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ADOLESCENTI
E
DINTORNI
PRIMA PAGINA
L’attualità sui banchi di scuola
Internet e smartphone la rendono possibile
La vita è (anche) virtuale
Non solo moda. Potrebbe diventare una filosofia di vita.
Non è raro ormai vedere un bimbo che
“sfoglia” con il ditino le pagine di uno
smartphone o di un tablet, sotto gli occhi
compiaciuti dei suoi genitori, mentre lui
gorgoglia di gioia per quella festa di movimenti e di colori. Oltre alla precocità del
gesto, colpiscono la naturalezza e la fluidità del movimento, soprattutto se paragonate a quelli studiati, rigidi e impacciati di
un adulto o di un anziano “migrati”,
spesso con grande sforzo, nella nuova cultura digitale.
Quanto a naturalezza e fluidità, non
sono da meno gli adolescenti perché sono
anch’essi nativi digitali, inseparabili dai
loro smartphone, tenuti sempre tra le mani
o a portata di mano – in tasca o in borsetta
– per sentirne la vibrazione in tutte le situazioni. Anche a scuola, dove sarebbe
proibito avere il cellulare acceso, e perfino
a letto, quando il telefonino trova posto sul
comodino o addirittura tra le coperte o
sotto il cuscino, dopo avergli affidato l’ultimo messaggio e l’ultimo sguardo per
controllare se non sia arrivato un messaggio, una foto, un post, una notifica di Facebook...
Quanto all’uso e alla connessione con-
tinua, non sono da meno molti adulti inseparabili dai loro cellulari, di cui fanno un
uso smodato e persino pericoloso (vedi
l’uso diffuso di telefonare e messaggiare
mentre si guida).
Insomma, è il cellulare più che il computer a dare la misura della compenetrazione e della pervasività delle nuove tecnologie nelle nostre vite, perché si insinua
nelle pieghe – anche le più intime e personali, anche le più banali e pratiche – del
nostro vissuto quotidiano.
Mentre il computer sembra essere collegato emotivamente con la sfera del lavoro, il cellulare è vissuto come un indispensabile strumento di vita, grazie anche
al numero sempre più grande di applicazioni: per parlare, per mandare messaggi,
per scrivere una lettera, per prendere appunti, per organizzare la propria agenda,
per fotografare, per produrre e inviare video, per navigare in Internet, per chattare,
ma anche per pagare il parcheggio, per fare
operazioni bancarie, per svegliarsi al mattino, per ascoltare musica, per trovare il
ritmo e per misurare gli sforzi durante il
footing, per…
Emotivamente non c’è storia, ma an-
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che commercialmente la sfida tra computer e cellulare sembra sia destinata ad essere vinta da quest’ultimo, perché, soprattutto nelle ultime versioni, lo smartphone
ha tutte le funzioni e le potenzialità del
computer con qualcosa in più, come la
possibilità di fare foto e video. Anche se –
non bisogna dimenticarlo – il funzionamento dei cellulari e delle infinite app è
garantito dalla tecnologia del computer e
da tutta la potenza di elaborazione dei
grandi server delle compagnie telefoniche, dei grandi motori di ricerca, dei social
network e dei fornitori di servizi web.
Dalla sua il cellulare ha che è piccolo e
leggero, veramente “portatile”. Al confronto, anche il più sottile e il più leggero
dei netbook è pesante e ingombrante; al
confronto, lo è anche il tablet, che rischia
di essere solo uno smartphone cresciuto
un po’ troppo.
Il “telefonino” è così piccolo da poter
stare in una mano, nella tasca del jeans,
nella più piccola delle borsette. Così piccolo da poterlo tenere sempre con sé, da
diventare consueto, familiare, onnipresente; quasi un prolungamento della fisicità di una persona. Una protesi.
Una piccola protesi, ma così potente da
collegare la persona, sempre e dovunque,
con tutto il mondo e così versatile da accompagnare e supportare l’utente in tutti i
risvolti della vita quotidiana.
Tante app, tanti usi diversi, ma la funzione principale resta sempre quella di comunicare e di condividere – parole, messaggi, foto, video, battute, emozioni – con
persone lontane, ma anche vicine.
