La prosa in lingua italiana degli autori migranti nel Novecento
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La prosa in lingua italiana degli autori migranti nel Novecento
Chiara Martignano Matr. n°: 526669 Anno accademico 2014/2014 La prosa in lingua italiana degli autori migranti nel Novecento Introduzione La mobilità di scrittori e intellettuali in ambito europeo è un fenomeno antico. In particolare durante il medioevo era frequente che studiosi e artisti si spostassero all’interno dell’Europa centrale e occidentale, favoriti dalla presenza di corti, università e istituti religiosi, pronti ad accoglierli e a promuovere il loro lavoro. Un caso esemplare di intellettuale medievale italiano, che durante la propria vita peregrinò tra diverse corti europee, è quello di Francesco Petrarca. L’Italia acquistò rilevanza in Europa grazie alla propria influenza sulla cultura dell’epoca e al fenomeno del Grand Tour. Nel Settecento, nonostante la lingua franca dell’élite europea fosse il francese, l’italiano rappresentava la lingua dell’opera e della poesia. Metastasio, per esempio, godé di un enorme successo presso la corte degli Asburgo a Vienna. A partire dal Seicento, invece, autori e aristocratici inglesi, tedeschi e francesi elessero l’Italia a meta dei propri Bildungsreisen (viaggi di formazione), scoprendo la bellezza dei paesaggi e la ricchezza artistica delle città del Bel Paese. Una delle testimonianze più significative di questi viaggi è l’Italienische Reise (1818) di Wolfgang Goethe. Le guerre napoleoniche posero fine all’epoca d’oro del Grand Tour, ma nel corso dell’Ottocento viaggiatori e letterati ne continuarono la tradizione1, in primis Byron. Nel Novecento altri autori inglesi, del calibro di Joyce e Lawrence, e nord-americani, quali Hemingway, Fitzgerald e Pound, soggiornarono in Italia. I primi (Joyce in particolare), a differenza degli intellettuali del Settecento, conobbero l’Italia dei problemi quotidiani e non «la terra dove fioriscono i limoni»2. Gli autori statunitensi erano in fuga da una società della quale non 1 Maria Cristina Mauceri, Scrivere ovunque. Diaspore europee e migrazione planetaria, in Nuovo planetario europeo. Geografia e antologia della letteratura della migrazione in Italia e in Europa, a cura di Armando Gnisci, 2006, Enna, Città aperta edizioni. 2 Wolfgang Goethe, Viaggio in Italia. condividevano la mentalità materialista e puritana. Tra gli autori sopracitati, Pound soggiornò più a lungo in Italia, prendendo parte attiva agli avvenimenti politici durante il fascismo. In seguito alla seconda guerra mondiale numerosi autori cercarono paesi in cui riparare, lontani dalle brutture della guerra o da società ostili. Alcuni giunsero anche in Italia e qui scrissero testimonianze delle proprie vite colpite dalla guerra e delle difficoltà di vivere da immigrato. Negli ultimi decenni, però, «la migrazione ha assunto dimensioni planetarie ed è diventata fenomeno globale che permea diversi aspetti della società contemporanea»3. Mentre in paesi quali Francia e Germania il fenomeno di grandi ondate migratorie intra- ed extraeuropee è già consolidato, in Italia è piuttosto recente. A partire dagli anni Novanta è cominciata una significativa diffusione di opere in lingua italiana di autori immigrati, che hanno posto all’attenzione della società e della critica letteraria le dinamiche e le problematiche legate a questo fenomeno. All’inizio degli anni Novanta nasce, così, il fenomeno della letteratura migrante italiana. In quegli anni furono pubblicati due libri a quattro mani, scritti da immigrati con l’aiuto di scrittori italiani: Immigrato (1990) del tunisino Salah Methnani e di Mario Fortunato e Io, venditore di elefanti (1992) del senegalese Pap Khouma e di Oreste Pivetta. Entrambe le opere sono romanzi autobiografici, in cui i rispettivi autori ricostruiscono le proprie vite di migranti. Fin dall’antichità, dunque, e in particolare dal medioevo, numerosi intellettuali sono passati sul suolo italiano, confrontandosi con la cultura e la lingua locale e talvolta cimentandosi con la scrittura di opere in italiano. Nel corso dei secoli questi autori si sono approcciati all’italiano tendenzialmente come lingua straniera, mantenuta ben distinta dalla propria lingua madre. Negli ultimi anni, invece, si è fatta più consistente la schiera di autori migranti, che hanno vissuto in Italia e hanno acquisito la lingua di Dante come propria seconda lingua. Circoscrivendo l’anialisi di opere e autori stranieri al Novecento e agli ultimi anni, quali sono state le produzioni più significative della letteratura migrante? La critica come ha accolto la letteratura di migrazione? Che rapporto si è instaurato tra questo “filone” e il canone letterario italiano? 3 Mauceri, 2006. Dagli inizi del Novecento agli anni Ottanta Nella prima metà del Novecento, l’Italia, paese d’arte e di cultura, continuò ad attirare numerosi intellettuali e scrittori stranieri. Nonostante soltanto James Joyce, Ezra Pound e pochi altri scrissero testi in italiano,4 molti rimasero influenzati dalla letteratura italiana e contribuirono a renderla nota all’estero. Pound, per esempio, tradusse le poesie di Guido Cavalcanti, mentre il romanziere David Herbert Lawrence fece conoscere Giovanni Verga al pubblico anglofono, traducendo il Mastro-don Gesualdo. Flussi migratori più consistenti iniziarono dopo la seconda guerra mondiale. Negli anni successivi iniziò a formarsi un filone di letteratura testimoniale di autrici migranti italofone. Molte di loro avevano vissuto sulla propria pelle gli orrori della guerra. Attraverso la scrittura di opere al confine tra autobiografia e finzione letteraria, testimoniano le proprie vicende e gli avvenimenti storici. L’ungherese Edith Bruck nel 1959 pubblicò il romanzo