capitolo2bis(da 2.7)

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capitolo2bis(da 2.7)
2. Teorie della crescita
2.1. Evidenza empirica
Tra tutte le questioni che l’economia dello sviluppo deve affrontare la più importante è certo quella della crescita economica
Lucas R. nelle sue Marshall Lectures dice: “i tassi di crescita del reddito
pro capite sono diversi, anche per periodi relativamente lunghi. . . .i redditi indiani
raddoppiano ogni 50 anni, quelli coreani ogni 10. Un indiano quindi avrà, in media,
il doppio del benessere del suo nonno, un coreano invece 32 volte. Queste cifre
indicano opportunità. C’è qualche azione di governo dell’India che può portare
la sua economia su un sentiero simile a quello dell’Indonesia o dell’Egitto? Se
è così, quali esattamente? Se non è così, che cosa c’è nella “natura dell’India”
che la rende così come è. Le conseguenze per il benessere umano che stanno
dietro queste domande sono semplicemente stupefacenti. Una volta che si inizia
a pensare a queste conseguenze è difficile smettere di pensarci.”
Non esiste un’unica teoria della crescita. Le teorie della crescita economica ci
consentono di capire meglio i processi di sviluppo, almeno a un livello aggregato.
Ci permettono soprattutto di capire quali sono le domande cruciali cui dedicare
maggior attenzione. Senza perdere di vista i fatti empirici. La crescita del reddito
pro capite, almeno a ritmi così sostenuti (1-2% l’anno, ma in alcuni casi, come
la Cina, 6-8% l’anno) è un fenomeno relativamente recente. In particolare, prima
della rivoluzione industriale inglese, era un eccezione piuttosto che la regola. Per
esempio, nel periodo dal 1580 al 1820, in Olanda, uno dei paesi dall’economia
più fiorente, la crescita era dello 0,2% all’anno. Nel periodo dal 1820 al 1890 in
cui l’economia più fiorente era senz’altro il Regno Unito, la crescita è stata dell’
1,2% all’anno (ben sei volte maggiore che in Olanda nel periodo dal 1580 al 1820).
Infine, nel 1890-1989, gli stati uniti, l’economia più forte, in media, durante questo
periodo, il tasso di crescita medio annuo è stato del 2,2%, quasi il doppio di quello
dell’economia inglese nel periodo 1820-1890.
Queste differenze possono sembrare contenute, ma non è affatto così. Si pensi
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che se il tasso di crescita annuo è il 2% un’economia vede il suo reddito pro
capite raddoppiare ogni 35. Un’economia che cresce ad un tasso dell’1% invece,
a raddoppiare il proprio reddito pro capite impiegherà quasi 70 anni, ovvero il
doppio del tempo, più o meno.
In questi ultimi 100 anni ci sono stati esempi di crescita sostenuta che ha
comportato alcuni paesi in via di sviluppo ad avvicinarsi considerevolmente ai
livelli di reddito pro capite dei paesi avanzati (tra cui alcuni veri e propri miracoli
localizzati nella regione del sud-est asiatico, vedi le cosiddette tigri asiatiche) ma,
come abbiamo visto nel capitolo 1, ci sono stati anche anche molti casi di regresso
e di allontanamento dai paesi ricchi (specie nell’area del africa sub-sahariana),
specie negli ultimi anni.
Le teorie presentate in questo capitolo offrono alcune spiegazioni circa le possibili determinanti del tasso di crescita del reddito pro capite di un paese.
2.2. Il modello teorico di economia
La crescita è, in senso stretto, il risultato dell’astensione del consumo odierno per
ricevere i benefici, in termini di una maggiore produzione, in futuro. Un’ economia
produce beni. L’atto della produzione genera redditi che vanno a remunerare i
fattori produttivi utilizzati nella produzione. I redditi sono utilizzati per comprare
questi beni. Nell’aggregato possiamo distinguere tra due categorie di beni: i beni
di consumo e i beni capitali. Il reddito generato per la produzione di tutti i beni
è speso per entrambi i beni. La spesa per l’acquisto di beni capitali si definisce
investimenti, mentre la spesa per l’acquisto di beni di consumo è definita consumo.
Generalizzando e semplificando le famiglie comprano i beni di consumo e le imprese comprano i beni capitali. Ma se le famiglie ricevono il reddito e lo spendono
in beni di consumo da dove sorge il mercato dei beni capitali? La risposta è semplice: le famiglie risparmiano. Si astengono dal consumo corrente e mettono a
dispozione delle risorse per le imprese per comprare beni capitali ovvero sia per
effettuare gli investimenti.
Questo semplice schema, rappresentato in figura 2.1, è alla base del modello
di crescita di Harrod e Domar, così come dei modelli di crescita che analizzeremo
successivamente.
beni di investimento
Imprese
spesa investimenti
salari, rendite
Spesa per consumo
Beni di consumo
Famiglie
Risparmio
Figura 2.1
Figura 2.1:
2.3. Il modello di Harrod e Domar
Consideriamo una sequenza di periodi t = 1, 2, 3, 4, 5. Definiamo Y (t) il livello del
reddito totale dell’economia nel periodo t ( che, per definizione, è uguale al valore
della produzione aggregata riferita allo stesso periodo), C(t) la quantità totale di
risorse spese per consumare, e S(t) la quantità totale di risorse risparmiate; dove
tutte le grandezze sono espresse, cioè valutate, in unità di bene numerario. Ciò
dato, la contabilità nazionale ci dice che
Y (t) = C(t) + S(t).
(2.1)
In ogni periodo il reddito aggregato deve essere uguale alla spesa in beni di
consumo più l’ammontare di reddito risparmiato. Una seconda identità contabile:
Y (t) = C(t) + I(t)
(2.2)
suggerisce che la produzione aggregata deve essere uguale alla somma dei beni
consumati, C(t), più i beni di investimento acquistati, I(t). Combinando le
identità (2.2) e (2.1) otteniamo
S(t) = I(t).
(2.3)
Il totale degli beni d’investimento acquistati nel periodo t deve essere uguale all’ammontare aggregato di risparmio. Ovvero, la spesa per investimenti, o più
sinteticamente, l’investimento aggregato, deve essere uguale al risparmio aggregato.
Gli investimenti vanno ad incrementare lo stock di capitale esistente. È però
vero che, nel tempo, una parte dello stock di capitale viene consumata: l’utilizzo
ripetuto dei beni capitali comporta un certo grado d’usura. Definiamo K(t + 1)
lo stock di capitale all’inizio del periodo t + 1, e D(t) la quantità di capitale che
viene consumata in ogni periodo. Dato l’ammontare di investimenti I(t), possiamo
dunque scrivere
K(t + 1) = K(t) + I(t) − D(t).
(2.4)
Il capitale all’inizio del periodo t + 1 è dato dallo stock di capitale al tempo
t più il flusso di investimenti del periodo t, meno il consumo, altrimenti detto
deprezzamento, dello stock di capitale imputabile allo stesso periodo. Se supponiamo poi che il deprezzamento sia una funzione lineare di K(t) così definita:
D(t) = δK(t)t, possiamo scrivere la (2.4) come segue
K(t + 1) = K(t) + I(t) − δK(t).
(2.5)
Sappiamo che I(t) = S(t). Da cosa è dato il risparmio? In generale, il
risparmio S(t) è una parte del reddito prodotto. Definiamo
s(t) =
S(t)
K(t)
propensione media al risparmio. Assumiamo che le preferenze intertemporali degli
individui di quest’economia siano tali per cui gli individui risparmino una frazione
di reddito costante nel tempo. Matematicamente, ipotizziamo che s(t) = s dove s
è una costante tra zero e 1. Ciò equivale ad assumere che la funzione di risparmio
aggregato sia lineare in Y (t):
S(t) = sY (t).
La condizione di equilibrio S(t) = I(t) può essere dunque riscritta come
sY (t) = I(t)
Sostituendo nella equazione (2.5) troviamo
K(t + 1) = K(t) + sY (t) − δK(t).
(2.6)
Da cosa è determinato il livello di produzione totale Y (t)? La produzione è
determinata dalla tecnologia produttiva in base alla quale i fattori produttivi, che
in questa versione semplificata del modello di Harrod e Domar ri riducono al solo
capitale, vengono combinati per produrre. Definiamo
θ(t) =
K(t)
Y (t)
il rapporto capitale-produzione. Questo rapporto ci dice il numero di unità di
capitale necessarie per ottenere, in base alla tecnologia produttiva disponibile al
tempo t, una unità di prodotto. Assumiamo che θ(t) sia costante nel tempo e pari
a θ. Sostanzialmente stiamo assumendo che la funzione di produzione associata
alla tecnologia utilizzata dalla nostra economia sia la seguente
K(t)
.
θ
Ovviamente, data quest’equazione, possiamo scrivere K(t) = θY (t), ed anche
K(t + 1) = θY (t). Sostituendo i valori di K(t) e K(t + 1) nell’espressione (2.6) in
base a queste due espressioni otteniamo:
Y (t) =
θY (t + 1) = (1 − δ)θY (t) + sY (t).
(2.7)
Definiamo
g(t) =
Y (t + 1) − Y (t)
Y (t + 1)
=
−1
Y (t)
Y (t)
il tasso di crescita del reddito aggregato. In base a questa definizione, e data
l’equazione (2.7), il tasso di crescita dell’economia descritta dal modello di Harrod
e Domar è la seguente
s
− δ.
θ
Le indicazioni principali del modello di Harrod e Domar sono le seguenti:
g(t) =
• il tasso di crescita di lungo periodo è costante (cioè non varia nel tempo)
• Le variabili che influenzano il tasso di crescita sono le seguenti:
— propensione al risparmio, s;
— la produttività del capitale, 1/θ;
— il tasso di deprezzamento del capitale, δ.
Il tasso di crescita cresce all’aumentare di s o di 1/θ, e diminuisce all’aumentare
di δ.
2.3.1. L’endogeneità del saggio di risparmio
Sicuramente il parametro più importante del modello è il saggio di risparmio.
