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Prospettive in Pediatria
Luglio-Settembre 2016 • Vol. 46 • N. 183 • Pp. 227-234
Oftalmologia pediatrica
Nuove frontiere
in terapia genica:
prospettive terapeutiche
per le patologie oculari
a insorgenza pediatrica
geneticamente
determinate
Maria Concetta Ferraro1
Giacomo Maria Bacci2
Roberto Caputo2
Francesca Simonelli1
UOC Oculistica, Dipartimento
Multidisciplinare di Specialità
Medico-Chirurgiche e
Odontoiatriche, Seconda
Università degli Studi di Napoli;
2 Unità Operativa Oftalmologia
Pediatrica, AOU Meyer, Firenze
1 L’articolo si propone di approfondire lo stato attuale della conoscenza sulla potenzialità
della terapia genica applicata alle distrofie retiniche ereditarie a insorgenza pediatrica. Tali
malattie rappresentano una delle principali cause di importante deficit visivo e risultano da
mutazioni genetiche esitanti nell’alterazione dei normali meccanismi di elaborazione dello
stimolo luminoso a livello retinico e, più in generale, in degenerazioni anatomiche incompatibili con una normale funzione visiva. Nello specifico abbiamo focalizzato l’attenzione
sui principali trial clinici di terapia genica oculare, e abbiamo analizzato le prospettive future nell’ambito delle degenerazioni retiniche ereditarie a insorgenza pediatrica.
Riassunto
Herein we examine the current state of knowledge about the potential of gene therapy
for paediatric onset inherited retinal dystrophies. These diseases are a leading cause of
major visual loss and are caused by genetic mutations that alter normal processes of
retinal phototransduction and lead to anatomic degeneration that is associated with loss
of normal visual function. Specifically, we focused on the main clinical trials of ocular gene
therapy and assessed future prospects in the context of paediatric onset inherited retinal
degenerations.
Summary
Abbreviazioni
AAV: virus adeno-associato
Ad: adenovirus
BVMD: degenerazione maculare vitelliforme di Best
CHM: coroideremia
CSNB: cecità notturna congenita stazionaria
IRD: degenerazioni retiniche ereditarie
LCA: amaurosi congenita di Leber
LV: lentivirus
NP: nanoparticelle
PR: fotorecettori retinici
RP: retinite pigmentosa
RPE: epitelio pigmentato retinico
RS: retinoschisi
STGD: malattia di Stargardt
USH1B: sindrome di Usher tipo 1B
Glossario
Amaurosi: grave deficit visivo fino alla cecità, transitoria o permanente
Coloboma: assenza di parte di una struttura oculare
come risultato di un’incompleta chiusura della fessura
embrionale
Elettroretinogramma: indagine diagnostica in grado
di misurare graficamente i potenziali di azione dei fotorecettori retinici, una volta stimolati da un impulso
luminoso
227
M.C. Ferraro et al.
Emeralopia-nictalopia: condizione di difficoltà nella
visione crepuscolare
Fotofobia: condizione di intensa sensibilità alla luce
Pseudo-fovea: nuova area retinica di fissazione che
permette di compensare la perdita di visione foveale
Roving: deviazioni oculari orizzontali lente, coniugate, casuali ed “erranti”
Metodologia della ricerca
bibliografica effettuata
Per la revisione della letteratura sulla terapia genica
oculare è stata utilizzata la banca bibliografica Medline, utilizzando come motore di ricerca PubMed. Le
parole chiave utilizzate sono “ocular gene therapy”,
“pediatric retinal dystrophies”, “AAV”, “LCA”, “RPE65”,
“inherited retinal degenerations”, con selezione di articoli pubblicati dal 2010 al 2016.
Introduzione
Con il termine distrofie retiniche a insorgenza pediatrica geneticamente determinate, più comunemente
chiamate degenerazioni retiniche ereditarie (Inherited
retinal degenerations – IRD), s’identifica un gruppo
eterogeneo di disfunzioni retiniche ereditarie che,
sebbene piuttosto rare qualora considerate come
singole entità, rappresentano nell’insieme una delle
principali cause di importante deficit visivo a esordio
precoce ed evoluzione progressiva, colpendo circa
2 milioni di persone nel mondo (Sahel et al., 2014). Si
tratta di malattie mono o multigeniche, isolate o sindromiche, causate dalla mutazione di uno o più dei
circa 200 geni maggiormente espressi nei fotorecettori retinici (PR), coni e bastoncelli, e in misura minore nell’epitelio pigmentato retinico (retinal pigment
epithelium – RPE). (Dalkara e Sahel, 2014; Trapani et
al., 2015) (Fig. 1).