Chi ti ama, in cui racconta la propria esperienza nei lager. Helga Schneider affronta il tema del rapporto doloroso con le proprie radici: in Lasciami andare madre (2001) ricostruisce l’ultimo dialogo con la madre, che l’abbandonò per diventare guardiana in un campo di concentramento. Infine l’ebrea polacca Helena Janeczek nel suo romanzo d’esordio, Lezione di tenebra (1997), tratta il tema della persecuzione razziale. Interessanti sono due libri a quattro mani, scritti da due fratelli gemelli ungheresi, Giorgio e Nicola Pressburger, giunti in Italia nel 1956. Nei romanzi Le storie dell’ottavo distretto e L’elefante verde, i due ricostruiscono le proprie radici e la propria infanzia vissuta nel quartiere ebraico di Budapest. Dopo la morte del fratello, Giorgio continuò a scrivere. In I due gemelli (1996), attraverso il tema del doppio riflette sul tema dell’identità del migrante, che si sente diviso a metà. 4 Per approfondire l’argomento, si rimanda alla relazione “La letteratura italiana fuori d’Italia nel Novecento”. La letteratura migrante degli ultimi decenni Negli ultimi decenni in Italia sono stati pubblicati libri e testi di autori migranti provenienti da ogni parte del mondo. All’interno della vasta produzione in prosa è possibile individuare alcune tematiche costanti: l’esilio, il viaggio, l’identità e l’incontro tra culture diverse. Per presentare alcune delle opere più significative e i modi differenti in cui i temi sopra citati vengono trattati, segue una suddivisione degli autori per area geografica di provenienza, ripresa dal Nuovo planetario Italiano a cura di Armando Gnisci. I Balcani e l’Europa centrale Con il crollo del muro, scemò la forza d’influenza dell’Unione Sovietica sui paesi legati dal Patto di Varsavia. Nel 1991 esplose il conflitto nei Balcani, che durò per tutto il decennio. Le tensioni nazionalistiche, tra i diversi gruppi etnici della regione, esplosero con estrema violenza. In quegli anni, grazie a un calo del controllo sull’emigrazione, numerosi abitanti del sud-est e del centro dell’Europa fuggirono dalla guerra e alcuni di questi migrarono in Italia. Un consistente numero degli autori provenienti da queste zone, dunque, hanno vissuto sulla propria pelle gli orrori del conflitto. Il fil rouge che accomuna molte loro opere, sia di impianto autobiografico sia di finzione letteraria, è il tema della guerra e delle sue conseguenze sulla società. Nel romanzo L’isola di pietra (2000), la croata Vera Stanić racconta i tragici avvenimenti storici e politici del proprio paese, imbastendo una contrapposizione dialettica tra la figura del nonno e la figura del padre. Mentre il primo rappresenta il disimpegno politico, il secondo incarna il comunista convinto che difende i propri ideali, ma rimane schiacciato dalla dittatura di Tito. Stanić nutre un sentimento di amore per la patria perduta e, al tempo stesso, di odio perché responsabile della morte del padre. Tamara Jadrejčić, invece, nei suoi racconti supera la dimensione autobiografica, per narrare la guerra e il modo in cui influisce sulla vita di tutti i giorni. In particolare, ne Il bambino che non si lavava (2002), pone all’attenzione del lettore la sorte dei bambini. L’albanese Leonard Guaci scrive al confine tra autobiografia e finzione: nel romanzo Panciera rossa (1999) riporta l’incontro, realmente accaduto, con una donna comunista italiana, che era giunta in Albania per inseguire il sogno, poi disilluso, della fondazione di uno stato giusto. La scrittura di questi autori non è esclusivamente testimonianza di un passato doloroso: spesso racconta anche la loro attuale condizione di immigrati, concentrandosi sui temi dell’esilio e dell’identità. Nel romanzo Va e non torna dell’albanese Ron Kubati, per esempio, l’identità del protagonista, scissa tra due culture diverse, viene rappresentata attraverso una narrazione spezzata in un «troncone albanese e un troncone italiano»5. I due tronconi si intrecciano continuamente fra loro, rappresentando bene il senso di dislocazione e di doppiezza che vive il migrante. Il senso di straniamento, vissuto da una persona catapultata in una realtà sconosciuta, è reso perfettamente dalla scelta della parola “allunaggio” da parte del romeno Mihai Butcovan per intitolare il proprio romanzo, Allunaggio di un immigrato innamorato. In altre opere, invece, vengono presentati dei tentativi di pacificazione con la propria identità sospesa tra due culture e due mondi. I personaggi immaginari “oliamondo”, per esempio, ideati dalla slovacca Jarmila Očkayová nel romanzo L’essenziale è invisibile agli occhi, incarnano la metafora del migrante che ha capito che in lui possono convivere due realtà diverse. Il Maghreb Con Maghreb si identifica una regione culturalmente e geograficamente compatta, composta da Algeria, Tunisia, Marocco, Mauritania e Libia. Le radici comuni di questi paesi affondano nella religione musulmana, e nelle lingue lingua berbera e araba, affiancate dal francese. La Libia è un’ex colonia italiana, dove però l’italiano non è più diffuso e utilizzato in modo significativo. Per gli autori provenienti da quest’area del mondo l’italiano è una lingua “libera”, a differenza del francese, lingua dei colonizzatori. Al tempo stesso, però, è una lingua sconosciuta, che il migrante fatica a imparare. Per questo motivo i primi hanno avuto bisogno di un collaboratore italiano, per scrivere le proprie autobiografie. Si tratta dei casi di: Immigrato (1990), romanzo scritto dal tunisino Salah Methnani e da Mario Fortunato; Chiamatemi Alì (1991), del marocchino Mohame Bouchane e De Girolamo; Volevo essere bianca (1993) della sahrawi Nassera Chora e Alessandra Atti di Sarro. Tre sono i temi che attraversano la produzione degli autori di quest’area di provenienza: la ghurba, ovvero