IMBIANCHERIA DEL VAJRO CHIERI 8
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IMBIANCHERIA DEL VAJRO CHIERI 8
Non il mondo virtuale ma il mondo reale Daniela Gioda Luisa Pozzo Carla Siccardi Marisa Gandolfo Chen Li Mirella Cherchi Fumne Ass.Lacasadipinocchio Lilli Morgando Gruppo TraLicci Mirella Cherchi Margherita Fergnachino Caterina Fiore Marisa Gandolfo Daniela Gioda Luisa Pozzo Artiste ospiti Chen Li Maria Teresa Frizzarin Monica Gillio Lilli Morgando Carla Siccardi Fumne Ass.Lacasadipinocchio Trame d’Autore Collezione Civica di Fiber Art Margherita Fergnachino Maria Teresa Frizzarin Collezione Civica di Fiber Art - Sabine Zeiler Promosso da Città di Chieri in collaborazione con Unione Artisti del Chierese Mostra a cura di Silvana Nota Ideazione mostra a cura del Gruppo TraLicci Reading di Luisa Gnavi da“Diario di Eva” di Mark Twain Info Servizio Promozione del Territorio e Attività Culturali tel. 011.9428229 Progetto grafico e visual: Chen Li www.comune.chieri.to.it - www.turismochieri.it Caterina Fiore Monica Gillio Collezione Civica di Fiber Art - Naoko Shimoto IMBIANCHERIA DEL VAJRO CHIERI 8-24 marzo 2013 Fiber Art. Intrecciare culture, tessere relazioni, cucire le ferite: l’arte tessile oggi ha il pregio di ben saper declinare al presente antiche tradizioni del passato. Con questa consapevolezza viene accolta la mostra “[email protected]”, una rassegna colma di suggestioni che attingono dal mondo femminile mettendone in luce poeticità e criticità indagate attraverso le diverse sensibilità delle artiste che si avvalgono di tecniche riconducibili ai materiali tessili. Le opere d’arte tessile lo sono per la loro struttura materiale, certamente non solo filati, ma sicuramente anche fili intrecciati a materiali inusuali e sperimentali, trame e orditi simbolicamente fortemente evocativi di una tradizione cittadina radicata, articolata e d’alto livello qualitativo. A completamento del progetto, a quindici anni dall’istituzione della collezione civica di Fiber Art “Trame d’Autore”, collezione che si è arricchita nel tempo con le donazioni degli artisti fino a comprendere oggi circa centocinquanta pezzi, notevoli per originalità, qualità e varietà, la città ne ripresenta alcuni lavori significativi. Il fruitore che abbia presente la storia industriale di Chieri e si trovi ad ammirare questi elaborati, composti di tanti elementi flessibili, aggregati senza ricorrere a giunti, adesivi o saldature, converrà essere la Fiber Art una chiave di lettura del presente valida, pertinente, affascinante, puntuale. Un punto di vista che inserisce il telaio oppure le tecniche off loom, la creatività, la produzione tessile come espressione artistica, inserendo un percorso garantito dalla storia in un’ottica, fortemente auspicata, di nuovo futuro sviluppo per la città. Assessore alla cultura di Chieri Beatrice Pirocca EVA TRA FIBER ART E ALTRI LINGUAGGI (Silvana Nota) Una nuova pagina, tra territorio e internazionalità, si apre sulla scena chierese, grazie all’impegno e alla costanza di un gruppo di artiste che hanno saputo cogliere e far germinare lo spirito aperto e sperimentale della Fiber Art, ovverosia quel linguaggio di ricerca che ha visto storicamente artisti di tutto il mondo esprimersi attraverso il medium tessile e altri materiali flessibili. Un movimento libero e mai codificato in un manifesto, ma diffusosi in tutto il mondo a partire soprattutto dagli Anni Sessanta con le Biennali di Losanna e successivamente andato incrociandosi con le contaminazioni delle Post Avanguardie e approdato a Chieri, l’antica Città tessile dell’Università del Fustagno, come duttile e immaginifica testimonial, rivitalizzante e inaspettata, di un’eccellenza che ha visto il fiorire di prestigiose industrie e il perdurare di una memoria di telai il cui canto si diffondeva tra case e cortili. Dall’esperienza diretta delle edizioni delle Biennali “Trame d’Autore” e agli eventi collegati, da cui è scaturita la prestigiosa collezione civica