Sarà capitato anche a voi di vedere un
gruppo di adolescenti seduti su un divano
che si scambiano messaggi per ridere e
scherzare. Potrebbero farlo anche senza
usare il cellulare? Certo, ma sarebbe una
cosa diversa, perché in quel momento quei
ragazzi stanno ridendo tra di loro, ma anche con altri che stanno altrove; ridono anche di materiale “lanciato” in rete da
chissà chi e da chissà dove. È un modo diverso di stare insieme e di stare lì, perché
si sta insieme tra amici e si sta contemporaneamente con altri amici o sconosciuti
presenti virtualmente, si sta lì in quel salotto ma si sta anche altrove, dove altri ragazzi fanno altro, anch’essi però connessi
alla rete.
È significativo che l’applicazione più
usata dagli adolescenti (ma non solo) sia
WhatsApp, che permette, oltre che messaggiare, anche di chattare e di condividere video e foto.
Le preoccupazioni, le critiche e gli allarmi in rete e sui media si sprecano: per
l’uso precoce dei cellulari da parte dei
bambini, per il numero eccessivo di ore
trascorse davanti allo schermo di computer e cellulari, per le distrazioni continue,
per la perdita della capacità di concentrazione, per la superficialità e la labilità dei
rapporti virtuali, per la perdita o l’affievolirsi delle capacità mnemoniche, per la solitudine di adulti e adolescenti 2.0…
Nonostante allarmi e allarmismi, la
rete continua a essere affollata da persone
che si scambiano messaggi e continuano a
condividere di tutto, dalla foto della pizza
alle gioie e ai dolori più intimi. Probabilmente, perché condividere è un bisogno
profondo delle persone, da sempre, come
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testimoniano i graffiti delle grotte preistoriche e la continua ricerca di nuovi mezzi
di trasmissione a distanza.
.
Oggi, abbiamo i mezzi per farlo facilmente, in tempo reale e a prezzi accessibili. Per questo è un diluvio
Lavoriamoci su
1. Computer e cellulare: condividi quanto si dice nell’articolo? Quali osservazioni critiche
muovi al testo?
2. Il 67% dei ragazzi possiede un cellulare; tra i 14 e i 15 anni hanno il telefonino 9
ragazzi su 10: per molti psicologi, l’uso precoce del cellulare creerebbe dipendenza
e disturberebbe la crescita. Tu a che età hai avuto il primo cellulare? Condividi le
preoccupazione su un uso precoce del telefonino? Motiva la risposta, facendo riferimento anche alla tua esperienza personale.
3. Divertirsi con gli amici usando il cellulare: descrivi in che modo si gioca e ci si diverte
con il telefonino.
4. «Migrati» nella cultura digitale: spiega questa espressione.
La dimensione virtuale può rappresentare un arricchimento nella vita di una persona –
avere una vita di relazione più ricca, conoscere realtà diverse e lontane, condividere
emozioni mai provate – ma può anche rappresentare un impoverimento, se essere connessi la “distrae” dalla propria esperienza di vita e le impedisce di vivere pienamente,
con tutto se stessa, un evento o un incontro.
Anche gli artisti vivono in modo diverso questa nuova dimensione. Per esempio, ai
concerti alcuni artisti sollecitano il pubblico a usare il cellulare, magari tenendolo acceso
con le mani in alto come una volta si faceva con le candele; altri vivono l’intrusione dei
cellulari come un disturbo. Il grande pianista Keith Jarrett, ad Umbria Jazz 2013, accolto
da un diluvio di flash, ha addirittura lasciato il palcoscenico e ha accettato di esibirsi
solo dopo che erano state spente le luci di cellulari e microcamere.
Nell’articolo che segue si affronta il problema della fruizione della realtà al tempo
di Internet, proprio a partire da quanto succede ai concerti.
SHOW, filmare e non guardare
Di EMILIO MARRESE in la Repubblica del 9 luglio 2013
Se fotografiamo i cannelloni che abbiamo sotto il naso, per poterli apparecchiare su
Facebook ancora fumanti (e pazienza se dovremo mangiarli più freddi nel caso in cui si
debba uscire dal ristorante per catturare il segnale 3G), figurarsi se non filmiamo Vasco
Rossi che canta “Vita spericolata” proprio davanti a noi o Bruce Springsteen o Paul Mc
Cartney o chiunque si metta a tiro di telefonino. Keith Jarrett no, e tanto peggio per lui
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se l’altra sera a «Umbria Jazz» ha spento la luce per non sentirsi carne da Smartphone.