la nostalgia, il couscous, il piatto tradizionale, e il rapporto con la lingua italiana. Tutte le difficoltà che l’immigrato incontra nel tentativo di integrazione, vengono metaforicamente sublimate nello scontro con la lingua sconosciuta. «La lingua della nuova terra […] rappresenta la chiave d’ingresso all’inaccessibile mondo degli altri», scrive Amara Lakhous 6, riportando poi l’esempio dell’algerino Tahar Lamri, che è riuscito a valicare questa barriera, spingendosi fino all’utilizzo dei dialetti della pianura padana. L’Africa nera 5 6 Mauceri 2006, pag.117 Lakhous 2006, p.157. Nell’introduzione è stato citato il libro del senegalese Pap Khouma (Io, venditore di elefanti) che ha dato inizio al filone autobiografico della letteratura migrante in Italia. Molte opere degli autori originari di questa zona raccontano le proprie esperienze di migranti e al tempo stesso fanno sì che gli ex “dominatori” si confrontino con il tema del colonialismo e dei suoi attuali riverberi, visti attraverso la prospettiva degli ex “dominati”. Da un lato, le testimonianze di questi scrittori rovesciano il mito del buon occidentale che civilizza il selvaggio, denunciando le violenze e i soprusi subiti. Dall’altro lato, descrivono la società occidentale e le sue ipocrisie da un punto di vista esterno. Alle opere prettamente letterarie, si affiancano saggi e articoli di intellettuali africani, quali il filosofo e antropologo dell’Angola, Pedro Miguel, che studiano il rapporto tra Africa e Occidente. Kossi Komla-Ebri, originario del Togo, nel romanzo Neyla. Un incontro, due mondi (2002) tratta i temi del viaggio e dell’identità del migrante. Il protagonista, arrivato in Europa, si confronta con una realtà ben diversa dal luogo mitico del suo immaginario. L’immagine mitizzata dell’Occidente è fortemente radicata nella fantasia di alcuni popoli africani, per cui molti migranti, quando tornano da parenti e amici, non vengono creduti. In Neyla, una scena ricrea il dialogo impossibile tra il protagonista e i suoi parenti. Inoltre il titolo anticipa il senso di sospensione vissuto dal protagonista, durante il suo soggiorno in Europa: «Non ero né di qua né di là. Preso in quella morsa sandwich di due culture, stavo diventando generazione ibrida, non essendo più africano e neanche europeo»7. Il corno d’Africa Di tutte le aree geografiche citate in questa sezione, il corno d’Africa è la più interessante in virtù dei rapporti storici che intrattiene con l’Italia. Si tratta, infatti, dell’ex impero italiano, costruito con violenti interventi militari durante il fascismo. In Somalia l’élite culturale frequenta le scuole italiane, per cui molti autori imparano l’italiano fin dall’infanzia. Non solo studiano la grammatica e la letteratura italiana tra i banchi di scuola, ma attraverso i media entrano in contatto anche con la musica, il cinema, il calcio, le notizie della “madre patria”. Studiare le opere degli autori di quest’area geografica significa dedicarsi a quelli che, in ambito italiano, sono a tutti gli effetti “studi postcoloniali”. Analizzando queste opere è possibile ricostruire non soltanto i passati rapporti coloniali, ma anche i riverberi ancora attuali sulla società. Inoltre, gli scritti di autori eritrei, etiopi e somali pongono all’attenzione del pubblico italiano un capitolo della storia del nostro paese che tende a essere dimenticato o sminuito8. 7 Cfr. Iaconis 2006, p.198. «Questi autori possono […] creare reminiscenze di un passato dimenticato, operare contaminazione creativa e culturale con quello che resta del ricordo di quel posto al sole […]. Essi scrivono in italiano, ma parlano spesso del loro 8 Uno dei romanzi più interessanti è Il latte è buono (2005) del somalo Garane Garane. Anche in questo volume la parabola biografica dell’autore viene fatta rivivere da un personaggio fittizio. Il giovane Gashan incarna la generazione di somali, che ha conosciuto l’Italia non attraverso il contatto diretto e violento con le forze italiane, ma nutrendosi della cultura e del mito fascista dell’“Italia romana”. Il titolo richiama la distinzione dualistica che ricorre nel libro e che rappresenta metaforicamente l’identità del protagonista: il latte è buono, perché è bianco, così come tutto ciò che è legato all’Italia “è buono”, mentre il caffè è cattivo, perché è nero e rappresenta la Somalia e la sua rinnegata africanità. Gashan considerandosi a pieno titolo Italiano, prende coscienza della propria diversità, quando finalmente si reca in Italia e quelli che lo dovrebbero chiamare compatriota, lo etichettano come vu cumprà9. I temi dominanti del libro, dunque, sono la riscoperta della propria alterità (uno dei temi chiave per l’interpretazione dei testi postcoloniali) e il concetto di identità come appartenenza, come radice. Il medio Oriente Zona “calda” dei conflitti e interessi mondiali, nel corso della seconda metà del Novecento vi furono due principali ondate migratorie: la prima dopo i conflitti del ’48, soprattutto da parte di intellettuali che cercarono rifugio in occidente; la seconda intorno agli anni Settanta, dopo l’inasprimento del conflitto e delle condizioni di vita. Dato che il medio oriente fu a lungo controllato prima dai francesi poi dagli inglesi, può sembrare insolito che alcuni scrittori abbiano cercato riparo in Italia e non in uno degli ex paesi colonizzatori. Ma dal punto di vista linguistico, risulta molto significativa la scelta da parte di questi intellettuali di scrivere in italiano, in quanto per loro rappresenta una lingua libera. Anche gli autori di quest’area geografica hanno scritto romanzi e racconti dal taglio autobiografico e testimoniale. Ranja Hamad, figlia dell’ambasciatore palestinese in Italia, nel 2002 pubblicò Palestina nel cuore, in modo da raccontare la storia e i