Realizzato con il contributo di - Sito personale prof. Francesco

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Realizzato con il contributo di - Sito personale prof. Francesco
Realizzato con il contributo di
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Indice
INDICE
Prefazione
Pagina 5
Coordinatore: Francesco Cognetti
Direttore Dipartimento di Oncologia Medica - Direttore S.C. OMA, Istituto Regina Elena, Roma
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up delle neoplasie cerebrali
Pagina 9
Coordinatore: Giulio Maira
Professore Ordinario di Neurochirurgia Facoltà di Medicina e Chirurgia -Univ. Cattolica - Direttore S.C. Neurochirurgia, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Roma
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up del melanoma uveale
Pagina 21
Coordinatore: Emilio Balestrazzi
Professore Ordinario di Clinica Oculistica - Univ. Cattolica Sacro Cuore Roma - Direttore Clinica Oculistica, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Roma
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up dei tumori testa-collo
Pagina 29
Coordinatore: Riccardo Maurizi Enrici
Professore Ordinario di Radioterapia Oncologica II Facoltà di Medicina e Chirurgia Univ. La Sapienza - Direttore Radioterapia Oncologica,
Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Roma
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up della neoplasia della tiroide
Pagina 53
Coordinatore: B. Bellanton
Professore Chirurgia Generale e Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia Univ. Cattolica - Direttore S.C. Chirurgia Generale ed Endocrina,
Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Roma
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up del carcinoma polmonare
Pagina 67
Coordinatore: Massimo Martelli
Direttore del Dipartimento Malattie Polmonari e della UOC Chirurgia Toracica, Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini, Roma
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up della neoplasia della mammella
Pagina 87
Coordinatore: Francesco Cognetti
Direttore Dipartimento di Oncologia Medica - Direttore S.C. OMA, Istituto Regina Elena, Roma
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up del carcinoma del colon-retto
Pagina 117
Coordinatore: Carlo Barone
Professore Ordinario Univ.Catt. Sacro Cuore - Direttore S.C. Oncologia Medica, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Roma
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up delle neoplasie del retto
Pagina 133
Coordinatore: Vincenzo Valentini
Professore Associato Cattedra Radioterapia Dipartimento di Bioimmagini e Scienze Radiologiche Univ. Cattolica Direttore S.C. di Radioterapia 1, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Roma
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up dei tumori del rene
Coordinatore: M. Milella
Dirigente Medico I° liv. S.C. OMA, Istituto Regina Elena, Roma
Pagina
3
Pagina 151
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up del carcinoma della cervice
Pagina 161
Prefazione
Prefazione
Coordinatore: Giovanni Scambia
Professore Ordinario di Ostetricia e Ginecologia Clinica Ostetrica e Ginecologica Univ. Cattolica Direttore Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Roma
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up del carcinoma dell’endometrio
L
Pagina 173
Coordinatore: Giovanni Scambia
Professore Ordinario di Ostetricia e Ginecologia Clinica Ostetrica e Ginecologica Univ. Cattolica Direttore Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Roma
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up del carcinoma della vulva
Pagina 183
Coordinatore: Giovanni Scambia
Professore Ordinario di Ostetricia e Ginecologia Clinica Ostetrica e Ginecologica Univ. Cattolica Direttore Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente, Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”, Roma
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli
e neoplasie rappresentano la seconda causa di morte nel nostro Paese. In Italia, nel 2011, l’AIRTUM (Associazione Italiana Registri Tumori), ha stimato
un numero complessivo di circa 360.000 nuovi casi di tumore ed un numero di decessi pari a 174.000 casi. Circa 2.250.000 sono state le persone
che avevano avuto una precedente diagnosi di tumore maligno. Nel Lazio, l’incidenza stimata pari a 34.000 nuovi casi, la mortalità pari a circa 16.000
decessi e la prevalenza di 216.000 casi.
L’incredibile evoluzione degli ultimi anni nelle conoscenze biologiche ed in particolare genetiche e nelle innovazioni tecnologiche nel campo della diagnosi,
caratterizzazione e trattamento dei tumori ha reso imperativo il trasferimento di questa enorme mole di informazioni in un sistema di conoscenze integrato
e coerente e soprattutto applicabile a ogni singolo paziente ed in ogni singola condizione clinica. Ciò potrà rappresentare un contributo non trascurabile anche
al fine di assicurare un eguale accesso di tutti i pazienti alla qualità ed innovazione nei sistemi di diagnosi e cura promuovendo anche gli approcci multidisciplinari, i cui modelli sono fortemente rappresentati nell’assistenza oncologica. Tutto ciò determina un rilevante impatto in termini di costi assistenziali e
numero di ricoveri ospedalieri, con la conseguente necessità di un’adeguata programmazione sanitaria. Questo documento vuole costituire, appunto, una
“riflessione” sull’utilizzo ottimale sia delle nuove metodiche diagnostiche, sia delle modalità terapeutiche innovative. Infatti, se è indubbio che negli ultimi
due decenni si sia assistito a una rivoluzione nella terapia e nella prognosi dei pazienti oncologici, è anche vero che ciò ha comportato un incremento, talvolta incontrollato, della spesa sanitaria.
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Il Decreto del Presidente, in qualità di Commissario Ad Acta, della Regione Lazio On. Renata Polverini, n° U0059/2010 del 13.07.2010, prevedeva tra l’altro
l’istituzione nell’ambito della Rete Oncologica Regionale di un gruppo di Coordinamento per patologia affidato all’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena. Da
questo gruppo sono generati trenta gruppi distinti per patologia ed altre tematiche che hanno coinvolto complessivamente circa 300 Professionisti di Roma
e della Regione Lazio appartenenti a tutte le discipline, a vario titolo coinvolte nell’assistenza oncologica nella nostra Regione.
Coordinatore: Franco Di Filippo
Direttore S.C. Chirurgia Generale "A", Istituto Regina Elena, Roma
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up delle carcinosi peritoneali
La definizione di criteri di appropriatezza sia di ordine diagnostico che terapeutico, che è l’oggetto del presente documento, persegue l’obiettivo di fornire
raccomandazioni cliniche per la diagnosi, il trattamento ed il follow-up in relazione allo tipologia, sede ed allo stadio di malattia ed a tutte le variabili cliniche e biologiche rilevanti per la definizione del miglior standard diagnostico e terapeutico.
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Coordinatore: A. Garofalo
Direttore S.C. Chirurgia Generale "B", Istituto Regina Elena, Roma
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up dei tumori del fegato e delle vie biliari
Pagina 253
Coordinatore: Gian Luca Grazi
Nonostante tali risultati vengano di norma maggiormente prodotti dai cosiddetti centri di eccellenza, l’adeguamento ad essi deve diffondersi, pur in relazione alle potenzialità tecnologiche e strutturali e di qualificazione del personale delle singole istituzioni, a tutte le strutture del Servizio Sanitario Regionale
nelle varie realtà regionali e locali, che in assenza di indicazioni e raccomandazioni da utilizzare nella pratica clinica, da parte delle autorità sanitarie centrali possono invece produrre prestazioni disomogenee e non in linea con i migliori standard riconosciuti a livello internazionale.
Direttore UOC Chirurgia Epatobiliopancreatica, Istituto Regina Elena, Roma
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nelle terapie
di supporto dei pazienti neoplastici
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Pertanto, la definizione di questi criteri di appropriatezza necessita di una accurata analisi della letteratura scientifica, nell’ottica di ricercare le migliori evidenze in termini di efficacia per ogni prestazione sanitaria da applicare ad ogni singola fattispecie clinica, ed anche allo scopo di individuare il profilo strutturale delle risorse e dell’organizzazione, nella delicata operazione di calare nelle realtà locali e regionali la possibilità di attuare tali provvedimenti.
Coordinatore: Daniele Santini
Professore Associato Docente di Patologia Generale Univ. Campus Bio-medico - Direttore DH Oncologico CO-Responsabile Unità di Ricerca in Oncologia, Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, Roma
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up dei pazienti anziani
Il miglioramento della qualità delle prestazioni oncologiche erogate nell’ambito del Servizio Sanitario Regionale richiede l’adeguamento ove possibile a livelli standard dei servizi offerti alla comunità dei pazienti, laddove per standard si intendano quelle attività di tipo diagnostico e terapeutico in linea con i
migliori risultati in termini di outcome prodotto. È infatti dimostrato che la qualità e l’appropriatezza delle prestazioni mediche sia diagnostiche che terapeutiche possono significativamente influenzare i risultati dei trattamenti nel settore dei tumori, e quindi le possibilità stesse di sopravvivenza dei pazienti,
nonché la loro qualità di vita.
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Nell’ambito oncologico, tale processo richiede un’ampia analisi delle evidenze prodotte in ambito scientifico ed il trasferimento di esse in un contesto molto
ampio che rivesta tutta la storia naturale di ogni singola patologia, partendo dalla sfera dello screening e della prevenzione fino alla gestione dell’assistenza
del paziente terminale.
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In considerazione della connotazione completamente interdisciplinare della patologia oncologica già prima richiamata, nella quale le competenze specialistiche dell’oncologia medica incontrano quelle delle chirurgie specialistiche e/o generali, delle altre specialità mediche, dell’imaging nel suo insieme (diagnostica per immagini e medicina nucleare), della radioterapia, e della più moderna integrazione di anatomia patologica e biologia molecolare, la riuscita
di un processo di definizione di criteri di appropriatezza necessita di approfondite analisi scientifiche attraverso l’esame accurato degli studi clinici prodotti
dalla letteratura internazionale ma soprattutto di fattibilità e riproducibilità. Inoltre, la marea montante di innovazioni tecnologiche restringe in modo significativo l’applicabilità di alcune prestazioni di particolare complessità ai soli centri che possono offrire tali prestazioni.
Coordinatore: Lazzaro Repetto
Direttore U.O.C. Oncologia Medica, Istituto Nazionale di Ricovero e Cura per Anziani, Roma
Il supporto dell’informazioneper il paziente onocologico,
percorsi riabilitativi e psicologici (Il ruolo delle Associazioni dei pazienti)
Coordinatore: F. De Lorenzo
Professore Ordinario di Chimica Biologica Univ di Napoli - Presidente AIMAC - Presidente FAVO, già Ministro della Salute
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa delle cure palliative nel paziente oncologico
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Coordinatore: Giuseppe Casale
Coordinatore Sanitario U.O.C.P. Antea Associazione - Direttore Didattico ANTEA Formad
Ringraziamenti
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4
Come già detto sopra, per perseguire gli obiettivi sopra menzionati, la Regione Lazio ha inteso promuovere la stesura di un apposito documento da parte di
gruppi interdisciplinari di professionisti particolarmente esperti su tutte le patologie neoplastiche a più elevata incidenza e mortalità nonché di particolare
interesse sotto il profilo dell’innovazione nelle tecniche di diagnosi e trattamento. Per ogni gruppo sono state selezionate professionalità di elevato spessore
clinico e scientifico nel settore richiesto, tra le quali è stato nominato un coordinatore al quale è stato affidato il compito di concertare con gli esperti la stesura dei documenti in oggetto.
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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
I documenti sono stati preparati seguendo una modalità omogenea, rispettando un ordine che prevede: nella prima parte, brevi cenni di incidenza/mortalità in Italia, diagnosi, stadiazione e ‘risk-assessment’, trattamento degli stadi iniziali, trattamento della malattia localmente avanzata, trattamento della malattia metastatica includente i trattamento di I linea e linee ulteriori, valutazione delle risposte e del follow-up, e, nella seconda parte, analisi delle dotazioni
delle unità cliniche e volumi di attività utilizzabili ai fini del semplice accreditamento e per la definizione di eccellenza nella diagnosi e cura delle patologie
in questione. Sono stati finora portati a termine e considerati in linea con gli obiettivi e la metodologia richiesta, n°20 documenti che sono oggetto della presente pubblicazione. Tra di essi sono stati anche inseriti alcuni documenti su altre tematiche sempre relative al complesso mondo della organizzazione e
gestione dell’assistenza nel settore oncologico.
Gli altri documenti non ancora presentati dai gruppi multidisciplinari o giudicati tuttora immaturi e non perfettamente aderenti agli obiettivi ed alla metodologia proposta, saranno oggetto di una successiva pubblicazione.
Prefazione
ELENCO DEI DOCUMENTI OGGETTO DELLA PRESENTE PUBBLICAZIONE
GRUPPI DI LAVORO PER PATOLOGIA
COORDINATORE
ISTITUZIONE
Cerebrali
G. Maira
Policlinico Universitario "A.Gemelli"
Tumori oculari
E. Balestrazzi
Policlinico Universitario "A.Gemelli"
Testa-collo
R. Maurizi-Enrici
Policlinico Universitario "Sant'Andrea"
Tiroide
R. Bellantone
Policlinico Universitario "A.Gemelli"
Polmone
M. Martelli
Azienda Ospedaliera "S. Camillo-Forlanini"
Sulla base delle considerazioni effettuate, l’obiettivo finale di tale pubblicazione è anche quello di produrre indicazioni per ogni singola patologia delle dotazioni strutturali, tecnologiche, di expertise ed organizzative che dovranno essere presenti in ogni singola unità ospedaliera ai fini dell’accreditamento della
stessa ad eseguire diagnosi e terapia in quella determinata patologia. I documenti saranno quindi estremamente utili ai fini della stesura dei piani strutturali e dei percorsi terapeutici nell’ambito delle quattro Macroaree di cui si compone la Rete Oncologica Regionale.
Mammella
F. Cognetti
Istituto Nazionale Tumori Regina Elena
Colon - Retto
C. Barone - V. Valentini
Policlinico Universitario "A.Gemelli"
Rene
M. Milella
Istituto Nazionale Tumori Regina Elena
Ciò consentirà di uniformare gli standard diagnostico-terapeutici nell’ambito regionale per offrire le migliori opzioni al paziente nei centri che saranno in grado
di produrre i criteri richiesti, e sarà anche possibile definire quei centri di eccellenza in grado di offrire un servizio sanitario certificato di particolare elevata
qualità.
Cervice - Endometrio - Vulva
G. Scambia
Policlinico Universitario "A.Gemelli"
Sarcomi p. molli
F. Di Filippo
Istituto Nazionale Tumori Regina Elena
Carcinosi Peritoneali
A.Garofalo
Istituto Nazionale Tumori Regina Elena
In considerazione delle indicazioni proposte in tema di appropriatezza dei trattamenti, tale progetto verrà successivamente integrato con una ulteriore proposta di programmazione in tema di modelli organizzativi e sistemi di monitoraggio e di controllo.
Fegato- V.Biliari
G.L. Grazi
Istituto Nazionale Tumori Regina Elena
Terapie di supporto
D. Santini
Policlinico Universitario "Campus Biomedico"
Sarà poi opportuno effettuare misure di verifica dell’appropriatezza, in modo da avere una mappa chiara anche delle liste di attesa e della loro evoluzione
nel tempo, sia a livello delle singole Istituzioni ospedaliere sia a livello dell’intera Regione Lazio. In caso di riscontro di non appropriatezza (Commissioni di
controllo), sarà potestà delle autorità politiche poter prevedere ulteriori meccanismi di controllo e verifica ed anche eventuali provvedimenti sanzionatori come
l’abbattimento dei rimborsi mediante DRG, o la temporanea sospensione dell’accreditamento.
Tumori negli anziani
L. Repetto
INRCA - "Istituto nazionale riposo e cura anziani"
Associazioni pazienti
F. De Lorenzo
FAVO - "Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia"
Terapie palliative
G. Casale
ANTEA -"Associazione ONLUS"
Il raggiungimento di tali obiettivi sarà facilitato dall’implementazione della strutturazione della Rete Oncologica Regionale dei servizi clinico-assistenziali e
dall’attività dei Dipartimenti Oncologici su base territoriale (e/o interaziendali).
ELENCO DEI DOCUMENTI ANCORA IN FASE DI REVISIONE
Le misure ed i provvedimenti descritti permetteranno di favorire un’attività assistenziale di più elevato livello maggiormente omogenea su tutto il territorio
regionale, e garantire il contenimento dei tempi di attesa ed anche dei costi delle prestazioni diagnostiche e terapeutiche nel settore dei tumori grazie al
raggiungimento di una maggiore appropriatezza nelle indicazioni.
Francesco Cognetti
Coordinatore Scientifico del Progetto
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GRUPPI DI LAVORO PER PATOLOGIA
COORDINATORE
ISTITUZIONE
Esofago-Stomaco
V. Ziparo
Policlinico Universitario "Sant'Andrea"
Neuroendocrini
G. Delle Fave
Policlinico Universitario "Sant'Andrea"
Ossei
R. Biagini
Istituto Nazionale Tumori Regina Elena
Ovaio
P. Benedetti-Panici
PolicIinico Universitario "Umberto I° "
Prostata - Vescica - Testicolo
C.N. Sternberg
Azienda Ospedaliera "S. Camillo-Forlanini"
Tumori ereditari
P. Marchetti
Policlinico Universitario "Sant'Andrea"
Tumori rari
S. Tomao
Polo Oncologico Latina - Università "La Sapienza"
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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie cerebrali
Criteri di appropriatezza clinica
ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up delle neoplasie
cerebrali
Coordinatore: Giulio Maira
C.M. Carapella, C. Colosimo, U. De Paula, A. Fabi, F. Giangaspero, A. Pace, A. Turriziani
con la collaborazione di:
M. Antonelli, M. Balducci, G. Colicchio, G. Lanzetta, A. Mangiola, G. Mansueto,
G. Minniti, A. Mirri, G. Moscati, I. Penco, M. Salvati, A. Scopa
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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
INDICE
1. Incidenza e Mortalità
1.
Incidenza e Mortalità
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2.
Risk Assessment
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3.
Diagnosi
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4.
Esami Diagnostici
4.1 Diagnosi Neuroradiologica
4.2 Diagnosi Anatomo-Patologica
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Terapia
5.1 Chirurgia
5.2 Terapie adiuvanti
5.3 Trattamento alla recidiva dei gliomi maligni
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Prevenzione e Palliazione Dei Sintomi
6.1 Riabilitazione palliativa
6.2 Ipertensione endocranica, controllo dell’edema cerebrale
6.3 Epilessia
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Dotazioni delle unità cliniche, volumi di attività per accreditamento
e definizione di eccellenza
7.1 Diagnostica per immagini
7.2 Diagnosi anatomo-patologica
7.3 Chirurgia
7.4 Radio-chemioterapia
7.5 Attività scientifica
Pagina 16
Bibliografia
Pagina 18
5.
6.
7.
8.
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie cerebrali
Pagina 11
Pagina 12
Pagina 12
I gliomi rappresentano i tumori cerebrali primitivi più frequenti nella popolazione adulta e costituiscono un gruppo eterogeneo di neoplasie per caratteristiche cliniche e biologiche, oltre che per sensibilità alle differenti strategie
terapeutiche.
Tra questi il glioblastoma (GBM) rappresenta da solo circa l’1% delle neoplasie dell’adulto, il 25% dei tumori primitivi cerebrali ed il 45-50% dei gliomi,
con un incidenza di circa 5-6 casi per 100.000 persone adulte per anno. Il
GBM è nella maggioranza dei casi una neoplasia degli adulti: i casi nella fascia d’età minore di 14 anni costituiscono lo 0.2% del totale. La frequenza
aumenta con l’età, avendo un picco tra 65 e 75 anni. L’età media di insorgenza è tra i 50 ed i 60 anni ed esiste una differente distribuzione nei due
sessi con un rapporto maschi/femmine di 1.6/1.
La localizzazione sopratentoriale è la più frequente. Vi sono sindromi familiari tipo la sindrome di Turcot (poliposi familiare congenita), la S. di Li-Fraumeni (disordine autosomico dominante con alterazioni della P53), dove i GBM
sono più frequenti. Il GBM è caratterizzato da una notevole varietà citologica,
una alta invasività locale ed una scarsa tendenza a metastatizzare. Sebbene
la malattia sia trattata con un’aggressiva strategia terapeutica multimodale
quale chirurgia seguita da chemioterapia e radioterapia, la mediana di sopravvivenza è di circa 15 mesi. (Stupp et al., 2009)
Esistono almeno due patterns di insorgenza: i GBM primari si verificano in pazienti più anziani (età media 55-60 anni) dopo una breve storia clinica e
senza una identificabile lesione precedente, meno maligna. Al contrario, i
GBM secondari insorgono in pazienti più giovani (età media 39 anni), hanno
una storia clinica relativamente più lunga, e sono il risultato di una progressione da un glioma di basso grado.
L’età d’insorgenza della neoplasia sembra essere un importante fattore prognostico: diversi studi hanno dimostrato un’associazione significativa tra
l’avanzare dell’età ed il peggioramento della prognosi. Il sesso, invece, sembra non avere significato in termini di outcome.
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2. Risk assessment
I gliomi cerebrali sono patologie senza una chiara evidenza eziologica e con
patogenesi complessa.
Vi sono sindromi familiari, tipo quelle innanzi segnalate, ma tuttavia rappresentano una modesta percentuale rispetto alla stragrande maggioranza dei
pazienti affetti da glioma cerebrale ed in cui, fino al momento attuale, non
sono stati individuati specifici fattori di rischio. E’ noto che per i gliomi di
basso grado (grado II WHO) il picco di incidenza è tra i 20 e i 40 anni, mentre i gliomi maligni (grado III e IV WHO) insorgono più tardivamente. I GBM primitivi (grado IV WHO) hanno un picco di insorgenza nella sesta e settima
decade.
3. Diagnosi
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Come in tutta la patologia oncologica anche nei gliomi cerebrali la diagnosi
precoce condiziona, anche se in misura minore rispetto ad altre forme tumorali, l’efficacia delle strategie terapeutiche.
La sintomatologia di esordio è condizionata dalla localizzazione della lesione
che nel caso di coinvolgimento di aree eloquenti si manifesterà con deficit
focali (linguaggio, motilità, funzione visiva, deficit di nervi cranici).
Le localizzazioni nelle aree “mute” si manifesteranno con turbe dell’atten-
zione, apatia e coinvolgimento delle funzioni nervose superiori fino a segni
di ipertensione endocranica.
Nei gliomi di basso grado il sintomo d’esordio è spesso rappresentato da
una crisi epilettica.
Comunque in un soggetto adulto che presenta una progressiva modificazione delle perfomances cognitive, anche in assenza di segni neurologici focali, è fortemente indicato uno studio neuro radiologico (RMN cerebrale).
4. Esami diagnostici
4.1 Diagnosi Neuroradiologica
La diagnostica dei tumori cerebrali è prevalentemente basata sulle indagini
neuroradiologiche ovvero sulla RMN.
Gli obiettivi principali sono:
1) diagnosi differenziale
2) definizione della localizzazione e della estensione della patologia
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3) ipotesi di grading biologico.
Lo stato dell’arte prevede in fase pre-chirurgica la implementazione dei dati
morfologici con informazioni “funzionali” in grado di fornirci elementi sul metabolismo e sulla emodinamica del tumore. Inoltre in caso di tumori localizzati in prossimità di aree eloquenti è possibile ottenere una mappa di tali
zone e del loro rapporto topografico con il tumore.
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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Note tecniche
Tecnica da utilizzare in fase pre-operatoria:
• Magnete ≥1.5T
• Spessore massimo (2 D) ≤ 4 mm
• T1 e T2 TSE assiali; FLAIR T2 volumetriche (3D) (in alternativa FLAIR assiali e TSE T2 su 3 piani)
• T1 TSE post-contrasto su 3 piani (in alternativa T1 volumetriche e TSE
T1 assiale tardiva)
• Studio di perfusione con tecnica contrastografica (DSC) con o senza valutazione dell’“input arterioso” (AIF)
• Studio di diffusione con elaborazione delle mappe ADC
• Spettroscopia (almeno single voxel e TE lungo) auspicabile CSI (multi)
In caso di localizzazione in aree critiche utile la RM funzionale, con task di
attivazione motoria e linguaggio e/o Trattografia (DTI)
Tecnica da utilizzare in fase post-operatoria:
• Magnete ≥1.5T
• Spessore massimo (2 D) ≤ 4 mm
• T1 e T2 TSE assiali; FLAIR T2 volumetriche (3D) (in alternativa FLAIR assiali e TSE T2 su 3 piani)
• Studio di diffusione con elaborazione delle mappe ADC
• T1 TSE post-contrasto su 3 piani (in alternativa T1 volumetriche e TSE
T1 assiale tardiva)
• Solo in caso di dubbio diagnostico o di indicazione al re-intervento
• Studio di perfusione con tecnica contrastografica (DSC) con o senza valutazione dell’”input arterioso” (AIF)
• Spettroscopia (almeno single voxel e TE lungo) auspicabile CSI (multi)
Raccomandazioni:
I controlli post-operatori sono consigliabili con scadenza trimestrale.
In presenza di segni di recidiva del tumore in alcuni casi si pone la necessità di diagnosi differenziale fra ripresa di malattia e radionecrosi. In questi
casi la RMN può essere implementata dalla Tomografia ad Emissione di Positroni (PET). L’assenza di captazione del tracciante può essere indicativa di
radionecrosi.
4.2 Diagnosi Anatomo-Patologica
Diagnosi istologica e grading: Inquadramento nosografico delle lesioni e
definizione del grado di malignità, secondo la classificazione WHO 2007.
Caratterizzazione molecolare:
• Delezione cromosoma 1p e 19q
(L’efficacia della chemioterapia nel trattamento dei gliomi di basso grado
dell’adulto è stata chiaramente dimostrata soprattutto negli oligodendrogliomi e nei tumori misti oligo-astrocitari in progressione, in particolare nei pazienti che presentano specifiche alterazioni genetiche con
perdita di eterozigosi a carico dei cromosomi 1p e 19q)
• Metilazione del promoter del gene per MGMT
(La resistenza alla TMZ nei glioblastomi è mediata in parte dal gene
MGMT. L’assenza di metilazione del gene sembra essere un fattore sia
prognostico che predittivo, poiché si associa a una scarsa risposta alla
Temozolomide e ad una peggior sopravvivenza rispetto ai pazienti metilati.)
• Mutazione IDH1 mediante immunoistochimica
(La presenza della mutazione di IDH1 è stata individuata come caratteristica dei gliomi maligni secondari, cioè frutto di progressione da un
glioma di basso grado, mentre non è riscontrabile nei glioblastomi primari).
5. Terapia
5.1 Chirurgia
La chirurgia rappresenta il primo atto terapeutico nel trattamento dei gliomi
cerebrali. Gli obiettivi principali del trattamento chirurgico dei tumori cerebrali
sono: ottenere una corretta diagnosi istologica; controllare rapidamente la
sintomatologia ingravescente legata all’aumento della pressione endocranica ripristinando, ove indicato, una normale circolazione liquorale; ridurre
l'edema perilesionale; migliorare la qualità di vita controllando i sintomi e
segni neurologici focali determinati dalla neoplasia; ottenere la massima riduzione possibile del numero delle cellule neoplastiche, onde favorire l’efficacia delle successive terapie adiuvanti.
Gliomi di alto grado (grado II WHO)
Il trattamento ottimale (chirurgia, radioterapia, chemioterapia) è ancora molto
controverso.
L’indicazione al trattamento chirurgico è universalmente accettata nel caso
di tumori che per sede e dimensioni possono essere asportati completamente, e nel caso di lesioni con effetto massa e sintomi neurologici in cui la
riduzione del volume tumorale può portare un beneficio clinico.
Purtroppo, nella maggioranza dei casi, i gliomi di basso grado dell’adulto si
presentano come lesioni infiltranti con margini poco definiti rispetto al parenchima sano perilesionale, localizzate frequentemente in sedi “critiche” e
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spesso non associate a segni neurologici focali.
In questi casi non è ben definito quale sia il beneficio clinico dell’asportazione
chirurgica parziale e il suo impatto sulla prognosi.
Nei pazienti con tumori giudicati non operabili perchè in sede critica o perchè estesamente infiltranti è consigliabile una biopsia stereotassica per la
conferma diagnostica.
Gliomi di alto grado (III-IV WHO)
E’ ormai ampiamente accettato che la resezione macroscopicamente totale
nei gliomi maligni rappresenti un fattore prognostico indipendente statisticamente significativo correlato con la maggiore sopravvivenza.
Indicazione fondamentale alla chirurgia, oltre a quelle su indicate, è data
dalla presenza di una lesione circoscritta senza coinvolgimento delle aree
profonde. In presenza di lesione multifocale o coinvolgente strutture profonde (talamo, nuclei della base, corpo calloso) è indicata la biopsia stereotassica, quantomeno nei casi in cui la definizione del grading istologico possa
influenzare la successiva condotta terapeutica.
Requisiti e criteri di eccellenza dell’attrezzatura chirurgica
• Sala operatoria (dedicata)
• Coagulazione bipolare
12
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie cerebrali
•
•
•
•
•
•
•
Aspiratore a ultrasuoni
Ecografo intraoperatorio
Neuronavigatore
Microscopio operatorio (completo di filtro per fluorescenza e indocianina)
Monitoraggio neurofisiologico intraoperatorio
Strumentario per biopsia con tecnica stereotassica
Terapia intensiva post-operatoria
Note tecniche
Il filtro per fluorescenza è utilizzato nei casi in cui il paziente abbia assunto
alcune ore prima dell’intervento una sostanza fluorescente, tipo l’acido
amino-levulinico, in grado di penetrare selettivamente nelle cellule neoplastiche. In tal modo l’utilizzo del filtro permette di identificare aree di infiltrazione neoplastica non visibili alla luce normale.
Il neuronavigatore permette al chirurgo di conoscere in ogni momento la sua
posizione di lavoro rispetto sia alla lesione che ad eventuali aree eloquenti.
Tale ausilio aiuta ad effettuare la resezione neoplastica nel rispetto di aree
funzionali riducendo così i rischi di deficit neurologici post-operatori.
Il monitoraggio neurofisiologico intraoperatorio ha lo stesso scopo del neuronavigatore in termini di rispetto di aree funzionali.
La possibilità di avere controlli intraoperatori con TC o RM è decisamente
auspicata, ma attualmente ancora non validata da un punto di vista dell’impatto sull’efficacia della strategia terapeutica complessiva.
5.2 Radioterapia e chemioterapia
Gliomi di basso grado
Dati basati su studi prospettici randomizzati indicano che nei pazienti con fattori prognostici indicatori di lunga sopravvivenza e in particolare con età giovanile (<35 anni), assenza di deficit neurologici, epilessia come unico
sintomo di malattia, il trattamento radioterapico può essere differito fino alla
evidenza radiologica o clinica di progressione di malattia. I dati sul ruolo della
chemioterapia nel trattamento dei gliomi di basso grado sono ancora scarsi,
ma un numero crescente di studi segnalano tassi di risposta al trattamento
con temozolomide che variano dal 35 al 61%, con elevata incidenza di risposte minori e lunghe stabilizzazioni di malattia.
L’efficacia della chemioterapia nel trattamento dei gliomi di basso grado dell’adulto è stata chiaramente dimostrata soprattutto negli oligodendrogliomi
e nei tumori misti oligo-astrocitari in progressione, in particolare nei pazienti
che presentano specifiche alterazioni genetiche con perdita di eterozigosi a
carico dei cromosomi 1p e 19q (10-13) e mutazione IDH1.
Sulla base delle considerazioni precedenti (in attesa dei risultati dello studio
EORTC che chiarirà la migliore sequenza terapeutica per questi tumori) l’algoritmo di trattamento è il seguente:
Dopo resezione chirurgica totale non vi è indicazione a radioterapia adiuvante, ma va considerato un attento follow up clinico-strumentale (trimestrale per il primo anno, quadrimestrale per il secondo anno, semestrale per
il terzo anno, annuale dopo il quarto anno per almeno 10 anni), per la possibilità di eventuali progressioni di malattia anche a distanza dalla sede iniziale
della neoplasia.
Dopo asportazione incompleta o Biopsia è indicata:
• RADIOTERAPIA IMMEDIATA
In pazienti con: Età > 40 anni, Istologia Astrocitaria, Chirurgia sub-totale, Deficit focali e/o Segni Compressivi, Epilessia resistente alle terapie mediche, Assenza di delezione 1p-19q, Assenza di mutazione
IDH1-IDH2
Pagina
Oppure:
• RT DILAZIONATA con VIGILE ATTESA E/O CHEMIOTERAPIA
In pazienti con: Età < 40 anni, Malattia limitata, Asportazione Chirurgica
Ampia, Istologia Oligo-dendrogliale, Co-delezione 1p-19q, Mutazione
IDH1- IDH2, Epilessia come unico segno clinico
I tumori con istologia oligodendrogliale o mista oligo-astrocitaria presentano
una maggiore chemiosensibilità rispetto ai tumori astrocitari.
Pertanto la chemioterapia (temozolomide, PCV), sia come trattamento iniziale dopo una chirurgia parziale, che alla recidiva/progressione è frequentemente impiegata, specie in presenza di fattori prognostici clinici e
bio-molecolari favorevoli.
Le risposte cliniche e/o radiologiche si possono verificare anche dopo molti
mesi di terapia. Non è ancora definita la durata ottimale della chemioterapia
nei pazienti responsivi, così come non è dimostrato un vantaggio della polichemioterapia (es. PCV) a confronto con la monochemioterapia con temozolomide o nitrosouree.
Gliomi III grado
I dati in letteratura relativi ai soli gliomi anaplastici sono scarsi poichè, data
la loro rarità, sono stati a lungo considerati e trattati insieme ai glioblastomi
anche se la prognosi è significativamente migliore (mediana di sopravvivenza di 24-36 mesi).
In generale i livelli di prove di efficacia sono di tipo II e III. L’asportazione chirurgica la più ampia possibile e la radioterapia adiuvante con tecnica conformazionale (54 Gy –60 Gy) sono il trattamento standard. Circa l’impiego dei
wafers di Gliadel nei pazienti di nuova diagnosi valgono le considerazioni per
il glioblastoma.