Video, ergo sum (Vedo, dunque esisto, ma anche, giocando sulle parole: Faccio un video, quindi esisto. NdA). Oggi va così. […]
Se non mettiamo un filtro elettronico tra noi e quello che vediamo, un terzo occhio
che affidi il vissuto a una memoria artificiale, è come se non avessimo visto e vissuto
niente. E non è solo una deriva da nativi digitali, perché infatti al concerto al buio di
Jarrett mica c’erano i teenagers di Gangnam style. È la morte certificata dell’emozione
in diretta: pagare un biglietto, spesso anche salato, per vedere finalmente dal vivo qualcosa di unico, come i cento metri di Bolt, e poi non vederli ma filmarli, col bel risultato
di averli visti peggio che alla tv […].
«Siamo protesi» sorride il sociologo Vanni Codeluppi: «Non si fruisce più dell’esperienza attraverso il proprio corpo, ma attraverso uno strumento elettronico di mediazione dell’esperienza stessa. Guardate la gente al ristorante: sono lì eppure anziché socializzare coi commensali mandano sms e chattano socializzando con chi sta altrove.
Non si gode più del momento. […] Nella società della mediatizzazione conta ciò che è
dentro il medium: la vita è sul web, non lì. L’esperienza diretta vale meno di quella
mediata. Quello che stai vivendo in diretta, vale meno se non è condiviso, amplificato,
diffuso, archiviato telematicamente. Sarà assurdo, ma oggi è così.» […]
Domande in linea
1. Nell’articolo iniziale e in questo viene utilizzata la parola «protesi»: trova i passi e
spiega che cosa si vuole dire nel primo caso e nel secondo.
2. Conosci gli artisti citati nel testo? Spiega in pochi righi di chi si tratta. Ti puoi aiutare
con un motore di ricerca.
3. Nell’epoca della mediatizzazione, si vive più intensamente o si vive più superficialmente? Cerca di rispondere in modo articolato, motivando la tua risposta.
I social network
L’espressione social network in inglese vuol dire “rete sociale” e indica un
gruppo di individui collegati da un legame sociale. Si tratta di individui che condividono un interesse – lavorativo, religioso, sportivo, culturale… – e che tendono per questo a cercarsi, a discutere, a scambiarsi notizie, a incontrarsi, a stare
insieme. La tendenza a fare rete ha accompagnato tutta la storia dell’uomo – si
pensa all’orda dei primitivi – perché stabilire legami e relazioni è un’espressione
della naturale socialità, che gli umani condividono con altre specie che tendono
a fare gruppo.
Una rete sociale è tenuta insieme da qualcosa di immateriale – l’interesse
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condiviso – e da luoghi fisici, che diventano luoghi di incontri: circoli, club,
chiese, palestre, stadi... Entrare a far parte di una rete sociale significa moltiplicare immediatamente i propri rapporti sociali e consolidare la propria posizione
sociale, perché alla forza individuale si aggiunge quella del gruppo.
Proprio perché le reti sociali sono state da sempre legate a luoghi fisici, hanno
sempre avuto un’estensione limitata. Antropologi e sociologi hanno cercato anche di stabilire qual è il numero di relazioni veramente gestibili da un individuo
e veramente significative per lui. Hanno concluso che il numero ideale si aggira
sulle 150. Oltre questo numero, il legame si allenta fino a diventare ininfluente
o meramente simbolico. Per capirci, fino a 150 è possibile che ciascun membro
della rete abbia un rapporto personale con ciascuno degli altri membri, oltre i
150 ciascun membro tenderà ad stringere rapporti con una parte dei membri trascurando o addirittura ignorando gli altri. D’altra parte, ciascuno di noi distingue
tra “amici” e “conoscenti”, proprio in base alla densità e alla profondità del rapporto.
