Cassazione – Sezione seconda civile – sentenza 10 ottobre – 27
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Cassazione – Sezione seconda civile – sentenza 10 ottobre – 27
Cassazione – Sezione seconda civile – sentenza 10 ottobre – 27 novembre 2007, n. 24655 Presidente Elefante – Relatore Oddo Pm Leccisi – conforme – Ricorrente Immobiliare 4M Srl – Controricorrente Lamanuzzi ed altro Svolgimento del processo I coniugi Mario Lamanuzzi e Maria Luce Mellone con atto notificato il 20/24 ottobre 1988 alla Immobiliare 4M S.r.l. ed alla Caripuglia S.p.A. esposero che: con preliminare sottoscritto il 13 dicembre 1984, integrato e modificato il 21 maggio 1986, la società Immobiliare 4M aveva loro promesso in vendita un appartamento ed un locale al piano scantinato, siti in un complesso edilizio in costruzione alla via S. Andrea, n. 167, di Bisceglie; avevano adempiuto con il versamento della somma complessiva di L. 47.650.000 alle proprie obbligazioni, dovendo il residuo prezzo essere coperto con accollo di un mutuo acceso dalla promittente venditrice presso la Caripuglia; la società Immobiliare 4M non aveva inteso addivenire alla stipula dei contratti definitivi entro il termine pattuito del dicembre 1985; erano disponibili ad integrare a semplice richiesta eventuali obbligazioni a loro carico. Tanto esposto, diffidarono la società Immobiliare 4M a comparire il 18 novembre 1988 davanti al notaio per la stipula del contratto di vendita degli immobili e contestualmente convennero la Immobiliare e l'istituto di credito davanti al Tribunale di Trani, domandando che, in caso di inadempimento alla diffida, fosse pronunciata, previo frazionamento del mutuo esistente, una sentenza costitutiva del trasferimento della proprietà degli immobili, e, in subordine, che fosse ordinato alla promittente venditrice di sottoscrivere l'atto di compravendita e la stessa fosse condannata al risarcimento del danno ed al pagamento della penale stabilita nel contratto. Entrambi i convenuti rimasero contumaci ed il Tribunale con sentenza del 17 ottobre 1990 dispose il trasferimento in favore degli attori della proprietà dei beni oggetto del preliminare, ordinando alla Caripuglia di frazionare il mutuo garantito da ipoteca sull'immobile di cui facevano parte le unità trasferite, e condannò la promittente al pagamento della penale di L. 15.000.000 e delle spese del giudizio. La decisione, gravata dalla Immobiliare 4M, e, in via incidentale dagli attori e dalla Caripuglia S.p.A., venne riformata il 29 novembre 2002 dalla Corte di Appello di Bari, che, in accoglimento dell'appello principale per quanto di ragione e di quello incidentale della Caripuglia S.p.A.: dichiarò l'inesistenza del mutuo ipotecario di cui gli attori avevano chiesto il frazionamento; confermò il trasferimento dell'appartamento e dello scantinato, subordinatamente al pagamento in contanti del saldo del prezzo da parte dei promissari entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione della pronuncia; rigettò le domande degli attori di condanna della società Immobiliare al risarcimento del danno ed al pagamento della penale. Osservò il giudice di secondo grado che per l'accoglimento della domanda di trasferimento della proprietà degli immobili i coniugi avevano soltanto l'onere di manifestare la volontà di corrispondere il saldo del prezzo e che la serietà della volontà manifestata nell'atto di citazione era in re ipsa, non essendo verosimile che, dopo avere versato nel pieno rispetto dei termini contrattuali più della metà del prezzo dell'appartamento e la quasi totalità di quello del box, essi intendessero sottrarsi al pagamento del residuo modesto dare; che non erano dovuti alla convenuta Immobiliare gli interessi sul saldo dal momento della consegna dell'appartamento, risultando dal compromesso che l'obbligazione era collegata all'accollo da parte degli attori di un mutuo, che la promittente aveva ammesso di non avere mai acceso; che l'Immobiliare non aveva provato di avere sopportato costi ulteriori per allacciamenti di luce, telefono e gas metano e per consumi di acqua ed energia elettrica e che non era ammissibile una c.t.u. in difetto di prova della sua effettuazione degli allacciamenti; che non essendo possibile la corresponsione del saldo mediante l'accollo del mutuo, il residuo del prezzo doveva essere pagato dai promissari in contanti entro il termine di sessanta giorni; che l'i.v.a. era stata versata dai promissari in aggiunta agli acconti. La società Immobiliare 4M è ricorsa per la