La chemioterapia adiuvante a base di nitrosouree (BCNU, PCV) è stata considerata efficace in due metanalisi relative ai gliomi maligni (Fine et al, 1993;
Stewart, 2002).
Per quanto riguarda la temozolomide, sono in corso studi cooperativi di fase
III per valutare la potenziale utilità del trattamento combinato di radioterapia/temozolomide concomitante ed adiuvante (cioè il trattamento standard
del glioblastoma). Una chemioterapia post-radioterapia con temozolomide
(fino a 12 mesi), specialmente in presenza di un residuo dopo radioterapia,
è consigliabile.
Nel caso di diagnosi istologica di astrocitoma anaplastico, se in presenza di
un quadro radiologico altamente suggestivo per glioblastoma, specialmente
in pazienti con età ≥60 e <70 anni, può essere ipotizzato un trattamento
combinato di radioterapia e temozolomide concomitante ed adiuvante nella
presunzione di un “sampling error” (errore di campionatura).
Alla recidiva/progressione gli astrocitomi anaplastici sono sempre considerati unitamente ai glioblastomi, ma in genere presentano una maggior percentuale di risposte e più lunghi tempi alla progressione dopo le stesse
opzioni terapeutiche.
Le scelte terapeutiche in caso di componente oligoastrocitaria (oligo-astrocitoma) e oligodendroglioma puro vanno valutate sulla base dei fattori prognostici biologici (co-delezione 1p-19q, mutazione IDH1, stato di metilazione
dell’enzima MGMT), e di quelli clinici (età del paziente, entità dell’asportazione chirurgica, presenza di segni neurologici, epilessia).
Attualmente i markers biologici, incluso lo stato di metilazione dell’enzima
MGMT, possono essere considerati fattori utili nella definizione diagnostica
e come indicatori prognostici ma non sono ancora utilizzabili nella pratica clinica per indirizzare i trattamenti. Tuttavia, nel caso di tumori estesi, che richiedono un volume di trattamento ampio, soprattutto in presenza di
codelezione 1p-19q, si può considerare l’opzione di una chemioterapia iniziale, ritardando la radioterapia.
13
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Gliomi IV grado
L’asportazione chirurgica il più ampia possibile deve essere seguita da radioterapia conformazionale e chemioterapia; procedure da iniziare entro 30
- 40 giorni dall’intervento chirurgico nei soggetti con KPS ≥ 70. Il trattamento
radioterapico standard dei tumori gliali prevede la erogazione di 59,4/60 Gy,
in 33/30 frazioni giornaliere da 1,8-2 Gy ciascuna. Dal 2005 in poi la radioterapia concomitante a chemioterapia con temozolomide (TMZ) è diventato
il nuovo standard terapeutico nel glioblastoma. La schedula di TMZ è 75
mg/mq/die per tutta la durata della radioterapia, seguiti da 6 cicli alla dose
di 150-200 mg/mq/die x 5 giorni q28.
In caso di risposta e di assenza di tossicità può essere preso in considerazione un prolungamento della fase “adiuvante” con TMZ anche fino a progressione.
Anche in assenza di malattia valutabile, il trattamento con TMZ si può considerare fino a un massimo di 12 cicli.
Il trattamento intraoperatorio con BCNU wafer intracerebrale (Gliadel) non
deve essere considerato un’alternativa equiefficace rispetto allo standard
con TMZ, ma può fornire una utile integrazione nei casi sottoposti a resezione chirurgica radicale o subtotale, ritardando la ripresa locale di malattia
nella fase di attesa dell’inizio del trattamento chemio-radioterapico.
La resistenza alla TMZ nei glioblastomi è mediata in parte dal gene MGMT.
L’assenza di metilazione del gene sembra essere un fattore sia prognostico
che predittivo, poiché si associa ad una scarsa risposta alla temozolomide e
ad una peggior sopravvivenza rispetto ai pazienti metilati.
Anche la radio-immunoterapia metabolica, che utilizza anticorpi radiomarcati
iniettati per via sistemica o intratumorale, rimane tuttora da considerarsi
sperimentale.
5.3 Trattamento alla recidiva dei gliomi maligni
Alla comparsa di recidiva/progressione di malattia si può riconsiderare
• la chirurgia per recidiva circoscritta e chirurgicamente accessibile
•
•
la radioterapia (sulla base della dose già erogata)
chemioterapia utilizzando uno dei seguenti protocolli:
fotemustina 65-75 mg/mq 1,8,15 g (fase di induzione) seguiti dopo 5
settimane da 75-100 mg/mq q 21 (fase di mantenimento)
oppure
PC (CCNU 110 mg/m2 giorno 1 + procarbazina 60 mg/m2/die dal giorno
7 al 21) ogni 6-8 settimane senza la Vincristina per evidenze di difficile
passaggio nella BBB.
Alla comparsa di recidiva/progressione di malattia dopo chirurgia e radioterapia concomitante a temozolomide, le principali opzioni terapeutiche rimangono le stesse, con la possibilità di effettuare nuovamente trattamento
con temozolomide secondo protocollo “3 weeks on e 1 week off” (75
mg/mq/die) o week on e week off (75 mg/mq/die) in considerazione della risposta ottenuta in prima linea, dal tempo di progressione e dalla tossicità,
(schedula in off label).
L’associazione di CPT11 e bevacizumab è una opzione terapeutica sulla base
di uno studio di fase II in pazienti affetti da GBM recidivo (PFS-6: 46%, OS6: 77% (96% CI: 64-92%), Rr: 57%) (20) e da uno studio di fase II randomizzato in pazienti affetti da GBM recidivati in cui l’associazione di
bevacizumab + CPT11 ha documentato un beneficio di efficacia confrontato
con bevacizumab in monoterapia (Rr: 32.9% vs 20%, PFS-6 50% vs 42%,
OS: 8.8 vs 9.3 mesi) (21) e i risultati a lungo termine che dimostrano un tasso
di sopravvivenza a un anno del 38% (livello di evidenza IIIA).
Ad oggi in Europa il trattamento con bevacizumab è fuori indicazione, in attesa dei risultati di studi di fase III attualmente in corso.
Riguardo alla modalità di esecuzione della chemioterapia è importante considerare quanto segue:
• Nessuno studio ha dimostrato un vantaggio della polichemioterapia rispetto alla monoterapia.
• Non è stabilita una durata ottimale del trattamento dei pazienti responsivi o stabili durante chemioterapia.
Le nitrosouree rimangono, dopo la temozolomide, i farmaci più attivi.
6. Prevenzione e palliazione dei sintomi
6.1 Riabilitazione palliativa
L’efficacia della riabilitazione nei tumori cerebrali è documentata da numerosi studi che riportano un “guadagno funzionale” e un miglioramento dell’autonomia nei pazienti trattati sovrapponibile a quello ottenuto in pazienti
affetti da patologie non oncologiche (esiti di ischemia cerebrale o di trauma
cranico). In questo quadro l’intervento riabilitativo deve essere mirato al recupero dell’autonomia individuale e può utilizzare strumenti diversi (fisioterapia motoria, terapia del linguaggio, terapia occupazionale).
In questo quadro, visto il forte coinvolgimento familiare, occorre anche porsi
il problema di aiutare la famiglia del malato a convivere con la malattia e a
gestire gli aspetti più importanti, prevedendo il suo addestramento al corretto posizionamento e alla mobilizzazione del paziente con autonomia limitata e l’educazione alle posture adeguate.
I deficit cognitivi sono un sintomo comune nei pazienti con tumore cerebrale, presente spesso già alla diagnosi, con un impatto negativo sulla qualità della vita e sul tono dell’umore.
Le funzioni cognitive sono considerate un fattore prognostico indipendente
indicatore di sopravvivenza.
Pagina
6.2 Ipertensione endocranica, controllo
dell’edema cerebrale
Il trattamento antiedemigeno cortisonico richiede una migliore definizione
sia nel tipo di cortisonico utilizzato che nella posologia.
Il desametasone ha mostrato in studi sperimentali la maggiore attività
antiedemigena cerebrale con minori effetti collaterali di tipo mineralcorticoide. Nei trattamenti protratti è necessario conoscere i numerosi possibili
effetti collaterali (diabete iatrogeno, ipertensione arteriosa, complicanze psichiatriche) che devono essere trattati tempestivamente e prevenuti con una
riduzione delle dosi di steroidei alla dose minima efficace.
Desametasone
Ridotti effetti mineralcorticoidi, basso legame proteine plasmatiche, lunga
emivita (36 h), ridotta migrazione leucocitaria, dose iniziale 16 mg al giorno
in unica somministrazione, ridurre gradualmente alla dose minima efficace
Mannitolo,Glicerolo
Raccomandata solo in caso di ipertensione endocranica ingravescente 1
mg/Kg in infusione rapida ogni 4-6 ore per 48-72 ore, utile monitoraggio
funzionalità renale per terapia protratta.
14
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie cerebrali
6.3 Epilessia
I pazienti con neoplasia cerebrale primitiva o secondaria presentano spesso
crisi epilettiche parziali o secondariamente generalizzate.
Gli istotipi a maggior rischio epilettogeno sono gli oligodendrogliomi (8090%), i gliomi anaplastici (70%) e le metastasi da melanoma (87%).
Le localizzazioni più epilettogene sono quelle parieto-temporali e corticali;
l’edema perilesionale rappresenta un fattore di rischio aggiuntivo.
In letteratura non esistono dati che indichino un beneficio nell’intraprendere una profilassi. Alcuni autori suggeriscono di intraprendere una profilassi
solo nel caso di interessamento della corteccia motoria e/o in caso di metastasi da melanoma e/o in caso di intervento neurochirurgico nella prima
settimana post-operatoria. Va sempre privilegiata, laddove possibile, la monoterapia. Le raccomandazioni sul trattamento dell’epilessia tumorale prodotte dall’Associazione Italiana di Neuro-Oncologia (2008) raccolgono le
evidenze scientifiche disponibili.
Dall’analisi dei dati disponibili sono state stilate le seguenti raccomandazioni:
• nei pazienti con tumori cerebrali di nuova diagnosi, i farmaci antiepilettici non sono efficaci nel prevenire l’insorgenza di crisi epilettiche.
In considerazione della assenza di efficacia della terapia profilattica e
per i potenziali eventi avversi dei farmaci antiepilettici, la terapia profilattica anticonvulsiva non dovrebbe essere utilizzata di routine in questi pazienti (standard)
• nei pazienti con tumori cerebrali che non abbiano presentato crisi, è
appropriato sospendere i farmaci antiepilettici dopo la prima settimana
successiva all’intervento chirurgico. (Livello B)
• i farmaci di nuova generazione (LEV, GBP, LTG, OXC, TGB, TPM, ZNS) nel
trattamento delle crisi epilettiche in pazienti con neoplasie primitive o
metastasi cerebrali inducono minori eventi avversi e minori interazioni
rispetto ai farmaci antiepilettici di vecchia generazione (CBZ, PB, PHT)
che vengono oggi sconsigliati nella terapia di prima linea per l’elevata
incidenza di effetti collaterali e per le importanti interazioni con le altre
terapie di supporto e con alcuni farmaci chemioterapici utilizzati nel
trattamento dei tumori cerebrali
• riguardo alla profilassi antiepilettica nel periodo perioperatorio gli studi
clinici presenti in letteratura non offrono dati univoci. Anche in questo
ambito sono comunque da preferire, per le ragioni già riportate, i farmaci anicomiziali di nuova generazione dotati di minori interazioni farmacologici ed effetti collaterali.
Recenti dati sull’incidenza di crisi comiziali alla fine della vita segnalano
una elevata incidenza legata anche a difficoltà di proseguire le terapie anticonvulsive orali. Nei pazienti con disfagia iniziale viene suggerito il passaggio dalla terapia anticomiziale orale a quella parenterale con fenobarbital
im o sc.
Evitare l’uso di farmaci induttori enzimatici (citocromo P 450), Evitare le interazioni degli AED con la terapia steroidea e la chemioterapia, Iniziare con
monoterapia e in caso di epilessia resistente raggiungere la massima dose
ed eventualmente usare un secondo farmaco in ionoterapia e solo in casi
resistenti iniziare una politerapia.
Gliomi di basso grado
Pazienti non in terapia antineoplastica
• Prima scelta: Vecchi AED (VPA); Nuovi AED (LEV, LTG, OXC,TPM)
• Seconda scelta/Add-on: (CBZ-PHT-GBP-ZNS-PGB-LCM)
Pazienti in terapia antineoplastica
• Prima scelta: Non Induttori (LEV); Deboli Induttori (LTG, OXC, TPM)
• Seconda scelta/Add-on: (GBP-VPA, ZNS-PGB-LCM)
Pagina
Gliomi di alto grado
(paz. comunemente in terapia antineoplastica)
• Prima scelta: Non Induttori (LEV); Deboli Induttori (LTG, OXC, TPM)
• Seconda scelta/Add-on: (GBP, VPA,ZNS-PGB-LCM)
Trattamento in acuto
In presenza di stato di male epilettico, il farmaco ideale è una benzodiazepina per la breve durata d’azione e l’effetto immediato. In caso di non risposta alla benzodiazepina:
• fenitoina i.v.
• levetiracetam i.v.
• acido Valproico i.v.
Trombosi venose ed embolie polmonari
L’elevata incidenza di trombosi venose periferiche nei pazienti affetti da
gliomi (10-20%), spesso complicate da embolia polmonare, ha spinto alcuni
autori ad ipotizzare la necessità di una profilassi antitrombotica con eparina
a basso peso molecolare in tutti i pazienti affetti da tumore cerebrale.
Depressione, psicosi
Incidenza variabile dal 15 al 50-80% (Litofsky Neurosurgery 2004).
Recenti review sull’utilizzo di terapia farmacologica antidepressiva indicano
una possibile efficacia sul miglioramento dei disturbi depressivi.
Sintomi psichiatrici con agitazione, disturbi del comportamento, aggressività, disturbi del sonno, etc. sono molto frequenti nei pazienti con tumore cerebrale, sia come complicanza del trattamento cortisonico protratto che
come sintomatologia psicoorganica legata alla progressione del tumore. Il
trattamento farmacologico si avvale di neurolettici di nuova generazione (risperidone, olanzapina) dotati di scarsi effetti collaterali extrapiramidali e
sedativi e di buona efficacia terapeutica.
Nella fase terminale di malattia in presenza di delirium è indicata la riduzione della terapia steroidea e in caso di insuccesso la somministrazione di
farmaci sedativi fino all’induzione della sedazione necessaria al contenimento del sintomo (benzodiazepine, neurolettici).
Dolore
Dopo un’attenta valutazione del dolore, la terapia con oppioidi è graduale,
attentamente pesata per il singolo paziente e intrapresa impiegando la titolazione della dose necessaria al controllo del dolore utilizzando preparati
di morfina a pronto rilascio, somministrati ogni 4 ore ed ad ogni episodio di
dolore episodico intenso.
Una volta definita la dose quotidiana necessaria per un buon controllo del
dolore è possibile passare alla somministrazione di preparazioni a rilascio
controllato, che vanno sempre somministrate ad orari regolari, quotidianamente e possibilmente per bocca (“by the mouth, by the clock, by the ladder”).
Nausea e vomito
Farmaci sintomatici (metoclopramide, agente pro cinetico molto efficace;
aloperidolo è indicato nei casi di nausea causata dagli oppioidi)
Indicazioni alla nutrizione artificiale e all’idratazione nel paziente
terminale
Supporto nutrizionale: ad oggi non vi sono evidenze definitive che attestino l’efficacia del supporto nutrizionale nel risolvere la malnutrizione e la
perdita di massa magra nei pazienti neoplastici.
Secondo la review della Cochrane Database of Systematic Reviews, Issue
15
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
1, 2009, i medici dovranno prendere una decisione basata sui vantaggi e i
rischi di una nutrizione medicalmente assistita valutando il caso del singolo
paziente, senza il supporto di una evidenza scientifica di alta qualità.
Idratazione: La gestione dell’idratazione parenterale nel paziente terminale
rimane controversa e la questione assai più frequente in cure palliative è legata alla sua eventuale prosecuzione.
Gli argomenti al centro del dibattito sono: se e/o quanto spesso i pazienti
debbano essere idratati, il volume di idratazione ricevuto ed il bilancio tra i
benefici e gli effetti collaterali della idratazione parenterale.
Nei pazienti che vivono una fase di inevitabile e prossima terminalità non si
tratta di non iniziare o sospendere una terapia ma di accompagnare verso
una fine dignitosa con tutte le conoscenze e gli strumenti che la medicina
oggi ci offre; nelle cure palliative la sospensione è lecita in caso di incapacità di assimilazione da parte dell’organismo o intolleranza clinicamente rilevabile.
Rantolo terminale
Respirazione rumorosa terminale causata dalla presenza di secrezioni nelle
vie aeree (di solito quelle superiori) vie respiratorie ultime ore 24-36-78/h
di vita.
Richiede fondamentalmente solo l’uso di anticolinergici.
La terapia appropriata ed efficace alla manifestazione del rantolo: la scopolamina butibromide è molto efficace nel rantolo terminale con proprietà
di ridurre le secrezioni. Ioscina: 20-40 mg ogni 4-6h fino a max 120 mg in
siringa sottocute. Gli effetti collaterali del farmaco diventano le indicazioni
terapeutiche, viene sfruttato l’effetto collaterale di ridurre le secrezioni bronchiali (off-label).
Sedazione palliativa
La sedazione palliativa corrisponde all’uso specifico di farmaci sedativi per
alleviare le sofferenze fisiche e/o psichiche. La benzodiazepina di prima
scelta è il Midazolam.
Le dosi di midazolam utili si situano in un ampio range: da 10 a 1200
mg/die. Mediamente 30-70 mg/die. Le dosi più alte sono associate a pazienti giovani, assenza di ittero, pregresso uso di midazolam (per pregressa
comparsa di tolleranza), prolungata sedazione (per probabile comparsa di
tolleranza).
Continuità assistenziale e cure domiciliari
La complessità del percorso di malattia e l’intensità dei bisogni assistenziali
dei pazienti affetti da neoplasia cerebrale richiedono modelli di cure in grado
di offrire l’integrazione tra i diversi operatori coinvolti e i diversi setting assistenziali (ospedale, territorio, domicilio).
Le cure palliative devono essere avviate in tutte le fasi di malattia, secondo
il modello di “simultaneous care”, utilizzando le strutture di cure palliative
esistenti sul territorio regionale . La legge regionale 2010 promuove il modello neuro-oncologico di cure domiciliari integrate, già validato, per tutti i
malati affetti da tumore cerebrale.
7. Dotazioni delle unità cliniche e volumi di attività
per accreditamento e definizione di eccellenza
La patologia neoplastica cerebrale coinvolge un gruppo di professionisti di
diverse specialità (chirurghi, anatomo-patologi, radiologi, neurologi, oncologi, radioterapisti, psicologi) accreditati come esperti della materia in funzione di:
• comprovata esperienza in materia di patologia oncologica cerebrale
• numero di casi trattati per anno e tempo dedicato all’assistenza per
questa patologia
• regolare partecipazione ad incontri interdisciplinari dedicati alla pianificazione diagnostico-terapeutica dei singoli casi clinici
• regolare aggiornamento professionale specifico
• adeguata e continua produzione scientifica specifica ed attività didattica.
•
•
•
•
•
T1 TSE post-contrasto su 3 piani (in alternativa T1 volumetriche e TSE
T1 assiale tardiva)
Studio di diffusione con elaborazione delle mappe ADC
Studio di perfusione con tecnica contrastografica (DSC con o senza valutazione dell’input arterioso” (AIF)
Spettroscopia (almeno single voxel e TE lungo) auspicabile CSI (multi)
In caso di localizzazione in aree critiche RM funzionale, con task di attivazione motoria e linguaggio (i task saranno ottimizzati e standardizzati per tutti i centri) e/o Trattografia (DTI)
Volume Pazienti affetti da glioma/anno:
• 25 (minimo) (prima diagnosi + recidive)
• 50 (eccellenza) (prima diagnosi + recidive).
Nella successiva tabella vengono indicati Requisiti Minimi (normale) e Criteri di Eccellenza (grassetto) sulla base di Risorse/Procedure, Disponibilità,
Numero pazienti trattati nel 2010
7.1 Diagnostica per immagini
Aspetti tecnici:
• Magnete ≥1.5T
• Spessore massimo (2 D) ≤ 4 mm
• T1 e T2 TSE assiali; FLAIR T2 volumetriche (3D) (in alternativa FLAIR
assiali e TSE T2 su 3 piani)
Pagina
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie cerebrali
7.3 Chirurgia
Risorse tecniche:
• sala operatoria (dedicata)
• coagulazione bipolare
• aspiratore a ultrasuoni
• ecografo intraoperatorio
• neuronavigatore
• amplificatore di brillanza
• microscopio operatorio (completo di filtro per fluorescenza e indocianina)*
• monitoraggio neurofisiologico intraoperatorio
Risorse/Procedure
•
•
•
•
•
neuro-endoscopio*
chirurgia stereotassica*
TC o RM intraoperatori*
terapia intensiva neurochirurgica* post-operatoria
*Almeno 3 dei cinque criteri devono essere soddisfatti per l’eccellenza
Volume pazienti/anno:
25 (minimo) 50 (eccellenza)
7.4 Radio-chemioterapia
Disponibilità
Numero pazienti trattati nel 2010
Per l’eccellenza è necessario soddisfare 3 degli 8 requisiti riportati nei riquadri grigi
≥10*+≥15**
Trattamenti radioterapici con fasci esterni su tumori
primitivi* e secondari** del SNC
Acceleratore lineare
Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa
Simulazione con utilizzo di TC
Idem
Piano di trattamento basato su immagini TC
Idem
Immagini portali settimanali
Idem
Sistemi di immobilizzazione
Idem
DH per terapia di supporto
Disponibilità di accesso
Trattamenti radioterapici con tecniche focalizzate
(3D-CRT o IMRT) su tumori primitivi del SNC
Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa
≥15
Trattamenti radioterapici con tecniche focalizzate
(3D-CRT o IMRT) su tumori metastatici del SNC
Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa
≥15
Definizione dei volumi di trattamento e critici mediante
Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa
programma di fusione delle immagini
SRS (radiochirurgia)
Il trattamento può avvalersi di questa risorsa
SRT (radioterapia stereotassica)
Idem
IMRT
Idem
IGRT
Idem
Procedure Per l’eccellenza è necessario soddisfare entrambi i due requisiti richiesti
Prima visita specialistica 1 settimana dalla richiesta di prenotazione
7.2 Diagnosi anatomo-patologica
Diagnosi istologica e grading: Inquadramento nosografico delle lesione e
definizione del grado di malignità, secondo la classificazione WHO 2007
Caratterizzazione molecolare:
• delezione cromosoma 1p e 19q
• metilazione del promoter del gene per MGMT
• mutazione IDH1 mediante immunoistochimica
• volume pazienti/anno:
25 (minimo) 50 (eccellenza)
16
Completamento stadiazione
3 settimane dalla prima visita
Inizio terapia
4 settimane dalla prescrizione nelle forme rapidamente evolutive
Inizio terapia
Nei trattamenti postoperatori l’intervallo sarà il più
breve possibile compatibilmente con le condizioni
cliniche del paziente e con i tempi di guarigione
chirurgica
Pagina
17
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
7.5 Attività scientifica
Per l’eccellenza sono necessari 2 dei 4 requisiti
Pubblicazioni
• Pubblicazioni su riviste scientifiche: almeno una nell’anno
• Abstracts a Congressi: idem.
Presentazioni a Congressi, Corsi e Studi Nazionale ed Internazionali
• Relazioni, comunicazioni: almeno una nell’anno
• Partecipazione a studi multicentrici: almeno uno attivo.
7.6 Terapia di supporto e cure palliative
(risorse che possono essere esterne al centro)
Requisiti minimi
• Volume di attività (minimo 20 casi/anno)
• Risorse strutturali in grado di garantire l’accesso del paziente entro 2
settimane dalla richiesta
• Terapia antiedemigena
•
•
•
•
•
•
•
Terapia antiepilettica
Profilassi antitrombotica
Terapia neurolettica
Terapia antidepressiva
Nutrizione idratazione
Gestione del rantolo terminale
Sedazione palliativa.
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie cerebrali
•
•
•
•
Eccellenza
Presenza di un team multidisciplinare dedicato alle cure palliative neurooncologiche in grado di garantire
• Riabilitazione neuro-motoria e cognitiva
• Riabilitazione palliativa
• Supporto al care-giver
• Supporto al lutto
• Volume di attività (almeno 40 casi/anno)
Per ottenere l’eccellenza un Centro deve soddisfare i criteri indicati in 5
dei 6 aspetti presi in considerazione.
•
•
•
•
Westphal M, Hilt DC, Bortey E, et al. A phase 3 trial of local chemotherapy with biodegradable carmustine(BCNU) wafers (Gliadel wafers) in patients with primary malignant glioma. Neuro-Oncology 2003; 5: 79-88.
Carapella CM, Telera S, Oppido PA. Surgery of malignant gliomas: advances and
perspectives. Curr Opin Oncol. 2011; 23(6): 624-9.
Brada M, Stenning S, Gabe R, et al. Temozolomide versus procarbazine, lomustine,
and vincristine in recurrent high-grade glioma. J Clin Oncol. 2010; 28(30): 4601-8.
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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del melanoma uveale
Criteri di appropriatezza clinica
ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up
del melanoma uveale
Coordinatore: Emilio Balestrazzi
M.M. Pagliara, M.A. Blasi
Pagina
20
Pagina
21
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
INDICE
1. Incidenza e mortalità
1.
Incidenza e Mortalità
Pagina 23
2.
Diagnosi
Pagina 23
3.
Stadiazione e “Risk Assessment”
3.1. Tumore primitivo - T
3.2 Linfonodi – L
3.3 Presenza di metastasi – M
3.4 Linfonodi loco regionali
3.5 Metastasi
3.6 Risk assessment
Pagina 23
4.
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del melanoma uveale
Pagina 23
Pagina 24
Il melanoma uveale è il tumore primitivo intraoculare più frequente nell’adulto.
La sua incidenza è di 2-8 casi per milione, per anno, nella popolazione caucasica. L’età media all’esordio è 55 anni, solo l’1% dei melanomi uveali vengono
diagnosticati in pazienti con età inferiore a 20 anni. Circa l’80% dei melanomi si
localizza nella coroide 12% nel corpo ciliare e 8% nell’iride. Studi condotti negli
Stati Uniti hanno evidenziato un’incidenza stabile nelle ultime due decadi e lievemente più bassa nei soggetti di sesso femminile (4.9 per milione per gli uomini, 3,7 per milione nelle donne). La mortalità a 5 anni per il melanoma uveale
è circa il 50%. La sopravvivenza è indipendente dal tipo di terapia locale effet-
tuata, brachiterapia, terapia con protoni, resezione o enucleazione. Il miglioramento delle tecniche terapeutiche ha consentito di ridurre il numero dei pazienti
sottoposti ad enucleazione, ma non ha migliorato la sopravvivenza. Il melanoma
irideo è raro, e comprende solo il 3% dei tumori uveali. Il rischio di metastasi a
distanza da melanoma irideo è del 5% a 10 anni e del 10% a 20 anni. Fattori di
rischio per una prognosi peggiore sono rappresentati da età di insorgenza, interessamento dell’angolo camerulare, glaucoma secondario, estensione extrasclerale,conformazione anulare della lesione ed interventi chirurgici precedenti
alla diagnosi. Il tipo di trattamento non influenza la sopravvivenza.
Pagina 25
Pagina 25
Pagina 25
2. Diagnosi
Pagina 25
Trattamento degli stadi iniziali
4.1 Trattamento della malattia localmente avanzata
Pagina 25
Pagina 25
5.
Trattamento della malattia metastatica
Pagina 26
6.
Valutazione delle risposte e follow-up
Pagina 26
7.
Dotazioni delle unità cliniche, volumi di attività per accreditamento
e definizione di eccellenza
Pagina 27
8.
Bibliografia
Pagina 27
L’oftalmoscopia indiretta a pupilla dilatata è l’esame più importante nella diagnosi dei melanomi della coroide; se associata ad un’attenta anamnesi e ad
esame ecografico permette un’accuratezza diagnostica nel 99% dei casi.
Ecografia A/B scan, esame ultrabiomicroscopico (UBM): è l’indagine strumentale d’elezione nella diagnosi di melanoma uveale, permette, inoltre, un’accurata misurazione delle dimensioni del tumore utili per la programmazione del
trattamento, per il monitoraggio della crescita o della regressione, ed una precisa valutazione della presenza di estensione extrasclerale.Tale indagine è, inoltre, di fondamentale importanza in presenza di opacità dei mezzi diottrici
(leucomi corneali, cataratta, emovitreo, distacco di retina), poiché il fondo è mal
esplorabile e non ci si può basare in prima istanza sulla diagnosi oftalmoscopica.
Fotografia del segmento anteriore: è utilizzata per documentare le dimensioni, la forma, la superficie delle lesioni iridee ed estesi melanomi del corpo ciliare visibili attraverso il forame pupillare.
Fotografia del fondo oculare: è indispensabile per documentare la crescita, la
risposta alla terapia e la presenza di recidive.
Transilluminazione: necessaria per localizzare e misurare la base del tumore,
indispensabile nel delimitare il perimetro del melanoma da sottoporre a rese-
zione transsclerale, ad applicazione di placche radioattive o di anelli di tantalio
per il trattamento con protoni.
Angiografia con fluoresceina: ha un’utilità limitata nella diagnosi dei melanomi
coroideali, il maggior contributo si osserva nella diagnosi differenziale con lesioni
disciformi, emangioma coroideale, distacco di coroide e lesioni emorragiche.
Angiografia al verde indocianina: permette la visualizzazione della rete vascolare tumorale.
Altre procedure strumentali non apportano un contributo rilevante alla diagnosi
di melanoma uveale.
• OCT (Tomografia a coerenza ottica): utile nel documentare modificazioni
retiniche secondarie come piccoli sollevamenti retinici associati a melanomi della coroide e a nevi. La tomografia computerizzata ad alta risoluzione
è meno accurata dell’ecografia nella diagnosi di masse uveali.
• RMN: non è un’indagine strumentale specifica per il melanoma uveale; è
più costosa e non superiore all’ecografia e non viene usata nella pratica
clinica.
• PET (tomografia ad emissione di positroni): le cellule tumorali hanno elevati livelli di uptake di 18F-Fluorodeossiglucosio; studi preliminari hanno
evidenziato che con questa metodica il melanoma primario dell’uvea può
essere diagnosticato con un’accuratezza del 66%.
3. Stadiazione e “risk assessment”
La classificazione clinica e patologica attualmente in uso è strutturata come segue.
3.1 Tumore primitivo – T
Melanomi uveali
• Tx: tumore primitivo non definibile.
• T0: tumore primitivo non evidenziabile.
Pagina
22
Pagina
Melanomi dell’iride
• T1: tumore limitato all’iride
- T1a: tumore limitato all’iride con estensione non superiore a 3 ore di
orologio
- T1b: tumore limitato all’iride con estensione superiore a 3 ore di orologio
- T1c: tumore limitato all’iride con glaucoma secondario.
• T2: tumore con estensione al corpo ciliare, alla coroide, o ad entrambi, con
23
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
•
•
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
glaucoma secondario.
T3: tumore con estensione al corpo ciliare, alla coroide, o ad entrambi,
con estensione sclerale.
- T3a: tumore con estensione al corpo ciliare , alla coroide, o ad entrambi, con estensione sclerale e glaucoma secondario.
T4: tumore con estensione extrasclerale.
- T4a: tumore con estensione extrasclerale di diametro inferiore o uguale
a 5 mm.
- T4b: tumore con estensione extrasclerale di diametro superiore a
5mm.
Melanomi del corpo ciliare e della coroide
I melanomi primari del corpo ciliare e della coroide sono classificati in quattro categorie in base allo spessore e ai diametri basali come in figura 1.
• T1: tumore con dimensioni categoria 1
- T1a: tumore con dimensioni categoria 1 senza coinvolgimento del
corpo ciliare ed estensione extrasclerale
- T1b: tumore con dimensioni categoria 1 con coinvolgimento del corpo
ciliare
- T1c: tumore con dimensioni categoria 1 senza coinvolgimento del
corpo ciliare in presenza di estensione extrasclerale di diametro inferiore
o uguale a 5 mm.
- T1d: tumore con dimensioni categoria 1 con coinvolgimento del corpo
ciliare in presenza di estensione extrasclerale di diametro inferiore o
uguale a 5 mm.
• T2: tumore con dimensioni categoria 2
- T2a: tumore con dimensioni categoria 2 senza coinvolgimento del
corpo ciliare ed estensione extrasclerale
- T2b: tumore con dimensioni categoria 2 con coinvolgimento del corpo
ciliare
- T2c: tumore con dimensioni categoria 2 senza coinvolgimento del
corpo ciliare in presenza di estensione extrasclerale di diametro inferiore
o uguale a 5 mm.
•
•
- T2d: tumore con dimensioni categoria 2 con coinvolgimento del corpo
ciliare in presenza di estensione extrasclerale di diametro inferiore o
uguale a 5 mm.
T3: tumore con dimensioni categoria 3
- T3a: tumore con dimensioni categoria 3 senza coinvolgimento del
corpo ciliare ed estensione extrasclerale
- T3b: tumore con dimensioni categoria 3 con coinvolgimento del corpo
ciliare
- T3c: tumore con dimensioni categoria 3 senza coinvolgimento del
corpo ciliare in presenza di estensione extrasclerale di diametro inferiore
o uguale a 5 mm.
- T3d: tumore con dimensioni categoria 3 con coinvolgimento del corpo
ciliare in presenza di estensione extrasclerale di diametro inferiore o
uguale a 5 mm.
