Orrore per le donne nella Repubblica del Congo
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Orrore per le donne nella Repubblica del Congo
DOSSIER DONNA Orrore per le donne nella Repubblica del Congo La Repubblica democratica del Congo ospita da molti anni la più grande missione di mantenimento della pace mai condotta dalle Nazioni Unite. Circa 17’000 uomini armati hanno il mandato di garantire le frontiere e di proteggere le popolazioni civili. Ma cosa fa questa polizia? a cura di alliance sud* «Le estorsioni avvengono sotto gli occhi anche dei caschi blu, a volte a qualche centinaio di metri dalle loro posizioni, e non battono ciglio», denuncia Michel Hoffman, un “guastafeste” dell’ambiente umanitario. Prima attivo a Terre des Hommes, exdirettore della Fondazione vallesana per l’accoglienza dei richiedenti d’asilo (Fareas), l’uomo ha l’indignazione nel sangue. Questa volta si ribella all’impresa di «annientamento del genere femminile» in azione nella regione. Nelle due province del Nord e del Sud-Kivu, al confine tra Uganda, Ruanda e Burundi, Human Rights Watch ha denunciato questa «guerra nella guerra»: lo stupro, arma di distruzione di massa. Medici senza frontiere ha documentato il naufragio economico e sociale rappresentato da questo scatenarsi di violenze sessuali. Le vittime sono donne, migliaia, perfino decine di migliaia. In occasione di due viaggi nella regione, Michel Hoffman ha potuto raccogliere la testimonianza di una cinquantina di vittime: donne anziane, giovani e bambine - dai 4 agli 80 anni. Per aiutarle, alcune organizzazioni – «qualche cuore d’oro fra una miriade di illusionisti, ciarlatani e avvoltoi», deplora Hoffman – lavorano nella miseria più totale. La sua associazione, Vivere, con altri partner, le aiuta a fornire cure mediche, sostegno psicologico, assistenza alle vittime che vorrebbero sporgere denuncia. La cooperazione svizzera comincia anch’essa a finanziare attività dello stesso genere. Orrore Numerosi i carnefici: soldati dell’esercito più o meno regolare, membri di milizie nazionali o straniere che pullulano nella regione. L’impunità è la regola. Non pagati, questi uomini vivono sulle spalle della popolazione, per tutti i loro bisogni. Interi villaggi vengono taglieggiati con stupri e assassini fino al pagamento della somma richiesta. Oltre a questo, anche decine di agenti della Missione dell’ONU in Congo (MONUC) hanno commesso abusi sessuali. Soldati, ma anche personale amministrativo. Quando viene interpellata, l’organizzazione risponde soprattutto con il silenzio, evocando vaghe inchieste interne. Il protettore dei civili che diventa aguzzino! Le Congolesi sarebbero maledette? Davanti a un tale disprezzo, Vivere ha deciso di sostenere una denuncia contro la MONUC, davanti ad un tribunale di Uvira nel Sud-Kivu. Ma non per stupro. Secondo numerose testimonianze, un soldato dell’ONU ha ucciso il 10 ottobre 2004 un ragazzo di 12 anni. Vivere accusa dunque il simbolo dell’impegno internazionale nel pantano congolese. «Bisogna braccare dappertutto l’impunità. Se la MONUC non parla e non rende conto delle proprie azioni, come può ispirare fiducia nella popolazione?» continua Hoffmann. Sull’altro fronte non ha esitato ad andare a dire il fatto suo al generale Dounia, considerato uno dei principali capi dei Maï Maï, i combattenti congolesi mobilitati contro l’occupazione straniera. Arrivato al suo rifugio, in fondo a una penisola sul lago Tanganica, Hoffman gli ha ricordato che la Corte penale internazionale si occuperà presto di alcuni seviziatori congolesi. fonte: Un solo mondo n° 1 marzo 2004 Lettera a Micheline Calmy Rey Molte organizzazioni chiedono ora che la MONUC assolva il suo mandato con più assiduità, in particolare per la protezione delle popolazioni civili. Nel febbraio scorso, nove caschi blu del Bangladesh sono stati uccisi nell’Ituri. Per tre giorni, i soldati della MONUC, con l’esercito congolese, hanno condotto un’operazione energica contro il baluardo della milizia responsabile. «La MONUC ha perso nove uomini. Ci si aspetterebbe che si faccia male in questo modo tutti i giorni, quando i civili vengono colpiti sotto i suoi occhi», spiega il presidente di Vivere. Il 31 marzo, egli ha indirizzato una lettera alla consigliera federale Micheline Calmy-Rey. «La Svizzera è attiva e rispettabile nel campo dei diritti dell’uomo. Si chiede ch’essa insista perché la MONUC protegga meglio i civili». ! * Fabrice Boaule, INFOSUD - Traduzione. Anna Rizzo-Maggi il dialogo IV e V/05 13