conflitti che dilaniano il proprio paese, ricostruendo la storia della sua famiglia. Dello stesso anno è il romanzo dal titolo smaccatamente autobiografico di Masal Pas Bagdadi A piedi scalzi nel kibbutz. Dalla Siria a Israele all’Italia: vita singolare di un’ebrea araba diventata psicologa dell’infanzia. paese, delle loro esperienze personali in una poetica rigenerante del rapporto con l’Italia e con l’italiano. Parlare del loro paese significa […] in altri termini parlare anche dell’Italia, per i legami storici e culturali, che si sono stabiliti nel secolo trascorso insieme» (Ahad 2006, p.242) 9 «È in mezzo alla società italiana, negli incontri quotidiani, che Gashan scopre il suo essere un altro, uno straniero, uno che viene dalla “nostra Colonia”, un colonizzato, un soggetto artificiale “costruito” dal Duce come le strade e gli ospedali» (ibidem, p.252) Un’altra tematica diffusa tra gli autori di quest’area geografica è quella della condizione della donna. Tematica trattata non solo da donne, come Rula Jebreal in La strada dei fiori di Miral (in cui racconta la storia di una ragazza divisa tra la necessità di combattere e l’aspirazione alla pace), ma anche da uomini. Il palestinese Muin Madih Marsi, nel romanzo Il sole d’inverno narra l’educazione sentimentale della sposa bambina Ruaia, con la guerra dei sei giorni sullo sfondo. I continenti asiatici e il popolo rom Bamboo Hirst, nata da padre italiano e madre cinese, è una prolifera autrice di romanzi, che nel corso della propria carriera si è evoluta, lasciando una fase iniziale più autobiografica. A questo primo periodo risale il romanzo Inchiostro di Cina (1986), in cui la giovane protagonista vive come una ferita aperta la divisione tra la vita in Cina e la vita in Italia. La narrazione è caratterizzata da continui slittamenti fra passato e presente. Il dolore di sentirsi diversa viene superato soltanto in età adulta, quando la protagonista riesce ad abbracciare la sua identità scissa. La scrittrice indiana Lily-Amber Laila Wadia nel 2004 ha pubblicato una raccolta di racconti intitolata Il burattinaio e altre storie extra-italiane. La scelta di inserire quest’ultima parola nel titolo rivela lo stile leggero e fortemente ironico che contraddistingue la sua scrittura. In particolare attraverso l’ironia, l’autrice mette in contatto le due lingue e culture diverse, giocando con gli stereotipi sia degli italiani sia degli indiani. Lo stereotipo assurge a metafora del modo superficiale in cui oggi l’occidente tende a relazionarsi con tutti gli “altri” del mondo, ovvero attraverso una conoscenza rapida, ma non approfondita, della storia e della cultura degli altri paesi. I Rom, originari del continente indiano, sono il più antico popolo di migranti, che per secoli si è spostato attraverso il continente indo-europeo. Due autori di romanzi, appartenenti a questo popolo e attivi in Italia, sono Alexian Santino Spinelli e Annibale Niemen. Il primo, in Baro Romano Drom. La lunga storia dei rom, sinti, kale, manouches e romanichals (2003), ricostruisce l’antica storia del proprio popolo e delle sue peregrinazioni, attraverso la storia della propria lingua. Ogni modifica linguistica è legata a un incontro dei rom con un’altra cultura. Il secondo, invece, nel romanzo La casa con le ruote (2000), descrive le tradizioni rom. L’America latina Molti degli autori dell’America latina oggi residenti in Italia sono di origine brasiliana. L’Italia da anni intrattiene un rapporto stretto con questo paese, in quanto è stato la meta di numerosi migranti italiani, che successivamente vi hanno creato delle numerose comunità. Tradizionalmente la letteratura brasiliana è legata alla musica, per cui prevale la produzione di poesia rispetto alla narrativa. Ma non mancano autori in prosa, che spesso trattano le stesse tematiche degli autori citati nelle precedenti sezioni. Christiana de Caldas Brito, nei propri racconti, tratta il tema del dolore che prova il migrante e di come il processo migratorio consista in una trasformazione di questo dolore in crescita. Originaria di Rio de Janeiro, si trasferì a Roma per studiare, e in Italia esercita come psicoterapeuta. Nel 1998 pubblicò la sua prima raccolta di racconti, Amanda Olinda Azzurra e le altre, mentre la seconda raccolta, Qui e là, uscì nel 2004. L’autrice brasiliana si contraddistingue per un linguaggio innovativo e per la sua capacità di ricreare con naturalezza l’interlingua10 italo-portoghese. Julio Monteiro Martins è un altro prolifico autore brasiliano, che di recente è morto a Pisa, dopo aver lavorato per anni come docente di lingua e letteratura portoghese. In italiano ha pubblicato tre raccolti di racconti, Racconti italiani (2000), La passione del vuoto (2003) e L’amore scritto (2007), e nel 2005 il romanzo Madrelingua. Uno dei romanzi più celebri della letteratura migrante è Princesa. Dal Nordest a Rebibbia: storia di una vita ai margini (1994) di Fernanda Farias de Albuquerque. Come rivela il titolo, si tratta di un’autobiografia che l’autrice scrisse durante il periodo trascorso in carcere, spinta dalla necessità di ricordare la propria vita libera. Interessante ricordare, che nella stesura del romanzo la de Albuquerque fu aiutata da altri due reclusi italiani. A differenza di altri autori, migrati in Italia per studio o per lavoro, l’esperienza della scrittrice è decisamente più dolorosa, avendo vissuto da outsider. Lei, che sono io / Ella, que soy yo (2005) è l’autobiografia bilingue dell’argentina Clementina Sandra Ammendola: lo sdoppiamento linguistico del testo, riflette la duplice identità dell’autrice. 