Può essere considerato un parametro facilmente manipolabile dal governo? Al
solito, dipende. Per esempio in alcuni casi il governo può fare ben poco e quindi
il risparmio dipende o da linee di credito esterne o dagli aiuti da parte dei paesi
più avanzati.
Ma in realtà l’aspetto più rilevante è che esso è influenzato dal livello di reddito
e ancora dalla sua distribuzione. E’ insomma endogeno.
Il saggio di risparmio dipende infatti da quanta parte del reddito deve essere
impegnata per la sussistenza. Il problema della sussistenza (di ciò che si ritiene
necessario per la sopravvivenza) ovviamente cambia nel tempo ma in linea di
massima è facile pensare che esso sia rilevante nei paesi arretrati e non nei paesi
ricchi. Per questi paesi quindi il saggio di risparmio sarà basso perché non si ha
la possibilità di distogliere risorse dal consumo odierno per deferirle al futuro.
All’aumentare del reddito altri fattori entrano in gioco le necessità della sussistenza si fano fanno meno pressanti e quindi è ragionevole pensare che il saggio
di risparmio aumenti (sia all’interno dei paesi che tra i paesi). Ma non indefinitamente: oltre un certo livello di reddito il saggio di risparmio (non il suo livello
assoluto) può di nuovo diminuire. La ragione è che i ricchi, essendo già tali, non
hanno molte ragioni per continuare a accumulare.
Il saggio di risparmio ha quindi una forma a U-rovesciata in un grafico dove
sull’asse orizzontale riportiamo i livelli di reddito pro-capite. Se teniamo conto
di questo aspetto il modello diventa non neutrale e quindi capace di dire perché
alcuni paesi hanno differenze sistematiche nei loro tassi di crescita. Secondo questo
modello, corretto per tenere conto dell’endogeneità dei saggi di risparmio, i paesi
poveri e quelli ricchi avrebbero un tasso di risparmio più basso e quindi una crescita
inferiore. Diversamente i paesi con un reddito intermedio sperimenteranno una
più elevata propensione al risparmio e cresceranno a tassi più alti.
2.3.2. L’endogeneità della crescita della popolazione
Anche la dinamica della popolazione può essere ragionevolmente legata alla dinamica del reddito. Si parla in questo caso della cosiddetta transizione demografica
cui l’economia dello sviluppo dedica molti dei suoi studi e modelli. Vediamone una
versione sintetica. L’idea è molto semplice. Nei paesi poveri il tasso di mortalità è
alto, specie tra i bambini, in ragione di carestie, malnutrizione, malattie, precarie
condizioni igieniche e sanitarie. Il tasso di natalità è altrettanto alto per garantire
un alto numero di sopravissuti. Il saldo netto della crescita della popolazione sarà
basso.
Con il miglioramento del benessere vi sarà anche un miglioramento delle condizioni di vita e quindi i tassi di mortalità, legati essenzialmente alle condizioni
igieniche e sanitarie, diminuiranno drasticamente. Il tasso di natalità invece si
aggiusterà più lentamente perchè dipende da abitudini, consuetudini e da altri
fenomeni che attengono alla cultura che hanno una certa resistenza al cambiamento. Il saldo netto della crescita della popolazione inizialmente aumenterà
sensibilmente.
Nel lungo periodo si aggiusteranno anche le abitudini e le consuetudini potranno modificarsi e così i tassi di natalità: il tasso di crescita della popolazione
diminuirà di conseguenza. Il risultato è una curva del tasso di crescita della popolazione n(t) al variare del reddito pro capite y(t) a forma di u rovesciata come
rappresentato in figura 2.2. Si noti che insieme alla curva è riportato il tasso di
crescita del reddito totale, che è costante e pari a g(t) = g. La differenza verticale tra le due curve rappresenta il tasso di crescita del reddito procapite. Esso
è positivo per valori bassi del reddito procapite, negativo per valori intermedi, e
poi di nuovo positivo per valori alti del reddito procapite. Nel modello di crescita
di Harrod-Domar, adesso che la crescita della popolazione dipende dal livello del
reddito, si avrà quindi un sistema che ha due equilibri possibili: uno è la trappola
maltusiana (al crescere del reddito la popolazione cresce più velocemente e quindi
il reddito procapite diminuisce), dato dal livello di reddito pro capite di equilibrio
y0 . L’altro è segnato da un livello soglia y1 : se l’economia riesce a superarlo non
è più impantanato nella trappola e può avere tassi di crescita del reddito sempre positivi. Nota che il modello corretto ha una morale molto importante dal
punto di vista delle politiche economiche: bisogna spingere l’economia fuori dal
circolo vizioso oltre la soglia critica per consentirgli di sperimentare una crescita
sostenuta del reddito pro-capite.
NOTA BENE: in questo modello interventi di politica economica che portino
l’economia oltre la soglia hanno effetti permanenti. Questo risultato può essere
n(t)
g(t)
y1
y0
y(t)
Figura 2.2:
ottenuto o portando verso l’alto la retta del tasso di crescita del reddito totale
(per esempio, aumentando il saggio di risparmio) oppure abbassando la curva a
U rovesciata del tasso di crescita della popolazione (per esempio, con una politica
che promuova il controllo delle nascite). Importanza delle variabili endogene e
quindi della causazione cumulativa che lega alcuni fenomeni. Cambia il nostro
modo di leggere l’economia e di pensare gli interventi del governo.
2.4. Il modello di Solow
Le principali novità del modello di Solow rispetto a quello di Harrod-Domar sono:
a l’enfasi sul concetto di rendimenti decrescenti per i singoli fattori di produzione e
b. l’idea che i fattori produttivi siano perfettamente divisibili e in certa misura
sostituibili ancorchè tutti strettamente necessari. La sostituibilità implica
che un certo livello di produzione possa essere ottenuto con diverse (di fatto
infinite) combinazioni dei fattori produttivi; per esempio la quantità 100 può
essere ottenuta combinando 50 unità di capitale e 50 di lavoro oppure 70 di
lavoro e 40 di capitale o viceversa 30 lavoro e 80 di capitale e via dicendo.
Nel modello di Solow infatti compare esplicitamente una funzione di produzione in cui il prodotto è il risultato della combinazione di lavoro e capitale. Se
quindi c’è abbondanza di capitale si utilizzeranno metodi più intensivi di questo
fattore, viceversa se c’è relativa abbondanza di lavoro prevarranno le tecniche
più intensive di lavoro. In altre parole θ che nel modello H-D è una grandezza
esogena, è endogeno e dipende dalla dotazione relativa di capitale e lavoro.
2.5. Le equazioni
Partiamo dall’equazione di accumulazione
K(t + 1) = (1 − δ)K(t) + I(t).
Dividendo per il numero di individui, N(t), e dato N(t + 1) = N(t)(1 + n),
troviamo
(1 + n)k(t + 1) = (1 − δ)k(t) + sy(t),
(2.8)
dove k(t) e y(t) sono rispettivamente il capitale ed il reddito pro capite. Qual’è
il l’intuizione economica alla base dell’equazione (2.8)? La parte a destra ha
due addendi: ciò che rimane dello stock di capitale pro capite al tempo t dopo
il suo deprezzamento, (1 − δ)k(t), e l’investimento pro capite del periodo t che
corrisponde al risparmio procapite, sy(t). Insieme ci danno il nuovo capitale pro
capite al tempo t+1, k(t+1), salvo per una complicazione: la popolazione cresce al
tasso n e quindi dobbiamo scontare il capitale procapite per questa variazione. Per
questo al lato sinistro dobbiamo tenerne conto: più è alto il tasso di crescita della
popolazione maggiore è la perdita di capitale procapite nel periodo successivo.
Per capire meglio si può anche rileggere la formula in questo modo:
[1 − δ]k(t) sy(t)
+
,
(2.9)
1+n
1+n
dove si vede chiaramente che lo stock di capitale pro capite del periodo t+1 è dato
dallo stock di capitale pro capite ereditato dal periodo t netto del deprezzamento
più gli investimenti, il tutto scontato per l’aumento di popolazione.
Il passo successivo per completare il modello di Solow è quello di legare il
concetto di capitale procapite a quello di prodotto procapite attraverso la funzione
k(t + 1) =
di produzione (che come sappiamo rappresenta la conoscenza tecnica disponibile
nell’economia).
Il modello di Solow può essere presentato con una formulazione generica dalla
funzione di produzione Y = F (K, L), dove in base alle ipotesi di Solow, questa
funzione F (., .) soddisfa le seguenti proprietà:
1. rendimenti di scala costanti (cioè la funzione è omogenea di grado 1) .
2. le produttività marginali dei due fattori sono positive e decrescenti rispetto
all’impiego di ciascun fattore (cioè la funzione deve essere continua e due
volte differenziabile)
3. la produttività marginale di ogni fattore tende a infinito (zero) quando
l’utilizzo di tale fattore tende a zero (infinito).
In quel che segue, anzichè utilizzare la forma generica F (., .), useremo la
seguente forma funzionale che rispetta le condizioni 1-3:
Y (t) = AK(t)α L (t)1−α ,
(2.10)
dove A è un parametro maggiore di zero e α un parametro tra zero e 1 pari
all’elasticità di Y (t) rispetto a K(t) [verificatelo!].
Assumiamo che ogni individuo offra una unità di lavoro, cosicchè L(t) = N(t).
Data l’equazione (2.10) la funzione di produzione ci dice che il livello di prodotto
pro capite è dato dalla seguente funzione di produzione in forma compatta
y(t) = Ak(t)α .
(2.11)
Si può notare che questa funzione di produzione ha rendimenti decrescenti nel
rapporto capitale/lavoro. All’aumentare dell’intensità del fattore capitale la produzione aumenta ma via via sempre meno. Graficamente, la forma della funzione
di produzione compatta è rappresentata in figura 2.3.
Torniamo alla nostra equazione di accumulazione (2.8) che, tenendo conto
dell’equazione (2.11), può essere riscritta come segue
(1 + n)k(t + 1) = (1 − δ)k(t) + sAk(t)α ,
ovvero, dividendo ambo i termini per (1 + n)
k(t + 1) =
(1 − δ)
sA
k(t) +
k(t)α .