comprendente opere di autori provenienti da tutti i continenti, ha preso vita il costante e sistematico lavoro delle artiste chieresi, che riunitesi sotto il nome “TraLicci” sono riuscite a non arrendersi, a difendere il loro sogno di fronte alle difficoltà del costruire il nuovo e a creare innovative opportunità con la forza della sinergia e del dialogo. Radicandosi al territorio, ma aprendosi al contempo allo scambio, in perfetta sintonia con la poetica originale dei fiber artist storici, che nella scelta concettuale della manualità individuavano la capacità di raccogliere esperienze e saggezze di altre culture e luoghi onorandole in opere contemporanee tra recupero di tradizioni e sperimentazioni, sono riuscite a generare un cambiamento e una crescita che in questa mostra permette molte letture parallele. Accanto infatti allo sviluppo di un tema più che mai attuale, già comunicato con forza dal titolo [email protected], una donna che vuole essere libera e consapevolmente progettuale nella società, la mostra ideata dal gruppo si offre come opportunità per fare il punto sull’osservazione dei più recenti sviluppi dell’utilizzo di materiali tessili nell’arte contemporanea: dalla tessitura al telaio all’uso del cucito, oggi molto riesplorato dopo il suo impiego mutuato dal quotidiano dalle artiste soprattutto americane legate negli Ottanta ai movimenti femminili , fino alle manipolazioni scultoree di materiali duttili e plastici, che sulla scena artistica più recente, da New York alla Corea, dal Giappone fino a Torino, registra sempre più artisti interessati alla tessilità. Uno strumento culturalmente seduttivo per il suo dna di sapienze ataviche e stimoli pervasi da sensibilità ambientali e nuove prese di coscienza personali e collettive. L’esposizione, allestita nell’affascinante spazio di archeologia industriale dell’Imbiancheria del Vajro, offre dunque un percorso che nell’impattare per l’immediata suggestione visiva, permette al visitatore di scoprire i molteplici messaggi che l’itinerario nell’insieme offre. Accanto alle artiste “TraLicci” che hanno ideato il progetto, si accosta una prima selezione di opere tematiche dalla Collezione “Trame d’Autore”, e un corpus di lavori realizzati da un nucleo di artiste ospiti, che hanno dialogato per creare un coro intonato su orizzonti aperti e positivi di pensiero, nei quali l’identità personale trova nello scambio i suoi accenti migliori. Un ensemble che si fa voce maggiormente forte e armonica, più facile da udire e da percepire nelle sue sfumature dalle molteplici tonalità. Scava profondamente tra le sfumature più nascoste dell’animo femminile, esplorando il dolore con il linguaggio di una solare bellezza, Mirella Cherchi, da molti anni attiva professionalmente nel campo del tessile come artista, tessitrice e studiosa. Maturità artistica e laurea in Discipline delle Arti, Musica e Spettacolo all’Università degli Studi Bologna e numerosi stages specialistici, realizza opere nelle quali prevale l’uso di materiali di scarto. Dall’interesse per la tessitura etnica, in particolare del Sud-Asiatico, e all’attenzione per il colore modulato in simmetrie solo apparentemente casuali di toni e trasparenze, nascono arazzi di grandi dimensione realizzati con macro-intrecci che alludono all’immaginario e al simbolico. Un simbolico che in questa mostra si esprime esplorando le possibilità della fibra, attraverso strati che affondano come ere geologiche nell’anima delle donne e in memorie collettive dove vi trovano posto, con gesti duchampiani, oggetti applicati e inseriti in dialogo tra i fili del discorso. Il doppio recupero di sapienze da salvare, la tessitura e l’arte della falegnameria, si coniugano e si fondono nella ricerca di Margherita Fergnachino, un’artista che riesce a far dialogare, attraverso le sue opere installative, i doni della natura (materiali filati e legno) con l’eredità dell’ingegno umano restituite in lavori, dove ogni piccolo angolo di superficie, colore o