T4: tumore con dimensioni categoria 4
- T4a: tumore con dimensioni categoria 4 senza coinvolgimento del
corpo ciliare ed estensione extrasclerale
- T4b: tumore con dimensioni categoria 4 con coinvolgimento del corpo
ciliare
- T4c: tumore con dimensioni categoria 4 senza coinvolgimento del
corpo ciliare in presenza di estensione extrasclerale di diametro inferiore
o uguale a 5 mm.
- T4d: tumore con dimensioni categoria 4 con coinvolgimento del corpo
ciliare in presenza di estensione extrasclerale di diametro inferiore o
uguale a 5 mm.
- T4e: tumore con dimensioni di qualsiasi categoria con estensione extrasclerale di diametro superiore a 5 mm.
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del melanoma uveale
Tabella 1. Classificazione in categorie in base allo spessore e al diametro basale
Spessore
>15.0
12.1-15.0
9.1-12.0
NX: i linfonodi regionali non sono stati valutati.
N0: non metastasi nei linfonodi regionali.
N1: metastasi in linfonodo/i regionale/i.
3
3
4
4
3
3
3
4
6.1-9.0
2
2
2
2
3
3
4
3.1-6.0
1
1
1
2
2
3
4
1
1
1
1
2
2
4
3.1-6.0
6.1-9.0
9.1-12.0
12.1-15.0
15.1-18.0
>18.0
≤ 3.0
≤3.0
Diametro basale (mm)
3.3 Presenza di metastasi – M
•
•
M0: assenza di metastasi.
M1: presenza di metastasi a distanza.
- M1a: metastasi più grande con diametro inferiore o uguale a 3 cm.
- M1b: metastasi più grande con diametro compreso tra 3.1 e 8.0 cm.
- M1c: metastasi più grande con diametro uguale o superiore a 8.1 cm.
Lenta crescita
Osservazione
Rapida crescita
Biopsia escissionale
per lesioni piccole
24
N0
M0
T1b-d
N0
M0
T2a
N0
M0
T2b
N0
M0
T3a
N0
M0
T2c-d
N0
M0
T3b-c
N0
M0
T4a
N0
M0
T3d
N0
M0
T4b-c
N0
M0
Ogni T
N1
M0
Ogni T
Ogni N
M1a-c
Stage IIB
Il melanoma uveale metastatizza esclusivamente per via ematica poiché
l’uvea è sprovvista di vasi linfatici. I rari casi in cui dà metatasi linfonodali è
in seguito ad estensione extrasclerale ed infiltrazione della congiuntiva. I linfonodi regionali interessati sono: preauricolari(parotidei), sottomandibolari, laterocervicali.
3.5 Metastasi
Il melanoma uveale metastatizza per via ematica. Il fegato è la prima sede di
metastasi nel 90% dei casi, altre sedi sono i polmoni, il tessuto sottocutaneo
e l’apparato scheletrico.
Stage IIIB
Stage IV
denza di metastasi a distanza in base ad esami clinici, radiologici ed esami di
laboratorio. I pazienti con melanoma in stadio IV presentano metastasi a distanza (tabella 1). La sopravvivenza a dieci anni per gli stadi I, IIA-B, IIIA-C, e
IV è rispettivamente 88%, 80%, 68%, 45%, 26%, 21% e 0%. Vi sono una
serie di fattori prognostici che , sebbene non siano inclusi negli algoritmi di
stadiazione, è importante tenere in considerazione:
• Alterazioni cromosomiche: Monosomia 3
• Profilo di espressione genica: classe1 o 2.
• Tomografia ad emissione di positroni/tomografia computerizzata (PET/
TAC): (elevati livelli di uptake di 18F-Fluorodeossiglucosio sono associati
a più breve sopravvivenza)
• Angiografia al verde indocianina
• Indice mitotico
• Diametro medio dei 10 nucleoli più grandi
• Presenza di pattern di matrice extravascolare
• Densità micro vascolare.
Biopsia con ago sottile
per lesioni grandi
Fusato B o a
cellule epitelioidi
Fusato A o a
cellule neviche
Resecabile
Osservazione
Resezione
Pagina
T1a
Stage IIA
3.4 Linfonodi loco regionali
3.6 Risk assessment
Fotografia della lesione
Stage I
Stage IIIA
Le dimensioni del melanoma uveale e la presenza di estensione extrasclerale
sono fortemente associate con il rischio di metastasi. Infatti, fattori prognostici
quali il diametro basale massimo, lo spessore e la sede ciliare sono particolarmente indicativi della aggressività del tumore. Metastasi sistemiche sono
presenti nell’1-4% dei pazienti con melanoma uveale al momento della diagnosi. L’ecografia epatica ed il dosaggio degli enzimi sierici epatici sono raccomandati per escludere una malattia sistemica.
Gli stadi I-III comprendono i pazienti con melanoma uveale in cui non vi è evi-
Escludere il coinvolgimento di strutture adiacenti
4
3
Figura 1. Flow chart per il trattamento delle lesioni iridee sospette
Lesione iridea con segni clinici di malignità
4
3
3.2 Linfonodi – L
•
•
•
4
Brachiterapia o
enucleazione
4. Trattamento degli stadi iniziali
4.1 Trattamento della malattia localmente avanzata
Melanoma dell’iride
In considerazione del basso grado di malignità delle lesioni iridee, il loro trattamento si è evoluto verso modalità più conservative. Nelle forme localizzate è raccomandata, l’osservazione con documentazione fotografica. Se vi è
Pagina
documentata crescita della lesione, si pone l’indicazione all’escissione chirugica
(iridectomia o iridociclectomia). La biopsia escissionale e la biopsia con ago sottile permettono la diagnosi istopatologica del tumore. Le lesioni diffuse, anulari
o a rapida crescita richiedono multiple biopsie con ago sottile per la diagnosi;
se la biopisia evidenzia la presenza di cellule neviche o fusiformi A è indicata la
25
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
sola terapia medica per il glaucoma. Se la diagnosi istologica è di melanoma a
cellule fusate B è indicata l’escissione mediante iridociclectomia seguita da frequenti controlli postoperatori per rischio di recidiva. Se la diagnosi è di melanoma
a cellule epitelioidi, poiché le cellule epitelioidi possono crescere in modo non
coesivo, in camera anteriore e nelle struttura angolari senza che possano essere
clinicamente evidenti, è consigliato procedere ad intervento di enucleazione,
eccetto nei casi di pazienti monocoli. La brachiterapia oculare è riservata ai casi
non suscettibili di escissione chirurgica o, come terapia adiuvante post-chirurgica, quando sia documentata la malignità istologicamente.
Melanoma della coroide e del corpo ciliare
I tumori dell’uvea si osservano con cadenze periodiche semestrali, se si tratta
di nevi. Nel melanoma ciliare e coroideale, la semplice osservazione clinica a
stretti intervalli di tempo viene indicata per lesioni pianeggianti, con spessore inferiore ai 2 mm e diametro basale inferiore agli 8 mm, ovvero per lesioni con
spessore compreso tra i 2 mm ed i 3.5 mm qualora non vi siano fattori di rischio
per la crescita tumorale (fluido sottoretinico, sintomi, pigmento arancio epilesionale, localizzazione entro 2 diametri papillari dal disco ottico). I piccoli melanomi pigmentati (spessore inferiore a 3.5 mm, base inferiore a 10 mm) situati
al polo posteriore non a contatto con la papilla possono essere trattati con la termoterapia transpupillare (TTT), metodica di recente introduzione che, attraverso
un laser a diodi, determina un aumento di temperatura entro il tumore provocandone la necrosi non coagulativa. Questa tecnica può essere impiegata anche
per melanomi di maggiori dimensioni o localizzati in sede juxtapapillare qualora
venga associata alla radioterapia con placche episclerali (terapia sandwich). La
radioterapia con placche radioattive (brachiterapia) rappresenta il trattamento
radiante più diffusamente utilizzato. Con questa tecnica possono essere trattati
i melanomi ovunque localizzati e di spessore non superiore ai 9 mm per lo Iodio
ed ai 5 mm per il Rutenio (12.5 mm e 8.5 mm se associata a TTT). E’ racco-
mandata una dose totale ottimale all’apice del tumore di 85 Gy per le placche
di Iodio e 100 Gy per le placche di Rutenio. Una dose maggiore determina un
aumento della morbidità, mentre una dose inferiore può causare un inadeguato
controllo locale del tumore. I diametri basali e lo spessore del melanoma sono
individuati attraverso l’ecografia standardizzata, l’esame del fondo oculare e la
transilluminazione. Una precisa stima dei diametri basali del tumore è importante
per la scelta della placca da utilizzare, un margine di sicurezza di 2 mm viene
aggiunto ai diametri basali del tumore per garantire un adeguato trattamento.
Lo spessore del tumore, misurato con tecnica ecografia A e B scan, permette di
calcolare la durata del trattamento e la dose di radiazioni. L’applicazione della
placca episclerale, eseguita in sala operatoria, in anestesia locale, prevede i seguenti tempi chirurgici: peritomia congiuntivale al limbus, determinazione dei
margini della neoformazione mediante transilluminazione e/o indentazione; applicazione della placca di simulazione (Dummy) sulla sclera nell’area corrispondente al tumore, posizionamento delle suture in modo da ridurre i tempi di
esposizione dell’operatore, sostituzione del dummy con placca episclerale che
viene fissata alla sclera con fili di sutura, sutura della congiuntiva. Viene effettuato un controllo ecografico del corretto posizionamento della placca entro 24
ore dall’applicazione. Raggiunta la dose prescritta, la placca viene rimossa in
sala operatoria in anestesia locale. Nella radioterapia con particelle accelerate
il fascio radiante provoca il suo effetto fino a 14 mm di profondità, tale metodica, pertanto, risulta particolarmente indicata in pazienti monocoli con tumori
di spessore superiore a quello consentito per il trattamento con brachiterapia o
con terapia sandwich. La resezione chirurgica del melanoma della coroide tramite resezione transsclerale, infine, puó essere impiegata per tumori di qualsiasi
spessore con un diametro basale inferiore ai 15 mm il cui margine posteriore
disti almeno 4 mm dalla fovea e 3 mm dal disco ottico. L’enucleazione viene riservata a tumori di grandi dimensioni, specie se multilobulari, associati a glaucoma secondario o ampia estensione extrasclerale.
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del melanoma uveale
7. Dotazione delle unità cliniche e volumi di attività
per accreditamento e definizione di eccellenza
Il Centro di Oncologia Oculare richiede la presenza di personale dedicato e
altamente specializzato, con una esperienza consolidata nel settore specifico.
Deve possedere tutti gli strumenti necessari per la diagnosi e, poiché l’attuale
tendenza in Oncologia è quella di un approccio multimodale alla malattia, è
necessario disporre di modalità terapeutiche diverse, da associare, a garanzia di una maggiore radicalità:
• Lampada a fessura (archiviazione immagini)
• Oftalmoscopio binoculare, lenti
• Apparecchiature per panfundoscopia (Panoret, Retcam)
• Ecografo (hi-res, UBM, A scan standardizzato)
• Fluorangiografia (FAG), Angiografia al verde indocianina (ICG)
• Tomografia a coerenza ottica (OCT)
• Visante (OCT camera anteriore)
• Transilluminatore
• Microscopio confocale
• Laser per fotocoagulazione retinica (Argon/Krypton)
• Laser per Termoterapia transpupillare (TTT)
• Laser per terapia fotodinamica (PDT)
• Sala operatoria completa di microscopio operatorio e strumentazione
chirurgica
• Chemioterapici topici (Mitomicina C, Imiquimod, Interferone alfa)
•
Brachiterapia co Ru106 e I125 (Nella seduta del 9 novembre 2005, dopo un
lungo e faticoso iter, la Commissione regionale per la Radioprotezione ha
autorizzato la pratica della brachiterapia oculare).
Le stime effettuate sull’attività clinica nell’ambito di tutta l’oncologia oculare, svolta presso il Centro di Oncologia Oculare, hanno registrato un numero
medio di 120 prestazioni ambulatoriali settimanali, in particolare 70 visite e
50 ecografie settimanali. Relativamente al melanoma uveale, considerando
che, in Italia, il numero di nuovi casi, ogni anno, si attesta intorno ai 350,
presso il Centro di Oncologia Oculare ne vengono osservati e trattati oltre un
terzo. L’analisi dell’attività chirurgica globale svolta dal suddetto Centro di
Oncologia Oculare ha evidenziato un numero complessivo di circa 300 interventi chirurgici/anno. In particolare vengono eseguiti interventi per applicazioni di Placche radioattive di Rutenio e di Iodio (brachiterapia),
enucleazioni del bulbo oculare, resezioni transclerali, asportazioni di neoformazioni epibulbari e ricostruzione della superficie oculare con membrana
amniotica, revisioni di cavità anoftalmica, biopsie escissionali od incisionali di
neoformazioni palpebrali ed orbitarie, fotocoagulazioni, termoterapie transpupillare e criotrattamenti per retinoblastomi. Inoltre vengono effettuati trattamenti con termoterapia transpupillare e trattamenti con terapia fotodinamica
in Regime Ambulatoriale.
8. Bibliografia
5. Trattamento della malattia metastatica
•
In genere la sopravvivenza media dei pazienti con diagnosi di metastasi da
melanoma uveale è inferiore a sei mesi. Numerosi trials clinici sono stati proposti per il trattamento del melanoma uveale metastatico: chemioterapia, chemioterapia intraarteriosa epatica, chemioembolizzazione, immunoterapia,
chirurgia e terapie combinate. La chemioterapia con l’associazione di (dacarbazina, carmustina, cispaltino e tamoxifene) usato nel trattamento dei melanomi cutanei è inefficace nel trattamento dei melanomi uveali metastatici
(la frequenza di risposta nel melanoma uveale è del 10% dei casi contro il
30% nei melanomi cutanei). La sopravvivenza media nei pazienti trattati con
chemioterapia intrarteriosa epatica è di 12-14 mesi; più lunga è la sopravvivenza nei pazienti elegibili a resezione chirurgica di metastasi solitaria epa-
tica o in altri distretti. Sfortunamente solo il 10% dei pazienti con metastasi
da melanoma uveale presentano metastasi solitarie aggredibili chirurgicamente. Nei casi in cui l’escissione chirurgica di metastasi epatica è seguita
da infusione intraarteriosa epatica di fotoemustina e/o dacarbazina+cisplatino
è stata documentata una sopravvivenza media di 22 mesi. La comparsa di
metastasi in distretti extraepatici (polmoni,scheletro, tessuti molli), età inferiore a 60 anni, sesso femminile, ed un più lungo intervallo fra la diagnosi di
melanoma e la comparsa di metastasi sono fattori associati ad una migliore
prognosi. Accertata la diagnosi di melanoma uveale metastatico, il paziente
viene inviato all’oncologo medico, il quale lo prenderà in carico, prescrivendo
le indagini necessarie per l’approfondimento diagnostico e le possibili terapie.
•
•
•
•
•
•
•
6. Valutazione delle risposte e follow-up
•
Il paziente viene poi inquadrato in una puntuale attività di follow-up. Dopo la
terapia, si effettuano controlli oftalmoscopici, ecografici ogni 4 mesi, per i
primi 5 anni. A partire dal 6°, i controlli diventano annuali.
Pagina
Con la stessa cadenza temporale, il paziente si sottopone ad ecografia epatica e dosaggio degli enzimi sierici epatici per evidenziare la comparsa della
malattia metastatica.
26
•
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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
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Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo
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AJCC, Cancer Staging Manual. Seventh Edition. Melanoma of the uvea. 2010; 547559.
Criteri di appropriatezza clinica
ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up dei tumori
testa-collo
Coordinatore: Riccardo Maurizi Enrici
F. Amelia, A. Camaioni, E. Cortesi, M. De Vincentiis, V. Donato, T. Gamucci, L. Marmiroli,
L. Pompei, V. Tombolini, V. Valentini, P. Marchetti, S. Mezzi, D. Musio, G. Paludetti,
M. Radici, R. Santoni, M. Ruggeri, M. Santarelli, G. Spriano, M. Valeriani, A. Vidiri, M. Vigili
Pagina
28
Pagina
29
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
INDICE
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo
7
Aspetti generali
1.1 Incidenza e mortalità
1.2 Diagnosi
1.3 Imaging delle neoplasie della testa e del collo
1.4 Modalità di diffusione
1.5 Stadiazione
1.6 Prognosi
1.7 Stadiazione Sec. Classificazione TMN
1.8 Terapia
Pagina 45
Carcinomi delle ghiandole salivari
8.1 Introduzione
8.2 Indicazioni terapeutiche generali
8.3 Follow-up
Pagina 46
Dotazioni strumentali e volumi di attività per accreditamento
ed eccellenza
9.1 Chirurgia
9.2 Radioterapia
9.3 Oncologia
9.4 Diagnostica per immagini
9.5 Anatomia Patologica
Pagina 46
10.
Bibliografia
Pagina 48
11.
Appendice
Pagina 49
Pagina 32
Pagina 32
Pagina 32
8
Pagina 33
Pagina 33
Pagina 34
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Pagina 34
Pagina 34
9
Pagina 37
Carcinomi del cavo orale
2.1 Introduzione
2.2 Indicazioni terapeutiche generali
2.3 Follow-up
Pagina 40
Carcinomi del rinofaringe
3.1 Introduzione
3.2 Indicazioni terapeutiche generali
3.3 Follow-up
Pagina 42
Carcinomi dell’orofaringe
4.1 Introduzione
4.2 Indicazioni terapeutiche generali
4.3 Follow-up
Pagina 42
Carcinomi dell’ipofaringe
5.1 Introduzione
5.2 Indicazioni terapeutiche generali
5.3 Follow-up
Pagina 43
Carcinoma della laringe
6.1 Introduzione
6.2 Indicazioni terapeutiche generali
6.3 Follow-up
Pagina 44
Pagina
Carcinomi delle cavità nasali e dei seni paranasali
7.1 Introduzione
7.2 Indicazioni terapeutiche generali
7.3 Follow-up
Pagina 40
Pagina 40
Pagina 41
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30
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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo
1.3 Imaging delle Neoplasie della Testa e del Collo
1. Aspetti generali
1.1 Incidenza e Mortalità
Le neoplasie del distretto testa-collo sono tra tutti i tumori maligni al 5° posto
per frequenza e in Italia rappresentano circa il 5% di tutti i tumori maligni.
Nel biennio 2003-2005, in Italia, hanno provocato tra gli uomini il 4,1% di tutti
i decessi per cancro (8a causa di morte tumorale), mentre nella popolazione
femminile hanno rappresentato l’1,5% del totale dei decessi per cancro.
Il tasso d’incidenza in Europa è di 18 casi ogni 100.000 abitanti/anno mentre in Italia è di 16 casi ogni 100.000 abitanti/anno. Ogni anno in Italia si diagnosticano circa 12.000 nuovi casi.
Tra il 2003 e il 2005 sono stati registrati in media 29,2 casi all’anno ogni
100.000 uomini e 6,9 casi ogni 100.000 donne. In Italia nel 2006 i tumori del
distretto testa-collo hanno causato 1.986 decessi per tra gli uomini e 759 tra
le donne.
Negli ultimi anni, nel sesso maschile si è evidenziata una progressiva diminuzione dell'incidenza dei tumori della laringe, della faringe e del cavo orale.
Nel sesso femminile, invece, si è registrato un aumento delle diagnosi per
questi tumori in quanto sono aumentate le donne fumatrici rispetto al passato. I tassi di incidenza e di mortalità sono più alti nei maschi al Nord che
al Centro e al Sud. Anche tra la popolazione femminile, si osserva una più alta
incidenza e mortalità al Nord rispetto al Centro e al Sud.
Il 90% dei tumori maligni della testa e del collo è rappresentato da carcinomi
spino cellulari, mentre il restante 10% è rappresentato da melanomi, linfomi,
sarcomi e tumori con diversa istologia, tra i quali i tumori delle ghiandole salivari.
La fascia di età più colpita è quella compresa tra i 50 ad i 70 anni tranne per
i tumori delle ghiandole salivari, della tiroide ed i sarcomi che compaiono in
età più precoce.
L’uso del tabacco è il fattore di rischio più importante per i tumori della testa
e del collo. L’aumento di rischio è direttamente proporzionale al numero di
sigarette fumate al giorno ed al tempo di esposizione (numero totale di anni
di fumo).
Il rischio è aggravato in maniera esponenziale dalla contemporanea esposizione all’alcol (soggetti fumatori e bevitori rischio di sviluppare questo tumore 30 volte maggiore rispetto ai soggetti non fumatori e non bevitori). Il
rischio di tumore è proporzionale alla quantità di alcol assunta ed è indipendente dal tipo di bevanda alcolica assunta.
L’esposizione prolungata e ripetuta della mucosa delle vie aree e digestive a
queste sostanza porta ad un aumento del rischio di sviluppare tumori, per cui
è facile riscontrare multipli tumori epiteliali che possono svilupparsi simultaneamente o in sequenza.
Altri fattori di rischio oltre all’alcol e al fumo sono rappresentati dal Virus di
Epstein-Barr, dal Papilloma virus in paticolare il sottotipo 16, da alcune abitudini alimentari (consumo pesce e cibi in salamoia, carenza di frutta e verdura con conseguente scarso apporto di vitamina A), da fattori cronici (cattivo
stato della dentizione o protesi non corrette).
1.2 Diagnosi
Poiché i tumori del distretto cervico-facciale hanno una spiccata tendenza all’invasione locale per via linfatica e per contiguità (tardiva è la diffusione per
via ematica), particolarmente accurata deve essere la valutazione dell’estensione locale della neoplasia mediante esame obiettivo ed eventuale
endoscopia.
Pagina
Pertanto nell’esame obiettivo loco-regionale vanno segnalate l’estensione
della neoplasia, le eventuali limitazioni funzionali (alterazione della motilità
laringea, della deglutizione) ad essa correlate, le sedi e sottosedi interessate, il numero, il livello, le dimensioni e le caratteristiche dei linfonodi.
La sintomatologia varia considerevolmente in funzione della sede di insorgenza della malattia. E’ comunque usualmente tardiva. Nei casi precoci la
diagnosi è quasi sempre del tutto occasionale, nel corso di esami clinici richiesti per altre finalità.
La Fibroscopia faringo-laringea è un esame indispensabile e routinario: deve
essere eseguito in tutti i pazienti.
Nei tumori allo stadio iniziale si può eseguire una biopsia escissionale a scopo
diagnostico curativo, mentre negli stadi intermedi-avanzati, viene eseguita
una biopsia incisionale.
La RM con mdc è oggi da ritenersi l’esame di prima scelta nella maggior
parte dei tumori della testa e del collo, perché in genere fornisce maggiori
informazioni sulla reale estensione della malattia, sull’eventuale interessamento della base del cranio, sull’interessamento perineurale, sulla infiltrazione muscolare, sulla diffusione perilinfonodale e sulla estensione
endocranica.
Alcune di queste caratteristiche evidenziabili alla RM possono modificare lo
stadio clinico della malattia ed il prevedibile comportamento terapeutico.
L’esame “standard” comprenderà acquisizioni estese dal basicranio sino allo
stretto toracico superiore, con sezioni parallele al palato duro per il massiccio facciale e parallele al piano cordale per il collo.
La TC con mdc è particolarmente utile per documentare l’interessamento
osseo della neoplasia, per lo studio della laringe (brevi tempi di acquisizione)
e per lo studio delle stazioni linfonodali. Inoltre è indicata in caso di controindicazione alla RM o in pazienti poco collaboranti nei quali un esame di
RM sarebbe difficilmente effettuabile o poco attendibile per artefatti da movimento.
Il ruolo principale della PET-FDG è nella ricerca di un tumore primitivo ignoto
in paziente che si presenta con metastasi linfonodali del collo; oppure nell’identificazione di malattia residua o recidiva dopo trattamento primario; oppure nell’individuazione di lesioni primitive sincrone o metacrone, ovvero di
metastasi a distanza, e, infine, per la stadiazione del collo (particolarmente
utile, nei casi dubbi, nella discriminazione tra linfonodi interessati omolateralmente o anche controlateralmente)
Gli ultrasuoni rivestono un ruolo importante nella diagnostica delle tumefazioni delle ghiandole salivari, sia di per sé, sia come guida all’agobiopsia.
Anche a livello dei linfonodi del collo l’ecografia ha una elevata sensibilità, ma
una bassa specificità, che migliora con lo studio eco-doppler e che diventa
molto alta quando la ecografia si associa a biopsia con ago sottile.
Esami utili per l’identificazione di metastasi a distanza (a parte la PET) sono
la radiografia o la TC del torace, l’ecografia addominale (anche se la frequenza di metastatizzazione epatica è decisamente bassa) e la scintigrafia
ossea; questi ultimi due esami trovano indicazione soprattutto in situazioni
ad alto rischio di metastatizzazione a distanza (carcinomi indifferenziati, tumori rinofaringei in generale, casi con elevato interessamento metastatico
linfonodale all’esordio). Nei pazienti con fattori di rischio particolarmente accentuati per la presenza di tumori multipli sincroni è opportuno eseguire una
panendoscopia delle vie aereo-digestive superiori (esofagogastroscopia,
broncoscopia) con accertamento bioptico delle eventuali lesioni sospette riscontrate.
32
Raccomandazioni
• RM: apparecchiatura ad elevata intensità di campo preferibilmente 1.5 T
• TC: apparecchiatura multistrato
L’esame deve comprendere un campo di vista che parte dalla base del cranio alla regione sovraclaveare per una corretta valutazione sia del tumore
primitivo (T) che dei linfonodi (N).
RM Tecnica di studio
• Sequenze SE T2 coronale 4 mm.
• Sequenze SE T1 - T2 - fat suppressed T2 assiale 3-4 mm.
• Sequenze pesate in Diffusione (almeno con 3 fattori di b 0-500-800 o
1000; mappe di ADC).
Dopo somministrazione endovenosa di gadolinio:
• Per lo studio delle neoplasie del Cavo Orale - Orofaringe ed Ipofaringe ,
sequenze T1 fat-suppressed con tempi di acquisizione brevi (35-40 sec.);
almeno 2 acquisizioni secondo piani assiali seguite da sequenze fat-supppresed sagittali o coronali con tempi di acquisizione di 3-4 minuti.
• Per neoplasie del rinofaringe, dei seni paranasali, delle ghiandole salivari,
sequenze fat-suppressed T1 dopo somministrazione endovenosa di gadolinio assiale - sagittale e coronale senza sequenze brevi.
TC tecnica di studio
• Esame con mdc e ricostruzioni multiplanari.
• Per neoplasie dell’Ipofaringe e Laringe potrebbe essere utile una ulteriore
acquisizione con manovra di Valsava o in Fonazione.
STADIAZIONE Rinofaringe
• RM come imaging di I scelta per la definizione della estensione del T, la
diffusione agli spazi parafaringei, alla base cranica, per valutazione dell’eventuale diffusione perineurale (cisterna del ganglio di Gasser - seni
cavernosi - orbita).
• TC con mdc nessun ruolo se non per pazienti con controindicazione alla
RM.
STADIAZIONE Seni Paranasali
• RM come imaging di I scelta perché permette di ottenere una ottimale
differenziazione tra neoplasia e flogosi, in particolare utilizzando sequenze T2.
• TC senza mdc per valutazione ossea (studio della lamina cribrosa e del
planum sfeno-etmoidale o della parete dell’orbita).
• TC con mdc per pazienti con controindicazione alla RM con ricostruzioni
multiplanari.
STADIAZIONE Ghiandole Salivari
• Ecotomografia. Esame di I scelta per lesioni del lobo superficiale della
parotide o per lo studio della ghiandola sottomandibolare eventualmente
integrata con FNAC.
• RM come imaging di II scelta per lo studio di neoplasie maligne in generale e di neoplasie benigne o maligne del lobo profondo della parotide
o delle ghiandole salivari minori (palato duro, pavimento orale parafaringe). Necessario uno studio RM per i carcinomi adenoidocistici per la
valutazione di una eventuale diffusione perineurale.
• TC con mdc nessun ruolo se non per pazienti con controindicazione alla
RM.
STADIAZIONE Cavo Orale ed Orofaringe
• RM come imaging di I scelta
• TC senza mdc per valutazione ossea (corticale della mandibola)
Pagina
•
TC con mdc per pazienti con controindicazione alla RM; ricostruzioni
multiplanari.
STADIAZIONE Ipofaringe
• RM come imaging di I scelta.
• TC con mdc per pazienti con controindicazione alla RM; ricostruzioni
multiplanari.
STADIAZIONE Laringe
• TC con mdc esame di I scelta; ricostruzioni multiplanari.
• RM esame II scelta per valutazione della infiltrazione della cartilagine.
STADIAZIONE Linfonodale
• Valutazione con la tecnica di studio scelta per la stadiazione del T
• Ecotomografia con FNAC II scelta per linfonodi sospetti in livelli non congrui rispetto al T, per linfonodi controlaterali al T per esigenze chirurgiche (svuotamento omolaterale o bilaterale) o per planning radioterapico.
STADIAZIONE
• PET-TC. Non ha un ruolo della stadiazione locoregionale. Può essere utilizzata nei casi di N positivo e TX per ricerca di primitivo.
• TC del torace per neoplasie polmonari sincrone.
FOLLOW-UP dopo Chemio-Radioterapia
• RM esame di I scelta. Esame di base tra 6-8 settimane se possibile con
sequenze pesate in Diffusione
• PET-TC non prima di 12 settimane. Valutazione loco-regionale ed a distanza.
FOLLOW-UP dopo Chemioterapia di Induzione (3 cicli)
• RM esame di I scelta. Circa 3 settimane dalla fine dei 3 cicli.
FOLLOW-UP dopo Chirurgia
• RM esame I scelta. Esame di baseline a circa 3-4 mesi.
• PET-TC per stadiazione a distanza o per neoplasie sincrone o nei casi di
dubbi (recidiva-fibrosi) con imaging morfologico.
1.4 Modalità di diffusione
Metastasi laterocervicali
Il collo rappresenta il punto centrale della programmazione terapeutica di
queste neoplasie perché le metastasi linfonodali regionali, che sono particolarmente frequenti negli stadi avanzati, condizionano la prognosi riducendo
di oltre il 50% la probabilità di guarigione della neoplasia.
I tumori sovraglottici grazie ad una ricca rete linfatica bilaterale hanno maggiore probabilità di metastatizzare mentre i tumori glottici soprattutto nelle
fasi precoci (T1-2) metastatizzano raramente. Diagnosticare la presenza di
metastasi linfonodali è fondamentale in quanto anche piccoli focolai metastatici (micrometastasi: cN0pN1) presentano rottura della capsula linfonodale con invasione dei tessuti molli perilinfonodali nel 20% - 35% dei casi.
Anche se i tumori della testa e del collo hanno caratteristiche diverse e differenti modalità di diffusione, la probabilità di interessamento linfonodale,
tranne poche eccezioni (neoplasie laringee cordali limitate, neoplasie dei seni
paranasali), è sempre elevata.
Le stazioni linfonodali tributarie delle varie sedi sono classificate, nei seguenti livelli:
• Livello IA = linfonodi sottomentonieri
33
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
cifiche. Riguardo la diffusione linfonodale, le informazioni patologiche dovranno definire oltre alle dimensioni, al numero dei linfonodi interessati e al
livello, anche l’eventuale infiltrazione capsulare. La stadiazione post-operatoria
deve inoltre fornire informazioni riguardo i margini di resezione (infiltrazione
e adeguatezza) e la presenza di infiltrazione vascolare, embolizzazione linfatica ed interessamento perineurale.
Limitatamente alla laringe vengono ritenuti adeguati anche margini inferiori
ai 5 mm a causa delle specificità dell’organo.
Solo la stadiazione patologica può quindi fornire informazioni riguardo la radicalità oncologica (R0) dell’intervento.
Metastasi a distanza
L'incidenza di metastasi a distanza globalmente è tra 11-14% e i tumori più
metastatizzanti della laringe sono quelli sovraglottici. Le sedi più frequenti
sono polmone (45%), ossa (27%), fegato (11%). Come già sottolineato, la
presenza di linfonodi cervicali metastatici è il fattore critico per la comparsa
di metastasi a distanza.
I fattori prognostici più importanti sono lo stadio di malattia e la sede di insorgenza della neoplasia primitiva. Per lo stadio I e II la sopravvivenza a 5
anni è circa dell’80 - 90%, mentre scende drammaticamente per gli stadi
successivi (intorno al 30%).
All’interno dei singoli stadi, l’interessamento linfonodale rappresenta un fattore di primaria importanza: a parità di stadio la prognosi è sensibilmente
aggravata dalla presenza di linfonodi metastatici.
Per quanto riguarda la sede, la prognosi è peggiore per le lesioni insorte nell’ipofaringe.
In assoluto la prognosi migliore è legata alla partenza dalla regione glottica,
per la scarsità di vie linfatiche della stessa.
Livello IB = linfonodi sottomandibolari
Livello II A = linfonodi giugulari superiori anteriori
Livello II B = linfonodi giugulari superiori posteriori
Livello III = linfonodi giugulari medi
Livello IV = linfonodi giugulari inferiori/sovraclaveari
Livello VA = linfonodi cervicali posteriori alti
Livello VB = linfonodi cervicali posteriori bassi
Livello VI = linfonodi prelaringei, pre- e paratracheali
Livello VII = linfonodi mediastinici superiori
Altre stazioni: linfonodi retrofaringei, parafaringei, parotidei, facciali, retroauricolari e occipitali
Questa classificazione, originariamente proposta in ambito chirurgico e successivamente adottata anche in ambito radioterapico, è stata rielaborata per
facilitarne l’impiego e l’applicazione su immagini radiologiche assiali nell’ambito della pianificazione radioterapica.
La probabilità di interessamento dei vari livelli è molto diversa a seconda
della sede e dello stadio della neoplasia primitiva.