1+n
1+n
(2.12)
y ( t)
0
k ( t)
Figura 2.3:
L’equazione (2.12) descrive la dinamica del rapporto capitale lavoro, ovvero
del capitale pro capite, nel tempo. È importante notare che , dato che, in base
alla (2.11) y(t) è determinato unicamente da k(t), conosciamo, indirettamente,
anche la dinamica del reddito pro capite. In particolare, abbiamo che
g(t) =
k(t + 1)
y(t + 1)
−1=
− 1.
k(t)
y(t)
Il tasso di crescita del reddito pro capite è esattamente uguale al tasso di crescita
del capitale pro capite. Data l’equazione (2.12) l’espressione del tasso di crescita
dell’economia, g(t) è la seguente
g(t) =
(δ + n)
sA
k(t)α−1 −
.
1+n
1+n
Si può notare quanto segue:
• Il tasso di crescita del capitale pro capite, e del reddito pro capite, varia al
variare di k(t), ed e facile constatare che decresce in k(t);
• Piu’ precisamente e’ una funzione monotona decrescente in k(t).
g(t)
o
k1
k2
k*
K(t)
Figura 2.4:
Cio’ che succede e’ che a partire da un livello di k(t) tale per cui g(t) e’ positivo,
k(t) cresce e così g(t) si riduce nel tempo. In particolare si puo’ notare che per
k(t) che va ad infinito, g(t) e’ negativo e pari a − (δ+n)
, mentre per k(t) che va a
1+n
zero g(t) e’ + infinito.
Di conseguenza esiste un unico valore di k(t), che chiamiamo k ∗ , tale per cui
il tasso di crescita g(t) è zero. Una volta raggiunto questo valore, k(t) restera’
costante nel tempo al livello k∗ . E’ inoltre importante notare che, dato qualsiasi
valore iniziale di k(t), l’economia convergerà sempre a k∗ . L’equilibrio di lungo
periodo k∗ è dunque stabile. Quanto è confermato dall’analisi grafica in figura
2.4.
Il valore stazionario di k(t), k∗ è, per definizione, quel valore di k(t) tale per
cui g(t) è uguale a zero. Matematicamente, k∗ soddisfa quest’equazione
sA ∗α−1 (δ + n)
k
= 0.
−
1+n
1+n
Risolvendo quest’equazione per k∗ troviamo
·
sA
k =
δ+n
∗
1
¸ 1−α
.
Data l’espressione (2.11) ricaviamo infine il valore stazionario del reddito pro
capite, y ∗ , ovvero il suo valore di equilibrio di lungo periodo
·
sA
y =A
δ+n
∗
α
¸ 1−α
.
(2.13)
2.5.1. Effetti di livello ed effetti di crescita
Nella sua formulazione originale sopra descritta, il modello di Solow implica che,
in equilibrio di lungo periodo , il reddito pro capite cresce ad un tasso pari a zero!
In altri termini, nel modello di Solow non c’è crescita di lungo periodo. Il reddito
aggregato cresce allo stesso tasso a cui cresce la popolazione, cosicche’ il reddito
pro capite resta costante. Nel lungo periodo, i vari parametri, tra i quali s, A, δ
ed n influenzano esclusivamente il livello del reddito (e del capitale) pro capite,
ma non il suo tasso di crescita.
Consideriamo l’effetto di livello dovuto ad un aumento del saggio di risparmio
s. Dall’espressione (2.13) è immediato verificare che all’aumentare di s aumenterà
anche il reddito pro capite. Qual’è l’intuizione economica alla base di questo risultato? Un aumento del saggio di risparmio implica che, a parità di altre condizioni,
in ogni periodo, il livello di investimenti sarà più alto di prima. Ovviamente ciò
implica che anche lo stock capitale sarà maggiroe e così ovviamente anche il reddito pro capite. Sempre utilizzando l’espressione (2.13) è immediato studiare gli
effetti di lungo periodo dovuti ad un cambiamento di uno degli altri parametri del
modello [studiate questi effetti voi stessi].
Per esempio è facile verificare che un aumento del tasso di crescita della popolazione si traduce in una riduzione del livello stazionario del reddito pro capite.
Ciò che è interessante notare che questo effetto è associato ad un aumento del tasso di crescita del reddito nazionale aggregato Y (t) : affinchè il reddito stazionario
pro capite y(t) sia costante Y (t) deve crescere allo stesso tasso a cui cresce N(t).
Ma ciò comporta che se il tasso di crescita di N(t) aumenta, con esso deve aumentare, nella stessa misura, anche il tasso di crescita di Y (t)). Da un punto di
vista economico ciò che succede è che: (i) ad un aumento della popolazione corrisponde un aumento della forza lavoro, e dunque un aumento della produzione
aggregata Y (t); (ii) per via dei rendimenti decrescenti, l’aumento di Y (t) è meno
che proporzionale rispetto all’aumento della popolazione cosicchè il reddito pro
capite y(t) scende.
Abbiamo detto che nessuno dei parametri del modello influenza il tasso di
crescita di lungo periodo. Sappiamo però che al cambiare di del valore di un
parametro, per esempio il saggio di risparmio s, cambierà il valore di y ∗ . Cosa
succede nella fase di transizione dal vecchio livello al nuovo livello di reddito
stazionario associata ad una variazione di s?
Consideriamo l’equazione del tasso di crescita
g(t) =
sA
(δ + n)
k(t)α−1 −
1+n
1+n
ed immaginiamo di essere in equilibrio, ovvero che k(t) = k∗ cosicche’ g(t) = 0.
Facciamo aumentare s dal suo valore iniziale a s0 dove s0 > s. Cosa succede al
tasso di crescita? Il tasso di risparmio farà crescere il primo dei due addendi
che costituiscono l’espressione del tasso di crescita. Fermo restando il livello di
capitale pro capite, che per ipotesi è pari al vecchio valore stazionario k ∗ il tasso di
crescita diventa dunque positivo. Questo significa che il capitale pro capite cresce
nel tempo. Ma noi sappiamo che al crescere di k(t) il tasso di crescita diminuisce
fino a diventare zero in corrispondenza di un nuovo valore stazionario del capitale
pro capite, che chiamiamo k∗0 che sarà dato dalla seguente espressione:
·
s0 A
k =
δ+n
∗0
0
1
¸ 1−α
.
Ovviamente, dato s > s0 segue che k∗ > k∗ . La figura 2.5 offre una rappresentazione grafica della dinamica di transizione. Il nuovo livello stazionario del
reddito pro capite sarà
·
s0 A
y =A
δ+n
∗0
0
α
¸ 1−α
.
Ovviamente, y ∗ > y ∗ .
Lo stesso tipo di analisi può essere utilizzata per studiare gli effetti di crescita
temporanei associati a variazioni di ciascuno dei rimanenti parametri del modello.
Il modello di Solow, come abbiamo visto, studia l’evoluzione del rapporto
capitale-lavoro e del reddito pro capite sotto l’ipotesi di rendimenti decrescenti nel
fattore accumulabile K(t) e nel lavoro L(t). Ciò contrasta con il modello di Harrod
e Domar, in cui i rendimenti associati al capitale, l’unico fattore produttivo, sono
costanti.
Quale di questi due approcci sia migliore dipende ovviamente dalla verifica
empirica delle ipotesi che emergono dai due modelli. Secondo il modello di Solow
il risparmio dovrebbe avere unicamente un effetto di livello, mentre nel modello
H-D il risparmio ha un effetto di crescita. Inoltre, il modello di Solow implica,
s’
g(t
s
k*’
k*
k(t)
Figura 2.5:
nella sua versione più semplice e letterale, come vedremo piu’ in dettaglio piu’
avanti, convergenza internazionale verso un certo livello di reddito pro capite; e
piu’ in generale convergenza verso un tasso di crescita zero del reddito pro capite.
Come riconciliare le ipotesi che emergono dal modello di Solow con i dati? Che
valutazione dare di questo modello e del modello di Harrod e Domar? Nelle pagine
seguenti, passeremo in rassegna alcuni argomenti utili a raggiungere una valutazione in merito per poi introdurre alcuni modelli di crescita più recenti che, in un
certo senso, mettono insieme ciò che di buono c’e’ negli approcci rispettivamente
di Solow e Harrod e Domar.
2.5.2. Il progresso tecnico nel modello di Solow
Il problema principale del modello di Solow è che propone un mondo che una volta
raggiunto lo stato stazionario non ha più forze interne che promuovano la crescita.
Di fatto, così facendo il modello suggerisce, implicitamente, che in assenza di
progresso tecnologico, data la presenza di rendimenti decrescenti nell’unico fattore
accumulabile, il capitale, l’economia non può crescere, in termini di reddito pro
capite, indefinitamente.
Il problema del modello di Solow è che, essendo basato sui rendimenti decrescenti, all’accumularsi del capitale il sistema necessariamente raggiunge un punto
in cui questo ha produttività sempre più bassa, infine appena sufficiente per garantire al sistema di mantenere un livello costante di capitale pro capite ma non per
continuare ad incrementarlo. Una “soluzione” è quella di assegnare al progresso
tecnologico il compito di trainare il sistema garantendo un costante movimento
verso l’alto della funzione di produzione (potete pensare ad un aumento, nel tempo, del valore del parametro A) . In questo modo il reddito procapite, malgrado
i rendimenti decrescenti, potrà crescere indefinitamente.
Il fatto che il modello di Solow, nella sua formulazione originale, sia caratterizzato da un tasso di crescita di lungo periodo pari a zero è di per se motivo per
abbandonarlo? Secondo Ray no per due ragioni.
La prima è che un modello deve essere inteso come un modo per organizzare
le idee. Secondo Solow sostanzialmente ci sono due cause della crescita: l’accumulazione di capitale e il progresso delle idee e delle tecniche. In assenza della
seconda la prima, secondo il modello, rischia di inaridirsi e dunque di non essere sufficiente a sostenere un processo di crescita di lungo periodo. Da questa
prospettiva il modello rappresenta un chiaro invito a studiare di più il progresso
tecnologico, che sarebbe la fonte ultima dello sviluppo.