10 Indica la lingua parlata da una persona nella fase iniziale di apprendimento di una nuova lingua, mescolando involontariamente la lingua madre e la nuova lingua. Tra tema e stile: la lingua degli scrittori migranti Al di là della distinzione in aree geografiche del mondo e della ricerca di temi comuni, un altro modo efficace, per districarsi nella vasta produzione degli autori stranieri, è attraverso l’analisi della loro lingua. Facendo riferimento, dunque, alla “loro” oggettiva diversità rispetto a “noi”, madre lingua italiani. Nelle opere dei migranti la lingua in cui scrivono assume valori molteplici: dalla semplice scelta stilistica al tema. La motivazione che spinge un autore straniero a scrivere in italiano e di pubblicare in Italia, può essere banalmente legata al desiderio di farsi leggere e di raccontare la propria storia al pubblico italiano. La scelta di una lingua rispetto alla propria lingua madre o ad altre lingue può, però, essere più fortemente connotata. L’italiano rappresenta spesso per alcuni autori una lingua libera. È il caso degli scrittori maghrebini, che non scrivono nella lingua dei colonizzatori francesi, o degli scrittori del medio Oriente. Le lingue orwelliane dei poteri dominanti, legati a momenti tragici/difficili della storia di un paese, risultano spesso svuotate della loro autenticità, della loro capacità di significare agli orecchi degli scrittori. Dunque molti scelgono consapevolmente di scrivere in un’altra lingua, in una lingua nuova, in cui possono ritrovare la propria libertà espressiva 11 Al lato opposto può essere collocata l’esperienza degli scrittori eritrei, somali ed etiopi, che scrivono nella lingua dei coloni italiani. La loro scelta linguistica può essere motivata dal desiderio di dialogare con una cultura e una letteratura, che pur nella loro diversità, sentono propria. (Ne è un esempio il protagonista de Il latte è buono, che ama la lingua di Dante e si immagina che la lingua attuale degli italiani sia la stessa del Decameron e della Commedia.) La lingua è il modo più diretto per percepire la barriera che divide “noi” dagli “altri” e il migrante è colui che valica questo confine. Nel processo migratorio l’acquisizione della lingua d’arrivo è determinante, perché segna la riuscita integrazione nella società del nuovo paese. L’importanza dell’incontro-scontro con la nuova lingua si riflette nelle opere in cui gli autori mostrano il proprio percorso di apprendimento: sia attraverso scelte stilistiche sia tematizzando il ruolo della lingua. In alcune opere, per esempio, gli scrittori riportano le difficoltà a comunicare con gli altri, a essere compresi, e il senso di isolamento che ne deriva. 11 «Quando un paese comincia ad andare contro i suoi valori e le sue leggi, contro la sua immagine più profonda, la prima vittima è la lingua: l’esercito, la politica, i media, cominciano a manipolare la gente usando parole false, in un modo tale che nessuno sappia più cosa significhi l’atrocità nella quale è coinvolto. Allora gli scrittori possono alzarsi e dire: No, un momento, questa parola è sbagliata». (Cfr. Lecomte 2006, p.300) Una delle sperimentazioni linguistiche più interessanti appare nelle raccolte di racconti di Christiana de Caldas Brito: la riproduzione dell’interlingua italo-portoghese, che segna l’iniziale fase di apprendimento di una lingua nuova e accomuna l’esperienza di molti migranti. In altri autori, quali il romeno Mihai Butcovan, si percepisce una tendenza a giocare con il linguaggio, che è tipica in chi si approccia a una nuova lingua ed è sensibile ai diversi significati di una stessa parola. Il rapporto del migrante con la propria lingua madre è influenzato dalla propria storia personale. In Helga Schneider la scelta di scrivere in italiano, e non in tedesco, rappresenta un modo per prendere le distanze dal proprio passato doloroso e dal rapporto con la madre. Al contrario, lo scrittore serbocroato Božidar Stanišić continuò a scrivere nella lingua madre, per mantenere vivo il rapporto con la propria patria. Non tutti i migranti vivono con dolore la propria identità scissa, ma giungono a una pacificazione, a riplasmare la propria identità sulla compresenza di due o più culture diverse. La poetessa Barbara Serdakowski, nata in Polonia, dopo aver passato l’infanzia in Marocco, migrò in Canada, peregrinò tra diversi paesi del mondo e infine giunse in Italia. Nelle sue poesie si riflette il suo plurilinguismo, che non è fonte di dolore, ma di ricchezza12. Un’altra poetessa Vera Lucia Oliveira, nata in Brasile e poi trasferitasi in Italia, racconta di come, una volta arrivata, abbia vissuto una fase di crisi creativa in cui non riusciva più a scrivere. Dopo un po’ di tempo ha ricominciato, utilizzando in modo spontaneo sia l’italiano sia il portoghese: «Quando ho ripreso la scrittura, ho cominciato a utilizzare le due lingue, c’erano testi che sceglievano il portoghese e altri l’italiano. Confesso di aver avuto paura di perdere la mia lingua materna. Poi ho visto che non correvo questo rischio, che le due lingue convivevano in me»13. 12 13 Mauceri 2006, p.121 Cfr. Camilotti 2006, p. 355. La critica Il fenomeno della letteratura migrante italiana è piuttosto recente. Di conseguenza la rielaborazione dei prodotti di questo filone letterario da parte della critica italiana è ancora in fieri. Finora sono pochi i lavori sistematici e dall’approccio filologico che analizzino diverse opere di migranti. Fra questi spicca La letteratura italiana della migrazione (1998) di Armando Gnisci. Il titolo del volume risponde a una delle questioni principali riguardanti questo filone letterario: come può essere definito? La risposta di Gnisci: «è la versione italiana dell’emergere delle letterature postcoloniali nelle lingue europee della grande colonizzazione e del parlamento mondiale degli scrittori migranti che caratterizza questo fine di secolo»14. Dunque, essendo la migrazione transcontinentale dell’ultimo secolo un