Classificazione
La classificazione delle degenerazioni retiniche ereditarie si basa sul tipo di difetto genetico, sul pattern
di trasmissione ereditaria che può essere autosomica
dominante (AD), autosomica recessiva (AR), X-linked
e mitocondriale; sul tipo di cellule prevalentemente coinvolte (PR o RPE); sull’epoca di insorgenza e
sull’entità del deficit visivo, nonché sulle caratteristiche del fundus oculi. Per i modelli AD e AR non sembra esserci un’evidente correlazione con il sesso. Le
manifestazioni fenotipiche possono variare tra la retinite pigmentosa (RP) nelle sue varie forme, l’amaurosi congenita di Leber (LCA), la malattia di Stargardt
(STGD), le distrofie dei coni, la distrofia maculare
vitelliforme di Best (BVMD), la retinoschisi giovanile
(RS), la cecità notturna congenita stazionaria (CSNB)
e la coroideremia (CHM). Tali condizioni si caratterizzano per la comparsa di una sintomatologia eteroge228
Figura 1. Disposizione topografica dell’RPE rispetto ai
fotorecettori (Cone, Rod) e la precisa localizzazione dei
principali geni coinvolti nelle IRD a livello dell’epitelio pigmentato retinico e del segmento esterno/interno dei fotorecettori.
nea, che si accompagna a un deficit visivo più o meno
severo e/o progressivo. È pertanto di fondamentale
importanza la collaborazione tra il pediatra e l’oculista
per l’identificazione precoce della malattia e la pianificazione di un corretto iter diagnostico-terapeutico, al
fine di poter migliorare la qualità visiva del piccolo paziente e porre le basi per una prospettiva terapeutica.
Eziopatogenesi e aspetti clinici
Da un punto di vista patogenetico, le distrofie retiniche ereditarie sono accomunate dalla ridotta o assente funzione di proteine che svolgono ruoli chiave
nel processo di fototrasduzione o che sono coinvolte
nel metabolismo delle cellule dell’epitelio pigmentato retinico, condizione che porta a una progressiva
degenerazione delle strutture retiniche e a un inevitabile decadimento delle funzioni visive, talvolta fin
dai primi anni di vita. Tra i sintomi e segni clinici più
frequentemente associati alle IRD, sono da ricordare
la comparsa di movimenti oculari anomali (nistagmo;
roving); fotofobia d’intensità variabile e non sempre
presente, emeralopia (scarsa capacità visiva in ambienti poco illuminati); difficoltà nella distinzione dei
colori (discromatopsia-acromatopsia); riduzione progressiva della capacità visiva con difficoltà del piccolo
paziente a muoversi negli ambienti o comparsa di difficoltà nella lettura in età scolare; atteggiamenti particolari, come la digitopressione degli occhi nelle forme più gravi (segno di Franceschetti); associazione
a vizi di refrazione potenzialmente elevati; eventuale
Nuove frontiere in terapia genica
associazione con altre manifestazioni oculari quali
strabismo, cataratta, nonché ad alterazioni retiniche
più o meno peculiari. In alcuni casi, infine, le distrofie
retiniche ereditarie possono presentarsi come facenti
parte di quadri sindromici.
GUCY2D), la retinoschisi X-linked (gene RS1), la
acromatopsia (geni CNGA3 e CNGB3), la sindrome
di Usher 1B (gene MYO7A), la malattia di Stargardt
(gene ABCA4), la coroideremia (gene CHM) e la retinite pigmentosa X-linked RP3 (gene RPGR) (Fig. 2).
