Scritture al femminile - catalogo
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Scritture al femminile - catalogo
FESTA DEL LAVORO 1° MAGGIO 2013 Scritture al femminile. Voci di donne tra Otto e Novecento nelle carte dell’Archivio di Stato di Bologna Esposizione di documenti a cura di Carmela Binchi e Salvatore Alongi Archivio di Stato di Bologna – Sala Cencetti Piazza de’ Celestini, 4 orario di apertura: ore 9-19 (ultimo ingresso ore 18.30) dal 2 al 31 maggio (esclusi sabato pomeriggio e domenica) la mostra si potrà visitare su appuntamento (051223891) Ingresso gratuito Informazioni 051223891 – 051239590 www.archiviodistatobologna.it [email protected] Introduzione La scrittura è un tema che gli Archivi di Stato consentono di ripercorrere sotto innumerevoli aspetti. Questa esposizione intende indagare nello specifico il binomio “donna e scrittura” sotto un duplice aspetto. Da una parte quello dell’estensione della pratica della scrittura fra Ottocento e Novecento, ampliamento che ovviamente non riguarda soltanto le donne ma che in questa occasione viene declinato al femminile: attraverso l’analisi di un’accurata selezione di documenti è possibile osservare come dalla corrispondenza di donne appartenenti a grandi, se non grandissime famiglie (come Teresa Malvezzi o Carolina Bonaparte), si passi a quella di donne nate in ambienti molto più modesti (come Aurelia Benco o Virginia Tabarroni). L’altro aspetto è legato alla produzione letteraria e documentaria che ha come centro di interesse la donna: componimenti poetici, sciarade, opere teatrali e saggi storici, ma anche rapporti di polizia, schede segnaletiche e atti giudiziari segnano quasi il confine fra le donne che venivano accettate e integrate all’interno della società in cui erano nate, e quelle che al contrario ne venivano emarginate in quanto potenzialmente sovversive. Elisabetta Arioti Direttore dell’Archivio di Stato di Bologna 1. Maria Anna Bonaparte, detta Elisa, sposata Baciocchi Maria Anna Bonaparte, detta Elisa (Ajaccio, 1777 – Trieste, 1820) (1), sorella di Napoleone e moglie del capitano corso Felice Baciocchi, era divenuta nel 1809 granduchessa di Toscana. Fuggita da Firenze alla caduta del fratello, dopo aver peregrinato tra Genova, Torino e la Francia, giunse a Bologna, dove, prima di recarsi a Vienna, si trattenne per un breve periodo, ospite del conte Antonio Aldini. A lui la principessa affidò il patrocinio dei propri interessi, fortemente colpiti dal sequestro di tutti i suoi beni, seguito alla perdita del ducato toscano. L’Aldini era a sua volta a Vienna durante il congresso del 1815, per sostenere le ragioni di Bologna e tentare di impedirne la restituzione al dominio pontificio. In quell’occasione si adoperò in ogni modo in favore di Elisa, nonostante l’atteggiamento ostile del governo austriaco e del Metternich in particolare (2), ma, per quanto solerte e zelante fosse il suo impegno, non riuscì mai nell’intento se non in minima parte. Nel frattempo la principessa era tornata a Bologna e ancora una volta il conte Aldini, rientrando anch’egli da Vienna, le offriva i suoi servigi «dans cette dernière ville, fort heureux si je peus en quelque sorte les lui rendre utiles. Daignez donc Madame en profiter sans reserve» (3). Ma, nel marzo del 1815, Elisa, costretta dalle truppe imperiali ad abbandonare repentinamente Bologna e la sua famiglia, fu condotta in Austria. A nulla valsero l’impegno e le premure del conte Aldini, che anche in questa circostanza tentò invano di ottenere alla principessa il permesso di rientrare nella città emiliana. Ella credette, esiliato il fratello a S. Elena, di poter finalmente realizzare il suo desiderio, ma il governo austriaco le concesse solo di stabilirsi a Trieste, dove infine visse fino alla morte. Citazioni bibliografiche e archivistiche 1. F. GIORGI, La villa Baciocchi ora Cacciaguerra a Belpoggio presso Bologna. Notizie della vita bolognese nella prima metà del sec. XIX, Bologna, Stabilimento A. Cacciari, 1910. 