fenomeno di portata globale, tutte le grandi letterature occidentali negli ultimi decenni si stanno confrontando con le produzioni di autori migranti, dando vita agli studi postcoloniali, cioè studi che analizzano l’interazione a livello letterario tra la cultura degli ex dominatori e gli abitanti degli altri paesi del globo. In Italia lo sviluppo degli studi postcoloniali è più recente rispetto agli Stati Uniti. Proprio dal Nord America, più precisamente da linguisti di origine italiana, sono giunti alcuni preziosi contributi per lo studio della letteratura italoafricana. Ne è una prova il fascicolo del 1995, dedicato alle voci italofone e curato da Graziella Parati, della rivista Studi di Italianistica nell’Africa Australe. Nonostante la produzione italoafricana sia molto vasta, la letteratura migrante italiana non si limita a essa: molte, e fra loro molto diverse, sono le provenienze degli autori attivi in lingua italiana. Per questo motivo i critici tendono a studiare gli scrittori, differenziandoli in base alle loro origini e alle loro poetiche. Tuttavia si stanno facendo strada nuove proposte di approccio critico, che si basano su una prospettiva planetaria. È il caso di un volume più recente di Gnisci: Creolizzare l’Europa: letteratura e migrazione (2003). Creolizzazione intesa come fondazione di una nuova letteratura occidentale ibrida, figlia dell’incontro tra identità culturali plurime. Altre questioni centrali affrontate dalla critica sono: il concetto (europeo) di qualità letteraria e l’interazione tra letteratura italiana della migrazione e la letteratura italiana contemporanea. A che cosa corrisponde il concetto attuale di qualità letteraria? Una volta posta un’ipotetica definizione precisa di “qualità letteraria”, rimane comunque dubbia la sua efficacia come metro di giudizio per valutare le opere dei migranti. Il valore della scrittura degli immigrati può essere limitato al solo scopo testimoniale, documentaristico? (Sia che si tratti di raccontare gli avvenimenti storico-politici del proprio paese d’origine, sia che riporti l’esperienza della migrazione. È giusto valutare opere 14 Cfr. Sinopoli 2006, p.88 “straniere” con standard “italiani”? Tutte queste sono domande ancora aperte, che la critica sta elaborando. Per quanto riguarda l’interazione tra letteratura migrante e letteratura italiana, un ruolo fondamentale è giocato da premi letterari per autori di madre lingua straniera, quali quello istituito nel 1995 dall’associazione Eks&Tra15, da riviste online, come El Ghibli16, e numerose associazioni17, che operano per diffondere la conoscenza degli autori e delle opere straniere. Questi portali sono un efficace strumento per gli scrittori stranieri stessi, per potersi presentare al pubblico italiano, attraverso recensioni, interviste e saggi. «Il nome Eks&Tra che abbiamo scelto per presentarci indica la provenienza da altri paesi: Eks=ex, e l’arrivo Tra noi. L’& è una congiunzione che assomma in sé le difficoltà e insieme la grande ricchezza dell’incontro»: con queste parole si apre la presentazione dell’associazione sul proprio sito ufficiale. (http://www.eksetra.net/associazione-eksetra/) 16 http://www.el-ghibli.org/ 17 Alcune di queste sono: l’associazione Mani altri sguardi (http://www.manialtrisguardi.com/joomla/about) che crea progetti di antropologia e interculturalità rivolti ai bambini delle scuole medie ed elementari; il gruppo Scritti d’Africa (http://www.scrittidafrica.it/index.php?option=com_content&view=article&id=47&Itemid=27), che promuove la conoscenza degli autori africani; Letterranza.org, un portale web interamente dedicato alla scrittura di autori immigrati in lingua italiana (http://www.letterranza.org/chi-siamo/). 15 Bibliografia Notazione sintetica Riferimenti completi Brugnolo, 2009 Furio Brugnolo, La lingua di cui si vanta Amore. Scrittori stranieri in lingua italiana dal Medioevo al Novecento, 2009, Carocci editore. Gnisci, 2006 Armando Gnisci (a cura di), Nuovo Planetario Italiano. Geografia e antologia della letteratura della migrazione in Italia e in Europa, 2006, Città aperta edizioni. Tutte i riferimenti bibliografici sintetici con data 2006 rimandano ai saggi, scritti da diversi autori, contenuti nel Nuovo Planetario Italiano. Sangiorgi, 2004 Roberta Sangiorgi (a cura di), Migranti. Parole, poetiche, saggi sugli scrittori in cammino, 3° Forum Internazionale sulla Letteratura della Migrazione (Mantova 2003), 2004, Eks&Tra Editore. El Ghibli: rivista online gestita e dedicata agli scrittori migranti. http://www.elghibli.org/ Sito dell’associazione Eks&Tra: http://www.eksetra.net/associazione-eksetra/ Letterranza.org: portale web dedicato http://www.letterranza.org/chi-siamo/ agli autori migranti. La letteratura italiana fuori d’Italia nel Novecento Introduzione Nel corso dei secoli i scrittori e le correnti letterarie delle gradi letterature europee hanno dialogato fra loro. Le connessioni rilevate dalla critica tra il Verismo italiano e il Naturalismo francese, oppure l’influenza di Baudelaire sulla poetica degli Scapigliati e altri esempi simili appaiono ormai ben noti, triti. Ma tendenzialmente viene lasciata sullo sfondo la produzione letteraria in lingua italiana da parte di autori stranieri. Pochi sono gli studi sistematici a riguardo, che da un lato mettano in luce il modo in cui la lingua italiana sia stata percepita nei secoli dagli stranieri e, dall’altro lato, che permettano di studiare la storia della letteratura italiana da una diversa prospettiva. Tra gli accademici italiani, fu Gianfranco Folena a muovere i primi passi in questo ambito, studiando nel 1961 l’italiano di Voltaire. Solo nel 1993 ci fu il tentativo di studiare in modo più approfondito il fenomeno degli scrittori stranieri in lingua italiana, mediante il Colloquio