Strategie terapeutiche
Terapia genica: strategie e target
Data l’importanza dell’impatto clinico e sociale di tali
patologie, la terapia mirata al ripristino visivo, o all’arresto dell’evoluzione della malattia, nelle IRD rappresenta a oggi un’importante esigenza medica. Attualmente, tuttavia, non sono ancora disponibili terapie
efficaci: nel tempo si sono succeduti diversi approcci
terapeutici, quali una supplementazione vitaminica, la
somministrazione di fattori di crescita, l’utilizzo delle
cellule staminali e la realizzazione di impianti protesici
retinici. Al momento i risultati ottenuti si sono rivelati
estremamente variabili. L’approccio mediante terapia
genica è quello che, negli ultimi anni, è apparso offrire
una concreta prospettiva di raggiungimento dell’obiettivo terapeutico. Infatti, nelle ultime tre decadi, grazie
all’identificazione di specifici geni coinvolti nell’eziopatogenesi delle IRD, si sono poste le basi per lo
sviluppo di diverse strategie basate sulla terapia genica. Sembrerebbe che le forme monogeniche di tali
affezioni, e in particolare quelle causate da mutazioni
recessive di tipo null, rappresentino le condizioni cliniche maggiormente sensibili alla terapia genica: in
tali forme, infatti, è possibile la correzione del difetto ereditario, causato da un’alterazione di un singolo
gene, tramite l’identificazione di un target terapeutico
gene-specifico. Tali mutazioni sono localizzate nella maggior parte dei casi nella retina esterna (PR o
RPE). In particolare, le forme candidabili alla terapia
genica sono rappresentate dall’amaurosi congenita di
Leber tipo 2 (LCA2) (gene RPE65), la LCA1 (gene
L’occhio, in virtù delle sue caratteristiche peculiari, risulta un target ideale per tale approccio:
• si tratta di un organo in cui, grazie alla trasparenza
delle strutture oculari (cornea, cristallino, vitreo), è
possibile verificare in vivo gli effetti della terapia genica attraverso le più recenti tecniche di imaging;
• è un compartimento chiuso, grazie al quale piccole quantità di vettore possono essere utilizzate con
minimo rischio di tossicità sistemica;
• è un sito privilegiato per le sue caratteristiche anatomiche, che consentono allo strumento terapeutico
di svolgere la sua azione in assenza di significative reazioni immunitarie. Tali peculiarità permettono
che non si verifichi né una diffusione sistemica del
vettore virale, né una risposta immune nei confronti
del vettore o dei prodotti transgenici;
• è un organo pari e simmetrico: le IRD, hanno una
manifestazione bilaterale, più o meno simmetrica,
consentendo di poter comparare gli effetti della
somministrazione del complesso gene-vettore in
un occhio e la progressione della malattia nell’occhio controlaterale (Trapani et al., 2014);
• accessibilità chirurgica diretta: le procedure per via
intravitreale o sottoretinica permettono di collocare
direttamente il vettore in prossimità del sito di azione e di minimizzare i problemi di biodisponibilità.
Quali pazienti e quali condizioni?
Poiché l’efficacia del trasferimento genico si basa
Altre distrofie retiniche ereditarie 10%
Coroideremia 2%
Retinoschisi 3%
Cecità notturna
congenita stazionaria 5%
Sindrome di Usher 10%
Amaurosi
congenita di Leber 5%
Degenerazione
corioretinica 5%
Degenerazione
maculare ereditaria 10%
Distrofia dei coni-bastoncelli 10%
Retinite pigmentosa 40%
Figura 2. Distribuzione percentuale delle IRD a esordio in età pediatrica.
229
M.C. Ferraro et al.
sulla presenza di cellule bersaglio vitali, risulta fondamentale l’identificazione precoce della patologia per
ottenere la migliore efficacia della terapia genica. Condizioni come la LCA tipo 1 e tipo 2, l’acromatopsia o la
retinoschisi giovanile X-linked, mostrano una struttura
retinica conservata per decenni dopo la diagnosi, nonostante il deficit visivo grave e congenito; per tale
motivo questi pazienti sono candidati ideali per una
terapia genica. Per molte condizioni che presentano una degenerazione retinica rapida dal momento
dell’esordio, in combinazione con un difetto funzionale (p.e. la malattia di Stargardt tipo 1 (STGD1), in cui
il trasporto di retinale è compromesso o la LCA tipo 4
(LCA4), in cui enzimi chiave nella cascata della fototrasduzione sono destabilizzati, una terapia genica
precoce potrebbe essere impiegata per prevenire la
degenerazione della retina e ottenere il ripristino della
funzione visiva dei fotorecettori (Trapani et al., 2015).