1.6 Prognosi
1.5 Stadiazione
1.7 Stadiazione secondo classificazione TNM
La classificazione viene comunemente effettuata utilizzando il sistema TNM,
in cui il fattore T rappresenta il tumore primitivo, l’N i linfonodi regionali e l’M
le metastasi extra-regionali.
Per molte sedi anatomiche la suddivisione per categorie di T viene effettuata
sulla base della dimensione massima in cm fino al T3 (T1 = fino a 2 cm; T2
>2-4 cm; T3 > 4 cm) e il T4 in genere è caratterizzato dall’estensione diretta
ad altri organi o dall’interessamento di specifiche strutture anatomiche o di
sedi diverse dalla sottosede di insorgenza della neoplasia. Inoltre il T4 è suddiviso in T4a definito resecabile e T4b non resecabile.
Ovviamente il criterio di resecabilità espresso nel TNM si riferisce non ad
una resecabilità tecnica ma piuttosto ne indica un’opportunità oncologica.
La suddivisione per categorie di N segue gli stessi criteri in tutte le sedi (con
la sola eccezione del rinofaringe); N1 identifica un solo linfonodo omolaterale
di meno di 3 cm; N2 o un solo linfonodo omolaterale di 3-6 cm (N2a), oppure
più linfonodi omolaterali, nessuno sopra 6 cm (N2b), oppure linfonodi bilaterali o controlaterali, nessuno sopra 6cm (N2c); infine N3 identifica linfonodi
sopra 6 cm. La suddivisione per categoria M è identica per tutte le sedi: M0=
non metastasi a distanza, M1= metastasi a distanza.
Anche il raggruppamento in stadi è uguale per tutte le sedi anatomiche, con
l’eccezione della rinofaringe e delle ghiandole salivari: lo stadio I corrisponde
al T1 N0, lo stadio II al T2 N0, lo stadio III corrisponde alle classi T1 N1, T2
N1 o T3 N0-1; lo stadio IV viene suddiviso in stadio IVA (che corrisponde alle
classi T1-3 N2 e T4a N0-2), stadio IVB (che corrisponde alle classi T4b ogni
N M0 oppure N3 ogni T M0) e stadio IVC (che si identifica con la classe M1
ogni T ogni N).
La stadiazione patologica, dopo intervento chirurgico, aggiunge informazioni
riguardo la prognosi ed è importante ai fini della scelta del trattamento postoperatorio.
Mentre gli stadi pT1-T3 sono definiti solo da criteri dimensionali, lo stadio pT4
è definito in base alla presenza d’infiltrazione di strutture anatomiche spe-
Classificazione TNM dei tumori del cavo orale (7a ed., 2010)
Tumore primitivo
• Tis
Carcinoma in situ
• T1
Tumore la cui dimensione massima non supera i 2 cm
• T2
Tumore la cui dimensione massima è superiore a 2 cm ma non
superiore a 4 cm
• T3
Tumore la cui dimensione massima è superiore a 4 cm
• T4a
Labbro: tumore che invade la corticale ossea, il nervo alveolare
inferiore, il pavimento della bocca o la cute (mento o naso).
Cavità orale: tumore che invade la corticale ossea, la muscolatura
profonda/estrinseca della lingua (genioglosso, ioglosso, glosso
palatino, stilo glosso), il seno mascellare o la cute del volto.
• T4b
Tumore che invade lo spazio masticatorio, le lamine pterigoidee o la base cranica o avvolge l’arteria carotide interna.
Note: la sola erosione superficiale dell’osso dell’alveolo dentario da parte di
un tumore gengivale non è sufficiente per classificarlo come T4.
Linfonodi regionali
• N0
assenza di metastasi linfonodali regionali;
• N1
metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima inferiore o uguale a 3 cm;
• N2a
metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima fra 3 e 6 cm;
• N2b
metastasi in più linfonodi omolaterali, nessuno dei quali di dimensione massima > 6 cm;
• N2c
metastasi in linfonodi bilaterali o controlaterali, nessuno dei
quali di dimensione massima > 6 cm;
• N3
metastasi in qualsiasi linfonodo di dimensione massima > 6 cm.
Metastasi a distanza
• M0
non metastasi a distanza
• M1
metastasi a distanza
Pagina
34
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo
•
Raggruppamento in stadi
• Stadio I:
T1 N0
• Stadio II:
T2 N0
• Stadio III:
T3 N0, T1-3 N1
• Stadio IVA:
T4a N0-1, T1-4a N2
• Stadio IVB:
T4b ogniN, ogniT N3
• Stadio IVC:
ogni T, ogni N, M1
Classificazione TNM dei tumori del rinofaringe (7a edizione, 2010)
Tumore primitivo
• Tis
Carcinoma in situ
• T1
Tumore limitato al rinofaringe o che si estende all'orofaringe,
alle cavità nasali senza estensione alla parafaringe
• T2
Tumore che si estende al parafaringe
• T3
Tumore che interessa strutture ossee della base del cranio e/o
i seni paranasali
• T4
Tumore con estensione intracranica e/o interessamento dei
nervi cranici, della fossa infratemporale/spazio masticatorio,
dell'ipofaringe o dell'orbita
Linfonodi regionali
• N0
Assenza di metastasi linfonodali regionali
• N1
Metastasi linfonodali monolaterali, di dimensioni non >6 cm e
al di sopra delle logge sovraclaveari e/o linfonodi retro-faringei
monolaterali o bilaterali di dimensioni non >6 cm
• N2
Metastasi linfonodali bilaterali, di dimensioni non >6 cm e al di
sopra delle logge sovraclaveari
• N3a
Metastasi linfonodali di dimensioni >6 cm
• N3b
Metastasi linfonodali estese alle logge sovraclaveari
Metastasi a distanza
• M0
Non metastasi a distanza
• M1
Metastasi a distanza
Raggruppamento in stadi
• Stadio I
T1 N0
• Stadio II
T2 N0-1, T1 N1
• Stadio III
T1-2 N2, T3 N0-2
• Stadio IVA
T4 N0-2
• Stadio IVB
ogni T, N3
• Stadio IVC
ogni T, ogni N, M1
Classificazione TNM dei tumori dell’orofaringe (7^ed., 2010)
Tumore primitivo
• Tis
Carcinoma in situ
• T1
Tumore di dimensione massima non superiore a 2 cm
• T2
Tumore di dimensione massima superiore a 2 cm ma non superiore a 4 cm
• T3
Tumore di dimensione massima superiore a 4 cm o estensione
alla superficie linguale dell’epiglottide
• T4a
Tumore che invade strutture adiacenti quali i muscoli pterigoidei mediali, la mandibola, il palato duro, i muscoli estrinseci
della lingua, la laringe
• T4b
Tumore che invade strutture quali i muscoli pterigoidei laterali,
il nasofaringe laterale, le laminee pterigoidee o la base cranica
o avvolge l’arteria carotide interna.
Linfonodi regionali
• N0
Assenza di metastasi linfonodali regionali
• N1
Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima inferiore o uguale a 3 cm
Pagina
N2a
Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima fra 3 e 6 cm
• N2b
Metastasi in più linfonodi omolaterali, nessuno dei quali di dimensione massima > 6 cm
• N2c
Metastasi in linfonodi bilaterali o controlaterali, nessuno dei
quali di dimensione massima > 6 cm
• N3
Metastasi in qualsiasi linfonodo di dimensione massima > 6 cm.
Metastasi a distanza
• M0
Non metastasi a distanza
• M1
Metastasi a distanza
Raggruppamento in stadi
• Stadio I
T1 N0
• Stadio II
T2 N0
• Stadio III
T3 N0, T1-3 N1
• Stadio IVA
T4a N0-1, T1-4a N2
• Stadio IVB
T4b ogniN, ogniT N3
• Stadio IVC
ogni T, ogni N, M1
Classificazione TNM dei tumori dell’ipofaringe (7^ ed., 2010)
Tumore primitivo
• Tis
Carcinoma in situ
• T1
Tumore limitato a una sottosede dell'ipofaringe e/o di dimensioni non > 2 cm
• T2
Tumore che coinvolge più di una sottosede dell'ipofaringe oppure una sede adiacente, oppure di dimensioni > 2 cm ma non
> 4 cm, in ogni caso senza fissazione dell'emilaringe
• T3
Tumore di dimensioni > 4 cm, oppure con fissazione dell'emilaringe, oppure con estensione all’esofago
• T4a
Tumore che invade le cartilagini tiroidea/cricoidea, l’osso ioide,
la ghiandola tiroide tessuti molli del collo.
• T4b
Tumore che invade la fascia prevertebrale, avvolge l’arteria carotide o coinvolge le strutture mediastiniche.
Linfonodi regionali
• N0
Assenza di metastasi linfonodali regionali
• N1
Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima inferiore o uguale a 3 cm
• N2a
Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima fra 3 e 6 cm
• N2b
Metastasi in più linfonodi omolaterali, nessuno dei quali di dimensione massima > 6 cm
• N2c
Metastasi in linfonodi bilaterali o controlaterali, nessuno dei
quali di dimensione massima > 6 cm
• N3
Metastasi in qualsiasi linfonodo di dimensione massima > 6 cm.
Metastasi a distanza
• M0
Non metastasi a distanza
• M1
Metastasi a distanza
Raggruppamento in stadi
• Stadio I
T1 N0
• Stadio II
T2 N0
• Stadio III
T3 N0, T1-3 N1
• Stadio IVA
T4a N0-1, T1-4a N2
• Stadio IVB
T4b ogniN, ogniT N3
• Stadio IVC
ogni T, ogni N, M1
Classificazione TNM dei tumori della laringe (7^ ed., 2010)
Regione sovraglottica
• Tis
Carcinoma in situ
35
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
•
T1
•
T2
•
T3
•
•
T4
T4a
•
T4b
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Tumore limitato a una sola sottosede della sovraglottide, con
mobilità normale delle corde vocali
Il tumore invade la mucosa di più di una delle sottosedi adiacenti della sovraglottide o della glottide o regioni esterne alla
sovraglottide (per esempio base lingua, vallecula, parete mediale seno piriforme) senza fissazione della laringe
Tumore limitato alla laringe con fissazione della corda vocale
e/o invasione di una qualsiasi delle seguenti strutture: area postcricoidea, tessuti pre-epiglottici, spazio paraglottico e/o con
minima erosione del versante interno della cartilagine tiroidea
Estensione extralaringea
Il tumore invade la cartilagine tiroidea e/o si estende nei tessuti
oltre la laringe, per esempio, nella trachea, nei tessuti molli del
collo inclusa la muscolatura profonda/estrinseca della lingua
(genioglosso, ioglosso, glossopalatino e stiloglosso), nei muscoli
infraioidei, nella tiroide, nell'esofago
Tumore che invade lo spazio prevertebrale,le strutture del mediastino o ingloba l'arteria carotide.
Glottide
• Tis
• T1
Carcinoma in situ
Tumore limitato alla/e corda/e vocale/i (può coinvolgere la commissura anteriore o quella posteriore) con normale mobilità
• T1a
Lesione di una sola corda vocale
• T1b
Lesione di entrambe le corde vocali
• T2
Il tumore si estende alla sovraglottide e/o alla sottoglottide, e/o
con compromissione della mobilità cordale
• T3
Tumore limitato alla laringe con fissazione delle corde vocali e/o
che invade lo spazio paraglottico e/o con minima erosione del
versante interno della cartilagine tiroidea
• T4
Estensione extralaringea
• T4a
Tumore che invade la cartilagine tiroidea e/o che si estende in
altri tessuti oltre alla laringe, ad esempio trachea, tessuti molli del
collo, muscolatura profonda o estrinseca della lingua (genioglosso, ioglosso, glossopalatino e stiloglosso), tiroide, esofago
• T4b
Tumore che invade la fascia prevertebrale,le strutture del mediastino o ingloba l'arteria carotide.
Regione sottoglottica
• Tis
Carcinoma in situ
• T1
Tumore limitato alla sottoglottide
• T2
Il tumore si estende a una o entrambe le corde vocali, con mobilità normale o compromessa
• T3
Tumore limitato alla laringe con fissazione delle corde vocali
• T4
Estensione extralaringea
• T4a
Il tumore invade la cartilagine cricoidea o tiroidea e/o si estende
in altri tessuti oltre la laringe, per esempio trachea, tessuti molli
del collo inclusa la muscolatura profonda/estrinseca della lingua
(genioglosso, ioglosso, glossopalatino, stiloglosso), muscoli infraioidei, tiroide, esofago
• T4b
Tumore che invade la spazio prevertebrale,le strutture del mediastino o ingloba l'arteria carotide.
Linfonodi regionali
• N0
Assenza di metastasi linfonodali regionali
• N1
Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima inferiore a 3 cm
• N2
Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima fra 3 e 6 cm; in più linfonodi omolaterali, bilaterali o controlaterali, nessuno dei quali abbia dimensione massima
Pagina
superiore a 6 cm
Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima fra 3 e 6 cm
• N2b
Metastasi in linfonodi omolaterali, nessuno dei quali abbia dimensione massima > 6 cm
• N2c
Metastasi in linfonodi bilaterali o controlaterali, nessuno di dimensione massima > 6 cm
• N3
Metastasi in qualsiasi linfonodo di dimensione massima > 6 cm.
Metastasi a distanza
• M0
Non metastasi a distanza
• M1
Metastasi a distanza
Raggruppamento in stadi
• Stadio I
T1 N0
• Stadio II
T2 N0
• Stadio III
T1-2 N1, T3 N0-1
• Stadio IV a
T1-3 N2, T4a N0-2
• Stadio IV b
T1-4a N3, T4b N0-3
• Stadio IV c
ogni T, ogni N, M1
•
N2a
Classificazione TNM dei tumori delle cavità nasali e dei seni paranasali
(7a edizione, 2010)
Seno mascellare
• Tis
Carcinoma in situ
• T1
Tumore limitato alla mucosa del seno mascellare, senza erosione o distruzione dell’osso
• T2
Tumore che provoca erosione o distruzione ossea, compresa
l’estensione al palato duro e/o al meato nasale medio, ma
escludendo l’estensione alla parete posteriore del seno mascellare e quella alle lamine pterigoidee
• T3
Tumore che invade qualsiasi delle seguenti strutture: osso della
parete posteriore del seno mascellare, sottocute, pavimento o
parete mediale dell’orbita, fossa pterigoidea, seni etmoidali;
• T4a
Tumore che invade qualsiasi delle seguenti strutture: contenuto
anteriore dell’orbita, cute della guancia, lamine pterigoidee,
fossa infratemporale, lamina cribrosa, seno sfenoidale o frontale
• T4b
Tumore che invade qualsiasi delle seguenti strutture: apice dell’orbita, dura madre, encefalo, fossa cranica media, nervi cranici tranne la branca mascellare del trigemino, rinofaringe, clivus.
Cavità nasali e seno etmoidale
Sottosedi: setto, pavimento, parete laterale e vestibolo della cavità nasale;
lato destro e sinistro del seno etmoidale.
• Tis
Carcinoma in situ
• T1
Tumore limitato a una sola sottosede con o senza erosione
ossea
• T2
Tumore che interessa 2 sottosedi di un’unica regione (cavitànasale/seno etmoidale) o esteso ad una regione adiacente nell’ambito del complesso naso-etmoidale, con o senza invasione
ossea
• T3
Tumore che invade la parete mediale o il pavimento dell’orbita,
il seno mascellare, il palato o la lamina cribrosa
• T4a
Tumore che invade qualsiasi delle seguenti strutture: contenuto
anteriore dell’orbita, cute del naso o della guancia, lamine pterigoidee, seno sfenoidale, seno frontale, o con minima estensione alla fossa cranica anteriore
• T4b
Tumore che invade qualsiasi delle seguenti strutture: apice dell’orbita, dura madre, encefalo, fossa cranica media, nervi cranici tranne la branca mascellare del trigemino, rinofaringe, clivus.
36
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo
Linfonodi regionali
• N0
Assenza di metastasi linfonodali regionali;
• N1
Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima inferiore o uguale a 3 cm
• N2a
Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima fra 3 e 6 cm
• N2b
Metastasi in più linfonodi omolaterali, nessuno dei quali di dimensione massima > 6 cm
• N2c
Metastasi in linfonodi bilaterali o controlaterali, nessuno dei
quali di dimensione massima > 6 cm
• N3
Metastasi in qualsiasi linfonodo di dimensione massima > 6 cm.
Metastasi a distanza
• M0
Non metastasi a distanza
• M1
Metastasi a distanza
Raggruppamento in stadi
• Stadio I
T1 N0
• Stadio II
T2 N0
• Stadio III
T3 N0, T1-3 N1
• Stadio IVA
T4a N0-1, T1-4a N2
• Stadio IVB
T4b ogniN, ogniT N3
• Stadio IVC
M1
Classificazione TNM dei carcinomi delle ghiandole salivari maggiori (7a
edizione, 2010)
Tumore primitivo
• Tis
Carcinoma in situ
• T1
Tumore di dimensione maggiore fino a 2 cm, senza estensione
extraparenchimale
• T2
Tumore di dimensione maggiore superiore a 2 cm ma non oltre
4 cm, senza estensione extraparenchimale
• T3
Tumore con estensione extraparenchimale, e/o di dimensione
maggiore superiore a 4 cm
• T4a
Tumore che coinvolge la cute, la mandibola, il canale uditivo e/o
il nervo facciale
• T4b
Tumore che invade la base del cranio e/o le lamine pterigoidee
e/o avvolge l’arteria carotide.
Linfonodi regionali
• N0
Assenza di metastasi linfonodali regionali
• N1
Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima inferiore o uguale a 3 cm
• N2a
Metastasi in un solo linfonodo omolaterale di dimensione massima fra 3 e 6 cm
• N2b
Metastasi in più linfonodi omolaterali, nessuno dei quali di dimensione massima > 6 cm
• N2c
Metastasi in linfonodi bilaterali o controlaterali, nessuno dei
quali di dimensione massima > 6 cm
• N3
Metastasi in qualsiasi linfonodo di dimensione massima > 6 cm.
Metastasi a distanza
• M0
Non metastasi a distanza
• M1
Metastasi a distanza
Raggruppamento in stadi
• Stadio I
T1 N0
• Stadio II
T2 N0
• Stadio III
T3 N0, T1-3 N1
• Stadio IVA
T4a N0-1, T1-4a N2
• Stadio IVB
T4b ogniN, ogniT N3
• Stadio IVC
M1
Pagina
1.8 Terapia
Indicazioni generali
Negli stadi iniziali (I e II) la terapia di scelta è quella chirurgica, ma sulla base
delle caratteristiche complessive della malattia e sulla base delle condizioni
generali e delle esigenze del paziente si può, in alternativa, prendere in considerazione l’utilizzo della radioterapia associata o meno alla chemioterapia.
Infatti, nei tumori della testa e del collo la radioterapia, trova indicazione sia
come trattamento d’elezione, per esempio nei tumori rinofaringei, che come
trattamento radicale alternativo alla chirurgia.
Nei pazienti con malattia in stadio avanzato (III e IV) ove possibile può essere
indicata una resezione chirurgica della malattia, ma nella maggior parte dei
casi ciò non è possibile. Pertanto spesso si ricorre alla Radioterapia associata
alla chemioterapia con finalità diverse in base alle caratteristiche della malattia e del paziente: curativa, neoadiuvante alla chirurgia, palliativa.
Negli ultimi 25 anni, allo scopo di aumentare l’efficacia della radioterapia in
termini di controllo locale ed eventualmente di sopravvivenza, sono stati realizzati numerosi studi per verificare l’efficacia della associazione fra radioterapia e chemioterapia. I risultati pubblicati fino ad ora hanno permesso di
definire il ruolo dell’integrazione radio-chemioterapica nei carcinomi squamosi di cavo orale, oro-ipofaringe e laringe (nel loro insieme definiti come
carcinomi squamosi cervico-cefalici) e nei carcinomi della rinofaringe: in entrambi questi contesti, e limitatamente ai casi a più alto rischio di insuccesso
terapeutico con la sola RT (generalmente negli stadi III e IV), il trattamento
chemioradioterapico concomitante è sostenuto da un livello di evidenza di
tipo Ia (evidenza ottenuta da più studi clinici controllati e da revisioni sistematiche di studi controllati) e da una forza delle raccomandazioni di tipo A
(fortemente raccomandata).
Riguardo il ruolo della chemioterapia di induzione, somministrata cioè prima
del trattamento locoregionale non chirurgico, la metanalisi del 2000 ha rivelato solo un trend a favore di questo trattamento senza però raggiungere
la significatività statistica. Due recenti studi di fase III hanno messo a confronto due diversi regimi di chemioterapia di induzione, cisplatino+ 5-fluorouracile (PF) e docetaxel/cisplatino/5-fluorouracile (TPF) dimostrando un
significativo vantaggio di sopravvivenza per i pazienti che ricevevano la combinazione TPF. Il problema di questi studi è che in nessuno dei due viene utilizzato un braccio di controllo di sola chemioradioterapia concomitante che
ad oggi rappresenta la terapia di riferimento. Pertanto, la chemioterapia di induzione, somministrata prima del trattamento chemio radioterapico definitivo, offre risultati promettenti ma è tutt’ora in corso di validazione e deve
essere considerata sperimentale finchè non verranno conclusi gli studi di
fase III in corso (Dana Farber, Boston; SWOG; Chicago University; GSTTC Italian study; Spanish trial) che risponderanno al quesito circa l’utilità della terapia di induzione seguita dalla chemioradioterapia concomitante rispetto
alla terapia chemioradiante esclusiva.
La radioterapia postoperatoria, dopo intervento chirurgico radicale, ha dimostrato, in confronti storici, di ridurre significativamente il rischio di recidiva locale. I fattori di rischio più largamente riconosciuti per recidiva locale
sono i margini di resezioni positivi o “close” (inferiori a 5 mm), l’estensione
extracapsulare delle localizzazioni linfonodali e l’interessamento linfonodale
multiplo. Fattori di rischio meno significativi ma potenzialmente importanti
sono lo stadio pT3-pT4 (escluso il pT3N0 della laringe), l’infiltrazione perineurale, l’invasione vascolare, il coinvolgimento del IV e V livello linfonodale
per cavo orale ed orofaringe. In generale dovrebbe essere applicata, per la
definizione dei volumi di trattamento delle stazioni linfonodali, una filosofia
identica a quella utilizzata per la irradiazione esclusiva a scopo radicale, che
verrà poi analizzata nei singoli capitoli.
L’associazione chemioradioterapia concomitante è attualmente considerata
37
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
il trattamento standard negli stadi III e IV, operati, ad alto rischio di ricaduta
loco-regionale (margini di resezione positivi e/o estensione linfonodale extracapsulare). Il cisplatino in monoterapia (giorni 1,22,43 della radioterapia)
e l’associazione tra cisplatino (20 mg/mq giorni 1-5 e 29-33) e 5-fluorouracile (600 mg/mq giorni 1-5 e 29-33) sono due opzioni ugualmente valide,
anche se l’uso del solo platino, al momento, è più consolidato.
Indicazioni generali ai ritrattamenti con radioterapia
Nei tumori della testa e del collo non è raro il riscontro di mancato controllo
locale (persistenza o recidiva) senza metastasi a distanza, oppure l’insorgenza di una seconda neoplasia nello stesso distretto. In questi casi, se non
esistono possibilità di recupero chirurgico, si può porre indicazione alla reirradiazione in zona già trattata a dosi elevate. Non esistono criteri ben codificati per identificare pazienti candidabili a reirradiazione, ma vi sono
evidenze che indicano nei pazienti con intervallo uguale o superiore ai 24
mesi rispetto alla prima irradiazione quelli arruolabili (sopravvivenza media
di 15 mesi rispetto ai 6.5 dei pazienti ricaduti prima dell’anno). Sono state
sperimentate diverse modalità: trattamenti con iperfrazionamento per ridurre
la probabilità di danni tardivi, associazioni con chemioterapia, utilizzo di brachiterapia o di radioterapia stereotassica, se la sede e le dimensioni della
malattia lo consentono. Le dosi somministrate sono state di varia entità, ma
le maggiori probabilità di controllo locale di malattia si hanno quando è possibile somministrare, come ritrattamento, dosi intorno ai 60 Gy. La probabilità di danni tardivi è comunque non trascurabile e i più frequenti sono: trisma,
xerostomia, sclerosi del collo, danno ai lobi temporali, necrosi della mucosa,
necrosi delle car tilagini, trombosi e rottura dei grossi vasi del collo. Sono riportati anche casi di morte per episodi emorragici in assenza di trombocitopenia.
Indicazioni generali ai ritrattamenti con chemio radioterapia
Esistono diversi studi di fase II che valutano questa opzione terapeutica nelle
neoplasie recidivate e non più suscettibili di chirurgia. Tali studi riportano
dati interessanti di efficacia ma anche una tossicità non trascurabile. Esiste
solo uno studio randomizzato di fase III, peraltro limitato a pazienti radicalmente operati dopo recidiva di malattia, i cui dati preliminari sono stati presentati all’ASCO 06. Nei pazienti re-irradiati (almeno 45Gy) in concomitanza
con chemioterapia (Idrossiurea+5-fluorouracile) si è registrato un aumento
della progression free survival senza tuttavia un significativo impatto sulla sopravvivenza. Quindi, al momento, non si può dare alcuna specifica indicazione al ritrattamento con chemioradioterapia che rimane una opzione
sperimentale.
Fattori prognostici e predittivi di risposta e tossicità
I fattori prognostici in grado di dare indicazioni su quella che sarà l’aggressività biologica della malattia tumorale possono essere identificati in fattori
dipendenti dal paziente, dipendenti dal tumore e dipendenti dal trattamento
e verranno ripresi nelle singole sezioni. Del tutto recentemente è stato riportato il valore prognostico dello stato mutazionale di TP53 dopo chirurgia.
Infatti non solo l’assenza di una mutazione del gene costituisce un fattore
prognostico favorevole, ma anche il tipo di mutazione (funzionale vs non funzionale) può condizionare la prognosi. È ancora allo studio il valore dello stato
mutazionale sui margini di resezione.
I fattori predittivi di risposta al trattamento fino a questo momento noti non
sono tanti. L’eziologia virale, sia l’HPV per i tumori dell’orofaringe che il livello
sierico di EBV per il rinofaringe, sono oggi riconosciuti come fattori prognostici e predittivi di risposta al trattamento. La risposta ad un trattamento chemioterapico di induzione è ormai validata e accettata come elemento
Pagina
predittivo di risposta anche al successivo trattamento radiante. Questo elemento è stato infatti sfruttato nell’ambito degli studi di preservazione d’organo per le neoplasie ipofaringolaringee in cui viene programmato un
trattamento conservativo il cui successo è legato alla predizione di radioresponsività indotta da una buona riposta alla chemioterapia di induzione.
Da non trascurare l’osservazione che i pazienti che continuano a fumare e
ad abusare di alcolici sia durante che dopo il trattamento, presentano un più
elevato profilo di tossicità acuta, una riduzione delle probabilità di cura e un
aumento di comorbidità. Tutto questo si traduce in una minore sopravvivenza
globale, da qui la necessità di intervenire attivamente al fine di modificare
questi stili di vita.
Indicazioni generali al trattamento palliativo
In situazioni non più suscettibili di trattamento avente finalità curative, la terapia medica e la radioterapia possono essere utilizzate con l’unico scopo di
ottenere una palliazione dei sintomi. Trattandosi in ogni caso di trattamenti
potenzialmente tossici il loro impiego deve essere ben valutato in relazione
alle condizioni generali del paziente.
In particolari condizioni può essere indicato prescrivere un trattamento radioterapico con finalità palliativa per un tumore del distretto testa-collo. I criteri di selezione per questi pazienti devono essere ancora precisamente
definiti in quanto oggi le nuove opzioni delle associazioni radioterapiche (chemio o farmaci biologici) possono rendere candidabile un paziente prima non
proponibile. I parametri di giudizio devono tenere conto del performance status, dell’età, delle comorbidità e dell’aspettativa di sopravvivenza non superiore a 6-9 mesi. In definitiva è necessario determinare se il paziente ha
possibilità o meno di affrontare un trattamento aggressivo. A questo si aggiungono ovviamente le indicazioni classiche della radioterapia palliativa su
localizzazioni metastatiche a distanza.
La radioterapia palliativa sul distretto testa-collo ha caratteristiche peculiari
che riguardano i volumi da trattare e le dosi da erogare. Per quanto riguarda
i volumi, non sussiste la necessità, tipica della maggior parte dei trattamenti
curativi, di definire più di un volume: il volume da trattare è in genere limitato alla malattia clinicamente rilevabile, trascurando qualsiasi irradiazione
“precauzionale”.
Per quanto riguarda le dosi, si può ricorrere ad un trattamento ipofrazionato;
può però essere opportuno, in casi selezionati, prescrivere una dose anche
elevata e con frazionamento convenzionale (trattamento “a tolleranza”): ciò
è giustificato dalla possibilità di ottenere un controllo locale più duraturo,
anche in un’ottica palliativa.
L’esigenza primaria di una malattia recidivata o metastatica è rappresentata
da una adeguata terapia palliativa e di supporto; qualsiasi terapia deve essere accuratamente valutata in base ai risultati, alla tossicità e alla qualità di
vita attesi. Il trattamento medico palliativo va riservato a paziente selezionati,
con buon performance status, sintomatici e con aspettativa di vita adeguata.
In passato la chemioterapia da sola non si è mai dimostrata capace di aumentare la sopravvivenza globale nei casi di malattia recidivata o metastatica. Un recente studio di fase III, pubblicato sul New England Medical Journal
del settembre 2008, ha dimostrato per la prima volta che il cetuximab aggiunto ad una chemioterapia contenente cisplatino o carboplatino + 5-fluorouracile aumenta significativamente la sopravvivenza mediana rispetto alla
combinazione platino/5-fluorouracile da sola (10.1 vs 7.4 mesi; P=0.04). Si
è registrato anche un miglioramento della PFS (5.6 vs 3.3 mesi, P=0.001) e
la percentuale delle risposte obbiettive (36% vs 20%, P=0.001); è da rilevare
che vi è un modesto aumento delle sepsi di grado 3-4 (4% vs 1%) e delle reazione cutanee sempre di grado 3-4 (9% vs 1%), senza tuttavia un deterioramento della qualità della vita.
38
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo
Valutazione della tossicità
La tossicità può essere acuta o tardiva e si manifesta con modalità diverse
a seconda del tipo di trattamento (radioterapia da sola o chemioradioterapia
concomitante) e della regione irradiata. Si possono però identificare alcune
problematiche comuni a tutti i trattamenti della testa e del collo. L’adeguata
registrazione delle tossicità acute e tardive è un requisito particolarmente
importante. Si consiglia pertanto che i vari specialisti registrino singolarmente la tossicità acuta e tardiva facendo riferimento ad una comune scala
di tossicità; a tale scopo è consigliabile l’utilizzo della scala CTCAE versione
3.0, che riunisce in un’unica classificazione sia gli effetti acuti che quelli tardivi.
Tossicità acuta
Il profilo di tossicità acuta dipende dal tipo di farmaci utilizzati (chemioterapici o farmaci biologici) e dalla eventuale combinazione con il trattamento radiante concomitante. Le problematiche del trattamento radiante sono
solitamente legate all’insorgenza di mucosite, dermatite da raggi ed edema,
con i sintomi correlati (disfagia, faringodinia, disfonia, talvolta dispnea ecc),
più o meno estesi e gravi a seconda del tipo di trattamento, della zona irradiata e delle condizioni del paziente, e che risultano più marcati in corso di
trattamento chemioradioterapico concomitante. Alla tossicità che riguarda il
distretto irradiato va ad aggiungersi la tossicità sistemica del trattamento
chemioterapico: tossicità gastrointestinale (nausea, vomito, diarrea), ematologica (anemia, neutropenia, piastrinopenia) e la tossicità organo specifica
(renale, neurologica ecc) in base ai farmaci chemioterapici utilizzati. Riguardo
la tossicità acuta derivata dall’associazione radioterapia e cetuximab, l’unico
studio randomizzato fino ad ora pubblicato riporta in aggiunta alla tossicità
acuta da sola radioterapia, solo il rash cutaneo di tipo vescicolare (tossicità
tipica del cetuximab) peraltro limitato al viso e alla parte superiore del tronco,
la cui comparsa è stato identificata come elemento predittivo di risposta al
trattamento. Per controllare o prevenire la tossicità cutanea sono state recentemente pubblicate delle “linee guida” cui si consiglia di fare riferimento.
Vengono riportati anche singoli casi di tossicità cutanea inattesa ed imprevedibile che può compromettere la prosecuzione del trattamento. Un particolare tipo di tossicità cutanea definita come epidermiolisi umida, è stata
segnalata in alcuni casi trattati con la triplice associazione concomitante di
Radioterapia alternante, polichemiochemioterapia e cetuximab. In uno studio pubblicato di fase I-II, la stessa triplice combinazione con radiochemioterapia concomitante e cetuximab ha fatto registrare un eccesso di morti
tossiche, pertanto la combinazione di radioterapia, con chemioterapia e cetuximab non è consigliata al di fuori di studi clinici controllati. Poiché la tossicità del trattamento può comportare difficoltà della nutrizione e importante
perdita di peso, si consiglia una valutazione preliminare dello stato di nutrizione per eventuali provvedimenti preventivi, fino al posizionamento di un
sondino nasogastrico o di una gastrostomia (endoscopica, percutanea, chirurgica) nei trattamenti più impegnativi. Nell’ambito di un team multidisciplinare è quindi consigliabile la presenza di un nutrizionista. Per quanto
riguarda il trattamento delle mucositi vengono utilizzati vari farmaci (antiflogistici non steroidei, analgesici, steroidi, sucralfato, fitoterapici, antifungini e
antibiotici per le sovrapposizioni infettive, ecc.), ma nessun trattamento preventivo ha dimostrato di essere superiore ad un altro con sufficiente livello
di evidenza. Nell’ambito di un intervento volto alla prevenzione/riduzione
della tossicità, è consigliabile una precoce valutazione odontostomatologica
con eventuale bonifica dentaria.
