Stampato - Lex24

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N. 5 ­ 15/21 GIUGNO 2009
a cura di Guida al Diritto
ANTEPRIMA
EDITORIALE.
Attività di investigazione fortemente indebolite
da modifiche palesi e occulte alle intercettazioni
di Pietro Grasso e Alberto Cisterna
pag. 2
ONLINE
di Sara Menafra
pag. 8
Distruzione dei dossier illeciti
nel rispetto del contraddittorio
da Guida al Diritto on line
pag. 8
Ai notai non può sfuggire la condizione del fallito
di Angelo Busani
pag. 16
Corte di Cassazione, sez. III, civ.,
sentenza 19.05.2009 n. 11569
pag. 17
LE SENTENZE DEL GIORNO. Famiglia e Minori
Non è sottrazione riportare in Italia il figlio
che ha soggiornato all’estero
Corte di Cassazione ­ Sezione I civile
Sentenza 16 giugno 2009 n. 13936
pag. 3
L’intercettazione esterna
entra nell’iter disciplinare
di Giovanni Parente
Corte di Cassazione, sez. U.,civ.,
sentenza 29.05.2009 n. 12717
LE SENTENZE DEL GIORNO. Difensore
Esame e studio delle udienze
non retribuiti se di mero rinvio
Corte di Cassazione ­ Sezione IV penale
Sentenza 10 giugno 2009 n. 23889
Determinazione dell’imponibile per il patrocinio a
spese dello Stato
Risoluzione Agenzia delle Entrate
15 giugno 2009 n. 159/E
pag. 27
IN PRIMO PIANO. Avvocati
La formazione del futuro
nel documento del Cnf
pag. 4
pag. 5
pag. 19
pag. 20
AVVOCATI24.
Venture Philanthropy:
tra Venture Capital Sociale e Filantropia di Ventura
di Antonio Cuonzo
pag. 27
a cura di Lex24
PROFESSIONISTI24.
Management/AMMINISTRATORI
Contro la condotta dell’amministratore infedele il
socio può proporre querela
pag. 28
ORDINAMENTO: GIUDICI DI PACE
da Speciale Riforma processo civile
I giudici di pace fanno i conti
con 1,4 milioni di liti arretrate
di Cristiana Gamba
pag. 5
Giudici di pace in affanno
di Sara Menafra
pag. 6
Il vero nodo sono gli uffici
di Sara Menafra
pag. 7
Pesa il reato di clandestinità
di Sara Menafra
pag. 7
Processo digitale più aperto
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
IL MERITO ONLINE
Tribunale di Bologna 28.04.2009, n. 1005
Penale ­ Reati contro il patrimonio
pag. 29
DOCUMENTAZIONE
Da Repertorio24
pag. 29
Gazzetta Ufficiale
pag. 30
Lavori parlamentari
pag. 31
1
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a cura di Guida al Diritto
Il Sole 24 Ore ­ Guida al Diritto
20 giugno 2009, n. 26 ­ Pagina 11
Attività di investigazione fortemente
indebolite da modifiche palesi
e occulte alle intercettazioni
di Piero Grasso e Alberto Cisterna ­ Procuratore e sostituto
alla Procura nazionale Antimafia
Si dice che l’Italia detenga il primato nel numero di intercetta­
zioni eseguite, ma questo non vuol dire che in altre democra­
zie si rinunci a praticare massicce captazioni, solo che altrove
esse avvengono al di fuori di ogni controllo giudiziario e senza
alcun censimento statistico. È notorio che le intercettazioni
costituiscono da anni lo strumento privilegiato dell’arsenale
investigativo di molte procure e le ragioni di tale situazione
sono molteplici; tra esse lo stato scoraggiante della collabora­
zione dei cittadini in un paese tormentato da decenni di
violenza, non solo mafiosa e terroristica, e da una congenita
incertezza della pena.
Intercettare ­ È innegabile che la trama originaria del codice
di rito inserisca le captazioni tra gli ordinari strumenti investi­
gativi (al pari di sommarie informazioni, perquisizioni ecc.)
senza particolare enfasi. L’intercettazione è, soltanto, uno dei
mezzi di ricerca della prova attraverso i quali «il pubblico
ministero e la polizia giudiziaria prendono notizia dei reati»
(articolo 330) e provvedono alla «prosecuzione delle indagini»
(articolo 266 vigente). La riforma in discussione altera, tutta­
via, questa scansione nella parte in cui esige che per intrapren­
dere attività captative siano necessari a carico degli indagati
«evidenti indizi di colpevolezza» (articolo 267, comma 1). In
questo modo l’intercettazione, l’acquisizione di un tabulato o
una semplice videoripresa smarriscono la loro natura di atti
tipici d’indagine, per essere postergati al livello di mere opera­
zioni di riscontro di una responsabilità che si assume in qual­
che modo già dimostrata. Il processo penale prevede un inda­
gato e, quindi, l’attivazione a cura del Pm di una sequela
investigativa soggettivamente orientata; il Ddl atto Senato
1611 sostituisce alla figura dell’indagato quella di un soggetto
raggiunto da un’evidenza indiziaria confluente addirittura ver­
so la colpevolezza e individua in questa inedita cifra probatoria
il punto di partenza per l’ulteriore prosieguo delle indagini. A
prescindere da rilievi semantici o gnoseologici, appare di per
sé discutibile la scelta di assegnare il connotato dell’evidenza a
un materiale probatorio, l’indizio appunto, che per definizione
è provvisto di un coefficiente di genericità ed equivocità, desti­
nato a dipanarsi solo a conclusione di un complesso iter
valutativo. L’attributo dell’evidenza, fosse solo per l’inattesa
novità, spiana la strada a valutazioni giudiziarie estremamente
2
oscillanti, con un’ulteriore compromissione della certezza del
diritto. Per giunta l’attivazione delle intercettazioni nei proce­
dimenti per delitti “ordinari” (violenze sessuali, rapine, omicidi
consumati e tentati, bancarotte, usure ecc.) è subordinata alla
circostanza che gli indizi evidenti non consistano nei «soli
contenuti di conversazioni intercettate nel medesimo procedi­
mento », e sarà facile assistere all’irragionevole sortilegio per
cui quelle registrazioni si potranno addurre in giudizio come
prova della responsabilità penale dell’indagato, ma non saran­
no utili per svolgere a suo carico tutte le operazioni di cui
all’articolo 266 (inclusi tabulati e riprese).
Doppio binario ­ La traslazione delle intercettazioni verso
l’area della ricerca della notizia di reato si è compiuta in molti
lustri e ne ha sicura­ mente alterato la mera funzione probato­
ria. È una diversione che si è resa indispensabile nel settore
della criminalità mafiosa e terroristica ove è problematica la
stessa emersione dei fatti di reato perpetrati dalle organizza­
zioni: in molte zone la cifra dei delitti silenti è ancora troppo
alta (basti pensare a usure ed estorsioni). È bene precisare che
l’instaurarsi di queste pratiche investigative è stata agevolata,
se non imposta, da precise scelte del legislatore (ad esempio,
l’articolo 13 del Dl 152/1991 in materia di criminalità organiz­
zata); dall’urgenza di contrastare gravi fenomeni delinquenziali
(ad esempio, il massiccio ricorso all’articolo 295 per le latitan­
ze di mafia); dall’impressionante evoluzione tecnologica delle
telecomunicazioni che ha consentito inattese acquisizioni pro­
batorie (le cosiddette digital evidence, il pedinamento a mezzo
Gps o l’intercettazione di e­mail). Si assume che le modifiche
previste dal Ddl atto Senato 1611 lasciano inalterata la cornice
normativa per questi serious crimes, anche quando siano a
carico di ignoti e quindi non condizioneranno l’agibilità investi­
gativa dello strumento. Certo la conservazione della formula
«sufficienti indizi di reato», mutuata dall’abrogando articolo 13
Dl 152/1991, rassicura in ordine allo start up delle intercetta­
zioni per fatti di mafia o terrorismo, ma le criticità si annidano
in altri snodi del testo approvato. Ad esempio è ben noto che
le metodiche investigative prevedono che il Pm curi, nell’ambi­
to di attività antimafia ad ampio raggio, una progressiva sele­
zione del materiale probatorio attraverso la formazione di
separati fascicoli in cui convoglia i risultati delle captazioni (il
cosiddetto stralcio). Il nuovo conio dell’articolo 268, comma
6­bis commina il divieto di procedere a questa indispensabile
operazione di buon governo delle indagini prima che tutte le
registrazioni siano depositate e portate a conoscenza delle
difese; e per non dare adito a incertezze un addendum all’arti­
colo 271 stabilisce che la violazione del divieto genera inter­
cettazioni inutilizzabili. Le conseguenze sull’ulteriore attività
investigativa sono evidenti: le conversazioni che attestano i più
recenti propositi criminosi dei rei, anziché confluire segreta­
mente in un apposito procedimento, saranno prima comunica­
te agli indagati e poi utilizzate. Così facendo saranno, per
giunta, gravemente compromesse la cooperazione spontanea
tra uffici (articolo 371) e le funzioni di coordinamento asse­
gnate alla Dna (articolo 371­bis) e alla procura generale d’ap­
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
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pello (articolo 118­bis delle disposizioni di attuazione). Infatti
non sarà possibile trasferire ad altre procure le intercettazioni
di loro competenza, senza aver completato la procedura di
deposito nell’indagine a quo. È facile prevedere che la tracima­
zione delle investigazioni in ambiti territoriali altrui sarà all’or­
dine del giorno o forse verrà addirittura concordata tra uffici
del pubblico ministero. Senza considerare che un inedito
scambio informativo tra accusa e indagati è chiamato a prece­
dere l’azione penale per i «fatti diversi», in spregio al principio
di obbligatorietà che pretende anche un tempestivo ed effica­
ce accertamento dei delitti. Assolutamente ingiustificabile, poi,
è la disparità di trattamento in cui sono incorsi i lavori parla­
mentari laddove hanno previsto che le intercettazioni prove­
nienti da altri procedimenti possano essere utilizzate «per
l’accertamento dei delitti di cui agli articoli 51, comma 3­bis e
3­quater, e 407 comma 2 lettera a)» (articolo 270), ma non
hanno incluso quest’ultima tipologia di reati nel novero di
quelli per i quali è accordato il doppio binario (articolo 267,
comma 3­bis). L’opzione nomografica vanifica le conclusioni
cui era pervenuta la giurisprudenza di legittimità nell’inquadra­
mento sotto l’egida dell’articolo 13 del Dl 152/1991 di tutti i
delitti associativi (articolo 416 del Cp) anche se non connotati
da matrici mafiose o terroristiche (cfr. Cassazione sezione I,
20 dicembre 2004 n. 2612). Prevedere che per questi reati sia
indispensabile l’evidenza indiziaria della colpevolezza equivale a
precluderne l’accertamento, sebbene essi non di rado costitui­
scano una porzione “occulta” del programma criminoso di
pericolosi gruppi mafiosi (estorsioni, rapine, usura ecc.) sco­
perti solo dopo lunghe e ampie investigazioni “ordinarie”.
Gli ignoti ­ Ma un vulnus irrimediabile potrebbe essere infer­
to all’attività inquirente dalla disciplina approntata per le inda­
gini “ordinarie” a carico di ignoti. Il Ddl in esame introduce
una disciplina del tutto inadeguata: sarà consentito svolgere le
operazioni di cui all’articolo 266 esclusivamente su «richiesta
della parte offesa» e solo sulle utenze e nei luoghi nella sua
disponibilità. Negli altri casi è ammessa la mera acquisizione
dei tabulati «al solo fine di identificare le persone presenti sul
luogo del reato o nelle immediate vicinanze di esso» (articolo
267, comma 1­ter): per cui, nel caso di una violenza sessuale
consumata in un parco di Milano, occorrerà prima procurarsi
il traffico delle migliaia di utenze che in quel lasso temporale
risultano censite dai gestori, quindi identificarne i titolari e poi
escutere i possibili testimoni. Una vera eterogenesi dei fini del
legislatore sia per i costi enormi di questa esplorazione sia per
l’indiscriminata violazione della privacy di tanti cittadini.
Complicazioni ­ Il disposto normativo, come abbiamo, visto,
assimila al medesimo regime processuale attività investigative
fino a oggi affidate a distinti organi giurisdizionali: intercetta­
zioni (giudice per le indagini preliminari), tabulati (Pm per
effetto del recente Dlgs 109/2008) e videoriprese (polizia
giudiziaria/Pm in luoghi pubblici o aperti al pubblico e giudice
per le indagini preliminari in luoghi privati a seguito della
sentenza sezioni Unite 26795/2006). L’accorpamento della
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
competenza ad autorizzare le operazioni presso il tribunale
distrettuale appare, anche in questo caso, una scelta irragione­
vole poiché omologa forme di compressione dei diritti dei
cittadini obiettivamente diverse e meritevoli, come tali, di
graduate garanzie procedurali. Subordinare agli evidenti indizi
di colpevolezza l’acquisizione di un tabulato e imporre l’inoltro
della relativa richiesta da una delle 140 procure circondariali
verso uno dei 26 tribunali distrettuali equivale a congestionare
irrimediabilmente l’attività degli uffici giudiziari e ad aggravare
la già impressionante transumanza di carte tra sedi.
Segreti ­ Una pletora di adempimenti processuali punta a
evitare l’indebita divulgazione delle registrazioni; controlli mi­
nuti presiedono la trascrizione delle conversazioni utili; è im­
posta l’individuazione dei responsabili del procedimento pro­
batorio (articoli 267, comma 3­ter e 89 comma 2­bis delle
disposizioni di attuazione); sono previste nuove fattispecie
incriminatrici (articoli 617­septies e 685­bis del Cp) e altre
subiscono incisive innovazioni (articoli 379­bis, 617 e 684 del
Cp). Tuttavia la più severa tra le disposizioni penali, l’articolo
379­bis del Cp dedicato alla «rivelazione illecita di segreti
inerenti ad un procedimento penale», irroga una pena da 1 a 5
anni e, quindi, dispone di un limite edittale inferiore a quello
previsto dal nuovo articolo 266, ovvero una pena «superiore
nel massimo a 5 anni» per tutte le operazioni ivi regolate. Ne
discende che è preclusa finanche l’acquisizione dei tabulati
delle utenze telefoniche o telematiche in uso ai soggetti coin­
volti nella propalazione illecita, anche quando raggiunti da
«evidenti indizi di colpevolezza ». Sorge il dubbio che sia
apparso preferibile trasferire ogni responsabilità sulle testate
giornalistiche, anziché agevolare i tentativi di arginare queste
condotte illecite. Il tutto, si badi bene, in un congegno proces­
suale che genera una proliferazione incontrollata dei soggetti
posti a conoscenza delle operazioni captative. A riforma ap­
provata la mera attivazione in luogo pubblico di una videoca­
mera sarà nota alla polizia giudiziaria, al Pm e al procuratore
capo, alle loro segreterie, alla cancelleria del tribunale distret­
tuale, al collegio competente per il decreto, ai commessi
incaricati di movimentare i fascicoli (tra l’altro l’articolo 267,
comma 1.1 impone l’allegazione al tribunale tutti gli atti d’inda­
gine): chissà come sarebbe finita per Provenzano nelle campa­
gne di Corleone.
Per saperne di più: www.giustizia.it
***
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LE SENTENZE DEL GIORNO.
Famiglia e Minori
Non è sottrazione riportare
in Italia il figlio che ha soggiornato all'estero
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Corte di cassazione ­ Sezione I civile ­ Sentenza 16 giugno 2009 n.
13936
Il genitore che riconduce i figli nel Paese di residenza abituale,
contro la volontà dell’altro, non commette una sottrazione in­
ternazionale di minori. Lo ha chiarito la Cassazione con la sen­
tenza 13936/2009 secondo la quale nel caso di allontanamento
dalla residenza abituale di minori per un soggiorno in altro Stato,
limitato nel tempo, non si ravvisa sottrazione internazionale
quando uno dei genitori riconduca i bambini a casa. Nel caso in
esame un papà, dopo un periodo trascorso in Svezia con moglie
e figli, ha riportato i figli in Italia, dove avevano sempre vissuto
prima dell’episodico espatrio, contro la volontà della moglie
svedese. Secondo la Corte all’uomo non poteva essere conte­
stato nulla dal momento che subito dopo il rimpatrio, secondo i
servizi sociali, i piccoli avevano recuperato tutte le abitudini
precedenti, lo stretto rapporto con i nonni paterni e la frequen­
za regolare e serena nella scuola materna. Non si trattava quindi
di un allontanamento dallo Stato di residenza, ma di un ”semplice
ritorno a casa”.
fatto (e remunerato) per la prima udienza antecedente al mero
rinvio o alla lettura”.
Il testo della sentenza
Gli obiettivi del documento ­ Questi i quattro obiettivi
per una politica della formazione forense che non si limiti a
garantire un accesso qualificato alla professione ma che proiet­
ti il legale nel futuro. Un passaggio dal sapere al saper fare con
un occhio attento all’Europa, all’integrazione culturale, alle
nuove tecnologie.
L’identikit del nuovo avvocato formato dalle scuole professio­
nali è stato messo nero su bianco in un documento approvato
alla conclusione dei lavori della I° Conferenza nazionale delle
Scuole forensi, che si è tenuta venerdì scorso a Roma su
iniziativa della Scuola superiore dell’avvocatura, fondazione del
Consiglio nazionale forense.
Un appuntamento durante il quale l’avvocatura ha impostato
per il futuro gli obiettivi che dovrà soddisfare il sistema forma­
tivo forense, anche nella prospettiva che la frequenza delle
Scuole forensi diventi obbligatoria, come prescrive la riforma
dell’ordinamento forense in discussione in commissione giusti­
zia al senato.
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LE SENTENZE DEL GIORNO.
Difensore
Esame e studio delle udienze
non retribuito se di mero rinvio
Corte di cassazione ­ Sezione IV penale ­ Sentenza 10 giugno 2009 n.
23889
DIFENSORE
Esame e studio delle udienze non retribuiti se di mero rinvio
Il legale d’ufficio dell’imputato ammesso al patrocinio a spese
dello Stato non può chiedere il pagamento della voce di tariffa
”esame e studio” dell’udienza quando non viene svolta alcuna
attività processuale. In sostanza l’avvocato perde il diritto alla
retribuzione di questa ”voce” se l’udienza è di mero rinvio
oppure si procede alla lettura già programmata di atti assunti in
precedenza. Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza 23889/
2009 che ha respinto il ricorso di un avvocato d’ufficio al quale è
stato negato il compenso per la voce ”esame e studio” prima
della partecipazione a 9 udienze di mero rinvio e 27 in cui si era
proceduto alla lettura delle deposizioni testimoniali acquisite al
fascicolo. Secondo la Cassazione, infatti, l’onorario in questione
è finalizzato a compensare lo sforzo intellettuale che il difensore
deve svolgere per organizzare la sua linea difensiva in relazione
alla dinamica del dibattimento che si va ad affrontare. Ne conse­
gue, precisa la Corte, che nelle udienze di rinvio e in quelle in cui
si dà lettura di atti già assunti in precedenza, l’avvocato non deve
svolgere nessuno sforzo di preparazione, ”valendo quello già
4
Il testo della sentenza
***
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IN PRIMO PIANO. AVVOCATI
La formazione del futuro
nel documento del Cnf
di Patrizia Maciocchi
Potenziamento strutturale degli organismi formativi, qualifica­
zione dell’azione didattica, centralità dell’etica professionale,
responsabilità sociale dell’avvocato e individuazione dei conte­
nuti didattici comuni.
Il presidente Guido Alpa ­ ”La Scuola superiore dell’avvo­
catura ha espresso un nuovo modo di concepire la formazione
dell’avvocato”, ha dato atto il presidente del Consiglio nazio­
nale forense Guido Alpa, che ha ricordato come il Cnf punti al
rafforzamento della qualificazione degli avvocati non solo at­
traverso le Scuole ma anche con l’organizzazione dei corsi
internazionali e con l’avvio del progetto di e­learning. Quanto
specificatamente alla didattica, Alpa ha richiamato l’attenzione
sullo studio della casistica giurisprudenziale promuovendo il
metodo presso le scuole forensi.
Il vicepresidente della scuola superiore Alarico Maria­
ni Marini ­ Al vicepresidente della Scuola superiore dell’avvo­
catura, Alarico Mariani Marini ­ che ha ricordato il percorso
avviato dieci anni fa e che ha portato il sistema formativo
forense a strutturarsi in 77 Scuole localizzate sul territorio
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com
con circa 4000 docenti ­ il compito di parlare degli sviluppi
futuri: ”Tutt’ora è insufficiente la consapevolezza degli Ordini
forensi sulle priorità da assegnare alla formazione per l’acces­
so non finalizzata al superamento dell’esame di abilitazione ma
che guardi alla identità del’avvocato del domani. Bisogna supe­
rare anche la parcellizzazione delle scuole: l’accorpamento
sarà una esigenza ineludibile del futuro. Infine, abbiamo davanti
una sfida: quella di costruire l’identità dell’avvocato del futuro
che guardi all’Europa, che si faccia carico della integrazione
multietnica, che qualifichi il ruolo del’avvocato nella giurisdi­
zione, che si faccia carico della responsabilità sociale dell’avvo­
cato”.
Il rapporto sulle scuole di formazione dell’avvocato
David Cerri ­ David Cerri, della Scuola superiore dell’avvo­
catura, con la sua relazione ha fotografato la situazione attuale
delle Scuole forensi, basandosi su un questionario al quale
hanno risposto 27 Scuole su 77: sono in maggioranza fonda­
zioni, sono finanziate con i contributi degli Ordini o con le
quote di iscrizione, sono tendenzialmente obbligatorie, con
una offerta didattica per lo più inferire alle 200 ore, con una
leggera prevalenza delle lezioni teoriche, con una provenienza
forense della maggior parte dei docenti. ”Il campione esamina­
to registra ancora troppe diversità tra scuola e scuola per non
mettere all’ordine del giorno la priorità della creazione di un
programma comune, anche indipendentemente dagli sviluppi
normativi”, ha concluso Cerri.
La metodologia da applicare nelle scuole ­ Giovanni
Pascuzzi, ordinario di diritto privato comparato presso la
facoltà di giurisprudenza dell’università di Trento, ha tenuto
una relazione sulla metodologia didattica da applicare nelle
scuole, basata anche e soprattutto sulle abilità, sul saper fare:
innovativi gli strumenti didattici individuati, al di là della lezione
frontale (docente/ allievi) e del manuale. Pascuzzi annovera il
sistema casistico, il Problem based learning, con la discussione
in gruppi limitati di studenti di un certo numero di quesiti, il
cooperative learning, centrato su gruppi di lavoro eterogenei.
Gli sviluppi dell’identità dell’avvocato ­ Giuseppe Conte,
ordinario di diritto privato nell’Università di Firenze e docente
alla Luiss, ha relazionato sugli sviluppi della identità dell’avvoca­
to, sottolineando come ”le nuove leve di giovani avvocati sono
chiamati a rinnovare la loro cultura giuridica, a tenere conto
del concetto di società multistakeholders, a tenere presente
che qualsiasi attività economica non può mirare esclusivamen­
te al profitto ma deve tener conto sempre responsabilmente
dell’impatto che le varie iniziative possono avere in una platea
molto più ampia di soggetti potenzialmente interessati”.
La formazione linguistica ­ Vincenzo Zeno­Zencovich, or­
dinario di diritto comparato a Roma tre, ha affrontato il tema
della formazione linguistica dell’avvocato, sottolineando che
ormai esso tocca il futuro della professione in un mercato
sempre più competitivo e transnazionale. ”A volere prefigura­
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
re un ruolo più attivo degli ordini in materia si possono
ipotizzare diverse strade: stipulare convenzioni con organismi
riconosciuti e certificati, organizzare corsi direttamente nel
paese straniero, costituire gemellaggi con ordini professionali
di altri paesi e organizzare congiuntamente corsi di formazio­
ne”.
Il testo del documento
a cura di Lex24
SPECIALE GIUDICE DI PACE
IL SOLE 24 ORE ­ Norme e Tributi del 17­06­2009
Igiudici di pace fanno i conti
con 1,4 milioni di liti arretrate
di Cristiana Gamba
Tra l'organico ridotto all'osso, la mole di cause pendenti e i
provvedimenti sopravvenuti, che aumentano a ritmo vertigi­
noso, i giudici di pace lanciano l'allarme. I distretti sono intasati
– come mostra l'inchiesta dei Dorsi regionali del Sole 24 Ore
in edicola oggi – e le prospettive non sono certo tranquilliz­
zanti: le nuove norme in materia di processo civile allargano le
competenze della magistratura onoraria portando una massa
di nuove cause.
Secondo i dati forniti dal ministero della Giustizia il numero di
procedimenti civili pendenti a livello nazionale ammonta a
poco meno di 1,4 milioni (dati 2007). Per quanto riguarda i
procedimenti penali il numero sfiora le 118mila unità. Anche il
numero dei sopravvenuti è in costante crescita dal 2002 fino a
toccare quota 1.925.663. Nonostante gli organici siano quasi
allo stremo, il lavoro procede a ritmo sostenuto: le cause
definite in Italia sono state 1.911.935.
Il Nord­Ovest deve fare i conti con un numero di magistrati di
fatto dimezzato. Nei due distretti che fanno capo a Torino e
Genova sono operativi 281 giudici contro i 478 indicati
nell'organico. Quasi la metà dei posti è vacante e questo si
traduce in un aumento delle pendenze, che in cinque anni è
più che raddoppiato. In Lombardia gli uffici sono sommersi
dagli arretrati. I distretti di Milano e Brescia hanno un carico
pendente di oltre 100mila cause. Qui il numero dei procedi­
menti civili è in gran parte relativo alle multe: l'effetto Ecopass,
il divieto di circolare nelle zone del centro del capoluogo
lombardo, stanno letteralmente ingolfando gli uffici.
Nell'area di Nord­Est l'emergenza riguarda soprattutto la
pianta organica che soffre la mancanza di personale per il 39
per cento. Venezia, in particolare, conta 68 giudici sui 193
previsti. Allarme rosso anche nel Centro­Nord dove il 78%
delle sedi è sotto organico. Nell'area si stima che la riforma
Alfano porterà 50mila cause in più. Un incremento delle cause
da trattare tra il 30 e il 100% dell'attuale contenzioso che
finiscono con l'aumentare gli accumuli di arretrato esistente.
Anche gli uffici della capitale sono intasati. I giudici si trovano
5
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ad affrontare 400 ricorsi al giorno contro le multe e il numero
degli arretrati è in aumento del 27 per cento. Nel distretto le
nuove cause civili, nel 2008, sono state più di 222mila, +7%
rispetto al 2007; anche quelle concluse sono cresciute del 4,3
per cento. In affanno, infine anche il Sud, dove il distretto di
Napoli ha il record italiano di multe impugnate. Secondo i dati
della Giustizia i giudici di pace meridionale hanno chiuso il
2007 con 756mila provvedimenti pendenti, il 55% del dato
nazionale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
IL SOLE 24 ORE ­ Roma del 17­06­2009
Giudici di pace in affanno
di Sara Menafra
Giudici di pace in affannodi Sara Menafra Continua l’emergen­
za per i giudici di pace. Nell’intero distretto di corte d’appello
di Roma le nuove cause civili nel 2008 sono state più di
222mila (+7,8% sul 2007), quelle concluse poco più di 159mila
(+4,3%), mentre i fascicoli ancora aperti a fine anno circa
257mila, con una crescita annua di oltre il 26,8 per cento. A
soffrire di più sono gli uffici della capitale, che da soli assorbo­
no oltre della metà di tutti i procedimenti: oltre 135mila i
sopravvenuti, 95.707 i definiti, più di 176mila gli arretrati. Ogni
giorno a via Teulada, via posta, arrivano circa 400 opposizioni
a sanzioni amministrative, ma gli impiegati ne iscrivono sì e no
150. Le altre si accumulano in enormi mucchi.Ma il peggio
deve ancora arrivare. La riforma del processo civile appena
varata dal Parlamento estende infatti alla competenza del giu­
dice di pace le cause su beni mobili fino a 5mila euro (finora il
tetto era di 2.500) e i risarcimenti per danni da circolazione
stradale, fino a 20mila euro (finora a 15.400 euro). «A Roma ­
fa una previsione Gabriele Longo, presidente dell’Unione na­
zionale giudici di pace ­ arriveranno 5mila procedimenti in più
per il civile, 26mila in tutto il distretto». E anche per il penale,
con l’introduzione del nuovo reato di immigrazione clandesti­
na, i carichi potrebbero crescere del 400 per cento.Stamattina
alle 8.40 ho preso il biglietto "eliminacode". Ero la 116. Alle 10
siamo al 12, meglio che vada. Del resto, quando l’ufficio chiu­
de, i numeri non esauriti semplicemente scadono», sospira
una giovane praticante legale. Nel girone del giudice di pace di
Roma, le pene sembrano sempre le stesse. Eterne. Avvocati in
fila di prima mattina per depositare una notifica, magari al
terzo o quarto tentativo. Agenzie private che si contendono la
piazza dall’alba, con file alternative e precedenze un po’ incer­
te. Ogni giorno, via posta, arrivano circa 400 opposizioni a
sanzioni amministrative, ma gli impiegati ne iscrivono sì e no
150. Le altre si accumulano in enormi mucchi. A maggio se ne
contavano circa 100mila e in questi giorni i 106 dipendenti
"effettivi" (in teoria sarebbero 123) stavano iscrivendo al ruolo
le lettere arrivate a maggio 2008. Ma per gli uffici di via Teulada
il peggio deve ancora arrivare. La riforma del processo civile
appena varata dal Parlamento estende infatti alla competenza
6
del giudice di pace le cause su beni mobili fino a 5mila euro
(finora il tetto era di 2.500) e i risarcimenti per danni da
circolazione stradale, fino a 20mila euro (finora a 15.400) .
«Sono arrivato in questo ufficio nel 1998 ­ dice Alfredo Blasi
coordinatore del settore civile dei giudici di pace di Roma ­ e
da allora è stato sempre peggio, tanto che ora rischiamo la
paralisi. Anche perché il costante aumento delle competenze
ha fatto perdere l’idea che aveva portato alla creazione di
questi uffici. Il giudice di pace come giudice di prossimità,
dedicato alle piccole controversie». Gabriele Longo, presiden­
te dell’Unione nazionale giudici di pace, è già in grado di fare
una stima su quel che ci si aspetta: «A Roma arriveranno 5mila
procedimenti in più per il civile, 26mila in tutto il distretto,
mentre sui risarcimenti da sinistri la situazione rimarrà più o
meno l’attuale. Già oggi, il giudice di pace gestisce l’85% dei
procedimenti per sinistri, praticamente tutti tranne i mortali.
In questo caos a Roma, però, l’aumento potrebbe rendere
ancora più difficile una situazione già in bilico».Il carico di
lavoro del Gdp di Roma è consistente. Nell’intero distretto di
corte d’appello di Roma (370 giudici effettivi), che comprende
tutti gli uffici del Lazio, i procedimenti civili sopravvenuti nel
2008 erano oltre 222mila (+7,8% sul 2007), i definiti poco più
di 159mila (+4,3%), quelli pendenti circa 257mila che in un
anno sono aumentati del 26,8 per cento.
Di questi quelli arrivati al tribunale di Roma sono 135.034, i
definiti 95.707, i pendenti oltre 176mila. Al penale, invece, in
un anno sono stati definiti 15.402 casi. Solo una parte riguarda
Roma, dove nel 2008 sono stati discussi 8.369 procedimenti.
L’unico settore che sembra girare a pieno ritmo è quello che
più riguarda le imprese. I decreti ingiuntivi sulle fatture, arriva­
no in tempi piuttosto rapidi: «Dal momento della richiesta il
decreto ingiuntivo viene emesso in quattro o cinque giorni ­
dice ancora Longo ­ anche qui, il limite economico è destinato
a salire a 5mila euro, ma non siamo preoccupati». Un mese fa
questi numeri, hanno convinto il ministro della giustizia Angeli­
no Alfano a convocare una riunione dedicata all’emergenza di
via Teulada. Avviando allo stesso tempo un’ ispezione a sor­
presa che si è conclusa con una denuncia ai carabinieri e
l’apertura di un’inchiesta della procura di Roma per gli even­
tuali profili penali. Un vertice che ha aperto una frattura tra
ministero e giudici capitolini, convincendo il coordinatore del­
l’intero ufficio Guido Mailler a presentare le dimissioni. E il 22
giugno sarà ascoltato su questo dal Csm. Roma chiede più
impiegati, «almeno 30 in più», come spiega Anna Di Bartolo­
meo, dirigente amministrativa dell’ufficio. Via Arenula rispon­
de che i problemi sono "organizzativi" e che al più potranno
inviare una task force per l’arretrato. Entro luglio, poi, il mini­
stero ha promesso di varare un sistema informatico per l’iscri­
zione dei ricorsi via internet. Quindi chiederà a via Teulada di
riorganizzare gli uffici spostando parte del personale dalle
udienze al rapporto con l’utenza. In modo da risolvere pure la
terza emergenza: le 70mila sentenze depositate, ma in attesa
di pubblicazione.
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Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com
IL SOLE 24 ORE ­ ROMA del 17­06­2009
Pesa il reato di clandestinità
di Sara Menafra
Il Consiglio superiore della magistratura ha lanciato l’allarme la
scorsa settimana.
Con l’entrata in vigore del Ddl sicurezza, e del nuovo reato di
clandestinità, gli uffici giudiziari rischiano la paralisi. Anche più
di quanto non accada attualmente. L’allarme squilla forte alle
orecchie dei giudici di pace della capitale, oggi in emergenza
sul civile, ma con pochi problemi nell’amministrazione del
tema immigrazione.
Secondo le norme previste dalle attuali leggi sul’immigrazione
il giudice di pace convalida i provvedimenti di espulsione e
quelli di trattenimento nei Centri di identificazione ed espul­
sione.
Ma è quasi un pro forma, come spiegano dall’Associazione
nazionale dei giudici di pace. In questo caso il giudice si limita a
verificare che il provvedimento sia corretto e valido in ogni
sua parte e durante ogni udienza se ne evadono anche 40.
L’emergenza giustizia, che pure vive a via Teulada, non bussa a
questa porta. I provvedimenti sugli immigrati rappresentano il
5% del carico di lavoro affidato ai magistrati onorari.