2. Antonio Aldini ad Elisa Baciocchi, Vienna, 26 maggio 1815 (Archivio di Stato di Bologna, Aldini, bb. 8-9, “Affari dell’ex granduchessa di Toscana principessa Elisa Bonaparte, del principe Baciocchi e dell’ex re di Westfalia Girolamo Napoleone, trattati dal conte Aldini a Vienna durante il congresso dei sovrani alleati”). 3. Antonio Aldini ad Elisa Baciocchi, Vienna, 23 settembre 1815 (ibidem). 2. Carolina Bonaparte e Letizia Murat: due “regine” e un matrimonio Dall’esilio al quale era costretta, Carolina Bonaparte (Ajaccio, 1782 – Firenze, 1839), sorella di Napoleone e moglie di Gioacchino Murat, ex re di Napoli (1), aveva incaricato il conte Antonio Aldini, personaggio di spicco nella Bologna dell’epoca, di interporre i suoi buoni uffici nelle trattative con la famiglia Pepoli per il matrimonio della ventenne Letizia (Parigi, 1802 – Bologna, 1859), sua figlia primogenita, con il marchese Guido Taddeo, che aveva già superato la trentina. Trattative che durarono a lungo e incontrarono non poche difficoltà, legate soprattutto alla situazione finanziaria del marchese Pepoli, pesantemente esposto con consistenti debiti. Proprio per questo, nel timore di consegnare la figlia ad un destino infausto, Carolina ebbe momenti di grande incertezza. Per dissipare le sue perplessità – ella dice – «il faut que le marquis Pepoli se decide a partir sans délai pour se rendre ici»; diversamente si sarebbe sentita in diritto «de suivre d’autres projets» (2). Il lavorio diplomatico, l’impegno e i consigli del conte Aldini (3) avrebbero portato ad una felice conclusione e alle nozze, celebrate a Bologna il 27 ottobre 1823. E Carolina avrebbe potuto gioire delle buone notizie che riceveva dalla figlia, «enchantée et très heureuse d’être à Bologna» (4). Qui Letizia visse tutta la sua vita, creandovi un proprio salotto, uno dei principali e più raffinati del suo tempo, dedicato oltre che alla cultura, all’arte ed alla conversazione, anche agli affari politici: un salotto che le valse il soprannome di “regina di Bologna”. Citazioni bibliografiche e archivistiche 1. «Il Resto del carlino», 13 ottobre 1915. 2. Carolina Bonaparte ad Antonio Aldini, Frohsdorf, 19 novembre 1822 (Archivio di Stato di Bologna, Aldini, b. 12, “Corrispondenza con la contessa di Lipona Carolina già regina di Napoli, sul trattato di matrimonio della principessa Letizia sua figlia col marchese Guido Taddeo Pepoli di Bologna concluso nel settembre del 1823”). 3. Antonio Aldini a Carolina Bonaparte, Bologna, 11 gennaio 1823 (ibidem). 4. Carolina Bonaparte ad Antonio Aldini, Venezia, 8 gennaio 1824 (ibidem). 3. Teresa Carniani Malvezzi: l’amica dei poeti Nata a Firenze il 28 marzo 1785, Teresa Carniani (1) andò in sposa, poco più che sedicenne, al conte bolognese Francesco Malvezzi de’ Medici. Avviata fin dalla fanciullezza allo studio della geometria dallo zio materno, Giovanni Fabbroni, Teresa, trasferitasi a Bologna, iniziò lo studio dei poeti classici, sotto la guida dell’abate Giuseppe Biamonti e del poeta Paolo Costa. Divenne in breve tempo non solo fine traduttrice (suo prediletto fu Cicerone), ma poetessa ella stessa, raccogliendo la stima e l’ammirazione dei più