La seconda è che il metodo di ragionamento adottato nel modello di Solow può
essere facilmente integrato con il progresso tecnologico. Ci sono diversi modi per
includere il progresso tecnologico nel modello di Solow. Uno è quello di assumere
che la produttività dei lavoratori sia influenzata dal parametro A(t) come segue:
L(t) = N(t)A(t).
In sostanza la quantità effettiva di lavoro nell’economia è data dal numero
di individui, ciascuno dei quali, per ipotesi, ha una capacità lavorativa pari a 1,
moltiplicata per A(t) che è un parametro che descrive al tempo t la produttività
di una unità di capacità lavorativa (ovvero la produttività di uno degli N(t) lavoratori). Il progresso tecnico viene modellato assumendo che A(t) cresca nel tempo
ad un certo tasso a. Matematicamente: A(t + 1) = (1 + a)A(t).
Data quest’assunzione riscriviamo la funzione di produzione dell’economia
come segue
Y (t) = K(t)α [N(t)A(t)]1−α .
(2.14)
Questa funzione di produzione è del tutto simile alla funzione di produzione
(2.10). L’unica differenza sostanziale è data dal fatto che al posto di L(t) abbiamo
N(t)A(t). E’ facile constatare che, in base alla (2.14), la produttività marginale
di N (t) cresce in A(t). Per un dato ivello di N(t), A(t) ha ovviamente un effetto
indiretto positivo anche sulla produttività marginale di K(t).
Dividendo ambo i termini della (2.14) per N(t)A(t) troviamo l’espressione del
prodotto per unità di lavoro effettivo,
yb(t) = b
k(t)α ,
(2.15)
dove yb(t) = Y (t)/N(t)A(t), e b
k(t) = K(t)/A(t)N(t).
Ciò dato, riprendiamo l’equazione di accumulazione
(1 + n)k(t + 1) = (1 − δ)k(t) + sy(t).
Sappiamo dall’equazione (2.15) che
y(t) = A(t)b
y (t) = A(t)b
k(t)α .
Sostituendo nell’equazione di accumulazione troviamo
(1 + n)k(t + 1) = (1 − δ)k(t) + sA(t)b
k(t)α .
Infine, dividendo ambo i termini per A(t), considerato che A(t) = A(t+1)/(1+a),
da cui ricaviamo:
(1 + n)(1 + a)b
k(t + 1) = (1 − δ)b
k(t) + sb
k(t)α ,
b
k(t + 1) =
(1 − δ)
s
b
b
k(t) +
k(t)α .
(1 + n)(1 + a)
(1 + n)(1 + a)
(2.16)
Quest’equazione ci da l’evoluzione del rapporto K(t)/A(t)N(t), ovvero del
capitale per unità di lavoro effettivo. Dato che yb(t) = Y (t)/N(t)A(t) è funzione
di b
k(t), l’equazione (2.16) ci dice indirettamente anche qual’e’ l’evoluzione di yb(t).
È immediato constatare che l’equazione (2.16) ha la stessa forma dell’equazione
di accumulazione del modello di Solow originale, quello senza progresso tecnico
(vedi equazione (2.12)). In questo caso dunque, l’economia convergerà verso un
valore costante di , b
kt), che chiamiamo b
k∗ . Evidentemente, se nel lungo periodo
b
k(t) è costante, il capitale pro capite k(t) = K(t)/N(t) deve crescere allo stesso
tasso a cui cresce A(t). Ma ciò significa che il tasso di crescita di lungo periodo
del capitale pro capite è pari ad a, che è per l’appunto il tasso di crescita di A(t).
Infine, se k(t) cresce al tasso a, anche y(t) crescerà al tasso a.
È importante notare che la dinamica di transizione del modello con progresso
tecnico è del tutto analoga a quella del modello originale, con l’unica differenza
che nel lungo periodo il tasso di crescita delle variabili pro capite non sarà zero
ma bensi a.
2.6. Evidenza empirica sul modello di Solow e sull’ipotesi
di convergenza
Nella prima parte di questo capitolo abbiamo discusso due modelli di crescita:
quello di Solow, di cui abbiamo presentato la versione originale e la versione che
include il progresso tecnico (esogeno), ed il modello di Harrod e Domar. Adesso,
prima di passare alle nuove teorie della crescita, diamo un primo sguardo alle
implicazioni empiriche derivanti dai modelli analilzzati finora; nell’intento di valutarne la validità ed i limiti alla luce delle regolarità empiricamente osservabili.
Ciò anche al fine di introdurre i modelli teorici che presenteremo nell’ultima parte
di questo capitolo, che nascono proprio dal tentativo di tener conto delle critiche
che possono essere mosse ai modelli di Solow e H-D sulla base dei dati.
2.6.1. L’ipotesi di convergenza incondizionata (o non condizionata)
Un elemento importante che emerge dall’analisi del modello di Solow è l’ipotesi
di convergenza. Il concetto di convergenza, è importante sottolinearlo, non è
univoco.
Ipotizziamo che le economie dei vari paesi siano tra loro uguali nei parametri
alla base del modello di Solow, e cioè, nel tasso di progresso tecnico, nel saggio di
risparmio, nel tasso di crescita della popolazione, nel tasso di deprezzamento del
capitale e nell’elasticità del prodotto rispetto al capitale ed al lavoro. Ciò posto,
il modello di Solow implica che tutte le economie dovrebbero convergere ad uno
stesso livello di b
k∗ , e ciò indipendentemente dalle condizioni iniziali di ciascuna
economia, misurate in termini di reddito pro capite o stock di capitale pro capite.
Siamo di fronte ad un’implicazione banale? Dopotutto, stiamo assumendo che
tutti i parametri siano gli stessi tra le varie economie. Cos’altro c’è da attendersi
se non che si converga verso lo stesso stato stazionario? La risposta alla nostra
domanda è no, l’implicazione non è banale, perchè assumiamo si che i parametri
siano gli stessi tra le varie economie, ma non che le condizioni iniziali siano le
stesse. E dunque, c’è convergenza se e solo se le condizioni iniziali non contano,
o meglio, se i paesi che iniziano da un livello di reddito pro capite più basso
crescono relativamente più velocemente dei paesi che partono da livelli di sviluppo
(misurato in questo caso dal reddito pro capite) più alto, cosicchè i primi possono,
ad un certo punto, ritrovarsi con lo stesso reddito pro capite dei secondi.
Ciò significa che la convergenza incondizionata non è garantita quando i parametri
delle varie economie sono uguali. In altri termini, l’uguaglianza dei parametri tra
le varie economie costituisce una condizione necessaria ma non sufficiente per ottenere convergenza. Perchè la convergenza si verifichi occorre che le condizioni
iniziali non siano rilevanti (in negativo).
L’ipotesi di convergenza incondizionata implica dunque, una correlazione negativa tra tasso di crescita e reddito pro capite iniziale. Vediamo cosa dicono i
dati.
Evidenza empirica sull’ipotesi di convergenza incondizionata
Baumol (1986) esamina i tassi di crescita di sedici econmie che sono oggi tra le più
sviluppate del mondo. La sua idea è molto semplice: rappresentare graficamente
sull’asse delle ascisse il livello di reddito pro capite di queste economie nel 1870
e sull’asse delle ordinate il tasso di crescita medio nel periodo 1870-1979, per
stimare poi, una retta di regressione, al fine di valutare se esiste una relazione
statisticamente significativa tra reddito iniziale e tasso di crescita, e se, nel caso
tale relazione esista, il suo segno sia negativo, cosa che confermerebbe l’ipotesi di
convergenza non condizionata.
L’esercizio di Baumol sembra funzionare. Economie che nel 1870 erano molto
diverse in termini di reddito pro capite hanno, nel 1979, redditi pro capite molto
simili. Inoltre, come si può notare dai dati di Maddison riferiti al periodo considerato da Baumol (vedi diagramma 2.6) esiste una forte correlazione negativa
tra tasso di crescita medio nel periodo considerato e livello di reddito pro capite
iniziale (immaginate una retta di regressione che passa tra i punti: questa retta ha
un’inclinazione negativa, ciò che suggerisce una correlazione negativa tra reddito
pro capite e tasso di crescita).
Dunque:
• date condizioni iniziali diverse, queste economie, dopo cento anni, hanno
redditi pro capite simili;
• corrispondentemente, le economie che partivano da un reddito pro capite più
basso sono cresciute più rapidamente, in media, delle economie che partivano
da un reddito pro capite più elevato.
Tasso di crescita del ln del
reddito pro capite 18701979
Dati di Maddison su crescita e reddito
3
2.5
2
1.5
Series1
1
0.5
0
0
2
4
6
8
ln reddito pro capite 1870
Figura 2.6:
L’ipotesi di convergenza non condizionata sembrebbe confermata!
Tuttavia, lo studio di Baumol non è corretto da un punto di vista statistico, e
dunque i risultati non si possono prendere per buoni. Perchè?
Baumol seleziona un campione di paesi che comprende solo paesi che nel 1979
avevano raggiunto un elevato livello di sviluppo. Questa è la ragione. Trova
convergenza perchè di fatto convergenza c’è stata per questo gruppo di paesi.
Ma ciò non dimostra che c’è convergenza in generale. Sarebbe come prendere un
gruppo di giocatori di calcio di successo, guardare se provengono da famiglie ricche
o povere e, sulla base del fatto che da bambini questi calciatori provenivano sia
da famiglie ricche che da famiglie povere, concludere che in generale, se io prendo
un gruppo scelto a caso di ragazzini, tutti questi ragazzini convergeranno verso il
successo calcistico indipendentemente dalle loro caratteristiche!
In altri termini, il problema statistico legato alla scelta del campione di paesi
da studiare operata da Baumol sta nel fatto che egli seleziona solo paesi che hanno
avuto successo, ovvero paesi che sono entrati a far parte dell’elite dei paesi più
sviluppati (in termini di reddito pro capite) del mondo.
L’ipotesi di convergenza condizionata suppone che a convergere verso uno stesso livello di reddito pro capite siano i paesi che, pur avendo ex ante livelli di reddito
diversi abbiano caratteristiche simili con riferimento ai parametri del modello di
Tasso di crescita del ln del
reddito pro capite 18701979
Dati di Maddison su crescita e reddito
3
2.5
2
Series1
1.5
Series2
1
0.5
0
0
2
4
6
8
ln reddito pro capite 1870 per 23 paesi
Figura 2.7:
Solow.