spessore, esprime una precisa comunicazione contenutistica. Figlia d’arte, restauratrice attiva per molti anni nella sua bottega di falegname, una bottega per lei da intendersi in senso rinascimentale, vale a dire luogo di esperienze, di incontri e di incroci di idee, affronta nelle sue ricerche la rivisitazione dei materiali lignei e il loro incontro armonico con trame e orditi. Spazio ideale e luogo fisico di una serie di altri materiali, gesso, carta, vinilico, messi in relazione per tracciare il viaggio in una femminilità che ritrova identità e letture negli alfabeti spazianti dall’astrazione alla figuratività per arrivare all’assemblaggio di Object Trouvé carichi di significati e di profonda poesia. Un cuore dai mille significati, che resta tale nonostante i rappezzi, i dolori, batte alla ricerca di spiegazioni nella vita tra le pieghe di un sentire femminile. È il cuore di Caterina Fiore, con il quale indica e firma tutta la sua opera percorsa da coinvolgente partecipazione emotiva collegandone l’immagine a molte tematiche affrontate nel suo lavoro: dalla condivisione alla sofferenza di tante, troppe donne, vittime di una mattanza che provoca il dolore muto e lancinante di chi ha subito o subisce senza avere la possibilità di reagire, all’ironia simbolicamente striata di glamour, cercata anche tra i testi di canzoni riscritte su vecchi pezzi di vestiario, per stemperare le tensioni e le ferite rifiutando tuttavia di crogiolarsi nell’l’immagine nostalgica e arrendevole del più classico ‘broken heart’ di mille canzoni. Attraverso l’arte che tutto guarisce e tutto tramuta in speranza di rinnovate albe, Caterina Fiore, traduce con i suoi suggestivi e personali alfabeti composti di materiali leggeri e duttili, punti di cucito e tessiture, messaggi ogni volta nuovi, ogni volta fedeli al suo sentire e amare di donna e di artista. Il fascino dell’abito, come opera di werableart, o da vivere come una scultura morbida libera nello spazio, trova particolare rilievo nella ricerca di Marisa Gandolfo, che identifica nel tessuto e nel suo ruolo intrinseco e originario di relazione e interazione con il corpo e l’anima a cui sono destinate, un mezzo linguistico di diretta efficacia. Dialogando con il vivere quotidiano, esso permette infatti di veicolare contenuti senza barriere in totale libertà creativa, dove i particolari, solo apparentemente strutturati per l’utilizzo comune, divengono una via di estrinsecazione poetica. In un’ottica di recupero di ciò che non può e non deve essere perso in un oblio senza significato, come le pezze di prova cariche di energie creative speciali, assembla i suoi abiti di chiffon e organza, dove baccelli di glicine, melograni, pigne e bacche di rosa incontrano la delicatezza dell’animo femminile raccontando tematiche forti con tocco leggero. Una donna preda o predatrice, o un’anima legata in una scultura in legno compensato e vecchie corde di canapa, parlano senza voce, gridano senza oscurare la possibilità della luce. Daniela Gioda, maturità artistica e un’intensa attività di artista visuale, vetrinista e progettista nel campo degli allestimenti espositivi, racconta con coinvolgente suggestione tante “storie piegate”, quelle di molte, troppe donne, esprimendo tutta l’angoscia provocata dall’immagine fortuita di canotte adagiate sul banco di un mercatino, un ripiano che ha provocato nella sua sensibilità l’idea dello sterminio, fisico e spirituale di moltitudini femminili. Elaborando molti linguaggi e tecniche, ha quindi sviluppato una macro immagine scattata dal suo obiettivo, sviluppandola e stampandola poi su grandi teli di dimensioni museali stesi come quinte installative di un teatro dove la realtà non è un brutto sogno ma un mondo da migliorare. Con l’orrore per la violenza, la forza della partecipazione e l’efficacia del gesto artistico, dipana il suo messaggio poetico che manifesta con più linguaggi intrecciati, nei quali le lane, il tulle, il cucito trovano dialogo entrando in contatto con