noti letterati del periodo: Giacomo Leopardi, invaghitosi a tal punto da provare «delirio e febbre» durante i primi giorni della loro frequentazione; Vincenzo Monti, che ne tratteggiò “a tavolino” un fulmineo ritratto in versi (2) e due scherzi sul suo nome e cognome (3); Carlo Pepoli, che le dedicò La miosotide palustre. Teresa curò anche, sotto la guida di Giuseppe Mezzofanti, la traduzione delle opere del poeta inglese Alexander Pope. Allo zio Urbano Lampredi, abate ellenista e matematico, sottopose poi la sua opera più importante, La cacciata del tiranno Gualtieri da Firenze (4), i cui versi furono da alcuni definiti «brutti e duri e artificiosi». Dopo aver accolto uno dei salotti letterari più frequentati e rinomati d’Italia, Teresa Malvezzi si ritirò del tutto a vita privata nel 1840, anche a seguito delle frequenti crisi depressive cui periodicamente andava incontro, dedicandosi interamente alla famiglia. Morì a Bologna il 9 gennaio 1859. Citazioni archivistiche 1. Ritratto di Teresa Malvezzi, s.d. (Archivio di Stato di Bologna, Aldobrandino Malvezzi de’ Medici, Carteggio, b. 30) 2. Ottava di Vincenzo Monti copiata da Teresa Malvezzi, s.d. (ibidem, “Poesie di Vincenzo Monti”). 3. Sciarada autografa di Vincenzo Monti, s.d. (ibidem). 4. Teresa Malvezzi a Urbano Lampredi, Bologna, 6 aprile 1835 (ibidem, “Autografi della contessa Teresa Malvezzi”). 4. Carolina Santoni, Amalia Fumagalli Targhini e Giuseppina Monti: tre interpreti per la Sirani Quando la pittrice Elisabetta Sirani si spense a Bologna nel 1665, all’età di 27 anni, la sua fine venne subito avvolta dal mistero: si accusò una sua cameriera di averla avvelenata per invidia e venne istruito anche un processo. L’eco di quella vicenda perdurò nei secoli successivi e molti si cimentarono nella sua ricostruzione (1). Tra questi il marchese Gioacchino Napoleone Pepoli, che nel 1851 compose il dramma in tre atti Elisabetta Sirani pittrice bolognese, opera apprezzatissima all’epoca (2). Il 20 febbraio 1851 fu rappresentata con grande successo al Teatro del Cocomero di Firenze, interprete Carolina Santoni (Livorno, 1808 – Madrid, 1878), la quale, nel corso di quello stesso anno, portò il dramma anche nei teatri di Livorno e Genova, città quest’ultima dove «forse non ebbe quell’esito tanto fortunato essendo il dramma molto delicato» (3). L’Elisabetta Sirani fu inoltre allestita, a cura della compagnia di Luigi Domeniconi, con l’interpretazione di Amalia Fumagalli Targhini (Milano, 1824 – Roma, 1889) e Tommaso Salvini, al Teatro Re di Milano ed a Trieste tra la Quaresima ed il maggio 1852, con esito «assai lusinghiero, ed atto a soddisfare l’amor proprio del chiaro Autore, non che i deboli sforzi dell’umile attrice protagonista» (4). Infine l’11 novembre di quello stesso anno Giuseppina Monti portò la Sirani sulle scene di Ravenna, dove «la censura ha permesso l’avvelenamento in scena, che mi pare di maggior effetto» (5). Citazioni bibliografiche e archivistiche 1. Di Elisabetta Sirani pittrice bolognese e del supposto veneficio onde credevasi morta nell’anno 27 di sua età. Racconto storico di Ottavio Mazzoni Toselli, Bologna, Tipografia del Genio, 1833. 2. G. N. PEPOLI, Elisabetta Sirani pittrice bolognese. Dramma in tre atti, Firenze, Libreria teatrale di Angiolo Romei, 1851. 3. Carolina Santoni a Gioacchino Napoleone Pepoli, Roma, 29 ottobre 1851 (Archivio di Stato di Bologna, Gioacchino Napoleone Pepoli, Fondo personale, Carteggio, Attori, b. 8, Santoni Carolina). 4. Amalia Fumagalli Targhini a Gioacchino Napoleone Pepoli, Trieste, 19 maggio 1852 (ibidem, Fumagalli Targhini Amalia). 