interuniversitario di Bressanone. Successivamente altri due importanti punti di riferimento per questi studi furono: il lavoro di Furio Brugnolo, Letteratura italiana fuori d’Italia, fra eteroglossia, plurilinguismo e autotraduzione (2003) e il volume della Storia della letteratura italiana curata dalla casa editrice Salerno interamente dedicato a questo tema. In un secondo volume del 2009, La lingua di cui si vanta Amore, Brugnolo ricostruisce i propri sulla letteratura italiana fuori d’Italia, da lui definita come la letteratura «prodotta nel corso dei secoli da scrittori, artisti e intellettuali “stranieri” in lingua italiana»18. In essa sono compresi i testi in cui l’italiano è utilizzato in modo organico, sia che si tratti di traduzioni sia di opere concepite direttamente in italiano. Sono dunque eliminati i contesti di utilizzo che spaziano dal pastiche al citazionismo come personale sfoggio di bravura. Gli scrittori presi in considerazione sono quelli assurti allo status di canone letterario sia in Italia sia nel loro paese d’origine19. In questa relazione l’analisi è temporalmente circoscritta al solo Novecento. 18 Brugnolo 2009, p.15. «Sono autori che in vario modo fanno parte integrante anche della “letteratura italiana”, pur restando spesso esponenti di spicco delle loro rispettive letterature». (Brugnolo 2009, p.11) 19 Gli autori Vjačeslav Ivanov (1866 – 1949) Ivanov, grande poeta simbolista russo, visse in Italia dal 1924 fino all’anno della sua morte. Pur dominando perfettamente la lingua italiana, la utilizzò per scrivere saggi e mai poesie. Nel 1933, però, pubblicò le autotraduzioni di cinque sue poesie precedenti. Tra queste la più interessante è quella intitolata L’ospite (1904), poiché si tratta di una vera e propria riscrittura. Mentre il componimento originale è composto da 48 pentametri trocaici e diviso in due parti, il testo tradotto si scandisce su sei strofe irregolari endecasillabiche. Per ricreare il senso solenne, Ivanov utilizza arcaismi e aulicismi di retaggio letterario, come il leopardiano “in sul”, ma nella traduzione si percepisce una forte influenza del modo di poetare di Pascoli. Recupera, dunque, termini e stilemi arcaizzanti, che contrastano con le tendenze poetiche degli anni Trenta in Italia. Negli autori stranieri, che scrivono in italiano, si riscontra spesso un ritardo nelle scelte stilistiche, rispetto alle correnti italiane a loro contemporanee20. James Joyce (1882 – 1941) Tra il 1907 e il 1912 il celebre romanziere irlandese visse a Trieste, dove lavorò come insegnante di inglese e si dedicò alla scrittura. Attraverso lo studio e immergendosi nel dialetto triestino, Joyce arrivò a padroneggiare la lingua italiana ad ogni suo livello: dal registro formale della burocrazia, a quello familiare. Negli epistolari lo scrittore dà sfoggio della propria abilità, attraversando con sapiente disinvoltura tutti gli strati della lingua italiana. Gli unici testi letterari scritti da Joyce in italiano sono le autotraduzioni di due passi presi dal capitolo Anna Livia Plurabelle di Finnegans Wake. Per ricreare lo stile dell’originale e spingere il testo italiano ai limiti del nonsense, Joyce si serve di tecniche che appartengono alla tradizione del plurilinguismo e dell’espressionismo letterario italiano: l’uso di formazioni prefissali o suffissali; nominalizzazioni verbali; neologismi basati sull’onomatopea e la paronomastica; l’accostamento di termini aulici e plebei. La cifra intrinseca di questo esperimento joyciano è il fatto di essere al contempo la negazione e l’esaltazione suprema della traduzione21. Negazione, perché supera il mero lavoro di trasposizione, che mira semplicemente a rendere l’opera comprensibile in un’altra lingua, ma si impadronisce completamente della cultura e della letteratura della lingua d’arrivo. Esaltazione, 20 21 Brugnolo 2009, p.36. Brugnolo 2009, p.92. perché riesce a suscitare nel lettore straniero gli stessi effetti ottenuti nella propria lingua madre. Una traduzione che riesce perfettamente a comunicare l’intento dell’opera. Ezra Pound (1885 – 1972) Pound visse stabilmente a Rapallo dal 1925 al 1945. Dopo il periodo di internamento in un campo vicino a Pisa e i dodici anni trascorsi in un carcere criminale a Washington, per scontare la condanna di tradimento, lo scrittore tornò in Italia nel 1958 e vi rimase fino alla morte. Le sue uniche poesie interamente in italiano sono i canti 72 e 73, composti verso le fine del soggiorno a Rapallo. I due componimenti sono i massimi esempi dell’epica fascista di Pound, in cui riprende l’epos della Commedia dantesca. Da grande appassionato della cultura medievale e del poeta fiorentino, nel canto 72 imbastisce una struttura che riprende quella dei dialoghi infernali. Tre dei personaggi più interessanti presentati sulla scena sono: Marinetti (al tempo, morto da poco), strenuo propugnatore degli ideali fascisti e di ideali letterari-linguistici che si sposavano alla poetica di Pound; Cavalcanti, poeta che lo scrittore americano venerava ed ebbe modo di tradurre in inglese; il tiranno Ezzelino da Romano, che rappresenta l’Italia medievale e incarna una sorta di alter ego del duce. Il dantismo di questi testi «non è mai mera emulazione epigonica o reminiscenza erudita e decorativa ma sempre trasposizione creativa, agonistica e, appunto attualizzazione»22. Investe, dunque, non soltanto il livello tematico, ma anche quello lessicale, metrico e sintattico, ricreando il plurilinguismo e il pluristilismo danteschi. Ghiorgos Sarandaris (1908 – 1941) Sarandaris fu un prolifico poeta sia in italiano sia in greco, iniziando la propria produzione poetica prima in italiano. Laureato a Bologna, il giovane poeta mostrò un vivo interesse per i poeti della tradizione italiana, in primis Leopardi, e per gli autori a lui contemporanei: Pascoli, Corazzini, Ungaretti, Cardarelli, Gatto e Luzi. Nei propri componimenti Sarandaris utilizza una metrica libera, in cui raramente compaiono assonanze e consonanze. I versi sono prevalentemente endecasillabi e ottonari o settenari. La sintassi è piana e di andamento prosastico, mentre la gamma lessicale e tematica sono di grande semplicità23. Del poeta greco colpisce la grande naturalezza e spontaneità nello scrivere in una seconda lingua acquisita. Le sue poesie in italiano non furono mai pubblicate in vita, ma solo in un secondo momento grazie al lavoro del docente e grecista italiano Filippo Maria Pontani. 