Un testo corretto dunque prevede una selezione del campione basata su questo
criterio di somiglianza nei parametri ex ante, e non su un criterio di somiglianza
nei livelli di reddito pro capite ex post, nel 1979.
La domanda dunque è la seguente: l’ipotesi di convergenza non condizionata
nei livelli di reddito pro capite risulterebbe confermata anche se scegliessimo il
campione di paesi su cui verificarla senza incorrere nell’errore statistico compiuto
da Baumol?
De Long (1988) ripete l’analisi di Baumol includendo sette nuovi paesi, che
nel 1870, al di là delle differenze nel reddito pro capite, potevano sembrare avere
il potenziale di crescita delle altre economie considerate da Baumol. I risultati
dell’analisi di de Long sono descritti dal diagramma 2.7, dove il simbolo ¥ si
riferisce ai dati introdotti da de Long (i dati restanti sono quelli relativi ai paesi
considerati da Baumol).
Se eliminiamo dal grafico il dato in altro a sinistra (un’eccezione isolata), diventa molto difficile immaginare una retta di regressione negativamente inclinata;
piuttosto, la retta di regressione più plausibile diventa una retta orizzontale. Il
che implicherebbe l’assenza di una correlazione negativa tra crescita e reddito pro
capite per i 22 paesi rimanenti una volta eliminato il dato in alto a sinistra. Certo,
Tassi di crescita e reddito pro capite
tasso di crescita 1994-60
0.12
0.1
0.08
0.06
Series1
0.04
0.02
0
-0.02 0
2
4
6
8
10
-0.04
reddito pro capite1960 in logaritmi
Figura 2.8:
se si lascia questo dato la retta negativamente inclinata è ancora plausibile. Ma è
chiaro che statisticamente, questa relazione non appare più robusta come prima.
Adesso infatti, la sua esistenza dipende unicamente da un dato, quello riferito al
paese in alto a sinistra.
Nella sua analisi, De Long, suggerisce anche che testare l’ipotesi di convergenza
utilizzando serie storiche così indietro nel tempo può essere molto problematico
anche a causa degli errori di misurazione che queste serie storiche (che partono
dal 1870!!!) possono contenere.
Un’altro approccio per verificare l’esistenza o meno di convergenza incondizionata consiste nel mettere in relazione il tasso di crescita medio di ciascun paese per
un numero minore di anni, per esempio per il venticinquennio dal 1965 all’94 ed il
reddito pro capite iniziale, per un campione che includa molti più paesi di quelli
analizzati da De Long.
Il risultato di questo tipo di esercizio è descritto in figura 2.8. Non occorrono
commenti: l’unica retta che si può immaginare è una retta orizzontale: tra tasso
di crescita e reddito pro capite non c’è relazione.
Dalle analisi empiriche sopradescritte risulta abbastanza evidente che l’ipotesi
di convergenza incondizionata non trova conferma nei dati.
2.6.2. Convergenza condizionata
È evidente che tra i vari paesi del mondo esistano delle notevoli differenze nei
valori dei parametri che, nel modello di Solow, determinano tanto il livello di
reddito pro capite che il suo tasso di crescita nella fase di convergenza verso lo
stato stazionari. Sebbene l’esistenza di tali differenze non abbia conseguenze sull’implicazione principale del modello secondo cui, in assenza di progresso tecnico,
l’economia converge verso uno stato stazionario1 ne ha invece sull’implicazione
di convergenza incondizionata che, come sappiamo, è basata sull’ipotesi che le
economie dei vari paesi siano, tra loro, identiche nei valori dei parametri di cui al
modello di Solow.
Ipotizziamo che la tecnologia sia un fattore perfettamente mobile tra paesi,
cosicchè tutti i paesi hanno lo stesso livello di tecnologia e lo stessso tasso di
progresso tecnico, e che invece i paesi differiscano tra loro negli altri parametri di
cui al modello di Solow, come ad esempio la propensione al risparmio e il tasso di
crescita della popolazione, s e n. Dall’analisi del modello di Solow sappiamo che
sia s che n influenzano il livello di reddito pro capite di lungo periodo. Dunque
paesi diversi potranno convergere a livelli di reddito per unità di lavoro effettivo
diversi. Il tasso di crescita invece, almeno nel lungo periodo, sarà lo stesso tra vari
paesi.
C’è quindi una convergenza nei tassi di crescita di lungo periodo, ma non
necessariamente una convergenza in termini di reddito pro capite. Quali sono le
implicazioni empiriche di questo tipo di convergenza?
In particolare, in base a questo nuovo tipo di convergenza, dobbiamo ancora aspettarci che necessariamente i paesi più poveri crescano più rapidamente dei paesi
già più sviluppati? La risposta a questa domanda è no! Per comprendere le ragioni
di questa conclusione, consideriamo la figura 2.9.
In questo grafico sono rappresentati i sentieri di crescita di due gruppi di paesi
(per ciascun paese, viene rappresentato il logaritmo del livello del reddito pro
capite come funzione del tempo). Dato che per ogni paese viene rappresentato il
livello del reddito pro capite espresso in logaritmi (come funzione del tempo), la
pendenza di ogni curva, data dalla derivata del logaritmo di yt rispetto al tempo,
descrive il tasso di crescita istantaneo. Confrontiamo i paesi B2 e A1 al tempo t0 .
Il reddito pro capite del paese A1 è maggiore del reddito pro capite del paese B2
1
In presenza di progresso tecnico l’economia convergerà comunque ad un equilibrio di lungo
periodo in cui tutte le variabili pro capite crescono allo stesso tasso a cui cresce il progresso
tecnico.
Log(y(t))
Sentieri
Di crescita
Di lungo
periodo
A1
A2
A3 B1
B3
B2
tempo
t0
Figura 2.9:
eppure si può notare chiaramente che il tasso di crescita del paese A1 è maggiore
di quello del paese B2 . A parità di condizioni, il paese B2 dovrebbe crescere di
più però le condizioni non sono pari! Evidentemente le differenze nei parametri s
e n tra i due paesi sono tali che nonostante A1 abbia un reddito più alto cresce
comunque più di quanto cresca il paese B2 .
Questo conferma che l’ipotesi di convergenza condizionata è meno restrittiva
dell’ipotesi di convergenza incondizionata. La prima implica che un’economia
cresca più rapidamente quanto più distante si trova dal suo livello stazionario di
reddito per unità di lavoro effettiva, mentre la seconda implica che le economie
meno sviluppate debbano crescere più rapidamente delle economie più sviluppate2
Per questo motivo, nel caso dell’ipotesi di convergenza condizionata, le economie
meno sviluppate cresceranno più rapidamente di quelle più sviluppate solo a parità
di condizioni. Come tener conto delle diverse condizioni di partenza nell’analisi
empirica? Occorre testare, empiricamente le determinanti del reddito stazionario,
ed in particolare il ruolo di s ed n. Il lavoro di Mankiw, Romer and Weil (1992) va
in questa direzione. Questi tre studiosi partono dall’equazione di accumulazione
in stato stazionario
da cui ricavano
(1 + n)(1 + a)b
k∗ = (1 − δ)b
k∗ + sb
y∗ ,
b
k∗
s
s
=
'
.
∗
yb
(1 + n)(1 + a) − (1 − δ)
δ+n+a
Sostituendo poi per
b
1−α
k∗
= yb∗ α
∗
yb
[in base alla funzione di produzione] trovano
·
s
yb '
n+a+δ
∗
α
¸ 1−α
che può essere riscritto in forma logaritmica come
2
Ciò perchè alla base dell’ipotesi di convergenza incondizionata sta l’assunzione secondo cui
tutte le economie convergono verso lo stesso livello di reddito per unità di lavoro effettivo.
α
α
ln s −
ln(n + a + δ).
1−α
1−α
Infine, considerato che yb∗ = y(t)/A(t) otteniamo
ln yb∗ '
ln y(t) = ln A(t) +
Infine, dato che
α
α
ln s −
ln(n + a + δ).
1−α
1−α
A(t) = A(0)(1 + a)t
otteniamo
ln y(t) = ln A(0) + t(1 + a) +
α
α
ln s −
ln(n + a + δ).
1−α
1−α
(2.17)
Sulla base di questo modello teorico, Mankiw, Romer e Weil stimano una
regressione del tipo
ln y(t) = β 0 + β 1 ln s + β 2 ln(n + a + δ),
(2.18)
utilizzando dati su y(t), n, a e δ per vari paesi, con riferimento al periodo
1965 − 85. Nell’effettuare la stima, utilizzano un valore di a + δ pari a 0, 05 e
per stimare s utilizzano il valore medio del rapporto investimenti/PIL nel periodo
considerato.
Da un punto di vista teorico, il modello (2.17) impone che
α
.
1−α
L’ipotesi che dovrebbe trovare conferma nei dati è dunque che il coefficiente
β 1 sia significativamente maggiore di zero mentre il coefficiente β 2 sia significativamente negativo. Inoltre i due coefficienti dovrebbero essere, in valore assoluto,
uguali. Ovvero, la differenza tra i due coefficienti stimati non dovrebbe essere
significativa.
I valori stimati di β 1 e β 2 sono uno positivo e uno negativo, e sono entrambi
significativamente diversi da zero. Questi risultati empirici ottenuti da Mankiw
Romer e Weil (1992) danno credito all’ipotesi teorica derivata dal modello di
Solow. Le variabili s e n + a + δ spiegano circa il 60% della variabilità del reddito
nel tempo. 60% è infatti il valore dell’R2 della regressione (2.18).
β 1 = −β 2 =
Ci sono però due problemi. Il primo è che i due coefficienti hanno valori
numerici molto diversi tra loro (in valore assoluto). In particolare il valore di β 1
è pari a 1.42, mentre il valore di β 2 è −1.97 (ovvero 1.97 in valore assoluto)..
La differenza tra questi due valori è statisticamente significativa. Ciò contraddice
l’ipotesi teorica in base alla quale questi due coefficienti dovrebbero avere lo stesso
valore assoluto.