5. Giuseppina Monti a Gioacchino Napoleone Pepoli, Ravenna, 15 novembre 1852 (ibidem, Monti Giuseppina). 5. Matilde, Virginia, Hortense ed Eugenia: quattro donne alla corte di Napoleone III Con il colpo di Stato del 1852 Carlo Luigi Bonaparte, già presidente della seconda Repubblica francese, riuscì ad imporsi quale imperatore col nome di Napoleone III, richiamando intorno a sé tutti i membri del clan bonapartista. Il salotto della cugina ed ex promessa sposa Matilde Bonaparte (Trieste, 1820 – Parigi, 1904) divenne in breve il più rinomato della capitale e lì trovarono accoglienza molti transfughi e patrioti d’Oltralpe. Tra questi spiccò, per la spregiudicatezza del lavoro diplomatico svolto in aiuto della causa italiana, il bolognese Gioacchino Napoleone Pepoli, per il quale Matilde funse da intermediaria col potente sovrano: «Mon cher neveu, j’ai reçu votre lettre et celle de Frida pour l’Empereur» (1). Fondamentale fu inoltre il ruolo giocato in favore dell’alleanza francopiemontese anche da Virginia Oldoini (Firenze, 1837 – Parigi, 1899), meglio nota come la “contessa di Castiglione” (2) e dalla scrittrice Albine Hortense Lacroix (Parigi, 1812 – 1875), in arte Sébastien Albin, moglie del pittore Sébastien Melchior Cornu, figlioccia e confidente dell’imperatore, che all’amico Pepoli rivelava tutto il suo sconforto per le condizioni del trattato di pace tra la Francia e l’Austria alla fine della seconda guerra d’indipendenza: «Io sono colpita, mi duole l’anima, il corpo non vale meglio, mi pare essere stata precipitata da una sommità in giù» (3). Costretto a lasciare il potere dopo la sconfitta di Sedan, Napoleone III trascorse gli ultimi anni a Chislehurst, in Inghilterra, da dove la moglie Eugenia (Granada, 1826 – Madrid, 1920), sua compagna d’esilio, rispondeva a chi le indirizzava i suoi saluti nell’anniversario della scomparsa dell’ex imperatore (4). Citazioni archivistiche e bibliografiche 1. Matilde Bonaparte a Gioacchino Napoleone Pepoli, [Parigi], 29 maggio [1854] (Archivio di Stato di Bologna, Gioacchino Napoleone Pepoli, Carteggio, Principi, b. 6, Bonaparte Matilde). 2. Virginia Oldoini a Gioacchino Napoleone Pepoli, s.d. (ibidem, Donne illustri, b. 10, Verasis Asinari Oldoini Virginia) 3. Hortense Cornu a Gioacchino Napoleone Pepoli, 15 luglio 1859 (ibidem, Donne illustri, b. 10, Cornu Hortense). 4. Eugenia de Montijo a Gioacchino Napoleone Pepoli, Chislehurst, 2 gennaio [1874] (ibidem, Principi, b. 6, Montijo (de) Eugenia). 5. Genealogia della famiglia Bonaparte, in Museo napoleonico. Guida, a cura di G. GORGONE, Milano, Electa, 2008. 6. Anna Kuliscioff ed Enrica Astorri: due compagne di Andrea Costa Le cronache attribuiscono ad Andrea Costa svariate relazioni sentimentali, due delle quali in questa sede documentate. La più nota fu senz’altro quella con Anna Kuliscioff (Moskaja, 1854 – Milano, 1925) (1). Di nazionalità russa, rifugiatasi in Svizzera nel 1877 per «sfuggire alle persecuzioni di quella polizia che mi ricercava d’arresto a motivo delle mie opinioni socialistiche», conobbe a Lugano l’anarchico imolese col quale – ella dichiara – si trovava «in relazione intima d’amore benché non legalmente uniti» (2). Dalla loro storia il Costa ebbe nel 1881 la sua prima figlia, Andreina. Esauritasi questa relazione, la sua nuova compagna è una giovane donna imolese, Enrica Astorri (Imola, 1854 – Bologna, 1939). Di famiglia anarchica, si diceva che lei stessa facesse «ordinariamente sfoggio di teorie sovversive» e che il legame col Costa fosse sostenuto «dalla comunanza di principi professati». Dall’amore