Ora però, con l’affidamento del nuovo reato di immigrazione
clandestina alla competenza del giudice di pace la situazione
potrebbe cambiare.
Non solo perché all’analisi del provvedimento di espulsione si
affiancherà un nuovo giudizio. Ma perché quest’ultimo sarà un
processo vero e proprio, che potrebbe durare, e con ogni
probabilità durerà, più di una udienza. Prevedere i numeri, non
è semplice. I dati del 2008 dicono che a Roma a fine anno
6.216 cittadini extracomunitari erano stati raggiunti dal prov­
vedimento di espulsione. Tra loro 1.026 arrestati per non aver
lasciato l’Italia, il 16 per cento, erano già portati in giudizio
davanti al tribunale penale monocratico. A quei seimiladuecen­
to che, se il reato fosse esistito sarebbero stati processati,
vanno affiancati i 1.197 che sono stati trattenuti presso il Cie
(centro di identificazione ed espulsione) di Ponte Galeria, la
maggior parte dei quali poi colpiti anche con il provvedimento
di espulsione.
«Le previsioni sono in ogni caso difficili ­ chiarisce Filippo
Coppa, coordinatore del giudice di pace per il settore penale ­
anche perché a essere colpito non è il semplice ingresso, ma la
presenza nel nostro territorio. Ed è quindi possibile che una
grande città come Roma sarà particolarmente colpita dalla
gestione di questo nuovo problema. Il carico potrebbe salire
del 400 per cento».
Mercoledì scorso, il Consiglio superiore della magistratura
aveva usato parole pesanti: «Il nuovo reato ­ diceva il parere
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
approvato dal plenum ­ rischia di causare la paralisi di alcuni
uffici giudiziari del paese».
IN CIFRE
6.216
Gli atti di espulsione
Sono i cittadini extracomunitari raggiunti nel 2008 a Roma
dal provvedimento. A questi vanno affiancati le oltre mille
persone trattenute al Cie di Ponte Galeria
16%
Gli arresti
É la quota di immigrati portati in giudizio davanti al tribuna­
le penale per non aver lasciato l'Italia
SOLE 24 ORE ­ ROMA del­ 17­06­2009
Intervista a Stefano Aleandri ­ Camera civile Roma
«Il vero nodo sono gli uffici»
di Sara Menafra
«Valutare l’impatto della riforma del giudice di pace non è
semplice, ma nella stessa legge si parla di processo digitale. Un
cambiamento di cui il civile ha molto bisogno». Stefano Alean­
dri, presidente della Camera civile di Roma, sui pericoli nasco­
sti nelle nuove competenze dei giudici di prossimità non si
sbilancia. Le modifiche, dice, devono essere più complessive.
L’aumento delle competenze è vissuta con grande
preoccupazione dai giudici di pace.
Le previsioni rischiano di essere parziali, bisognerà aspettare
l’impatto concreto. La camera civile si è data appuntamento a
fine mese per valutare gli aspetti giuridici del nuovo giudice di
pace, ma il problema è già oggi il funzionamento degli uffici.
Nella sede di via Teulada si muove tutto molto lentamente. Ci
sono enormi difficoltà per i depositi, per le iscrizioni a ruolo o
per la richiesta copie. L’ufficio copie, del resto, è un grave
problema anche al tribunale civile, perché le richieste sono
troppe e gli addetti non riescono a smaltirle nei tempi previsti.
Ogni giorno si ripete la stessa scena. Gli impiegati distribuisco­
no i numeri per chiedere le copie delle sentenze. Finiti quelli,
se ne parla il giorno dopo.
Ma almeno per le copie delle sentenze non dovrebbe
essere già attivo il servizio informatico?
So che non mancano i problemi di funzionamento. Appena
due mesi fa, il collega della camera civile che si occupa di
digitalizzazione ha mandato a tutti una mail che elencava i
guasti, dai ritardi nel rilascio della smart card per attivare il
collegamento, ai disagi nell’installazione. Da quello che vedo e
sento tutti i giorni, non mi pare che l’attuale gestione telemati­
ca rappresenti una svolta.
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Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com
I terminali del tribunale funzionano?
Ci sono file interminabili ai terminali per accedere ai dati sullo
stato delle cause, al numero di ruolo, all’udienza. Tempo fa la
richiesta copie si poteva fare via mail, ora neppure quel servi­
zio funziona più. Finché non si avrà la possibilità di depositare
gli atti in via telematica, tutti questi interventi resteranno
parziali.
SOLE 24 ORE ­ ROMA del 17­06­2009
Processo digitale più aperto
di Sara Menafra
Digitalizzazione. In una parola, la soluzione a molti dei proble­
mi della lenta e farraginosa giustizia italiana. I ministri Alfano e
Brunetta ne sono convinti e la scorsa settimana hanno presen­
tato alla stampa un piano di informatizzazione da portare a
termine da qui al 2010. Annunciando che accanto alle tre
sperimentazioni sul civile, Roma sarà l’unica sede ad ospitare
un progetto pilota sul penale.
Già da alcuni anni, la procura della capitale, guidata da Giovan­
ni Ferrrara, ha informatizzato la gestione del fascicolo penale.
L’ufficio impiega un sistema elaborato negli uffici di piazzale
Clodio, Tiap (trattamento informatizzato atti processuali), che
permette di elaborare il processo, dall’arrivo della notizia di
reato, al collegamento con gli altri procedimenti in corso, fino
a la navigazione nel codice commentato e della giurisprudenza.
Agli avvocati le copie possono già essere fornite in digitale.
«Ma mancava la parità informatica tra accusa e difesa. È per
questo che questo nuovo progetto ha ottenuto l’appoggio e il
coinvolgimento fattivo dei penalisti» spiega Gian Domenico
Caiazza, presidente della camera penale di Roma .
Il progetto di Alfano e Brunetta prevede un passo in più
proprio in favore dei penalisti. Puntando, si legge nel piano, a
«migliorare sensibilmente il servizio fornito agli avvocati dal­
l’Ufficio copie del Gip, rendendo loro disponibili documenti
elettronici in formato aperto che consentano la ricerca su
testo libero e l’indicizzazione dinamica». Negli uffici della pro­
cura di Roma, però, il piano di Alfano convince poco. Perché il
sistema in uso premetterebbe già di produrre pdf navigabili.
Ma per metterle a disposizione agli avvocati bisognerebbe
pagare nuovi diritti ad Adobe Acrobat. E senza una norma
appropriata e un nuovo bilancio, fornire il servizio agli avvocati
sarebbe un passo azzardato.
«Il progetto che abbiamo elaborato ­ ribatte Stefano Aprile a
capo della Direzione generale servizi informatici di Via Arenu­
la ­ non è in polemica con quanto già fatto dalla procura.
Abbiamo scelto di fare un passo ulteriore, per rispondere a
una richiesta degli avvocati che avevano bisogno di un formato
navigabile che consentisse di elaborare ulteriormente il file
consegnato dal tribunale. Ma il nostro intervento, si aggiunge a
quanto già fatto dalla procura».
Per il ministero della Giustizia tornare indietro ora sarebbe
difficile. Dal 2007, il dicastero ha battezzato Digit copie come
8
principale progetto sperimentale. E il piano è già costato 2,8
milioni.
Importante, sarà ovviamente anche il progetto civile che tiene
conto della riforma appena approvata. Il piano del ministero è
destinato, entro l’inizio del 2010, a «consentire l’accesso con
strumenti telematici a sentenze, decreti ingiuntivi e ordinanze
definitorie relative al processo civile», e a rendere più efficienti
le Cancellerie adottando nuove modalità organizzative che
consentano di sfruttare meglio gli strumenti informatici». Un
passo avanti dovrebbe essere anche l’elaborazione di un «de­
creto ingiuntivo telematico», strumento decisivo soprattutto
per le piccole e medie imprese della capitale.
a cura di Lex24
APPROFONDIMENTI
Da Guida al Diritto on line
INTERCETTAZIONI
Distruzione dei dossier
illeciti nel rispetto del contraddittorio
Corte costituzionale ­ Sentenza 11 giugno 2009 n. 173
La distruzione dei dossier relativi a intercettazioni illecitamen­
te acquisite deve avvenire sempre nel rispetto del contraddit­
torio. Lo sancisce la Corte costituzionale con la sentenza n.
173 del 2009 che ha dichiarato illegittimo l’articolo 240, com­
mi 4 e 5, del codice di procedura penale nella parte in cui non
prevede che per la distruzione del materiale sia rispettato, per
la disciplina del contraddittorio, l’articolo 401, commi 1 e 2,
del Cpp secondo cui l’udienza si deve svolgere in camera di
consiglio con la partecipazione necessaria del Pm, del difenso­
re e della persona sottoposta alle indagini. Non solo. Sotto i
colpi della Corte costituzionale è caduto anche il comma 6
dello stesso articolo 240 del Cpp nella parte in cui non
esclude dal divieto di fare riferimento al contenuto dei docu­
menti, supporti e atti, nella redazione del verbale previsto
dalla stessa norma, le circostanze inerenti l’attività di forma­
zione, acquisizione e raccolta degli stessi documenti, supporti
e atti.
Il testo della sentenza
Corte Costituzionale ­ Sentenza del 11 giugno 2009,
n. 173
Processo penale ­ Prove ­ Atti relativi ad intercettazioni illegali ­
Procedura per la distruzione ­ Udienza camerale fissata dal giudice
per le indagini preliminari a seguito della richiesta del pubblico
ministero di disporre la distruzione dei documenti formati attraver­
so la raccolta illegale di informazioni ­ Modalità di svolgimento ­ Pre
visione, all’esito dell’udienza, della immediata distruzione dei docu­
menti illegalmente formati ­ Redazione di un verbale relativo alle
operazioni di distruzione che non può contenere alcun riferimento
al contenuto degli atti di cui è stata disposta la eliminazione
SENTENZA N. 173
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
­ Francesco AMIRANTE Presidente
­ Ugo DE SIERVO Giudice
­ Paolo MADDALENA ”
­ Alfio FINOCCHIARO ”
­ Alfonso QUARANTA ”
­ Franco GALLO ”
­ Luigi MAZZELLA ”
­ Gaetano SILVESTRI ”
­ Sabino CASSESE ”
­ Maria Rita SAULLE ”
­ Giuseppe TESAURO ”
­ Paolo Maria NAPOLITANO ”
­ Giuseppe FRIGO ”
­ Alessandro CRISCUOLO ”
­ Paolo GROSSI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 240, commi 3,
4, 5 e 6, del codice di procedura penale, come modificato
dall’art. 1 del decreto­legge 22 settembre 2006, n. 259 (Dispo­
sizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di inter­
cettazioni telefoniche), convertito, con modificazioni, dalla leg­
ge 20 novembre 2006, n. 281, promossi dal Giudice per le
indagini preliminari del Tribunale di Milano con ordinanza del
30 marzo 2007, dal Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Vibo Valentia con ordinanza del 21 maggio 2007 e
dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano
con ordinanza del 13 dicembre 2007, rispettivamente iscritte
al n. 508 del registro ordinanze 2007 ed ai nn. 50 e 84 del
registro ordinanze 2008, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2007 e
nn. 11 e 15, prima serie speciale, dell’anno 2008.
Udito nella camera di consiglio del 22 aprile 2009 il Giudice
relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto in fatto
1. ­ Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Milano, con ordinanza del 30 marzo 2007 (r.o. n. 508 del
2007), ha sollevato ­ in riferimento agli artt. 24, primo e
secondo comma, 111, primo, secondo e quarto comma, e 112
della Costituzione ­ questione di legittimità costituzionale del­
l’art. 240, commi 3, 4, 5 e 6, del codice di procedura penale,
come modificato dall’art. 1 del decreto­legge 22 settembre
2006, n. 259 (Disposizioni urgenti per il riordino della norma­
tiva in tema di intercettazioni telefoniche), convertito, con
modificazioni, dalla legge 20 novembre 2006, n. 281.
Il rimettente è investito del procedimento incidentale pro­
mosso dal pubblico ministero, in applicazione delle norme
censurate, per la distruzione di supporti digitali recanti infor­
mazioni acquisite illegalmente, sequestrati e trattenuti dallo
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
stesso pubblico ministero, con produzione per l’udienza di
documenti cartacei che descrivono quanto in sequestro.
Il giudizio principale concerne il rapporto associativo asserita­
mente instaurato tra soggetti in diverse condizioni professio­
nali: dirigenti e dipendenti di società riferibili ad un gruppo
operante nel settore della telefonia, dirigenti e dipendenti di
agenzie di investigazione privata, appartenenti o già apparte­
nenti all’Arma dei Carabinieri, alla Guardia di Finanza, alla
Polizia di Stato, al Sismi. Scopo dell’associazione criminosa
sarebbe stata la raccolta illegale di informazioni riguardanti i
più vari soggetti, con accesso a banche dati riservate per il
tramite di pubblici funzionari corrotti o di dipendenti delle
società di telefonia sopra citate. I dati sarebbero stati raccolti
per conto dei responsabili delle agenzie di investigazione, in
vista della remunerazione loro versata dai committenti delle
attività investigative.
Le contestazioni elevate dal pubblico ministero ­ secondo
quanto riferisce il rimettente ­ attengono al delitto previsto
dall’art. 416 del codice penale, ed inoltre prospettano fatti di
corruzione per atto contrario ai doveri dell’ufficio (art. 319
cod. pen.) e di rivelazione ed utilizzazione del segreto d’ufficio
(art. 326 cod. pen.).
L’udienza camerale è stata promossa dal pubblico ministero
con esclusivo riguardo ai documenti concernenti quattro delle
numerose persone assoggettate ad illecite attività di indagine.
Il giudice a quo riferisce che, in apertura dell’udienza medesi­
ma, questioni di legittimità costituzionale della disciplina con­
cernente l’immediata distruzione dei supporti contenenti le
informazioni acquisite illegalmente sono state prospettate dal
rappresentante della pubblica accusa, dai difensori di tre delle
quattro persone offese, ed anche dalla difesa di una delle
persone soggette alle indagini.
1.1. ­ Allo scopo di motivare il proprio giudizio di rilevanza e
non manifesta infondatezza delle questioni sollevate, il rimet­
tente ricostruisce i tratti essenziali del procedimento regolato
dal nuovo testo dell’art. 240 cod. proc. pen. In particolare,
viene posto in luce come il pubblico ministero debba formula­
re richiesta di distruzione del materiale informativo entro
quarantotto ore dall’acquisizione (comma 3), come il giudice
debba fissare l’udienza camerale entro le successive quaran­
totto ore e non oltre il decimo giorno dalla richiesta (comma
4), come l’eventuale provvedimento di accoglimento debba
essere deliberato e pronunciato nell’udienza medesima, con
contestuale ed immediata esecuzione (comma 5).
Sebbene sia chiaro che la sequenza deve muovere da un
accertamento ragionevolmente sicuro della peculiare qualità
del materiale da distruggere, l’intera struttura del procedi­
mento esprime, a parere del rimettente, il carattere precoce e
preliminare dell’adempimento, in armonia del resto con la
ratio della previsione, che mira ad elidere in radice il rischio
della pubblicazione di notizie riservate ed acquisite in modo
illecito.
Sarebbe evidente inoltre, sempre secondo il giudice a quo,
come la procedura di distruzione debba essere avviata anche
quando le informazioni riservate coincidano con l’oggetto del­
9
Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com
l’attività delittuosa cui si riferisce il procedimento principale
(nel caso di specie, la rivelazione del segreto di ufficio concer­
nente dette informazioni).
1.2. ­ Il Tribunale ritiene che le norme censurate contrastino,
anzitutto, con il secondo comma dell’art. 24 Cost., data l’ille­
gittima compressione che ne deriva circa il diritto di difesa del
soggetto indagato o imputato nell’ambito del procedimento
principale.
In particolare, il rito camerale disciplinato dall’art. 240 cod.
proc. pen. ­ anche attraverso il richiamo al modello generale
dell’art. 127 ­ non varrebbe ad assicurare garanzie adeguate
rispetto alla funzione cui la procedura è deputata, cioè la
produzione di una prova, con valenza dibattimentale, della
provenienza illecita delle informazioni recate dal documento
destinato alla distruzione. La sola possibilità per il giudice di
approfondire aspetti del fatto, data anche la forzata celerità del
procedimento, consisterebbe nell’audizione delle parti presen­
ti, e detta presenza, d’altro canto, sarebbe del tutto facoltativa
(anche per quanto concerne i difensori tecnici e lo stesso
pubblico ministero). In altre parole, la precostituzione della
prova d’accusa sarebbe rimessa ad un contraddittorio solo
eventuale e comunque sommario, il che varrebbe ad integrare
l’ulteriore violazione dell’art. 111, primo, secondo e quarto
comma, Cost.
Il rimettente precisa che non intende mettere in discussione la
scelta legislativa per una formazione anticipata della prova
rispetto alla sede dibattimentale. Tuttavia tale anticipazione
dovrebbe riguardare anche le forme dell’accertamento dibatti­
mentale, come avviene per l’incidente probatorio, in guisa da
garantire l’effettivo contraddittorio tra le parti e la pienezza
del loro diritto alla prova.
Peraltro, secondo il Tribunale, il disposto costituzionale sareb­
be comunque violato per effetto della disciplina che concerne
il verbale cui resta rimessa ­ a norma del comma 1­bis dell’art.
512 cod. proc. pen. ­ la prova delle attività illecite connesse
alla formazione od acquisizione del materiale da distruggere. È
infatti prescritto (comma 6 dell’art. 240 cod. proc. pen.) che il
giudice «dia atto» della condotta illecita riscontrata e delle
relative modalità, ed elenchi le persone interessate, ma è
precluso ogni riferimento «al contenuto» dei «documenti,
supporti e atti», e dunque alle informazioni la cui acquisizione
sarebbe stata illegittima.
Ciò comporta, secondo il rimettente, che il giudice del merito
non possa prendere diretta cognizione della prova, e limita la
possibilità per l’accusato di difendersi, ad esempio negando il
carattere segreto della notizia raccolta o la sua acquisizione
con modalità illecite. Il riscontro delle tesi in questione reste­
rebbe precluso, infatti, dopo la distruzione del supporto. Inol­
tre, quand’anche fosse raggiunta la prova di colpevolezza, il
giudice sarebbe privo di informazioni essenziali per una ade­
guata quantificazione della pena, che non potrebbe prescinde­
re dalla natura delle informazioni acquisite.
In sostanza, a parere del giudice a quo, «la procedura di
distruzione non è solo una modalità di anticipazione nella
formazione della prova ­ pure realizzata con modalità che non
10
garantiscono il diritto di difesa ­ ma anche di anticipata elimi­
nazione definitiva della prova, con diretto pregiudizio del dirit­
to di difesa».
1.3. ­ La disciplina censurata implicherebbe conseguenze nega­
tive, con specifica violazione del primo comma dell’art. 24
Cost., anche nei confronti della persona offesa dal reato inte­
grato con l’illecita acquisizione delle informazioni. Il diritto al
risarcimento del danno sarebbe pregiudicato, infatti, dalla di­
spersione della prova necessaria per documentarne la sussi­
stenza e la rilevanza in termini quantitativi, che dipende anche
dalla natura dell’informazione carpita. In breve ­ e considerato
che la prova circa il fondamento della pretesa risarcitoria deve
essere fornita da colui che l’avanza ­ sarebbe pregiudicato
proprio quel diritto alla riservatezza che la legge censurata
vorrebbe garantire con la massima efficacia.
1.4. ­ Il giudice a quo prospetta, ancora, una violazione dell’art.
112 Cost., perché la distruzione della prova pregiudicherebbe
l’esercizio del potere­dovere di perseguire, da parte del pub­
blico ministero, i reati finalizzati all’acquisizione illegittima delle
relative informazioni. Il verbale «sostitutivo» prescritto dal
legislatore, per le ragioni già indicate, potrebbe infatti risultare
insufficiente. La precocità della distruzione, rispetto allo stes­
so sviluppo delle investigazioni preliminari, varrebbe d’altra
parte a pregiudicare l’identificazione e la punizione di tutti i
responsabili del fatto accertato.
1.5. ­ L’ordinanza di rimessione prospetta, in conclusione, una
«irragionevolezza di fondo della normativa in oggetto, in com­
parazione con i valori che essa vuole proteggere». In sostanza,
il legislatore non avrebbe compiuto un corretto bilanciamento
tra le esigenze contrapposte, sacrificando completamente, in
favore del diritto alla riservatezza, i valori connessi all’accerta­
mento del fatto, tra i quali primeggia, per altro, proprio la
tutela (in chiave sanzionatoria) del diritto di riservatezza della
persona offesa.
2. ­ Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vibo
Valentia, con ordinanza del 21 maggio 2007 (r.o. n. 50 del
2008), ha sollevato ­ in riferimento agli artt. 24, 111, primo,
secondo e quarto comma, e 112 Cost. ­ questione di legittimi­
tà costituzionale dell’art. 240, commi 3, 4, 5 e 6, cod. proc.
pen., come modificato dall’art. 1 del decreto­legge n. 259 del
2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 281 del
2006.
Il rimettente è investito del procedimento incidentale pro­
mosso dal pubblico ministero, in applicazione delle norme
censurate, per la distruzione di materiali pertinenti ad infor­
mazioni acquisite illegalmente. Si tratta, nella specie, del sup­
porto digitale contenente documenti sonori, asseritamente
relativi a conversazioni intrattenute da una persona di sesso
femminile nell’abitacolo della propria vettura. I colloqui, stan­
do alle contestazioni elevate dal pubblico ministero, sarebbero
stati captati mediante l’uso di una microspia collocata nel
veicolo dal marito dell’interessata. Quest’ultimo avrebbe mi­
nacciato di diffondere pubblicamente il contenuto delle con­
versazioni registrate se la donna non avesse rinunciato al
giudizio di separazione da lei promosso ed al versamento della
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com
somma mensil e già assegnatale dalla competente autorità
giudiziaria.
Nel giudizio principale si procede, quindi, per i delitti di cui
all’art. 615­bis (Interferenze illecite nella vita privata) ed agli
artt. 56 e 629 (Estorsione tentata) del codice penale. Il sup­
porto digitale indicato è stato prodotto nel corso dell’udienza
preliminare dalla persona offesa, cui l’imputato l’aveva fatto
pervenire per mezzo di un intermediario. Dopo l’acquisizione,
la polizia giudiziaria ne ha verificato il contenuto, comunicando
che si tratta di conversazioni scarsamente intellegibili, anche
tra più persone, con forti rumori di traffico sullo sfondo. Il
pubblico ministero, di conseguenza, ha promosso il procedi­
mento incidentale regolato dalle norme censurate.
Nel corso dell’udienza camerale, peraltro, lo stesso pubblico
ministero ha chiesto sollevarsi una questione di legittimità
costituzionale con riguardo alla procedura avviata, ed alla ri­
chiesta si sono sostanzialmente associati i difensori della per­
sona offesa e dell’imputato.
2.1. ­ In punto di rilevanza il rimettente osserva, anzitutto,
come il materiale del quale è richiesta la distruzione costitui­
sca il corpo del reato di cui all’art. 615­bis cod. pen., oltre che
il mezzo per l’esecuzione del tentato delitto di estorsione. Lo
stesso rimettente, tuttavia, pone un diverso problema circa
l’effettiva applicabilità dell’art. 240 cod. proc. pen. alla fattispe­
cie oggetto del giudizio.
La questione nasce dal tenore della norma censurata, che
prescrive la distruzione «dei documenti, dei supporti e degli
atti concernenti dati e contenuti di conversazioni o comunica­
zioni, relativi a traffico telefonico e telematico, illegalmente
formati o acquisiti». La lettera della legge, secondo il Tribuna­
le, non comprende le comunicazioni tra presenti, e non po­
trebbe essere forzata fino al punto di ritenere che la specifica­
zione circa l’uso di strumenti telefonici o telematici riguardi
unicamente i «dati», con la conseguenza che il riferimento alle
«conversazioni o comunicazioni» si estenderebbe anche ai casi
di scambi comunicativi captati nell’ambiente in cui si svolgono.
Tuttavia, sempre a parere del Tribunale, la normativa sarebbe
applicabile al caso di specie per il mezzo dell’analogia, che l’art.
14 delle disposizioni preliminari al codice civile preclude per le
sole leggi penali od eccezionali. Le previsioni censurate non
sarebbero riconducibili ad alcuno dei due concetti. Per legge
eccezionale, in particolare, dovrebbe intendersi una disposi­
zione che, stante una disciplina generale per un dato fenome­
no, introduce per alcune fattispecie una «interruzione della
conseguenza logica» di tale disciplina. Nel caso in esame,
secondo il rimettente, non esisterebbe una regola di portata
generale rispetto alla quale le disposizioni censurate possano
porsi in rapporto di deroga.
2.2. ­ Un primo profilo di illegittimità costituzionale è indivi­
duato dal giudice a quo nella violazione del diritto di difesa
dell’indagato. Pur dovendo culminare la procedura camerale
nella formazione di una prova circa l’illecita acquisizione dei
dati, è adottato un modello procedimentale di forma semplifi­
cata, che non contempla accertamenti su iniziativa delle parti
o del giudice e non prescrive la partecipazione necessaria del
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
difensore dell’accusato. In sostanza, la procedura vorrebbe
emulare quella dell’incidente probatorio, senza però riprodur­
ne il carattere anticipatorio delle forme e delle garanzie dibat­
timentali, e dunque violando il secondo comma dell’art. 24 e
l’art. 111, primo, secondo e quarto comma, Cost.
D’altra parte, il verbale la cui redazione è prescritta al giudice
deve necessariamente omettere la descrizione delle informa­
zioni acquisite illegalmente, ed è dunque inidoneo alla piena
verifica dei fatti, che resta preclusa irrimediabilmente dopo la
distruzione del supporto cui si riferisce il procedimento.
Proprio tale circostanza, secondo il rimettente, vale a docu­
mentare la violazione concomitante dell’art. 112 Cost., atteso
che la precoce ed irrimediabile eliminazione della prova del
reato contraddirebbe il principio del perseguimento obbliga­
torio del reato medesimo. In effetti la procedura regolata dalle
norme censurate non è finalizzata ad accertare la responsabili­
tà dell’indagato e, d’altra parte, nella sede deputata a tale
accertamento, la prova necessaria non sarebbe più disponibile.
La disciplina censurata, dunque, non varrebbe ad assicurare un
ragionevole bilanciamento tra l’esigenza di protezione della
riservatezza e l’interesse, di rango costituzionale, al persegui­
mento dei reati.
Infine, a parere del rimettente, sussiste una violazione del
primo comma dell’art. 24 Cost. in relazione al diritto della
persona offesa di ottenere un risarcimento per il torto subito,
dato che la distruzione della prova pregiudica la possibilità di
documentare in giudizio il fondamento della relativa pretesa.
Giudizio che, nella specie, è lo stesso finalizzato alla verifica
della responsabilità penale dell’imputato, posto che la vittima
dell’illecita captazione si è costituita parte civile e si è opposta,
non casualmente, all’applicazione di regole che pure dovreb­
bero tutelare il suo diritto alla riservatezza.
3. ­ Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Milano, con ordinanza del 13 dicembre 2007 (r.o. n. 84 del
2008), ha sollevato ­ in riferimento agli artt. 24, primo e
secondo comma, 111, primo, secondo e quarto comma, e 112
Cost. ­ questione di legittimità costituzionale dell’art. 240,
commi 3, 4, 5 e 6, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 1
del decreto­legge n. 259 del 2006, convertito, con modifica­
zioni, dalla legge n. 281 del 2006.
Il rimettente è investito della richiesta di archiviazione formu­
lata dal pubblico ministero in un procedimento per falsa testi­
monianza (art. 372 cod. pen.), relativamente alle dichiarazioni
rese, dal dirigente di una grande azienda multinazionale, nel
giudizio civile che un dipendente della stessa azienda aveva
promosso impugnando il proprio licenziamento. Tale dipen­
dente, nell’opporsi ex art. 410 cod. proc. pen. all’accoglimento
della richiesta di archiviazione, ha riferito tra l’altro di com­
portamenti vessatori dell’azienda, che si sarebbero spinti fino
allo svolgimento di illecite attività di indagine sulla sua vita
privata.
Secondo quanto riferito dal giudice a quo, le indagini in que­
stione sarebbero state commissionate ad una delle agenzie
investigative coinvolte nel procedimento ove è stata deliberata
l’ordinanza r.o. n. 508 del 2007 (supra, § 1). Nel contesto di
11
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tale procedimento, sempre secondo il rimettente, sarebbe
stato rinvenuto e sequestrato, tra gli altri, un incartamento
relativo al dipendente poi licenziato.
Il Tribunale riferisce d’avere respinto una prima volta la richie­
sta di archiviazione, ordinando il compimento di ulteriori inda­
gini, una delle quali consistente nell’acquisizione del dossier
commissionato dalla società convenuta nella causa di lavoro
cui già si è fatto cenno. Il pubblico ministero avrebbe dato
corso alle altre richieste, facendo però constatare la giuridica
impossibilità di procedere all’acquisizione dei documenti re­
canti le informazioni illegalmente raccolte con riguardo al­
l’odierno opponente.
Tali informazioni infatti ­ sempre stando alle indicazioni poi
riprese dal rimettente ­ sarebbero state acquisite mediante la
corruzione di pubblici ufficiali. Il relativo materiale di supporto
sarebbe dunque oggetto, a norma del comma 2 dell’art. 240
cod. proc. pen., di un divieto assoluto di utilizzazione e di
riproduzione, ivi comprese le attività necessarie per «travasa­
re» ed apprezzare gli elementi di prova nel procedimento in
corso avanti al giudice rimettente.
Il Tribunale prosegue riferendo d’aver celebrato, a questo
punto, una nuova udienza camerale, «per prendere cognizione
della situazione», e che nel corso di tale udienza pubblico
ministero ed indagato avrebbero insistito per l’accoglimento
della richiesta di archiviazione, mentre la persona offesa avreb­
be sollecitato un provvedimento di «imputazione coatta» con
riguardo all’ipotizzato delitto di falsa testimonianza. Nessuna
di tali soluzioni, però, risulterebbe «soddisfacente». Per un
verso, infatti, la prova del dolo di falsa testimonianza non
sarebbe allo stato adeguata. Essa potrebbe essere integrata,
però, alla luce delle informazioni desumibili dal dossier (lo
stesso rimettente riferisce, per altro, che il dirigente chiamato
a testimoniar e nella causa di lavoro, su circostanze pertinenti
al rendimento del dipendente licenziato, era stato assunto
dall’azienda in epoca successiva all’esaurimento delle «attività
di spionaggio»).
A questo punto il giudice a quo, dato atto che nel procedi­
mento concernente l’acquisizione illegale di informazioni (con­
dotto da altro magistrato del suo stesso Ufficio) è stata solle­
vata questione di legittimità costituzionale dell’art. 240 cod.
proc. pen. (supra, § 1), assume che, nell’ambito del procedi­
mento di archiviazione che lo riguarda, sarebbe «necessario
muoversi nella medesima direzione».
3.1. ­ Le questioni di legittimità sono prospettate, in sostanza,
attraverso una sintesi del petitum e degli argomenti che carat­
terizzano l’ordinanza r.o. n. 508 del 2007.
Venendo al caso per cui procede, il Tribunale evidenzia in
particolare la compressione «dei diritti del denunziante e op­
ponente alla richiesta di archiviazione». Infatti, il procedimento
per falsa testimonianza sarebbe «collegato» a quello che con­
cerne l’illecita raccolta delle informazioni, e la «testimonianza
e l’atteggiamento soggettivo» dell’indagato potrebbero essere
«illuminati e meglio compresi proprio disponendo di una co­
noscenza completa degli episodi assai inquietanti che l’avreb­
bero preceduta e cioè lo ”spionaggio” illegale in danno del
12
dipendente poi licenziato». La vittima delle illecite attività
investigative potrebbe poi subire un pregiudizio, in vista della
tutela della propria onorabilità, per la mancata conoscenza di
dettaglio delle informazioni acquisite in su o danno, poiché il
relativo supporto potrebbe essere stato riprodotto e distribu­
ito a terzi prima dell’intervenuto sequestro.
Per tali ragioni la questione di legittimità dell’art. 240 cod.
proc. pen. sarebbe rilevante anche nel giudizio a quo. In parti­
colare, «pur apparendo di più diretta rilevanza, per le caratte­
ristiche del caso in esame, con riferimento alla prospettabile
violazione dell’art. 24 comma primo della Costituzione e quin­
di dei diritti delle persone offese», la questione dovrebbe
essere sollevata per tutti i profili già evocati con l’ordinanza
r.o. n. 508 del 2007, in forza di una loro asserita «inscindibili­
tà».
Considerato in diritto
1. ­ Con le tre ordinanze indicate in epigrafe, i Giudici per le
indagini preliminari dei Tribunali di Milano e Vibo Valentia
sollevano questioni di legittimità costituzionale dell’art. 240,
commi 3, 4, 5 e 6, del codice di procedura penale, come
modificato dall’art. 1 del decreto­legge 22 settembre 2006, n.
259 (Disposizioni urgenti per il riordino della normativa in
tema di intercettazioni telefoniche), convertito, con modifica­
zioni, dalla legge 20 novembre 2006, n. 281.
Le disposizioni vengono censurate in quanto stabiliscono che i
supporti recanti dati illegalmente acquisiti a proposito di co­
municazioni telefoniche o telematiche, o informazioni illegal­
mente raccolte, debbano essere distrutti in esito ad una
udienza camerale celebrata dal giudice per le indagini prelimi­
nari, e che in proposito debba essere redatto un verbale, nel
quale si dia «atto dell’avvenuta intercettazione o detenzione o
acquisizione illecita», nonché «delle modalità e dei mezzi usati
oltre che dei soggetti interessati», e tuttavia venga omesso
qualsiasi «riferimento al contenuto» dei documenti, supporti
ed atti concernenti le informazioni raccolte.