Quali strategie?
Differenti strategie possono essere applicate nella terapia genica per le IRD: la sostituzione genica, l’inibizione genica, strategie mutazione-indipendente (neuroprotezione). La sostituzione genica è impiegata nei
disordini causati da mutazioni null esitanti nella perdita della funzione specifica di una proteina e si basa
sul trasferimento di una corretta copia del gene mutato, senza la rimozione dello stesso. L’inibizione genica
consiste nell’inibire l’espressione del gene mutato attraverso modifiche a carico dell’RNA messaggero ed
è impiegato per quelle forme causate da una mutazione con “acquisizione di funzione”, nelle quali si ha la
produzione di una proteina con funzione anomala che
interferisce con il funzionamento del peptide normale
prodotto dall’allele sano. La neuroprotezione, invece,
si propone quale possibile strategia per prolungare
la sopravvivenza delle cellule retiniche, rallentando
la degenerazione mediante la riduzione degli effetti
secondari alla disfunzione proteica.
I vettori: fulcro della terapia genica
A prescindere dalla strategia “mutazione-dipendente”
o “indipendente”, i vettori svolgono un ruolo cardine
nella terapia genica oculare. Esistono due tipi di vettori:
1 non virali (DNA nudo): sicuri per la bassa immunogenicità, ma che tuttavia presentano maggiori difficoltà nel raggiungimento della cellula target, per la
presenza di barriere fisiche intraoculari. Pertanto
sono stati introdotti metodi chimici quali l’associazione ad altre molecole (liposomi, polipeptidi, nanoparticelle compattate) e metodiche fisiche, quali
la iontoforesi e l’elettropolarizzazione, che ne migliorano la penetrazione;
2 virali: in grado di trasferire gli acidi nucleici nel nucleo delle cellule ospite attraverso specifiche interazioni con recettori di membrana e successiva
internalizzazione. A livello retinico sono stati testati
230
differenti vettori virali, tra i quali i lentivirus (LV), gli
adenovirus (AV) e i virus adeno-associati (AAV),
sono quelli maggiormente impiegati. In particolare gli AAV sono i vettori virali preferiti nella terapia
genica delle IRD grazie alla loro piccola dimensione, l’abilità nel raggiungere la cellula target, la
presenza di vari sierotipi legati alla variabilità del
capside, l’eccellente profilo di sicurezza e la bassa
immunogenicità, caratteristiche fondamentali per il
trattamento delle malattie croniche, come le IRD,
per le quali si può prevedere più di una somministrazione sottoretinica.
Procedure chirurgiche: quale scegliere?
Il raggiungimento dall’esterno del bersaglio intraoculare, rappresentato dai fotorecettori retinici e dall’epitelio pigmentato retinico, può essere attuato mediante
due differenti procedure chirurgiche: l’iniezione intravitreale e quella sottoretinica. Quest’ultima consiste
nella somministrazione sottoretinica di una quantità
variabile di vettore virale in un volume di soluzione
salina tamponata con fosfato, che crea un temporaneo distacco retinico localizzato, che generalmente si
riassorbe rapidamente.
Una procedura alternativa, meno invasiva, è l’iniezione
intravitreale in grado di distribuire il vettore su tutta la
retina senza causarne un rischioso distacco. Tuttavia,
quando iniettati per via intravitreale, la maggior parte
dei vettori virali, tra cui la maggior parte dei sierotipi
AAV, non raggiunge la retina a eccezione dei sierotipi
AAV2/2, e in qualche misura di AAV2/6 e di AAV2/8, la
cui trasduzione è tuttavia limitata principalmente alle
cellule ganglionari della retina e alle cellule Muller nello strato retinico interno. Il fallimento dei vettori iniettati
per via intravitreale nel raggiungere i PR e RPE nella
retina esterna sembra essere dovuto alla presenza di
barriere fisiche, quali la membrana limitante interna,
particolarmente spessa nei grandi animali, nonché la
relativa abbondanza di recettori AAV che catturano i
vettori dopo la somministrazione intravitreale.
