Ricordo di scuola - Provincia di Pesaro e Urbino

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Ricordo di scuola - Provincia di Pesaro e Urbino
RODOLFO TONELLI
Ricordo di scuola
( racconto pedagogico dal vero )
Ogni mattina, è inverno pieno, attraverso in auto Pesaro, ancora assonnata, con
la viabilità quasi gradevole, rispetto ai momenti di congestione del traffico:
i semafori della nazionale ammiccano con l'occhio giallo, invitando alla prudenza,
senza costringere il guidatore a fermarsi. Dopo il ponte sulla ferrovia si mostra il
mare con il suo mutevole umore in prima vista per ogni viaggiatore che provenga
dalla direzione di Bologna. Sulla destra, le falesie dell'Ardizio attendono dopo
l'alba, fin dalla notte dei tempi, il sole, sorgente ogni volta in un punto
impercettibilmente diverso dell'arco di amplitudine.
Le vongolare, a distanza ravvicinata tra loro, perlustrano palmo a palmo il fondo
sabbioso, alla ricerca dei gustosi frutti di mare; i gabbiani si lasciano cullare sulla
increspata superficie, interposta tra la riva e le artificiali barriere, ballottati dalle
piccole onde o crocettano a concitati passi lungo la battigia una breve storia,
cancellata dalla risacca; un vecchio tronco, riemerso, come lontano ricordo di
gioventù dalle insondabili profondità per una tempesta di inconsueta violenza,
incastrato tra gli scogli, soggiace ai raggi del sole per rinsecchire inesorabilmente;
vola controvento un uccello migratore, in fatale ritardo sullo stormo..., per una
divergenza sulla millenaria sapienza della specie.
L'andatura è veloce, nonostante i naturali distrattori, lungo il percorso che
collega Pesaro e Fano. Attraversata la città della Fortuna per scorciatoie note agli
abitanti ed agli automobilisti pendolari, imbocco la superstrada che punta
decisamente sull'entroterra, verso i rilievi appenninici: l'ampia panoramica,
consentita dall'aperta valle del Metauro, fa spaziare l'occhio dal Monte Cilio al
Monte Nerone; al centro dominano le cime innevate del massiccio Catria, in
evidenza per la modesta elevazione dei prossimali rilievi: risplende nel cielo
limpido, ai primi raggi del sole, la neve, sospesa tra cielo e terra.
La natura è prodiga di richiami alla vita spontanea, ma inutilmente lotta contro i
ritmi frenetici della civiltà postmoderna, in cui la disposizione dell'uomo alla
convivenza sociale degenera sovente in massificazione.
Giungo alla scuola del paese di Montefelcino nel momento in cui il piazzale
antistante l'edificio s'anima con gli arrivi degli scolari provenienti dalle amene
borgate e dai casolari, posti per la maggior parte su colli alberati.
Suona la campanella; gli alunni salgono le scale con un brusio moderato,
interrotto da qualche grido che sfugge all'autocontrollo; i ritardatari s'affrettano,
correndo in modo goffo per l'eccessivo peso dello zaino, le mani occupate dai
rituali acquisti effettuati al bar o al forno e all'edicola dei giornali, munita di
essenziali articoli di cancelleria; dentro una penna di forma originale c'è il fluido
occorrente per liberare bellissimi pensieri da mettere nel tema in classe...
Il secondo suono della campanella pone a tacere il conversare e qualche
risentimento, insorto lungo il tragitto casa-scuola, ben servito dai mezzi di
trasporto, ma così omologato da sottrarre ai giovani la libera gestione dello spazio e
del tempo.
Una volta, la percorrenza a piedi offriva l'opportunità di avventure, certamente
non prive di rischio, e di confidenze, aperte anche a penetrare, a poco a poco, i
misteri della vita adulta.
Ormai intrapresa la quotidiana attività d'insegnamento, s'annuncia da lontano
l'aroma del caffè, determinante il breve intervallo salottiero dei non docenti e
capace di familiarizzare i rapporti, di raccogliere energie e competenze per
comporle e coordinarle in funzione del servizio educativo.
“Ci vogliono i riti!”
Quando le pratiche, oggi sempre più incombenti, da sentirci completamente
“incartati”, sono ormai avviate, giunge a scuola la mamma di un alunno di terza
media.
Leggo sul volto segni di inquietudine e ne chiedo con discrezione il motivo.
- Sono preoccupata, mi confessa; ho curato l'educazione di mio figlio con tutta
l'anima, e me lo ritrovo, da qualche tempo, disordinato, impulsivo, irrequieto, a
volte taciturno, a volte loquace, affettuoso o dispettoso, imprevedibilmente
contraddittorio, e poi sbadato, sbadato, sbadato...
- Beh!, dico, è abbastanza vivace, è vero. Ma, a scuola non crea eccessivi
problemi di disciplina! E' un puledro che calcia (qualche volta il ricorso alla
metafora ci evita valutazioni troppo drastiche ed offre sempre possibilità di
recupero); da grande sarà un buon cavallo da corsa, aggiungo in tono
incoraggiante.
- Eh, già, riprende la mamma; intanto, mi fa arrabbiare; non gli si può dire più
niente: è permaloso, confusionario, maldestro...E' la mia disperazione!
- Ma, cerco di recuperare il dialogo dopo la negativa sequela di aggettivi, suo
figlio è in pieno sviluppo fisico. E' scoordinato perché non è più padrone del suo
corpo...