Il secondo problema riguarda il valore di α indirettamente associato ai valori
stimati di β 1 e β 2 . Teoricamente, il coefficiente α descrive, sotto l’ipotesi di
concorrenza perfetta, la quota di reddito che va a remunerare il fattore capitale.
Questo valore può essere stimato direttamente utilizzando le statistiche riferite
alle rendite da capitale e al PIL, in questo modo
rendite
.
(2.19)
P IL
Per il periodo considerato, i valori di α così stimati sono pressapoco pari ad
1/3. Il che implica un valore di (1 − α)/α pari più o meno a 0.5. Tuttavia, i
valori stimati di β 1 e β 2 implicano valori di α tra 0.66 e 0.58.3 Questi valori
sono decisamente troppo alti rispetto al valore pari ad 1/3 ottenuto stimando α
direttamente in base al rapporto (2.19).
Torneremo su questi problemi più avanti, quando faremo una valutazione delle
teorie finora analizzate, prima di passare alle nuove teorie della crescita.
Cosa ci dice l’analisi di Mankiw, Romer e Weil sulla convergenza condizionata?
Consideriamo la seguente espressione del tasso di crescita derivata dal modello
di Solow
α0 =
sk(t)α−1 n + δ
−
,
1+n
1+n
e riscriviamola come espressione di ln k(t), dove k(t) = eln k(t) :
g(t) =
se(α−1) ln k(t) n + δ
−
.
1+n
1+n
Calcoliamo poi la derivata del tasso di crescita g(t) rispetto al logaritmo di
k(t), ottenendo
g(t) =
dg(t)
sk(t)α−1
= (α − 1)
.
d ln k(t)
(1 + n)
3
(2.20)
0, 66 è ottenuto imponendo (1 − α)/α = 1.97, mentre 0.58 è ottenuto imponendo (1 − α)/α
= 1.42.
Questa espressione ci dice come cambia il tasso di crescita al cambiare del
livello di sviluppo (misurato utilizzando il logaritmo del livello di capitale pro
capite che, come sappiamo, determina il logaritmo livello di reddito pro capite).
Sostituendo per la condizione di stato stazionario associata a g(t) = 0 :
sk(t)α−1 = n + δ
nell’equazione (2.20) otteniamo
β=
(1 − α)(n + δ)
< 0,
(1 + n)
dove chiamiamo β il valore della derivata di g(t) rispetto a ln k(t) valutato in
stato stazionario. β misura il tasso (negativo) di convergenza del tasso di crescita
al suo valore stazionario. Il tasso dei convergenza è ovviamente negativo: si cresce
sempre meno fino ad arrivare allo stato stazionari in cui si cresce ad un tasso pari
al progresso tecnico. Utilizzando i valore di α tra 0, 58 e 0, 66 che emergono dalle
stime di Mankiw Romer e Weil e considerando valori di n e di δ rispettivamente
pari a 0, 01 e δ = 0, 10, otteniamo dei valori di β tra il 3, 7% e il 4, 5% (a seconda
che usiamo 0, 58 o 0, 66).
Altri autori hanno stimato tassi di convergenza condizionati in maniera diretta
costruendo delle regressioni del tipo
gT 1,T 0 = b0 + b1 ln yT 0 + b2xT 0 + ......
dove gT1 ,T 0 è il tasso di crescita annuo medio nel periodo T1 − T0 , b1 è un
termine che comprende, al suo interno, il tasso di convergenza associato al reddito
iniziale yT 0 e xT 0 è un’altra variabile esplicativa (i puntini stanno ad indicare che
possiamo avere più d’una di queste altre variabili.
Da studi di questo tipo ed altre stime dirette si ottengono tassi di convergenza
molto minori rispetto a quelli compresti tra 4,5% e 3,7% che si ricavano, in maniera
indiretta, dalle stime di Mankiw, Romer e Weil.
2.6.3. Levine ed Easterly (2001): altri fatti stilizzati ed una valutazione
del modello H-D e del modello di Solow
Abbiamo visto che l’ipotesi di convergenza incondizionata non è verificata dai dati.
Abbiamo anche visto dallo studio di Mankiw, Romer e Weil che parametri quali n e
s hanno un impatto sul valore del reddito pro capite. L’impatto di queste variabili
che emerge dal modello di Mankiw, Romer e Weil appare però sovrastimato. In
particolare il coefficiente associato al logaritmo di s è così alto da essere associato
ad un valore stimato di α pari a quasi il doppio di quello stimato direttamente
utilizzando il rapporto rendite/PIL. Questo ci fa pensare che probabilmente, la
variabile s sta catturando un effetto dovuto all’accumulazione di capitale fisico, e
più in generale all’accumulazione di fattori produttivi accumulabili, la cui entità è
incompatibile con l’ipotesi di rendimenti decrescenti. Inoltre, il modello, predice
un tasso di convergenza molto più alto di quello osservabile in realtà e stimato da
altri autori con regressioni che mettono in relazione diretta il tasso di crescita ed
il valore iniziale del reddito pro capite.
Queste osservazioni ci fanno pensare che l’idea di rendimenti decrescenti nei
fattori accumulabili, responsabile degli effetti di convergenza associati al modello
di Solow, sia da rigettare. Sembrerebbe dunque che il modello di Harrod e Domar
sia, da questo punto di vista, da preferire al modello di Solow. Ma il modello di
Harrod e Domar non è realistico: l’unico fattore produttivo di questo modello è il
capitale. Dunque tutto il reddito prodotto dovrebbe andare a remunerare il capitale. Ma sappiamo che, empiricamente, la quota di reddito che va a remunerare
il capitale è intorno allo 0.3.
Infine, tutti e due i modelli, Sia quello di Solow, che quello H-D, considerano
come dato il progresso tecnico (nel modello di H-D non c’e’ progresso tecnico; se
ci fosse il tasso di crescita avrebbe un andamento esplosivo).
La seguente sintesi dell’analisi empirica condotta da Easterly e Levine (2001)
è utile per completare la critica dei modelli di Solow e H-D alla luce dei dati
ed introdurre alle nuove teorie della crescita. Sulla base degli studi statistici che
questi due autori hanno condotto su dati di lungo periodo relative ad un campione
che include la maggior parte dei paesi del mondo, emergono le seguenti regolarità
statistiche
• Fatto 1: Il tasso di crescita di lungo periodo sembra essere il risultato combinato dell’accumulazione di fattori produttivi e di un aumento di produttivita’ di questi fattori
• Fatto 2: Il fenomeno di convergenza condizionata e’ troppo debole per garantire convergenza in senso assoluto. Di conseguenza cio’ che si osserva e’
l’esistenza di fenomeni di divergenza (il divario tra ricchi e poveri si amplia)
• Fatto 3: la crescita non e’ un fenomeno necessariamente persistente. Alcuni
paesi crescono rapidamente per lunghi periodi, altri per lunghi periodi stagnano in regimi di bassa crescita o crescita zero. L’accumulazione di fattori
produttivi e’ un fenomeno molto piu’ persistente della crescita
• Fatto 4: I fattori produttivi sembrano affluire verso determinate localizzazioni geografiche suggerendo l’esistenza di esternalita’ ed economie di
agglomerazione
• Fatto 5: il tasso di crescita sembra essere influenzabile dagli interventi di
politica economica.
Tutti questi fatti puntano in due direzioni:
• L’ipotesi di rendimenti decrescenti è da eliminare. Occorre dunque avere
un modello in cui ci siano, come nel modello di Solow, fattori produttivi
accumulabili e non, ma che a differenza del modello di Solow non sia basato
su una tecnologia a rendimenti decrescenti nei fattori accumulabili.
• Occorre modellare e spiegare le determinanti del progresso tecnico.
Di questi due aspetti, tra gli altri, si occupano i modelli cosiddetti di crescita
endogena, dei quali andremo a studiare, nelle prossime pagine, due esempi: uno
riferito al punto i ed un secondo riferito al punto ii.
2.7. Modelli di crescita endogena
2.7.1. Il ruolo del capitale umano
L’ipotesi fondamentale di questo modello è che le famiglie possano indirizzare il
risparmio verso due forme di investimento: i. finanziamento degli investimenti in
capitale fisico (come già accadeva nel modello di Solow e H-D); ii. finanziamento
di investimenti in educazione, che ha un impatto sulla produttività del lavoro.
L’ipotesi è che con l’istruzione ciascun individuo accresca il proprio bagaglio di
conoscenze tecniche con un impatto positivo sulla produttività del suo lavoro. Per
questo motivo, in questo modello, anzichè parlare di lavoro, parliamo di capitale
umano.
I due fattori produttivi sono dunque capitale fisico h(t) e capitale umano h(t).
La funzione di produzione è la seguente
y(t) = k(t)α H(t)1−α .
dove y(t) è il prodotto pro capite, k(t) il capitale fisico pro capite e h(t) è il
capitale umano pro capite. Per semplicità assumiamo che il tasso di crescita della
popolazione sia zero e che non ci sia deprezzamento del capitale (sia fisico che
umano). Cio’ ci consente di parlare, indifferentemente, di grandezze pro-capite e
grandezze aggregate. Sia l’investimento in capitale umano che quello in capitale
fisico sono finanziati con il risparmio. Sia s la quota di reddito risparmiata ed
utilizzata per finanziare investimenti in capitale fisico e q la quota di reddito
risparmiata per finanziare investimenti in capitale umano. Cio’ dato avremo che
k(t + 1) − k(t) = sy(t)
h(t + 1) − h(t) = qy(t).
Calcoliamo il tasso di crescita del capitale fisico e del capitale umano in base
a queste due espressioni. Avremo
k(t + 1)
sy(t)
−1 =
= sr(t)1−α ,
k(t)
k(t)
h(t + 1)
− 1 = qr(t)−α ,
h(t)
(2.21)
(2.22)
dove r(t) = h(t)/k(t) è il rapporto capitale fisico capitale umano. Facendo il
rapporto tra (2.21) e (2.22), dopo aver portato l’1 al membro di destra, otteniamo:
r(t + 1)
[qr(t)−α + 1]
=
.
r(t)
sr(t)1−α + 1
Moltiplicando ambo i termini per r(t) otteniamo
r(t + 1) =
qr(t)1−α + r(t)
.
sr(t)1−α + 1
Infine, moltiplicando ambo i termini per r(t)α−1 otteniamo
q + r(t)α
.