Tossicità tardiva
La tossicità tardiva, più frequentemente indotta dalla radioterapia, è un fattore cruciale nei tumori della testa e del collo, perché può essere il fattore limitante del successo del trattamento e, comunque, deve essere tenuta ben
Pagina
presente nella programmazione terapeutica rispettando accuratamente i limiti di dose dei vari organi a rischio. D’altronde le moderne tecniche radioterapiche sono destinate a ridurre le tossicità tradizionalmente associate alla
radioterapia. La chemioterapia può talvolta indurre tossicità prolungata, a
volte irreversibile, come per esempio la tossicità neurologica indotta da cisplatino (compresa l’ototossicità). Elenchiamo le tossicità tardive più importanti dovute alla radioterapia e le possibili modalità di prevenzione e di
trattamento delle stesse:
• xerostomia: è possibile una prevenzione efficace solo cercando, quando
possibile, di rispettare i limiti di dose/volume a livello delle parotidi con
opportune tecniche; i dati in letteratura sono ormai abbondanti a questo
riguardo, e da un punto di vista pratico si può considerare una dose
media di 30 Gy come punto di riferimento da non superare per ridurre il
rischio di xerostomia permanente significativa
• danni dentari e necrosi mandibolare: legati sia al danno diretto sia alla
xerostomia, possono essere in parte prevenuti attraverso una visita
odontoiatrica con toilette dentaria, se necessaria, prima di iniziare il trattamento radioterapico (procedura fortemente consigliata in tutti i casi di
radioterapia sul distretto testa-collo), e attraverso l’invito ad una accurata igiene orale e all’uso di collutorio ad alto tenore di fluoro. La necrosi mandibolare può essere causata da una incongrua estrazione
dentaria (temporalmente troppo vicina alla conclusone della radioterapia) e può essere trattata con toilette chirurgica, terapia antibiotica e ossigeno iperbarico
• danni alla masticazione e trisma: dovuti alla sclerosi dei tessuti molli e
dei muscoli della masticazione oltre che al danno alla articolazione temporo-mandibolare
• danni oculari: l’unica prevenzione possibile è il rispetto dei limiti di dose.
Per quanto riguarda il cristallino, considerando che la dose di tolleranza
minima (TD5/5) è variabile da 2 a 10 Gy in funzione del frazionamento,
in certi trattamenti è impossibile evitare che si formi una cataratta radioindotta correggibile chirurgicamente; per dosi significativamente più
elevate (superiori ai 45-50 Gy) è possibile osservare una neurite ottica
o una retinopatia
• danni uditivi: piuttosto frequenti in relazione alla dose somministrata e
alla irradiazione delle strutture uditive, che deve essere il più possibile
evitata. Il danno uditivo può essere ulteriormente aggravato dall’associazione con farmaci ototossici. Le otiti medie croniche e i danni tubarici possono richiedere una miringotomia con applicazione di un
drenaggio
• danni neurologici: assolutamente da prevenire mediante una ottimale
conformazione della dose che consenta il rispetto dei limiti di dose, perché non sono disponibili terapie efficaci. Questo vale soprattutto per le
lesioni dei seni paranasali e del rinofaringe in cui si può avere il coinvolgimento delle strutture cerebrali
• disfagia e aspirazione: danno grave che può rendere necessaria l’alimentazione attraverso una gastrostomia e che si può in parte prevenire
attraverso il contornamento e la adeguata valutazione delle dose a livello dei muscoli costrittori del faringe, della laringe sopraglottica e delle
laringe glottica, quando queste strutture siano comprese nel volume di
trattamento. In casi estremi è necessario comunque ricorrere ad una laringectomia totale per ripristinare la corretta canalizzazione. Per ridurre
il rischio di simili danni è anche necessaria un’attenta selezione dei pazienti da sottoporre ai trattamenti più impegnativi (tipo radio-chemioterapia)
• edema laringeo persistente: sintomo da seguire accuratamente nel
tempo, inizialmente con atteggiamento conservativo (uso di antiflogi-
39
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
•
•
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
stici e/o cortisonici, astensione da fumo e alcol), in seguito eventualmente da verificare con laringoscopia diretta (diagnosi differenziale con
persistenza di malattia); nei casi estremi può richiedere la tracheotomia
necrosi delle cartilagini laringa: a rischio nei pazienti con neoplasia che
interessa le cartilagini stesse e in relazione alla dose somministrata.
Eventuale terapia con antibiotici e ossigenoterapia iperbarica e, nei casi
più estremi, laringectomia totale
danni tiroidei: in particolare ipotiroidismo, che può presentarsi fino al
20-30% dei pazienti irradiati sul collo. Sono importanti sia la prevenzione, riducendo la dose alla tiroide, che il dosaggio degli ormoni tiroidei nel corso del follow up, in vista di eventuale terapia sostitutiva.
Indicazioni generali alla terapia di supporto
È auspicabile che la terapia di supporto venga pianificata ed eventualmente
attivata già prima dell’inizio del trattamento per essere proseguita durante e
dopo la conclusione della cura.
Prima di iniziare il trattamento, è consigliabile che il paziente esegua una
accurata valutazione dello status nutrizionale e dentale. Durante e subito
dopo la fine del trattamento, soprattutto quando sussiste l’indicazione ad
eseguire un trattamento chemioradioterapico concomitante, è importante
che il paziente venga nutrito artificialmente, preferibilmente per via enterale,
tramite sondino naso gastrico o gastrostomia. Il posizionamento di un catetere venoso centrale è utile soprattutto nelle situazioni in cui è indicato eseguire un trattamento chemioterapico che prevede la somministrazione di
5-fluorouracile in infusione continua e consente una più agevole somministrazione della terapia di supporto. Per quanto riguarda la terapia antimicrobica, sebbene non esistano linee guida specifiche e gli studi eseguiti non
abbiano dimostrato la reale efficacia di un trattamento profilattico, è consigliabile una terapia antibiotica preventiva quando si eseguono trattamenti
con combinazioni chemioterapiche che hanno un’elevato rischio di incidenza
di neutropenia febbrile come il TPF. L’uso profilattico di fattori di crescita granulocitari e di eritropoietina è sconsigliato in concomitanza alla chemioterapia e radioterapia mentre, per l’uso terapeutico, si consiglia di attenersi alle
linee guida ASCO.
2. Carcinomi del cavo orale
2.1 Introduzione
Il carcinoma del cavo orale rappresenta una patologia frequente in alcuni
paesi dell’Asia quali l’India in particolar modo nel sesso maschile. In Italia,
dove la sede più colpita è rappresentata dal labbro inferiore (30%), dalla lingua (30%) e dal pavimento orale (16%), il carcinoma del cavo orale ha una
incidenza dello 0.4/100000 per anno. Il cavo orale viene abitualmente suddiviso nelle seguenti sedi anatomiche: labbro inferiore e superiore, gengive
inferiore e superiore, pavimento orale anteriore e laterale, 2/3 anteriori della
lingua, guance compreso il trigono retro molare e palato duro. La mucosa con
epitelio squamoso stratificato che riveste il cavo orale, rappresenta la sede
di origine del 90% dei tumori maligni di questa regione. Una percentuale variabile dal 15 al 40% di questi tumori insorge su lesioni precancerose (leucoplachie, eritroplasia, lichen, fibrosi sottomucosa) e la trasformazione
maligna può avvenire anche dopo molti anni. Altri fattori patogenetici importanti per lo sviluppo di queste neoplasie sono l’alcolismo, il tabagismo e
la presenza di microtraumi dovuti a malformazioni dentarie o a protesi alterate. Il carcinoma del cavo orale esordisce frequentemente come papule superficiali, che tendono rapidamente ad ulcerarsi e ad infiltrare le strutture
sottostanti. L'invasione della rete linfatica è piuttosto precoce con secondaria diffusione ai linfonodi del collo, che avviene con frequenza variabile in
base alla sottosede, alle dimensioni e alle caratteristiche istologiche della
lesione primitiva (spessore, grado di malignità, invasione perineurale). La diffusione per via linfatica avviene generalmente a partire dai linfonodi più prossimi al tumore primitivo (livelli IA, IB e IIA) per continuare nelle sedi più distanti
(II e IV livello). Non sono rare però le localizzazioni isolate in questi ultimi linfonodi (“skip metastases”).
2.2 Indicazioni terapeutiche generali
Nel trattamento dei tumori del cavo orale la chirurgia e la radioterapia, in alternativa o in associazione, rappresentano le due opzioni terapeutiche locoregionali principali. La scelta terapeutica dipende da numerosi fattori sia
correlati al paziente (comorbidità, performance status), sia alle caratteristi-
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che del tumore (T e N). Un’ulteriore opzione terapeutica per i tumori di questo distretto anatomico è rappresentata dalla brachiterapia interstiziale (BRT),
in particolare nel trattamento dei tumori in stadio iniziale. Questa metodica
è però relativamente poco diffusa in Italia, cosicché la possibilità di scelta fra
chirurgia e BRT di fatto esiste solo in pochi Centri specializzati.
Trattamento del tumore primitivo
Neoplasie di limitata estensione (T1)
Le due opzioni terapeutiche sono la chirurgia e la BRT. La probabilità di guarigione sono sovrapponibili per le due modalità di trattamento e la scelta dipende dalla sede e dal volume della lesione, dall'estensione della
componente infiltrante e dai rapporti della lesione con l'osso. La chirurgia è
generalmente preferita quando è possibile una resezione senza conseguenze
funzionali invalidanti. In presenza di margini di resezione “close” o interessati dalla neoplasia si associa una RT post-operatoria sul letto chirurgico.
Neoplasie ad estensione intermedia (T2)
I T2 si distinguono in forme “favorevoli” o “sfavorevoli”. Nel primo caso (diametro massimo < 3 cm, componente infiltrante < 1 cm) il trattamento di
scelta è rappresentato dalla chirurgia, ma in caso di lesione localizzata ad
una adeguata distanza da strutture ossee la BRT rappresenta una valida alternativa con buoni risultati oncologici e funzionali. Nel secondo caso (diametro massimo > 3 cm, componente infiltrante > 1 cm) la chirurgia è il
trattamento di scelta in associazione alla RT eventualmente associata a CHT
concomitante sulla base della presenza o meno di fattori di rischio maggiori,
quali la presenza di margini di resezione positivi o “close” e/o diffusione extracapsulare. Il trattamento associato chemioradioterapico dopo chirurgia è
indicato nei pazienti ad alto rischio in condizioni generali buone e discrete.
Due studi randomizzati di fase III (RTOG 95-01 LEORTC 22931) hanno consentito di definire i pazienti ad alto rischio di recidiva (diffusione di malattia
extracapsulare, interessamento linfonodale multiplo, invasione vascolare,
linfatica e/o perineurale) e di dimostrare un significativo vantaggio nella sopravvivenza senza recidive (DFS), controllo locale e nella metanalisi di Bernier confermare il vantaggio in sopravvivenza mediante trattamento integrato
40
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo
radio-chemioterapico adiuvante con CDDP 100 mg/mq, q 21x3 vs la sola RT.
Neoplasie avanzate (T3-T4)
La chirurgia è il trattamento di scelta nei pazienti operabili, in quanto è l’unica
opzione che garantisce le maggiori probabilità di cura. Nella maggior parte dei
casi dovrà essere seguito da RT adiuvante eventualmente associato a chemioterapia con le stesse modalità degli Stadi precoci ad alto rischio. In caso
di pazienti non operabili un trattamento RT in associazione a CHT concomitante rappresenta l’opzione di scelta. Numerosi studi sono stati realizzati al
fine di verificare e confermare l’efficacia (in termini di controllo locale e sopravvivenza) del trattamento chemio-radioterapico concomitante e di definirne il ruolo nei carcinomi squamosi del cavo orale, orofaringe, ipofaringe,
laringe e rinofaringe. La chemioradioterapia è un trattamento integrato in cui
entrambe le metodiche svolgono un importante effetto citocida indipendente
a cui si somma l’effetto addizionale legato al sinergismo terapeutico;questi
fattori rendono critica la scelta del numero di somministrazioni e del loro dosaggio anche in considerazione della ricerca del miglior compromesso tra
tossicità ed efficacia. Non esistono dati comparativi tra i diversi regimi d’integrazione di chemio e radioterapia. Tuttavia la combinazione con cisplatino
può essere considerata uno standard adeguato e rappresenta l'opzione di
prima scelta. Anche ‘associazione concetuximab è da considerarsi un trattamento adeguato soprattutto in relazione al buon profilo di tossicità in mancanza comunque di un confronto diretto verso il regime di associazione
standard con il cisplatino. Il trattamento chemioradioterapico è una terapia a
elevata complessità per l’insorgenza di effetti tossici acuti tipici di entrambe
le metodiche, come le stomatiti e la depressione midollare che devono essere
affrontate con competenza specifica al fine di minimizzare la riduzione dei dosaggi e la dilazione delle somministrazioni che sono in grado di ridurre significativamente l’efficacia del trattamento. Non vi è un consenso generale
sulla migliore dose e schema di frazionamento della radioterapia in associazione alla chemioterapia. La maggior parte degli studi ha valutato frazionamenti convenzionali per una dose totale di 70 Gy in associazione al cisplatino
in monochemioterapia somministrato ogni 21 gg al dosaggio di 100mg/m2.
L’efficacia del trattamento combinato diminuisce all’aumentare dell’età e,
dopo i 70 anni, non è provato alcun beneficio con l’aggiunta di un farmaco
chemioterapico al trattamento radioterapico standard. Il trattamento radiochemioterapico integrato concomitante è da considerarsi l’approccio non
chirurgico standard nella terapia dei tumori avanzati testa-collo, in stadio T3
e T4 di malattia in pazienti con adeguato PS. Per quanto riguarda la chemioterapia neoadiuvante, gli studi pubblicati negli anni ’80 e ’90 sulla chemioterapia d’induzione seguiti da radioterapia e/o chirurgia nei tumori
testa-collo non hanno dimostrato un aumento della sopravvivenza con l’aggiunta della chemioterapia. Negli ultimi anni, grazie ai progressi ottenuti nel
controllo locale di malattia con la radioterapia, la chirurgia e il trattamento
concomitante chemio-radioterapico, e grazie all’introduzione di nuovi farmaci, è stato rivalutato il ruolo della chemioterapia d’induzione. La chemioterapia a 3 farmaci (TPF, docetaxel 75 mg/mq g1, cisplatino 75 mg/mq g1,
5-fluorouracile 750 mg/mq/die gg 1-5, q21) ha dimostrato di essere superiore allo schema a 2 farmaci (PF, cisplatino 100 mg/mq g1, 5-fluorouracile
1000 mg/mq/die gg1-5, q21) nella malattia localmente avanzata. Studi di
fase III che hanno comparato la terapia d’induzione con cisplatino e 5-fluorouracile con o senza taxani seguita dallo stesso trattamento locoregionale,
hanno dimostrato maggiori tassi di risposta e di preservazione d’organo, un
aumento della DFS e in alcuni casi della sopravvivenza globale (OS) per i pazienti trattati con il regime a 3 farmaci. L’aggiunta dei taxani non peggiora la
tossicità dell’intero trattamento. Nonostante ciò, un chiaro vantaggio in OS
dall’aggiunta della terapia d’induzione alla CHT-RT non è stato ancora dimostrato. Uno studio a 3 bracci che comparava cisplatino-radioterapia con-
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comitante alla terapia d’induzione con TPF o PF seguiti da cisplatino-radioterapia ha riportato una diminuzione del tempo a progressione ma nessuna
differenza in OS. Pertanto il trattamento d’induzione è ancora da considerarsi “sperimentale”. Nella pratica clinica, la chemioterapia d’induzione è
fortemente raccomandata nei pazienti con malattia localmente avanzata con
esteso interessamento linfonodale (N3) e nei pazienti ad alto rischio di metastasi a distanza.
Attualmente non sono disponibili studi di fase III che confrontino cisplatino e
cetuximab in associazione alla radioterapia, pertanto al termine del trattamento di induzione non esiste un regime radiochemioterapico standard. Cetuximab è considerato una valida alternativa terapeutica nei pazienti “unfit”
per un trattamento radio-chemioterapico con cisplatino ad alte dosi.
Trattamento del collo
Assenza di adenopatie (cNO)
In assenza di adenopatie clinicamente apprezzabili (cN0), il trattamento del
collo può essere evitato in caso di T1-T2 del labbro, della gengiva superiore
e del palato duro; T1 della gengiva inferiore, del pavimento orale e della lingua, a patto che sia possibile effettuare uno stretto follow-up in assenza di
ulteriori fattori di rischio. Nel caso in cui si prevede un rischio di metastasi
linfonodali è, invece, necessario effettuare il trattamento precauzionale del
collo con le seguenti modalità: I, II e III livello in tutti i casi e nel caso dei tumori della porzione posteriore del corpo linguale anche IV livello, attraverso
l’utilizzo della chirurgia o della RT esterna. In particolare, la chirurgia viene
preferita se è stata impiegata la BRT o nel caso in cui il T sia stato trattato
con intervento chirurgico attraverso l’accesso transcervicale; viene, invece,
preferita la RT esterna nel caso di trattamento del tumore primitivo con RT
o a seguito di un intervento chirurgico transorale.
Presenza di adenopatie
In presenza di adenopatie è necessario un trattamento con scopo curativo del
collo, comprendendo generalmente i livelli I-V in realzione alla sede del tumore primitivo. Se il tumore è operabile in monoblocco con i linfonodi può essere utilizzata la chirurgia con eventuale RT adiuvante o RT + CHT
concomitante.
Radioterapia
Le neoplasie del cavo orale sono tra le neoplasie del distretto cervico-facciale
quelle che si giovano maggiormente dell’impiego della BRT interstiziale. La
BRT a basso (LDR) o ad alto (HDR) rate di dose (con sorgenti di Iridio 192) è
generalmente applicata alle neoplasie di dimensioni limitate e con distanza
dall'osso mandibolare superiore a 0.5 cm.
In caso di neoplasie estese, profondamente infiltranti e/o contigue all'osso,
il trattamento radiante viene realizzato o con fasci esterni di fotoni ad alta
energia o combinando la RT esterna e la BRT come sovradosaggio finale.
L'irradiazione con fasci esterni comporta però il coinvolgimento di strutture
ossee e dentarie. Le dosi totali erogate devono essere di 70 Gy in caso di RT
eclusiva e di 60-66 Gy in caso di RT adiuvante con una frazione al giorno, per
cinque giorni alla settimana per sette-otto settimane complessive e continuative. Alla radioterapia si associano effetti collaterali acuti quali mucosite,
disfagia e tardivi quali xerostomia.
3.3 Follow-up
Un programma di controlli ravvicinati con intervalli variabili da 1 a 3 mesi
durante i primi 5 anni si rende indispensabile. Le visite di controllo dovrebbero comprendere l’esame clinico (visita ORL con fibroscopia) eventualmente
associato ad un’ecografia del collo. Lo studio del torace è inoltre consigliato
ogni 6-12 mesi, preferibilmente con esame TC.
41
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo
mini di guarigione, sono abbastanza soddisfacenti, mentre la qualità di vita
risulta spesso ridotta a causa di deficit funzionali eventualmente causati da
approcci chirurgici demolitivi nonostante il miglioramento delle procedure
ricostruttive.
3. Carcinomi del rinofaringe
3.1 Introduzione
I tumori del rinofaringe presentano un picco di incidenza tra la quarta e la
quinta decade di vita, la comparsa è correlata all’infezione da virus di Epstein-Barr, mentre non vi è correlazione con altri fattori di rischio propri degli
altri tumori del distretto testa-collo (etilismo, tabagismo). Si tratta di una malattia caratterizzata da una marcata tendenza alla progressione locale (parafaringe, fosse nasali, base cranica), regionale (linfonodale cervicale) e a
distanza (metastasi ematogene prevalentemente allo scheletro, al fegato e
al polmone). L'esordio clinico è generalmente caratterizzato da tipici sintomi
locali (ipoacusia, ostruzione nasale, deficit dei nervi cranici), oppure dalla
comparsa di adenopatie al collo in accrescimento relativamente rapido. Dal
punto di vista istopatologico vengono classificati in tre tipi istologici: carcinoma non cheratinizzante (differenziato o indifferenziato), carcinoma spinocellulare cheratinizzante, carcinoma spinocellulare basaloide. I fattori
prognostici principali sono lo stadio di N e di T e l’istologia (prognosi migliore
per gli stadi iniziali e per le forme non cheratinizzanti).
avanzato, la chemioterapia viene utilizzata o in associazione alla radioterapia o come trattamento di induzione o adiuvante. I farmaci utilizzati sono i derivati del platino nei regimi concomitanti (Cisplatino 100 mg/m2 nei giorni
1-22-43 o Cisplatino 40 mg/m2 settimanale), e le associazioni comprendenti
un derivato del platino ed il 5-fluorouracile come trattamento adiuvante.
In presenza di malattia metastatica il trattamento di scelta è rappresentato
dalla sola chemioterapia, utilizzando regimi a base di cisplatino. In caso di risposta clinica completa è possibile effettuare radioterapia esclusiva o in associazione a chemioterapia. Una caratteristica del carcinoma rinofaringeo è
quella di poter recidivare localmente dopo il trattamento radiante, in assenza
di altre localizzazioni di malattia; in questi casi, è possibile ricorrere ad un secondo trattamento radioterapico di salvataggio sulla regione del rinofaringe
e/o della base cranica, con risposta completa in una percentuale limitata ma
significativa di casi. La re-irradiazione può essere effettuata con brachiterapia HDR oppure con radioterapia a fasci esterni, con eventuale associazione
di chemioterapia concomitante.
3.2 Indicazioni terapeutiche generali
3.3 Follow-up
Il trattamento di scelta per i carcinomi del rinofaringe per gli stadi iniziali (T1,
N0) è rappresentato dalla radioterapia esclusiva. La chirurgia trova limitate
applicazioni ed è utilizzata solo in presenza di residui linfonodali dopo radioterapia o come opzione terapeutica di salvataggio in caso di ricadute locoregionali. La dose da erogare a livello della lesione è di 66-70 Gy con frazioni
giornaliere da 2 Gy. Tutti i pazienti con tumori del rinofaringe richiedono inoltre il trattamento radioterapico esteso ad entrambi i lati del collo (44-64 Gy
con frazioni di 1,6-2,0 Gy), in quanto la maggior parte di essi si presenta con
interessamento linfonodale bilaterale. Nei tumori allo stadio intermedio e
Al termine del trattamento è necessario controllare il paziente a breve termine con visite settimanali per valutare l’eventuale comparsa di tossicità
acuta. Successivamente andrà valutata la risposta al trattamento entro 2-3
mesi dal termine dello stesso mediante le tecniche di imaging utilizzate per
la diagnosi e mediante una visita ORL con fibre ottiche. In caso di sospetto
di lesioni residue, può essere utile l’esecuzione di un esame PET. In presenza
di remissione clinica completa il follow-up comprenderà valutazioni ORL ripetute ogni 3 mesi nei primi 2 anni, ogni 4-6 mesi nei 3 anni successivi e ogni
12 mesi dopo il quinto anno.
4. Carcinomi dell’orofaringe
4.1 Introduzione
I carcinomi dell’orofaringe sono tumori relativamente frequenti per quanto riguarda il distretto testa-collo e la loro incidenza, in Italia, è di 10 casi per
100.000 abitanti/anno. I principali fattori di rischio sono rappresentati dall’abuso di alcol e di tabacco mentre recentemente è stata dimostrata una
correlazione eziopatogenetica tra l’infezione da Papilloma Virus Umano (HPV)
e la comparsa di carcinomi spinocellulari dell’orofaringe.
L’orofaringe è compreso tra il rinofaringe superiormente, l’ipofaringe inferiormente e la cavità orale anteriormente ed è suddiviso in 4 sottosedi: palato molle, regione tonsillare, base della lingua e parete posteriore.
I linfonodi che drenano l’orofaringe sono i linfonodi giugulodigastrici del livello
II, i linfonodi retrofaringei e quelli dello spazio parafaringeo. L’interessamento
linfonodale avviene generalmente dall’alto in basso (dal livello II al IV) e raramente viene saltato un livello. Le lesioni che si trovano sulla linea mediana
(base lingua, palato molle, parete posteriore) tendono a dare metastasi linfonodali bilaterali.
La maggior parte dei tumori (90%) è rappresentata dai carcinomi spinocellulari, mentre il restante 10% è costituito da tumori a istologia inusuale quale
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i carcinomi delle ghiandole salivari minori, i linfomi e i melanomi.
La diffusione per via linfatica è molto frequente nei carcinomi squamosi e la
presenza di un’adenopatia rappresenta a volte l'unico sintomo di malattia.
4.2 Indicazioni terapeutiche generali
Le terapie di scelta sono rappresentate dalla chirurgia e dalla radioterapia,
da sole o combinate, e dalla chemioterapia che generalmente è utilizzata in
combinazione con le precedenti.
Chirurgia
In caso di lesioni di piccole dimensioni (T1) sono spesso possibili interventi
chirurgici conservativi; nel caso di neoplasie più estese gli interventi sono invece più demolitivi, con conseguenze funzionali di entità più o meno importanti e di tipo diverso a seconda della sede del tumore e della sua estensione.
Poiché l’interessamento linfonodale è spesso presente, si rendono frequentemente necessari svuotamenti delle logge linfatiche cervicali, da eseguirsi
mono o bilateralmente in base alla sede del tumore primitivo. I risultati, in ter-
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Radioterapia
La radioterapia a scopo curativo è indicata per neoplasie di dimensioni piccole (T1) o intermedie (T2). In questi casi il controllo locale è equivalente a
quello ottenuto con la sola chirurgia (80-90%), ma la RT comporta una riduzione di deficit funzionali con maggiori benefici in termini di qualità di vita da
parte del paziente. In alcune localizzazioni, come nei carcinomi della parete
posteriore, la RT rappresenta la terapia di elezione.
Negli stadi più avanzati (III-IV) la RT ha un ruolo fondamentale in termini di
preservazione dell’organo, in particolare in tutti quei casi in cui la chirurgia
comporterebbe danni funzionali di elevata entità. In questi casi andrebbe associati al trattamento radioterapico la CHT o i farmaci biologici. La radioterapia trova inoltre frequente indicazione in ambito post-operatorio.
Poiché i carcinomi dell’orofaringe hanno tipicamente la tendenza a dare metastasi per via linfonodale, in quei casi in cui la RT è la modalità primaria di
trattamento, il volume da irradiare deve comprendere la maggior parte dei
livelli del collo bilateralmente. I livelli da includere nelle singole presentazioni cliniche variano in relazione alla sottosede e allo stadio di T e di N.
In considerazione della ampiezza dei volumi da trattare e dalla stretta vicinanza delle parotidi, i carcinomi dell’orofaringe rappresentano una delle indi-
cazioni principali all’impiego di tecniche conformazionali evolute e della IMRT.
Le dosi prescritte sono quelle consuete per trattamenti con intento curativo
e frazionamento convenzionale (70 Gy con frazioni giornaliere da 2Gy), mentre in caso di RT postoperatoria le dosi da erogare saranno minori (60-66
Gy).
Chemioterapia
In caso di carcinomi squamocellulari dell’orofaringe in stadio avanzato (IIIIV stadio) il trattamento di scelta è rappresentato dall’associazione di RT +
CHT con le stesse modalità e con le problematiche già esposte nel paragrafo
del cavo orale. In alcuni casi la CHT può essere sostituita con cetuximab.
L’utilizzo di CHT adiuvante deve essere utilizzata solamente in associazione
con la RT postoperatoria.
4.3 Follow-up
Le possibilità reali di recupero delle mancate guarigioni o delle recidive locali e regionali rendono indispensabile un programma di controlli clinici sistematici, da effettuarsi ad intervalli di 1-3 mesi durante i primi 3 anni, di 4-6
mesi fino al quinto anno e annuali successivamente. La prima visita di controllo dovrebbe comprendere sempre l’esame clinico (visita ORL con fibroscopia) e, nei casi trattati con RT, la RM del massiccio facciale e collo. Nei casi
di trattamento radioterapico esclusivo, la valutazione radiologica (RM) deve
essere effettuata non prima di 2-3 mesi dalla fine della terapia.
5. Carcinomi dell’ipofaringe
5.1 Introduzione
I tumori dell’ipofaringe sono molto frequenti in Asia e in particolar modo in
India, mentre in Italia hanno un’incidenza di 0,4 casi ogni 100.000 abitanti/anno
con un rapporto maschi/femmine di 9:1. L’insorgenza dei tumore dell’ipofaringe è correlata all’abuso di tabacco e alcool e inoltre si è osservata una correlazione con alcuni deficit dietetici, in particolare di ferro, come si manifesta
nella sindrome di Plummer-Vinson (disfagia, anemia microcitica ipocromica e
atrofia della mucosa gastrica). L’ipofaringe è diviso in seni piriformi, parete faringea posteriore e regione retro-cricoidea e si estende dall’osso ioide fino al
limite inferiore della cartilagine cricoidea, abbracciando la laringe che si trova
anteriormente e medialmente. Nel 75% dei casi il tumore origina dai seni piriformi e nel 15-20% dalla parete faringea posteriore, mentre i tumori della regione retrocricoidea rappresentano circa il 5% dei casi e sono prevalenti nel
sesso femminile. Il drenaggio linfatico dell’ipofaringe è prevalentemente diretto verso i linfonodi del II e III livello, ma può anche estendersi fino ai linfonodi del IV livello e ai linfonodi mediastinici anteriori. Quando è invaso lo spazio
retro-faringeo, possono essere interessati i linfonodi retrofaringei. La variante
istologica più frequente (95% dei casi) è il carcinoma squamocellulare.
5.2 Indicazioni terapeutiche generali
In caso di neoplasie agli stadi iniziali (T1-2 N0-1), peraltro non frequenti i risultati della radioterapia e della chirurgia sono sovrapponibili. Per i migliori risultati funzionali, la radioterapia è da preferirsi ogniqualvolta una chirurgia
conservativa non è fattibile. In caso contrario, la chirurgia è da considerarsi una
valida alternativa alla terapia radiante. Nei tumori localmente avanzati (T3-4)
Pagina
operabili la chirurgia demolitiva associata a radioterapia adiuvante rappresenta il trattamento di scelta, anche se dati recenti indicano l’associazione
radio-chemioterapica come una valida alternativa alla chirurgia in grado di
controllare con probabilità significative la malattia a livello locale e di conservare la funzione dell’organo. In caso di inoperabilità la radioterapia, specialmente se associata a chemioterapia, rappresenta il trattamento di scelta.
La RT + CHT concomitante rappresenta il trattamento d’elezione in caso di
malattia al III-IV stadio. Anche in questo caso sono valide le considerazioni
espresse nel paragrafo dei tumori del cavo orale. L’utilizzo di cetuximab può
essere considerata un’alternativa alla CHT.
5.3 Follow-up
A causa del rischio significativo di fallimenti loco-regionali il follow-up in questi pazienti è particolarmente critico, soprattutto nei primi due anni dalla terapia, anche al fine di eventuali trattamenti di salvataggio a scopo curativo. La
difficoltà principale, in particolar modo nei casi di stadio avanzato trattato con
approccio multimodale, è la distinzione fra gli esiti dovuti al trattamento e
l’eventuale presenza di malattia.
Nella maggior parte dei casi è consigliata, dopo almeno 2-3 mesi dal termine
della RT, l’esecuzione di una fibroscopia con eventuali biopsie e di metodiche
di imaging quali RM, TC, ecografia ed eventualmente di PET nei casi dubbi.
Questo tipo di valutazione deve essere ripetuta nei primi 2-3 anni di follow-up
per ogni 3-6 mesi. Al termine di questo periodo ed in assenza di dubbi interpretativi, è sufficiente la sola valutazione fibroscopica. Una radiografia del torace ogni anno è inoltre raccomandato.
43
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
6. Carcinoma della laringe
6.1 Introduzione
Il carcinoma della laringe è la più frequente neoplasia del tratto aero-digestivo
superiore e costituisce il 2% di tutti i tumori maligni. I fattori di rischio riconosciuti sono: il fumo di sigaretta, l’uso intenso della voce per motivi professionali e l’alcol nelle forme a localizzazione sopraglottica.
La laringe viene suddivisa in tre regioni anatomiche: regione sopraglottica, regione glottica e regione sottoglottica. Le strutture sopraglottiche hanno una
ricca rete linfatica e drenano nei livelli II, III e IV, mentre la rete linfatica è meno
sviluppata nella regione sottoglottica e il drenaggio è prevalentemente verso
i linfonodi dei livelli III e IV e verso i linfonodi paratracheali. Le corde vocali
vere (glottide) sono prive di capillari linfatici, quindi la diffusione metastatica
linfonodale avviene solo in caso di estensione sopra- o sottoglottica.
Circa il 95% dei tumori maligni laringei sono carcinomi squamo cellulari. Le
corde vocali sono la sede più frequente del carcinoma in situ, mentre la regione
sopraglottica è una localizzazione rara. Il carcinoma verrucoso rappresentata
una variante distinta (1-2% dei carcinomi delle corde vocali): si tratta di un
carcinoma squamocellulare di basso grado con aspetto papillomatoso, cheratinizzante in superficie e con margini ben delimitati. I fattori prognostici più
rilevanti sono lo stadio del tumore primitivo e dei linfonodi loco-regionali. Altri
fattori prognostici sono il sesso, l’età, il performance status del paziente e la
sottosede della malattia. La sopravvivenza dei pazienti con neoplasia cordale
varia dal 75 al 95% in funzione della sede, delle dimensioni, dal grado di infiltrazione, dell’interessamento delle commissure o degli spazi paraglottici. Le
lesioni che originano dalla porzione sottoglottica rimangono a lungo paucisintomatiche e la diagnosi viene posta tardivamente. Per tale motivo, presentano
una prognosi nettamente più sfavorevole. Nei tumori avanzati extracordali non
è infrequente la comparsa di metastasi a distanza, soprattutto nei primi due
anni dalla diagnosi, ciò anche in caso di risposta completa loco-regionale posttrattamento di prima istanza. La diagnosi differenziale tra lesioni secondarie
e secondi tumori potrebbe essere difficile. Uno stretto follow up è necessario,
principalmente nel primo biennio per consentire trattamenti di seconda linea.