- Ma come si fa, mi sopravanza la mamma in libero sfogo, inciampare coi piedi
dappertutto!?
- È cresciuto così rapidamente..., insisto.
- Sì, certo, nel corpo; ma ha sempre la testa per aria.
La donna è davvero esasperata; è difficile sollevarla dallo sconforto, dalla
delusione.
- Suo figlio è cresciuto di statura in poco tempo. Peraltro, avrà da poco ai piedi
scarpe maggiorate di due numeri ...
- È più alto di me, mi interrompe la mamma recuperando tutto l'orgoglio
materno, gli ho dovuto comprare, pochi giorni fa, un paio di scarpe nuove, proprio
di due numeri in più; quegli scarponi corazzati che gridano vendetta al senso
pratico, ed al buon gusto; ma li portano tutti!
- Vede, allora, che il piede si è allungato e il cervello, ancora, non ha registrato la
nuova misura; è per quei due numeri che suo figlio inciampa dappertutto...
L'ho capito immediatamente dallo sguardo attonito della donna: in un attimo mi
sono giocato tutta la reputazione di preside.
E così finisce il dialogo, senza che l'uno o l'altra abbia una qualche ispirazione
per riprenderlo in modo produttivo.
Eppure so per certo, perfino con il corredo di nozioni di psicologia mandate a
memoria, che nella preadolescenza ragazzi e ragazze vivono con difficoltà le rapide
trasformazioni del corpo, in crescita senza possibilità di controllo, e il “mormorio
delle passioni nascenti” (per usare una felice espressione del Rousseau) in
contrasto con tutto l'impianto educativo delle età precedenti sconvolge, turba,
ossessiona.
L'importante svolta esistenziale è segnata da uno sviluppo bizzarro nei modi e nei
tempi: alcuni soggetti s'ingrassano “fino a sfiorare l'obesità, altri diventano secchi
come chiodi”*; s’impongono alla vista di tutti le orecchie a sventola; i foruncoli
spuntano proprio sulla punta del naso..., e tutto il mondo non può non
accorgersene. “Certe ragazze presentano una rapidissima comparsa di seni
prosperosi..., altre, più rotonde, restano piatte come una tavola, solo sul petto;
alcune hanno le gambe magrissime e legnose, altre gambe simili a colonne; dei
maschi, qualcuno ha la voce da basso profondo e qualcuno parla come un
canarino...”*
E i piedi? Sproporzionati , invadenti, provocatori; pronti a fare sgambetti per
scherzo, mentre il cervello li considera, se subiti, intollerabili attentati all'IO
(bisognoso di specifico orientamento ), degni di immediata rivalsa.
Insegnanti, genitori e figli-alunni, diversamente coinvolti, sono letteralmente
spiazzati di fronte all'evoluzione psicofisica della preadolescenza, rischiando le più
amare incomprensioni.
Ragazze e ragazzi si sentono goffi, strani, fuori posto; "muovono le mani come
palette, inciampano nei propri piedi, sono estremamente scoordinati"*, e l'energia
del corpo e della mente, esplosiva ed incontrollabile, tende alla trasgressione, al
protagonismo, alla omologazione ed alla originalità, certamente funzionali, ma
snervanti, per l'educando e per l'educatore.
Il preadolescente sta dentro un'entità, cuore – mente – anima, non più sua, più
forte e più vulnerabile, e non sa come maneggiarla.
Sono ben certo di tutto ciò: l'ho sperimentato dal di dentro, tanto tempo fa, e dal
di fuori, nel ruolo attivo e passivo; e poi l'ho studiato!
Passano i giorni; la vita scolastica segue un itinerario collaudato, ma ricco di
creatività ed aperto a salutari ed ispirate improvvisazioni.
Non mancano certamente errori di percorso; ma i limiti della natura umana e i
difetti, pur nella lodevole professionalità degli operatori della scuola dell'obbligo
(orientata nella nostra terra pesarese, ai tempi di impianto e di riforme, da artisti e
da educatori, promotori di cultura pedagogica e maestri di sensibilità formativa e di
competenza didattica - Fabio Tombari, Arnaldo Gaspari, Stefano Mascarucci... ),
in fin dei conti, sono i principali ingredienti della comunicazione e dell'aiuto
reciproco per tutta la vita.
Dopo due settimane dal suddetto incontro torna a scuola la "mamma".
- Come va, signora? Domando con la speranza di riaprire il dialogo interrotto e di
riguadagnare qualche punto a mio favore in termini di reputazione.
- Senta, preside, mio figlio continua ad inciampare dappertutto. Ma, adesso, mi
vien da ridere, e gli voglio un gran bene.
Spesso l'affetto, non adeguatamente supportato dalla conoscenza dei problemi,
può portare all'eccessiva apprensione, compromettendo la comunicazione e l'intero
rapporto educativo.
Comunque, è bene sapere che "gli adulti più simpatici sono quelli che si
ricordano di essere stati bambini."**
Per sicurezza, "Ricordati ogni momento, di farti voler bene dai tuoi ragazzi", dice
Don Bosco, insegnando che l'attenzione, la comprensione, la speranzosa attesa
degli esiti positivi, la fiducia nei giovani, specie se preadolescenti, costituiscono gli
ineludibili ingredienti dell'azione educativa.
* Marcello Bernardi,L'età ingrata, da Il nuovo bambino, Milano,
Milano Libri, 1972.
** Christoph Hein, Gli strani amici di Jacopo Borg.(Editrice Einaudi).