Anzitutto la disciplina contrasterebbe con gli articoli 24, se­
condo comma, e 111, primo, secondo e quarto comma, della
Costituzione. Infatti la procedura prescritta dalle norme cen­
surate, pur essendo finalizzata alla distruzione del corpo del
reato concernente l’illecita acquisizione dei dati, e pur doven­
do culminare nella formazione di un verbale destinato alla
lettura in sede dibattimentale, si svolge in forma camerale, alla
presenza solo eventuale delle parti e dei difensori, senza possi­
bilità di approfondimenti istruttori, e dunque con esercizio
solo eventuale del diritto di difesa e del contraddittorio.
Gli stessi parametri costituzionali risulterebbero violati anche
in una diversa prospettiva: la distruzione dei supporti recanti
le informazioni acquisite illegalmente, e la concomitante as­
senza di riferimenti all’oggetto ed alla natura di tali informazio­
ni nel verbale destinato alla lettura dibattimentale, sarebbero
pregiudizievoli per il diritto di difesa ed il diritto alla prova del
soggetto accusato dell’illecita raccolta, impedendo la verifica
del carattere riservato delle informazioni e, comunque, della
loro acquisizione mediante modalità illecite.
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
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Viene prospettata, ancora, una violazione del primo comma
dell’art. 24 Cost., poiché la distruzione dei supporti di cui si
tratta, e la concomitante assenza di riferimenti all’oggetto ed
alla natura delle informazioni illegalmente acquisite nel verbale
destinato alla lettura dibattimentale, pregiudicherebbero il di­
ritto della persona offesa di agire in giudizio per ottenere il
risarcimento del danno subito.
Sarebbe infine vulnerato il principio sancito nell’art. 112 Cost.,
in quanto la soppressione della prova del reato connesso
all’illecita acquisizione dei dati comprometterebbe l’efficace
esercizio dell’azione penale in relazione a tale reato, anche con
riferimento ai fattori che rilevano per la quantificazione della
pena in caso di condanna.
2. ­ In via preliminare, data la sostanziale identità delle questio­
ni proposte dai Giudici rimettenti, è opportuno disporre la
riunione dei relativi giudizi.
3. ­ La questione sollevata dal Giudice per le indagini prelimi­
nari del Tribunale di Vibo Valentia (r.o. n. 50 del 2008) è
inammissibile.
Il rimettente ha posto in adeguato rilievo la circostanza che,
nel caso sottoposto alla sua valutazione, non si discute dell’in­
tercettazione di comunicazioni telefoniche o telematiche, ma
dell’illecita captazione di colloqui tra persone presenti (trascu­
rando, per altro, il problema della qualificazione penalistica di
intercettazioni effettuate da soggetti privati nell’abitacolo di
veicoli, la cui considerazione come luoghi di privata dimora è
da lungo tempo controversa). Lo stesso giudice a quo, in
particolare, ha osservato come il secondo comma dell’art.
240 cod. proc. pen. ­ cioè la norma che delimita l’oggetto della
procedura regolata dalle disposizioni immediatamente succes­
sive ­ si riferisca a «dati e contenuti» concernenti comunica­
zioni relative a «traffico telefonico e telematico», e ne ha
dedotto che la previsione non comprende la captazione di
conversazioni attuate senza l’ausilio di mezzi tecnici di teletra­
smissione. Tale opinione, che trova riscontro nella lettera della
norma censurata, è stata significativamente anticipata nel cor­
so della discussione parlamentare culminata con l’approvazio­
ne della legge n. 281 del 2006 ed è condivisa, inoltre, da molti
degli studiosi che hanno commentato la disciplina in esame.
Sennonché, proprio in aderenza alla conclusione cui perviene
il rimettente, deve constatarsi l’irrilevanza della questione sol­
levata, posto che il materiale preso in esame nel giudizio a quo
non è compreso nell’ambito dei documenti assoggettabili alla
procedura di distruzione. Non può condividersi, in particola­
re, l’assunto secondo cui l’elencazione contenuta nel comma 2
dell’art. 240 cod. proc. pen. sarebbe suscettibile di estensione
in via analogica, secondo il disposto dell’art. 12 delle disposi­
zioni preliminari al codice civile. L’interpretazione analogica è
preclusa tra l’altro, a norma dell’art. 14 delle disposizioni
appena citate, per le cosiddette leggi eccezionali. Si compren­
de facilmente, pur senza accedere ad una ricos truzione di
dettaglio delle norme sull’utilizzazione processuale e sulla de­
stinazione delle cose in sequestro, che la procedura di distru­
zione immediata dei materiali in discussione costituisce, per
una molteplicità di profili, una deroga a disposizioni di caratte­
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
re generale.
La durata del sequestro cosiddetto probatorio, quando non
ricorrono i presupposti per la restituzione della cosa seque­
strata all’avente diritto, coincide con la durata del relativo
procedimento penale (art. 262 cod. proc. pen.), fatta eccezio­
ne per alcune ipotesi che, a loro volta, sono derogatorie d’una
regola generale. Gli stessi documenti anonimi, alla cui discipli­
na il legislatore del 2006 ha voluto accostare la normativa
censurata in questa sede, sono distrutti solo dopo cinque anni,
sempre che non si tratti di corpo del reato e che non proven­
gano comunque dall’imputato, nel qual caso sono acquisiti agli
atti del procedimento (art. 240, comma 1, cod. proc. pen., e
art. 5 del regolamento per l’esecuzione del codice di procedu­
ra penale, approvato con decreto ministeriale 30 settembre
1989, n. 334).
Si deve ribadire, dunque, che la disciplina censurata presenta
carattere eccezionale e come tale va applicata secondo regole
di stretta interpretazione. Da ciò deriva che il rimettente non
è chiamato a fare applicazione delle norme da lui stesso so­
spettate di illegittimità costituzionale. La questione sollevata,
di conseguenza, è inammissibile per difetto di rilevanza.
4. ­ Ad una conclusione analoga si deve pervenire con riguar­
do alla la questione sollevata dal Giudice per le indagini preli­
minari del Tribunale di Milano con l’ordinanza r.o. n. 84 del
2008.
Risulta infatti, con chiarezza, che il rimettente non deve fare
alcuna applicazione delle norme oggetto di censura, non es­
sendo giudice di una procedura incidentale regolata dai commi
3 e seguenti dell’art. 240 cod. proc. pen.
Le doglianze del rimettente si concentrano, in sostanza, sulla
preclusione dell’accesso ad una prova raccolta in un diverso
procedimento. Sennonché tale preclusione scaturisce, per il
divieto di utilizzazione e comunque per l’impossibilità di for­
mare copie del materiale sequestrato, dal secondo comma
dell’art. 240 cod. proc. pen., norma che lo stesso rimettente
non ha censurato. Egli ha inteso riprendere, piuttosto, rilievi
concernenti la procedura finalizzata alla distruzione dei sup­
porti recanti le indagini asseritamente compiute a carico del­
l’opponente, cioè disposizioni procedurali che, nella sua pro­
spettiva, sono del tutto irrilevanti. La questione dei diritti e
delle garanzie spettanti alla vittima della presunta acquisizione
illegale di informazioni ha motivo di porsi sol o nella procedu­
ra incidentale finalizzata alla distruzione dei relativi supporti, e
questo vale per qualunque conseguenza possa derivare, in via
di fatto, dall’accoglimento della relativa richiesta.
5. ­ La questione di legittimità costituzionale proposta dal
Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano con
l’ordinanza r.o. n. 508 del 2007 è fondata, nei limiti di seguito
precisati.
5.1. ­ Le ragioni delle censure del rimettente nei confronti
delle disposizioni oggetto del presente giudizio poggiano sulla
ritenuta irragionevole sproporzione tra la tutela apprestata
per il diritto alla riservatezza e quella assicurata al diritto di
difesa, al diritto di azione ed ai principi del giusto processo e di
obbligatorietà dell’azione penale. Nel bilanciamento tra i sud­
13
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detti diritti e principi fondamentali, il legislatore avrebbe sacri­
ficato pressoché interamente i secondi in favore del primo. Da
questa considerazione il giudice a quo fa discendere il petitum
dell’atto introduttivo, consistente nella richiesta di declarato­
ria di illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate.
5.2. ­ L’assunto del rimettente può essere condiviso solo in
parte, proprio per l’esigenza, dallo stesso sottolineata, di man­
tenere nella disciplina in materia un corretto equilibrio tra
diritti e principi fondamentali.
Deve preliminarmente porsi in rilievo che la normativa ogget­
to della presente questione è stata approvata per porre rime­
dio ad un dilagante e preoccupante fenomeno di violazione
della riservatezza, che deriva dalla incontrollata diffusione me­
diatica di dati e informazioni personali, sia provenienti da
attività di raccolta e intercettazione legalmente autorizzate, sia
­ fatto più grave, che riguarda direttamente il presente giudizio
­ effettuate al di fuori dell’esercizio di ogni legittimo potere da
pubblici ufficiali o da privati mossi da finalità diverse, che
comunque non giustificano l’intrusione nella vita privata delle
persone.
La preoccupazione del legislatore è stata quella di evitare che
la doverosa osservanza delle norme che impongono la pubbli­
cità degli atti del processo possa risolversi in un ulteriore
danno per le vittime delle illecite interferenze, le quali, oltre ad
aver subito indebite intrusioni nella propria sfera personale,
rimarrebbero esposte, per un lungo periodo, al rischio che il
frutto dell’attività illegale di informazione e intercettazione
possa diventare strumento di campagne diffamatorie e delegit­
timanti nei loro riguardi. Il pericolo è apparso aumentato per
la constatazione, di comune esperienza, che non è garantita,
nelle condizioni normative ed organizzative attuali, una ade­
guata tenuta della segretezza degli atti custoditi negli uffici
giudiziari, come purtropp o dimostrano le frequenti «fughe» di
notizie e documenti.
L’intento di prevenire tali possibili abusi ha indotto lo stesso
legislatore ad introdurre una disciplina derogatoria rispetto
alla normativa ordinaria sulla conservazione del corpo di rea­
to: i documenti, i supporti e gli atti concernenti dati e conte­
nuti di conversazioni e comunicazioni, relativi a traffico telefo­
nico e telematico, illegalmente formati e acquisiti, devono
essere distrutti, per disposizione del giudice per le indagini
preliminari, al più presto possibile, nell’ambito di un procedi­
mento incidentale molto rapido, che deve precedere la chiusu­
ra delle indagini preliminari.
6. ­ Ritiene questa Corte che la finalità di assicurare il diritto
inviolabile alla riservatezza della corrispondenza e di ogni altro
mezzo di comunicazione, tutelato dagli artt. 2 e 15 Cost. (ex
plurimis, sentenze n. 366 del 1991, n. 81 del 1993, n. 463 del
1994, n. 372 del 2006), cui deve aggiungersi uguale diritto
fondamentale riguardante la vita privata dei cittadini nei suoi
molteplici aspetti, non giustifichi una eccessiva compressione
dei diritti di difesa e di azione e del principio del giusto
processo. La limitazione in eccesso deriva dall’aver delineato il
procedimento incidentale, volto alla distruzione del materiale
sequestrato di cui sopra, secondo il modello processuale di
14
cui all’art. 127 cod. proc. pen., nella parte in cui configura un
contraddittorio solo eventuale.
Peraltro lo stesso comma 5 dell’art. 240 cod. proc. pen. fa
riferimento all’obbligo per il giudice di sentire solo le parti
«comparse» e rende in tal modo incontrovertibile il carattere
tendenzialmente sommario della procedura.
A ciò si deve aggiungere che il provvedimento con cui il
giudice ordina la distruzione del corpo di reato (a prescindere
dalla sua discussa impugnabilità) determina, in forza dell’imme­
diata esecuzione materiale, la conseguenza che qualunque vio­
lazione dei diritti delle parti, derivante dall’imperfezione del
contraddittorio, diviene irreparabile.
6.1. ­ L’irreparabilità delle eventuali violazioni dei diritti delle
parti non è compensata dalla sostituzione dei documenti, atti
e supporti fisicamente eliminati con il verbale di cui al comma
6 dell’art. 240 cod. proc. pen., giacché il divieto di inserire nel
verbale alcun riferimento al contenuto dei predetti documen­
ti, supporti e atti e l’espressa limitazione della descrizione alle
«modalità e ai mezzi» con cui il materiale è stato acquisito,
determinano, nel seguito del procedimento, una condizione di
estrema difficoltà nell’esercizio del diritto di difesa degli impu­
tati, del diritto al risarcimento dei danni delle parti offese e
nell’effettivo esercizio dell’azione penale, da parte del pubblico
ministero.
Inoltre, una restrizione del contraddittorio nell’ambito di un
procedimento che, per il fatto di culminare nella distruzione di
corpi di reato, incide fortemente sullo svolgimento successivo
del processo, costituisce, di per sé, una violazione dei principi
del giusto processo, dettati dall’art. 111 Cost. La medesima
restrizione produce pure, come conseguenza inevitabile della
prima illegittimità, una eccessiva limitazione dei diritti di difesa
e di azione e dell’efficiente esercizio dell’azione penale. Sulla
base di questa considerazione, lo scrutinio di costituzionalità
si deve appuntare sull’effetto combinato della norma che limita
il contraddittorio nel procedimento incidentale de quo e di
quella che prescrive la formazione di un ver bale ­ come si
vedrà meglio appresso ­ troppo povero di contenuti.
Nel corso dei lavori parlamentari, che hanno preceduto l’ap­
provazione delle norme censurate, è stato sottolineato che, a
causa del contenuto troppo limitato del verbale sostitutivo, si
introduceva una «prova diabolica», che le parti non sarebbero
state in grado di sostenere. A tal proposito, si deve ricordare
che questa Corte ha affermato e ribadito nella propria giuri­
sprudenza che non è sufficiente l’astratta previsione del diritto
di difesa (e, più in generale, dei diritti delle parti nel processo),
ma è necessario che sia garantito il suo effettivo esercizio (ex
plurimis, sentenze n. 212 del 1997, n. 62 del 2008, n. 20 del
2009). La determinazione, per effetto di previsioni normative,
di situazioni di grave difficoltà n el normale esercizio del diritto
delle parti alla prova incide sulla sua effettività ed è, alla luce
dei principi affermati dalla giurisprudenza citata, costituzional­
mente inaccettabile.
6.2. ­ D’altra parte, la pressante esigenza di dare al diritto
fondamentale alla riservatezza una tutela più intensa, rispetto
a quella, rivelatasi insufficiente, del recente passato, induce a
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ritenere non irragionevoli particolari modalità di trattamento
del materiale probatorio, che riescano a contemperare tutti i
diritti e principi fondamentali coinvolti in questa delicata mate­
ria. Le modalità di bilanciamento tra i suddetti diritti e principi
sono molteplici e non spetta a questa Corte, ma al legislatore,
individuare possibili soluzioni nell’ambito della disciplina del
processo penale. Nel presente giudizio le valutazioni che il
giudice delle leggi è chiamato ad esprimere sono necessaria­
mente limitate dall’oggetto della questione ed in questa corni­
ce deve essere ricer cato il punto di equilibrio tra le diverse e
potenzialmente opposte esigenze, tutte costituzionalmente
protette, che vengono in rilievo. Diversi e migliori equilibri
possono essere individuati dal legislatore ­ dotato di poteri
innovativi non istituzionalmente attribuiti a questa Corte ­ nel
rispetto dei diritti e dei principi evocati nel presente giudizio.
Se si parte da questo presupposto, si deve escludere che la
caducazione totale delle norme censurate dal rimettente pos­
sa essere idonea a restaurare l’equilibrio alterato dalle stesse.
Ad uno squilibrio infatti se ne sostituirebbe un altro, giacché,
come sopra detto, le regole del processo e l’insicurezza della
tenuta del segreto degli atti custoditi negli uffici giudiziari
esporrebbero le vittime ad un pericolo di divulgazione contra­
rio alla misura minima di tutela della riservatezza delle perso­
ne in un ordinamento liberale e democratico, dove le ragioni
di giustizia devono trovare adeguati strumenti processuali di
realizzazione, senza però sacrificare eccessivamente ed inutil­
mente i diritti delle vittime incolpevoli di gravi interferenze
nella loro vita privata, per di più con la motivazione che si
vogliono tutelare proprio i loro interessi.
Ove fossero introdotte nell’ordinamento processuale precau­
zioni sufficienti ad impedire che la pubblicità del dibattimento
determini inevitabilmente la pubblicazione di tutto il materiale
probatorio, come, ad esempio, attualmente si verifica nei casi
in cui il codice di rito prescrive l’udienza a porte chiuse; ove si
avesse, inoltre, la ragionevole certezza che la custodia dei
materiali relativi ad illecite interferenze nelle comunicazioni e
nella vita privata fosse circondata da misure organizzative
efficaci e presidiata da norme rigorose sulla tracciabilità dei
percorsi dei materiali stessi e sull’individuazione dei soggetti
istituzionalmente responsabili, anche a titolo di culpa in vigilan­
do, allora drastiche misure di salvaguardia, come qu elle intro­
dotte dalle norme censurate, potrebbero non essere conside­
rate indispensabili. Nell’attuale situazione di incertezza sull’ef­
fettività della tutela del diritto alla riservatezza, non è possibile
cancellare, puramente e semplicemente, le norme che impon­
gono la distruzione dei documenti, supporti e atti illecitamen­
te acquisiti. Si devono invece ricondurre tali norme, nei limiti
del possibile, al rispetto sia dell’equilibrio costituzionalmente
necessario, sia della ratio emergente dalle medesime.
7. ­ Il risultato prima delineato si può conseguire recidendo il
legame, istituito dal comma 4 dell’art. 240 cod. proc. pen., tra
la procedura speciale di cui ai commi 3 e seguenti dello stesso
articolo e l’art. 127 cod. proc. pen., nella misura in cui il
richiamo a tale norma fa ricadere sulla procedura medesima le
limitazioni del contraddittorio che connotano il modello gene­
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
rale del rito camerale. D’altronde, lo stesso legislatore ha
manifestato in modo chiaro l’intenzione di dettare una norma­
tiva mirata alla formazione di una fonte di prova anticipata
rispetto alle successive fasi del processo. Ne consegue che
tale scopo deve essere perseguito nel rispetto dei principi del
giusto processo, del diritto di difesa e di azione e dell’effettivo
esercizio dell’azione penale, che si concretizzano in una rigo­
rosa prescrizione del contraddittorio tra le parti, come quella
contenuta nell’art. 401, commi 1 e 2, cod. proc. pen., che
disciplina l’udienza relativa all’incidente probatorio. Tale ultima
normativa deve naturalmente estendersi ad una fattispecie
processuale, come quella oggetto del presente giudizio, per
effetto dei principi costituzionali di cui agli artt. 24, primo e
secondo comma, 111, primo, secondo e quarto comma, e 112
Cost.
Il contraddittorio è garanzia insostituibile nell’ordinamento
processuale di uno Stato di diritto e i potenziali aggravi di
lavoro ­ in presenza di procedimenti con molte parti ­ si
devono fronteggiare con idonee misure organizzative e di
gestione dei processi, non certo con la irragionevole com­
pressione dei diritti garantiti dalla Costituzione.
8. ­ Il secondo fattore che contribuisce all’effetto combinato di
illegittimità costituzionale ­ di cui s’è detto al paragrafo 6 ­ si
deve individuare nella insufficiente attitudine del verbale sosti­
tutivo, quale prefigurato dal censurato comma 6 dell’art. 240
cod. proc. pen., a rappresentare i fatti, dai quali il giudice del
merito dovrà trarre le sue valutazioni. Il rimettente pone a
base di uno dei motivi addotti per sostenere l’illegittimità
costituzionale di tale norma la considerazione che la stessa
introdurrebbe una sorta di giudizio anticipato, destinato a
condizionare indebitamente la pronuncia del giudice del meri­
to. Si deve osservare, in proposito, che la lettura della suddet­
ta disposizione porta a conclusioni diverse.
La legge prescrive che nel verbale in questione si dia «atto
dell’avvenuta intercettazione o detenzione o acquisizione ille­
cita dei documenti, dei supporti e degli atti», anzitutto in
considerazione del fatto che l’atto deve documentare le con­
clusioni delle parti. Il verbale non può esplicare alcuna efficacia
valutativa che non sia strettamente circoscritta alla decisione
di distruggere il materiale, e, nella propria funzione concomi­
tante (e primaria) di prova «sostitutiva» del corpo di reato,
non può esercitare alcun condizionamento sulla decisione da
assumere nell’ambito del procedimento principale.
Proprio la necessaria natura descrittiva del verbale sostitutivo
impone che lo stesso non si limiti a contenere i dati relativi alle
«modalità e ai mezzi» usati ed ai soggetti interessati, ma debba
altresì contenere tutte le indicazioni utili ad informare il giudi­
ce e le parti del successivo giudizio in merito alle circostanze
da cui si possano trarre elementi di valutazione circa l’asserita
illiceità dell’attività contestata agli imputati. La semplice descri­
zione delle modalità e dei mezzi utilizzati per raccogliere
informazioni può non essere sufficiente a consentire un ade­
guato successivo controllo giudiziale, nel contraddittorio delle
parti, sulla liceità o non della condotta degli imputati. Né
questi ultimi, né le parti offese, n&ea cute; il pubblico ministe­
15
Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com
ro disporrebbero, nel giudizio di merito, di dati obiettivi suffi­
cienti a suffragare le rispettive posizioni, difensive o accusato­
rie. Ecco perché è costituzionalmente necessario allargare le
potenzialità rappresentative del verbale in questione, includen­
dovi anche tutte le circostanze che hanno caratterizzato l’atti­
vità diretta all’intercettazione, alla detenzione ed all’acquisizio­
ne del materiale per il quale il pubblico ministero ha chiesto
l’avvio del procedimento incidentale de quo. Il giudice del
merito deve poter disporre di tutti gli elementi necessari per
valutare, senza alcun condizionamento derivante dalla decisio­
ne presa nel procedimento incidentale, e nel contraddittorio
tra le parti, se l’assunto accusatorio del pubblico ministero
abbia o non fondamento.
L’inserimento nel verbale della descrizione delle circostanze
relative all’attività asseritamente illecita di cui sopra compren­
de, ove sia necessario, soltanto i dati conoscitivi sulla natura e
sulle caratteristiche formali dei documenti, supporti ed atti
(con esclusione, ai sensi del comma 6, di ogni riferimento alle
informazioni in essi contenute), da cui, in correlazione alle
circostanze di luogo, di tempo e di contesto della loro acquisi­
zione, si possono trarre elementi di giudizio sulla liceità dei
comportamenti degli imputati.
La correttezza e l’obiettività del verbale sostitutivo sono ga­
rantite dalla formazione dello stesso nel contraddittorio tra le
parti. Il rischio che nel corso di tale procedura possa verificarsi
una illecita divulgazione delle notizie riservate, in ipotesi ille­
galmente acquisite, è attenuato dal divieto di effettuare copia
in qualunque forma degli stessi, contenuto nel comma 2 del­
l’art. 240 cod. proc. pen.; sarà cura degli uffici giudiziari e dei
responsabili degli stessi prevenire ogni violazione di tale divie­
to.
Per le ragioni sopra esposte, questa Corte ritiene di dover
accogliere solo parzialmente la questione di legittimità costitu­
zionale sollevata dal giudice rimettente, per ripristinare un
corretto equilibrio tra i parametri costituzionali evocati. È
appena il caso di ripetere che l’equilibrio così raggiunto non è
l’unico in assoluto possibile, ma è l’unico realizzabile tenendo
conto della legislazione data e dei limiti costituzionali di inter­
vento del giudice delle leggi.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 240, commi 4 e 5,
del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede,
per la disciplina del contraddittorio, l’applicazione dell’art. 401,
commi 1 e 2, dello stesso codice;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 240, comma 6,
cod. proc. pen., nella parte in cui non esclude dal divieto di
fare riferimento al contenuto dei documenti, supporti e atti,
nella redazione del verbale previsto dalla stessa norma, le
circostanze inerenti l’attività di formazione, acquisizione e rac­
colta degli stessi documenti, supporti e atti;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
16
dell’art. 240, commi 3, 4, 5 e 6, cod. proc. pen., sollevata dal
Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vibo Valen­
tia, in riferimento agli artt. 24, 111, primo, secondo e quarto
comma, e 112 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in
epigrafe (r.o. n. 50 del 2008);
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 240, commi 3, 4, 5 e 6, cod. proc. pen., sollevata dal
Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, in
riferimento agli artt. 24, primo e secondo comma, 111, primo,
secondo e quarto comma, e 112 della Costituzione, con
l’ordinanza indicata in epigrafe (r.o. n. 84 del 2008).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 aprile 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l’11 giugno 2009.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
Il SOLE24 ORE ­NORME E TRIBUTI del 20.06.2009
n. 168 pg. 31
Ai notai non può sfuggire
la condizione del fallito
Sulla stipula il rischio delle richieste dei creditori
(Angelo Busani)
Responsabilità. La Cassazione sui controlli per evitare l’inef­
ficacia degli atti
È responsabile sotto il profilo dell’inadempimento del manda­
to professionale il notaio che stipuli un mutuo ipotecario
senza avvertire il mutuante del fatto che il mutuatario era
fallito e che pertanto l’atto dispositivo compiuto dal fallito
potrebbe essere dichiarato inefficace nei confronti dei credito­
ri del fallimento (Cassazione, sentenza n. 11569 del 2009). Nel
caso specifico, l’immobile offerto in ipoteca era poi stato
venduto all’incanto nel corso della procedura fallimentare.
Occorre sottolineare che l’intervento in un atto notarile di un
soggetto dichiarato fallito non incide sulla ricevibilità dello
stesso da parte del notaio (come invece accade nel caso
dell’intervento in atto di un minorenne, di un interdetto, di un
inabilitato, di un soggetto sottoposto ad amministrazione di
sostegno o di un procuratore privo della procura).
La dichiarazione di fallimento infatti produce ”solo” l’ineffica­
cia verso i creditori del fallimento degli atti che il fallito compie
dopo la dichiarazione di fallimento. La conseguenza è che
questi atti sono validi ed efficaci, con l’unico limite che i
creditori del fallimento possono pretendere che essi si consi­
derino, nei loro confronti, come mai effettuati. Pertanto, se i
creditori del fallimento non impugnano gli atti compiuti dal
fallito, coloro che hanno acquistato diritti dal fallito (si pensi
all’acquirente di una compravendita o alla banca mutante che
riceve una garanzia ipotecaria) non possono subire contesta­
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
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zioni delle posizioni acquisite.
È chiaro però che, anche se l’atto compiuto dal fallito non è
irricevibile dal notaio, il professionista è responsabile qualora
ometta colpevolmente di rivelare la condizione del fallito al
suo avente causa, nel caso in cui il contraente subisca nocu­
mento nel suo acquisto per l’azione dei creditori. L’omissione
del notaio non può infatti generare la sua responsabilità qualo­
ra egli dimostri che nemmeno con l’uso della dovuta diligenza
professionale avrebbe potuto sapere dell’esistenza della sen­
tenza dichiarativa di fallimento.
In effetti, vi sono casi in cui la qualità di fallito è rilevabile con
evidenza: si pensi all’ipotesi in cui l’atto compiuto dal fallito sia
una compravendita immobiliare o la concessione di una garan­
zia ipotecaria e la sentenza di fallimento sia stata trascritta nei
registri immobiliari.
Vi sono casi invece nei quali l’incidente è inevitabile: si pensi
all’ipotesi, assai attuale, dell’atto stipulato da un soggetto appa­
rentemente ”normale” e che poi si rivela essere invece un
incapace a vario titolo (è infrequente che nell’attività di con­
trattazione venga prodotto l’estratto dell’atto di nascita, che è
il documento principe per verificare l’eventuale stato di inca­
pacità legale).
Si pensi inoltre a un soggetto fallito ”per estensione” in segui­
to al fallimento della società di persone di cui era socio (di tale
fallimento per estensione i registri camerali pare non riporti­
no notizia). Le stesse difficoltà si incontrano nel caso di una
persona fallita tempo addietro di cui nessuno conosce i tra­
scorsi imprenditoriali e rispetto alla quale nessuno pensa a
compiere accertamenti nel Registro imprese, per scoprire
eventuali disavventure fallimentari.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Testo della sentenza
Corte di Cassazione Sezione 3 Civile ­ Sentenza del
19 maggio 2009, n. 11569
ARTI E PROFESSIONI INTELLETTUALI ­ NOTAIO ­ RESPONSABILI­
TA’
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SENESE Salvatore ­ Presidente
Dott. FEDERICO Giovanni ­ rel. Consigliere
Dott. UCCELLA Fulvio ­ Consigliere
Dott. SPIRITO Angelo ­ Consigliere
Dott. AMENDOLA Adelaide ­ Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RI. FA. FI. FE. , elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
MARTIRI DI BELFIORE 2, presso lo studio dell’avvocato CO­
LETTI PIERFILIPPO, rappresentato e difeso dall’avvocato
MAFFI STEFANO;
­ ricorrenti ­
contro
GA. MU. SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LIVIO
ANDRONICO 24, presso lo studio dell’avvocato LOIACO­
NO ROMAGNOLI MARIA TERESA, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato SARTORIO MARCO con
procura in calce al controricorso;
­ controricorrente ­
avverso la sentenza n. 489/2004 della CORTE D’APPELLO di
GENOVA, Sezione Terza Civile, emessa il 29/03/04, depositata
il 17/07/2004; R.G.N. 444/02;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
03/03/2009 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FEDERICO;
udito l’Avvocato CRISTINA CAPENA (per delega avv. STEFA­
NO MAFFI);
udito l’Avvocato ILARIA ROMAGNOLI (per delega avv. M.
TERESA LOIACONO ROMAGNOLI);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso
per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 321/01 il Tribunale di Chiavari respingeva la
domanda di condanna al risarcimento danni da liquidarsi in
separata sede, proposta dalla s.p.a. Ga. Mu. nei confronti del
notaio Ri. Fa.Fi. F. .
Questi, infatti, in vista della stipulazione di un contratto di
mutuo ipotecario relativo ad un appartamento in (OMESSO),
era stato incaricato dalla societa’ anzidetta di effettuare le
visure catastali ed ipotecarie, verificando la proprieta’ del bene
e l’inesistenza di trascrizioni od iscrizioni pregiudizievoli su
detto immobile offerto in garanzia, ed aveva dichiarato la
liberta’ dell’immobile stesso: senonche’, erogata la somma di
euro 67.139,40, garantita da ipoteca iscritta il 22.3.94 per euro
100.709,10, all’attrice era stata notificata il 3.7.96 ordinanza
del Tribunale fallimentare di Genova di autorizzazione della
vendita all’incanto della quota indivisa pari alla meta’ dell’im­
mobile offerto in garanzia, per la sola parte di proprieta’ di Ni.
Pi. .
La societa’ proponeva appello avverso la predetta sentenza:
l’appellato, costituendosi, eccepiva l’improcedibilita’ del grava­
me, per essere stata la causa iscritta a ruolo quando era
ancora in corso la notificazione dell’atto di citazione in appel­
lo, e proponeva appello incidentale in ordine all’affermazione
di responsabilita’ contenuta nella prima sentenza.
Con sentenza depositata il 7.7.04 la Corte d’appello di Geno­
va, rigettato l’appello incidentale, in accoglimento di quello
principale, condannava l’appellato al risarcimento dei danni da
liquidarsi in separato giudizio.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il
Ri. Fa. , con due motivi, mentre la Ga. Mu. ha resistito con
controricorso.
17
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Entrambe le parti hanno depositato in atti una memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli
articoli 165 e 347 c.p.c. nonche’ la nullita’ della sentenza o del
procedimento ex articolo 360 c.p.c., n. 4 in relazione agli
articoli 83 e 125 c.p.c. avendo la Corte di merito erroneamen­
te ritenuto che non sussistesse la dedotta improcedibilita’
dell’appello, in quanto il vizio, costituito dall’avvenuta costitu­
zione in giudizio dell’appellante mediante il deposito in cancel­
leria non dell’originale della citazione in appello ma di una
semplice copia, avrebbe dovuto considerarsi sanato con la
costituzione dell’appellato, stante l’avvenuto raggiungimento
dello scopo da parte dell’atto stesso.
Con il secondo motivo lamenta invece la violazione degli
articoli 2727, 2728 e 2697 c.c., nonche’ omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della con­
troversia, avendo la Corte di merito erroneamente ritenuto
che il Regio Decreto n. 1326 del 1914, articolo 55 abbia
introdotto una presunzione di conoscenza degli atti ivi men­
zionati in capo ad ogni singolo notaio del distretto.
1. Il primo motivo e’ infondato.
La Corte territoriale ha, infatti, spiegato, con congrua e logica
motivazione, le ragioni giustificatrici dell’infondatezza dell’as­
sunto del ricorrente circa la dedotta improcedibilita’ dell’ap­
pello proposto dalla Ga. Mu. , facendo correttamente riferi­
mento innanzitutto alla circostanza che nel caso di specie
l’iscrizione della causa a ruolo era stata effettuata quando la
procedura notificatoria si era ormai perfezionata (ma non era
ancora pervenuta all’appellante la documentazione compro­
vante l’avvenuta notificazione) e che la denunciata irregolarita’
doveva ritenersi sanata per effetto della tempestiva costituzio­
ne in giudizio della controparte.
La sentenza ha anche evidenziato che tale soluzione trovava la
sua legittimazione nel fatto che, nonostante i vizi dell’iscrizio­
ne a ruolo, la controparte aveva avuto la possibilita’ di attuare
pienamente le proprie difese, senza lamentarsi di aver subito
alcun pregiudizio all’esercizio dei suoi diritti, per cui doveva
necessariamente ritenersi raggiunto lo scopo cui era preordi­
nata la formalita’ dell’iscrizione a ruolo.
Rileva questo Collegio che i piu’ recenti arresti della S.C. si
pongono perfettamente in linea con la soluzione adottata dalla
Corte genovese (cfr. in particolare Cass. civ., sez. 1, 9.12.2004,
n. 23027; sez. 1, 13.8.2004, n. 15777), in particolare laddove
sottolineano che con la notificazione della citazione si era
regolarmente costituito il contraddittorio tra le parti e soprat­
tutto si era consentito alla controparte di conoscere l’avversa
domanda e conseguentemente di difendersi.