Un’ulteriore comprensione delle barriere retiniche inibenti la trasduzione, così come la valutazione in vivo
eseguita direttamente su grandi animali, potrebbe
identificare la strada per la diffusione dei vettori dal
vitreo alla retina dei primati. Fino a quando ciò non
sarà possibile, l’iniezione sottoretinica rimane la procedura standard più efficace per raggiungere l’epitelio
pigmentato retinico e i fotorecettori (Fig. 3).
Trial clinici: primi risultati
e prospettive future
Tre indipendenti trial clinici nell’uomo, iniziati contemporaneamente nel 2007 (NCT00481546, NCT00516477,
NCT00643747, clinicaltrials.gov) di cui uno effettuato
su 5 pazienti italiani, sono stati eseguiti al fine di valutare la sicurezza e l’efficacia della terapia genica per
l’amaurosi congenita di Leber tipo 2 (Tab. I).
Nuove frontiere in terapia genica
A
B
Figura 3. Localizzazione del sito di iniezione sottoretinica, a livello dell’epitelio pigmentato retinico e rapporti anatomici
con le altre strutture intraoculari.
Tabella I. Numeri di riferimento dei trials clinici (NCT), titolo e strutture partecipanti.
NCT
Titolo
Partecipanti
NCT00481546
Phase I Trial of Gene Vector to Patients with Retinal Disease
due to RPE65 Mutations
University of Pennsylvania University
of Florida
NCT00516477
Safety Study in Subjects With Leber Congenital Amaurosis
Children Hospital Philadelphia
Seconda Università Studi Napoli
NCT00643747
Safety Study of RPE65 gene Therapy to Treat Leber
Congenital Amaurosis
University College London Moorfields
Eye Hospital NHC Foundation Trust
L’amaurosi congenita di Leber tipo 2 rappresenta un
candidato ideale per la terapia genica per due distinte
ragioni, in primis in quanto il deficit di RPE65 causa
difetti nel ciclo visivo e una scarsa funzione visiva già
nella 1ª decade di vita, e poi perché la struttura retinica risulta conservata fino alla 2ª-3ª decade di vita,
periodo in cui la progressiva degenerazione fotorecettoriale risulta evidente (Simonelli et al., 2007).
La LCA è dunque il primo esempio di IRD per la
quale sia stato effettuato un trial clinico sulla terapia
genica in fase I/II e i risultati ottenuti rappresentano,
a oggi, il maggior successo per ciò che concerne la
terapia genica oculare (Trapani et al., 2015). I pazienti affetti da tale patologia mostrano una severa
compromissione visiva già nella 1ª decade di vita
associata a nistagmo, intensa fotofobia, nictalopia,
riduzione dei riflessi pupillari e risposte elettroretinografiche ipovoltate o estinte. L’aspetto oftalmoscopico è estremamente variabile, potendo oscillare da
alterazioni dell’EPR con aspetto tipo “sale e pepe”,
fino allo pseudo coloboma maculare. Tuttavia nella
maggior parte dei casi, nelle fasi iniziali di malattia
non vi è una correlazione direttamente proporzionale
tra il decadimento delle funzioni visive e la degenerazione istologica delle cellule retiniche. Tale condi-
zione evolve poi progressivamente verso la cecità
entro la 3°-4° decade di vita (Simonelli et al., 2010;
Maguire et al., 2009).
L’amaurosi congenita di tipo 2 (LCA2) è una forma a
trasmissione AR associata alla mutazione del gene
RPE65 che codifica per una proteina (RPE65, con attività di isomeroidrolasi) espressa nell’EPR e coinvolta nel ciclo della fototrasduzione. Conseguentemente
all’assenza o alla mancata funzione di tale proteina,
si verifica una riduzione dell’11-cis-retinale necessario
alla rigenerazione del pigmento visivo dopo l’esposizione alla luce con conseguente degenerazione fotorecettoriale (Maguire et al., 2009; Bennett et al., 2012).
Nel trial clinico del Children Hospital di Philadelphia
e della Seconda Università di Napoli, i pazienti sono
stati trattati nell’occhio con visione peggiore, mediante una singola iniezione sottoretinica, effettuata
in anestesia generale, di una dose bassa (1,5×1010
particelle/occhio), media (4,8x1010 particelle/occhio)
o alta (1,5x1011 particelle/occhio) di virus adeno-associato 2 (AAV2.hRPE65v2) contenente RPE65 cDNA.