I social media
I social media sono la versione delle reti sociali in Internet. Il loro funzionamento
è simile a quello delle reti sociali tradizionali, con una grande differenza: il luogo
di “incontro” dei membri del gruppo non è reale ma solo virtuale. Questa nuova
caratteristica è molto interessante perché la comunicazione in Internet viola la
“regola dei 150”, perché i contatti che un membro della rete può stabilire sono
teoricamente infiniti: un solo membro può avere centinaia, migliaia o addirittura
milioni di followers.
Dal punto di vista sociale, è una novità assoluta e ancora non sappiamo quali
effetti può avere sui singoli individui e sulla società la formazione di reti sociali
così vaste e aperte teoricamente a… tutta l’umanità. Questo spiega le preoccupazioni, gli allarmi, ma anche i pareri contrastanti sull’uso dei social network da
parte degli adulti, ma soprattutto da parte di adolescenti e minori.
Attualmente i più diffusi social network sono Facebook e Twitter, ma non
sono gli unici; molto diffusi sono anche MySpace, Instagram, Google+, LinkedIn, ma ci sono anche Pinterest, Friendster, Meetup, Formspring, Bebo,
Ask…
In comune questo tipo di piattaforme web hanno che gli utenti possono crearsi
un profilo pubblico, che avere una propria lista di contatti, conoscere le liste dei
contatti degli altri e aggiungerli ai propri. In questo modo ciascun utente può
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moltiplicare i propri “amici”, in modo incredibilmente veloce ed esteso. Niente
di paragonabile alle reti sociali tradizionali!
In genere l’accesso e la registrazione a queste piattaforme è gratuito, perché i
gestori guadagnano vendendo i dati dei propri utenti alle aziende che li utilizzano
per le proprie ricerche di mercato. Altra fonte di guadagno è costituita dalla pubblicità.
E gli utenti possono ricevere qualche vantaggio economico? Sì, perché la possibilità per i singoli utenti di raggiungere in Internet un numero potenzialmente
infinito di persone ha fatto nascere nuove forme di attività economiche, fondate
sulla condivisione di interessi e attività. È la cosiddetta sharing economy. Vediamo di cosa si tratta.
Dai social alla sharing econonomy
Chi di voi non conosce il matching? È un esercizio presente in tutti i libri di testo
ed è divertente come un gioco. Si tratta di trovare delle relazioni tra elementi
elencati su due colonne: parole e significato, date e avvenimenti, personaggi e
azioni, formule chimiche e materiali, animali e versi… A volte ci fa anche scoprire e imparare cose nuove, perché, dopo aver collegato la maggior parte degli
elementi, riusciamo a collegare anche quelli che non conosciamo o di cui non
abbiamo mai sentito parlare.
Ecco, la prima caratteristica della sharing economy – potremmo tradurre economia della condivisione – è di essere un esercizio di matching potenzialmente
senza limiti. Come se dovessimo collegare due colonne di pagine e pagine in cui
sono elencati elementi che hanno tra di loro un qualche tipo di relazione.
Pagine e pagine di matching? Immagino già i vostri commenti: «Troppo complicato», «Troppo lungo», «Palloso», «Frustrante», «Impossibile»…
È invece semplice, veloce e possibile, se il lavoro di ricerca e di collegamento
lo fa il computer e se i risultati sono accessibili a tutti su Internet. Le applicazioni
sono le più varie e potenzialmente infinite.
Vediamo dei casi concreti per cercare di capire.
Mi sento solo. Oppure sono stanco di passare il mio tempo sempre con le
stesse persone. Vorrei conoscere persone nuove disposte, come me, a passare
una serata con una persona sconosciuta. Cercare tra la cerchia di amici sarebbe
inutile. Telefonare a caso e trovare una persona disponibile è molto improbabile
e perfino pericoloso. Se vado su un sito come meetic, è una questione di secondi,
perché meetic è una piattaforma on line creata proprio per far incontrare persone
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che non si conoscono, ma disposte a fare nuove conoscenze. Quello che sembrava improbabile o impossibile diventa a portata di un click, come si dice con
un’espressione abusata.