22 23 Brugnolo 2009, p. 107. Brugnolo 2009, p.15. Murilo Mendes (1901 – 1975) Poeta brasiliano nato nel 1901, si trasferì nel 1957 a Roma, per insegnare letteratura brasiliana presso l’università della capitale, e vi rimase fino al ’75, anno della sua morte. Autore di numerose raccolte poetiche in portoghese, terminò la propria lunga carriera artistica scrivendo in italiano: nel 1977 uscì postuma la raccolta Ipotesi, contenente cento testi scritti direttamente in italiano. Nella sua ultima opera Murilo Mendes sintetizza e anticipa alcuni tratti caratteristici della poesia italiana degli anni Settanta. Dal punto di vista linguistico colpisce la commistione di lessico quotidiano, estrapolato dalla sua vita di tutti i giorni, di parole ricavate dalla lettura dei quotidiani e di un lessico tecnico molto preciso: «I contatti di ogni giorno con la cultura e l'espressione italo-romanesca ad ogni livello - le quattro chiacchiere col portiere di via del Consolato, il “Messaggero” e il “Paese Sera” assaporati nelle notizie di cronaca più ancora che nelle prime e terze pagine della neutralità o del ricercare espressivi, il dialogo con la gente, studenti, colleghi, bidelli dell'Università - gli avevano fatto crescere dentro una nuova anima. Certe cose, certi concetti, non gli sbocciavano più in portoghese, ma in parola, in frase italiana. Erano stilemi ritagliati nell'attualità giornalistica, nessi aggettivo-sostantivo pietrificati, locuzioni verbali captate nella schermaglia verbale quotidiana e memorizzate così, come segmenti da ripetere ad alta voce, citando»24. Nella propria poesia riversa, dunque, l’italiano della quotidianità, affiancato anche da un lessico letterario. Quest’ultima è una delle particolarità che accomuna l’ultimo Mendes alla produzione montaliana degli stessi anni, in particolare di Satura, che fu pubblicata nel ’71. Altri tratti comuni a Montale sono: gli accostamenti inaspettati (artigli di velluto), l’incastonamento ironico-prezioso di citazioni o allusioni letterarie, l’utilizzo di aulicismi. Dalla somiglianza delle produzioni dei due poeti si potrebbe pensare che Mendes abbia letto e “dialogato” con Satura, ma la maggior parte dei testi di Ipotesi erano già pronti nel 1968. Ciò significa che probabilmente i due poeti hanno colto in modo affine lo spirito e le tendenze evolutive della poesia a loro contemporanea. Jacqueline Risset (1936 – 2014) Poetessa e saggista, nata in Francia nel 1936, si trasferì in Italia e dal 1963 lavorò all’università “La sapienza” di Roma prima come lettrice di lingua francese poi come professoressa di letteratura francese. Nel 1993 pubblicò Amore di lontano, la sua autotraduzione della raccolta originale in francese del 1988 (Amour de loin). L’operazione effettuata dalla Risset non è una semplice traduzione ma un forte adeguamento al sistema linguistico e alla tradizione letteraria d’arrivo. Uno dei caratteri 24 Luciano Stegagno Picchio, recensione di Ipotesi di Murilo Mendes. distintivi della poesia italiana è l’indeterminatezza, tipica della poesia ermetica italiana. Facendo riferimento a questo modello letterario la Risset, nelle sue versioni italiane, elimina articoli, preposizioni, forme attualizzanti, possessivi e alcune precisazioni “realistiche”, per aumentare l’effetto di indeterminatezza. Il titolo della raccolta, evocando l’ideale romantico della letteratura cortese, sembrerebbe richiamare alla memoria del lettore gli albori della letteratura francese e italiana. Dal canto dei trovatori provenzali e dalla sua successiva traduzione presso la corte di Sicilia sono nate, infatti, la poesia in lingua francese e la poesia in lingua italiana. Bibliografia Notazione sintetica Riferimenti completi Brugnolo, 2009 Furio Brugnolo, La lingua di cui si vanta Amore. Scrittori stranieri in lingua italiana dal Medioevo al Novecento, 2009, Carocci editore. Furio Brugnolo, voce Italiano degli scrittori stranieri, in Enciclopedia dell’Italiano Treccani. Fonte online: http://www.treccani.it/enciclopedia/scrittori-stranieri-italianodegli_(Enciclopedia-dell'Italiano)/ Zanotti, 2009 Serenella Zanotti, Da Dante a Mussolini: appunti sull’italiano di Pound, in Scrittori stranieri in lingua italiana, dal Cinquecento a oggi. Atti del Convegno Internazionale di Studi, padova 20-21 marzo 2009, a cura di Furio Brugnolo, Padova: Unipress, 2009. Fonte online: http://www.academia.edu/1202960/Da_Dante_a_Mussolini_appunti_sull_itali ano_di_Ezra_Pound Bruno Moretti e Ivano Paccagnella, voce Mistilinguismo, in Enciclopedia dell’Italiano Treccani. Fonte online: http://www.treccani.it/enciclopedia/mistilinguismo_(Enciclopedia_dell'Italian o)/ Luciana Stegagno Picchio, recensione di Ipotesi di Murilo Mendes. Fonte online: http://archivio.elghibli.org/index.php%3Fid=1&issue=01_05§ion=5&index_pos=3&lettur a=1.html Roberto Deidier, voce Jacqueline Risset, in Enciclopedia Italiana Treccani. Fonte online: http://www.treccani.it/enciclopedia/jacquelinerisset_(Enciclopedia_Italiana)/ Maria Luisa Ardizzone, voce Ezra Loomis Pound, in Enciclopedie online Treccani. Fonte online: http://www.treccani.it/enciclopedia/ezra-loomispound/