cassazione della sentenza con due motivi, illustrati da successiva memoria, ed i coniugi Lamanuzzi e Mellone hanno resistito con controricorso notificato il 9 dicembre 2003. Motivi della decisione Con il primo motivo, denunciando la violazione degli artt. 2932, 1208, 1218, 1282, 1362, 1499, 1183 e 2697, c.c, e dell'art. 112, c.p.c., in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata: a) abbia ritenuto seria e concreta l'offerta degli attori di adempiere l'obbligo di corrispondere il saldo del prezzo, benché il relativo importo non fosse modesto, ma pari a quello già versato, l'offerta non includesse anche il pagamento degli interessi dalla data della consegna dell'appartamento e nell'atto di citazione i promissari, pur "dichiarandosi immediatamente disponibili ad ottemperare a tutto quanto dovesse stabilire il Tribunale, quale residuo obbligo eventualmente a (loro) carico", avessero dedotto, male interpretando una clausola del preliminare, di non dovere versare alcuna somma, perché il saldo doveva essere soddisfatto mediante l'accollo della frazione di un mutuo quindicennale, che peraltro la Caripuglia non aveva mai concesso alla promittente venditrice b) abbia fissato senza richiesta delle parti un termine di sessanta giorni dalla comunicazione della pronuncia per il pagamento del saldo; c) abbia escluso la condanna degli attori al pagamento degli interessi sulla somma dovuta con decorrenza dalla consegna dell'appartamento, nonostante fossero stati espressamente pattuiti e per la loro natura compensativa fossero dovuti anche in assenza di specifica domanda. Con il secondo motivo, deducendo la violazione degli artt. 1208, 1362 e 2697, c.c., nonché degli artt. 112 e 61, c.p.c, in relazione all'art. n. 360, nn. 3 e 5, si duole che la decisione abbia riconosciuto la completezza dell'offerta di pagamento del residuo prezzo, benché in essa non fossero compresi tutti gli oneri accessori della prestazione a carico degli acquirenti, che non potevano essere determinati se non attraverso una consulenza tecnica che ne ripartisse l'esborso in proporzione all'ampiezza del singolo appartamento, nonché gli impegni assunti nel verbale di consegna dell'immobile, gli interessi calcolati forfetariamente sino alla data della stessa e l'i.v.a. anticipata. Il motivo è infondato il relazione a tutti i profili menzionati. Quanto al primo, va osservato, che il giudice di secondo grado, nel condividere sul punto la pronuncia del tribunale, dopo avere premesso che ai fini della serietà dell'offerta di adempimento, alla quale l'art. 2932, co. 2, c.c., subordina l'accoglimento della domanda di esecuzione in forma specifica di un preliminare di compravendita, non occorre fare ricorso ad alcuna offerta formale, ben potendosi la stessa ricavare anche dal solo fatto della citazione del promittente venditore nel giudizio diretto a conseguire una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso, ha rimarcato che, nella specie, la serietà dell'offerta di pagamento del prezzo pattuito era da ritenersi in re ipsa, non essendo verosimile che i promissari, che avevano già versato più della metà del corrispettivo nel pieno rispetto dei termini contrattuali e dichiarato nell'evocare in giudizio il convenuto di essere disposti ad effettuarne il saldo, non intendessero poi onorare la volontà manifestata relativamente ad un modesto residuo dare. Orbene, la premessa si sottrae a censura, in quanto conforme al principio costantemente affermato da questa Corte Suprema che il contraente il quale chieda l'esecuzione specifica di un contratto preliminare di vendita è tenuto ad eseguire la prestazione a suo carico od a farne offerta nei modi di legge solo se tale prestazione sia già esigibile al momento della domanda giudiziale, mentre non è tenuto a pagare il prezzo (o la sua parte residua) od a farne offerta formale quando, in virtù delle obbligazioni nascenti dal preliminare, la prestazione non sia ancora esigibile, ma dovuta all'atto della stipula del contratto definitivo, giacché la proposizione della domanda di adempimento coattivo comporta di per sé una manifestazione della seria volontà del proponente di adempiere la propria prestazione, che necessariamente va imposta dal giudice quale condizione per il verificarsi degli effetti della sentenza sostitutiva del contratto (cfr.: Cass. civ., sez. III, sent. 21 aprile 2005, n. 8368; Cass. civ., sez. II, sent. 28 ottobre 2004, n. 20867; Cass. civ., sez. III, sent. 10 novembre 2003, n. 16822). Non attengono all'osservanza della