Durante i follow-up i pazienti sono stati sottoposti a
un esame fisico generale, test clinici e di laboratorio,
tra cui una valutazione della biodistribuzione del vettore e valutazione della risposta immunitaria, visita
231
M.C. Ferraro et al.
oculistica, nonché test di mobilità per valutare la capacità del paziente di muoversi lungo un percorso a
ostacoli. Non sono stati evidenziati importanti eventi
avversi e solo in un paziente è stata osservata una
minima risposta immunitaria sistemica. Dall’analisi
dei dati longitudinali, la singola iniezione sottoretinica
di AAV2 sembrerebbe responsabile di un incremento
dell’acuità visiva, riduzione del nistagmo con incremento della stabilità di fissazione e miglioramento del
campo visivo. Inoltre, a un’analisi dei test di mobilità
è stato evidenziato un andamento più sicuro dei soggetti durante il percorso a ostacoli, con una migliore
percezione del percorso e dei suoi ostacoli. I risultati
ottenuti sono rimasti stabili in tutti i pazienti a 3 anni
di follow-up. È stato inoltre osservato che il tasso di
successo nel miglioramento delle funzioni visive è legato all’epoca del trattamento, con i migliori risultati
ottenuti nei pazienti più giovani, che presentano una
struttura retinica meglio conservata. Tali risultati di
sicurezza ed efficacia hanno consentito di includere
anche bambini nei trial clinici e hanno fornito le basi
per l’approccio della terapia genica al trattamento di
altre forme di degenerazione retinica ereditaria.
Lezioni e criticità
Anche se i dati preliminari di questi primi studi clinici
risultano estremamente promettenti, lo sviluppo della
terapia genica della retina ha permesso di trarre delle
lezioni molto importanti e ha sollevato alcune criticità.
Essa infatti ha delineato la finestra terapeutica tra il
primo tempo di intervento e il punto in cui i processi
degenerativi non possono essere più ripristinati con
cellule bersaglio ormai atrofiche e degenerate. Sono
inoltre stati messi in evidenza eventuali rischi chirurgici: la somministrazione sottoretinica della soluzione,
contenente il vettore nella regione parafoveale, provoca un transitorio distacco della retina, che in alcuni casi
è esitato in danni permanenti a livello retinico (Simonelli et al., 2007; Maguire et al., 2008). Da tutti gli studi
è comunque emerso che la terapia genica è sufficientemente sicura, e sostanzialmente efficace, in particolare per la regione retinica extrafoveale. Infatti, sembra
esserci qualche rischio nel trattamento della fovea,
probabilmente per la particolare natura del legame tra
i fotorecettori foveali e il sottostante epitelio EPR (Anderson e Fisher, 1979) e ciò potrebbe spiegare perché
il riaccollamento della fovea, dopo il piccolo distacco
indotto dalla somministrazione del vettore virale, è più
complesso rispetto a quello di altre zone retiniche. Inoltre, a differenza di quanto osservato in cani affetti da
LCA2, nessun miglioramento nell’elettroretinogramma
è stato finora documentato nei pazienti LCA2 trattati
con AAV (Annear et al., 2011). Questi dati possono indicare un inadeguato apporto di RPE65 e un ripristino
solo parziale del ciclo visivo nei pazienti trattati. Inoltre,
più recentemente, è stato riportato un beneficio solo
transitorio dell’efficacia della terapia genica in pazienti
con LCA RPE65-correlata, seguita da un progressivo
232
declino funzionale (Bainbridge et al., 2015). Sulla base
di tali evidenze, sarebbe quindi auspicabile lo sviluppo
di vettori più efficienti, al fine di ottenere un completo
restauro del ciclo visivo e un trattamento più precoce
nei pazienti.
Nuove sfide e prospettive future
Attualmente la società di biotecnologie Spark Therapeutics sta testando il vettore AAV2/2-RPE65 per la
LCA tipo 2 in un trial clinico avanzato di fase III (Lok,
2014), coinvolgente piccoli pazienti come bambini di
3 anni (NCT00999609). Inoltre, un approccio alternativo per il trattamento della LCA2 è ora in fase di valutazione in uno studio clinico che utilizza il promotore
RPE65 in combinazione con l’AAV2/4 (NCT01496040):
tale strategia potrebbe aumentare la specificità e l’efficacia della terapia. È importante sottolineare che il
successo degli studi clinici sulla LCA2 ha favorito una
più ampia applicazione della terapia genica per le IRD
a causa di mutazioni in geni espressi in differenti strati
retinici, e che provocano altre forme di IRD.