l’osservatore senza filtri ermetici, ma lasciando ad esso la possibilità di addentrarsi oltre, tra i percorsi e letture suggerite dal suo amore per la sperimentazione e per le culture del mondo esplorate alla ricerca di un’etica consapevole e di speranza. L’identificazione autobiografica nella natura, condividendola come fonte di armonia e luogo di solitudini abitate da una vita che supera la matericità insensibile del quotidiano, affiora nell’opera meditativa e lirica di Luisa Pozzo. Diplomatasi in pittura all’Accademia Albertina di Torino, dopo esperienze pittoriche e incisorie approda alla Fiber Art individuandovi in essa un metodo particolarmente adatto al proprio sentire. Una via attraverso cui scopre la possibilità di liberare l’urgenza espressiva dai vincoli della descrizione oggettiva. Le sue sculture aree, suggeriscono il mondo femminile rivelando una profonda conoscenza dei ritmi della natura percepita in simbiosi con il vibrare della sua sensibilità. Intrecciando esili rami a fili di lana, cotone, ciniglia e altri materiali, ne collega il significato alla metafora del mondo interiore. Tralci di vite legate insieme secondo una naturale inclinazione compongono il segno astrologico del Toro, un cerchio quasi Zen dal quale un ramo svetta in alto permettendo alla terra di toccare il cielo, mentre in un’altra ci riporta a Dafne, che nel suo estremo rifiuto di costrizione diviene albero rifuggendo dal mondo reale per vivere nella più rassicurante Natura. Artista Visuale, calligrafica e graphic designer, Chen Li rappresenta un esempio affascinante e colto di fusione tra linguaggi e culture al cui centro vi è l’impegno umano e l’etica come tema fondante di tutte le sue opere sviluppate in continua metamorfosi. Capace di esprimersi con personalità senza rimanere intrappolata nel proprio stile, comunica il suo pensiero sulla donna e sulla situazione attuale attraverso un video e installazioni. Nel video, composto da 40 scatti, scorrono immagini di donne alle quali ha chiesto durante una manifestazione in piazza di coprirsi il viso con un foglio di pluriball come simbolo di censura dell’immagine reale della donna che viene falsata, resa finta nella società. In un’altra opera, realizzata con plexiglass e sculture come grandi uova in ceramica, affronta l’importante ruolo della famiglia nella cultura cinese, piccolo schema della società perfetta, un luogo protetto ma trasparente di cui parla anche Confucio. Happiness è invece un scultura parietale che fa parte di un ciclo dedicato ad una felicità necessaria nell’attuale momento storico, una felicità motivata da un concetto più alto della materialità. Reti che ingabbiano e al tempo stesso liberano piccole rose come tante sorelle di argilla che a prima vista appaiono condensate e plasmate dal sole e dalla pioggia, si intercalano nell’opera di Maria Teresa Frizzarin, artista della ceramica il cui percorso la vede formarsi alla scuola di Faenza e successivamente presso studi di maestri italiani e stranieri. Grande esperta di un linguaggio che richiede rigore tecnico e precisione, riesce a sdrammatizzare nelle sue opere la fatica e il lungo processo di realizzazione, facendo affiorare la liricità delicata della sua poetica con rilievi e tracce adagiate su materiali grezzi. Installazioni di maioliche geometricamente ordinate e al contempo in libertà spaziale, accanto alle maglie larghe delle reti di ferro, esprimono la sua ricerca che vede la femminilità rappresentata dall’aerea bellezza sostenuta dalla struttura solida, a dimostrazione di come sia possibile anche nell’animo umano il convivere armonico di forza e gentilezza. Sei opere rosso fuoco, tutte di piccole dimensioni e giocate sul contrasto grafico del nero con cui traccia ritratti femminili, rappresentano l’opera installativa di Monica Gillio, artista feconda e meditativa che ha accolto nelle sue ricerche la Fiber Art mettendola in dialogo con altre tecniche. Maturità artistica e un’attività di docente di disegno dal