legge, quindi, le doglianze che l'importo del prezzo ancora dovuto non fosse modesto, che l'offerta di pagamento non includesse specificamente gli interessi e che, pur "dichiarandosi immediatamente disponibili ad ottemperare a tutto quanto dovesse stabilire il Tribunale, quale residuo" debito, i promissari avessero dedotto e richiesto che il saldo fosse soddisfatto mediante accollo di un mutuo, risultato mai concesso alla promittente, e si risolve in una valutazione di fatto, non censurata sotto il profilo del vizio di motivazione e rispetto alla quale la ricorrente è peraltro priva di interesse, l'apprezzamento del giudice di merito in ordine all'interpretazione della domanda degli attori e, in particolare, all'espressione nell'atto di citazione di una loro volontà di ottenere il trasferimento degli immobili in nessun modo condizionata alle modalità di estinzione dell'obbligazione di pagamento del prezzo. Quanto ai restanti profili, va rilevato, in primo luogo, che la fissazione d'ufficio di un termine per l'adempimento della controprestazione nella sentenza costitutiva degli effetti del contratto non concluso, non integra una ultrapetizione, giacché, non prevedendo l'art. 2932, co. 2, c.c., alcun termine per essa, lo stesso deve essere necessariamente stabilito dal giudice secondo la previsione dell'art. 1183, co. 1, c.c. (cfr.: Cass. civ., sez. II, sent. 27 aprile 1996, n. 3926). In secondo luogo, che gli interessi compensativi non possono essere attribuiti in assenza di espressa domanda della creditrice, salvo che siano relativi a somme liquidate a titolo di risarcimento dei danni, avendo un fondamento autonomo e integrando una obbligazione distinta rispetto a quella attinente alle somme alle quali si aggiungono (cfr.: Cass. civ., sez. II, sent. 18 gennaio 2007, n. 1087; Cass. civ., sez. II, sent. 4 marzo 2004, n. 4423; Cass. civ., sez. I, sent. 19 febbraio 2000, n. 1913) e che detta domanda non poteva essere proposta nel giudizio di appello dalla ricorrente, rimasta contumace in primo grado, ostandovi il divieto dell'art. 345, co. 1, c.p.c, la cui violazione deve essere rilevata d'ufficio in sede di legittimità anche in un giudizio svoltosi nel regime anteriore alla "novella" di cui alla 1. n. 353/90, stante l'inderogabilità del principio del doppio grado di giurisdizione (cfr. Cass. civ., sez. III, sent. 11 gennaio 2007, n. 383; Cass. civ., sez. II, sent. 3 luglio 2003, n. 10527). All'inammissibilità della domanda, di cui la ricorrente lamenta il rigetto, è utile aggiungere che l'interpretazione della clausola contrattuale che prevedeva gli interessi ed il convincimento espresso nella sentenza che la loro decorrenza era subordinata alla duplice condizione della stipula del mutuo e della consegna dell'appartamento ai promissari integra una valutazione di fatto incensurabile per vizio di violazione di legge e che non è stata censurata sotto il profilo dell'adeguatezza e logicità delle argomentazioni che la sorreggono. Il secondo motivo è infondato ed in parte inammissibile. La corte di appello ha rigettato la richiesta di integrazione del saldo del prezzo con i costi sopportati dalla società appellante per gli allacciamenti della luce, del telefono e del gas ed i consumi di acqua ed energia elettrica e di ammissione di una c.t.u. per determinarli sull'assunto che la ricorrente non aveva provato di avere effettuato gli allacciamenti ed erogato somme per i consumi e che l'accertamento dell'effettuazione dei relativi esborsi esulava dalle finalità del mezzo di accertamento richiesto. L'argomento non è stato in alcun modo attinto dal motivo di ricorso, che si è limitato a ribadire il generico obbligo degli attori di rimborsare detti costi senza in alcun modo contestare l'affermazione dell'assenza di una prova dell'anticipazione delle somme delle quali era domandato il pagamento. Né il motivo ha contrastato l'accertamento della sentenza che l'i.v.a. di cui la ricorrente aveva chiesto il rimborso era già stato versato dai promissari in aggiunta agli acconti sul prezzo se non meramente ribadendo il contrario argomento che l'imposta non era stata versata in aggiunta agli acconti e che l'importo corrisposto non poteva conseguentemente essere imputato per l'intero al prezzo. All'infondatezza od inammissibilità dei motivi seguono il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in dispositivo. PQM La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in € 2.600,00, di cui € 100,00 per spese, oltre spese generali, Iva, Cpa ed altri accessori di legge.