Visto l’importante sviluppo della terapia genica oculare viene da sé l’importanza di porsi nuove sfide e
traguardi. La prima sfida è quella di trasferire geni di
grandi dimensioni a livello retinico. Infatti, nonostante
la popolarità acquisita dai vettori AAV, uno dei principali ostacoli alla loro applicazione diffusa è la loro
capacità di confezionamento di circa 5 kb, precludendone il loro utilizzo per il trattamento di IRD come la
malattia di Stargardt e la sindrome di Usher tipo 1B
(STGD e l’USH1B), che sono causate da mutazioni
in geni di grandi dimensioni. Così, molti ricercatori
stanno esplorando vettori alternativi con capacità di
clonaggio maggiori rispetto agli AAV, quali adenovirus
(Ad), lentivirus (LV) e nanoparticelle di DNA (NP). Tuttavia, l’esperienza limitata con questi vettori, insieme
con la necessità di chiarire le loro caratteristiche di
trasduzione in modelli animali di grandi dimensioni,
inclusi i primati non umani, rende necessaria l’esecuzione di ulteriori test, prima che il DNA compattato con le NP possa essere utilizzato per trasferire ai
fotorecettori retinici umani geni di grosse dimensioni.
Conclusioni
In sintesi, l’intervento tempestivo, che richiede una
precoce diagnosi clinica e molecolare, in combinazione con una storia naturale ben caratterizzata della
malattia, sarà necessario per massimizzare l’efficacia
della terapia genica per le IRD. È fondamentale inoltre
la standardizzazione dei parametri clinici per la selezione dei pazienti, e infine lo sviluppo e validazione di
endpoint clinici (es. modalità di imaging e nuovi biomarcatori di malattia), adatti per quantificare l’effettivo
vantaggio del trattamento.
In conclusione, trasformare la terapia genica della retina da ricerca sugli animali in studi clinici è ancora un
Nuove frontiere in terapia genica
processo lungo, ma si sta lavorando attivamente per
definire i punti mancanti che porteranno all’introduzione di molti nuovi approcci promettenti in questo campo ancora non ben compreso e conosciuto. Ne deriva
la necessità di porsi nuove sfide che si basano su una
più vasta conoscenza dei meccanismi fisiopatologici
della malattia, promozione di studi longitudinali sulla
storia naturale, per predire la progressione della malattia in relazione allo specifico genotipo.
Box di orientamento
• Le distrofie retiniche ereditarie rappresentano una delle principali cause di grave e progressivo deficit
visivo.
• Le mutazioni alla base di tali disfunzioni coinvolgono proteine fondamentali nei processi di fototrasduzione retinica, con riduzione delle funzioni visive fin dai primi anni di vita.
• Non esistono a oggi terapie efficaci, sebbene siano stati valutati differenti approcci terapeutici.
• La terapia genica oculare, che sembrerebbe offrire un’opzione terapeutica molto promettente, necessita,
per poter essere efficace, della presenza di cellule bersaglio vitali, condizione caratterizzante la LCA2,
che presenta una struttura retinica conservata per decenni nonostante il calo visivo precoce.
• I primi 3 trial clinici sull’impiego dei vettori virali adeno-associati a livello oculare, nell’uomo, sono stati
effettuati su pazienti affetti da LCA tipo 2 e iniziati contemporaneamente nel 2007.
• I risultati promettenti dei primi trial clinici hanno posto le basi per lo sviluppo di ulteriori studi.
• A oggi sono in atto trial clinici, su differenti forme di distrofie retiniche ereditarie, alcuni dei quali estesi
anche alla popolazione pediatrica.
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Corrispondenza
Giacomo Maria Bacci
Dipartimento di Oftalmologia Pediatrica, AOU Meyer, viale Pieraccini 24, 50139 Firenze - Tel. +39 055 5662526 E-mail: [email protected]
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