Vorrei andare a Perugia per il fine settimana, ma non ho la macchina e vorrei
spendere poco. Se ci fosse un amico che andasse a Perugia, disposto a dividere
le spese… Improbabile, anche avendo moltissimi amici. C’è però un sito Blablacar, che fa proprio questo: mettere in collegamento persone che devono raggiungere la stessa meta e sono disposti a viaggiare insieme, dividendo le spese. Si
viaggia in compagnia e si risparmia. La piattaforma prevede anche che si possa
scegliere di viaggiare con un taciturno o un chiacchierone, a seconda dei gusti.
Potremmo continuare a lungo: esistono piattaforme per poter affittare un appartamento, una casa o una stanza a prezzi contenuti (Co-living) o addirittura per
poter dormire per pochi soldi su un divano, messo a disposizione da un privato
a cui non dà fastidio ospitare estranei in casa; per poter condividere un posto di
lavoro con persone con interessi simili o diversi dai nostri (Co-working); per
poter approfittare per una sera del guardaroba di un’altra persona; per poter utilizzare gratuitamente una bici (Bike-sharing) o un’auto (Car-sharing) in una
grande metropoli; per avere un prestito in tempi brevi e a interesse più basso
(Social lending) o per raccogliere fondi per un progetto a cui teniamo molto
(Crowfunding). Ci si può addirittura scambiare il tempo (Banche del tempo o
BdT) o scambiarsi beni e servizi senza passaggio di soldi, pagando con moneta
virtuale (Bitcoin).
Tutte queste esperienze hanno due elementi in comune: 1) viene usata una
piattaforma Internet per mettere in contatto persone che non si conoscono, ma
che sono disposte a scambiare oggetti, servizi ed esperienze con sconosciuti; 2)
le persone non sono interessate a possedere dei beni (la bici, l’auto, il vestito)
ma solo a utilizzarlo per un periodo di tempo limitato (poche ore, un giorno, una
settimana, un mese…).
In molti casi, l’uso della piattaforma (il sito Internet su cui avviene il matching) è completamente gratuito; sono gratuiti, ad esempio, tutti i corsi on line
(Mooc: Massive open online courses) messi a disposizione dalle principali università italiane e straniere.
Altre volte, invece, la piattaforma che favorisce l’incontro tra domanda e offerta (tra chi cerca e chi offre qualcosa) trattiene una percentuale. Lo fanno le
principali piattaforme di crowfunding, lo fa Blablacar, lo fa Airbnp, che è la più
grande piattaforma al mondo per lo scambio di stanze e di appartamenti. In molti
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casi, chi ha avuto l’idea e ha inventato l’applicazione per renderla possibile, ha
accumulato ingenti fortune.
Secondo molti economisti, la condivisione di beni e servizi e la propensione
a preferire l’accesso piuttosto che il possesso dei beni saranno alla base dell’economia del futuro. Secondo alcuni, per esempio Jeremy Rifkin, la condivisione e
l’accesso saranno alla base di un nuovo modo di pensare, che porterà addirittura
al superamento del sistema capitalistico, fondato sulla proprietà privata.
Lavoriamoci su
1. Quali sono le differenze fra una rete fisica e una rete virtuale?
2. Prova a spiegare la “regola dei 150”. Perché non vale su Internet?
3. Conosci qualcuna delle piattaforme citate nel testo? Se sì, racconta la tua esperienza.
Se no, visita il sito di Blablacar e spiega come funziona questo servizio.
4. Viaggiare nell’auto con uno sconosciuto, dormire nella casa di uno sconosciuto: è
pericoloso. Come faccio a fidarmi? Visitate i siti di Blablacar e di Airbnp e riassumete
come fanno a garantire la sicurezza degli utenti.
WEB Percorso di ricerca
1. Banche del tempo: come funzionano? Fai una breve ricerca on line e rispondi in non
più di 15-20 righi.
2. Chi è Jeremy Rifkin? Cerca su un motore di ricerca e rispondi in quindi righi.
IL COSTUME
Il galateo della rete
LA LEGGE
La dimensione virtuale della vita – le ore che passiamo connessi a Internet e il tempo che
dedichiamo a curare i nostri rapporti virtuali sui social network – costituisce ormai una
dimensione altrettanto importante di quella reale. Anzi, le due dimensioni si intersecano
continuamente e diventano sempre più indistinguibili. Qualcuno ha scritto che lo
smartphone è il terzo arto per i nativi digitali…
Naturalmente, anche su Internet si devono rispettare delle regole di comportamento,
per non riuscire importuni o addirittura maleducati, proprio come succede nella vita reale.
