il suolo. Dopo anni di diserbi la terra morta non permetterà alle viti di alimentarsi. L’unico nutrimento potrà venire, dunque, dai concimi chimici a base salina. I sali costringono la vite ad assorbire una grande quantità d’acqua. Le piante crescono ma sono povere, depauperate dell’energia, vuote; si ammalano. Così le foglie della vite devono essere spruzzate con trattamenti sistemici e la fotosintesi ne risulta alterata. Si passa poi in cantina. Lieviti selezionati che conferiscono la cifra aromatica al vino, il frutto: banana, ribes, lampone, mela renetta. Processi di osmosi, concentratori, crioestrazioni e tanti altri in- terventi tecnologici. Questo, in breve, ciò che asseriscono i produttori di vino naturale. Luca Gargano (titolare con il padre e il fratello di Velier), genio creativo e anima di Triple A (il movimento di agricoltori, artigiani e artisti, produttori di vino naturale da lui ideato e commercializzato) racconta così il suo legame d’amore: «Nel 2001 ho iniziato a capire che la maggior parte dei vini che bevevo non mi davano più emozioni, perché erano tutti uguali, cioè ottenuti con tecniche agronomiche ed enologiche che mortificano l’impronta del vitigno, l’incidenza del territorio e la personalità del produttore. La standardizzazione sta generando vini simili in ogni angolo del pianeta, appiattiti nei caratteri organolettici e incapaci di sfidare il tempo. L’utilizzo della chimica nel vigneto e dei lieviti selezionati in laboratorio sono le due cause principali di questa standardizzazione. I grandi vini, quelli emozionanti, sono frutto di un lavoro agricolo ormai quasi scomparso e della vinificazione meno interventista possibile. Il vigneto coltivato come un orto. Per questo ho redatto il manifesto dei produttori Triple A che indica i criteri di selezione che accomunano gli ultimi superstiti che producono vini degni di essere un mito come è sempre stato nella storia dell’uomo. L’anima del vino è nei suoi lieviti. I lieviti indigeni sono il seme, lo sperma che serve per generare qualcosa che appartenga alla terra, alle radici, all’uva, non alla chimica, al laboratorio. Io voglio bere questi vini, non quelli fatti in provetta». Luca Gargano (in alto) è il creatore del movimento dei naturali Tripla A. Per i produttori di questo vino, affinché le radici respirino, i terreni devono essere vitali ma i diserbanti li rendono morenti e non alimentano più le viti. L’unico nutrimento arriva dai concimi chimici a base salina, con la vite che assorbe moltissima acqua e cresce vuota, depauperata dell’energia. SPIRITO diVINO 88