Al di fuori di questa linea sembra porsi a prima vista la recen­
tissima sentenza n. 18009 dell’1.7.2008 di questa S.C., che ha
ritenuto che il deposito dell’atto di citazione in appello privo
della notifica alla controparte, all’atto della costituzione nel
giudizio di secondo grado, determina l’improcedibilita’ dell’ap­
pello ex articolo 348 c.p.c. ma la fattispecie oggetto di questa
decisione non e’ affatto assimilabile a quella che e’ in discussio­
18
ne nel presente giudizio, in quanto in essa ­ a differenza di
quanto si riscontra nel caso che ci occupa ­ la notificazione
della citazione non era stata ancora eseguita al momento
dell’iscrizione a ruolo della causa.
Pertanto, di questo precedente, pur recentissimo, non puo’
tenersi conto ai fini della decisione circa la fondatezza o meno
del motivo di ricorso in discussione.
Va aggiunto, per completezza di motivazione, che le conside­
razioni sopra svolte, circa la sanatoria della denunciata irrego­
larita’ dell’iscrizione a ruolo (per il mancato deposito dell’ori­
ginale della citazione) a seguito della tempestiva costituzione
in giudizio dell’appellato, valgono anche per il correlato man­
cato deposito della procura, risultando questa apposta ”a
margine dell’atto di appello” (v. intestazione della sentenza
gravata).
Ed invero, come la notificazione della citazione, mediante con­
segna di copia dell’atto alla controparte, ha consentito a que­
st’ultima la conoscenza delle avverse pretese e la possibilita’ di
apprestare le relative difese, alla stessa maniera l’apposizione
della procura a margine della citazione notificata ha consentito
senz’altro alla controparte medesima di verificare la tempesti­
vita’ del rilascio ed il contenuto della procura stessa.
Non senza rilevare, peraltro, che, costituendo pur sempre
l’omesso deposito dell’originale della procura all’atto d’iscri­
zione a ruolo della causa un vizio attinente alla costituzione
della parte appellante, che non integra una nullita’ rilevabile
d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, deve ritenersi
preclusa in sede di giudizio di cassazione tale questione d’irre­
golarita’ della costituzione nel giudizio d’appello della Ga. Mu. ,
in quanto non dedotta con i motivi a sostegno del gravame a
differenza di quella attinente al mancato deposito dell’originale
dell’atto di citazione (v. Cass. civ., sez. 3, 7.5.1996, n. 4243; sez.
2, 27.11.2003, n. 18106).
2. Anche il secondo motivo e’ infondato.
In proposito va, pero’, precisato che questa Corte, non condi­
videndo appieno la motivazione in diritto posta dalla Corte di
merito a sostegno della decisione riguardante il rigetto dell’ap­
pello incidentale inerente alla sussistenza della responsabilita’,
ma ritenendo il dispositivo della sentenza impugnata conforme
a diritto, debba, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c. correggere ed
integrare tale motivazione.
Ed invero, risultando quest’ultima incentrata su di una sorta di
presunzione di conoscenza, da parte dell’odierno ricorrente,
degli atti (incluse le sentenze dichiarative di fallimento) men­
zionati nel Regio Decreto n. 1326 del 1914, articolo 55, salvo
la prova a carico del medesimo che nel blocco delle sentenze
trasmesse nel quadrimestre di riferimento fosse mancata la
sentenza dichiarativa del fallimento del Ni. , si rileva che la
Corte di merito non abbia valorizzato sino a fondo la valuta­
zione di una circostanza decisiva al fine di accertare la sussi­
stenza o meno della responsabilita’ del ricorrente, ancorche’
da essa intuita e presupposta quale elemento fondamentale
del processo logico­giuridico attraverso il quale e’ pervenuta
alla decisione impugnata.
Tale circostanza e’ costituita, infatti, dalla natura del rapporto
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
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intercorso tra le parti, essendo indubbio che esse stipularono
un contratto avente ad oggetto una prestazione d’opera pro­
fessionale, per cui la responsabilita’ dell’odierno ricorrente
non puo’ che essere disciplinata dai principi e dalle norme sulla
responsabilita’ contrattuale.
Cio’ premesso, e rilevato che dal combinato disposto della
Legge 16 febbraio 1913, n. 89, articolo 28, n. 1 e R.D.L. 10
settembre 1914, n. 1326, articoli 54, 55 e 56 risulta che fra gli
obblighi inerenti alla funzione notarile rientra anche quello di
accertare la capacita’ legale a contrarre delle parti dell’atto
rogando (v. Cass. civ., sez. 3, 29.10.1971, n. 3066), e’ inconte­
stabile che tale controllo debba riguardare anche l’eventuale
qualita’ di fallito rivestita da una o piu’ di tali parti, pur ammet­
tendo che la sentenza dichiarativa di fallimento, che comporta
quale effetto piu’ eclatante il cosiddetto spossessamento del
debitore, e cioe’ la perdita dell’amministrazione e della dispo­
nibilita’ dei beni da parte del fallito ed il passaggio dell’ammini­
strazione al curatore, implica una forma del tutto particolare e
limitata d’incapacita’ del fallito.
La L.F., articolo 50 (ora abrogato, a partire dal 16.1.2006, per
effetto del Decreto Legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, articolo
47, ma in vigore all’epoca dei fatti per cui e’ causa), oltre a
prevedere al comma 1 che nella cancelleria di ciascun Tribuna­
le fosse tenuto un registro per l’iscrizione dei nominativi di
coloro che erano stati dichiarati falliti dal Tribunale stesso,
stabiliva anche al comma 3 che ogni fallito, finche’ l’iscrizione
non fosse stata cancellata, era ”soggetto alle incapacita’ stabili­
te dalla legge”.
Ove a cio’ si aggiunga che il Regio Decreto n. 1326 del 1914,
articolo 55 stabiliva l’obbligo per i cancellieri dei Tribunali e
delle Corti di appello di trasmettere al consiglio notarile ed
all’archivio notarile del luogo un estratto di tutte le sentenze,
civili e penali, portanti tra l’altro la dichiarazione di fallimento
per l’inoltro a tutti i notai del distretto di Corte d’appello, e’
indubbio che il Ri. Fa. sia incorso ­ nel momento in cui ha
trascurato di eseguire gli opportuni controlli al fine di accerta­
re l’avvenuta dichiarazione di fallimento del Ni. sin dal (OMES­
SO) ­ in una plateale inadempienza dei propri doveri profes­
sionali.
Infatti, sia attraverso la comunicazione dell’estratto della sen­
tenza dichiarativa di fallimento che attraverso la consultazione
del registro dei falliti di cui al citato articolo 50, L.F. o qualun­
que altro modo idoneo, il ricorrente sarebbe potuto perveni­
re con la normale diligenza all’accertamento della qualita’ di
fallito in capo al Ni. .
Deve aggiungersi che ”in tema di inadempimento delle obbli­
gazioni del convenuto, a norma degli articoli 1218 e 1256 c.c.,
la colpa del contraente inadempiente si presume e, pertanto,
al fine di vincere la presunzione di colpa, quest’ultimo deve
fornire gli elementi di prova e di giudizio idonei a dimostrare,
oltre che il dato obiettivo della sopravvenuta impossibilita’
della prestazione, l’assenza di colpa, ossia di aver fatto tutto il
possibile per adempiere l’obbligazione” (Cass. civ., sez. 2,
26.8.2002, n. 12477).
Alla stregua di tale principio deve, quindi, escludersi che il
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
ricorrente possa pretendere un’inversione dell’onere della
prova, nel senso cioe’ che venga addossato alla odierna resi­
stente l’incombente di dimostrare l’esistenza di un comporta­
mento negligente del notaio Ri. Fa. , come ad esempio neces­
sariamente accadrebbe se si ritenesse che debba essere la Ga.
Mu. a dimostrare l’avvenuto invio al notaio medesimo del­
l’estratto della sentenza di fallimento e la conseguente sua
mancanza di diligenza nel tenerne conto.
3. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con la conseguente con­
danna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione,
liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione in
favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione,
che liquida in lire 6.100,00, di cui euro 6.000,00 per onorari,
oltre spese generali ed accessori come per legge.
***
Il SOLE24 ORE ­ NORME E TRIBUTI del 22.06.09 n. 170 pg. 7
L’intercettazione esterna
entra nell’iter disciplinare
di Giovanni Parente
Cassazione. Sì all’suo di chiamate ricevute dal giudice da parte
di un indagato
Via libera all’utilizzo esterno delle intercettazioni per il trasfe­
rimento d’ufficio in via cautelare del magistrato. Al fine di
riscontrare il presupposto dei «gravi elementi di fondatezza
dell’azione» per il trasferimento d’ufficio, nel procedimento
disciplinare verso un magistrato per addebiti punibili con una
sanzione diversa dall’ammonimento possono essere impiega­
te, in questa fase, le risultanze di intercettazioni di telefonate
ricevute dal giudice e legittimamente disposte e effettuate nel
corso di un procedimento penale a carico dell’autore e inter­
locutore della chiamata, indagato per un reato che consente
l’intercettazione stessa. Così come si può adoperare quanto
emerso da intercettazioni di telefonate fatte dal magistrato,
nell’ipotesi sia egli stesso indagato per un reato che le consen­
ta.
A stabilirlo sono le sezioni unite con la sentenza 12717/09.
Una conclusione a cui la Cassazione giunge prendendo in
considerazione da un lato l’«accentuato potere d’ufficio», che
emerge dagli articoli 16 e 18 del Dlgs 109/06, nella ricerca e
nell’acquisizione degli elementi di prova dell’illecito disciplinare
del magistrato, e dall’altro le limitazioni predicate dalla giuri­
sprudenza di legittimità sulla restrizione all’utilizzo esterno
delle intercettazioni telefoniche prevista dall’articolo 270 del
Codice procedura penale.
Nel ricorso veniva impugnata l’ordinanza con cui la sezione
disciplinare del Csm aveva adottato la misura cautelare del
trasferimento d’ufficio a carico di un presidente di sezione di
Tribunale. La difesa contestava la non utilizzabilità delle inter­
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Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com
cettazioni effettuate in un procedimento penale a carico di un
altro soggetto e che non vedevano il giudice come indagato.
La prima precisazione della Cassazione riguarda proprio la
specificità del provvedimento. Il trasferimento d’ufficio, ai sensi
dell’articolo 13, comma 2, del Dlgs 109/2006, ha «natura
cautelare e quindi l’accertamento dei fatti posti a fondamento
della misura (i gravi motivi di fondatezza dell’azione disciplina­
re) ha carattere sommario e provvisorio». Si tratta, quindi, di
«un provvedimento cautelare emesso a seguito di cognizione
sommaria; che deve poi trovare conferma in sede di applica­
zione di una sanzione disciplinare che consenta come sanzione
accessoria il trasferimento disciplinare».
Gli articoli 16 e 18 del Dlgs 109/06 dettano le regole per il
procedimento disciplinare in merito alla ricerca e all’acquisi­
zione delle prove. In particolare, l’articolo 16, comma 4, pre­
vede che il procuratore generale possa acquisire qualsiasi dato
informativo senza che a ciò sia di ostacolo il segreto istrutto­
rio, mentre l’articolo 18, comma 3, lettera a), assegna alla
sezione disciplinare il potere di acquisire d’ufficio le prove che
ritiene utili. In questo quadro va coniugato il rispetto delle
regole processualpenalistiche, che, in relazione all’utilizzo
esterno delle intercettazioni, si focalizza sull’articolo 270 del
Codice procedura penale: «Disposizione che, al primo com­
ma, prevede – puntualizzano le sezioni unite – che i risultati
delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedi­
menti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che
risultino indispensabili per l’accertamento dei delitti per i quali
è obbligatorio l’arresto in flagranza». >CW­28>Naturalmente
devono essere intercettazioni legittime, «disposte con ”atto
motivato dell’autorità giudiziaria” e ”con le garanzie stabilite
dalla legge”, ossia eseguite nel rispetto del codice di rito e
segnatamente delle prescrizioni degli articoli 266 e successivi
del Codice procedura penale, che assicurano anche il rispetto
del citato parametro costituzionale a tutela dell’inviolabilità
delle comunicazioni».
La Cassazione ricorda però come alcune precedenti pronunce
abbiano in modo limitato il vincolo all’utilizzo esterno delle
intercettazioni. È il caso, ad esempio, del giudizio di prevenzio­
ne o della possibilità di avvalersi dei risultati per l’acquisizione
della notizia criminis di un reato diverso per l’avvio di nuove
indagini. Emerge quindi, fa notare la sentenza 12717/09, che «il
primo comma dell’articolo 270 del Codice procedura penale
– non trovando in particolare applicazione al giudizio di pre­
venzione che pure ha una connotazione ”penalistica” a diffe­
renza del procedimento disciplinare di magistrati – riguarda
specificamente il processo penale deputato all’accertamento
delle responsabilità penali che pongono in gioco la libertà
personale dell’indagato o dell’imputato sicché possono
>CW­41>giustificarsi limitazioni più stringenti all’acquisizione
della prova (si pensi al divieto di lettura di atti di indagine
come fonti di prova ex articolo 514, Codice procedura pena­
le) in deroga al principio fondamentale della ricerca della verità
materiale».
Poteri d’ufficio
20
Cassazione, Sezioni Unite sentenza 12717
Dagli articoli 16 e 18 del Dlgs 109/06 emerge un accentuato
potere d’ufficio nella ricerca e acquisizione degli elementi di
prova dell’illecito disciplinare del magistrato (...); d’altra parte
la restrizione dell’utilizzo esterno delle intercettazioni telefo­
niche, di cui all’articolo 270, comma 1, Codice procedura
penale, soffre le limitazioni predicate dalla giurisprudenza (...).
Tutto ciò converge verso un’affermazione conclusiva: può rite­
nersi (...) che al fine di riscontrare il presupposto di «gravi
elementi di fondatezza dell’azione disciplinare» per l’adozione
della misura cautelare del trasferimento d’ufficio, nel corso di
un procedimento disciplinare per addebiti punibili con una
sanzione diversa dall’ammonimento, ben possono essere uti­
lizzate – in questa fase – le risultanze di intercettazioni di
telefonate ricevute dal magistrato e legittimamente disposte
ed effettuate nel corso di un procedimento penale a carico
dell’autore e dell’interlocutore della chiamata, indagato per un
reato che consente l’intercettazione; del pari sono utilizzabili
le risultanze di intercettazioni di telefonate fatte dal magistra­
to, ove in ipotesi sia egli stesso indagato per un reato che
consenta tali intercettazioni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Testo della sentenza
Corte di Cassazione Sezioni Unite Civile ­ Sentenza
del 29 maggio 2009, n. 12717
ORDINAMENTO GIUDIZIARIO ­ ILLECITI DISCIPLINARI
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITTORIA Paolo ­ Primo Presidente f.f
Dott. ELEFANTE Antonino ­ Presidente di Sezione
Dott. PREDEN Roberto ­ Presidente di Sezione
Dott. PICONE Pasquale ­ Consigliere
Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio ­ Consigliere
Dott. GOLDONI Umberto ­ Consigliere
Dott. SALVAGO Salvatore ­ Consigliere
Dott. FORTE Fabrizio ­ Consigliere
Dott. AMOROSO Giovanni ­ rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 25173/2008 proposto da:
SC. BR. , elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI SAN
SABA 7, presso lo studio dell’avvocato RANDAZZO ROBER­
TO, rappresentato e difeso dall’avvocato DUCCI DOMENI­
CO, per procura in calce al ricorso;
­ ricorrente ­
contro
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CAS­
SAZIONE, MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;
­ intimati ­
avverso l’ordinanza n. 84/2008 del CONSIGLIO SUPERIORE
DELLA MAGISTRATURA, depositata il 26/09/2008; A udita la
relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/03/
2009 dal Consigliere Dott. AMOROSO GIOVANNI;
udito l’Avvocato DUCCI Domenico;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. PIVETTI Marco, che ha concluso per il rigetto del ricor­
so.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con ordinanza dell’11 luglio ­ 26 settembre 2008 la Sezione
disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, pro­
nunciandosi sulla richiesta in data 14 maggio 2008 del Procura­
tore Generale presso la Corte di Cassazione di trasferimento
ad altra sede e di destinazione ad altre funzioni del Dott. SC.
Br. , Presidente di sezione del Tribunale di (OMESSO), dispo­
neva, come misura cautelare Decreto Legislativo 23 febbraio
2006, n. 109, ex articolo 13, comma 2, (Illeciti disciplinari dei
magistrati), il trasferimento del magistrato ad altra sede con
assegnazione di altre funzioni.
Secondo la Sezione disciplinare del C.S.M. sussistevano gravi
elementi di fondatezza dell’azione disciplinare giacche’ il Dott.
Sc. aveva interferito nell’attivita’ giudiziaria dei magistrati che
trattavano il procedimento penale pendente a carico dei co­
niugi Ro. e Pa. Pe. in modo pressante, reiterato e mirato,
interessandosi di tutto l’iter processuale ed intervenendo in
ogni momento cruciale dello stesso. Cio’ si ricava dalle testi­
monianze dei suddetti magistrati: Dott. QU. Ni. , giudice del
riesame presso il Tribunale di (OMESSO), Dott. ME. Fr. , Dott.
DE. CH. Al. , D.ssa LA. Pa. .
Che poi si fosse trattato non di ”innocente segnalazione”, ma
di ”pressante e prepotente interferenza” risultava dalle inter­
cettazioni di conversazioni telefoniche tra il Ro. (indagato) e il
Dott. SC. . In particolare, nel corso di una telefonata con il Ro.
, il Dott. SC. , riferendosi all’attivita’ di un magistrato del
processo, affermava ”(...) a questo punto lo dobbiamo monito­
rare”. Nel corso di altra telefonata, sempre con il Ro. , il Dott.
Sc. , raccogliendo una lamentela del Ro. in ordine alle aspetta­
tive di quest’ultimo quanto al comportamento di un altro
magistrato,
affermava che ”non gliela avrebbe fatta passare per buona” e
”gliene avrebbe dette quattro”.
2. Avverso tale ordinanza il Dott. Sc. ha proposto ricorso per
cassazione affidato a due motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso e’ articolato in due motivi.
Con il primo motivo la difesa del ricorrente, denunciando la
violazione e falsa applicazione degli articoli 266, 267, 268, 270
e 271 c.p.p., nonche’ del Decreto Legislativo 23 febbraio 2006,
n. 109, articolo 13, si duole dell’illegittima utilizzazione delle
risultanze di intercettazioni telefoniche fatte in un procedi­
mento penale a carico del Ro. che non vedevano il Dott. Sc.
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
come indagato. In particolare il ricorrente deduce che le
intercettazioni telefoniche in questione avevano riguardato in
via esclusiva gli interessi e le attivita’ imprenditoriali del Ro. in
relazione a reati ipotizzati, quali falso ideologico e corruzione.
Mentre il procedimento penale a carico del Dott. Sc. per
tentato abuso d’ufficio continuato, da cui era sorto quello
disciplinare, era del tutto diverso sicche’ operava il disposto
dell’articolo 270 c.p.p., comma 1, che preclude l’utilizzazione
esterna delle intercettazioni telefoniche. Espunte queste ulti­
me, non sussistevano piu’ i gravi elementi di fondatezza del­
l’azione disciplinare richiesti dall’articolo 13, comma 2, cit..
Il ricorrente poi deduce la mancanza dei decreti autorizzatori
delle intercettazioni e dei gravi indizi di reato richiesti dall’arti­
colo 267 c.p.p..
Con il secondo motivo la difesa del ricorrente deduce vizio di
motivazione, nonche’ violazione del Decreto Legislativo n.
109 del 2006, articolo 13, comma 2. Si duole della mancanza
dei requisiti per l’adozione della misura cautelare di cui all’arti­
colo 13, comma 2, cit., contestando la sussistenza del requisi­
to dell’urgenza. Sostiene che il reato contestato al Dott. Sc.
(tentato abuso d’ufficio) e’ si grave, ma ”non destinato ad
incidere significativamente sull’Ordine Giudiziario”; e che una
sanzione meno severa, quale l’ammonimento, avrebbe potuto
essere inflitta.
2. Il ricorso e’ ammissibile.
3. Va premesso che la Sezione disciplinare del Consiglio Supe­
riore della Magistratura con l’impugnata ordinanza pronuncia­
ta in camera di consiglio ha adottato la misura cautelare del
trasferimento d’ufficio prevista dal Decreto Legislativo 23 feb­
braio 2006, n. 109, articolo 13, comma 2; fattispecie questa
distinta sia da quella ­ contemplata dal primo comma della
medesima disposizione ­ del trasferimento d’ufficio che si puo’
accompagnare all’irrogazione di una sanzione disciplinare di­
versa ­ e quindi piu’ grave ­ dell’ammonimento, quando, per la
condotta tenuta, la permanenza del magistrato nella stessa
sede o nello stesso ufficio appare in contrasto con il buon
andamento dell’amministrazione della giustizia; sia da quella
del trasferimento per incompatibilita’ ambientale di cui al
R.Decreto Legislativo n. 511 del 1946, articolo 2, che presup­
pone che il magistrato venga a trovarsi in uno dei previsti casi
di incompatibilita’ o quando, per qualsiasi causa indipendente
da sua colpa non possa, nella sede occupata, svolgere le pro­
prie funzioni con piena indipendenza e imparzialita’.
In particolare prevede l’articolo 13, comma 2, cit. che nei casi
di procedimento disciplinare per addebiti punibili con una
sanzione diversa dall’ammonimento, su richiesta del Ministro
della giustizia o del Procuratore generale presso la Corte di
cassazione, ove sussistano gravi elementi di fondatezza del­
l’azione disciplinare e ricorrano motivi di particolare urgenza,
la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistra­
tura, in via cautelare e provvisoria, puo’ disporre il trasferi­
mento ad altra sede o la destinazione ad altre funzioni del
magistrato incolpato. Pertanto deve ricorrere un triplice pre­
supposto: occorre che sia in corso un procedimento discipli­
nare per un addebito di entita’ non minore, in quanto punito
21
Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com
con una sanzione diversa ­ e quindi piu’ grave ­ dall’ammoni­
mento; devono ricorrere gravi elementi di fondatezza in ordi­
ne all’addebito disciplinare per il quale si procede; inoltre
devono sussistere motivi di particolare urgenza.
In proposito questa Corte (Cass. sez. un., 11 dicembre 2007,
n. 25815) ­ nel sottolineare come la misura cautelare del
trasferimento d’ufficio possa essere adottata soltanto ove sus­
sistano gravi motivi di fondatezza dell’azione disciplinare e
ricorrano motivi di particolare urgenza ­ ha precisato che a tal
fine occorre l’instaurazione di un procedimento in contraddit­
torio con il magistrato stesso e con la piu’ ampia garanzia del
diritto di difesa.
4. Cio’ premesso, deve innanzi tutto considerarsi ­ ai fini
dell’impugnabilita’ dell’ordinanza della Sezione disciplinare del
C.S.M., con cui e’ stato adottato il provvedimento cautelare
del trasferimento d’ufficio ­ che il Decreto Legislativo n. 109
del 2006, articolo 24, prevede che l’incolpato ­ al pari del
Ministro della giustizia e del Procuratore generale presso la
Corte di cassazione ­ possa proporre, contro i provvedimenti
in materia di sospensione di cui al Decreto Legislativo n. 109
del 2006, articoli 21 e 22, e contro le sentenze della Sezione
disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, ricorso
per cassazione, nei termini e con le forme previsti dal codice
di procedura penale. Testualmente e’ prevista l’impugnabilita’ ­
quanto ai provvedimenti cautelari ­ solo della sospensione
cautelare (obbligatoria ex articolo 21 cit. o facoltativa ex
articolo 22 cit.); non e’ invece prevista per il trasferimento
d’ufficio Decreto Legislativo n. 109 del 2006, ex articolo 13,
comma 2.
Di tale disposizione pero’ occorre dare un’interpretazione
costituzionalmente orientata.
Se da una parte questa Corte (Cass., sez. un., 11 dicembre
2007, n. 25815) ha ritenuto manifestamente infondata la que­
stione di legittimita’ costituzionale di tale previsione in riferi­
mento all’articolo 107 Cost., che, nel sancire il principio del­
l’inamovibilita’ dei magistrati, prevede che essi possano essere
destinati ad altre sedi o funzioni con decisione del Consiglio
Superiore della Magistratura, per i motivi e con le garanzie di
difesa stabiliti dall’ordinamento giudiziario, d’altra parte pero’
deve considerarsi che ­ ove prescritta ­ l’inoppugnabilita’ del
trasferimento d’ufficio del magistrato in via cautelare verrebbe
verosimilmente a collidere con tale parametro ridondando in
un deficit delle ”garanzie di difesa” che l’ordinamento giudizia­
rio e’ chiamato ad approntare ex articolo 107 Cost., comma
1, perche’ i magistrati possano essere ”dispensati” o ”sospesi
dal servizio” o ”destinati ad altre sedi o funzioni”. Garanzia
questa che non si esaurisce nella mera riserva di legge, specifi­
camente prevista dall’articolo 108 Cost., comma 1, ma implica
un adeguato livello di tutela del diritto di difesa del magistrato.
Sicche’ va ritenuta la ricorribilita’ per cassazione dell’ordinanza
cautelare ex articolo 13, comma 2, cit., in sintonia peraltro
con le ”forme” della disciplina del processo penale, richiamate
dal Decreto Legislativo n. 109 del 2006, articolo 24, che
prevedono la ricorribilita’ per cassazione sia in materia di
misure cautelari personali che di misure cautelari reali.
22
Questa interpretazione costituzionalmente orientata e’ coe­
rente con l’orientamento di questa Corte (Cass. sez. un., 11
dicembre 2007, n. 25815) che ha per l’appunto ritenuto impu­
gnabile con ricorso per cassazione un’ordinanza della Sezione
disciplinare del C.S.M. di trasferimento disciplinare di un magi­
strato, esaminando il ricorso nel merito ed affermando ­ in
quel caso di specie ­ la corretta applicazione della misura
cautelare anche per illeciti disciplinari commessi prima della
data di entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 109 del
2006.
5. Il ricorso e’ poi ammissibile anche sotto il profilo della sua
tempestivita’.
In ragione della previsione del Decreto Legislativo n. 109 del
2006, articolo 24, si ha che avverso l’ordinanza cautelare che
dispone il trasferimento d’ufficio del magistrato l’impugnazio­
ne va proposta nel rispetto delle ”forme” del processo penale
e quindi nei termini dettati da quel codice di rito.
Il termine per impugnare e’ pertanto quello previsto per le
decisioni in materia di provvedimenti cautelari.
In proposito deve considerarsi che l’articolo 311 c.p.p., com­
ma 1, prevede che il ricorso per cassazione avverso le decisio­
ni in materia di misure cautelari coercitive va proposto nel
termine di dieci giorni, mentre, quanto al ricorso per cassazio­
ne avverso le decisioni in materia di misure cautelari reali
l’articolo 325 c.p.p., pur rinviando per il rito al medesimo
articolo 311 c.p.p., commi 3 e 4, non richiama il primo comma
della stessa disposizione e quindi non opera il termine di dieci
giorni.
Risolvendo un contrasto di giurisprudenza sorto in proposito,
questa Corte (Cass. pen. sez. un., 20 aprile 1994 ­ 24 giugno
1994, n. 5) ha affermato che il termine per proporre ricorso
per cassazione ai sensi dell’articolo 325 c.p.p., comma 1, av­
verso le ordinanze emesse all’esito di appello o di riesame
proposti avverso provvedimenti in materia di misure cautelari
reali e’ quello ordinario di quindici giorni previsto dall’articolo
585 c.p.p., comma 1, lettera a), per le decisioni adottate in
camera di consiglio; termine che inizia a decorrere dal mo­
mento della comunicazione o notificazione dell’avviso di depo­
sito dell’ordinanza. Conf. Cass. pen. sez. 1 , 5 giugno 1997 ­ 24
giugno 1997, n. 3962.
Ed allora anche per l’impugnativa della ordinanza di adozione
(in camera di consiglio) del trasferimento cautelare del magi­
strato Decreto Legislativo n. 109 del 2006, ex articolo 13,
comma 2, opera la prescrizione di carattere generale dell’arti­
colo 585 c.p.p., comma 1, lettera a): il termine per il ricorso
per cassazione e’ parimenti di quindici giorni decorrenti dalla
comunicazione dell’ordinanza della Sezione disciplinare del
C.S.M..
Pertanto, considerato che l’avviso di deposito dell’ordinanza
della Sezione disciplinare e’ stato comunicato a mezzo di
notifica del 9 ottobre 2008, il ricorso, proposto in data 20
ottobre 2008 (con deposito presso la segreteria del C.S.M.) e’
tempestivo perche’ rispettoso del termine di quindici giorni.
6. Nel merito il primo motivo del ricorso e’ infondato.
In disparte il primo requisito della misura cautelare de qua (i.e.
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
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pendenza di un procedimento disciplinare per un addebito
punibile con una sanzione diversa ­ e quindi piu’ grave ­
dell’ammonimento) della cui (pacifica) sussistenza nella specie
non si controverte, quanto agli altri requisiti prescritti dal
Decreto Legislativo n. 109 del 2006, articolo 13, comma 2, il
ricorrente ha censurato la sussistenza dei gravi elementi di
fondatezza dell’azione disciplinare sotto il profilo ­ soprattutto
­ della non utilizzabilita’ delle intercettazioni telefoniche.
Le quali, nell’impugnata ordinanza, hanno non solo la funzione
di supporto ed ulteriore riscontro delle deposizioni testimo­
niali di cui si e’ detto in narrativa; ma concorrono in modo
decisivo alla formazione del quadro di ”gravi elementi di fon­
datezza dell’azione disciplinare”.
L’impugnata ordinanza ­ con motivazione sufficiente ed immu­
ne da vizi logici ­ ha ritenuto che dalle deposizioni testimoniali
fosse risultato provato il ripetuto interessamento del Dott. Sc.
avente ad oggetto il procedimento penale nei confronti dei
coniugi Ro. e Pa. Pe. .
Ancorche’ il contatto del Dott. Sc. con i magistrati che aveva­
no in carico il processo non risulti ­ dalle deposizioni testimo­
niali suddette ­ essere travalicato in indebite pressioni, tuttavia
la sistematicita’ e la reiterazione dell’interessamento gia’ ne
connotavano maggiormente il rilievo disciplinare.
Ma cio’ che ha portato la Sezione disciplinare ad affermare che
si era trattato ”non di semplice ed innocente segnalazione ma
di pressante e prepotente interferenza” e’ stata soprattutto la
valutazione della trascrizione delle intercettazioni di conversa­
zioni telefoniche intervenute tra il Dott. Sc. e l’indagato Ro. e
sopra riportate in narrativa.
Pertanto certamente rilevante e decisiva e’ ­ ai fini della legitti­
mita’ della misura cautelare ­ la questione che pone la difesa
del ricorrente denunciando la violazione dell’articolo 270
c.p.p., comma 1, e sostenendo l’inutilizzabilita’ delle risultanze
di tali intercettazioni telefoniche.
7. Occorre premettere che l’adozione del trasferimento d’uffi­
cio Decreto Legislativo n. 109 del 2006, ex articolo 13, com­
ma 2, ha ­ come gia’ rilevato ­ natura cautelare e quindi
l’accertamento dei fatti posti a fondamento della misura (i
”gravi motivi di fondatezza dell’azione disciplinare”) ha carat­
tere sommario e provvisorio; e’ necessario ­ ma e’ anche
sufficiente ­ che sussista, in termini di gravita’ indiziaria, il
fumus dell’illecito disciplinare contestato al magistrato, laddo­
ve l’applicazione della sanzione disciplinare unitamente all’ado­
zione della sanzione accessoria del trasferimento d’ufficio De­
creto Legislativo n. 109 del 2006, ex articolo 13, comma 1,
implica la prova piena dell’illecito commesso. Ossia si tratta,
nella fattispecie dell’articolo 13, comma 2 cit., di un provvedi­
mento cautelare emesso a seguito di cognizione sommaria;
provvedimento che deve poi trovare conferma in sede di
applicazione di una sanzione disciplinare che consenta come
sanzione accessoria il trasferimento disciplinare.
L’acquisizione degli elementi indiziari della fondatezza del­
l’azione disciplinare deve avvenire nel rispetto delle regole del
codice di procedura penale con il limite della compatibilita’
con le peculiarita’ del procedimento disciplinare dei magistrati
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
che non ha alcuna connotazione ”penalistica”, ma che attiene
al rispetto da parte del magistrato dei doveri connessi alla
funzione che esercita. Questa regola di rito ­ gia’ contenuta
nel R.Decreto Legislativo n. 511 del 1946, articoli 32 e 34, ­ si
desume attualmente dall’articolo 16 d.lgs. 109/2006 che pre­
scrive (al primo comma) che per le attivita’ di indagini del
pubblico ministero si osservano le norme del codice di proce­
dura penale, ma aggiunge ”in quanto compatibili”. D’altra par­
te il successivo articolo 18 ­ nel facoltizzare la Sezione discipli­
nare ad assumere, anche d’ufficio, tutte le prove che ritiene
utili ­prescrive parimenti, al comma 4, l’osservanza delle nor­
me del codice di procedura penale sul dibattimento, ma ribadi­
sce altresi’ il contemperamento della verificata compatibilita’
con il procedimento disciplinare.
Le due citate disposizioni dettano poi anche regole specifiche
per il procedimento disciplinare di magistrati quanto alla ricer­
ca ed acquisizione degli elementi di prova. Da una parte
l’articolo 16, comma 4, prevede che il Procuratore Generale
puo’ acquisire qualsiasi dato informativo senza che a cio’ sia di
ostacolo il segreto istruttorio. Inoltre l’articolo 18, comma 3,
lettera a), cit. ­ come appena rilevato ­ assegna alla stessa
Sezione disciplinare il potere di acquisire d’ufficio tutte le
prove che ritiene utili.