Per esempio, non tutti sanno che scrivere in stampatello in rete equivale a gridare e
si sa che parlare sottovoce è la prima regola di buona educazione nella vita reale. Insomma anche la rete ha il suo galateo e questo galateo ha anche un nome: netiquette,
cioè l’etichetta in rete.
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Adolescenti e Internet
Netiquette
Adattato da Wikipedia
La netiquette è un termine che unisce il vocabolo inglese network (rete) e quello
di lingua francese étiquette (buona educazione). È un insieme di regole che disciplinano il comportamento di un utente di Internet nel rapportarsi agli altri
utenti attraverso risorse come newsgroup, mailing list, forum, blog, reti sociali o
e-mail in genere. […]
Sono comportamenti contrari alla netiquette inviare spam, effettuare mailbombing e l’eccessivo cross-posting e/o multiposting sui newsgroup di Usenet.
[…]
I principi di base del galateo informatico sono, al pari dell’educazione quotidiana, quelli di essere il meno possibile invasivi e scortesi. […]
Se si manda un messaggio, è bene che esso sia sintetico e descriva in modo
chiaro e diretto il problema. Specificare sempre, in modo breve e significativo,
l’oggetto. […]
Non condurre «guerre di opinione» sulla rete a colpi di messaggi e contromessaggi: se ci sono diatribe personali, è meglio risolverle via posta elettronica
in corrispondenza privata tra gli interessati.
Non pubblicare mai, senza l’esplicito permesso dell’autore, il contenuto di
messaggi di posta elettronica.
Non inviare tramite posta elettronica messaggi pubblicitari o comunicazioni
che non siano state sollecitate in modo esplicito.
Rispettare le persone diverse da te per cultura, religione, ecc.
Non fornire informazioni errate, imprecise, incomplete, ambigue o obsolete.
In caso di dubbio, verificarle prima.
Lavoriamoci su
1. Scrivi una lettera a un amico, per spiegargli le principali regole di convivenza in Internet.
2. Utilizzando un motore di ricerca, spiega il significato delle seguenti parole ed espressioni: spam, mailbombing, cross-posting, multiposting, newsgroup, Usenet.
DIBATTITO
1. Usare il telefonino in classe è proibito dal regolamento. Eppure in certi casi usare lo
smartphone potrebbe essere utile per prendere appunti, per annotarsi i compiti, per
accedere a Internet. Discutetene tra di voi, cercando ad arrivare a stabilire un decalogo
sull’uso corretto e condiviso del cellulare a scuola.
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Suggestioni
letterarie e linguistiche
L’e-mail
L’e-mail è una lettera elettronica. È scontato, quindi, che nella scrittura di un’e-mail valgono le stesse regole che si seguono per scrivere una lettera.
Bisogna quindi tener conto prima di tutto delle caratteristiche del destinatario: useremo un registro colloquiale e confidenziale se si tratta di un amico o di un familiare, un
registro formale se si tratta di un conoscente o di una persona con cui intratteniamo
rapporti di lavoro o professionali. Useremo il tu nel primo caso, il lei nel secondo.
A differenza delle lettere tradizionali, è obbligatorio indicare l’oggetto anche nelle email confidenziali, perché è indispensabile per rintracciare subito l’e-mail nell’elenco
della posta elettronica. L’oggetto deve essere sempre molto preciso e mai generico: per
esempio, scriveremo richiesta informazioni sulle iscrizioni al primo anno e non solo richiesta informazioni.
Bisogna evitare di utilizzare gli emoticon nelle lettere formali o con persone con cui
non siamo in confidenza.
Le lettere non confidenziali devono essere sintetiche e precise.
Naturalmente, bisogna rispettare tutte le regole della netiquette ricordate sopra.
Lavoriamoci su
1. Ti sei assentato da scuola per qualche giorno: scrive una lettera al tuo docente di
lettere per chiedergli indicazioni sugli argomenti svolti durante la tua assenza.
2. Scrivi una lettera a un tuo compagno o a una tua compagna di classe per raccontare
com’è andata la festa della sera prima.
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