vero e tecniche pittoriche, affronta il tema della donna osservandola nei momenti della vita attraverso lo studio dei corpi e dei loro gesti nei quali si imprime tutta l’intesità di un mondo interiore ricco di sfumature e di introspezione. Un mondo estrinsecato come in una sequenza filmica, dove la traccia del pennello o della matita è sostituita dal filo nero. Sulla tela intreccia così sentimenti e storie vissute con la passione di un rosso incandescente che accende e scalda ogni angolo dello spazio, ma che al contempo chiude, soffoca, protegge. Atmosfere tutte femminili come i corpi nudi senza tempo che propongono, insieme alla bellezza di un gesto pittorico ben costruito e armonico, tutto il senso di un’esistenza spesso nascosta. Laureata in Archeologia Medievale presso l’Università di Torino, e formatisi nel settore della ceramica in Italia e in Inghilterra, Lilli Morgando racconta il sentito universo femminile spaziando tra i linguaggi installativi delle ceramiche e originali scatti, catturati e scomposti in altre immagini ancora, dopo aver fotografato nella luce abbacinante di un sole a Laos, la propria ombra. Una storia suggestiva circonda l’immagine della silhouette proiettata: nella mano lasciata lungo i fianchi si delinea un piccolo cuore, frutto del caso ma coincidenza perfetta all’interno della sua poetica al cui centro vi è la necessità del sentimento in ogni gesto d’arte. L’installazione comprende inoltre lastre decorate come frammenti di monasteri antichi, adagiati a terra simili a mantra. L’uno accanto all’altro come presenze atemporali, evocano il senso mistico collegato alla femminilità, idea che pervade l’intera sua opera di instancabile viaggiatrice attraverso luoghi geografici e dell’anima. Carla Siccardi è un’artista che in tutta la sua carriera ha investigato le possibilità del mezzo tessile e la tela, destrutturandola, modificandola, decontestualizzandola dal suo supporto abituale, per riutilizzarla invece con un concetto estremamente sperimentale e innovativo. Un’operazione di ricerca avviata dall’artista già a partire dagli ’anni 70, quando nel Nord Europa e negli Stati Uniti tali esperienze stavano trovando particolari espressività, mentre in Italia risultavano del tutto inedite, e, se non nel caso di alcune artiste pioniere come lei, quasi del tutto sconosciute. Diploma all’Accademia Albertina di Torino, e una carriera di docente di ornato e figura nei licei artistici di Cuneo e Torino, Carla Siccardi propone una serie di opere tra cui una Sirenetta pervasa da molteplici rimandi culturali, dove le lacerazioni e gli incontri di fili raccontano con linguaggio raffinatamente colto, e qualche volta ermetico, tutta la profondità del mondo femminile che alla tela lega molta della sua storia tra letteratura ed echi di storie senza tempo. Un caldo e soffice tappeto su cui camminare, in realtà un’opera da fruire a terra e da vivere anche tattilmente nel quotidiano, è lo spirito che anima l’opera di Arte condivisa realizzata dalle artiste di Fumne Lacasadipinocchio, associazione culturale che vede operare donne detenute presso la Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino. Realizzato in feltro ad acqua, si presenta con un effetto pietroso che sorprendentemente è invece morbido. Camminare nel carcere - spiegano le autrici Loubna,Katia, Vivien e Rutdh - è come camminare sui sassi più duri, con quest’opera sarà come sognare di poggiare i piedi su un cammino più facile, accogliente e possibile grazie ai sogni che l’arte rende possibili. Luisa Gnavi si è formata come attrice a Torino presso il Centro D di Iginio Bonazzi ed il regista e attore Ernesto Cortese negli anni ’90. Ha svolto attività come attrice in ambito radiofonico RAI e per il doppiaggio cinetelevisivo. Ha partecipato a produzioni teatrali in Piemonte in ambito drammaturgico. Presta la sua opera come voce recitante per reading letterari per la presentazione di testi o per eventi privati, registrazione di audiolibri e speakeraggio.