L’importanza del ruolo funzionale della regione laringo-ipofaringea, ha condotto ad un atteggiamento terapeutico di carattere conservativo nei confronti
di tale regione anatomica: negli stadi iniziali i trattamenti di scelta sono la radioterapia e la chirurgia conservativa (laser, laringectomie parziali). Nelle forme
localmente avanzate è preferibile un trattamento radio-chemioterapico, come
alternativa alla chirurgia demolitiva standard, che potrebbe essere applicata
in caso di mancato controllo locale.
6.2 Indicazioni terapeutiche generali
Gli stadi iniziali (T1-T2) possono essere trattati indifferentemente con la chirurgia o con la radioterapia, ottenendo un buon controllo della malattia e
conservando la funzione dell’organo. Le forme avanzate vengono trattate
con la chirurgia, che prevede nella maggior parte dei casi una laringectomia
totale; il trattamento radioterapico può rappresentare un’alternativa altrettanto efficace. Anche le indicazioni alla radioterapia adiuvante dopo chirurgia demolitiva sono piuttosto frequenti.
Note di tecnica radioterapica
Le dosi indicate sono 50-54 Gy per l’irradiazione dei volumi linfonodali a rischio, 60-66 Gy sulle aree a maggior rischio dopo trattamento chirurgico,
66-70 Gy sul GTV laringeo e linfonodale.
Pagina
Tumori limitati della laringe sovraglottica (T1-2, N0)
Gli stadi iniziali possono essere trattati con chirurgia conservativa o con radioterapia esclusiva. Le casistiche e i risultati ottenuti sembrano rilevare individuare un controllo locale nei casi T1 variabile dal 90 al 100% e nei casi
T2 (40-70%). In caso di fallimento del trattamento radiante è possibile procedere con il trattamento chirurgico, a volte anche conservativo.
Tumori avanzati della laringe sovraglottica (T3-4 N0 e T1-4, N1-3)
I tumori in stadio avanzato (localmente e/o regionalmente) della laringe sovraglottica vengono generalmente trattati con chirurgia (laringectomia totale
nei T3-T4) e radioterapia adiuvante. È giustificato ricorrere alla radioterapia
come trattamento iniziale (possibilmente associata a chemioterapia) e adoperare la chirurgia di salvataggio in caso di fallimento. Nei pazienti inoperabili per comorbilità, non resecabilità o rifiuto della laringectomia, la
radioterapia rimane l’unica opzione terapeutica applicabile. Nei casi T3-4,
N0 si può stimare un tasso di controllo loco-regionale iniziale dopo radioterapia esclusiva, del 30-50%, valore che decresce ulteriormente in caso di positività linfonodale.
Tumori limitati della laringe glottica (Tis-T2 N0)
La radioterapia esclusiva ottiene gli stessi risultati terapeutici della chirurgia
(cordectomia, emilaringectomia), con un migliore esito funzionale sulla qualità della voce. In casi selezionati, come per esempio nei volumi tumorali relativamente limitati o a crescita superficiale, la chirurgia laser garantisce una
probabilità di controllo locale e una qualità di voce paragonabili alla radioterapia. In letteratura, i tassi di controllo locale a 5 anni sono di circa 70-95%
(escludendo la chirurgia di salvataggio, che consente di raggiungere un tasso
di controllo locale definitivo del 95-100%). Il rischio di recidiva a livello linfonodale o a distanza è <5%.
Tumori della laringe glottica localmente avanzati (T3-T4 N0)
I dati della letteratura che riguardano gli stadi T3-T4 N0, sono limitati. La
probabilità di controllo loco-regionale iniziale con la radioterapia esclusiva
(escludendo il salvataggio chirurgico) può essere in ogni modo stimata intorno al 50%; la chirurgia di salvataggio consente di ottenere valori di controllo loco-regionale definitivo intorno al 70-80%. Si può stimare
approssimativamente una probabilità di controllo locale iniziale, dopo sola
radioterapia, intorno al 20-30%, con valori di controllo definitivo dopo chirurgia di salvataggio del 50%.
Tumori della laringe glottica con estensione linfonodale (T1-4 N1-3)
Il carcinoma glottico ha una scarsa diffusione per via linfatica; i linfonodi risultano positivi solo nei casi più avanzati. Nella manifestazione clinica iniziale
della malattia, le adenopatie sono presenti nello 0-2% dei casi T1-T2 e circa
nel 30-40% dei casi T3-T4. I pazienti con invasione linfonodale all’esordio
hanno generalmente una lesione primaria avanzata che viene preferibilmente
trattata con la chirurgia seguita da radioterapia adiuvante. In caso non sia
possibile procedere all’intervento chirurgico, è indicato un trattamento radiante possibilmente associato a chemioterapia. In casi selezionati (T3 N12) è possibile preservare l'organo, intraprendendo un trattamento
chemio-radioterapico (sequenziale o concomitante) ed eventuale chirurgia su
residuo linfonodale, riservando la laringectomia ai fallimenti locali. Esistono
infatti dati ormai consolidati che indicano la possibilità di effettuare un trat-
44
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo
tamento radio-chemioterapico con possibilità equivalenti di controllo locale
di malattia e di sopravvivenza rispetto alla chirurgia, ma con conservazione
dell’organo e della sua funzione. In questi casi, la chirurgia è riservata ai pazienti con residuo di malattia al termine del trattamento chemio-radioterapico o nel caso di recidiva di malattia.
Gli studi fino ad ora eseguiti hanno dimostrato un’efficacia sovrapponibile in
termini di preservazione d’organo tra chemioterapia d’induzione seguita da
radioterapia e chemioradioterapia concomitante in confronto alla radioterapia da sola, mentre la sopravvivenza globale a 5 anni è simile per tutte le modalità di trattamento.
Al fine di preservare l’organo, il trattamento di scelta è la chemioterapia d’induzione secondo lo schema TPF (docetaxel 75 mg/mq g1, cisplatino 75
mg/mq g1, 5-fluorouracile 750 mg/mq/die gg 1-5, q21) per 3 cicli, seguito
da rivalutazione strumentale: in caso di risposta parziale viene eseguito il
trattamento chemio-radioterapico, altrimenti è raccomandata la chirurgia.
Tumori della laringe sottoglottica.
I tumori della laringe sottoglottica sono rari. Negli stadi iniziali (T1-T2), il trattamento è di pertinenza radioterapica. Nei tumori avanzati, si ricorrere preferibilmente all'associazione chirurgia-radioterapia adiuvante. Negli stadi
intermedi (T3N0) può essere impiegata l'associazione chemioterapia-radioterapia nella possibilità di preservare l'organo. In caso di inoperabilità o di rifiuto della chirurgia da parte del paziente, la radioterapia (possibilmente
associata alla chemioterapia) è l'unico trattamento potenzialmente curativo
anche negli stadi avanzati. L’estensione della malattia a livello delle stazioni
linfonodali del mediastino superiore, condiziona le strategie chirurgiche e radioterapiche. Nelle forme iniziali si può attende una probabilità di controllo
locale del 60 - 70% con una sopravvivenza a 5 anni tra il 50 e il 60%.
6.3 Follow-up
I pazienti trattati per un carcinoma della laringe devono eseguire uno stretto
follow-up, soprattutto nei primi due anni successivi alla terapia, per il rischio
significativo di fallimenti loco-regionali e per la valutare la possibilità di trattamenti di salvataggio con intento curativo. L’introduzione dei trattamenti integrati radiochemioterapici ha aggiunto maggiore complessità alle scelte
terapeutiche. L’obiettivo principale del follow-up nei pazienti già sottoposti
alle terapie di prima istanza, è quello riuscire ad effettuare diagnosi precoce
di persistenza o di recidiva locale di malattia, per dare spazio ad un trattamento di salvataggio.
In alcuni casi di fallimento, come nei tumori limitati trattati con radioterapia
esclusiva, è possibile procedere alla chirurgia conservativa (laser, laringectomia parziale).
In altri tipi di fallimento, come nei tumori in stadi avanzati e trattati con radiochemioterapia, il passo successivo è inevitabilmente la chirurgia demolitiva.
La diagnosi differenziale fra gli esiti terapeutici e la persistenza/recidiva di
malattia, è la difficoltà principale, soprattutto nei casi di tumore avanzato
trattato con terapia integrata.
Nella maggior parte dei casi è consigliabile la valutazione non troppo precoce
del risultato terapeutico, almeno 2-3 mesi dalla fine del trattamento radiante,
attraverso fibroscopia con eventuali biopsie. Anche l’imaging radiologico (RM,
TC, ecografia) è utile nella valutazione della risposta alle terapie, con eventuale impiego della PET nei casi dubbi. Questo tipo di valutazione, che può
risultare anche molto complessa dal punto di vista interpretativo, deve essere
ripetuta sistematicamente fino a stabilizzazione del quadro clinico radiologico
e in assenza di sospetti di ripresa o persistenza di malattia locale; successivamente è sufficiente la sola valutazione fibroscopica. Infine, una radiografia del torace ogni anno è consigliabile.
7. Carcinomi delle cavità nasali e dei seni paranasali
7.1 Introduzione
Si tratta di un gruppo di neoplasie piuttosto rare ed eterogenee per sede
anatomica e istologia comprendenti tutti i tumori epiteliali a partenza dalle
fosse nasali, dal seno mascellare, dal seno etmoidale e dai seni sfenoidale
e frontale.
La forma istologica più frequente è il carcinoma squamoso, ma sono frequenti anche altri tipi istologici come l’adenocarcinoma, il carcinoma adenoido-cistico, il carcinoma NAS, il carcinoma indifferenziato e il carcinoma
mucoepidermoidale.
La storia naturale di queste malattie mostra generalmente una crescita locale lenta, con progressivo coinvolgimento delle strutture anatomiche circostanti (es. orbita, cavo orale, rinofaringe, base cranica), e un interessamento
abbastanza raro e tardivo dei linfonodi regionali (sottomandibolari, laterocervicali). Rara è la comparsa di metastasi a distanza, tranne che nei tipi
istologici meno differenziati, in cui elevato è il rischio di estensione regionale
e a distanza.
7.2 Indicazioni terapeutiche generali
Il trattamento di scelta è rappresentato dalla chirurgia.
La radioterapia (66-74 Gy con frazioni giornaliere da 2 Gy) può rappresentare una valida alternativa all’intervento chirurgico in caso di istologie ra-
Pagina
diosensibili (es. carcinoma indifferenziato) o in presenza di tumori non resecabili. La radioterapia inoltre rappresenta un efficace trattamento postoperatorio (60-66 Gy in frazioni da 2 Gy) in presenza di margini chirurgici
positivi o “close”, di tumore localmente avanzato (T3 e T4), di estensione extracapsulare delle metastasi linfonodali, di localizzazioni linfonodali multiple.
Nelle neoplasie etmoidali vi è sempre indicazione alla radioterapia adiuvante a causa dell’elevato rischio di recidiva locale di questi tumori. In casi
selezionati è possibile ottenere beneficio dalla somministrazione della chemioterapia in concomitanza al trattamento radioterapico.
7.3 Follow-up
Al termine del trattamento è necessario controllare il paziente a breve termine con visite settimanali per valutare l’eventuale comparsa di tossicità
acuta. Successivamente andrà valutata la risposta al trattamento entro 23 mesi dal termine dello stesso mediante le tecniche di imaging utilizzate
per la diagnosi e mediante una visita ORL con fibre ottiche.
In caso di sospetto di lesioni residue, può essere utile l’esecuzione di un
esame PET. In presenza di remissione clinica completa il follow-up comprenderà valutazioni ORL ripetute ogni 3 mesi nei primi 2 anni, ogni 4-6
mesi nei 3 anni successivi e ogni 12 mesi dopo il quinto anno.
45
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
8. Carcinomi delle ghiandole salivari
8.1 Introduzione
I tumori delle ghiandole salivari rappresentano circa il 5% di tutte le neoplasie
del distretto cervico-facciale. La ghiandola più colpita è la parotide (80%) di cui
più del 60% sono tumori benigni. Considerando solo i tumori maligni, il 4060% dei casi è localizzato alla parotide, il 10% dei casi alla ghiandola sottomandibolare, ed il 30-50% dei casi alle ghiandole salivari minori. Tra i tumori
maligni i più comuni sono il carcinoma mucoepidermoide, il carcinoma adenoido-cistico, il carcinoma a cellule aciniche, l’adenocarcinoma e il carcinoma
spinocellulare; meno frequenti sono il carcinoma ex-adenoma pleiomorfo, il
carcinoma duttale, l’adenocarcinoma polimorfo a basso grado di malignità e il
carcinoma mio-epiteliale. I tumori maligni, inoltre vengono suddivisi in carcinomi a basso, intermedio o alto grado di malignità a seconda del grading istologico. Nei tumori salivari i fattori prognostici che devono essere presi in
considerazione sono: lo stadio, l’istotipo, il Grading, l’età (prognosi peggiore se
> 60 anni), la sede di insorgenza (la prognosi è migliore per i tumori insorti
nella ghiandola parotide) e la presenza di paralisi del nervo facciale per le neoplasie parotidee. I tumori maligni delle ghiandole salivari generalmente si presentano come un nodulo asintomatico. I sintomi si manifestano solo in seguito
all’infiltrazione delle strutture adiacenti (n. facciale, osso, cute). Solo nel 25%
dei casi, alla diagnosi, sono presenti metastasi linfonodali latero-cervicali, mentre le metastasi a distanza, più frequentemente a carico del polmone, sono
molto rare all’esordio della malattia.
8.2 Indicazioni terapeutiche generali
Nei tumori delle ghiandole salivari, il trattamento di scelta è la chirurgia. Nei tumori in stadio iniziale (T1-T2) e a basso grado è indicata la parotidectomia superficiale o totale; mentre nei tumori ad alto grado o profondi è indicata la
parotidectomia totale con preservazione del nervo facciale quando non è presente infiltrazione macroscopica dello stesso. In caso di infiltrazione ossea
può essere necessaria una resezione più o meno importante dell’osso temporale o una mandibolectomia. Nel caso in cui all’esordio siano presenti metastasi
linfonodali è previsto lo svuotamento del collo omolaterale. Metastasi linfonodali laterocervicali occulte possono essere presenti nel 48% dei pazienti con
collo clinicamente negativo. Lo svuotamento linfonodale selettivo o il trattamento radioterapico sull’emicollo omolaterale dovrebbero essere eseguiti in
caso di tumori ad alto grado o nel caso di tumori a basso grado che abbiano
un diametro superiore o uguale a 4 cm. Il ruolo della radioterapia è quindi complementare alla chirurgia essendo quest’ultima il trattamento di scelta per il T.
Le principali indicazioni alla radioterapia post-operatoria sono le seguenti:
• exeresi di recidiva locale dopo pregressa chirurgia
• tumori del lobo profondo della parotide
• lesioni avanzate (T3-T4)
• residuo microscopico (R1) o macroscopico (R2) dopo chirurgia
• alto grading (G3-G4)
• infiltrazione ossea o del tessuto connettivo
• diffusione perineurale
• metastasi linfonodali
• rottura capsulare.
Pertanto, le lesioni iniziali (T1-T2) e a basso grado sono trattate in modo adeguato con la sola chirurgia, con l’eccezione del carcinoma adenoideo-cistico
per il quale viene raccomandata la RT postoperatoria per la sua estrema propensione alla diffusione perineurale. Nel caso dell’adenoma pleomorfo può essere indicata la radioterapia postoperatoria nei casi di recidiva dopo chirurgia
adeguata.
Radioterapia postoperatoria
Le dosi totali da prescrivere (con frazionamento convenzionale) sono le seguenti: sulla sede primaria, 50-60 Gy in caso di tumori a rischio basso o medio
(R0), 66 Gy in caso di alto rischio (residuo microscopico, R1). Sulle regioni linfonodali (emicollo omolaterale: livelli II e III in tutti i casi, livelli IV e V in casi selezionati), 50 Gy a titolo precauzionale nei pazienti N0 ma con tumore ad alto
rischio o con tumore a basso rischio ma di dimensioni superiori a 4 cm. Nei pazienti pN+ a seconda dei fattori di rischio l’emicollo può essere irradiato con
una dose variabile tra 50 e 60-66 Gy.
Radioterapia esclusiva
La RT esclusiva può essere proposta a pazienti giudicati oltre i limiti della chirurgia o a pazienti con metastasi a distanza dall’esordio. Il volume bersaglio,
rappresentato dalla ghiandola parotide ed eventualmente dall’emicollo omolaterale, dovrebbe essere irradiato evitando l’irradiazione della parotide contro
laterale. La dose totale può variare da 30 Gy nei trattamenti con intento palliativo a 66-70 Gy nei pazienti che per performance status ed estensione di T
meritano un trattamento con dosi di radicalità.
8.3 Follow-up
Più del 20% delle ricadute compaiono dopo 5 anni, più raramente dopo 10-20
anni, per tale motivo i pazienti con carcinoma della parotide devono essere seguiti per molti anni. Nei primi 3 anni il controllo clinico va effettuato ogni 2-3
mesi, quindi ogni 6-12 mesi, associato, specialmente subito dopo la fine della
terapia, a valutazione radiologica con ecografia e/o TC o RM (in casi selezionati). E’ indicato richiedere una radiografia del torace di controllo una volta all’anno.
9. Dotazioni strumentali
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo
dure chirurgiche all’anno a livello della testa e del collo tra le seguenti:
• procedure ricostruttive mediante lembi liberi rivascolarizzati
• lembi regionali (pectoralis major, temporalis, latissimus dorsi)
• mandibulectomie segmentali o marginali
• resezioni per via trans mandibolare (mandibulotomica)
• maxillectomie totali o subtotali
• emiglossectomie o glossectomie totali
• laringectomie totali, sopraglottiche o ricostruttive (sopracricoidee o tracheoioidopessie)
• cordectomie endoscopiche
• parotidectomie esofacciali/subtotali/totali per neoplasie maligne
• svuotamenti laterocervicali.
Nella struttura deve operare un gruppo multidisciplinare per le neoplasie
della testa e del collo strutturato e formalizzato che gestisca tutte le fasi dell’iter diagnostico terapeutico, ed in particolare stadiazione, impostazione terapeutica e follow-up. Devono inoltre essere presenti apparecchiature per
la TC, per la RMN e per l’ecografia ed un reparto per la terapia intensiva postoperatoria. Devono infine essere previsti una presenza o un accesso facilitato alla radioterapia,alla oncologia medica ed a strutture in grado di erogare
terapie palliative ed assistenza al malato terminale sia a domicilio che tramite ricovero. E’ inoltre richiesta almeno 1 pubblicazione scientifica di oncologia testa e collo su riviste indicizzate negli ultimi 3 anni.
Criteri per l’eccellenza
I criteri per raggiungere l’eccellenza prevedono la valutazione di almeno 60
casi l’anno di neoplasie maligne della laringe (ICD9-CM 160 e 161 età >14
anni in diagnosi principale alla dimissione) e/o di neoplasie maligne delle
altre sedi (ICD9-CM 140-149 età >14 anni in diagnosi principale alla dimissione) comprese le neoplasie maligne della cute della testa e del collo con
metastasi linfonodali laterocervicali. In questo ambito di attività clinico la
UOC deve aver eseguito. Almeno 60 procedure chirurgiche maggiori all’anno
a livello della testa e del collo, incluse:
• procedure ricostruttive mediante lembi liberi rivascolarizzati (almeno 10)
• lembi regionali (pectoralis major, temporalis, latissimus dorsi)
• mandibulectomie segmentali o marginali
• resezioni per via trans mandibolare (mandibulotomica)
• maxillectomie totali o subtotali
• emiglossectomie o glossectomie totali
• laringectomie totali, sopraglottiche o ricostruttive (sopracricoidee o tracheoioidopessie)
• parotidectomie esofacciali/subtotali/totali per neoplasie maligne
• svuotamenti laterocervicali.
Inoltre deve essere possibile di ottenere degli esami istologici estemporanei
nel corso della chirurgia. Deve essere disponibile la tecnologia laser per la
chirurgia endoscopica della laringe. Devono inoltre esistere nella struttura
una UO di Radioterapia, una UO di Oncologia medica, una UO di Medicina
Nucleare dotata di PET-TC ed un database di archiviazione dei dati oncologici sensibili condiviso all’interno del gruppo multidisciplinare. E’ infine richiesta una media di almeno 1 pubblicazione scientifica all’anno di oncologia
testa e collo su riviste impattate negli ultimi 3 anni.
9.2 Radioterapia
9.1 Chirurgia
Criteri di minima
I criteri minimi per una UO di Chirurgia prevedono la valutazione di almeno
25 casi l’anno di neoplasie maligne della laringe (ICD9-CM 160 e 161 età
Pagina
>14 anni in diagnosi principale alla dimissione) e/o di neoplasie maligne
delle altre sedi (ICD9-CM 140-149 età >14 anni in diagnosi principale alla
dimissione) comprese le neoplasie maligne della cute della testa e del collo
con metastasi linfonodali laterocervicali e l’esecuzione di almeno 25 proce-
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Criteri di minima
La struttura deve disporre di ambienti clinici (radioterapico e/o oncologico)
presso i quali effettuare trattamenti combinati, quando necessari, e per l’assistenza (terapie di supporto, terapia nutrizionale) durante e dopo il tratta-
Pagina
mento. I requisiti minimi prevedono l’esecuzione di almeno 10 trattamenti all’anno, curativi o palliativi, l’utilizzazione di un acceleratore lineare, l’esistenza di una simulazione TC, l’uso di sistemi di immobilizzazione e
l’esecuzione di almeno una immagine portale settimanale. Per quanto riguarda i tempi di esecuzione della terapia deve essere assicurata la prima
visita entro 1 settimana, la stadiazione deve essere completata entro le 3
settimane e l’inizio del trattamento entro le 4 settimane dalla prescrizione.
Criteri per l’eccellenza
Per raggiungere l’eccellenza il centro deve possedere almeno 3 dei seguenti
5 requisiti:
• esecuzione di almeno 25 trattamenti all’anno,curativi o palliativi
• attuare un trattamento conformazionale con collimatore multi lamellare
• utilizzare una tecnica a modulazione del fascio (IMRT)
• utilizzare sistemi per radioterapia guidata dalle immagini (IGRT)
• disponibilità di posti letto dedicata alla radioterapia, dipartimentali o “tecnici”.
E’ inoltre necessario che le UOC di Radioterapia sia in grado, nei trattamenti
curativi, di mettere in atto nell’ambito della struttura le procedure sia radio che
chemioterapiche in tempo reale, evitando l’immissione in liste di attesa,programmando l’inizio della terapia esclusivamente in rapporto ai tempi tecnici
necessari ad attuare le idonee procedure. Nei trattamenti postoperatori l’intervallo dovrà essere il più breve possibile compatibilmente con le condizioni
cliniche del paziente e con i tempi di guarigione della ferita chirurgica. E’ inoltre necessario che esista un gruppo oncologico multidisciplinare nell’ambito
del quale i vari specialisti (chirurgo, oncologo, radiodiagnosta, radioterapista,
anestesista, anatomopatologo, nutrizionista) si consultano per pianificare la
programmazione terapeutica sulla base delle condizioni cliniche del paziente
e dell’estensione della malattia valutando rischi e benefici delle varie opzioni
terapeutiche. Per la verifica degli altri parametri di qualità del trattamento radioterapico si rimanda al rapporto ISTISAN 04-34 sull’“Indicazione per l’assicurazione di qualità nella radioterapia conformazionale”.
9.3 Oncologia
Criteri di minima
Sono richiesti i seguenti requisiti minimi: > di 20 nuovi casi osservati all’anno, > di 10 nuovi casi trattati l’anno, > 8 poltrone in DH, disponibilità di
degenza non specialistica, eseguire la prima visita a più di 1 settimana dalla
richiesta, completare la stadiazione in più di 2 settimane dalla prima visita
ed iniziare la terapia entro 4 settimane dalla decisione terapeutica. Presenza
di una pubblicazione nell’anno.
Criteri per l’eccellenza
Sono previsti i seguenti requisiti:
• > di 40 nuovi casi osservati l’anno
• >20 nuovi casi trattati l’anno
• > 12 poltrone in DH
• almeno 4 dei seguenti 7 requisiti: degenza specialistica, disponibilità degenza specialistica, gestione in ambito di Continuous Care, DEA, UFA,
Disponibilità di caratterizzazione biomolecolare, Disponbilità di farmaci
target. Uso di archivio/cartella in formato elettronico.
Devono inoltre essere soddisfatti almeno 3 dei seguenti requisiti organizzativi:
• eseguire la prima visita in meno di una settimana dalla richiesta
• completare la stadiazione in di due settimane
• iniziare la terapia entro due settimane dalla prescrizione
• programmare settimanalmente una riunione multidisciplinare (Oncologo,
47
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Patologo, Radioterapista, Radiodiagnosta, Chirugo, Palliativista), disporre
almeno settimanalmente di ambulatorio per impianti CVC e di ambulatorio per terapia nutrizionale, per terapia del dolore, consulenza psicologica e psichiatrica.
Per quantto riguarda la attività di ricerca deve essere soddisfatto 1 dei 3 seguenti:
• adesione a protocolli nazionali ed internazionali
• più di 3 pubblicazioni anno
• partecipazione a studi multicentrici.
Criteri per l’eccellenza
Per raggiungere l’eccellenza il numero di ecografie,TC e RM in pazienti con
neoplasie della testa e del collo deve essere di 50 in almeno due delle tre metodiche. Deve essere inoltre essere presente uno dei due seguenti requisiti:
TC-PET, RM > 3 tesla.
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo
•
•
9.5 Anatomia Patologica
Criteri di minima
Si richiede la refertazione secondo linee guida validate in almeno 20 pazienti
e la possibilità di eseguire indagini di tipo immunoistochimico.
•
9.4 Diagnostica per immagini
Criteri di minima
I criteri di minima prevedono l’esecuzione di almeno 20 ecografie, 20 TC e
20 RM in pazienti con neoplasie della testa e del collo per studio del tumore
primitivo e dei linfonodi del collo.
Criteri per l’eccellenza
Il numero di refertazioni secondo linee guida validate deve essere almeno di
50 e deve esistere oltre alla possibilità di eseguire indagini di tipo immunoistochimico in un laboratorio di biologia molecolare.
•
•
10. Bibliografia
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guideline. J Clin Oncol 2006; 24 (19): 3187-3205.
11. Appendice
Il documento utilizza, integrandole, le linee giuda aiom, airo e quelle del gruppo
di lavoro sul cancro della laringe coordinato dal prof. Marco De Vincentis.
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48
Principi di chemioterapia
Tumori early stadio I e II
Nel trattamento dei tumori early testa-collo (HNSCC), stadio I e II, non vi è indicazione alla chemioterapia in tutte le sottosedi ad eccezione dei tumori
allo stadio II del rinofaringe nei quali il trattamento radio-chemioterapico rappresenta lo standard di trattamento. I trattamenti chirurgici o radioterapici offrono un eccellente controllo locale, preservazione d’organo e non presentano
sequele cosmetiche maggiori. In considerazione dell’alto tasso di tumori metacroni potrebbero essere presi in considerazione per i tumori early testa
collo protocolli di chemioprevenzione.
Bibliografia
• Mesic JB, Fletcher GH, Goepfert H et al. “Irradiation of epithelial tumors of the
nasopharynx”. Int J radiat Bio Phys 1981: 7: 447-453.
Malattia moderatamente avanzata
e resecabile stadio III e IVa
Il trattamento integrato con cisplatino in monochemioterapia deve essere
considerato il trattamento standard nei pazienti ad alto rischio in setting
adiuvante.
Bibliografia
• Bernier J, Domengue C, Ozsahin M, et al. Postoperative irradiation with or wi-
•
•
thout concomitant chemotherapy for locally advanced head and neck cancer. N
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Cooper JS, PajakTF, Forastieere AA, et al. Postoperative concurrent radiotherapy
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Tumori “moderatamente” avanzati stadio III e IV
Setting adiuvante
La valutazione del paziente è critica e fondamentale per la programmazione
terapeutica dei tumori avanzati testa-collo e deve considerare le condizioni
generali (PS), l'età, la presenza di patologie concomitanti, lo stile di vita,
abuso di alcool ed esposizione al fumo di tabacco, la situazione socioeconomica del paziente, i sintomi all’esordio, la presenza di sintomi funzionali e
l’eventuale perdita di peso. La chemioterapia trova indicazione in associazione alla radioterapia dopo chirurgia nei pazienti ad alto rischio in condizioni
generali buone e discrete. Due studi randomizzati di fase III (RTOG 95-01
LEORTC 22931) hanno consentito di definire i pazienti ad alto rischio di recidiva (diffusione di malattia extracapsulare, interessamento linfonodale multiplo, invasione vascolare, linfatica e/o perineurale) e di dimostrare un
significativo vantaggio in DFS, controllo locale e nella metanalisi di Bernier
confermare il vantaggio in sopravvivenza mediante trattamento integrato
radio-chemioterapico con CDDP 100 mg/mq, q 21x3 vs la sola RT.
Pagina
Il trattamento dei tumori avanzati testa-collo (HNSCC), stadio III e IV di malattia, è necessariamente multidisciplinare. La gestione del paziente affetto
da neoplasia del distretto cervico-facciale è estremamente complessa e richiede la presenza non solo del Chirurgo Otorinolaringoiatra, del Radioterapista e dell’Oncologo, ma anche del Patologo, del Chirurgo Plastico, del
Radiologo, del Nutrizionista e del Foniatra.
Nei pazienti non chirurgici in prima battuta, la chirurgia mantiene un ruolo importante per l’asportazione di eventuali residui di malattia dopo il trattamento
radio-chemioterapico, dissezione linfonodale profilattica del collo nei casi
con coinvolgimento massivo linfonodale alla presentazione. Numerosi studi
sono stati realizzati al fine di verificare e confermare l’efficacia (in termini di
controllo locale e sopravvivenza) del trattamento chemio-radioterapico concomitante e di definirne il ruolo nei carcinomi squamosi del cavo orale, orofaringe, ipofaringe, laringe e rinofaringe.
La chemio-radioterapia è un trattamento integrato in cui entrambe le metodiche svolgono un importante effetto citocida indipendente a cui si somma
49
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
l’effetto addizionale legato al sinergismo terapeutico pertanto il numero somministrazioni e il loro dosaggio è critico, anche in considerazione del miglior
compromesso tra tossicità ed efficacia.
Non esistono dati comparativi tra i diversi regimi d’integrazione di chemio e
radioterapia. Tuttavia la combinazione con cisplatino può essere considerata
uno standard adeguato e rappresenta l'opzione di prima scelta. Anche l'associazione con il cetuximab è da considerarsi un trattamento adeguato soprattutto in relazione al buon profilo di tossicità in mancanza di un confronto
diretto verso il regime di associazione standard con il cisplatino.
Infatti, il trattamento chemio-radioterapico è una terapia a elevata complessità per l’insorgenza di effetti tossici acuti tipici di entrambe le metodiche,
come le stomatiti e la depressione midollare che devono essere affrontate
con competenza specifica al fine di minimizzare riduzioni dei dosaggi, dilazioni delle somministrazioni, omissioni, in grado di ridurre significativamente
l’efficacia del trattamento.
Non vi è un consenso generale sulla migliore dose e schema di frazionamento della radioterapia in associazione alla chemioterapia. La maggior parte
degli studi ha valutato frazionamenti convenzionali per una dose totale di 70
Gy in associazione al cisplatino in monochemioterapia somministrato ogni 21
gg al dosaggio di 100mg/m2.
L’efficacia del trattamento combinato diminuisce all’aumentare dell’età e,
dopo i 70 anni, non è provato alcun beneficio con l’aggiunta di un farmaco
chemioterapico al trattamento radioterapico standard.
Il trattamento radio-chemioterapico integrato concomitante è da considerarsi l’approccio non chirurgico standard nel trattamento dei tumori
avanzati testa-collo (HNSCC), stadio III e IV di malattia. In pazienti con
adeguato PS.
Bibliografia
• Pignon JP, Bourhis J, Domenge C, Designé L. Chemotherapy added to locore-
•
•
•
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Negli ultimi anni, grazie ai progressi ottenuti nel controllo locale di malattia
con la radioterapia, la chirurgia e il trattamento concomitante chemio-radioterapico, e grazie all’introduzione di nuovi farmaci, è stato rivalutato il
ruolo della chemioterapia d’induzione.
La chemioterapia a 3 farmaci (TPF, docetaxel 75 mg/mq g1, cisplatino 75
mg/mq g1, 5fluorouracile 750 mg/mq/die gg 1-5, q21) ha dimostrato di essere superiore allo schema a 2 farmaci (PF, cisplatino 100 mg/mq g1, 5fluorouracile 1000 mg/mq/die gg1-5, q21) nella malattia localmente avanzata.
Studi di fase III, che hanno comparato la terapia d’induzione con cisplatino
e 5-fluorouracile con o senza taxani seguita dallo stesso trattamento locoregionale, hanno dimostrato maggiori tassi di risposta e di preservazione
d’organo, un aumento della DFS e in alcuni casi della OS per i pazienti trattati con il regime a 3 farmaci. L’aggiunta dei taxani non peggiora la tossicità
dell’intero trattamento. Nonostante ciò, un chiaro vantaggio in OS dall’aggiunta della terapia d’induzione alla CHT-RT non è stato ancora dimostrato.