tra i due, continuato per molti anni, pur fra alti e bassi e magari con qualche pausa, vennero al mondo quattro figli: Andreano, nato a Bologna nel 1885, Annita (Mentana, 1888), Andreina (Bologna, 1890), Bice (Bologna, 1897) (3). Alla nascita Andreano e Bice ebbero il cognome della madre, mentre Andreina ed Annita furono registrate come avute da «donna che non consente di essere nominata». Negli anni seguenti, tra il 1895 ed il 1904, Andrea Costa riconobbe le tre figlie (Andreano era morto troppo presto, nel 1886) e nel 1906 Andreina ed Annita furono infine riconosciute anche dalla madre. Citazioni archivistiche 1. Ritratto di Anna Kuliscioff. 2. Interrogatorio dell’imputato Anna Kuliscioff, Bologna, 9 maggio 1880 (Archivio di Stato di Bologna, Tribunale di Bologna, Penale, Atti processuali, Fascicolo n. 1944/1880, “Procedimento penale contro Costa Andrea, Kuliscioff Anna”). 3. L’ispettore di p.s. di Levante al questore di Bologna, Bologna, 11 gennaio 1898 (Archivio di Stato di Bologna, Questura, Gabinetto, Cat. A8 “Persone pericolose per la sicurezza dello Stato”, Radiati, Astorri Enrica). 7. Aurelia Benco, detta “Frombolo”, comunista di Trieste «Andatura spedita, espressione fisionomica civettuola, abbigliamento abituale alquanto elegante»: ecco in sintesi i connotati di Aurelia Benco (Trieste, 1905 – 1995) come forniti dalla Prefettura di Trieste (1). Studentessa alla Scuola superiore di agraria a Bologna, Aurelia era descritta dall’autorità di pubblica sicurezza quale «attiva propagandista delle idee comuniste, collaboratrice di diversi giornali di carattere politico estremo ed instancabile organizzatrice della Federazione giovanile comunista» (2). Costituiva certamente un elemento da tenere sotto stretta sorveglianza, ed effettivamente negli anni dei suoi studi bolognesi intensissimo fu lo scambio tra la Questura della sua città natale e quella del capoluogo emiliano. Talmente indesiderabile doveva apparire la presenza della Benco che, alla fine del giugno 1927, la squadra politica era passata alle vie di fatto, arrestando la ragazza e diffidandola dal non fare più ritorno a Bologna senza preventiva autorizzazione. L’intervento del padre, Silvio, noto irredentista perseguitato dal governo austriaco, aveva evitato ad Aurelia l’umiliazione della traduzione a Trieste in manette, ma non l’aveva sottratta alla vergogna di vedersi additare come «persona squilibrata». Iniziò allora per la studentessa un lungo stillicidio di istanze e richieste di soggiorno a Bologna. La frustrazione di Aurelia – fiera ed orgogliosa – per i continui interventi della famiglia che la sottraevano «alla responsabilità dei miei atti», traspare dalla lettera personalmente indirizzata al questore: «In tutti questi mesi, mi creda, non ò avuto ravvedimento, rimorsi o cose del genere, ma solo una grande vergogna» (3). Laureatasi il 24 novembre 1928 (4), la Benco lasciò definitivamente Bologna il giorno stesso (5). Citazioni archivistiche 1. Scheda biografica di Aurelia Benco, Trieste, 1 maggio 1925 (Archivio di Stato di Bologna, Questura, Gabinetto, Cat. A8 “Persone pericolose per la sicurezza dello Stato”, Radiati, Benco Aurelia). 2. Il questore di Trieste al questore di Bologna, Trieste, 27 novembre 1925 (ibidem). 3. Aurelia Benco al questore di Bologna, [Bologna], 18 [gennaio 1928] (ibidem). 4. Fonogramma del 25 novembre 1928 (ibidem). 5. Aurelia Benco al cav. Prato, Bologna, 24 novembre 1928 (ibidem). 6. Fotografia e ritratto di Aurelia Benco (su gentile concessione della famiglia Gruber Benco). 