L’ampio potere di indagine del pubblico ministero, prima, e il
non meno ampio potere officioso della Sezione disciplinare
nell’acquisire la prova dell’illecito disciplinare, poi, connotano
di specialita’ il procedimento disciplinare di magistrati eviden­
ziando come esso sia marcatamente orientato all’accertamen­
to dell’effettiva sussistenza dell’addebito disciplinare. Quindi
con tale specifica peculiarita’ ­ che viene in rilievo in ragione
della clausola di compatibilita’ prevista nel richiamo della disci­
plina del processo penale ­ va coniugato il prescritto rispetto
delle regole del codice di procedura penale; il quale, quanto al
profilo specifico in esame (i.e. utilizzo esterno delle intercetta­
zioni), si focalizza essenzialmente nell’articolo 270 c.p.p.. Di­
sposizione questa che, al comma 1, prevede che i risultati delle
intercettazioni non possono essere utilizzati in ”procedimen­
ti” diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che
risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali
e’ obbligatorio l’arresto in flagranza. Naturalmente deve trat­
tarsi di intercettazioni legittime, tali perche’ disposte con ”atto
motivato dell’autorita’ giudiziaria” e ”con le garanzie stabilite
dalla legge” (articolo 15 Cost., comma 2), ossia eseguite nel
rispetto del codice di rito e segnatamente delle prescrizioni di
cui all’articolo 266 c.p.p. e segg., che assicurano anche il rispet­
to del citato parametro costituzionale a tutela dell’inviolabilita’
delle comunicazioni. Diversa e’ invece l’ipotesi delle intercet­
tazioni illegali per le quali opera il divieto di utilizzazione posto
dall’articolo 271 c.p.p., comma 1, e delle quali e’ prescritta
dalla stessa disposizione (al comma 3) la distruzione, al pari
della distruzione delle intercettazioni illegali prevista dall’arti­
colo 240 c.p.p., come riformulato dal recente intervento nor­
mativo in tema di intercettazioni telefoniche (Decreto Legge
22 settembre 2006, n. 259, conv. in Legge 20 novembre 2006,
n. 281), peraltro censurato di incostituzionalita’ sotto un pro­
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filo che qui non rileva.
8. Il problema interpretativo che si pone ­ e che nella giuri­
sprudenza della Sezione disciplinare del C.S.M. ha visto un
revirement atteso che inizialmente si era ritenuta l’inutilizzabi­
lita’ esterna delle intercettazioni (sentenza n. 149 del 20 otto­
bre 2006), tesi poi contrastata da una successiva pronuncia di
segno opposto (sentenza n. 52 dell’11 maggio 2007), al cui
nuovo indirizzo si e’ adeguata l’ordinanza attualmente impu­
gnata ­ e’ se tale restrizione dell’utilizzo esterno delle intercet­
tazioni possa, o meno, estendersi al procedimento disciplinare
dei magistrati quanto alla ricerca ed acquisizione di ”gravi
elementi di fondatezza dell’azione disciplinare” al fine di ri­
scontrare lo specifico presupposto per l’adozione del trasferi­
mento d’ufficio in via cautelare.
Giova allora considerare che nella giurisprudenza di questa
Corte una prima limitazione all’operativita’ della restrizione
posta dell’articolo 270 c.p.p., comma 1, si registra con riferi­
mento al giudizio di prevenzione.
Ha infatti affermato questa Corte (Cass. pen., sez. 1 , 13
giugno 2007 ­ 12 luglio 2007, n. 27665) che nel giudizio di
prevenzione non e’ applicabile la norma dettata dall’articolo
270 c.p.c., comma 1, che limita, nel giudizio penale, la utilizza­
bilita’ dei risultati delle intercettazioni telefoniche disposte in
altro procedimento vigendo infatti, nel giudizio di prevenzione,
la opposta regola della piena utilizzabilita’ di qualsiasi docu­
mento indiziario, anche tratto da procedimenti penali in corso,
purche’ certo e idoneo, per il suo valore sintomatico, a giustifi­
care il convincimento del giudice in ordine ai presupposti della
misura. In senso conforme v. anche Cass. pen., sez. 2 , 28
maggio 2008 ­ 26 giugno 2008, n. 25919 (che ha ribadito che
nel giudizio di prevenzione gli elementi indiziari possono esse­
re desunti anche dalle intercettazioni telefoniche disposte nel
corso di un procedimento penale); Cass. pen., sez. 6 , 25
ottobre 2007 ­ 10 gennaio 2008, n. 1161 (secondo cui l’inuti­
lizzabilita’ delle intercettazioni nel giudizio di cognizione non
preclude la loro utilizzabilita’ nel processo di prevenzione);
Cass. sez. 1 , 3 ottobre 2007 ­ 25 ottobre 2007, n. 39509 (che
parimenti ha affermato che legittimamente il giudice della pre­
venzione fonda il proprio convincimento sul risultato di inter­
cettazioni di cui si dia atto in altre decisioni, senza necessita’ di
acquisire i relativi provvedimenti autorizzativi, verbali e tra­
scrizioni).
Significativo dell’ambito specifico, e non gia’ ampio, della restri­
zione all’utilizzazione esterna delle intercettazioni effettuate
nel corso di un’indagine penale e’ anche il fatto che per la
fattispecie simmetrica ­ quella delle intercettazioni disposte in
sede di attivita’ di prevenzione e della loro eventuale utilizza­
zione processuale (e quindi ”esterna”) ­ il legislatore ha fatto
ricorso ad una apposita disposizione, parimenti specifica, per
precludere l’utilizzazione esterna di tali intercettazioni (Decre­
to Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 25 ­ ter, conv. in Legge
7 agosto 1992, n. 356).
9. Una ulteriore limitazione della restrizione posta dall’artico­
lo 270 c.p.p., comma 1, riguarda poi l’attivita’ di indagine per
l’accertamento di un reato diverso da quello per il quale
24
l’intercettazione e’ stata disposta.
Questa Corte (Cass. pen. sez. 4 , 3 ottobre 2006 ­ 25 gennaio
2007, n. 2596) ha affermato che il divieto di utilizzazione
esterna, stabilito dall’articolo 270 c.p.p., dei risultati delle in­
tercettazioni in procedimenti diversi da quelli nei quali queste
sono state disposte, si riferisce soltanto all’utilizzazione di tali
risultati ai fini della loro valutazione come fonti di prova in
procedimenti diversi: resta pertanto salva la possibilita’ di
utilizzare tali risultati ai fini dell’acquisizione della ”notitia cri­
minis” per l’avvio di nuove indagini.
Anche secondo Cass. sez. un., 7 marzo 1996, n. 1790 il divieto
di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in altro proce­
dimento, di cui all’articolo 270 c.p.p., deve essere inteso nel
senso che siffatti elementi non possono valere come fonti di
prova in un diverso processo, mentre non ne e’ preclusa
l’utilizzabilita’ quale semplice notizia di reato, la quale, pur non
giustificando un’imputazione ne’ un uso processuale diretto,
possa rappresentare il punto di partenza per l’esperimento di
ulteriori indagini da parte del magistrato inquirente.
La stessa Corte costituzionale (sent. n. 366 del 1991), nel
dichiarare infondata la questione di legittimita’ dell’articolo
270 c.p.p., comma 1, in rapporto agli articoli 3 e 112 Cost., ha
escluso ”che il divieto di utilizzazione in altri procedimenti dei
risultati delle intercettazioni telefoniche legittimamente dispo­
ste in un determinato processo possa estendersi, stando a una
corretta interpretazione dell’articolo 270 c.p.p., anche all’uti­
lizzazione degli stessi risultati al fine dell’eventuale e successiva
proposizione dell’azione penale”.
Pertanto l’articolo 270 c.p.p., comma 1, non preclude l’utilizza­
zione esterna delle risultanze delle intercettazioni quale notitia
criminis di un reato diverso.
10. Emerge quindi che dell’articolo 270 c.p.p., comma 1, ­ non
trovando in particolare applicazione al giudizio di prevenzione
che pure ha una connotazione ”penalistica” a differenza del
procedimento disciplinare di magistrati ­ riguarda specifica­
mente il processo penale deputato all’accertamento di re­
sponsabilita’ penali che pongono in gioco la liberta’ personale
dell’indagato o dell’imputato sicche’ possono giustificarsi limi­
tazioni piu’ stringenti all’acquisizione della prova (si pensi al
divieto di lettura di atti di indagine come fonte di prova ex
articolo 514 c.p.p.) in deroga al principio fondamentale della
ricerca della verita’ materiale (C. cost. 255 del 1992). Ed e’
con riferimento ai ”procedimenti penali” che un’ipotetica pie­
na utilizzabilita’ dei risultati delle intercettazioni nell’ambito di
procedimenti penali diversi da quello per il quale le stesse
intercettazioni siano state validamente autorizzate sarebbe
contrastante con le garanzie poste dall’articolo 15 Cost. a
tutela della liberta’ e della segretezza delle comunicazioni (C.
cost. n. 63 del 1994).
Ed allora da una parte del Decreto Legislativo n. 109 del 2006,
articoli 16 e 18, emerge un accentuato potere d’ufficio ­ prima
dell’inquirente e poi dello stesso organo giudicante ­ nella
ricerca e nell’acquisizione degli elementi di prova dell’illecito
disciplinare del magistrato, rilevante al fine della clausola di
riserva di compatibilita’ nell’applicazione della disciplina pro­
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
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cessualpenalistica;
d’altra parte la restrizione all’utilizzo esterno delle intercetta­
zioni telefoniche, di cui all’articolo 270 c.p.p., comma 1, soffre
le limitazioni predicate dalla giurisprudenza di questa Corte, di
cui si e’ detto.
Tutto cio’ converge verso un’affermazione conclusiva: puo’
ritenersi ­con riferimento ai caso di specie ­ che al fine di
riscontrare il presupposto dei ”gravi elementi di fondatezza
dell’azione disciplinare” per l’adozione della misura cautelare
del trasferimento d’ufficio, nel corso di un procedimento disci­
plinare per addebiti punibili con una sanzione diversa dall’am­
monimento, ben possono essere utilizzate ­ in questa fase ­ le
risultanze di intercettazioni di telefonate ricevute dal magistra­
to e legittimamente disposte ed effettuate nel corso di un
procedimento penale a carico dell’autore ed interlocutore
della chiamata telefonica, indagato per un reato che consente
l’intercettazione stessa; del pari sono utilizzabili le risultanze di
intercettazioni di telefonate fatte dal magistrato, ove in ipotesi
sia egli stesso indagato per un reato che consenta tali intercet­
tazioni.
Nella specie le intercettazioni in questione sono state disposte
ed effettuate non gia’ nel procedimento penale a carico anche
del Dott. Sc. per tentato abuso d’ufficio continuato (per l’inte­
ressamento mostrato presso i colleghi che avevano in carico il
processo penale nei confronti dei coniugi Ro. e Pa. Pe. ), bensi’
in un altro procedimento penale (per falso ideologico e corru­
zione), il cui titolo di reato le consentiva ex articolo 266 c.p.p.,
ma che vedeva come indagato (per quanto risulta dall’ordinan­
za impugnata e dal ricorso) non il Dott. Sc. , bensi’ il Ro.
(unitamente ad altri).
11. A corollario delle conclusioni raggiunte e con riferimento
ad un profilo subordinato di censura espressa dal ricorrente
ancora nel primo motivo, deve considerarsi che la difesa del
Dott. Sc. ­ la cui tesi principale (in diritto) di assoluta inutilizza­
bilita’ delle intercettazioni nel procedimento disciplinare e’
infondata per le ragioni sopra argomentate ­ ha poi anche
contestato, con una prospettazione sostanzialmente subordi­
nata, la concreta utilizzabilita’ nella specie delle intercettazioni
stesse deducendo che la Sezione disciplinare avrebbe dovuto
acquisire ­ evidentemente Decreto Legislativo n. 109 del 2006,
ex articolo 18, che consente l’assunzione di ufficio di tutte le
prove utili ­ i decreti di autorizzazione alle operazioni di
intercettazioni telefoniche.
A questo proposito ­ ribadito che il presupposto per l’utilizzo
esterno delle intercettazioni e’, come gia’ rilevato, la legittimi­
ta’ delle intercettazioni stesse nell’ambito nel procedimento in
cui sono state disposte ­ e’ sufficiente rilevare che siffatta
censura, mossa avverso l’ordinanza della Sezione disciplinare
del C.S.M., la quale nulla dice in proposito, ridonda in realta’ in
denuncia di vizio di omessa motivazione sul punto, sicche’
implica che la difesa del ricorrente avrebbe dovuto allegare di
aver svolto questa eccezione all’udienza camerale innanzi alla
Sezione disciplinare senza ottenere risposta. Nella specie inve­
ce il ricorrente ­ che fa un riferimento generico all’”eventuale
acquisizione di tutti i decreti di autorizzazione”, ma non speci­
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
fica di aver sollevato l’eccezione di mancanza dei decreti auto­
rizzatori facendola risultare al verbale d’udienza camerale ­ si
duole in realta’ dell’impossibilita’ di valutare i ”gravi indizi”
legittimanti le intercettazioni disposte nel procedimento pena­
le che vede indagato il Ro. ; censura questa inammissibile non
essendo consentito ­ al limitato fine dell’utilizzazione esterna
delle intercettazioni telefoniche nel procedimento disciplinare
­ un sindacato di merito sulla gravita’ degli indizi, prescritta
dall’articolo 267 c.p.p., per l’adozione della misura nel procedi­
mento penale, essendo invece sufficiente la ritualita’ formale
dell’atto sotto il profilo del titolo di reato (ex articolo 266
c.p.p.) e della previa emissione del decreto autorizzatorio (ex
articolo 267 c.p.p.) per assicurare la legittimita’ di tale utilizza­
zione esterna.
12. Il secondo motivo e’ inammissibile.
La Sezione disciplinare con valutazione di merito, sufficiente­
mente e non contraddittoriamente motivata, ha accertato
l’urgenza di provvedere rilevando in particolare che il com­
portamento contestato disciplinarmente ­ nonche’ in sede
penale ­ al Dott. Sc. , consistente nell’interessamento mostra­
to all’andamento del procedimento penale a carico dei coniugi
Ro. e Pa. Pe. , era diventato di pubblico dominio nell’ambiente
giudiziario napoletano. Cio’ che faceva ragionevolmente dubi­
tare della possibilita’ che il Dott. Sc. potesse ­ in quello stesso
ambiente giudiziario ­ continuare ad esercitare le delicate
funzioni giurisdizionali di Presidente di una sezione penale del
tribunale di (OMESSO).
Inammissibile e’ pure il rilievo della difesa del ricorrente quan­
to alla possibilita’ di irrogare una sanzione meno grave, quale il
mero ammonimento, atteso che l’ordinanza impugnata ha
adottato non gia’ una sanzione disciplinare, graduabile in ragio­
ne della gravita’ dell’illecito disciplinare commesso, ma una
misura cautelare, a carattere provvisorio.
13. Il ricorso va quindi interamente rigettato.
Non occorre provvedere sulle spese di questo giudizio di
cassazione.
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso; nulla sulle spese.
Prassi in Lex24
Determinazione dell’imponibile
per il patrocinio a spese dello Stato
Nel calcolo della soglia minima di reddito necessaria per esse­
re ammessi al patrocinio a spese dello Stato, la deduzione per
assicurare la progressività dell’imposta deve essere considera­
ta alla stregua dei redditi esenti da IRPEF che, secondo l’art. 76
D.P.R n 115 del 2002, concorrono alla determinazione del
relativo ammontare mentre devono ritenersi deducibili esclu­
sivamente gli oneri di cui all’art. 10 del TUIR i quali, nella
previgente normativa come in quella attuale, vengono ricono­
sciuti, in considerazione della loro valenza morale e sociale,
25
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per la capacità di incidere sulla situazione personale del contri­
buente, a prescindere dal sistema di determinazione dell’im­
ponibile e dell’imposta.
Agenzia delle Entrate ­ Risoluzione del 15 giugno
2009, n. 159//E
Procedimento penale ­ Richiesta parere ­ Reddito imponibile ­
Patrocinio a spese dello Stato ­ DPR 30 maggio 2002, n. 115 ­ art.
76 DPR 22 dicembre 1986, n. 917 ­ art. 11
CONTENZIOSO ­ ATTI DI PARTE ­ RICHIESTA PARERE ­ PATROCI­
NIO A SPESE DELLO STATO
QUESITO
Ai sensi dell’art. 76 del D.P.R del 30 maggio 2002, n 115
(”Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di spese di giustizia”) ”chi è titolare di un reddito
imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante
dall’ultima dichiarazione, non superiore a euro 9.296,22”, puo’
beneficiare del patrocinio a spese dello Stato”
La Guardia di finanza istante, dovendo verificare nell’ambito di
un procedimento penale se un soggetto si trovi nelle condizio­
ni stabilite dal citato articolo 76, per fruire del patrocinio a
spese dello Stato, ha chiesto di conoscere, con riferimento ai
dati risultanti da una dichiarazione fiscale relativa ai redditi
2004 (Mod. 730), se sia necessario considerare quale ”reddito
imponibile” utile, ai fini dell’ammissibilità del beneficio, il reddi­
to complessivo dichiarato dal soggetto oppure quello imponi­
bile, al netto della deduzione prevista per la progressività
dell’imposta, di cui all’art. 11 del TUIR.
L’istante ha fatto presente che il quesito è stato prospettato in
quanto con la risoluzione n. 15 del 21.01.2008 l’Agenzia delle
entrate, nel fornire chiarimenti in merito all’interpretazione
dell’art. 76 del DPR n. 115 del 2002, ha precisato che ”il
reddito imponibile”, cui fa riferimento detta disposizione, è
quello determinato ai sensi dell’art. 3 del TUIR ed in particola­
re il reddito complessivo del soggetto, al netto degli oneri
deducibili indicati nell’art. 10 del TUIR, facendo cosi sorgere il
dubbio che ai fini in questione non possa tenersi conto anche
della deduzione prevista dall’art. 11 del TUIR, evidenziata dal
contribuente nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno
d’imposta 2004.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA
DAL CONTRIBUENTE
L’istante non prospetta alcuna tesi.
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
Ai sensi dell’art. 76 del D.P.R n 115 del 2002, per essere
ammessi al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, è
necessario che dall’ultima dichiarazione dei redditi del richie­
dente risulti un reddito imponibile annuo non superiore a
euro 9.723,84, determinato, come precisato dalla risoluzione
dell’Agenzia delle entrate n 15 del 2008, ai sensi dell’art. 3
26
del TUIR, deducendo cioè dal reddito complessivo gli oneri di
cui all’articolo 10 dello stesso decreto.
Ai fini della determinazione del limite di reddito su indicato,
inoltre secondo quanto disposto dal richiamato articolo 76, si
deve tener conto anche ”dei redditi che per legge sono esenti
dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che
sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ovvero ad
imposta sostitutiva”.
Per stabilire, ai fini della normativa in esame ­ che, come già
precisato nella richiamata risoluzione n. 15, ha ad oggetto
materia non fiscale ­ se, nella determinazione del reddito
relativo all’anno 2004, sia possibile tener conto della deduzio­
ne prevista dall’articolo 11 del TUIR, la scrivente ritiene utile
fornire chiarimenti circa la natura di detta deduzione, alla luce
del quadro normativo vigente nell’anno d’imposta in questio­
ne.
In proposito si rileva che, per quanto riguarda le regole di
determinazione del reddito vigenti per il 2004, l’art. 3 del
TUIR stabiliva che il reddito complessivo fosse diminuito degli
oneri deducibili elencati nell’art. 10 del TUIR nonchè delle
deduzioni effettivamente spettanti ai sensi del richiamato arti­
colo 11 del TUIR.
L’articolo 11, nella formulazione allora in vigore, prevedeva la
deduzione per assicurare la progressività dell’imposta (cosi’
detta no tax area), introdotta dall’art. 2 lett. b), della legge 289
del 2002, che consisteva in una deduzione dal reddito, da
calcolare mediante una formula matematica.
Detta deduzione individuava una quota di reddito esente da
tassazione, in misura inversamente proporzionale al crescere
del reddito, che si annullava per i redditi più alti, cosi’ che, in
combinazione con la rimodulazione delle aliquote d’imposta e
degli scaglioni di reddito operata dalla medesima legge 289 del
2002, potesse realizzarsi la progressività dell’imposizione.
Con la legge finanziaria per il 2007 (legge 27 dicembre 2006 n.
296, art. 1, comma 6, lettera b), la deduzione per assicurare la
progressività dell’imposta è stata abrogata ed è stato integral­
mente sostituito il contenuto dell’articolo 11 del TUIR, attra­
verso la previsione di nuove aliquote e scaglioni di reddito.
Conseguentemente sono state modificate le
regole per la determinazione del reddito di cui all’art. 3 del
TUIR, eliminando il riferimento all’art. 11.
Si è dell’avviso che, nel periodo di vigenza, la deduzione per
assicurare la progressività dell’imposta rappresentasse una
norma di sistema, su cui si fondava, in combinazione con le
aliquote allora vigenti, l’impianto ordinario di determinazione
dell’imposta.
Sulla base degli argomenti sopra esposti, si deve concludere
che, nel calcolo della soglia minima di reddito necessaria per
essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato, la deduzione
per assicurare la progressività dell’imposta debba essere con­
siderata alla stregua dei redditi esenti da IRPEF che, secondo
l’art. 76 D.P.R n 115 del 2002, concorrono alla determinazione
del relativo ammontare mentre devono ritenersi deducibili
esclusivamente gli oneri di cui all’art. 10 del TUIR i quali, nella
previgente normativa come in quella attuale, vengono ricono­
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
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sciuti, in considerazione della loro valenza morale e sociale,
per la capacità di incidere sulla situazione personale del contri­
buente, a prescindere dal sistema di determinazione dell’im­
ponibile e dell’imposta.
Al riguardo, sulla medesima questione, si è espressa la Corte
di Cassazione (Cass.penale 4 giugno 2008, sez. IV, n. 22299) la
quale ha evidenziato che ”nella determinazione del reddito da
valutarsi ai fini dell’individuazione delle condizioni necessarie
per l’ammissione al gratuito patrocinio, non si puo’ tener
conto di detrazioni o deduzioni stabilite dal legislatore nel
T.U., ed in particolare dell’art. 11 citato, introdotto dalla legge
n. 289 del 2002), che prevede la deduzione di euro 3.000,00
per garantire la progressività dell’imposta” cio’ in quanto, pro­
segue la Corte, si tratta ” di deduzione introdotte ai fini della
determinazione concreta dell’imposta da pagare, concetto
questo che presenta una configurazione diversa rispetto al
reddito imponibile cui fa riferimento il DPR 30 maggio 2002, n.
115, art. 76 (DPR in tema di spese di giustizia), che intende
dare rilevanza anche a redditi non assoggettabili ad imposta
ma indicativi delle condizioni personali, familiari e del tenore
di vita” di chi chiede di essere ammesso al beneficio”.
Le Direzioni Regionali vigileranno affinchè i principi enunciati
nella presente risoluzione vengano applicati con uniformità.
AVVOCATI 24
Venture Philanthropy:
tra Venture Capital Sociale
e Filantropia di Ventura
di Antonio Cuonzo ­ CBA Studio Legale e Tributario­ Roma
Il presente lavoro, anche in ragione della assoluta caratteristica
sperimentale del tema, non ha come scopo una analisi dottri­
nale dello stesso ma si pone come precipuo scopo quello di
analizzare una potenziale contestualizzazione giuridico­tribu­
taria nel sistema italiano di quella pratica filantropico­finanzia­
ria che è ormai entrata nella comune accezione con il termine
di “Venture Philanthropy”.
In tale contesto di analisi, abbiamo di seguito perseguito
l’obiettivo di esaminare le varie possibilità di azione giuridica
offerte, sotto il “cappello” della Venture Philanthropy, dalla
legislazione del nostro Paese in relazione alle definizioni teori­
che sul tema ed ai vari segnali di azione che giungono anche
dalla stampa più attenta.
Alla luce della doverosa premessa al presente lavoro e con
un’ottica di attuale contestualizzazione piuttosto che di disa­
mina dottrinale di tutti i temi di seguito trattati, abbiamo
ritenuto interessante cercare di esprimere il tema della Ventu­
re Philanthropy in chiave giuridico­tributaria al fine di eviden­
ziare alcune nostre ipotesi applicative dello stesso, alcune
potenziali strutturazioni delle operazioni in questione e, non
da ultimo, alcuni segnali di convergenza, forse neppure voluta,
tra le teorizzazioni sul tema, le ipotesi applicative e recenti
novità legislative tutte italiane.
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
1. Venture Philanthropy: l’idea teorizzata oltreoceano
Nel 1997, la Harvard Business Review pubblicò un articolo]1]
il cui titolo lasciava presagire l’inizio delle teorizzazioni relative
ad una rivoluzione concettuale del rapporto tra finanza e
filantropia.
Inizio delle teorizzazioni in quanto il lavoro pubblicato nel
1997, al quale si usa spesso ricondurre il tema della Venture
Philanthropy, seguiva di qualche anno alcune precedenti appli­
cazioni sperimentali di iniziative riconducibili al tema in ogget­
to]2] e che risultavano essere, all’epoca, nient’altro che forme
sperimentali ed evolutive delle più obsolete e semplici forme
di attività di beneficenza.
Da sempre settori fisiologicamente connessi (grandi ricchez­
ze, spesso generatesi nel comparto finanziario, sono storica­
mente fonte di grandi elargizioni monetarie per scopi benefi­
ci), quello della filantropia è stato, infatti, almeno in origine, un
comparto da gestire, per certi versi, separatamente da quello
“degli affari” e in maniera destrutturata (luogo comune vuole
da sempre magnati dell’economia e della finanza che firmano
assegni]3] o lasciano alle proprie “consorti” il patrocinio di
operazioni benefiche) anche in ragione dell’assenza del lucro
che conduce, ovviamente, verso un approccio diverso della
gestione del denaro.
Le primordiali e più ovvie, alla luce di quanto qui in esame,
forme di intervento filantropico strutturato cui poter pensare,
con il passar degli anni, sono nate attraverso la creazione di
fondazioni c.d. “di erogazione” (spesso originate da “illustri
famiglie” o da altrettanto illustri “imprese di famiglia” o sem­
plicemente “da grandi imprese”) che permettevano di assicu­
rare nel tempo ed in maniera teoricamente più attenta e
strutturata l’intervento benefico e gestivano, oseremmo dire
in termini minimalisti, anche un certo ritorno d’immagine per
l’effettivo benefattore.
Proprio queste maggiori strutturazioni della filantropia “vec­
chia maniera”, unitamente ad una filantropia col tempo sem­
pre meno anonima e sempre più componente quasi essenziale
degli affari, attraverso concetti ben più conosciuti quali quello
della Corporate Social Responsibility]4] o, ancor meglio, quel­
lo del Corporate Social Committement,]5]condussero, quindi,
nei primi anni novanta, negli Stati Uniti, alla realizzazione di
tentativi, più o meno grandi, di una gestione più professionale
della beneficenza che trovò poi, come detto, voce nelle teoriz­
zazioni effettuate a Cambridge attraverso le pagine della Har­
vard Business Review.
L’articolo in questione era intitolato “Virtuous Capital. What
foundations can learn from Venture Capital” ed esprimeva, nei
suoi contenuti, un’ipotesi di lavoro tendente a risolvere un
problema abbastanza chiaro e determinato: le modalità di
erogazione e gestione dei fondi diretti agli enti non profit,
spesso e volentieri, lasciavano temere il mancato raggiungi­
mento di efficienza ed efficacia degli stessi fondi.
Pur con maggiore strutturazione giuridico­formale, infatti, le
iniziative filantropiche delle fondazioni parevano basarsi su
concetti propri di una filantropia “vecchio stampo”, comune­
mente caratterizzata da una sorta di “quasi disinteresse” per la
27
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fase successiva all’erogazione, dovuto per certi versi essenzial­
mente alla caratteristica funzione della stessa azione filantropi­
ca: effettuando un’erogazione liberale a favore di un soggetto
ad intervento sociale diretto, in un certo senso, si realizza
anche una sorta di personale “deresponsabilizzazione sociale”
insita nello stesso intervento puramente finanziario che con­
sente di non sentirsi in dovere di intervenire in altra e più
diretta maniera.
Atteggiamento, questo, invero, non sempre negativo alla luce
del fatto che “non invade” il campo di azione di chi, una volta
finanziato a dovere, conoscendo approfonditamente il settore
di intervento sociale, riesce meglio ad intervenire in maniera
diretta.
In questo senso, i filantropi sono apparsi per anni poco attenti
all’efficienza e all’efficacia della loro erogazione liberale ma si
sono, spesso e volentieri, solo preoccupati del fatto che i fondi
donati fossero stati effettivamente impiegati per la causa per
cui erano stati richiesti ed elargiti.
Quindi, effettività sì, ma non per questo ricerca sfrenata di
efficienza o efficacia dei fondi rispetto allo scopo come inte­
resse verificato dai filantropi e come principale indicazione di
bilancio richiesta, in chiave di “trasparenza”, alle strutture
sociali e solidaristiche che ricevono i fondi]6].
Il risultato pratico di questa logica operativa sarebbe che i
fondi verrebbero sempre (o quasi) impiegati per gli scopi
sociali per i quali vengono erogati ma, allo stesso tempo,
sarebbero poche o scarse le attenzioni in termini di efficienza
o efficacia d’impiego che, nei rari casi di verifica delle stesse,
risulterebbero spesso elementi quasi assenti in queste attività
sia a causa della scarsa professionalizzazione di chi agisce in
termini di volontariato]7] sia a causa dell’assenza di (o di
interesse al) controllo in questo senso.
Focalizzata in questi termini la problematica ed analizzate le
usuali pratiche di finanziamento degli enti non profit così come
le modalità di impiego degli stessi fondi, l’articolo citato teo­
rizzava l’idea di una nuova via da seguire partendo dalla ricerca
di modalità di controllo dell’efficienza e dell’efficacia del dena­
ro impiegato che fossero ottimali ed al tempo stesso indisso­
lubili ed essenziali per un progetto di investimento.
L’idea, a questo punto, non poteva che essere quella di focaliz­
zare l’attenzione sul comparto che meglio di tutti riusciva a
trarre maggior “profitto” dai propri investimenti proprio at­
traverso il controllo del denaro investito ovvero il comparto
c.d. di Venture Capital.
“The idea makes sense”, recitava l’articolo e continuava asse­
rendo che “Clearly, foundations and venture capitalists face
similar challenges: selecting the most wortly recipients of fun­
dings, relying on young organizations to implement ideas, and
being accountable to the third parties whose funds they are
investing”.
L’idea, come detto sperimentata e poi teorizzata oltreoceano,
in sostanza, era quella di “imitare”, o meglio “mutuare” dal
mondo finanziario del Venture Capital, le tecniche di monito­
raggio e controllo dell’investimento che rendono lo questo
stesso curato, supportato e seguito in ogni sua evoluzione
28
temporale fino al momento del disinvestimento.
L’articolo, infatti, analizzando i singoli passaggi dell’investimen­
to nei due comparti (non profit e Venture Capital) evidenziava
la possibilità di un’applicazione analogica delle suddette tecni­
che di monitoraggio, supporto e gestione e concludeva asse­
rendo che “The venture capital model can act as a starting
point for foundations that want to help non­profits develop
the organizational capacity to sustain and expand successful
programs.”.
Ad una prima lettura, invero, l’idea teorizzata dai docenti di
Cambridge poteva sembrare addirittura inattuabile per sua
stessa palese connotazione: gli investimenti finanziari vengono
meglio e più attentamente seguiti e monitorati ovviamente
solo a causa del fine squisitamente lucrativo che perseguono e
che mai dovrebbe connotare, almeno in termini tecnico­giuri­
dici, un’erogazione liberale.
In realtà, l’articolo citato sembrava individuare in altre conno­
tazioni di comparto il limite di applicazione in questione in
quanto il monitoraggio dell’investimento si rivelava sin da subi­
to applicabile al comparto della filantropia ma ciò che era
apparentemente non mutuabile era l’adozione degli strumenti
(“il capitale”, come strumento di partecipazione all’iniziativa
sociale supportata ed una qualche modalità di disinvestimento
dallo stesso) tipici delle operazioni di Venture Capital lascian­
do allora aperta una questione essenziale: i “capitali virtuosi”
della filantropia avrebbero copiato le tecniche di monitoraggio
dell’investimento o le ragioni stesse del monitoraggio?
Monitorare i fondi per renderli più efficienti ed efficaci o
tramutare l’erogazione liberale del filantropo di turno in un
investimento nel comparto sociale che poi avrebbe, giocofor­
za, generato maggiore attenzione su quei fondi e quindi mag­
giore efficacia ed efficienza degli stessi?
2. L’evoluzione dell’idea: investimento o semplice beneficenza?
La teoria sopra richiamata e come detto contenuta nell’Har­
vard Business Review di circa una decina di anni fa, ha incon­
trato svariate forme di applicazione a cominciare soprattutto
dalle esperienze statunitensi della West Coast sospinte dalle
grandi e giovanili ricchezze generate dalla New Economy]8].
Le teorizzazioni di Cambridge, le prime esperienze dell’altra
costa statunitense e la giovanissima età delle nuove grandi
ricchezze capitalistiche, che non permettevano di limitarsi ad
una filantropia fatta solo e soltanto di “assegni”, hanno genera­
to le più disparate forme di sperimentazione e di progettualità
in tema di Venture Philanthropy che, a seconda dell’esigenza o
dell’interesse del filantropo di turno o degli strumenti messi a
disposizione dal sistema giuridico in cui andavano a realizzarsi,
si sono strutturate più o meno similmente a vere e proprie
operazioni di Venture Capital]9]: si va da casi di semplice e
pura “filantropia invasiva”, in cui il filantropo oltre all’erogazio­
ne decide di intervenire anche a livello gestionale nel soggetto
finanziato, a casi in cui il filantropo investitore partecipa real­
mente al capitale del soggetto supportato attraverso la vera e
propria acquisizione di una quota della proprietà del soggetto
non profit e lo aiuta a sviluppare il proprio “business sociale”.
L’esperienza di questi anni ha sostanzialmente dimostrato, ad
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avviso di chi scrive, solo e soltanto che l’apporto gestionale
nel comparto non profit da parte di soggetti usualmente abi­
tuati, in termini professionali, a misurarsi con i temi dell’effi­
cienza e dell’efficacia del denaro investito, comporta inevitabil­
mente un miglioramento della gestione operativa del soggetto
non profit e dell’impatto sociale dallo stesso arrecato nono­
stante la principale circostanza, da tenere in debita considera­
zione, relativa al fatto che un intervento in un comparto
sociale (es. nel settore dei servizi sociali, dell’assistenza sociale
o della stessa beneficenza) non può essere improvvisato e
deve necessariamente lasciare intatti e rispettati i peculiari
aspetti gestionali più strettamente legati ai temi sociali tratta­
ti]10].