Uno studio a 3 bracci che comparava cisplatino-radioterapia concomitante
alla terapia d’induzione con TPF o PF seguiti da cisplatino-radioterapia ha
riportato una diminuzione del tempo a progressione ma nessuna differenza
in OS. Pertanto il trattamento d’induzione è ancora da considerarsi “sperimentale”. Nella pratica clinica, la chemioterapia d’induzione è fortemente
raccomandata nei pazienti con malattia localmente avanzata con importante interessamento linfonodale (N3) e nei pazienti ad alto rischio di metastasi a distanza.
Attualmente non sono disponibili studi di fase III che confrontino il cisplatino
e il cetuximab in associazione alla radioterapia, pertanto al termine del trattamento d’induzione non esiste un regime radio-chemioterapico standard7.
Il cetuximab è considerato una valida alternativa terapeutica nei pazienti
unfit per un trattamento radio-chemioterapico con cisplatino ad alte dosi.
Bibliografia
• Pignon JP, Bourhis J, Domenge C, Designé L. Chemotherapy added to locore-
•
•
•
•
•
•
Chemioterapia di induzione
Gli studi pubblicati negli anni ’80 e ’90 sulla chemioterapia d’induzione seguiti da radioterapia e/o chirurgia nei tumori testa-collo non hanno dimostrato un aumento della sopravvivenza con l’aggiunta della chemioterapia.
Pagina
gional treatment for head and neck squamous-cell carcinoma: three meta-analyses of updated individual data. MACH-NC Collaborative Group. Meta-Analysis of
Chemotherapy on Head and Neck Cancer. Lancet. 2000; 355(9208): 949-55.
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Posner MR, Hershock DM, Blajman CR, et al. Cisplatin and fluorouracil alone or
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Hitt R, Grau JJ, Lopez-Pousa A, et al. Final results of a randomized phase III trial
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Buiret G, Combe C, Favrel V, et al. A retrospective, multicenter study of the tolerance of induction chemotherapy with docetaxel, Cisplatin, and 5-Fluorouracil
followed by radiotherapy with concomitant cetuximab in 46 cases of squamous
cell carcinoma of the head and neck. Int J Radiat Oncol Biol Phys. 2010; 77(2):
430-7. Epub 2009 Sep 21.
50
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori testa-collo
Preservazione d’organo
Nei tumori della laringe e dell’ipofaringe, dati ormai consolidati indicano la
possibilità di effettuare un trattamento radio-chemioterapico con possibilità
equivalenti di controllo locale di malattia e di sopravvivenza rispetto alla chirurgia, ma con conservazione dell’organo e della sua funzione. In questi casi,
la chirurgia è riservata ai pazienti con residuo di malattia al termine del trattamento chemio-radioterapico o nel caso di recidiva di malattia.
Gli studi fino ad ora eseguiti hanno dimostrato un’efficacia sovrapponibile in
termini di preservazione d’organo tra chemioterapia d’induzione seguita da
radioterapia e chemioradioterapia concomitante in confronto alla radioterapia da sola, mentre la sopravvivenza globale a 5 anni è simile per tutte le modalità di trattamento.
Al fine di preservare l’organo, il trattamento di scelta è la chemioterapia
d’induzione secondo lo schema TPF (docetaxel 75 mg/mq g1, cisplatino
75 mg/mq g1, 5-fluorouracile 750 mg/mq/die gg 1-5, q21) per 3 cicli, seguito da rivalutazione strumentale: in caso di risposta parziale viene eseguito il trattamento chemio-radioterapico, altrimenti è raccomandata la
chirurgia.
Uno studio di fase III randomizzato che arruolava pazienti con tumori della
testa e del collo in fase avanzata non ha registrato nessuna differenza tra
CDDP-5FU vs CDDP-TAX.
L’iperespressione di EGFR è stata evidenziata in oltre il 90% dei carcinomi
squamosi della testa e del collo. Questa scoperta ha aperto la strada all’utilizzo degli inibitori di EGFR, come l’anticorpo monoclonale cetuximab. Degno
di nota è lo studio EXTREME, uno studio randomizzato di fase III che ha arruolato 442 pazienti con carcinoma squamoso ricorrente o metastatico.
Tale studio ha mostrato come l’aggiunta del cetuximab ad un regime con
CDDP/5FU o carboplatino/5FU ha migliorato la sopravvivenza mediana rispetto alla chemioterapia standard (10.1 mesi vs 7.4, P=.04). Anche i tassi
di risposta sono aumentati con la terapia con cetuximab (20% fino a 35%).
Vermorken et al, hanno inoltre dimostrato che i pazienti con stabilità di malattia che hanno ricevuto chemioterapia con cetuximab possono continuare
la terapia con biologico fino a tolleranza o progressione.
Bibliografia
• Vermorken JB, Trigo J, Hitt R, et al. Open-label, uncontroller, multicenter phase II
Bibliografia
• Lefebvre JL, Chevalier D, Luboinski B, Kirkpatrick A, Collette L, Sahmoud T. La-
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rynx preservation in pyriform sinus cancer: preliminary results of a European Organization for Research and Treatment of Cancer phase III trial. EORTC Head and
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•
•
•
•
Malattia metastatica
L’obiettivo del trattamento nei pazienti con malattia metastatica è la palliazione o il prolungamento della sopravvivenza. Le misure di palliazione si
estrinsecano in trattamenti radioterapici di regioni sintomatiche, radioterapia antalgica e trattamento locale di alcuni aspetti della malattia.
Ma per la maggior parte dei pazienti con malattia metastatica l’esclusivo
trattamento chemioterapico rappresenta il trattamento standard.
In ogni caso il trattamento standard del paziente metastatico dovrebbe
essere dettato da attenta valutazione del PS, tossicità legate al trattamento ed aspettativa di vita.
Sia la mono che la polichemioterapia sono ampiamente utilizzate. I tassi
di risposta relativi ad un trattamento con singolo agente vanno dal 15 al 35%.
Gli agenti chemioterapici che risultano attivi in monoterapia sono cisplatino,
carboplatino, taxol, taxotere, 5FU, methotrexate, ifosfamide, bleomicina, gemcitabina (per il carcinoma del rinofaringe) e cetuximab.
Schemi attivi di polichemioterapia includono:
• cisplatino o carboplatino, più 5FU e cetuximab
• cisplatino o carboplatino più taxano
• cisplatino con cetuximab
• cisplatino con 5FU.
Questi regimi raddoppiano la risposta rispetto alla monochemioterapia.
Trials randomizzati che mettevano a confronto regimi contenti cisplatino con
monochemiterapie hanno dimostrano tassi significativamente maggiori di
risposta nei bracci trattati con polichemioterapia platino-basate. Tuttavia non
si sono registrate differenze in termini di sopravvivenza globale.
Pagina
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•
study to evaluate the efficacy and toxicity of cetuxiamb as a single angent in patients with recurrent and/or metastatic squamous cell cardinoma of the head and
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51
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della tiroide
Criteri di appropriatezza clinica
ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up della neoplasia
della tiroide
Coordinatore: R. Bellantone
Linee guida SIE-AIMN-AIFM, 2004
Consensus statement European Thyroid Cancer Taskforce, 2006
Linee guida British Thyroid Association, 2007
Nodulo Tiroideo “Consensus Citologico” SIAPEC-IAP, 2007
2a Consensus Conference dell’Associazione delle Unità di Endocrinochirurgia Italiane (CLUB delle U.E.C.),
2002 aggiornato 2008
Linee guida American Thyroid Association, 2009
Thyroid nodule guideline AACE-AME-ETA, 2010
Hanno collaborato alla stesura del manoscritto:
R. Bellantone, A. Pontecorvi, A. Giordano, M. Salvatori, G. Fadda, S. Filetti,
M. D’Armiento, G. De Toma, A. Redler, E.o De Antoni, F. Nardi, M. Appetecchia, V. Toscano, F. Scopinaro,
C. Bellotti, P. Grilli, E. Papini, D. Lauro, A. Bellia, L.Gaspari, P. Marini, G.B. Grassi
G. Longo, M. Centanni, M. Sacchi, V. Rossi, E. Nanni, G. Argirò, C. Rabitti, A. Camaioni, D. Alberti
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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
INDICE
1.
2.
3.
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della tiroide
1. Carcinomi differenziati della tiroide
Carcinomi differenziati della tiroide
1.1 Introduzione
1.2 Percorso diagnostico
1.3 Intervento chirurgico
1.4 Valutazione postoperatoria
1.5 Fattori prognostici e sistemi di stadiazione
1.6 Trattamento con radioiodio
1.7 Terapia ormonale e trattamento con levotiroxina (LT4)
1.8 Terapia radiante esterna
1.9 Chemioterapia
1.10 Follow-up
1.11 Bibliografia
Pagina 55
Carcinoma midollare della tiroide
2.1 Introduzione
2.2 Percorso diagnostico
2.3 Trattamento chirurgico del CMT sporadico (SCMT)
2.4 Terapia radiante esterna e chemioterapia
2.5 Prognosi
2.6 Bibliografia
Pagina 60
Carcinoma anaplastico della tiroide
3.1 Terapia radiante esterna e chemioterapia
3.2 Bibliografia
Pagina 62
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1.1 Introduzione
Il carcinoma della tiroide è la forma tumorale più frequente tra le neoplasie
endocrine e rappresenta circa il 2% di tutti i tumori maligni.
L’incidenza del tumore della tiroide è in progressivo e significativo aumento:
in Italia vengono diagnosticati 2579 nuovi casi/anno tra le donne e 675 nuovi
casi/anno tra gli uomini.
Da un punto di vista anatomo-patologico, il carcinoma tiroideo viene classificato in diversi istotipi a seconda dell’epitelio di origine. I carcinomi tiroidei
differenziati (CTD), ovvero il carcinoma papillare e follicolare con i loro sottotipi, rappresentano gli istotipi più frequenti e originano dall’epitelio follicolare.
Altri sottotipi, includono il carcinoma midollare, derivante dalle cellule parafollicolari, e i carcinomi non differenziati come il carcinoma anaplastico, che
si ipotizza derivi dalla progressiva sdifferenziazione di carcinomi inizialmente
a partenza dall’epitelio follicolare.
Il carcinoma papillare, sia nella sua variante follicolare che in quella papillare
pura, è l’istotipo più frequente ed infatti rappresenta oltre l’80% delle neoplasie maligne della tiroide.
Benché i CTD siano efficacemente curabili, il loro trattamento e follow-up rimangono oggetto di controversia. Ciò è in parte dovuto all’assenza di evidenze cliniche di livello I o II (trials clinici prospettici randomizzati o
controllati), rese difficoltose dal protratto rischio di recidiva della neoplasia
e dalla sua bassa aggressività biologica. Infatti la maggior parte dei dati clinici riguardanti i CTD sono basati su evidenze di III e IV livello e, pertanto, desunte da ampi studi retrospettivi.
Al fine di perseguire un ottimale inquadramento diagnostico terapeutico dei
carcinomi tiroidei sarebbe auspicabile la costituzione di un team multidisciplinare di base costituito da un endocrinologo, un chirurgo endocrino, un medico nucleare e un anatomo-patologo, cui dovrebbero inoltre afferire anche
altri specialisti in diagnostica per immagini e personale infermieristico dedicato.
Obiettivi delle Linee Guida per il trattamento del CTD sono:
• stabilire dei criteri di appropriatezza diagnostica
• fornire criteri razionali e condivisi per migliorare la sopravvivenza e la
qualità di vita dei pazienti
• rendere più efficiente ed efficace l’iter diagnostico-terapeutico della malattia.
1.2 Percorso diagnostico
4.
Sistema di qualità della rete oncologica regionale
per i tumori della tiroide - maggio 2011
4.1 Sistema di qualità in chirurgia della tiroide
4.2 Sistema di qualità in endocrinologia
4.3 Sistema di qualità in medicina nucleare
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La diagnostica della patologia nodulare tiroidea deve essere essenziale e
mirata non solo alla definizione della malattia oggetto di studio, ma anche all’indicazione terapeutica. Può essere eseguita in regime ambulatoriale e prevede:
Esami di livello
Ecografia/Eco-color-doppler al fine di valutare:
• presenza, caratterizzazione morfologica e sede di noduli con caratteri
ecografici sospetti per malignità (pattern nodulare ipoecogeno, presenza
di microcalcificazioni intranodulari, assenza o interruzione della continuità dell’alone periferico di demarcazione, margini irregolari, pattern
vascolare sospetto, rapporto tra nodulo e capsula tiroidea) e pertanto
meritevoli di ulteriore approfondimento diagnostico con agoaspirato eco-
Pagina
guidato per esame citologico
• presenza di linfonodi locoregionali con caratteristiche sospette.
Esami ematochimici:
• TSH, fT4, Calcitonina, Ab-TG, Ab-TPO, Calcemia.
Esami di II livello
Esami ematochimici:
• fosforemia e PTH se presente ipercalcemia
• Ab r- TSH (in caso di sospetta patologia autoimmune e/o ipertiroidismo
funzionale).
Scintigrafia tiroidea:
• in presenza di tireotossicosi sub-clinica o clinica in pazienti con gozzo
nodulare all’ecografia
• on caso di sospetta ectopia o gozzo mediastinico, a fini di caratterizzazione tessutale
• on caso di nodulo con diagnosi di proliferazione follicolare all’esame citologico e TSH normale.
Esame citologico su Agoaspirato ecoguidato (FNAC):
• generalmente indicato in tutti i noduli solidi e “misti” ≥ 1.0 cm. In caso
di gozzo plurinodulare l’indicazione all’agoaspirato deve essere posta
non necessariamente per il nodulo dominante bensì per il nodulo con
caratteri ecografici più significativi ovvero sospetti (ipoecogeni, con microcalcificazioni interne e margini non definiti)
• nel caso di noduli con diametro ecografico compreso tra 0.5 ed 1.0 cm,
l’indicazione all’agoaspirato eco-guidato può essere posta nei seguenti
casi:
- in età pediatrica
- in soggetti con familiarità per carcinoma tiroideo
- in presenza di segni ecografici sospetti per malignità
- in caso di adenopatia loco-regionale sospetta per malattia metastatica
- in presenza di storia di pregressa irradiazione della regione cervicale.
In presenza di sospette metastasi linfonodali locoregionali, può essere eseguito il dosaggio della tireoglobulina nel liquido di lavaggio ottenuto dopo
FNAC.
E’ opportuno che l’agoaspirato sia eco-guidato e che l’adeguatezza del campione sia certificata nel referto.
Il referto citologico deve essere descrittivo e, ove possibile, porre una conclusione diagnostica inequivocabile, preferibilmente corredata da un codice
numerico che indica una categoria di lesioni omogenee per rischio di malignità ed opzione terapeutica (tabella 1).
Tabella 1. Nodulo tiroideo: “Consensus Citologico” SIAPEC-IAP,
2007
Classificazione italiana - TIR
TIR 1
Non diagnostico
<15%
TIR 2
Negativo per cellule maligne
60-75%
TIR 3
Indeterminato (Proliferazione Follicolare)
Rischio di malignità 20 %
20%
TIR 4
Sospetto di malignità
5%
TIR 5
Positivo per cellule maligne
5-15%
55
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Esami di III livello
Fibroscopia laringea:
E’ consigliabile l’esecuzione preoperatoria routinaria della fibroscopia laringea al fine di valutare l’integrità delle corde vocali e della loro motilità. Tale
indagine è indispensabile nelle seguenti situazioni cliniche:
• in presenza di disfonia;
• nei casi di reintervento per recidiva benigna o maligna;
• nel caso di voluminoso gozzo mediastinico;
• nel carcinoma tiroideo localmente avanzato.
TC/RM:
• gozzo intratoracico o con importante componente retrosternale;
• in caso di CTD localmente avanzato è preferibile utlizzare la RM al fine
di prevenire interferenze da m.d.c organoiodato nel caso di successiva
terapia con radioiodio.
1.3 Intervento chirurgico
Consenso Informato
E’ necessario che il chirurgo informi adeguatamente il paziente sulle indicazioni al trattamento chirurgico, le eventuali terapie alternative, i vantaggi attesi dall’intervento, i possibili rischi e complicanze, le eventuali terapie
riabilitative e sull’eventuale condizione clinica in caso di lesioni permanenti
postoperatorie.
L’informazione fornita deve avere i requisiti della chiarezza espositiva e della
esaustività delle notizie fornite.
E’ opportuno che le fasi dell’informazione e del consenso si svolgano già al
momento della prima visita e nuovamente in occasione del ricovero, al fine
di consentire al paziente un approfondimento delle informazioni ricevute e
l’eventuale acquisizione di referenze sulla struttura ospedaliera che dovrà
accoglierlo o sul chirurgo che dovrà operarlo.
E’ necessario che il consenso informato sia redatto per iscritto e ne rimanga
traccia in cartella clinica.
Chirurgia del tumore primitivo
Il trattamento chirurgico deve soddisfare i seguenti requisiti:
• maggiore radicalità possibile al fine di eliminare tutti i focolai tumorali
• tendere ad ottenere una guarigione chirurgica definitiva con bassa incidenza di recidive locali
• essere associato ad una bassa incidenza di complicanze postoperatorie.
Il trattamento chirurgico del carcinoma differenziato tiroideo si basa sulla tiroidectomia totale. Un intervento chirurgico conservativo (lobo-istmectomia)
può trovare una sua limitata indicazione nei casi di carcinoma papillare unifocale di diametro <1.0 cm diagnosticato in maniera incidentale, dopo completa informazione e consenso del paziente.
Il ricorso alla tiroidectomia totale è giustificato dall’elevata frequenza della
multifocalità e dalla possibilità di facilitare in tale maniera sia l’eventuale terapia con radioiodio che il successivo follow-up attraverso il dosaggio della
tireoglobulina.
Chirurgia delle metastasi linfonodali
Metastasi linfonodali loco-regionali alla diagnosi sono state documentate nel
20-90% dei pazienti affetti da carcinoma papillare della tiroide. L’impatto
prognostico del coinvolgimento metastatico del compartimento centrale (livelli VI-VII) nei casi a basso rischio viene ritenuto trascurabile, mentre nei
casi ad alto rischio recenti evidenze della letteratura sembrano dimostrare
che tale situazione rappresenti un fattore indipendente di rischio prognostico
predittivo di recidiva locale e di diminuita sopravvivenza (cfr paragrafo 5).
Pagina
A causa della bassa sensibilità e specificità delle tecniche di imaging oggi disponibili lo status linfonodale del compartimento centrale non sempre è correttamente stadiato in fase pre-operatoria. Inoltre anche la valutazione
intraoperatoria del compartimento centrale non sempre è in grado di escludere con certezza la presenza di metastasi linfonodali. Alla luce di questi dati
alcuni autori consigliano l’esecuzione routinaria, in molti casi profilattica,
della linfoadenectomia del compartimento centrale al fine di migliorarne la
stadiazione (N0 vs N1) ed il successivo iter terapeutico soprattutto in termini
di indicazione al trattamento con radioiodio.
La mancanza di studi prospettici randomizzati in grado di dimostrare un significativo vantaggio in termini di riduzione delle recidive locali e di aumento
della sopravvivenza assoluta nei pazienti sottoposti a linfoadenectomia profilattica del compartimento centrale, non permette di raccomandare l’esecuzione routinaria di tale trattamento, anche in considerazione
dell’aumentato rischio di ipoparatiroidismo e di lesioni ricorrenziali postoperatorie.
La linfadenectomia profilattica del compartimento centrale deve comunque
essere presa in considerazione nei pazienti considerati ad alto rischio e nei
casi di tumori localmente avanzati.
Nella grande maggioranza dei casi la linfoadenectomia del compartimento
centrale deve essere quindi terapeutica.
La linfadenectomia del compartimento latero-cervicale (livelli II-III-IV-V) omolaterale e/o controlaterale alla lesione deve essere eseguita solo in caso di
metastasi linfonodali documentate all’ecografia e/o con esame citologico e/o
con dosaggio della Tg sul liquido di lavaggio dell’agospirato e/o in caso di
metastasi linfonodali dimostrate dall’esame istologico estemporaneo nel
corso dell’esplorazione chirurgica.
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della tiroide
Tabella 2. Stadiazione TNM 7^ edizione (2010), Carcinoma Papillare e Follicolare della Tiroide
T1
Diametro del tumore ≤ 2cm, nella sua dimensione massima, limitato alla tiroide. (T 1a ≤ 1 cm, T1b > 1 cm)
T2
Diametro del tumore superiore a 2 cm ma inferiore a 4 cm, nella sua dimensione massima, limitato alla tiroide
T3
Tumore superiore a 4 cm nella sua dimensione massima, limitato alla tiroide o con minima estensione extratiroidea (p.e. estensione al muscolo sternotiroideo o ai tessuti molli peritiroidei)
T4a
Tumore di qualsiasi diametro esteso oltre la capsula tiroidea con invasione dei tessuti molli sottocutanei, laringe, trachea, esofago, nervo
laringeo ricorrente
T4b
Tumore che invade la fascia prevertebrale, i vasi mediastinici o infiltra l’arteria carotide
Tx
Diametro del tumore non noto, ma senza invasione extratiroidea
Nota: le categorie T1, T2 e T3 devono essere suddivise in (s) tumore singolo e (m) tumore multifocale. La lesione più grande determina la classificazione T. Tutti i carcinomi anaplastici sono considerati tumori T4.
Linfonodi regionali
N0
Non metastasi nei linfonodi regionali
N1a
Metastasi linfonodali del compartimento centrale (VI livello) (pretracheali, paratracheali inclusi i prelaringei e i linfonodi Delfici)
N1b
Metastasi linfonodali latero-cervicali (II-III-IV-V livello) omolaterali, bilaterali o controlaterali o mediastinici superiori (VII livello)
Nx
I linfonodi regionali non possono essere valutati
Metastasi a distanza
M0
Non metastasi a distanza
M1
Metastasi a distanza
Mx
Le metastasi a distanza non possono essere valutate
1.4 Valutazione postoperatoria
Nell’immediato post-operatorio tutti i pazienti sottoposti ad intervento chirurgico devono essere adeguatamente monitorati allo scopo di accertare
l’eventuale presenza di complicanze chirurgiche, come ad esempio ematoma cervicale, deficit ricorrenziali ed ipoparatiroidismo.
Il referto istologico deve essere valutato facendo particolare riferimento alle
dimensioni della neoplasia, all’istotipo e variante istologica, al grado di differenziazione, all’uni o multifocalità delle lesioni, alla monolateralità o bilateralità dei foci tumorali, alla presenza di angioinvasività, al superamento
della capsula tiroidea, all’infiltrazione delle strutture adiacenti, alla presenza,
sede e numero di metastasi linfonodali.
Tale valutazione deve consentire una stadiazione post-operatoria elaborata
utilizzando la classificazione TNM, successivamente integrata con il risultato
della eventuale scintigrafia corporea globale post-dose ablazione con 131I.
1.5 Fattori prognostici e sistemi di stadiazione
Nella gestione del CDT viene raccomandato di utilizzare sistemi di stratificazione del rischio a fini prognostici, allo scopo sia di decidere le strategie
terapeutiche post-chirurgiche, inclusa la terapia ablativa con 131I ed il grado
di terapia soppressiva con LT4, sia per definire modalità e frequenza del follow-up. I principali fattori prognostici utilizzati nel management del CDT sono
l’età, l’istotipo e l’estensione del tumore.
L’età al momento della diagnosi è uno dei fattori prognostici più importanti
nei pazienti con CDT. Il rischio di recidiva si correla con l’età, aumentando in
età adolescenziale e dopo i 45 anni.
Tuttavia in età pediatrica il CDT, pur essendo caratterizzato da un’aggressività più elevata con frequenti metastasi locoregionali e polmonari alla dia-
56
gnosi, mostra una prognosi ancora più favorevole di quella dell’adulto.
Per quanto riguarda l’istotipo, il carcinoma papillare mostra una prognosi
complessivamente migliore di quella del carcinoma follicolare. Tuttavia, se gli
effetti confondenti legati all’età ed all’estensione della neoplasia vengono
eliminati, la sopravvivenza del carcinoma papillare e quella del carcinoma follicolare minimamente invasivo appaiono analoghe. Nell’ambito del carcinoma papillare alcune varianti istologiche, come quella a cellule alte, la
variante colonnare e la sclerosante diffusa, sono associate ad una prognosi
più sfavorevole. In maniera analoga anche il carcinoma follicolare presenta
prognosi peggiore in caso di estesa invasività locale ed in presenza di varianti
istologiche scarsamente differenziate.
Il rischio di recidiva e quello di mortalità tumore-specifica sono correlati in
maniera significativa con le dimensioni del tumore, l’invasione extratiroidea,
la presenza di metastasi linfonodali e la presenza di metastasi a distanza.
L’importanza del fattore prognostico relativo all’estensione iniziale della neoplasia è sottolineato dal fatto che l’Unione Internazionale contro il Cancro
(UICC) e la American Joint Committee on Cancer (AJCC) hanno messo a punto
un sistema di stadiazione del carcinoma tiroideo basato sul sistema TNM
(tabella 2 e 3).
Tuttavia, mentre il sistema TNM si dimostra accurato nella previsione del rischio di recidiva nei pazienti con età superiore a 45 anni, nei soggetti di età
inferiore a 45 anni la suddivisione in due sole classi (stadio I e II) non fornisce uno strumento adeguato a tale scopo.
Per tale motivo, alcuni Autori hanno proposto sistemi di classificazione del rischio alternativi al TNM, come ad esempio quello riportato in tabella 4, che
generalmente stratificano i pazienti con CDT in alto, medio e basso rischio
di recidiva.
Pagina
Tabella 3. Stadiazione TNM 7^ edizione (2010), Carcinoma
Papillare e Follicolare della Tiroide
Stadio I
Qualsiasi T
Qualsiasi N
M0
Stadio II
Qualsiasi T
Qualsiasi N
M1
Stadio I
T1, N0, M0
Stadio II
T2, N0, M0
Stadio III
T3, N0, M0
T1-T3, N1a, M0
Stadio IVA
T4a, N0, M0
T4a, N1a, M0
T1-T3, N1b, M0
T4a, N1b, M0
Stadio IVB
T4b
Qualsiasi N
M0
Stadio IVC
Qualsiasi T
Qualsiasi N,
M1
Sotto i 45 anni
Oltre i 45 anni
57
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Tabella 4. Classificazione del rischio di recidiva nel CDT
Risk group definitions in differentiated carcinoma of the thyroid
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della tiroide
zione a chemioterapia con Doxorubicina a basse dosi, a scopo radiosensibilizzante e con finalità palliativa.
Nei soggetti non candidati all’intervento di asportazione chirurgica della metastasi o di stabilizzazione, la radioterapia esterna può essere utilizzata in
alternativa o in associazione alla terapia con radioiodio.
Low risk
Intermediate risk
Intermediate risk
High risk
Age (years)
<45
<45
>45
>45
Distant metastasis
M0
M+
M0
M+
1.9 Chemioterapia
T1, T2 (<4 cm)
T3, T4 (>4 cm)
T1, T2 (<4 cm)
T3, T4 (>4 cm)
Histology abd grade
Papillary
Follicular and/or high grade
Papillary
Follicular and/or high grade
5-year survival (%)
100
96
96
72
20-year survival (%)
99
85
85
57
L’uso aggiuntivo routinario della chemioterapia non ha alcun ruolo nella gestione dei pazienti con CDT. A tutt’oggi, non vi sono chiare e provate evidenze
scientifiche che supportino l’impiego della chemioterapia somministrata a fini
adiuvanti nel trattamento del CDT. La Doxorubicina potrebbe agire da agente
radiosensibilizzante in alcuni casi di CDT e il suo uso potrebbe essere preso
in considerazione per i pazienti con malattia localmente avanzata sottoposti
a radioterapia esterna (cfr. paragrafo 8).
La maggior parte degli studi che hanno valutato l’impatto della terapia sistemica nel CDT riguardano il trattamento della malattia metastatica polmonare non captante il radioiodio. Gli agenti citotossici tradizionali, quali la
Doxorubicina e il Cisplatino, sono in genere associati a risposte parziali in
meno del 25% dei casi; le remissioni complete sono osservate raramente e
la tossicità associata a questi farmaci è rilevante.
La Doxorubicina in monoterapia, unico trattamento approvato dalla US Food
and Drug Administration per il CDT metastatico, è solo occasionalmente efficace quando si utilizzano dosi appropriate (60-75 mg/m2 ogni 3 settimane),
sebbene le risposte durevoli siano rare. La maggior parte degli studi che utilizzano una combinazione di farmaci non dimostrano un aumento delle risposte rispetto alla monoterapia, ma dimostrano un aumento della tossicità.
Un recente studio ha valutato l’effetto della chemioterapia di combinazione
(Carboplatino ed Epirubicina), sotto stimolo del TSH (endogeno o rhTSH), dimostrando un tasso complessivo di risposta completa e parziale del 37%.
Recentemente, studi clinici di fase II suggeriscono che la terapia antiangiogenica possa produrre tassi di risposta parziale fino al 31% e percentuali di
stabilizzazione in un altro 40-50% dei pazienti con malattia metastatica progressiva. Benefici clinici della durata di almeno 24 settimane sono stati osservati in circa la metà dei pazienti.
Questi dati devono essere confermati prima di poterne raccomandare l’uso
routinario. Su tali farmaci non esistono al momento dati conclusivi tali da poterli includere in un protocollo terapeutico.
Tumor size
1.6 Trattamento con radioiodio
Trattamento ablativo
Con il termine trattamento ablativo con radioiodio (131I) si definisce la distruzione del tessuto tiroideo normale residuo dopo intervento chirurgico di tiroidectomia. Scopi del trattamento ablativo sono i seguenti:
• distruggere eventuali microfocolai tumorali presenti nel tessuto tiroideo
residuo, in maniera da ridurre il rischio di ripresa di malattia nella loggia tiroidea
• possibilità di eseguire una TxWBS
• facilitare il successivo follow-up aumentando l’accuratezza diagnostica
del dosaggio della Tg e della DxWBS.
L’indicazione al trattamento ablativo con radioiodio è argomento molto controverso. La bassa aggressività biologica, il lento decorso clinico della malattia e la conseguente assenza di studi prospettici randomizzati determinano
la mancanza di evidenze di I o II livello sulla capacità del trattamento con
131I di ridurre, in tutti i casi, le recidive e di migliorare la sopravvivenza.
Per tali motivi l’indicazione al trattamento ablativo viene posta in base a determinati fattori prognostici, classificando i pazienti in due categorie di rischio, ovvero basso e medio-alto rischio di recidiva.
Pazienti a basso rischio
Sono considerati a basso rischio i carcinomi papillari monofocali ed i carcinomi follicolari minimamente invasivi senza invasione vascolare, di dimensioni uguali o inferiori ad 1.0 cm, senza metastasi linfonodali o a distanza.
Vengono considerati tali anche i pazienti con multifocalità quando la somma
delle dimensioni dei singoli foci tumorali risulta inferiore ad 1.0 cm. In questi pazienti la prognosi dopo intervento chirurgico è cosi favorevole che ulteriori trattamenti non possono migliorarla in maniera significativa. In questi
casi il trattamento ablativo con 131I di routine non è indicato, considerando
gli inconvenienti di tipo pratico e psicologico per il paziente, il costo elevato
ed i rischi, rari ma non assenti, legati al trattamento.
Pazienti a rischio medio-alto
Vengono considerati a rischio medio-elevato i pazienti con CDT con stadiazione superiore al pT1aN0M0, le varianti aggressive del carcinoma papillare e
le neoplasie scarsamente differenziate in tutti gli stadi. In questi pazienti i
vantaggi del trattamento sono dimostrati ed è indicato il trattamento ablativo.
Sebbene la scelta dell’attività di 131I da somministrare per l’ablazione dei residui tiroidei sia argomento ancora controverso, la tendenza attuale è quella
di modulare l’attività da somministrare in base alla classe di rischio di appartenenza. E’ sconsigliato il frazionamento dell’attività in somministrazioni
multiple effettuate a distanza di pochi giorni l’una dall’altra.
Pagina
La verifica dell’efficacia ablativa (follow-up a breve termine) deve essere effettuata a distanza di 6-12 mesi dal trattamento con 131I attraverso DxWBS
e dosaggio della Tg dopo stimolazione esogena o endogena del TSH.
Trattamento delle metastasi
Il trattamento con radioiodio è indicato in tutti i pazienti con metastasi iodocaptanti a distanza, polmonari, ossee o localizzate in altre sedi. Il trattamento
risulta particolarmente efficace in caso di intensa capacità captante il radioiodio e per lesioni di piccole dimensioni. In caso di lesioni secondarie di
grandi dimensioni e scarsamente captanti il radioiodio vanno presi in considerazioni trattamenti alternativi, come ad esempio quello chirurgico o la radioterapia a fasci esterni.
1.7 Terapia ormonale e trattamento
con levotiroxina (LT4)
I CDT esprimono il recettore del TSH sulla superficie cellulare e rispondono
alla stimolazione con TSH aumentando la produzione di molte proteine tiroide-specifiche e incrementando la velocità di crescita cellulare.
Per tale motivo la soppressione del TSH con ormoni tiroidei esogeni viene
utilizzata per ridurre la progressione dei tumori e delle metastasi, diminuendo
la prevalenza di recidive e di mortalità tumore-specifica.
Si raccomanda di mantenere un valore di TSH inferiore a 0.1 mUI/ml nei pazienti a rischio medio o elevato, mentre nei pazienti a basso rischio, sottoposti o meno a trattamento ablativo, è sufficiente un valore di TSH pari o solo
lievemente inferiore al range di normalità (0.1- 0.5 mUI/ml).