8. Viola e Virginia Tabarroni: presenza femminile nel caso Zamboni Il 1926 registrò ben tre attentati alla vita di Mussolini. Il terzo, il più oscuro e quello che suscitò il maggiore scalpore e le interpretazioni più discordanti, ebbe luogo a Bologna, il pomeriggio del 31 ottobre. Ad essere subito additato come attentatore, e per questo ucciso sul posto, fu il sedicenne Anteo Zamboni. Il padre di Anteo, Mamolo, e la zia, Virginia Tabarroni (1), meglio nota come “Danda” (Malalbergo, 1888 – Bologna, 1977), furono entrambi riconosciuti dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato «colpevoli di correità del mancato omicidio premeditato» e condannati a trent’anni di reclusione (2). Virginia rappresentava il vero fulcro della famiglia più che la sorella Viola (Malalbergo, 1886 – 1972), madre di Anteo: riservata, tenera, volubile la seconda, quanto forte, volitiva, energica la prima. Proprio per questo Virginia fu ritenuta, insieme al cognato, la vera ideatrice del tirannicidio. Dal durissimo carcere di Trani, dov’era rinchiusa, la Tabarroni indirizzava alla sorella parole strazianti: «Viola mia adorata, la tua Danda e il tuo Mammolo per ora non arrivano, non aspettarli, sarebbe invano» (3). Alla missiva qui esposta unì i poveri fiori «raccolti per il nostro Anteo». Graziata poco tempo dopo, a seguito anche dell’intervento del giovane avvocato socialista Roberto Vighi, Virginia lasciò la prigione alla fine del ’32 (4) e tornò ad abitare nella casa di via Fondazza insieme al cognato: Viola s’era però da tempo «allontanata dal tetto coniugale per motivi non ben noti ma che, secondo la voce pubblica, sarebbero dovuti a rapporti intimi tra lo Zamboni e la Tabarroni Virginia» (5). Citazioni archivistiche 1. Scheda di segnalamento e identificazione di Tabarroni Virginia, s.d. (Archivio di Stato di Bologna, Questura, Gabinetto, Cat. A8 “Persone pericolose per la sicurezza dello Stato”, Radiati, Tabarroni Virginia). 2. Sentenza del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, Roma, 8 settembre 1928 (ibidem). 3. Virginia Tabarroni a Viola Tabarroni, Trani, 10 novembre 1932 (ibidem). 4. Virginia Tabarroni a Viola Tabarroni, Trani, 23 dicembre 1932 (ibidem). 5. Il commissario capo di p.s. della sezione S. Stefano al questore di Bologna, Bologna, 23 febbraio 1937 (ibidem). 9. Anna Maria Aldrovandi-Marescotti: un cassetto di ricordi Ultima esponente diretta della famiglia Aldrovandi-Marescotti, la contessa Anna Maria fu l’unica figlia del conte Luigi, senatore del Regno ed ambasciatore d’Italia a Buenos Aires e Berlino. Nel 1974 i suoi eredi «molto liberalmente vennero nella determinazione di depositare presso l’Archivio di Stato di Bologna» il grande archivio di famiglia, testimonianza del ruolo che gli Aldrovandi ebbero nel contesto delle vicende cittadine e nei rapporti con le altre casate detentrici del potere. All’interno del complesso documentario spicca per singolarità una busta di fotografie, raccolte principalmente dal senatore Luigi, dalle quali emerge potentemente un variegato universo di rapporti familiari e personali. La molteplicità degli individui ritratti, la ricchezza delle fogge e dei costumi, la quasi totale assenza di riferimenti cronologici certi fanno indubbiamente di questa raccolta fotografica il documento di più difficile interpretazione e penetrazione, cui il ricercatore possa rivolgersi per la ricostruzione della storia familiare degli Aldrovandi. Si propone in questa sede una selezione di fotografie che vengono presentate così come le avrebbe verosimilmente custodite la contessa Anna Maria nel suo cassetto dei ricordi più intimi e preziosi.