Quanto al nostro Paese, ciò che può asserirsi, a distanza di
circa dodici anni dal citato articolo della Prof.ssa Letts e colla­
boratori, in sostanza, è che ancor oggi non sembrano chiara­
mente definite la vera nozione e la vera essenza della Venture
Philanthropy: in tanti sembrano porsi la domanda quasi “sotto­
voce”, probabilmente alla luce del fatto che tanto interesse ed
entusiasmo per qualcosa da comprendere ancora fino in fon­
do non va smontato, ma certo nell’aria la questione sembra
aleggiare in merito al dubbio tra una “filantropia più invasiva”
del solito, perché tende a monitorare l’erogazione liberale
effettuata e ad influenzare l’efficacia di impiego attraverso la
co­gestione dello stesso soggetto finanziato o, al contrario, un
“vero e proprio investimento” di denaro che, seppur in manie­
ra più calmierata, deve trovare remunerazione oltre che per­
manenza temporanea (concetti, questi ultimi, insiti nella stessa
definizione di “venture”).
La risposta a questo dubbio, come detto, ancor oggi, crediamo
di poter dire che non ci sia o che, per lo meno, non è ancora
arrivata alla luce del quadro empirico che il mercato di questi
capitali, da qualcuno già definiti, “coraggiosi”]11] sta offrendo
ma probabilmente la voglia e la speranza di essere pionieri di
un nuovo “mercato sociale” sta sospingendo il numero di
iniziative che, sempre con maggior frequenza e maggiori inve­
stimenti, stanno popolando l’ambito italiano di osservazione
del tema.
I problemi applicativi principali, che depongono a favore della
tesi della Venture Philanthropy solo e soltanto come filantro­
pia più invasiva del solito, sembrano, in via concreta, quello di
individuare un comparto di investimento (come poter pensare
di divenire temporaneamente e pro­quota “proprietari” di
enti come, ad esempio, Greenpeace per rendere l’ente più
efficiente, qualora ve ne fosse spazio e bisogno?) e quello della
assenza di strumenti di partecipazione all’investimento tipici
della forma societaria (soprattutto nella cultura italiana, siamo
stati per molti anni abituati a pensare agli enti non profit in
termini di associazioni, fondazioni, comitati, ovvero tutte
strutture prive del tipico strumento di partecipazione rappre­
sentato dal capitale sociale e, di conseguenza, della possibilità
di cessioni dello stesso).
Tutto ciò lasciava pensare che l’idea della Venture Philanthropy
come “investimento”, in un’ottica tutta italiana, fosse qualcosa
di praticamente irrealizzabile, ma da qualche tempo altri ele­
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menti di valutazione (e quindi di nuovo interesse scientifico)
sembrano affacciarsi sul panorama di questa tipologia di ope­
razioni: alcune risposte positive, ad esempio e come meglio
esposto nel prosieguo di questa trattazione, si stanno affer­
mando in ragione sia di un ormai avanzato stato di bisogno dei
servizi sociali, ormai quasi “dirottati” dallo Stato verso opera­
tori privati con l’attribuzione a loro favore di una legislazione
fiscale di tutto vantaggio]12], sia in ragione di sperimentazioni
finanziarie dei Paesi più avanzati, sia di (forse casuali) “incroci”
normativi che si stanno generando negli ultimi anni in Italia e
che stanno introducendo nella nostra legislazione concetti
giuridici e sostanziali molto avanzati al punto tale da generare
perplessità con riferimento alla loro opportunità ed applicabi­
lità.
Ci riferiamo, in particolare e a tal ultimo riguardo, a concetti
innovativi e quasi impropri per il nostro diritto civile quali
quello dell’Impresa Sociale (che consente la “lecita” creazione
di una società commerciale senza scopo di lucro) o, con
riferimento a quanto sopra richiamato come sperimentazioni
finanziare, alle recentissime offerte pubbliche di vendita di
azioni proprie realizzate negli Stati Uniti]13] da alcuni soggetti
non profit, o, infine, alle prospettiche idealizzazioni per il com­
parto non lucrativo]14].
Pensare di acquisire, valorizzare e rivendere quote di capitale
di Amnesty International, Save The Children piuttosto che di
Greenpeace per un fine di lucro, anche se mitigato, forse è e
resterà un’idea irrealizzabile e contrastante con qualsiasi con­
cetto di intervento sociale di fine idealistico ma forse, pensare
di finanziare, attraverso la partecipazione al suo capitale, la
nascita di un organizzazione non profit dedita alla prestazione
di servizi sociali di tipo assistenziale (es. prestazioni medico
assistenziali), valorizzarne la sua capacità imprenditoriale e poi
dismettere la partecipazione al capitale con un lucro assoluta­
mente mitigato (o con il semplice recupero del solo denaro
investito), con l’assoluta voglia di prestare al sociale le proprie
capacità manageriali e progettuali e con (non da ultimo) un
ampio ritorno di immagine per l’impatto sociale creato, non
crediamo possa considerarsi a priori un’idea così irrealizzabile
ed irrazionale.
3. Le ipotesi applicative
Alla luce di tutto quanto sopra, la prima questione da analizza­
re e risolvere, in termini concreti e per gli specifici fini del
presente lavoro, attiene, ad avviso di chi scrive, alle potenziali
ipotesi applicative di quella che, sia in chiave di nuova filantro­
pia sia in chiave di investimento sociale, abbiamo cercato di
circoscrivere come Venture Philanthropy.
In tal senso, siamo dell’idea che le linee di intervento di quanto
sopra potrebbero essere identificate in tre direzioni che, quasi
con una differente gradazione di innovatività, conducono alle
seguenti ipotesi applicative per ciascuna delle quali è inevitabi­
le, nella stessa redazione del presente studio, indagare la ra­
gione dello stesso intervento:
a) una nuova operatività dei soggetti c.d.“grant making”;
b) la nascita di “fondazioni” promosse dagli operatori di Ven­
ture Capital;
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c) la nascita di operatori professionali di Venture Capital Socia­
le.
a) Una nuova operatività di soggetti “grant making”
Con il termine “grant making” si è soliti individuare tutto quel
comparto di azione solidaristico­sociale in cui un soggetto
giuridico, in Italia tipicamente nella forma di fondazione, si
adopera nella raccolta di fondi da reindirizzare, sempre in
termini di pura beneficenza, verso altre e differenti strutture
che realizzano interventi sociali diretti in campi quali l’assisten­
za sociale, l’assistenza socio­sanitaria, l’ambiente e altri settori
“nobili” di solidarietà o di sviluppo sociale.
Spesso, i soggetti ascrivibili all’operare sopra descritto vengo­
no sommariamente riportati al comparto della beneficenza e
vengono identificati come una delle fonti primarie di finanzia­
mento dei reali attori del comparto non profit.
Le loro tecniche di erogazione, ma ancor di più, le loro
tecniche di “monitoraggio” dei fondi impiegati sono riconduci­
bili nella maggior parte dei casi alla vecchia logica del controllo
dell’effettivo impiego dei fondi per la causa sociale per i quali
gli stessi fondi vengono richiesti ed erogati: spesso queste
strutture di erogazione si limitano ad accertare, attraverso più
o meno approfonditi rendiconti degli enti finanziati, se le som­
me erogate sono state impiegate per le motivazioni richieste
ma quasi mai si spingono oltre accertando il grado di efficacia
ed efficienza di quei fondi anche perché spesso gli interventi
finanziati sono ascrivibili a comparti differenti e non vi sono
spesso le competenze necessarie per valutare (quindi, “inva­
dendo” in termini gestionali) ogni singolo intervento finanzia­
to.
Alla luce di tutto quanto sopra premesso e teorizzato, non vi
sarebbe nemmeno da chiedersi il perché queste strutture
dovrebbero indirizzarsi verso questa nuova operatività (la be­
neficenza già la fanno e si tratterebbe solo di farla meglio o
secondo modelli più evoluti e certamente più proficui) e le
stesse sarebbero ovviamente in primissima linea per l’applica­
zione di una nuova “filantropia invasiva” che non si limiti
all’erogazione dei fondi ed alla richiesta di un rendiconto ma
vada più a fondo concedendosi una co­gestione (magari attra­
verso la presenza di proprio management nel soggetto finan­
ziato) dell’intervento, un continuo monitoraggio di quegli stes­
si fondi impiegati in termini di efficienza ed efficacia ed una
costante valutazione dell’impatto sociale prodotto attraverso
il loro denaro.
In questo senso, l’idea teorizzata nell’Harvard Business Review
troverebbe facile applicazione e le competenze del Venture
Capital non potrebbero che tornare utili sia in termini di
modello di ispirazione (“The venture capital model can act as
a starting point”, per dirla con le parole della Prof.ssa Letts) sia
in termini di attrazione di professionalità del comparto finan­
ziario specialistico verso un mondo professionale, in tal senso,
tutto da professionalizzare]15].
L’idea d’oltreoceano, infatti, nasceva proprio osservando que­
sto specifico comparto di azione, che conduceva gli autori
dell’articolo più volte citato a parlare non di ciò che i filantropi
potevano imparare dai Venture Capitalists bensì quello che le
30
Fondazioni avevano da imparare dai soggetti da ultimo citati in
tal modo focalizzando l’attenzione sulla strutturazione della
filantropia piuttosto che sulla filantropia dei singoli e sul Ventu­
re Capital Model.
In tal senso, però, non potrebbe non osservarsi come questo
sistema avrebbe di fatto poco di realmente innovativo e forte­
mente futuristico, fatta eccezione per l’idea, abbastanza comu­
ne ad avviso di chi scrive, di suggerire a chi opera in comparti
meno professionalizzati di operare rifacendosi agli operatori
più professionalizzati e di avvalersi della “guida” di chi sa come
meglio mettere a frutto il denaro investito.
L’aspetto, per certi versi, critico di questo approccio, inoltre,
risulterebbe evidente alla luce delle differenti competenze ri­
chieste dai due ambiti di azione (non profit, da un lato, e
capitalismo, dall’altro) che potrebbero condurre verso la criti­
ca reciproca e la difficoltà di una co­gestione non motivata che
dalla diversa capacità finanziaria degli attori in gioco.
b) La nascita di “fondazioni ” promosse dagli operatori di
Venture Capital
Altra e differente idea che potrebbe ritenersi sottesa alla
progettualità della Venture Philanthropy è invece quella legata
ad altra operatività possibile e, a dire il vero, gradualmente più
avanzata di quella rappresentata nel precedente paragrafo.
L’idea, come detto più avanzata, potrebbe essere quella di una
nuova filantropia che, oltre ad essere più invasiva e professio­
nalizzata del solito, in quanto assistita direttamente dagli ope­
ratori del Venture Capital, sarebbe anche contestualizzata in
una innovativa logica di operatività aziendale ascrivibile ai con­
cetti della Corporate Social Responsibility o del Corporate
Social Commitment.
Si tratterebbe, in questo caso, non di una ispirazione (o copia)
di un modello di operare (quello del Venture Capital) ma si
tratterebbe di un modello di azione filantropico che, nel tenta­
tivo di ispirazione al modello del Venture Capital, verrebbe
generato proprio dagli stessi Venture Capitalists e sorgerebbe
con un’ottica di azione di responsabilità sociale degli stessi che
apporta sicuri vantaggi in termini di impatto sociale e di imma­
gine per gli stessi promotori.
Alla base delle ragioni di una simile iniziativa, potrebbe infatti
proprio porsi il concetto di Corporate Social Responsibility,
come di recente sospinto dalla stessa Commissione Europea e
consistente in una logica di stretta restituzione al sociale di
quanto prelevato in termini di guadagni e di risorse ambientali
(nell’accezione più ampia), di cui componente più evidente e,
ci permettiamo di dire, facilmente perseguibile è quella della
Corporate Social Commitment da intendersi come modello
che richiede una condotta attiva sui temi sociali così come, ad
oggi, comunemente attuata da gran parte degli operatori pro­
fit attraverso le più disparate tipologie di programmi c.d. “cor­
porate”]16].
In tal senso, il modello teorizzato dalla Letts subirebbe una
sorta di evoluzione applicativa generata dal fatto che una
fondazione sarebbe essa stessa iniziativa degli operatori di
Venture Capital e, più che ispirarsi al loro modello operativo,
assorbirebbe integralmente le sue professionalità e coinvolge­
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rebbe tematiche di più ampio e comune respiro quali quella
della Corporate Social Responsibility.
L’idea allora sarebbe, a modesto avviso di chi scrive, certa­
mente più interessante di quella di una semplice filantropia più
invasiva del solito ed avrebbe interesse per gli operatori di
Venture Capital in termini di ritorno di immagine iniziando, in
tal maniera, ad affacciarsi uno scopo differente da quello della
pura beneficenza: una simile pratica di Corporate Social Re­
sponsibility non andrebbe neppure vista in termini di opportu­
nità ma di stretta necessità operativa per le attuali connotazio­
ni assunte da consumatori ed investitori.
Ovviamente, il tema non potrebbe porre al riparo dalle scon­
tate considerazioni in termini di “filantropia interessata”]17],
tipica delle azioni filantropiche non anonime, ma andrebbe in
questa sede letto in termini di ragionevoli motivazioni che
potrebbero condurre ad una evoluzione dello stesso tema e
ad un più importante e massiccio intervento di capitali in
questo specifico comparto di azione.
c) La nascita di operatori professionali di Venture Capital
Sociale
Il passo più evoluto, infine, in termini di graduata evoluzione
progettuale del tema della Venture Philanthropy potrebbe es­
sere intravisto in vere e proprio operazioni di Venture Capital
applicate al comparto non profit, perlomeno a quello non
idealistico ma a quello tipico dei servizi socio­assistenziali.
Si tratterebbe in sostanza, non di una sprovveduta copia del
modello dell’intervento del Venture Capital nell’ambito della
beneficenza ma di una vera e propria applicazione originale di
quello stesso modello realizzata da nuovi operatori professio­
nali dell’ambito sociale.
In altre parole, non una beneficenza che usa le tecniche del
Venture Capital ma di Venture Capitalists del sociale che intra­
vedono nel comparto non profit nuove prospettive di azione e
di guadagno (forse anche qui solo in termini immagine) seppur
altamente mitigate.
Si tratterebbe allora, oltre che di capire fino a che punto può
mitigarsi il guadagno, anche di capire come rendere applicabili
ad un comparto (quello non profit) le tecniche utilizzate in
termini di investimento e disinvestimento in un capitale sociale
che, almeno in teoria e per dato storico­giuridico, non è quasi
mai stato accostato concettualmente al sistema non profit.
In un certo senso, e come ci permetteremo di osservare più
avanti, il problema dello strumento (il capitale del soggetto
non profit cui partecipare) potrebbe anche risolversi o, me­
glio, dirsi quasi del tutto risolto, ma sicuramente dovrebbe
compiersi qualche sforzo in più sull’idea della dismissione di un
investimento in un soggetto giuridico che, per sua stessa
definizione, mai in assoluto provvederà alla distribuzione di
utili.
È questa ultima, ad avviso di chi scrive, la frontiera dinanzi alla
quale “i filantropi di ventura” o i “capitali coraggiosi” di oggi si
trovano e che presuppone, almeno in teoria, l’evoluzione di
concetti e soprattutto mercati ben più avanzati di quelli fino ad
oggi raggiunti dal comparto non profit.
In tal senso le teorizzazioni della Harvard Business Review
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subirebbero una chiara e netta “distorsione operativa” (cre­
diamo, in tutta onestà intellettuale, che non era a questo tipo
di operatività a cui pensavano i redattori del citato articolo)
ma nulla impedirebbe, a priori, in sede di concreta applicazio­
ne di quei concetti, di andare anche oltre le teorizzazioni sul
tema.
4. La prospettiva italiana
Accostandoci ancor maggiormente all’analisi di una prospetti­
va tutta italiana del fenomeno in questione, quanto in atto nel
nostro Paese, se paragonato a quanto attualmente in atto in
altri Paesi europei, non ci vede molto indietro soprattutto per
ciò che riguarda la forma più evoluta di quelle sopra descritte
come possibili ipotesi applicative.
Ciò che per certi versi lascia perplessi è innanzitutto il fatto
che in Italia quasi ogni fenomeno di connubio tra beneficenza e
finanza venga ormai quotidianamente citato come caso di
Venture Philanthropy (ad esempio, si è spesso dato per scon­
tato che casi di semplice Imprenditorialità Sociale, come spes­
so sono le operazioni di Housing Sociale, fossero progetti
riconducibili nell’ambito del Venture Philanthropy).
In secondo luogo, è doveroso osservare che i pionieri italiani
del comparto del Venture Philanthropy, sembrano adottare
tecniche e metodologie operative assai differenti e variegate
probabilmente scaturite solo e soltanto dalla complessità e
della rigidità del nostro sistema giuridico e tributario oltre che
da una ovvia e connaturale personale concezione dell’agire
sociale e, in particolare, di ciò che significa o potrebbe signifi­
care Venture Philanthropy]18].
Quella che segue, allora, è solo una potenziale contestualizza­
zione giuridico­tributaria di quanto potrebbe avvenire (e, in
parte, sta già sta avvenendo) nel nostro Paese con specifico
riferimento alle ipotesi applicative più sopra descritte.
i. Una nuova operatività per le Fondazioni erogative
Storicamente attivi in un comparto che potrebbe quasi defi­
nirsi di “beneficenza indiretta” e fonte indiscutibilmente non
trascurabile per ogni ente non profit che si rispetti, le fonda­
zioni bancarie (o “fondazioni di origine bancaria”) vantano in
Italia un primato assoluto nell’ambito del finanziamento delle
attività culturali, sociali e solidaristiche attuate da soggetti
terzi.
Nate dal ben noto processo di ristrutturazione del sistema
bancario nazionale avviato con la c.d. “legge Amato”]19] ed al
centro per anni dell’acceso dibattito in merito alla loro essen­
ziale natura giuridico­tributaria di recente culminata con ben
28 contestuali sentenze della Suprema Corte di Cassazio­
ne]20], le attuali ottantotto fondazioni bancarie italiane hanno
deliberato, nel 2007, erogazioni per un importo complessivo
pari a 1.715,4 milioni di euro attraverso 29.375 interventi]21].
Gli spazi di intervento ricoperti da questi soggetti variano in
tanti ambiti (non ultimo, quello attualissimo dell’Housing So­
ciale) e spesso vedono la loro opera concretizzarsi anche in
mera beneficenza a favore di soggetti meritevoli di apporto
finanziario e filantropico.
Accanto a questi specifici soggetti del panorama erogativo
italiano, si sono da tempo posizionate fondazioni ed enti di
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erogazione, riuniti sotto l’identità associativa dell’Assifero]22],
che, nati molto spesso da iniziative imprenditoriali, costitui­
scono oggi un vero e proprio motore di filantropia del nostro
Paese e stanno ormai divenendo punto di riferimento costan­
te per il finanziamento del comparto non profit privato.
Viste dal lato dei soggetti finanziati, tutte queste strutture non
si limitano più ad agire attraverso il descritto sistema dell’ero­
gazione “quasi disinteressata” e non sembrano più limitare la
loro opera di controllo o di monitoraggio dei fondi erogati ad
obsolete forme rispettivamente di rendicontazione delle spe­
se effettuate e di autocertificazione delle caratteristiche giuri­
dico­operative.
Le realtà più evolute del comparto, oggi, si sono dotate di
apposite unità interne di valutazione che, però, ci sia consenti­
to osservare, sembrano orientate più ad una rilevazione “qua­
si passiva” di quanto accade una volta finanziato un progetto
(sembrano procedere infatti ad una rigida valutazione ex ante
ed ex post dei risultati programmati ed ottenuti) ma non
appaiono realmente coinvolte da un’opera di reale e sostanzia­
le attività di co­gestione e monitoraggio.
In questo quadro d’azione, la Venture Philanthropy potrebbe
essere rivelatrice di una modalità di attuazione dei loro pro­
getti di azione e di operatività concreta ancor più avanzate
legittimando le stesse Fondazioni bancarie o di erogazione ad
intervenire in maniera più profonda, da un punto di vista
gestionale, nei progetti che vivono anche e soprattutto grazie
al loro intervento finanziario.
Vi sarebbe, a tal riguardo, da compiere un grande passo in
avanti nella professionalizzazione dell’intervento e sarebbero
richieste competenze tecniche, tipiche del comparto non pro­
fit, che ad oggi, probabilmente, non sono ancora recepite, ma
a questo potrebbe facilmente pervenirsi attraverso una sorta
di inversione di rotta di quella che oggi è la fuga di cervelli e
professionalità dal profit verso il mondo non profit.
L’effetto, a modesto avviso di chi scrive, potrebbe essere
ingente e consentirebbe solo e soltanto di attribuire maggiore
e più conscia efficacia ed efficienza a tutti i progetti finanziati.
L’invasività di questa nuova filantropia porrebbe certamente
un problema di strumenti (come far entrare una fondazione
bancaria o di erogazione nei “centri di potere decisionale”
degli enti non profit finanziati?) ma forse il problema potrebbe
essere risolto attraverso una semplice e migliore strutturazio­
ne interna degli stessi enti non profit finanziati.
Non avendo il tema in esame alcuno spazio di profitto inten­
zionale da parte degli enti eroganti, non sarebbe necessario
porsi il problema, in seguito affrontato per altre fattispecie,
della strutturazione societaria degli enti non profit ma potreb­
be, a nostro avviso, agevolmente essere risolto attraverso la
creazione, negli enti non profit finanziati, di “comitati di bench­
mark” dediti al monitoraggio dei fondi investiti e nei quali far
entrare soggetti di espressione delle fondazioni e degli enti
eroganti.
Strutture associative (con o senza riconoscimento giuridico),
fondazioni e comitati non avrebbero alcuna limitazione giuridi­
ca alla creazione di simili organismi interni ai quali si potrebbe
32
ipotizzare di attribuire poteri decisionali del tutto particolari e
svincolati da quelli afferenti la mission idealistica dell’ente.
Il nostro codice civile, infatti, così come risalente al 1942 e
sostanzialmente “povero” di disposizioni per associazioni, fon­
dazioni e comitati, non pone alcun limite alla possibilità di
istituire tra gli organi sociali dei soggetti da ultimo richiamati
un organo come sopra ipotizzato, dedito al “benchmark” ed
aperto, quanto ai suoi componenti, anche a persone specializ­
zate sul tema e di stretta espressione di soggetti terzi finanzia­
tori.
La filantropia di questo tipo, allora, possiamo ritenere che
diverrebbe fortemente condizionata dai risultati di efficacia ed
efficienza e renderebbe le fondazioni bancarie italiane e gli altri
enti e fondazioni di erogazione più coinvolti e condizionanti
per il singolo progetto oltre che maggiormente disponibili, in
termini di professionalità prestate, per l’ente non profit finan­
ziato.
Da un punto di vista squisitamente tributario, la suddetta
innovazione sarebbe di assoluta irrilevanza alla luce della persi­
stente gratuità dei fondi erogati e dell’assenza di qualsivoglia
nuova fattispecie reddituale in capo all’ente erogatore: i fondi
erogati continuerebbero a non essere tassabili in capo ai sog­
getti non commerciali percettori e continuerebbero a trovare
deduzione o detrazione fiscale per gli eroganti, a seconda dei
casi, attraverso le usuali disposizioni normative]23].
ii. Il supporto diretto degli operatori di Venture Capital al
comparto sociale
Passando ad un coinvolgimento ancor più diretto degli opera­
tori di Venture Capital, una ulteriore ipotesi applicativa realiz­
zabile in Italia potrebbe essere costituita dalla creazione di una
o più fondazioni di stretta promanazione di operatori di Ven­
ture Capital.
L’esperienza della Private Equity Foundation che annovera tra i
suoi members and supportes operatori finanziari di assoluto
primo piano]24], potrebbe semplicemente divenire pratica
comune in diversi Paesi, tra cui l’Italia, e focalizzare il suo
intervento sulla c.d. “conscience of industry” necessariamente
legata ai temi della Corporate Social Responsibility e del Cor­
porate Social Commitment.
In sostanza, quello che le comuni realtà profit oggi realizzano e
cercano di evidenziare, attraverso programmi di Corporate
Giving, Sponsorship, Cause Related Marketing, Licensing, Joint
Promotion, Joint Fund Raising, Volunteers Program, Time per
Charity, Payroll Giving e simili]25], con l’obiettivo chiaro e
concreto di promuovere la propria immagine in maniera inno­
vativa, potrebbe essere realizzato dagli operatori di Venture
Capital attraverso la nascita di una “loro” fondazione che,
mettendo a frutto le cognizioni “interne” del Venture Capital,
attuerebbe essa stessa un programma di Venture Philanthropy.
Lo strumento della fondazione comporterebbe l’indistribuibi­
lità degli eventuali utili o avanzi di gestione dell’ente, ricadreb­
be sotto il “controllo” dell’organo che le attribuisce formal­
mente vita attraverso il suo riconoscimento giuridico (Prefet­
tura o Regione, a seconda dei casi), non consentirebbe un
futuro smobilizzo della propria quota in ragione della materia­
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le assenza di “quote” o “strumenti di partecipazione”, ma
metterebbe in chiara evidenza gli intenti sociali dei suoi fonda­
tori (ed anche degli aderenti, in caso di Fondazione c.d. “di
partecipazione”).
La formale costituzione e l’effettivo avvio della stessa fonda­
zione, pur richiedendo estrema attenzione in fase di predispo­
sizione della sua costruzione organizzativa e del suo assetto
patrimoniale]26], non desterebbe particolari difficoltà di rea­
lizzazione e potrebbe essere agevolata dalla sua reale conte­
stualizzazione locale]27].
Una volta nata ed attivata la fondazione, la conduzione dello
stesso ente sarebbe rimessa esclusivamente alla volontà del
suo Consiglio di Amministrazione il quale opererebbe, sotto il
citato controllo della Prefettura o della Regione, in esclusivo
perseguimento dei fini imposti dai soggetti fondatori.
In chiave tributaria, l’ipotesi di una fondazione di Venture
Philanthropy che abbia ad oggetto l’ausilio finanziario e tecnico
professionale gratuito a favore di un soggetto non profit,
implicherebbe, a nostro avviso, la natura tributaria di ente non
commerciale per la fondazione con la conseguente tassazione
descritta dal Capo III del Titolo II del d.p.r. 22 dicembre 1986,
n. 917]28] (Testo Unico delle Imposte sul Reddito, di seguito,
per brevità, “TUIR”): l’ente sconterebbe in questo caso una
tassazione sorretta da due principali elementi consistenti, da
un lato, nella applicazione dell’IRES (Imposta sul Reddito delle
Società), tipicamente applicata ai consueti soggetti profit nella
più comune veste di società di capitali, determinata però,
dall’altro lato, su singole classi reddituali (redditi fondiari, di
capitale, di impresa e diversi) come avviene per la usuale
tassazione delle persone fisiche.
Alla luce di questo primo inquadramento dell’eventuale regi­
me tributario applicabile al soggetto, sarebbe poi necessario
appurare la concreta operatività di Venture Philanthropy che
l’ente metterebbe in campo (“beneficenza invasiva” o “investi­
mento sociale”?) in quanto, tralasciando per evidente irrile­
vanza rispetto al tema fiscale il primo dei due casi (beneficen­
za), il tema reddituale potrebbe giocare la sua parte solo sulla
seconda casistica che però ci permettiamo di rinviare all’analisi
che segue.
iii. Investimenti sociali nel capitale di rischio di un soggetto non
profit
Il titolo stesso di questa specifica sezione di analisi fino a
qualche anno fa avrebbe certamente destato scalpore e fatto
inorridire qualsiasi lettore dotato di una minima cognizione
tecnico­giuridica del comparto non profit.
Sin dalle origini dei più attenti studi civilistico­tributari sul
comparto in esame]29], l’attenzione degli operatori professio­
nali interessati al c.d. “Terzo Settore” è stata sempre orientata
verso le ben note forme giuridiche dell’associazione (ricono­
sciuta o non riconosciuta), della fondazione e del comitato, a
causa delle (scarne) disposizioni di un Codice Civile ormai
obsoleto.
In siffatto contesto di azione, ipotizzare di esaminare la possi­
bilità, per un comune soggetto finanziatore, di “entrare” nel
“capitale sociale” di un soggetto non profit, si rivelava ipotesi
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
irrealizzabile e priva di qualsiasi valido sostegno giuridico.
Da qualche anno, invece, ed in particolare dall’anno 2008,
l’ipotesi appena descritta, anche se non priva di qualche com­
plicazione operativa]30], è invece giuridicamente realizzabile
attraverso l’istituto dell’Impresa Sociale]31].
Sul tema, è doveroso rilevare come le prime letture critiche
dell’istituto dell’Impresa Sociale, realizzato in termini legislativi
dal D. Lgs. 24 marzo 2006, n. 155 e, come detto, portato a
compimento nel corso dell’anno 2008 con l’emanazione dei
necessari Decreti Interministeriali]32], avevano condotto a
ritenere l’istituto in questione apparentemente un inutile or­
pello frutto di fuovianti visioni civilistiche e fiscali in ambito
non profit ed a concludere per la sostanziale assenza di inte­
ressi applicativi dello stesso.
In tal senso, una giusta ricollocazione, in termini di utilità ed
importanza, all’istituto dell’Impresa Sociale potrebbe ricavarsi,
non solo dai precedenti studi di analisi del tema in chiave
europea]33], ma proprio dall’innovatività tecnica apportata
dalla Venture Philanthropy, nella sopra esposta accezione di
“investimento”: l’Impresa Sociale, permettendo di adottare lo
strumento societario per iniziative “commerciali non pro­
fit]34]”, consente di ipotizzare la partecipazione al capitale
sociale di un soggetto non profit per attività commerciali
finalizzate ad interventi di solidarietà sociale in specifici e
tassativi comparti di azione]35].
Si risolverebbe, in siffatta maniera, uno dei principali ostacoli
operativi all’ipotesi della Venture Philanthropy intesa come
vero e proprio “investimento sociale” e sarebbe, a questo
punto, ipotizzabile la nascita di vere e proprie strutture profes­
sionali finalizzate all’investimento sociale attraverso la parteci­
pazione al capitale di rischio di soggetti non profit.
Non resterebbe, allora, altro da fare che indagare i seguenti
due temi:
a) che forma giuridica adottare per questo tipo di Venture
Philanthropist?
b) cosa ipotizzare per la c.d. “exit strategy” di questo tipo di
Venture Philanthropist?
Ovviamente, i due temi risultano assolutamente correlati se
non altro per il fatto che attengono entrambi alle finalità del
Venture Philanthropist qui ipotizzato: “uscire” domani dal ca­
pitale dell’Impresa Sociale con il semplice recupero dell’inve­
stimento o, addirittura, con un qualche ritorno economico.
Un primo elemento di analisi dei due temi, quindi, sarebbe
legato a questa focalizzazione primaria degli obiettivi del Ven­
ture Philanthropist ed alle più recenti disposizioni del nostro
sistema giuridico]36] che indurrebbero ad orientarsi, come ci
si accinge a descrivere, verso una strutturazione, complessiva­
mente considerata, “tutta non profit” dei progetti di questo
tipo realizzati attraverso l’innovativo strumento dell’Impresa
Sociale.
a) Che forma giuridica adottare per il soggetto Venture Philan­
thropist?
Ipotizzare di “entrare” e poi “uscire” dal capitale sociale di un
soggetto non profit richiede, come più sopra riportato, innan­
zitutto l’utilizzo dello “strumento tecnico” del capitale sociale
33
Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com
che, oggi, è possibile ritrovare, nel nostro ordinamento giuri­
dico e in combinazione con il perseguimento di fini di solida­
rietà sociale (e quindi non profit) e con l’esercizio di attività
commerciali, nell’istituto dell’Impresa Sociale per il quale, l’art.
1, comma 1 del citato D.Lgs. 26 marzo 2006, n. 155 consente
l’adozione di “.... tutte le organizzazioni private, ivi compresi
gli enti di cui al libro V del codice civile, che esercitano in via
stabile e principale un’attività economica organizzata al fine
della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità
sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale, e che
hanno i requisiti di cui agli articoli 2, 3 e 4”.
Ricordata, quindi, simile possibilità giuridica di azione del tutto
innovativa, è opportuno evidenziare come le specifiche dispo­
sizioni applicative dell’istituto dell’Impresa Sociale inducono a
ritenere che il soggetto meglio adatto a qualificarsi come suo
socio sia un soggetto avente esso stesso finalità non di lucro.
Simile conclusione può essere tratta sulla base delle specifiche
disposizioni della normativa sostanziale attinente l’Impresa So­
ciale.
Queste ultime, infatti, richiedono che “Le imprese private con
finalità lucrative e le amministrazioni pubbliche di cui all’artico­
lo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e
successive modificazioni, non possono esercitare attività di
direzione e detenere il controllo di un’impresa sociale” (cfr.
art. 4, comma 3 del D.Lgs. 155/2006 cit.) e che nell’Impresa
Sociale “Non possono rivestire cariche sociali soggetti nomi­
nati dagli enti di cui all’articolo 4, comma 3” (cfr. art. 8, comma
2 del D.Lgs. 155/2006 cit.).
Tutto ciò condurrebbe ad individuare in una struttura non
profit (ad esempio, una fondazione) il candidato ottimale al
ruolo di Venture Philanthropist esercitabile attraverso la par­
tecipazione al capitale sociale di un’Impresa Sociale.
Quanto sopra, quindi, potrebbe condurre verso l’ipotesi di
una operazione in cui una fondazione “entra” nel capitale
sociale di un’Impresa Sociale, “si siede” nel suo Consiglio di
Amministrazione, sviluppa da vicino il “business sociale” pro­
prio dell’Impresa Sociale, controlla l’andamento dell’investi­
mento in termini di effettività, efficacia ed efficienza del denaro
investito e, quando l’Impresa Sociale raggiunge la sua maturità/
sostenibilità, “esce” dal capitale sociale della stessa.
Tutto ciò, a modesto avviso di chi scrive, lascerebbe pochi
dubbi al fatto che si tratti, in sé, di una vera e propria opera­
zione di Venture Capital Sociale.
b) Cosa ipotizzare per la c.d. “exit strategy” del Venture
Philanthropist?