(2.23)
s + r(t)α−1
Quest’equazione ci dice l’evoluzione del rapporto capitale umano capitale fisico
nel tempo: il rapporto capitale lavoro al tempo t + 1 è funzione del rapporto
capitale umano capitale fisico al tempo t. Graficamente, l’equazione (2.23) ha la
forma descritta in figura 2.10.
Data questa forma, è chiaro che, a partire da un certo livello di r al tempo t0 ,
r(t0 ), l’economia convergerà ad un livello stazionario di lungo periodo r∗ = q/s
r(t + 1) =
r(t+1)
r(t)
Figura 2.10:
costante nel tempo [verificatelo voi stessi!!]. Il processo di convergenza è descritto
in figura 2.11.
Quale sarà dunque il tasso di crescita di lungo periodo dell’economia? Imponendo r(t) = r(t + 1) = r∗ nelle equazioni che descrivono il tasso di crescita del
capitale fisico ed umano otteniamo:
gh(t) = gk(t) = sα q 1−α .
Il capitale fisico ed umano crescono al tasso sα q 1−α . A che tasso crescerà l’economia? È facile verificare che il rapporto reddito pro capite capitale umano pro
capite è dato da
y(t)
= r(t)1−α ,
h(t)
il che implica, in stato stazionario
y(t) ³ q ´1−α
.
=
h(t)
s
Dunque, in stato stazionario, y(t)/h(t) è costante. Ma ciò vuol dire che il
r(t+1
r*=q/s
r(t
Figura 2.11:
reddito pro capite dell’economia cresce allo stesso tasso a cui crescono il capitale
fisico ed il capitale umano. Cosa ci dice questo modello?
• Anche se ci sono rendimenti decrescenti per il capitale fisico non c’è necessariamente convergenza. I rendimenti sono costanti per i due fattori congiuntamente. Si rivaluta H-D ma lo si qualifica meglio senza abbandonare
l’ipotesi di rendimenti decrescenti sul capitale fisico.
• s e q hanno effetti di crescita (ancora è un punto a favore di H-D). Il modello
può essere definito in questo senso di crescita endogena. Il motore della
crescita è interno e non attribuito a un fattore definito come esogeno, come
è il progresso tecnologico nel modello di Solow
• Se gli effetti di crescita sono dovuti ai rendimenti costanti di H e K insieme
introducendo L (lavoro non qualificato e quindi non accumulabile) possiamo/dobbiamo reintrodurre i rendimenti decrescenti. Così facendo questo
modello spiega in qualche modo i risultati di Mankiw, Romer and Weil.
• Tra l’altro possiamo reinterpretare il coefficiente così elevato associato a ln s
trovato da Mankiw, Romer e Weil:
•
questo coefficiente è così alto perchè s cattura non solo l’impatto degli
investimenti in capitale fisico ma anche di quelli in capitale umano.
L’introduzione del capitale umano consente di spiegare meglio la realtà e in
particolare il fatto che nei paesi poveri i rendimenti del capitale non sono più alti
di quelli che si ottengono nei paesi ricchi (anzi al contrario). Infatti il capitale non
fluisce dai paesi ricchi a quelli poveri, bensì spesso il contrario. E anche il lavoro
va dai paesi poveri ai paesi ricchi. L’effetto positivo dovuto al basso impiego di
capitale procapite può essere più che bilanciato dall’effetto negativo dovuto alla
bassa quantità di capitale umano procapite.
Quindi concludiamo che non è ragionevole attendersi un fenomeno come la convergenza non condizionata anche quando tutti i parametri di lungo periodo sono
uguali tra paesi. Il modello spiegato è neutrale, come in H-D. Ma diversamente
che in H-D non abbiamo dovuto sacrificare la ragionevole ipotesi di rendimenti
decrescenti sul capitale fisico. Nel lungo periodo il rapporto tra capitale umano
e fisico è dato da r = q/s. Questo significa che se un paese ha un livello basso
di reddito relativamente alla sua dotazione di capitale umano questo tenderà a
crescere più velocemente. In particolare avremo i seguenti corollari:
• Convergenza condizionata controllando per il capitale umano. Condizionando per differenze nel capitale umano paesi più poveri cresceranno più
velocemente.
• Convergenza condizionata controllando per il livello del reddito. Condizionando per differenze nel livello del reddito paesi con più capitale umano
cresceranno più velocemente. Questo perchè paesi più sviluppati hanno in
media più capitale umano.
Cosa ci dicono i dati?
E i dati che dicono? Consideriamo gli studi della convergenza condizionata (in
riferimento al livello del capitale umano) effettuati da Barro (1991) basati sulla
cosiddetta Barro regression:
g(y) = a − b1 ln(y(0)) + b2 H(0) + altre variabili
dove g(y) è il tasso di variazione medio del GDP procapite dal tempo 0
al tempo t, y(0) il reddito pro capite al tempo iniziale e H(0) lo stock di capitale
umano al tempo iniziale.
In genere, questo tipo di studi, condotti su campioni di paesi sviluppati e non,
confermano una relazione negativa tra g(y) e il reddito al tempo iniziale (convergenza condizionata) ed una positiva tra g(y) ed il capitale umano. Il modello
presentato ha quindi una sua ragionevolezza ed è trova qualche sostegno nei dati.
Notare che l’effetto del capitale umano, misurato da b2 , domina generalmente
l’effetto di convergenza condizionata, misurato da b1 .
Quali sono I limiti di quest’analisi? Non c’e’ un ruolo per il progresso tecnologico, a meno di non interpretare il concetto di capitale umano come conoscenza
tecnica nel senso ampio del termine. Il ruolo del progresso tecnologico verra’
esaminato nella prossima sezione.
2.7.2. Il ruolo del progresso tecnico
Come ben sappiamo, nel modello di Solow tutta la crescita del reddito procapite
di lungo periodo è imputabile al progresso tecnologico, che viene assunto esogenamente. Nel modello di crescita endogena basato su capitale fisico e capitale
umano che abbiamo analizzato nella sezione precedente, la crescita dipende dal
tasso di accumulazione di questi due fattori produttivi; così come del resto l’accumlazione di capitale fisico e’ alla base del processo di crescita nel modello di
Harrod e Domar
Il progresso tecnologico diventa essenziale per generare crescita di lungo periodo laddove i rendimenti associati all’insieme dei fattori produttivi accumulabili
siano decrescenti [Solow e’ un esempio estremo di questa situazione].
Il progresso tecnologico dipende dalle decisioni degli agenti economici. Non
è stato spontaneo né casuale nella maggior parte dei casi della storia recente e
contemporanea. Gli agenti economici investono ingenti somme nella attività di
ricerca e sviluppo (R&S) con l’esplicito proposito di favorire la creazione di nuove
idee per nuovi prodotti o nuovi processi produttivi.
Possiamo classificare il progresso tecnologico in riferimento a due categorie:
a. In primo luogo ci sono i guadagni di conoscenza dovuti all’atto deliberato
di diversione delle risorse dalla attività produttiva corrente per investirle in
attività di ricerca. Si parla in questo caso di innovazioni che prendono la
forma di innovazioni di prodotto o di processo.
b. In secondo luogo ci sono i trasferimenti di conoscenza tecnologica dalla impresa innovatrice verso il resto del mondo. Tale diffusione a sua volta può
essere di due tipi: 1) la tecnologia diventa nota a esterni all’impresa che possono quindi avvantaggiarsene in termini di maggiori profitti; 2) la tecnologia
serve come base di partenza per ulteriori innovazioni, non necessariamente
da parte della prima impresa innovatrice.
Queste due nozioni hanno implicazioni molto differenti. La prima cattura
quegli aspetti del progresso tecnologico che possono essere internalizzati dall’innovatore e che si traducono quindi in maggiori profitti. La seconda invece fa
riferimento alla possibilità che l’innovazione possa essere sfruttata da tutti e quindi fa pensare a un impulso positivo al progresso tecnologico. In realtà questo
trasferimento, o esternalità, può frenare il processo di progresso tecnologico “deliberato”. Le imprese, non potendo internalizzare gli effetti positivi dell’attività
di ricerca e sviluppo, saranno infatti indotte a rinunciarci.
Il modello di Romer (1990)
Il primo passo verso la costruzione di un modello di progresso tecnologico deliberato, ovvero imputabile all’attività di ricerca e sviluppo degli imprenditori, è quello
fatto da Romer (1990).
Un’assunzione fondamentale del modello e’ che l’economia abbia un dato ammontare di capitale umano, che indichiamo con H. Il capitale umano può essere
utilizzato sia nel settore della produzione odei beni finali che nel settore della
ricerca per la produzione di conoscenza. L’interpretazione data al concetto di
conoscenza è particolare. Il modello assume che supponiamo che per produrre
beni finali si utilizzino macchinari e lavoro (incluso lavoro qualificato sotto forma
di capitale umano). Immaginiamo che tutte le macchine, esistenti e ancora da
inventare, siano disposte su una ipotetica linea (vedi figura 2.12).
Alcune macchine esistono già ed il progetto sulla base del quale sono state
costruite, detto “blueprint”, è pubblico dominio. La ricerca può essere intesa come
l’attività che ci consente di muoverci lungo la linea (verso destra) alla scoperta di
nuove macchine e quindi di nuovi blueprints.
Quali sono gli effetti di un’innovazione sulla produzione?
• Da un lato i nuovi blueprint ci consentono di produrre macchinari migliori
e dunque i nuovi progetti fanno uscire dal mercato i macchinari basati sui
vecchi progetti.
E(t)
E(t+1)
E(t+2)
E(t+3)
Figura 2.12:
• Dall’altro le nuove macchine possono aggiungersi alle vecchie rendendo disponibile una maggiore varietà di macchine per la produzione e garantendo così
un più alto livello di produttività.