Il problema maggiore dinanzi al quale siamo oggi, alla luce
dell’ipotesi operativa appena rappresentata, rimarrebbe quello
relativo alla c.d. “exit strategy” ovvero all’ipotesi di “uscita”
dal capitale sociale dell’Impresa Sociale finanziata.
Il problema vive ovviamente di una questione fondamental­
mente legata, da un lato, all’indeterminabilità di un valore di
“cessione” della partecipazione di un soggetto (l’Impresa So­
ciale) che non distribuisce utili e, dall’altro, alla teorica assenza
di interesse a quella partecipazione.
Il problema potrebbe dirsi assolutamente evidente se provas­
34
simo a rispondere al seguente quesito: quanto vale un ente
non profit?
Probabilmente la risposta sarebbe “nulla” se esaminassimo il
valore dell’ente solo con riferimento al ritorno monetario che
lo stesso può generare in termini di utili distribuiti in quanto
mai si procederebbe a simile distribuzione proprio perché in
presenza di un ente non profit seppur avente oggetto com­
merciale.
La risposta, però, potrebbe essere differente se valutassimo il
valore dell’ente in relazione alla sua notorietà ed in relazione
all’impatto sociale dallo stesso potenzialmente generabile in
stretta correlazione con il tema della Corporate Social Re­
sponsibility.
Ciò che si vuol dire, in termini più pratici, è che una “uscita”
dal capitale sociale di un ente non profit strutturato in forma
societaria sarebbe ipotizzabile solo se si riuscisse ad attribuire
valore a quell’ente in una chiave di lettura slegata dalla possibi­
lità (o meglio, dall’impossibilità) di distribuire utili e questa
chiave di lettura potrebbe, a nostro avviso, essere ricercata in
termini di Corporate Social Responsibility o, in estrema anali­
si, in termini di “salvataggio” dell’ente non profit in questione.
In questo ultimo senso, ad esempio, sarebbero per ora casi di
scuola i ricordati recenti accadimenti relativi al comparto non
profit americano laddove, al fine di fronteggiare una potenziale
crisi del comparto delle erogazioni liberali, alcuni enti non
profit (es. il gruppo non profit “Do Something”) hanno messo
in atto delle vere e proprie offerte pubbliche di vendita di
azioni proprie (in particolare delle “Initial Public Offering” ­
IPO) con un brillante successo in termini di richieste e di
raccolta]37].
In tal senso, si potrebbe ipotizzare che, dopo aver aiutato lo
“start up” di un’Impresa Sociale ed aver raggiunto un ipotetico
livello di maturità/sostenibilità dell’ente, il Venture Philanthro­
pist “esca” dal capitale sociale della stessa Impresa Sociale
attraverso un chiaro e netto appello al pubblico “azionariato”
diffuso: sarebbe, in un certo senso, come ipotizzare che le
usuali erogazioni liberali eseguite nei confronti dei comuni enti
non profit cambino quasi veste per divenire una forma di
impegno sociale (l’azionariato diffuso) del tutto innovativa e
fonte di grande sostegno continuo per l’ente non profit.
A parte questa futuristica e certamente discutibile possibilità
di “uscita”, però, noi crediamo che un ruolo essenziale sul
tema possa essere giocato, come detto, dal tema della Corpo­
rate Social Responsibility.
Ed allora la reale domanda da porsi, ai fini valutativi, potrebbe
essere la seguente: quanto vale affiancare il proprio nome ed il
proprio marchio a quello di un ente non profit ben conosciuto
e da tutti ritenuto meritevole di aiuto?
Probabilmente, una valutazione correlata all’investimento ini­
ziale nel capitale dell’Impresa Sociale e al suo valore, all’atto
della cessione della partecipazione, in termini di Corporate
Social Responsability consentirebbe di rendere concreto ed
appetibile un valore di “mercato” delle stessa Impresa Sociale
e permetterebbe, di conseguenza, di scambiare la partecipa­
zione al suo capitale, proprio come avviene negli usuali scambi
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
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commerciali che oggi si realizzano sulle partecipazioni delle
“imprese normali”.
A tutto ciò si aggiunga, in stretta correlazione al tema affronta­
to nel precedente paragrafo, che, nel corso dell’anno 2008, è
stata introdotta nel nostro ordinamento tributario una specifi­
ca agevolazione fiscale consistente, a grandi linee, nella defisca­
lizzazione dei guadagni rinvenuti dalla cessione di partecipazio­
ni attuate da determinati soggetti (tra cui gli enti non commer­
ciali di cui all’art. 73, comma 1, lett. c del TUIR) in un’ottica di
continuo reinvestimento in iniziative imprenditoriali in fase di
c.d. “start up”.
Più in particolare, l’art. 3 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112,
convertito con L. 6 agosto 2008, n. 3, rubricato solo e sempli­
cemente “start up”, ha previsto che, a determinate condizioni,
i contribuenti che effettuano operazioni suscettibili di genera­
re redditi diversi di natura finanziaria hanno la facoltà di usu­
fruire di un regime speciale di esenzione da imposta delle
plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di parte­
cipazione qualificate e non qualificate]38].
Come espressamente sancito dalla disposizione in esame e
ribadito dalle prime interpretazioni amministrative sul te­
ma]39], le “determinate condizioni” oggettive da rispettare
per la piena applicabilità dell’agevolazione fiscale specifica sono
costituite dal fatto che:
1. la partecipazione ceduta deve essere relativa ad una società
costituita da non più di sette anni;
2. la partecipazione ceduta deve esser stata posseduta da
almeno tre anni;
3. le plusvalenze realizzate con la cessione della partecipazione
devono essere reinvestite entro due anni da loro consegui­
mento;
4. le plusvalenze realizzate con la cessione della partecipazione
devono essere reinvestite in società che svolgono la medesima
attività della società le cui partecipazioni sono state in prece­
denza cedute realizzando la plusvalenza reinvestita;
5. le plusvalenze realizzate con la cessione della partecipazione
devono essere reinvestite in società costituite da non più di
tre anni.
Alla presenza contestuale di tutte queste condizioni e con il
limite di esenzione previsto dalla stessa disposizione citata
(ossia “.... il quintuplo del costo sostenuto dalla società le cui
partecipazioni sono oggetto di cessione, nei cinque anni ante­
riori alla cessione, per l’acquisizione o la realizzazione di beni
materiali ammortizzabili, diversi dagli immobili, e di beni im­
materiali ammortizzabili, nonché per spese di ricerca e svilup­
po”), il soggetto cedente che realizzando una plusvalenza sulle
quote genera c.d. “redditi diversi” si trova chiaramente ad
ottenere un beneficio fiscale consistente nella esenzione da
tassazione dei suoi guadagni finanziari ascrivibili alla richiamata
classe reddituale.
Proprio questa ultima circostanza (ovvero la necessità di gene­
rare redditi diversi per applicare l’agevolazione in questione),
allora, porta a ritenere che il soggetto giuridico più indicato
per rivestire il ruolo di socio dell’Impresa Sociale, nell’ambito
della generale analisi di operatività compiuta in questi ultimi
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
due paragrafi, debba essere un soggetto classificabile, non solo
economicamente tra gli enti non profit, ma anche fiscalmente,
tra i c.d. “enti non commerciali” di cui all’art. 73, comma 1,
lett. c) del TUIR ossia un soggetto annoverabile tra “gli enti
pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti
nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo
o principale l’esercizio di attività commerciali”.
Il risultato di tutto ciò, in combinazione con quanto illustrato
in merito alla forma giuridica più consona al Venture Philan­
thropist potrebbe allora essere il seguente: una fondazione,
classificabile fiscalmente come ente non commerciale, “entra”
nel capitale sociale di un’Impresa Sociale, “si siede” nel suo
Consiglio di Amministrazione, sviluppa da vicino il “business
sociale” proprio dell’Impresa Sociale, controlla l’andamento
dell’investimento in termini di effettività, efficacia ed efficienza
del denaro investito e, quando l’Impresa Sociale raggiunge la
sua maturità/sostenibilità, “esce” dal capitale sociale della stes­
sa cedendo la partecipazione ad altro soggetto interessato ad
un’azione di Corporate Social Responsability, parametrando il
valore della partecipazione al valore aggiunto che la stessa
attribuisce all’acquirente e non scontando imposizione diretta
sull’eventuale capital gain grazie alla disposizione fiscale sulle
“start up” sopra illustrata.
Unica nota dolente “di progetto”, in riferimento alla quale
però non possiamo che nutrire vive speranze di prossimi
interventi legislativi, sarebbe legata al fatto che la specifica e
richiamata disciplina dell’Impresa Sociale, ad oggi, non prevede
alcuna agevolazione di natura tributaria o di altro genere: il che
vorrebbe dire, in termini pratici, che l’Impresa Sociale parteci­
pata, pur svolgendo attività di sostanziale impatto sociale,
sconterebbe le imposte al pari di una normale società volta al
perseguimento di lucro e senza alcun impatto di natura socia­
le]40].
I dubbi, però, sul fatto che si tratti di una vera e propria
operazione di Venture Capital Sociale, a questo punto, credia­
mo potrebbero dirsi del tutto risolti.
Ed allora ci sarebbe da chiedersi perché parlare di filantropia
per questo tipo di operazioni se, in fin dei conti, queste stesse
mirerebbero al lucro?
La risposta risulterebbe agevole scindendo il c.d. lucro oggetti­
vo (quello perseguito dall’ente Venture Philanthropist) dal c.d.
lucro soggettivo (quello “non” perseguito dai promotori della
struttura di Venture Philanthropy) e considerando il fatto che
il soggetto Venture Philanthropist qui ipotizzato assumerebbe
le vesti di una fondazione che, in quanto tale, sarebbe impossi­
bilitata alla distribuzione degli utili o degli avanzi di gestione
realizzati e che ben potrebbe essere il principale strumento di
azione di chi decida di mettere le proprie capacità e compe­
tenze in gioco in altro, innovativo e stimolante comparto di
azione e miri all’autofinanziamento dello strumento (la fonda­
zione) di Venture Philanthropy adottato.
Se così non fosse, tra l’altro, ovvero se si volesse pensare ad
operazioni di questo tipo per un reale e sostanziale, anche se
fortemente mitigato, guadagno o recupero dei capitali investiti
da parte dei promotori del soggetto Venture Philanthropist,
35
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basti considerare che, avendo il Venture Philanthropist sopra
ipotizzato natura di ente non profit e non commerciale solo e
soltanto per un miglior utilizzo dello strumento dell’Impresa
Sociale e delle agevolazioni fiscali in tema di “start up”, nulla
toglierebbe che queste stesse operazioni possano realizzarsi
adottando dei veicoli societari usuali (una normale S.r.l. per
intenderci) e che si realizzino in potenziale assenza di agevola­
zioni fiscali sugli eventuali capital gains realizzati ma con alter­
native costruzioni organizzative del Venture Philanthropist
aventi un chiaro fine di lucro soggettivo (dei suoi promotori,
quindi) ad oggi, per dovere di cronaca, non ancora accertabile
in termini di concreta fattibilità.
5. Conclusioni
Il tentativo qui realizzato di contestualizzare in chiave giuridi­
co­tributaria il tema della Venture Philanthropy speriamo pos­
sa contribuire ad indagare in Italia un tema ormai quasi quoti­
dianamente in discussione tra molti operatori finanziari e non.
L’esperienza professionale quotidianamente esercitata al fian­
co di operatori non profit ed operatori finanziari ci ha portato
ad avvertire la grande attenzione in atto sul tema da parte di
questi ultimi]41] ed il correlato immenso stupore degli opera­
tori non profit mai abituati, sino ad oggi, all’idea di una part­
nership così incisiva e stringente.
Nonostante questo, riteniamo che tutto quanto sopra ipotiz­
zato ed analizzato sia, per certi versi, già in atto nel nostro
Paese e possa realmente condurre alla massima espressione
del potenziale ancora inespresso, sia in termini socio­assisten­
ziali (o più semplicemente sociali) che in termini giuridici,
dell’innovativo istituto dell’Impresa Sociale.
L’idea che abbiamo personalmente maturato sul tema è che
quando si parla di Venture Philanthropy bisognerebbe tener
ben presente il fatto che si tratta di una modalità assolutamen­
te innovativa di filantropia a sostegno dei pioneristici impren­
ditori sociali ma, come detto, nulla toglie, a nostro avviso, che
il tema stesso possa essere fattore di innesco di un nuovo
comparto di investimento finanziario per gli operatori del
settore con l’obiettivo di concludere questo tipo di operazioni
non soltanto con un ritorno in termini di impatto sociale ma
anche con un mitigato ritorno in termini di recupero dei
capitali investiti ed un forte ritorno in termini di immagine.
La sfida, a questo punto, sembra essere solo quella di riuscire
a coniugare le esigenze della comunità civile, le nuove forme di
imprenditorialità sociale e le nuovissime forme di filantropia/
investimento che, in perfetto equilibrio tra loro, dovrebbero
condurre all’obiettivo socio­economico della sostenibilità.
­­­­­
]1] “Virtuous Capital. What foundations can learn from Ven­
ture Capital”, C. W. Letts, W. Ryan, A. Grossman, in Harvard
Business Review, March­April 1997.
]2] Per un’attenta ricostruzione storica ed evolutiva, in chiave
economico­sociale, del tema, di particolare interesse si rivela
la lettura di G. Gemelli, in «Ossimori: i vantaggi competitivi
della “filantropia d’impresa”» all’interno dell’opera “Filantropi
di ventura”, a cura di G. Gemelli, ed. Baskerville, Bologna,
2004.
36
]3] Emblematica, in tal senso, appare a nostro avviso, la dichia­
razione di Doug Miller, fondatore e, all’epoca, Presidente della
European Venture Philanthropy Association, resa durante un
convegno in Italia sul tema della Venture Philanthropy, che così
(tradotta, negli atti, in lingua italiana) recita: “.... Lavoro nel
settore finanziario da trentacinque anni e in quello del private
equity da venticinque. Per quanto riguarda la filantropia, fran­
camente per venticinque anni sono stato uno di quelli che
firmavano assegni ad occhi chiusi.....” (in atti del Convegno
“Venture Philanthropy, Un modello per l’Italia?”, organizzato a
Torino il 6 giugno 2008 dalla Fondazione Cassa di Risparmio di
Torino, all’interno della Tavola Rotonda “Venture Philanthropy:
uno strumento utile? Pro e contro, opinioni ed esperienze”).
]4] Concetto attualmente sostenuto con forza a livello euro­
peo e definito nel Libro Verde del luglio 2001 della Commis­
sione delle Comunità Europee come “... l’integrazione volon­
taria delle preoccupazioni sociali e ambientali delle imprese
nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti
interessate .... Essere socialmente responsabili significa non
solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici applicabili, ma
anche, andare al di là investendo di più nel capitale umano,
nell’ambiente e nei rapporti con le altre parti interessate”.
]5] Consistente in un modello evolutivo della stessa Corpora­
te Social Responsibility secondo il quale all’impresa non si
chiede solo una condotta etica ma si chiede di avere una
condotta attiva sui temi di politica sociale.
]6] In tal senso, basti richiamare il fatto che, in Italia, solo di
recente è nata una formale iniziativa di alcune strutture non
profit (AIRC, AISM, CESVI, Lega del Filo d’Oro, Save The
Children, Telethon e WWF) presentata all’Agenzia per le
Onlus (vedi A. Tagliabue, “Un benchmark per il non profit”, in
Il Sole 24Ore del 23 febbraio 2009, pag. 20) e tesa a dar
maggior rilevanza ad un tema (il “benchmark”, appunto) già
oggetto, in verità, di altrettanto recenti osservazioni teoriche
(vedi E. Silva, “Più spazio agli indicatori che misurano le perfor­
mance”, in Il Sole 24Ore del 4 febbraio 2008, pag. 11).
]7] Il tema della professionalizzazione del settore è da sempre
di alta attenzione anche se è di estrema evidenza che, ancor
oggi, identificare l’intero comparto con definizioni ormai ri­
duttive come quella del “volontariato”, induce a volere il
settore come popolato solo da volontari e non da professioni­
sti.
]8] Sul tema, si veda C. Rametta, «Le nuove frontiere della
filantropia: alcune esperienze di “venture philanthropy” nel
contesto nord­americano», in “Filantropi di ventura”, op. cit..
]9] Per un’ampia e dettagliata casistica sulle differenti modalità
di intervento, si vedano “Venture Philanthropy 2002: Advan­
cing Nonprofit Performance Through High­Engagment Grant­
making” e “Venture Philanthropy 2001: The changing landasca­
pe”, reports entrambi preparati da Community Wealth Ventu­
res, Inc. per Venture Philanthropy Partners (http://www.ventu­
rephilanthropypartners.org/) nonché, per l’ambito europeo, la
European Venture Philanthropy Directory 2008/09, pubblicata
dalla European Venture Philanthropy Association (http://
www.evpa.eu.com/).
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
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]10] In tal senso dovrebbero intendersi, a nostro modesto
avviso, le difficoltà d’accesso al comparto come segnalate dagli
stessi operatori italiani di Venture Philanthropy e che si rinven­
gono, ad esempio, nella circostanza per cui “.... Inizialmente si
viene giudicati per il linguaggio che si usa, ancor prima che per
le idee, e questo è stato uno degli ostacoli maggiori. E poi c’è il
problema che il settore non profit è chiuso per varie ragioni.
Non è facile essere accettati; esistono valide ragioni per met­
tere delle barriere ai nuovi arrivati, ci vuole del tempo. Inoltre
è necessario cambiare atteggiamenti, ad esempio perché le
tempistiche sono molto diverse da quelle del settore for
profit.” (vedi, gli interventi di Luciano Balbo, Presidente di
Oltre Venture Capital Sociale, in atti del Convegno “Venture
Philanthropy, Un modello per l’Italia?”, organizzato a Torino il
6 giugno 2008 dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Torino,
all’interno della Tavola Rotonda “Venture Philanthropy: uno
strumento utile? Pro e contro, opinioni ed esperienze”).
]11] Cfr. C. Gallone, “Capitali coraggiosi”, in Capital, dicem­
bre 2008.
]12] Si veda, in tal senso, la relazione al decreto legislativo
recante la «Disciplina tributaria degli enti non commerciali e
delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, in attuazio­
ne della delega recata dall’art. 3, commi 186, 187, 188 e 189
della legge 23 dicembre 1996, n. 662» che, con riferimento
all’introduzione della qualifica tributaria di “Onlus” così recita:
“.... Tale nuova categoria viene definita sulla base di stringenti
criteri di meritorietà, in linea con l’esigenza di riorganizzare lo
stato sociale offrendo ai cittadini la possibilità di indirizzare in
modo alternativo la domanda di servizi sociali. Obiettivo pri­
mario è quello di contribuire alla rivitalizzazione del cosiddet­
to settore non profit o terzo settore, attraverso un razionale
impiego della leva fiscale, così da consentire allo stato di
effettuare risparmi in diversi comparti di servizi, ora diretta­
mente gestiti, che potrebbero essere efficacemente assicurati
da queste realtà emergenti e non più marginali”.
]13]In tal senso, si veda “Non­Profit capitalism”, in The Econo­
mist, New York, 11 settembre 2008.
]14] In tal senso, si veda il progetto “BIS” (Borsa Impresa
Sociale) promosso nel corso dell’anno 2007 dal Comitato
Impresa Sociale; si veda G. Fiorentini, “Il non profit alla prova
della borsa”, in Il Corriere della Sera del 29 dicembre 2007; si
veda infine quanto riportato in C. Benna, “In America le Onlus
ora vanno in borsa”, in Vita, Non Profit Magazine, anno 15,
numero 39, 27 settembre/3 ottobre 2008, pag. 12, in cui è
dato leggersi: “.... Borsa e non profit, diavolo e acquasanta per
molti osservatori. Oggi il rapporto sembra cambiato. Anche in
Italia il dibattito non manca. Dopo la proposta di Stefano
Zamagni di lanciare un Borsino delle imprese sociali, ora è il
tema della partecipazione allargata a tenere banco”.
]15] In tal senso, vedi P. Spinetti, “Il no­profit chiede manager”,
in Il Sole 24ore del 27 febbraio 2007, pag. 30.
]16] Per un’esaustiva rappresentazione delle pratiche di que­
sto tipo realizzate in Italia nel corso dell’anno 2007, si veda la
sesta edizione del “Libro d’oro della Responsabilità Sociale
d’Impresa” in cui vengono riportate annualmente tutte le ini­
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
ziative aziendali candidate per il Sodalitas Social Award o si
consulti il sito internet http://www.sodalitas.socialsolution.it/
in cui sono riportate e documentate oltre 900 iniziative di
responsabilità sociale realizzate da aziende operanti in Italia.
]17] Si veda, in tal senso, la contestazione realizzata, in occa­
sione del “lancio” della Private Equity Foundation, da parte di
alcuni sindacati di lavoratori (cfr. A. Maccaferri, “Il volto buono
del private equity”, in Il Sole 24ore del 21 aprile 2007, pag. 11).
]18] Gli atti del citato convegno “Venture Philanthropy, Un
modello per l’Italia?”, organizzato a Torino il 6 giugno 2008
dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, esprimono, a
nostro modesto avviso, una realtà altamente variegata del
fenomeno in discussione e finiscono addirittura, nell’ultima
parte dedicata a “Le prime iniziative di Fondazione CRT nella
venture philanthropy”, quasi per allontanarsi dal tema specifi­
co.
]19] Legge 30 luglio 1990, n. 218 rubricata “Disposizioni in
materia di ristrutturazione e integrazione patrimoniale degli
istituti di credito di diritto pubblico”.
]20] A titolo esemplificativo, cfr. Corte di Cassazione, SS. UU.
Civ., sentenze nn. 1576 e 1593 del 22 gennaio 2009.
]21] Fonte: Bozze del“Tredicesimo rapporto sulle Fondazioni
di origine bancaria” a cura dell’ACRI (http://www.acri.it/).
]22] Per una elencazione delle stesse, si consulti il sito internet
della stessa Assifero (http://www.assifero.org/).
]23] Cfr. artt. 100, 146 e 147 del TUIR e art. 14 del d.l. 14
marzo 2005, n. 35 conv. con l. 14 maggio 2005, n. 80.
]24] Stando a quanto pubblicato dalla stessa Private Equity
Foundation (http://www.privateequityfoundation.org/), tra i
suoi membri e sostenitori si annoverano, a puro titolo esem­
plificativo e non esaustivo, Apax Partners Worldwide LLP,
Apollo Management International LLP, Bain Capital Ltd, BC
Partners Limited, Bridgepoint Capital Limited, Candover Part­
ners Limited, CCMP Capital Advisors LLP, Cinven Limited,
Clayton Dubilier & Rice Ltd, Goldman Sachs International
(PIA), Kohlberg Kravis Roberts & Co. Ltd, Permiara Advisers
LLP, Providence Equity Partners Limited, Silver Lake, Terra
Firma Capital Partners Limited, TowerBrook Capital Partners,
TPG Capital LLP, The Blackstone Group International Limited,
Warburg Pincus International LLC e altri.
]25] Per una sintetica ma esaustiva rappresentazione delle più
usuali tipologie di programmi di Corporate Giving vedi L.
Michelini “Strategie di Corporate Giving e Cause Related
Marketing in Italia: tra benessere sociale e fini di business” in
Congresso Internazionale “Le tendenze del marketing”, Uni­
versità Ca’ Foscari, Venezia, 28­29 Novembre 2003.
]26] In tal senso, cfr. art.1, comma 3 del D.P.R. 10 febbraio
2000, n. 361 ai sensi del quale “Ai fini del riconoscimento è
necessario che siano soddisfatte le condizioni previste da nor­
me di legge o di regolamento per la costituzione dell’ente, che
lo scopo sia possibile e lecito e che il patrimonio risulti ade­
guato alla realizzazione dello scopo”.
]27] In tal senso, si vedano i risultati della ricerca condotta
dall’Agenzia per le Onlus e racchiusi nella pubblicazione intito­
lata “I registri delle organizzazioni del terzo settore: garanzie
37
Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com
per i cittadini, trasparenza ed equità delle procedure”, a cura
dell’Ufficio di Presidenza, Novembre 2005.
]28] Più in particolare dagli articoli che vanno dal 143 al 149
del TUIR.
]29] Vedi, S. Pettinato, “Enti non commerciali”, Buffetti, Roma,
1980.
]30] Da un punto di vista organizzativo e gestionale, infatti, ci
permettiamo di anticipare come l’Impresa Sociale comporte­
rebbe:
­ doppio bilancio (bilancio d’esercizio e bilancio sociale);
­ necessità di avere una percentuale (non inferiore al 30%) di
dipendenti appartenenti a classi svantaggiate;
­ necessità di “forme di coinvolgimento” di lavoratori e desti­
natari dell’attività;
­ divieto di distribuzione, anche indiretta, di utili o avanzi di
gestione nonché vincoli alla devoluzione del patrimonio resi­
duo in caso di scioglimento dell’ente;
­ divieto dell’esercizio di attività di direzione e controllo sul­
l’Impresa Sociale da parte di imprese private con finalità di
lucro o amministrazioni pubbliche;
­ divieto di rivestire cariche sociali nell’Impresa Sociale per i
soggetti nominati da imprese private con finalità lucrative o
amministrazioni pubbliche;
­ previsione di specifici requisiti di onorabilità, professionalità
ed indipendenza per coloro che assumono cariche sociali;
­ particolari disposizioni in tema di trasformazione, fusione e
scissione tese a preservare l’assenza della finalità di lucro;
­ assoggettabilità alla procedura della liquidazione coatta am­
ministrativa;
­ monitoraggio del Ministero del lavoro e delle politiche sociali
nonché dell’Agenzia per le Onlus.
]31] Cfr. D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155 rubricato “Disciplina
dell’impresa sociale, a norma della legge 13 giugno 2005, n.
118”.
]32] Soltanto nell’anno 2008, infatti, è stato pubblicato il De­
creto Interministeriale 24 gennaio 2008 (in G.U. n. 86 dell’11
aprile 2008) richiesto come elemento essenziale per la forma­
le costituzione di una Impresa Sociale dall’art. 5, comma 5 del
D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155 il quale prevedeva che con
decreto del Ministro delle attività produttive e del Ministro del
lavoro e delle politiche sociali si sarebbero definiti gli atti che
devono essere depositati presso il registro delle imprese da
parte dell’organizzazione che esercita l’impresa sociale e le
procedure connesse.
]33] Vedi C. Borzaga e J. Defourny, “L’impresa sociale in
prospettiva europea. Diffusione, evoluzione, caratteristiche e
interpretazioni teoriche”, Ed.31, Trento, 2001.
]34] La definizione tra virgolette, seppur di inusuale utilizzo, è
chiaramente spendibile alla luce della definizione di Impresa
Sociale riportata nell’art. 1, comma 1 del citato Decreto Legi­
slativo 24 marzo 2006, n. 155 secondo il quale “Possono
acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni
private, ivi compresi gli enti di cui al libro V del codice civile,
38
che esercitano in via stabile e principale un’attività economica
organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o
servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse
generale, .........”.
]35] L’art. 2 del citato D.Lgs. n. 155/2006 prevede, quali settori
di intervento qualificanti:
a) assistenza sociale, ai sensi della legge 8 novembre 2000, n.
328, recante legge quadro per la realizzazione del sistema
integrato di interventi e servizi sociali;
b) assistenza sanitaria, per l’erogazione delle prestazioni di cui
al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 29
novembre 2001, recante «Definizione dei livelli essenziali di
assistenza», e successive modificazioni, pubblicato nel supple­
mento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 33 dell’8 febbraio
2002;
c) assistenza socio­sanitaria, ai sensi del decreto del Presiden­
te del Consiglio dei Ministri in data 14 febbraio 2001, recante
«Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni
socio­sanitarie», pubb
licato nella Gazzetta Ufficiale n. 129 del 6 giugno 2001;
d) educazione, istruzione e formazione, ai sensi della legge 28
marzo 2003, n. 53, recante delega al Governo per la definizio­
ne delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali
delle prestazioni in materia di istruzione e formazione profes­
sionale;
e) tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ai sensi della legge 15
dicembre 2004, n. 308, recante delega al Governo per il
riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in
materia ambientale e misure di diretta applicazione, con esclu­
sione delle attività, esercitate abitualmente, di raccolta e rici­
claggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi;
f) valorizzazione del patrimonio culturale, ai sensi del Codice
dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo
22 gennaio 2004, n. 42;
g) turismo sociale, di cui all’articolo 7, comma 10, della legge
29 marzo 2001, n. 135, recante riforma della legislazione
nazionale del turismo;
h) formazione universitaria e post­universitaria;
i) ricerca ed erogazione di servizi culturali;
j) formazione extra­scolastica, finalizzata alla prevenzione della
dispersione scolastica ed al successo scolastico e formativo;
k) servizi strumentali alle imprese sociali, resi da enti composti
in misura superiore al settanta per cento da organizzazioni
che esercitano un’impresa sociale.
]36] Il riferimento, come di seguito meglio descritto, è alle
disposizioni normative sull’Impresa Sociale, così come conte­
nute nel citato D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155, e sull’esenzione
fiscale delle plusvalenze da “start up”, così come contenute
nell’art. 3 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 convertito con L. 6
agosto 2008, n. 3.
]37] In tal senso, vedi quanto riportato in C. Benna, “In
America le Onlus ora vanno in borsa”, in Vita, Non Profit
Magazine, anno 15, numero 39, 27 settembre/3 ottobre 2008,
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com
pag. 12.
]38] L’art. 3 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con L.
6 agosto 2008, n. 3, testualmente recita: “Dopo il comma 6
dell’articolo 68 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986,
n. 917, sono aggiunti i seguenti commi: «6­bis. Le plusvalenze
di cui alle lettere c) e c­bis) del comma 1, dell’articolo 67
derivanti dalla cessione di partecipazioni al capitale in società
di cui all’articolo 5, escluse le società semplici e gli enti ad esse
equiparati, e all’articolo 73, comma 1, lettera a), costituite da
non più di sette anni, possedute da almeno tre anni, ovvero
dalla cessione degli strumenti finanziari e dei contratti indicati
nelle disposizioni di cui alle lettere c) e c­bis) relativi alle
medesime società, rispettivamente posseduti e stipulati da
almeno tre anni, non concorrono alla formazione del reddito
imponibile in quanto esenti qualora e nella misura in cui, entro
due anni dal loro conseguimento, siano reinvestite in società di
cui all’articolo 5 e all’articolo 73, comma 1, lettera a), che
svolgono la medesima attività, mediante la sottoscrizione del
capitale sociale o l’acquisto di partecipazioni al capitale delle
medesime, sempreché si tratti di società costituite da non più
di tre anni. 6­ter. L’importo dell’esenzione prevista dal comma
6­bis non può in ogni caso eccedere il quintuplo del costo
sostenuto dalla società le cui partecipazioni sono oggetto di
cessione, nei cinque anni anteriori alla cessione, per l’acquisi­
zione o la realizzazione di beni materiali ammortizzabili, diver­
si dagli immobili, e di beni immateriali ammortizzabili, nonché
per spese di ricerca e sviluppo.»
]39] Si veda la Circolare n. 15/E del 10 aprile 2009 dell’Agenzia
delle entrate – Dir. normativa e contenzioso alla quale si
rimanda per ulteriori approfondimenti sul tema specifico.
]40]In assenza di specifiche agevolazioni fiscali per l’Impresa
Sociale, gli elementi da prendere in considerazione per il suo
trattamento tributario si rivelerebbero essere la forma giuridi­
ca adottata (nel caso si adotti una forma societaria) o l’eserci­
zio, in via stabile e principale, di un’attività commerciale en­
trambi elementi sufficienti per ritenere che, in virtù delle sue
primarie caratterizzazioni (esercizio di attività commerciale,
assenza di scopo di lucro e finalità di interesse generale),
l’impresa sociale non potrebbe che ricadere nell’ambito di
applicazione delle prime due lettere (a e b) del comma 1
dell’art. 73 del T.U.I.R., le quali racchiudono il concetto di
società/ente commerciale residente, con la necessaria conse­
guenza che l’imposizione gravante su questo nuovo soggetto
sarebbe sempre quella ordinaria dei soggetti di natura com­
merciale.
]41] L’ultima conferenza annuale della European Venture Phi­
lanthropy Association (EVPA), tenutasi a Francoforte lo scor­
so 23 settembre 2008 presso la Johann Wolfgang Goethe
Universitat, ha visto presenti all’incirca 300 partecipanti prove­
nienti da tutto il mondo ed in gran parte appartenenti a
strutture del comparto professionale bancario e finanziario.
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
PROFESSIONISTI24 ­ MANAGEMENT
AMMINISTRATORI
Contro la condotta dell’amministra­
tore infedele il socio
può proporre querela
Condotta asseritamene infedele degli amministratori della so­
cietà: è valida ed efficace la querela presentata dal singolo
socio in ordine al reato ex art. 2634 c.c.?
”La nuova fattispecie penale dell’infedeltà patrimoniale di cui
all’art. 2634 c.c, è posta a tutela del patrimonio sociale e,
quindi, se non vi è dubbio che la pare lesa di tale reato sia la
società stessa ”tuttavia la condotta dell’amministratore infede­
le è diretta a danneggiare certamente la società, ma principal­
mente i soci o quotisti della stessa che per la infedele attività
dell’amministratore vedono depauperarsi il proprio patrimo­
nio. In siffatta situazione non può negarsi al singolo socio il
diritto di querelarsi contro il presunto responsabile della infe­
deltà proprio perché deve allo stesso riconoscersi non solo la
qualifica di danneggiato del reato, ma anche quella di vera e
propria parte lesa, qualifica che consente la proposizione della
querela ai sensi dell’art. 120 c.p. ”.
E’ quanto ribadito dalla seconda sezione penale della Corte di
Cassazione nella sentenza n. 24824 del 16 giugno scorso.
Secondo la Suprema Corte, infatti ”sarebbe davvero incom­
prensibile sostenere che in una fattispecie quale quella di cui
all’articolo 2634 c.c., contestata, il diritto di querela spetti
esclusivamente all’amministratore della società, legale rappre­
sentante della stessa, quando proprio della sua infedeltà si
deve discutere.”