Ipotizziamo che una volta che un nuovo blueprint viene inventato si possa
produrre una unità delle macchine esistenti con l’impiego di una unità di capitale.
Questa semplificazione ci permette di dire che la quantità di capitale esistente
corrisponde al numero di macchine presenti nel sistema economico, mentre lo stock
di conoscenze è data dalla produttività composita di tutti i blueprints presenti. La
funzione di produzione può essere quindi espressa con la seguente forma ridotta:
Y (t) = E(t)γ K(t)α [uH]1−α .
Dove E(t) indica l’ammontare di conoscenze tecniche presenti nel sistema economico al tempo t, K il capitale fisico e u la frazione di capitale umano che viene
dedicata alla produzione finale. Si noti che non abbiamo più una definizione omogenea di stock di capitale. Il termine E(t)γ K(t)α rappresenta l’effetto congiunto
dello stock di macchine e della sua produttività (rappresentata da E(t)).
Nel settore della ricerca la conoscenza cresce in funzione dell’ammontare di
capitale umano impiegato in questo settore:
E(t + 1) − E(t)
= a(1 − u)H.
E(t)
(2.24)
dove (1−u) è per definizione la frazione di H dedicata alla produzione di conoscenza. Il capitale fisico cresce invece in funzione del risparmio:
K(t + 1) − K(t) = sY (t)
Dove s è il saggio di risparmio.
Questa struttura può ricordare quella del modello di Solow. In effetti ci sono
importanti differenze: il progresso tecnologico cresce secondo la dinamica di E
ma questa volta la parte a destra della equazione è endogena. Sia la quota (1 −
u) impegnata nel settore della ricerca sia H dipendono da decisioni dei soggetti
economici.
Senza entrare nei dettagli, si può dimostrare (prendete quest’affermazione per
buona, senza cercare di verificarla, perchè la verifica va al di là del livello di
tecniche utilizzate nel corso) che il tasso di crescita dell’economia sarà pari al
tasso di crescita della conoscenza (equazione (2.24)).
Chi decide u? La decisione su u dipende da molti fattori nelle società moderne.
Se ci fosse un pianificatore sociale, egli potrebbe decidere su u in modo da massimizzare il benessere sociale in un tentativo di risolvere il trade-off tra benefici
presenti (uso di H per la produzione) e benefici futuri (uso di H per accumulare
conoscenza e ottenere incrementi di produttività).
Il problema è che il pianificatore sociale è spesso un artificio didattico e la decisione su u è il risultato delle decisioni degli agenti economici privati che mirano
al proprio benessere. A questo punto diviene rilevante la discussione fatta prima:
il livello di appropriabilità della tecnologia, per esempio, attraverso i brevetti, e il
processo di diffusione verso gli esterni diventano fattori cruciali. Il punto è che gli
innovatori devono poter avere qualche diritto sui maggiori profitti garantiti dall’innovazione, non tanto per questioni morali ma per motivi strettamente pratici:
senza di essi non ci sarebbe incentivo a innovare.
Da questo ragionamento si deduce che l’ipotesi di concorrenza perfetta che
postula la perfetta informazione e quindi la piena diffusione della conoscenza
tra agenti economici non è sostenibile in un modello con progresso tecnologico
deliberato. Un certo potere monopolistico per quanto temporaneo deve essere
riconosciuto.
Il progresso tecnico come esternalità (Romer 1986)
Si definisce esternalità l’effetto di un azione economica che si estende a un terzo
non direttamente coinvolto nell’azione (sia essa di scambio, produzione o consumo). Gli esempi tipici sono l’inquinamento, l’istruzione e appunto il progresso
tecnologico. L’equilibrio di mercato in presenza di esternalità non è ottimale perché costi e utilità private non coincidono con i costi e le utilità sociali. Questo
perche’ gli effetti esterni negativi o positivi non vengono rispettivamente risarciti
o remunerati. In presenza di esternalità negative quindi la quantità di equilibrio
è superiore a quella socialmente ottimale, il contrario quando le esternalità sono
positive.
Nel caso del progesso tecnologico abbiamo due tipi di esternalità. La prima a
livello individuale è negativa. Se vi è una nuova scoperta che spiazza un brevetto,
su cui si basavano guadagni e potere di mercato di un impresa, questa registrerà
una perdita. A livello generale le esternalità connesse al progresso tecnologico
sono comunque per lo più positive.
Per catturare queste esternalità positive utilizziamo un semplice modello presentato da Romer (1986) dove come in Solow la produttività è funzione del capitale
fisico e del lavoro. Tuttavia per poter esaminare il ruolo delle esternalità è necessario rivolgere l’attenzione alla funzione di produzione di una singola impresa
piuttosto che alla solita funzione aggregata. Tale funzione è la seguente:
Y (t) = E(t)K(t)α [L(t)]1−α ,
(2.25)
dove K(t) e’ capitale fisico, L(t) e’ lavoro e E(t) e’ una misura di produttivita’,
un fattore comune alla funzione di produzione di ogni impresa (tutte le imprese
nel modello sono tra loro identiche e hanno una funzione di produzione data dalla
(2.25)). L’idea di Romer e’ che il parametro di produttivita’ E(t) sia funzione
dello stock di capitale pro capite medio accumulato nell’economia
k(t) =
K(t)
K(t)
=
,
N(t)
L(t)
dove K(t) è il livello di capitale medio per impresa. Si noti che abbiamo assunto
N(t) = L(t), dove N(t) è il numero di individui nell’economia.
Piu’ precisamente Romer assume
E(t) = Ak(t)β .
Ogni impresa fa le proprie scelte di investimento ed accumula K(t) senza considerare gli effetti esterni che queste sue azioni hanno sul parametro di produttivita’ E(t). Di conseguenza, in questo modello, si ha un fenomeno di sottoaccumulazione di capitale.
Il modello puo’ generare crescita? Assumiamo che tutte le imprese siano identiche cosicche’ K(t) = K(t). Una volta che tutte le imprese hanno fatto le proprie
scelte di accumulazione, al tempo t, il valore di E(t) e’
E(t) = Ak(t)β .
Sostituendo questo valore nella funzione di produzione troviamo:
Y (t) = Ak(t)β K(t)α L(t)1−α .
Ovvero, in termini pro capite
y(t) = Ak(t)β+α .
Assumiamo un livello costante di popolazione: L(t) = N(t) = L, per ogni t. Il saggio di risparmio sia s ed il deprezzamento del capitale sia pari a zero. L’equazione
di accumulazione sara’
k(t + 1) = k(t) + Ask(t)α+β .
Il tasso di crescita dello stock di capitale pro capite (pari al tasso di crescita
del prodotto pro capite) sarà
g(k(t)) = sAk(t)α+β−1 .
Questo sarà anche il tasso di crescita del reddito pro capite. È immediato
verificare che
• Se β + α = 1, il tasso di crescita sara’ costante e pari a As
• Se β + α > 1, il tasso di crescita sara’ crescente (esplosivo)
• Se β + α < 1, il tasso di crescita sara’ decrescente e dunque l’economia
convergera’ verso uno stato stazionario caratterizzato da un tasso di crescita
pari a zero.
Complementarietà
Un tipo molto particolare di esternalita’ o di “quasi esternalita”’ e’ il concetto di
complementarieta’. Per illustrare questo concetto e le sue implicazioni, torniamo
al modello di Romer (1986). In questo modello si assume che ogni impresa, nel decidere quanto capitale accumulato consideri come dato il livello di E(t), ovvero non
internalizzi il fatto che il livello di E(t) dipende dalle sue strategie di investimento
cosi’ come dalle strategie di investimento delle altre imprese. Alternativamente
potremmo pensare ad una visione piu’ strategica secondo cui l’impresa tiene conto
del fatto che la sua produttivita’ dipende dal livello di capitale investito dalle altre
imprese attraverso il parametro E(t).
Assumiamo, com’e’ naturale che sia, che la profittabilita’ dell’investimento
in capitale fisico sia influenzata positivamente dal parametro di produttivita’ E(t).
Maggiore E(t), maggiore è la produttivita’ del capitale e dunque maggiore il
rendimento sul capitale.
E’ chiaro che piu’ la singola impresa si aspetta che il livello di investimento da
parte delle altre imprese sia alto piu’ si aspettera’ un alto valore di E(t) e piu’
sara’ spinta ad investire
Esiste una relazione di complementarieta’ tra le scelte di investimento delle
imprese. Supponiamo che l’impresa sia una famiglia, o al limite un individuo. La
sua propensione al risparmio s equivale alla sua propensione all’investimento. In
base a quanto detto s della singola impresa sara’ piu’ alto tanto piu’ alto e’ l’s
medio atteso, che chiamiamo E(s). Dato che la produttivita’ dell’investimento del
singolo individuo dipende da quanto egli si attende che gli altri in media investano,
assumiamo che l’individuo scelga s in funzione di E(s) (tasso di investimento medio
atteso) : s = F (E(s)). Supponiamo che tutti gli individui siano uguali,
Definiamo equilibrio una situazione in cui s = E(s). E’ facile vedere come
la relazione di complementarieta’ generi equilibri multipli; si veda in proposito la
figura 2.13.
2.8. Conclusioni
Abbiamo studiato diverse teorie della crescita discutendone pregi e difetti anche
alla luce dei dati sulla dinamica del livello del reddito pro capite nei vari paesi
del mondo. In conclusione, possiamo affermare che la teoria economica offre delle
teorie parziali che spiegano il ruolo dell’accumulazione di conoscenza e capitale, sia
umano che fisico, nel processo di crescita economica di lungo periodo. Si tratta di
risposte parziali, e spesso non definitive. Ciò detto, queste teorie sono utili nella
misura in cui, offrendo delle spiegazioni su alcuni dei meccanismi alla base dei
processi di crescita, evidenziani le aree di intervento su cui dovrebbero concentrarsi
gli interventi di politica economica volti a stimolare la crescita economica.
I modelli che abbiamo presentato sono tutti modelli deterministici. La crescita
economica tuttavia non è un processo deterministico. Storia e aspettative hanno
un ruolo cruciale, come vedremo nel capitolo seguente.
s
s1
s2
Figura 2.13:
s3
E(s)