Va, quindi, affermata la validità e l’efficacia della querela propo­
sta dai singoli soci, nella fattispecie parti civili ricorrenti, affer­
mandosi la piena procedibilità dell’azione penale riguardo al­
l’infedeltà patrimoniale dell’amministratore
Il Merito on line
Tribunale di Bologna 28.04.2009, n. 1005
Penale ­ Reati contro il patrimonio
Nell’ambito del reato di furto, la circostanza attenuante comu­
ne della speciale tenuità di cui all’art. 62, n. 4, non può trovare
applicazione sulla base della semplice restituzione o comunque
del recupero successivo del bene oggetto del reato. Quello
che assume rilevanza ai fini dell’applicazione de quo è solo il
momento relativo alla consumazione del reato rimanendo
ininfluente qualsiasi evento successivo che mitighi o elida in
qualche modo il danno.
(c.p. artt. 62, n. 4; 624).
Tribunale monocratico di Bologna, sentenza del 28 aprile
2009, n. 1005; Giudice Dr.ssa M. De Luca.
39
Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com
a cura di Lex24
DOCUMENTAZIONE
Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez.
grande, sentenza 9 giugno 2009, n. 480/08
Comunità Europea ­ Appalti ­ Amburgo ­ Prestazione di servizi ­
Contratto concluso direttamente ­ E' legittimo in quanto costitui­
sce cooperazione tra enti locali
E' legittimo il contratto stipulato dai Landkreise (circoscri­
zioni amministrative) relativo allo smaltimento dei rifiuti
direttamente con i servizi per la nettezza urbana della città
di Amburgo, senza che tale contratto di prestazione di
servizi sia stato oggetto di una gara d'appalto nell'ambito di
una procedura aperta o ristretta a livello comunitario, in
quanto un'autorità pubblica può adempiere ai compiti di
interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri
strumenti senza essere obbligata a far ricorso ad entità
esterne non appartenenti ai propri servizi e che può farlo
altresì in collaborazione con altre autorità pubbliche. Il
contratto controverso costituisce tanto il fondamento
quanto il quadro giuridico per la costruzione e la gestione
future di un impianto destinato all'espletamento di un ser­
vizio pubblico, ossia la termovalorizzazione dei rifiuti. Det­
to contratto è stato stipulato soltanto da autorità pubbli­
che senza la partecipazione di una parte privata e non pre­
vede né pregiudica l'aggiudicazione degli appalti eventual­
mente necessari per la costruzione e la gestione dell'im­
pianto di trattamento dei rifiuti.
PUBBLICAZIONE: Avv. Costantino Tessarolo, Diritto dei
servizi Pubblici, 2009
Tribunale di primo grado delle Comunità Europee,
sentenza 11 giugno 2009, T 222/04
Comunità europea ­ Aiuti di stato ­ Stato italiano ­ Imprese di
servizi pubblici a prevalente capitale pubblico ­ Esenzioni fiscali
e prestiti agevolati ­ Costituiscono aiuti di stato
40
L'esenzione triennale dall'imposta sul reddito stabilita
dall'art. 3, c. 70, della L. n. 549/1995, e dall'art. 66, c. 14,
del D.L. n. 331/1993, convertito con L. n. 427/1993 e i
vantaggi derivanti dai prestiti concessi dalla Cassa Depositi
e Prestiti (CDDPP) ai sensi dell'art. 9 bis del D.L. n. 318/
1986, convertito con modifiche, con L. n. 488/1986, a favo­
re di società per azioni a partecipazione pubblica maggiori­
taria istituite ai sensi della L. n. 142/1990, costituiscono
aiuti di Stato ai sensi dell'art. 87, par. 1 del Trattato. Infatti,
la concessione, mediante risorse dello Stato, di vantaggi di
tal genere alle società ex lege n. 142/90 produce l'effetto di
rafforzare la loro posizione concorrenziale rispetto a tutte
le altre imprese che intendano fornire gli stessi servizi.
Le misure controverse, pertanto, sono incompatibili con il
mercato comune, in quanto non rispettano né i presuppo­
sti ex art. 87, nn. 2 e 3, CE, non costituiscono un aiuto
esistente né soddisfano i requisiti per godere della deroga
prevista dall'art. 86, n. 2, CE (nella specie, in base a tali
argomentazioni, il Tribunale di primo grado ­ Ottava Sezio­
ne ampliata, ha respinto il ricorso proposto dalla Repubbli­
ca italiana contro la Commissione delle Comunità europee
avente ad oggetto la domanda di annullamento dell'art. 2
della decisione della Commissione 5/6/2002, 2003/193/CE,
relativo alle esenzioni fiscali e prestiti agevolati concessi
dall'Italia in favore di imprese di servizi pubblici locali a
prevalente capitale pubblico).
PUBBLICAZIONE: Avv. Costantino Tessarolo, Diritto dei
servizi Pubblici, 2009
Corte Costituzionale, sentenza 19 maggio 2009, n.
156
Straniero ­ Espulsione amministrativa ­ Reato di rientro senza
autorizzazione nel territorio dello stato ­ trattamento sanziona­
torio ­ Reclusione da uno a quattro anni ­ Denunciata irragione­
volezza nonché violazione dei principi di eguaglianza, di propor­
zionalità e della finalità rieducativa della pena ­ Questioni impli­
canti un intervento sul trattamento sanzionatorio, riservato alla
discrezionalità del legislatore ­ Manifesta inammissibilità
Sono manifestamente inammissibili le questioni di legittimi­
tà costituzionale dell'art. 13, comma 13, del D.Lgs. 25/7/
1998, n. 286, come sostituito dall'art. 1 della legge 12/11/
2004, n. 241 e di seguito modificato dall'art. 2, comma 1,
lettera c), del D.Lgs. 8/1/2007, n. 5, censurato, in riferimen­
to agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., nella parte in cui
prevede la reclusione da uno a quattro anni per lo stranie­
ro espulso che rientri nel territorio dello Stato senza la
speciale autorizzazione del Ministro dell'interno.
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com
Come già rilevato nella sentenza n. 22/2007 con riferimen­
to al trattamento sanzionatorio del reato di indebito trat­
tenimento nel territorio dello Stato, se non si riscontra
una sostanziale identità tra le fattispecie di reato prese a
raffronto e si rileva, come nella specie, una sproporzione
sanzionatoria rispetto a condotte più gravi, un intervento
della Corte non potrebbe rimodulare le sanzioni senza
sostituirsi al legislatore; inoltre, anche con riferimento alla
irragionevolezza intrinseca del trattamento sanzionatorio, il
giudizio di costituzionalità, in assenza di soluzioni costitu­
zionalmente obbligate, non può dar vita ad un nuovo asset­
to delle sanzioni penali. V., citata, sentenza n. 22/2007.
PUBBLICAZIONE: Corte Costituzionale, Sito Ufficiale
C.Cost., 2009
Corte Costituzionale, sentenza 19 maggio 2009, n. 155
Circolazione stradale ­ Reato di guida in stato di ebbrezza ­
Attribuzione della competenza al tribunale in composizio­
ne monocratica ­Denunciata violazione del principio di
eguaglianza rispetto al reato della guida sotto l'effetto di
sostanze stupefacenti, di competenza del giudice di pace ­
Petitum indeterminato e mancata verifica della possibilità di
un'interpretazione conforme a costituzione ­ Manifesta
inammissibilità della questione
È manifestamente inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 186, comma 2, del D.Lgs. 30/4/1992,
n. 285, come sostituito dall'art. 5 del decreto­legge 27/6/
2003, n. 151, convertito, con modificazioni, dalla legge 1/8/
2003, n. 214, censurato, in riferimento all'art. 3 Cost., nella
parte in cui prevede una competenza differenziata per il
reato di guida sotto l'influenza dell'alcool rispetto alla guida
sotto l'influenza di sostanze stupefacenti. Il petitum si pre­
senta, infatti, indeterminato, non essendo chiaro quale sia
l'intervento richiesto, e il rimettente si è sottratto all'obbli­
go di vagliare la possibilità di dare alla norma un'interpreta­
zione conforme a Costituzione. ­ Sulla indeterminatezza
del petitum v., citate, ordinanze n. 54/2008, n. 279 e n.
35/2007. ­ Sulla interpretazione conforme a Costituzione
v., citate, ordinanze n. 133 e n. 47/2007.
Circolazione stradale ­ Reato di guida in stato di ebbrezza ­
Attribuzione della competenza al tribunale in composizio­
ne monocratica ­ Denunciata violazione del principio di
eguaglianza rispetto al reato della guida sotto l'effetto di
sostanze stupefacenti, di competenza del giudice di pace ­
Sopravvenuto mutamento del quadro normativo ­ Inappli­
cabilità della nuova disciplina processuale alla fattispecie di
cui al giudizio a quo ­ necessità di restituire gli atti al rimet­
tente ­ Esclusione
Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 186, com­
ma 2, del D.Lgs. 30/4/1992, n. 285, come sostituito dall'art.
5 del decreto­legge 27/6/2003, n. 151, convertito, con mo­
dificazioni, dalla legge 1/8/2003, n. 214, censurato, in riferi­
mento all'art. 3 Cost., nella parte in cui prevede una com­
petenza differenziata per il reato di guida sotto l'influenza
dell'alcool rispetto alla guida sotto l'influenza di sostanze
stupefacenti, la modifica della disciplina processuale succes­
sivamente al deposito dell'ordinanza di rimessione non
comporta la restituzione degli atti al rimettente, poiché
detta novella è inapplicabile alla fattispecie, per effetto del
principio tempus regit actum , in base al quale, per stabilire
la competenza a giudicare un certo reato, ha rilievo il tem­
pus commissi delicti o la data di promuovimento dell'azio­
ne penale da parte del pubblico ministero.
PUBBLICAZIONE: Corte Costituzionale, Sito Ufficiale
C.Cost., 2009
Corte di Cassazione, sez. I, civile, sentenza 26 maggio
2009, n. 12138
Intermediazione finanziaria ­ Operatore qualificato secon­
do la definizione del Reg. Consob 5387/1991 ­ dovere
dell'intermediario di accertare l'effettiva esistenza dell'espe­
rienza dichiarata ­ Esclusione ­ Rilevanza di elementi con­
trari in possesso dell'intermediario ­ Sussistenza ­ Valore
confessorio della dichiarazione di operatore qualificato ­
Esclusione
L'art. 13 del regolamento di cui alla delibera Consob 2/7/
1991, n. 5387, secondo il quale è classificabile come opera­
tore qualificato anche «ogni società o persona giuridica in
possesso di una specifica competenza ed esperienza in
materia di operazioni in valori mobiliari espressamente
dichiarata per iscritto», esonera l'intermediario dal verifica­
re l'effettiva esperienza dichiarata nel senso che, in man­
canza di elementi contrari già in suo possesso, la semplice
dichiarazione in questione, pur non costituendo dichiara­
zione confessoria in quanto volta alla formulazione di un
giudizio e non alla affermazione di scienza e verità di un
fatto obiettivo, esonera l'intermediario dalle verifiche sul
punto. Tale dichiarazione, inoltre, in difetto di contrarie
allegazioni specificamente dedotte e dimostrate dalla parte
interessata e di ulteriori riscontri, può costituire argomen­
to di prova che il giudice ­ nell'esercizio del discrezionale
potere di valutazione del materiale probatorio a propria
disposizione ed apprezzando il complessivo comportamen­
to extraprocessuale e processuale delle parti ­ può porre a
fondamento della propria decisione anche come unica fon­
te di prova per quanto riguarda la sussistenza in capo all'in­
vestitore della sua natura di operatore qualificato e la dili­
genza prestata dall'intermediario.
PUBBLICAZIONE: Centro studi giuridici di Mantova,
www.Ilcaso.it, 2009, , pg. 1757, pt. I
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
41
Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com
Tribunale di Trento, civile, 22 maggio 2009
Consulenza tecnica a fini conciliativi ­ Natura e finalità del pro­
cedimento ­ Strumento di deflazione processuale ­ Individuazio­
ne della competenza ­ Ricorso ai criteri di cui all'art. 669 quin­
quies c.p.c. ­ esclusione ­ Collegamento con il luogo di svolgi­
mento delle operazioni del consulente ­ Necessità ­ fattispecie in
tema di contratti derivati
La consulenza tecnica preventiva di cui all'art. 696 bis codi­
ce di procedura civile può essere chiesta anche ai fini
dell'accertamento e della determinazione di crediti deri­
vanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni
processuali e si sostanzia in un vero e proprio strumento
di deflazione processuale; proprio in ragione della partico­
lare natura del procedimento, l'individuazione della compe­
tenza non può essere effettuata sulla scorta di quanto di­
sposto dall'art. 669 quinquies codice di procedura civile,
dovendosi invece avere riguardo alle concrete modalità di
attuazione che richiedono un collegamento con il luogo
ove il consulente deve effettuare le operazioni. (Nel caso di
specie, la consulenza preventiva a fini di conciliazione è
stata disposta in ordine alle caratteristiche ed agli effetti di
un contratto derivato su tassi di interesse).
PUBBLICAZIONE: Centro studi giuridici di Mantova,
www.Ilcaso.it, 2009, pg. 1750, pt.
Tribunale di Padova, civile, 25 marzo 2009
Amministrazione di sostegno ­ Giudizi promossi prima della
misura di protezione ­ Autorizzazione del giudice tutelare ­ Non
necessità
L'amministratore di sostegno o il tutore non necessitano
della autorizzazione del giudice tutelare per proseguire i
giudizi promossi dal beneficiario prima dell'attivazione della
misura di protezione personale.
PUBBLICAZIONE;
Tribunale di Napoli, civile, 11 marzo 2009
Processo esecutivo ­ Notifica del titolo esecutivo ­ Decreto in­
giuntivo ­ Deroga all'art. 479 c.p.c. ­ condominio ­ Azione pro­
mossa in danno di singolo condomino ­ Notifica all'amministra­
tore del decreto
42
In caso di azione esecutiva promossa in danno di un singo­
lo condomino sulla scorta di un decreto ingiuntivo emesso
nei confronti del condominio, è applicabile il disposto di cui
all'art. 654, comma 2, codice procedura civile, secondo cui,
in deroga all'art. 479 codice procedura civile, ai fini
dell'esecuzione, non occorre una nuova notificazione del
decreto esecutivo purché il decreto ingiuntivo, anche se
non in forma esecutiva, sia già stato notificato all'ammini­
stratore del condominio ai sensi dell'art. 643, comma 2,
codice procedura civile e nel precetto si faccia menzione
del provvedimento che ha disposto l'esecutorietà e dell'ap­
posizione della formula.
PUBBLICAZIONE
Centro studi giuridici di Mantova, www.Ilcaso.it, 2009, pg.
1754, pt. I
Tar, Campania­Napoli, 12 dicembre 2008, n. 21306
Sanità pubblica ­ Ospedali, ambulatori, case di cura, enti sanita­
ri ­ In genere ­ Strumenti volti a disincentivare il ricorso al taglio
cesareo ­ Comprendono le misure di carattere tariffario
Non è irragionevole che, nel quadro delle iniziative volte a
promuovere il parto fisiologico, si inseriscano anche stru­
menti volti a disincentivare il taglio cesareo, ivi comprese
misure di carattere tariffario che neutralizzino nella scelta
del taglio cesareo l'influsso di fattori estranei al giudizio
professionale e scientifico.
Sanità pubblica ­ Ospedali, ambulatori, case di cura, enti sanita­
ri ­ In genere ­ Ricorso al taglio cesareo per un parto a basso
rischio ­ Regime tariffario previsto per il parto fisiologico ­ Irra­
gionevolezza ­ Esclusione.
Non è irragionevole che, in caso di ricorso al taglio cesa­
reo per un parto a basso rischio, venga applicato il regime
tariffario previsto per il parto vaginale, poiché la remunera­
zione in tal caso, anche se inferiore al costo dell'operazio­
ne, corrisponde al beneficio in termini di salute a fronte
delle risorse impiegate che legittima l'erogazione a carico
del Servizio Sanitario Nazionale di una prestazione sanita­
ria solo se appropriata, in base all'art. 1 comma 7, D.Lgs. n.
502 del 1992.
Sanità pubblica ­ In genere ­ Piano di rientro dal disavanzo con­
cordato con i ministeri della salute e dell'economia ­ Limiti alla
possibilità per la regione di individuare e applicare ulteriori inter­
venti di contenimento della spesa e di riduzione del disavanzo ­
Insussistenza.
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com
È da escludere che il piano di rientro dal disavanzo concor­
dato con i Ministeri della Salute e dell'Economia ed appro­
vato con delibera di Giunta Regionale n. 460 del 20/3/2007
­ finalizzato ad individuare gli interventi necessari per il
perseguimento del riequilibrio economico ­ escluda o limiti
la possibilità per la Regione di individuare e applicare ulte­
riori interventi aventi il medesimo obiettivo di contenimen­
to della spesa e di riduzione del disavanzo.
Gazzetta Ufficiale ­ Serie Generale n. 136 del 15­6­2009
Sanità pubblica ­ In genere ­ Determinazione tariffaria ­ Atto
amministrativo a carattere generale ­ adozione ­ Rientra nella
competenza della giunta regionale.
Gazzetta Ufficiale ­ Serie Generale n. 137 del 16­6­2009
La determinazione tariffaria consiste in un atto amministra­
tivo a carattere generale, privo della natura normativa at­
tribuibile al regolamento vero e proprio, per cui la compe­
tenza in materia va riconosciuta alla Giunta Regionale piut­
tosto che al Consiglio Regionale, secondo le indicazioni
contenute anche nell'art. 12, L. rg. n. 10 del 2002.
Disposizioni urgenti in materia di contrasto alla pirateria
PUBBLICAZIONE: Giuffré, Foro Amministrativo ­ TAR,
2008, 12, pg. 3411
GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI
PROVVEDIMENTO 28 maggio 2009
Sospensione, nelle aree interessate dagli eventi sismici in
Abruzzo, dei termini previsti per gli adempimenti dei prov­
vedimenti del Garante.
DECRETO­LEGGE 15 giugno 2009, n. 61
Gazzetta Ufficiale ­ Serie Generale n. 138 del 17­6­2009
DECRETO LEGISLATIVO 14 maggio 2009, n. 64
Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni
del Regolamento (CE) n. 423/2007, concernente misure
restrittive nei confronti dell'Iran
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
DECRETO 3 giugno 2009
Gazzetta Ufficiale
La Redazione di Lex24 segnala
Gazzetta Ufficiale ­ Serie Generale n. 131 del 9­6­2009
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MI­
NISTRI 3 giugno 2009
Modalità di applicazione della Comunicazione della Com­
missione europea ­ quadro di riferimento temporaneo
comunitario per le misure di aiuto di Stato a sostegno
dell'accesso al finanziamento nell'attuale situazione di crisi
finanziaria ed economica
Gazzetta Ufficiale ­ Serie Generale n. 132 del 10­6­2009
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 2
aprile 2009, n. 59
Regolamento di attuazione dell'articolo 4, comma 1, lette­
re a) e b), del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192,
concernente attuazione della direttiva 2002/91/CE sul ren­
dimento energetico in edilizia.
Modifica ed integrazione dei criteri per la nomina dei giudi­
ci onorari di Tribunale
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
DECRETO 19 maggio 2009
Approvazione della revisione congiunturale degli studi di
settore
AUTORITA' PER LE GARANZIE NELLE COMUNICA­
ZIONI
DELIBERAZIONE 14 maggio 2009
Approvazione delle linee­guida per la commercializzazione
dei diritti audiovisivi sportivi ai sensi dell'articolo 6, comma
6, del decreto legislativo 9 gennaio 2008, n. 9. (Deliberazio­
ne n. 260/09/CONS) (S.O. n. 93)
Gazzetta Ufficiale ­ Serie Generale n. 139 del 18­6­2009
DECRETO LEGISLATIVO 18 maggio 2009, n. 66
MINISTERO DELL'INTERNO
Attuazione della direttiva 2006/93/CE sulla disciplina
dell'utilizzazione degli aerei di cui all'allegato 16 della Con­
venzione sull'aviazione civile internazionale, volume I, parte
II, capitolo 3, seconda edizione (1988 versione codificata).
DECRETO 8 giugno 2009
Gazzetta Ufficiale ­ Serie Generale n. 140 del 19­6­2009
Criteri e modalità per la erogazione del primo rimborso ai
comuni, anno 2009, dell'ICI sull'abitazione principale.
LEGGE 18 giugno 2009, n. 69
Gazzetta Ufficiale ­ Serie Generale n. 135 del 13­6­2009
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
43
Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com
Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione,
la competitività nonché in materia di processo civile. (S.O.
n. 95)
ISTITUTO PER LA VIGILANZA SULLE ASSICURAZIONI
PRIVATE E DI INTERESSE COLLETTIVO
PROVVEDIMENTO 1 giugno 2009 (Regolamento n. 31)
Regolamento recante la disciplina della banca dati sinistri di
cui all'articolo 135 del decreto legislativo 7 settembre
2005, n. 209 ­ codice delle assicurazioni private.
Gazzetta Ufficiale ­ Serie Generale n. 141 del 20­6­2009
GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI
PROVVEDIMENTO 18 giugno 2009
Fotografie riprese all'interno di luogo di dimora privata:
divieto di affissione
MINISTERO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE
POLITICHE SOCIALI
ORDINANZA 16 giugno 2009
Iscrizione temporanea di alcune composizioni medicinali
nella tabella II, sezione D, allegata al testo unico delle leggi
in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psico­
trope e di prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati
di tossicodipendenza.
BANCA D'ITALIA
PROVVEDIMENTO 14 maggio 2009
Provvedimento in materia di soggetti operanti nel settore
finanziario
La Redazione di Lex24 segnala
Senato della Repubblica
1a Commisione (affari costituzionali) ­ Settimana dal 22 al 26
giugno 2009
martedì 23
seduta plenaria (n. 112)
ddl 1611 e connessi (intercettazioni) ­ sede consultiva ­ relato­
re: Boscetto ­ commissioni riunite 1a e 2a
ddl 733­B (sicurezza pubblica) ­ sede referente ­ relatori:
Vizzini (1ª) e Berselli (2ª)
ddl 1079 e connessi (prostituzione) sede referente ­ relatori:
Vizzini (1ª) e Berselli (2ª)
mercoledì 24
commissioni riunite 1a e 2a
ddl 733­B (sicurezza pubblica) ­ sede referente ­ relatori:
44
Vizzini (1ª) e Berselli (2ª)
ddl 1079 e connessi (prostituzione) ­ sede referente ­ relatori:
Vizzini (1ª) e Berselli (2ª) mer 24
seduta plenaria (n. 113)
ddl 1552 (distacco di comuni dalla Regione Marche alla Regio­
ne Emilia­Romagna) ­ sede referente ­ relatori: Ceccanti e
Saltamartini
giovedì 25
commissioni riunite 1a e 11a
ddl 1167 (lavoro pubblico e privato) ­ sede referente ­ relatori:
Saltamartini (1a) e Castro (11a)
ufficio di presidenza
audizioni delle organizzazioni sindacali in merito all’AG n. 82
(lavoro pubblico)
­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­
­­
2a Commissione permanente (giustizia) ­ Settimana dal 22 al
26 giugno 2009
martedì 23
Sede consultiva
Seguito esame A.G. n. 79 (sicurezza nei luoghi di lavoro). ­
osservazioni alla 11a Commissione ­ Rel. GALLONE
Sede referente
Seguito esame ddl 1440 e congiunti (processo penale) e peti­
zioni nn. 482 e 607. ­ Rel. LONGO Esame ddl 1611 e congiun­
ti (intercettazioni). ­ Rel. CENTARO Sede consultiva su atti
del Governo Esame AG n. 55­bis (sostanze chimiche). ­ Rel.
LONGO Esame AG n. 94 (igiene dei mangimi). ­ Rel. ALLE­
GRINI ore 15,30
Commissioni 1a e 2a riunite
Sede referente
Seguito esame ddl 733­B (sicurezza pubblica) e petizione n.
660 ­ Rel. VIZZINI (1a) e BERSELLI (2a)
Seguito esame ddl 1079 e congiunti (prostituzione). ­ Rel.
VIZZINI (1a) e BERSELLI (2a) (Aula 1a Commissione) ore
20,30 Commissione giustizia
Sede consultiva
Seguito esame A.G. n. 79 (sicurezza nei luoghi di lavoro). ­
osservazioni alla 11a Commissione ­ Rel. GALLONE Sede
referente Seguito esame ddl 1440 e congiunti (processo pena­
le) e petizioni nn. 482 e 607. ­ Rel. LONGO Esame ddl 1611 e
congiunti (intercettazioni). ­ Rel. CENTARO
Sede consultiva su atti del Governo
Esame AG n. 55­bis (sostanze chimiche). ­ Rel. LONGO Esa­
me AG n. 94 (igiene dei mangimi). ­ Rel. ALLEGRINI
mercoledì 24
Commissioni 1a e 2a riunite
Sede referente Seguito esame ddl 733­B (sicurezza pubblica) e
petizione n. 660 ­ Rel. VIZZINI (1a) e BERSELLI (2a)
Seguito esame ddl 1079 e congiunti (prostituzione). ­ Rel.
VIZZINI (1a) e BERSELLI (2a) (Aula 1a Commissione) ore 15
Commissione giustizia
Sede consultiva
Seguito esame A.G. n. 79 (sicurezza nei luoghi di lavoro). ­
osservazioni alla 11a Commissione ­ Rel. GALLONE Sede
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com
referente Seguito esame ddl 1440 e congiunti (processo pena­
le) e petizioni nn. 482 e 607. ­ Rel. LONGO Esame ddl 1611 e
congiunti (intercettazioni). ­ Rel. CENTARO Sede consultiva
su atti del Governo Esame AG n. 55­bis (sostanze chimiche). ­
Rel. LONGO Esame AG n. 94 (igiene dei mangimi). ­ Rel.
ALLEGRINI
Camera dei Deputati
Convocazione della I Commissione (Affari costituzionali, della
Presidenza del Consiglio e Interni)
martedì 23 giugno
Al termine SEDE CONSULTIVA Alla XIV Commissione:
Legge comunitaria 2009 (C. 2449 Governo)
Relazione sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea nel
2008 (Doc. LXXXVII, n. 2) (esame congiunto – Rel. Pastore)
Al termine SEDE REFERENTE
Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, in
materia di soppressione delle province (seguito esame C.
1694 cost. Nucara, C. 1836 cost. Scandroglio, C. 1989 cost.
Casini, C. 1990 cost. Donadi, C. 2010 cost. Versace e C. 2264
cost. Pisicchio – Rel. Bruno)
Introduzione dell’articolo 114­bis del testo unico di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n.
361, in materia di reati elettorali (seguito esame C. 465 Anna
Teresa Formisano – Rel. Tassone)
Al termine COMITATO PERMANENTE PER I PARERI
Legge comunitaria 2008 (esame emendamenti C. 2320 ­bis /B
Governo, approvato dal Senato, modificato dalla Camera e
nuovamente modificato dal Senato – Rel: Vanalli)
Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle
imprese, nonché in materia di energia (esame emendamenti
C. 1441 ­ter /C Governo, approvato dalla Camera e modifica­
to dal Senato – Rel. Orsini)
Alla XI Commissione:
Modifiche al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in
materia di diritti e prerogative sindacali di particolari categorie
di personale del Ministero degli affari esteri (esame nuovo
testo C. 717 Fedi – Rel. Bernini)
Al termine SEDE REFERENTE
Introduzione dell’articolo 114­bis del testo unico di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n.
361, in materia di reati elettorali (seguito esame C. 465 Anna
Teresa Formisano – Rel. Tassone)
Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, in
materia di soppressione delle province (seguito esame C.
1694 cost. Nucara, C. 1836 cost. Scandroglio, C. 1989 cost.
Casini, C. 1990 cost. Donadi, C. 2010 cost. Versace e C. 2264
cost. Pisicchio – Rel. Bruno)
mercoledì 24 giugno
Al termine SEDE CONSULTIVA
Legge comunitaria 2009 (C. 2449 Governo)
Relazione sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea nel
2008 (Doc. LXXXVII, n. 2) (seguito esame congiunto – Rel.
Pastore)
Al termine SEDE REFERENTE
Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, in
Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009
materia di soppressione delle province (seguito esame C.
1694 cost. Nucara, C. 1836 cost. Scandroglio, C. 1989 cost.
Casini, C. 1990 cost. Donadi, C. 2010 cost. Versace e C. 2264
cost. Pisicchio – Rel. Bruno)
Introduzione dell’articolo 114­bis del testo unico di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n.
361, in materia di reati elettorali (seguito esame C. 465 Anna
Teresa Formisano – Rel. Tassone)
Convocazione della II Commissione (Giustizia)
martedì 23 giugno
COMMISSIONI RIUNITE (Aula II Commissione) (II e III) SE­
DE REFERENTE
D.L. 61/09: Disposizioni urgenti in materia di contrasto alla
pirateria (esame C. 2511 Governo ­ Rel. per la II Commissio­
ne: Mariarosaria Rossi; ­ Rel. per la III Commissione: Maran)
Al termine SEDE REFERENTE
Disposizioni in materia di cognome dei figli C. 36 Brugger, C.
960 Colucci, C. 1053 Santelli, C. 1699 Garavini, C. 1703
Mussolini e C. 1712 Bindi – Rel. Bongiorno)
Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di
composizione delle crisi da sovraindebitamento (seguito esa­
me C. 2364 , approvata dal Senato, e petizione n. 638 – Rel.
Bongiorno)
Modifiche al codice penale in materia di prescrizione del reato
(seguito esame C. 1235 Ferranti – Rel. Ferranti)
mercoledì 24 giugno
SEDE REFERENTE
Disposizioni in materia di violenza sessuale (seguito esame C.
611 Caparini, C. 666 Lussana, C. 817 Angela Napoli, C. 924
Pollastrini, C. 688 Prestigiacomo, C. 574 De Corato, C. 952
Pelino, C. 1424 Governo, C. 2167 Pelino, C. 2142 Saltamarti­
ni, C. 2194 Carlucci e C. 2229 Cosenza – Rel. Lussana)
giovedì 25 giugno
SEDE REFERENTE
Disposizioni in materia di violenza sessuale (seguito esame C.
611 Caparini, C. 666 Lussana, C. 817 Angela Napoli, C. 924
Pollastrini, C. 688 Prestigiacomo, C. 574 De Corato, C. 952
Pelino, C. 1424 Governo, C. 2167 Pelino, C. 2142 Saltamarti­
ni, C. 2194 Carlucci e C. 2229 Cosenza – Rel. Lussana)
­Disposizioni in materia di false comunicazioni sociali e di altri
illeciti societari (esame C. 1895 Palomba – Rel. Palomba)
Al termine ATTI COMUNITARI
Libro verde sulla revisione del regolamento (CE) n. 44/2001
del Consiglio concernente la competenza giurisdizionale, il
riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile
e commerciale (COM(2009)175 def.)
Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Con­
siglio e al Comitato economico e sociale europeo sull’applica­
zione del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio concer­
nente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’ese­
cuzione delle decisioni in materia civile e commerciale
(COM(2009)174 def.) (seguito esame congiunto ­ Rel. Ciriel­
lo)
Convocazione della XI Commissione (Lavoro pubblico e pri­
vato)
45
Stampato dal sito www.lex24.ilsole24ore.com
martedì 23 giugno
SEDE REFERENTE
Interventi per agevolare la libera imprenditorialità e per il
sostegno del reddito (esame C. 2424 Antonino Foti – Rel.
Antonino Foti)
COMMISSIONI RIUNITE (Aula I Commissione)
(I e XI) AUDIZIONI INFORMALI
Audizioni in relazione all’esame dello schema di decreto legi­
slativo recante attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in
materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico
e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni
(atto n. 82):
Al termine COMMISSIONI RIUNITE (Aula I Commissione)
(I e XI) UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAP­
PRESENTANTI DEI GRUPPI
SEDE CONSULTIVA
Alla XIV Commissione:
Legge comunitaria 2009 (C. 2449 Governo)
Relazione sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea nel
2008 (Doc. LXXXVII, n. 2) (seguito esame congiunto – Rel.
Giammanco)
COMMISSIONI RIUNITE (Aula XI Commissione)
(XI e XII) ATTI DEL GOVERNO
Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e
correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in mate­
ria di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (segui­
to esame atto n. 79 – Rel. per la XI Commissione: Cazzola;
Rel. per la XII Commissione: Barani)
mercoledì 24 giugno
UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESEN­
TANTI DEI GRUPPI
SEDE CONSULTIVA
Alla XIV Commissione:
Legge comunitaria 2009 (C. 2449 Governo)
Relazione sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea nel
2008 (Doc. LXXXVII, n. 2) (seguito esame congiunto – Rel.
Giammanco)
Al termine SEDE REFERENTE
Disposizioni in materia di previdenza per i lavoratori autonomi
non esercenti professioni regolamentate (seguito esame C.
2312 Saglia e C. 2345 Narducci – Rel. Scandroglio)
COMMISSIONI RIUNITE (Aula XII Commissione)
(XI e XII) ATTI DEL GOVERNO
Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e
correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in mate­
ria di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (segui­
to esame atto n. 79 – Rel. per la XI Commissione: Cazzola;
Rel. per la XII Commissione: Barani)
giovedì 25 giugno
SEDE CONSULTIVA
Alla XIV Commissione:
Legge comunitaria 2009 (seguito esame C. 2449 Governo –
Rel Giammanco)
Relazione sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea nel
2008 (seguito esame Doc. LXXXVII, n. 2 – Rel. Giammanco)
46
Al termine COMITATO RISTRETTO
Norme in favore di lavoratori con familiari gravemente disabili
(seguito esame testo unificato C. 82 Stucchi, C. 322 Barbieri,
C. 331 Schirru, C. 380 Volontè, C. 527 Osvaldo Napoli, C.
691 Prestigiacomo, C. 870 Ciocchetti, C. 916 Marinello, C.
1279 Grimoldi, C. 1377 Naccarato, C. 1448 Caparini, C. 1504
Cazzola, C. 1995 Commercio, C. 2273 Pisicchio – Rel. Delfi­
no)
Al termine COMITATO RISTRETTO
Disciplina delle attività subacquee e iperbariche (seguito esa­
me C. 344 Bellotti e C. 2369 Lo Presti – Rel. Di Biagio)
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Newsletter n. 5 ­ 22 giugno 2009