1.8 Terapia radiante esterna
Nel trattamento del CDT il ruolo della radioterapia esterna è riservato soltanto
a casi particolari, con finalità palliativa o per malattia localmente avanzata o
non operabile. Il trattamento radiante è indicato in soggetti di età superiore
a 45 anni, sottoposti ad intervento chirurgico incompleto o con recidiva locale o nei casi con documentata infiltrazione delle vie aeree superiori, digestive o dei tessuti molli per i quali il trattamento con radioiodio risulta
inefficace. Benché l’efficacia della radioterapia esterna risulti controversa e
non sia stato documentato un vantaggio in termini di sopravvivenza assoluta,
in pazienti selezionati sottoposti a trattamento con dosi e modalità adeguate,
questo trattamento può rappresentare un buon metodo per il controllo locale della malattia con bassa incidenza di recidive locali.
Nei casi con estese recidive locali in cui non è possibile l’intervento chirurgico deve essere valutata l’opportunità di radioterapia esterna in associa-
58
un elevato grado di sorveglianza senza la necessità di eseguire una DxWBS.
Nei pazienti a basso rischio, eventualmente sottoposti a trattamento ablativo
e per i quali sia stata già verificata l’efficacia ablativa, si raccomanda di eseguire ecografia del collo e dosaggio della Tg a TSH soppresso a cadenza annuale. Nei pazienti a rischio medio o alto, sottoposti a trattamento ablativo e
per i quali è stata già verificata l’efficacia ablativa, si raccomanda di eseguire nei primi anni di follow-up ecografia del collo in associazione al dosaggio della Tg dopo stimolo esogeno con rhTSH. In presenza di negatività
del quadro ecografico e di valori indosabili di Tg stimolata negli anni successivi sarà sufficiente associare all’ecografia il dosaggio della Tg sierica
basale. Nel follow-up a lungo termine della maggior parte dei pazienti a
medio-basso rischio di recidiva si ricorre raramente all’uso di diagnostica
strumentale come TC, RM, DxWBS e PET. La PET con 18 F-FDG può essere
utilizzata nel follow-up dei pazienti che presentano elevati valori di Tg e
DxWBS / TxWBS negativi allo scopo di evidenziare la sorgente di Tg.
1.11 Bibliografia
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1.10 FOLLOW-UP
Scopo del follow-up è quello di verificare il mantenimento di una terapia ormonale adeguata alle caratteristiche del paziente, di identificare precocemente la comparsa di recidive e/o metastasi della malattia e di rilevare gli
eventuali effetti indesiderati tardivi della terapia con radioiodio.
Il follow-up deve essere diversificato in base alla categoria di rischio di appartenenza ed è distinto in follow-up a breve (verifica dell’efficacia ablativa)
e lungo termine. In tutti i pazienti il controllo deve essere continuato a vita
perché le recidive, anche se generalmente presenti nei primi anni del follow-up, possono comparire in tempi anche molto tardivi. Il valore del TSH e
dell’FT4 devono essere verificati a cadenza annuale o tutte le volte che viene
modificata la posologia della terapia ormonale. Il dosaggio della Tg deve essere effettuato secondo modalità indicate dalla relativa categoria di rischio,
deve sempre essere associato al dosaggio degli AbTg ed essere eseguito
sempre nello stesso centro. Nella maggioranza dei pazienti a basso rischio,
che non vengono sottoposti a trattamento ablativo, l'ecografia del collo eseguita da operatori esperti ed il dosaggio della Tg sierica basale assicurano
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2. Carcinoma midollare della tiroide
2.1 INTRODUZIONE
Il carcinoma midollare della tiroide (CMT) rappresenta il 5-10% di tutti i tumori
tiroidei. La maggior parte (circa il 75%) dei CMT sono sporadici, mentre il restante 25% dei casi di CMT è di tipo ereditario: il carcinoma midollare familiare
(fCTM) e le forme associate alle neoplasie endocrine multiple di tipo 2 (MEN2).
L’incidenza annuale di CMT è stimata intorno a 0,1-0,2/ 100.000. Il CMT origina dalle cellule C parafollicolari della tiroide, derivanti dalla cresta neurale. Le
cellule C parafollicolari secernono, primariamente, la calcitonina (CT), che rappresenta il marker più sensibile e specifico per la diagnosi e la gestione del
CMT.
Genetica
Sono state individuate talune mutazioni specifiche coinvolgenti il protoncogene
RET, responsabili dello sviluppo del CMT. Il test genetico del protoncogene RET
riveste, evidentemente, un ruolo primario nella diagnosi differenziale del CMT
sporadico dalle forme familiari.
Le forme sporadiche di CMT sono caratterizzate dalla presenza di mutazioni del
protoncogene RET a livello delle cellule somatiche che coinvolgono prevalentemente i codoni 918 e 768.
Nelle forme ereditarie di CMT sono note le seguenti mutazioni del gene RET a
carico della linea germinale:
• MEN2A: mutazioni del dominio extracellulare di RET a carico degli esoni
10 e 11, coinvolgenti i seguenti codoni: 609, 611, 618 e 620 di pertinenza
dell’esone 10, ed il codone 630 e 634 a carico dell’esone 11
• MEN2B: soprattutto mutazioni a carico del codone 918 (in circa il 90% dei
casi) dell’esone 16; tuttavia, sono state descritte altre mutazioni a carico
dei codoni 604, 806, 883, 922 dell’esone 15
• fCMT: sono presenti in circa il 50% dei casi mutazioni a carico dei codoni
618 o 620 dell’esone 10; sono state anche descritte mutazioni a carico dei
codoni 790, 791, 768, 804, 891 degli esoni 13-15.
E’ stata descritta una buona correlazione genotipo-fenotipo caratteristica di
ogni variante delle forme familiari di CMT derivante da mutazioni diverse del
gene RET, per quanto riguarda l'aggressività ed il tempo di insorgenza del carcinoma midollare della tiroide. Le diverse mutazioni, infatti, sono state classificate in quattro classi di rischio crescente sulla base dell’aggressività del MTC:
livello A, pazienti affetti principalmente da MTC familiare (mutazioni dell’esone
Pagina
13 [codoni 768, 790], esone 14 [codone 804] ed esone 15 [codone 891]), considerati a basso rischio, con comparsa della neoplasia in età adulta; livello B,
pazienti affetti da MTC principalmente nell’ambito di MEN2A (mutazioni dell’esone 10 [codoni 609, 611, 618, 620 ] ed esone 11 [codone 630]), considerati a rischio intermedio con esordio precoce della malattia ed indicazione ad
eseguire una tiroidectomia profilattica all’età di 5 anni; livello C, pazienti affetti
da MTC esclusivamente nell’ambito di MEN2A, con mutazione dell’esone 11
[codone 634], che condiziona l’insorgenza di forme più aggressive del MTC rispetto alle altre mutazioni delle MEN2A, con esordio prima dei 5 anni di vita (tiroidectomia profilattica entro il quinto anno di vita); livello D, pazienti con
presentano tipicamente la MEN2B (mutazioni dell’esone 15 [codone 883] ed
esone 16 [codone 918]) a più alto rischio di sviluppo precoce della neoplasia,
di evoluzione aggressiva del MTC con malattia metastatica anche alla diagnosi
(tiroidectomia profilattica entro il primo mese di vita).
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della tiroide
Test di stimolo della CT
Il test consiste nella somministrazione di sostanze stimolanti la secrezione della
calcitonina e nella successiva misurazione dei valori plasmatici di tale ormone.
I prelievi di sangue per dosare la CT vengono eseguiti 5 minuti prima (prelievo
basale di CT) e a 1, 2, 3, 5,10 minuti dopo l’iniezione di pentagastrina (0,5
mg/kg). Il test può essere eseguito anche con iniezione di calcio gluconato
(2mg/kg/min), oppure con iniezione di entrambe le sostanze contemporaneamente. Il risultato viene valutato in base al picco massimo nei prelievi successivi all’inizio del test. In accordo con il “Groupe d’etude des tumeurs” il valore
della calcitonina dopo stimolazione alla pentagastrina (sCT) viene definito normale, quando il picco massimo risulti essere inferiore a 30 pg/ml, mentre viene
considerato patologico quando il picco massimo è ≥ 100 pg/ml.
Ecografia tiroidea e delle logge cervicali
Analogamente a quanto specificato nel paragrafo 2, anche nel caso del CMT i
criteri ecografici che fanno sospettare la malignità della lesione sono: forma irregolare del nodulo, ipoecogenicità, presenza di margini spiculati, evidenza di
un’ecostruttura disomogenea e presenza di microcalcificazioni. Inoltre, l’ecocolor doppler, permette lo studio della vascolarizzazione della lesione neoplastica che, nella maggior parte dei casi presenta un pattern vascolare di tipo III
(vascolarizzazione intra e perinodulare).
Esame citologico su agoaspirato ecoguidato tiroideo e degli eventuali
linfonodi con caratteristiche di sospetto
L’agoaspirato con ago sottile è uno delle più accurate, sicure e utilizzate metodiche per la diagnostica delle patologie tiroidee. Papaparaskeva et al. hanno
evidenziato quelli che sono i più importanti criteri citologici indicativi di carcinoma midollare: pattern di cellule disperse, di aspetto poligonale o triangolare,
con granuli citoplasmatici azzurrofili e nuclei fortemente eccentrici con presenza di grossolani aggregati di cromatina granulare e amiloide. La sensibilità
della FNAB nella diagnosi di CMT è del 63%. In presenza di sospette metastasi linfonodali locoregionali, può essere eseguito il dosaggio della CT nel liquido di lavaggio ottenuto dopo FNAC.
2.3 TRATTAMENTO CHIRURGICO DEL CMT
SPORADICO (sCMT)
2.2 PERCORSO DIAGNOSTICO
Dosaggio della calcitonina sierica
La misurazione dei livelli plasmatici di calcitonina (CT) è di estrema importanza
nella diagnosi del CMT della tiroide. Le linee guida indicano come limite massimo del range di normalità della calcitonina plasmatica il valore di 10 pg/ml.
Pazienti con valori di calcitonina compresi tra 10 pg/ml e 20 pg/ml possono essere sottoposti a follow up (dosaggio della CT basale e FNAB di eventuali noduli tiroidei periodici). Per livelli di CT compresi tra 20 pg/ml e 100 pg/ml è
indicata l’esecuzione di test di stimolo della CT, utile nella diagnosi differenziale
tra il CMT e l’iperplasia a cellule C della tiroide. Valori di CT maggiori di 100
pg/ml sono fortemente sospetti di CMT della tiroide ed, in questi casi, è indicato l’intervento chirurgico. Sono state individuate delle situazioni patologiche
che possono essere alla base di rialzi aspecifici della CT (per es. insufficienza
renale cronica, tumori maligni neuroendocrini, ipercalcemia, ipergastrinemia,
tiroidite cronica linfocitaria, il fumo di sigaretta, ecc.) che devono essere escluse
nella corretta interpretazione dei livelli sierici di CT. La sensibilità del dosaggio
della sCT nella diagnosi del CMT è del 98%. Nel sospetto di CMT, il consensuale
dosaggio del CEA e della Cromogranina A, consente una più adeguata stratificazione biochimica della malattia e della classe di rischio del paziente nel preoperatorio, elementi fondamentali per avere un corretto approccio terapeutico.
60
Circa il 50-80% dei pazienti con CMT sporadico presenta metastasi linfonodali
al momento della diagnosi, che sono localizzate a livello del compartimento
centrale nella maggior parte dei casi.
L’approccio chirurgico di base nel trattamento del CMT sporadico (sCMT) è la
tiroidectomia totale associata sempre alla linfoadenectomia del compartimento
centrale (VI e VII livello).
La linfoadenectomia latero-cervicale omo- e/o bilaterale è indicata in tutti i
casi di sCMT nei quali vi sia il sospetto di malattia linfonodale metastatica a
questo livello. Negli altri casi l’atteggiamento non è univoco, dal momento che
alcuni Autori consigliano la linfoadenectomia latero-cervicale profilattica in tutti
i casi, altri ancora raccomandano la linfoadenectomia latero-cervicale terapeutica ed infine alcuni consigliano la linfoadenectomia latero-cervicale, qualora siano presenti metastasi nei linfonodi paratracheali omolaterali.
Trattamento dei pazienti con persistenza o recidiva di malattia
Circa il 50% dei pazienti con CMT va incontro a persistenza o recidiva di malattia dopo il primo intervento chirurgico.
Distinguiamo diverse situazioni cliniche:
• Pazienti con ipercalcitoninemia in assenza di lesioni ripetitive sia linfonodali che d’organo. In questi casi è indicato uno stretto follow-up, in quanto,
Pagina
•
•
la mancata evidenza strumentale di recidiva loco-regionale di malattia non
giustifica i rischi correlati ad un reintervento chirurgico
Pazienti con ipercalcitoninemia associata a lesioni ripetitive linfonodali e/o
segni di recidiva loco-regionale di malattia. In caso questo caso l’intervento chirurgico trova un’elettiva indicazione
Pazienti con ipercalcitoninemia associata a lesioni ripetitive sistemiche
(polmone, fegato osso). In questi casi sono indicati trattamenti alternativi
a quello chirurgico. Tuttavia, ad oggi, scarso effetto terapeutico sembrano
avere la terapia radiometabolica, la chemioterapia e la radioterapia.
2.4 TERAPIA RADIANTE ESTERNA E CHEMIOTERAPIA
La radioterapia esterna può trovare indicazione nel trattamento palliativo delle
metastasi ossee inoperabili. A tutt’oggi, i trials clinici disponibili riguardanti l’impiego di trattamenti chemioterapici integrati nel carcinoma midollare della tiroide persistente o recidivo hanno dimostrato una scarsa efficacia, con risposte
di breve durata e remissioni di malattia generalmente parziali ottenute in circa
il 10-20% dei casi. Gli agenti chemioterapici che si sono dimostrati più promettenti sono la Dacarbazina, il Fluorouracile e la Doxorubicina.
Attualmente sono in studio anticorpi monoclonali quali inibitori dell’attivazione
del protoncogene RET e altri inibitori dell’RTK, finalizzati a migliorare il trattamento non chirurgico del CMT, sebbene il reale impatto clinico sia a tutt’oggi
da confermare. Su tali farmaci non esistono al momento dati conclusivi tali da
poterli includere in un protocollo terapeutico.
2.5 PROGNOSI
La prognosi del Carcinoma midollare tiroideo è intermedia tra i tumori differenziati ed i tumori anaplastici della ghiandola tiroidea.
A differenza di altre neoplasie tiroidee come il carcinoma papillare, l’incidenza
e la mortalità sembrano non essere aumentate negli ultimi anni, nonostante il
miglioramento delle metodiche di screening e dei test genetici.
Nei casi di corretta applicazione delle metodiche chirurgiche definite nelle linee
guida, si ritiene che la sopravvivenza a 10 anni sia intorno al 75-85%.
Sono stati presi in considerazione come potenziali fattori prognostici diversi
elementi: clinici (età, stadiazione, tipo di CMT e sintomi), biochimici (calcitonina
sierica pre e post operatoria, CEA), genetici (mutazione del protoncogene RET).
Tuttavia, ad oggi, i più importanti fattori prognostici sono: età al momento della
diagnosi, invasione extraghiandolare del tumore, dimensione della neoplasia e
stadio della malattia alla diagnosi. Per la stadiazione dei pazienti si fa riferimento al sistema TNM (tabella 5).
Tabella 5. STADIAZIONE TNM 7^ edizione (2010).
Carcinoma Midollare della Tiroide
Stadio I
T1, N0, M0
Stadio II
T2, N0, M0
Stadio III
T3, N0, M0
T1-T3, N1a, M0
Stadio IVA
T4a, N0, M0
T4a, N1a, M0
T1-T3, N1b, M0
T4a, N1b, M0
Stadio IVB
T4b, qualsiasi N, M0
Stadio IVC
Qualsiasi T, qualsiasi N, M1
61
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
2.6 BIBLIOGRAFIA
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3. Carcinoma anaplastico della tiroide
E’ ampiamente noto e documentato in letteratura che il carcinoma anaplastico
della tiroide rappresenta una neoplasia altamente aggressiva associata ad una
prognosi infausta. Generalmente il quadro tipico di presentazione del carcinoma anaplastico della tiroide al momento della diagnosi è quello di una neoplasia con estesa infiltrazione loco-regionale e/o con metastasi a distanza, per
la quale le opzioni di trattamento rimangono limitate e controverse e, nella gran
parte dei casi, sono unicamente volte ad un intento palliativo finalizzato a migliorare la qualità di vita dei pazienti affetti. Inoltre, in considerazione della rarità e dell’aggressività intrinseca di questa neoplasia, i dati riportati in letteratura
riflettono esperienze retrospettive condotte su casistiche esigue di pazienti.
Tutti i carcinomi anaplastici della tiroide sono considerati stadio IV per convenzione (AJCC/UICC) (tabella 6).
Pagina
Tabella 6. STADIAZIONE TNM 7^ edizione (2010).
Carcinoma Anaplastico della Tiroide
Stadio IVA
T4a, qualsiasi N, M0
T4a- ca anaplastico intra-tiroideo
Stadio IVB
T4b, qualsiasi N, M0
T4b- ca anaplastico con estesa infiltrazione extra-tiroidea
Stadio IVC
Qualsiasi T, qualsiasi N, M1
I pazienti affetti da carcinoma anaplastico in stadio IVA possono essere considerati potenziali candidati per un trattamento multimodale che comprenda una
resezione chirurgica con intenti radicali. Lo stadio IVB (circa il 40-60% dei casi)
62
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della tiroide
comprende un gruppo eterogeneo di pazienti affetti da tumori che nella maggior parte dei casi non sono suscettibili di trattamento chirurgico, per i quali le
opzioni di trattamento sono estremamente controverse. Infine, i pazienti in stadio IVC sono considerati potenziali candidati per trials clinici o terapie palliative.
3.1 TERAPIA RADIANTE ESTERNA E CHEMIOTERAPIA
L’elevatissima aggressività locale e sistemica del carcinoma anaplastico, considerato per definizione allo stadio IV, relega la terapia radiante esterna all’indicazione di palliazione. Per quanto riguarda i chemioterapici, alcuni studi
raccomandano di considerare la Doxorubicina o il Paclitaxel in monoterapia o
in combinazione. Tuttavia queste evidenze si basano su dati limitati ed in fase
di validazione. In alcune esperienze è stata riportata l’integrazione della terapia radiante esterna con la chemioterapia, con risultati complessivamente deludenti, dato che l’associazione ha consentito di migliorare solo marginalmente
e non significativamente il risultato della sola irradiazione. Appaiono tuttavia interessanti, almeno nei presupposti, le esperienze che hanno utilizzato la terapia radiante esterna con schemi di frazionamento non convenzionali, in
associazione con chemioterapia. Tuttavia, la tossicità acuta dei regimi iperfrazionati o accelerati, associata alla chemioterapia (specie se con antracicline),
è molto elevata. E’ necessaria, quindi, estrema prudenza nel porre l’indicazione ad una condotta terapeutica aggressiva, specie tenendo conto del fatto
che, anche se si riuscisse ad ottenere una “radicalità” locale, la maggior parte
di questi pazienti morirebbe a seguito della diffusione sistemica.
Su tali farmaci non esistono al momento dati conclusivi tali da poterli includere
in un protocollo terapeutico.
3.2 BIBLIOGRAFIA
•
•
•
Ito K, Hanamura T, Murayama K, Okada TO, et al. Multimodality therapeutic outcomes in anaplastic thyroid carcinoma: improbe serviva in subgroups of patients
with localized primary tumours. Head and Neck, DOI 10.1002/hed.
Smallridge RC, Copland JA. Anaplastic thyroid carcinoma: pathogenesis and emerging terapie. Clinical Oncology 22:486-497, 2010.
Wein RO, Weber RS. Anaplastic thyroid carcinoma: palliation or treatment? Curr
Opin Otolaryngol Head and Neck Surg 19: 113-118, 2011.
4. Sistema di qualità della rete oncologica regionale per i tumori
della tiroide - maggio 2011
4.1 Sistema di qualità in chirurgia della tiroide
Considerazioni preliminari
Il Sistema di Qualità è uno strumento che si propone di descrivere i requisiti
organizzativi, strutturali e gestionali minimi per definire uno standard nell’ambito delle specifiche attività.
Tramite revisione della letteratura internazionale riguardante la chirurgia della
tiroide è stato possibile identificare in maniera inequivocabile i requisiti necessari per la definizione di:
• Chirurgo esperto ≥ 100 interventi tiroidei/anno
(Sosa & coll.; Stavrakis & coll.)
• High-volume center (HVC) ≥ 100 interventi tiroidei/anno
(Gourin CG & coll.; Lifante JC & coll.; Mitchell J & coll.; Pieracci FM &
coll.)
Inoltre la bibliografia internazionale mostra, nell’incidenza di complicanze
per interventi di chirurgia tiroidea, un range entro cui si concentrano la maggior parte dei dati specifici:
• lesione ricorrenziale definitiva
0.4-4.6 %
• ipoparatiroidismo definitivo
0.2-7.2 %
• emorragia post-operatoria
0.5-4.0 %
Esiste, peraltro, una relazione evidente tra il “volume” di casi trattati per patologia tiroidea e la riduzione delle complicanze postoperatorie, dei re-interventi “evitabili” per patologia maligna e dei costi complessivi della degenza.
In particolare:
• è documentata una relazione statisticamente significativa tra l’aumento
dell’esperienza dell’operatore e la riduzione delle complicanze intervento-specifiche (Sosa & coll.; Stavrakis & coll., Gourin CG & coll.)
• l’aumento del volume del centro è associato ad una riduzione del numero di
re-interventi “evitabili” per patologia maligna (11% nei centri con >20 interventi/anno vs 56% nei centri con < 20 interventi/anno) (Mitchell J. & coll.)
• esiste una relazione statisticamente significativa tra l’aumento del vo-
Pagina
lume dell’operatore e la riduzione dei costi. In particolare è stata osservata una maggiore riduzione dei costi relativi alla ptologia maligna se
“Surgeon Volume” > 100 interventi/anno (Sosa & coll.; Stavrakis & coll.).
Infine, i dati raccolti hanno mostrato una relazione tra percentuale di casi di
cancro tiroideo trattati e hospital/surgeon volume: centri con alto volume e chirurghi esperti trattano una percentuale di casi di cancro tiroideo ≥ 30% (range
31-37.3%) sul numero totale dei pazienti con patologia tiroidea operati.
Raccomandazioni
Sulla base di quanto finora esposto, con accordo unanime dei partecipanti
alla Rete Oncologica Regionale per i Tumori della Tiroide, si raccomanda
che il tasso di complicanze “accettabile” per un centro di riferimento di
chirurgia della tiroide possa essere:
• lesione ricorrenziale definitiva
≤ 1,5%
• ipoparatiroidismo definitivo
≤ 3,0%
• emorragia post-operatoria
≤ 2,0%
Si raccomanda, inoltre, che nell’ambito della Rete Oncologica Regionale, e più
in generale in un sistema di qualità in chirurgia, i seguenti interventi siano inviati presso centri di chirurgia della tiroide ad alto flusso:
• carcinoma tiroideo recidivo
• carcinoma midollare della tiroide
• carcinoma localmente avanzato
• necessità di eseguire linfoadenectomia del compartimento centrale e/o
latero-cervicale (casi ad alto rischio, sospetto preoperatorio di linfonodi
metastatici)
• gozzo mediastinico
• linfoma tiroideo
• metastasi a localizzazione tiroidea
• reintervento in loggia tiroidea
• neoplasie tiroidee in età pediatrica
63
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Bibliografia
• Boudourakis LD. Evolution of the surgeon-volume, patient-outcome relationship.
•
•
•
•
•
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•
Annals of Surgery 2009; 250(1): 159-65.
Gourin et al. Volume-based trends in thyroid surgery. Archives of Otolaryngology- Head and Neck Surgery. 2010; 136(12): 1191-1198.
Lifante JC, et al. Hospital volume influences the choice of operation for thyroid
cancer. British Journal of Surgery. 2009 Nov.
McHenry CR, et al. Patient volumes and complications in thyroid surgery. Brithish Journal of Medicine 2002; 89: 821-823.
Mitchell J, et al. Avoidable reoperations for thyroid and parathyroid surgery: effect of hospital volume. Surgery, December 2008.
Pieracci FM, et al. Effect of hospital volume of thyroidectomies on outcomes following substernal thyroidectomy. World Journal of Surgery 2008; 32: 740-746.
Sosa JA, et al. The importance of surgeon experience for clinical and economic
outcomes from thyroidectomy. Annals of Surgery 1998; 228: 320-330.
Stavrakis. Surgeon volume as a predictor of outcomes in inpatient and outpatient
endocrine surgery. Surgery 2007; 142: 887-899.
4.2 Sistema di qualità in endocrinologia
Considerazioni preliminari
Il Sistema di Qualità è uno strumento integrato che si propone di descrivere
i requisiti organizzativi, strutturali e gestionali minimi per definire uno standard di qualità all’interno di unità di endocrinologia che si occupino della diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della tiroide.
Nella gestione del paziente affetto da carcinoma della tiroide un ruolo importante è rivestito dalla struttura di Endocrinologia, in quanto essa lo accompagna in diverse fasi della sua malattia (diagnosi e indicazione
terapeutica, gestione post-chirurgica del paziente operato, follow-up postchirurgico e/o post-ablativo).
Durante tale percorso, la struttura di Endocrinologia si rapporta con le altre
specialità coinvolte nel trattamento di questa malattia, al fine di ottimizzare
la gestione d’insieme del paziente. Pertanto è necessario che all’interno di
queste strutture vi sia un network/centro multidisciplinare dedicato (che includa endocrinologo, chirurgo endocrino, cito/istopatologo, medico nucleare,
laboratorista, genetista/biologo molecolare, radiologo), al fine di ottimizzare
la Qualità nella diagnosi, terapia e follow up del carcinoma tiroideo (figura 1).
Un Centro di riferimento per l’Endocrinologia è imperniato sulla presenza di
endocrinologi che abbiano ampia esperienza nella gestione clinica del nodulo
e del carcinoma tiroideo. Il Centro dovrebbe valutare in regime ambulatoriale almeno 3000 pazienti/anno affetti da tireopatia e deve potersi avvalere
di ecografisti dedicati alla diagnostica per immagini della tiroide e del collo.
Si definisce ecografista esperto un medico che esegua almeno 1000 ecografie cervicali/anno.
Il passo successivo nella diagnostica dei carcinomi della tiroide, a fronte di
una adeguata selezione dei noduli meritevoli di approfondimento citologico
mirato, è l’esecuzione dell’agoaspirato tiroideo ecoguidato (FNAB). Un Centro di riferimento deve adottare un sistema di reporting standardizzato e certificato (preferibilmente SIAPEC/IAP 2007 per poter comparare i parametri
di efficacia). E’ ampiamente dimostrato in letteratura che la percentuale di
campioni inadeguati e di falsi-negativi si riduce all’aumentare dell’esperienza
degli operatori (endocrinologo, citologo, ecc.), e pertanto un Centro di riferimento deve effettuare almeno 500 FNAB/anno e i referti non diagnostici non
dovrebbero essere superiori al 15% (SIAPEC/IAP 2007; AACE/AME/ETA Guidelines 2006).
Un Centro di riferimento deve avere una rete garantita dalla collaborazione
con:
• Centro di Chirurgia della tiroide ad alto flusso, che esegua almeno 100
tiroidectomie/anno, e di queste almeno il 30% con istologia deponente
per carcinoma della tiroide.
• Centro di Medicina Nucleare che abbia posti letto in degenza protetta
per la somministrazione della terapia radiometabolica con radioiodio.
Nel follow up del carcinoma tiroideo operato riveste un ruolo centrale il dosaggio della tireoglobulina, che assieme all’ecografia del collo costituisce il
metodo più sensibile per identificare una recidiva del carcinoma.
Pertanto deve sempre essere possibile disporre di tecniche di dosaggio ultrasensibili di questo marcatore e dotarsi di un rigido sistema di controllo
della qualità sia interno che esterno (VEQ).
Un Centro di riferimento dovrebbe inoltre essere dotato di una Unità di Endocrinologia con possibilità di erogare farmaci con rimborso in file F (i.e.:
Figura 1. Flow chart paziente con nodulo tiroideo
Valutazione chirurgica
Intervento chirurgico
Esame istologico
Valutazione nodulo tiroideo
(ecografia, FNAB)
Tumefazione del collo
Familiarità
Riscontro occasionale
Valutazione MMG
Visita endocrinologica
Test genetici
Imaging di II livello
Valutazione medico-nucleare
Follow up
(eco collo, tireoglobulina, WBS)
Ablazione
Pagina
64
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della tiroide
rhTSH), per poter eseguire valutazioni della tireoglobulina dopo stimolo con
rhTSH nel follow-up del carcinoma tiroideo, e dovrebbe disporre della PET
quale metodica di imaging di II livello.
Raccomandazioni
Sulla base di quanto sopra esposto, si raccomanda che un Centro di riferimento preveda:
• la presenza di un centro integrato esclusivamente dedicato alla patologia neoplastica della tiroide
• l’esecuzione di > 500 agoaspirati della tiroide/anno
• l’effettuazione di 500-1000 ecografie cervicali/anno
• la gestione di > 300 nuovi casi e controlli per carcinoma della
tiroide/anno.
4.3 Sistema di qualità in medicina nucleare
Considerazioni preliminari
L’allestimento di un programma di assicurazione di qualità per la terapia con
radioiodio del carcinoma tiroideo deve considerare aspetti di radioprotezione
(per il paziente, lo staff e la popolazione) e di scelta dell’attività da somministrare. Da un punto di vista generale tale programma deve contemplare la
valutazione dei processi operativi, la gestione delle apparecchiature per imaging e dosimetria e gli aspetti di qualità relativi alla preparazione del radiofarmaco.
Per quanto riguarda i processi operativi è opportuno fare riferimento al documento “Linee Guida per il Miglioramento della qualità nelle Strutture di
Medicina Nucleare” prodotto da AIMN nel 2005.
Per gli aspetti di qualità nella gestione delle apparecchiature per imaging e
dosimetria e per quelli relativi alla qualità nella preparazione dei radiofarmaci è necessario fare riferimento, rispettivamente, alle raccomandazioni e
linee guida pubblicate ed alle Norme di Buona Preparazione in Medicina Nucleare (NBP-MN).
Criteri e indicatori di qualità
Il primo processo operativo da sottoporre a controllo di qualità è la fase di valutazione della proposta di trattamento avanzata dal prescrivente ed esaminata dallo specialista nel corso della visita medico nucleare pretrattamento.
Nel corso della visita viene esaminata la documentazione clinica utile a porre
la giustificazione al trattamento (DL187/00 art. 3).
La possibilità che un trattamento con radionuclidi per via sistemica possa
indurre effetti deterministici e aumenti la probabilità di quelli stocastici obbliga lo specialista a valutare la giustificazione in maniera accurata, considerando attentamente gli aspetti di ordine etico, economico, di
appropriatezza e di sicurezza del paziente (Dlvo 187/00 art. 3).
Come noto, il processo di giustificazione consiste nel valutare se i “potenziali
vantaggi” di una esposizione medica superano “il danno alla persona” che
l’esposizione stessa potrebbe causare, analizzando la procedura da mettere
in atto sia alla luce della “Giustificazione Generale della Pratica” che in termini di “Giustificazione Individuale della Pratica”.
Mentre il primo tipo di giustificazione deve rispondere a quanto indicato da
Linee Guida, Raccomandazioni e Consensus Conference emanate dalle Società Scientifiche, la giustificazione individuale avviene rapportando le indicazioni generali al caso clinico in questione.
In tale ambito è necessario considerare anche vantaggi e limiti di terapie alternative che non comportano esposizione o comportano minor esposizione
a radiazioni ionizzanti. La pianificazione operata secondo principi di qualità
deve tener conto delle modalità di esecuzione in regime ambulatoriale o di
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degenza protetta secondo quanto previsto dalla normativa vigente
(DL187/00, all. I, parte II, punto 7), dell’autorizzazione all’impiego ed alla detenzione annua e settimanale del radionuclide indicato per il trattamento.
In caso di trattamento effettuato in regime di ricovero protetto deve essere
valutata la disponibilità di posti letto e l’eventuale loro differente tipologia in
relazione alle caratteristiche cliniche del paziente.
La lista di attesa, in formato elettronico o cartaceo, deve essere sempre accessibile in ottemperanza ai principi di trasparenza richiesti dalla legislazione corrente. In fase di accettazione del paziente deve essere effettuata una
approfondita anamnesi, verificata e raccolta la documentazione clinica in
possesso del paziente, vengono eventualmente eseguite ulteriori indagini
diagnostiche pretrattamento ed effettuato per tutte le donne in età fertile test
di gravidanza preferibilmente per via ematica. La fase di scelta dell’attività
e di somministrazione del trattamento deve rispondere a criteri di qualità di
ordine clinico e radioprotezionistico.
La scelta dell’attività deve rispondere ai criteri di ottimizzazione esplicitamente richiesti dalla Direttiva Europea 97/43 MED e recepiti nel DL187/00
(Art. 4, comma 1). Lo specialista responsabile del reparto di degenza dimette
il paziente previa valutazione del rispetto delle prescrizioni ad esso fornite.
Al paziente devono essere consegnate prescrizioni di ordine diagnosticoterapeutico oltre alle obbligatorie informazioni ed istruzioni scritte di ordine
radioprotezionistico.
Queste riguardano in particolare il tempo di permanenza e distanza dagli
altri da parte del paziente, il suggerimento di evitare luoghi molto affollati o
eventi sociali, quello di ridurre l’impiego dei mezzi di trasporto pubblico, l’attento uso dei servizi igienici, i contatti con donne in gravidanza e bambini,
l’indicazione ad evitare gravidanza o paternità per 4-6 mesi, interrompere
l’eventuale allattamento al seno (in caso di radioiodio), dormire in camere
diverse o separare i letti, ripresa del lavoro in funzione dell’occupazione professionale ed il comportamento da seguire in caso di ricovero d’urgenza. La
fase di dimissione viene accompagnata dalla consegna al paziente della lettera di dimissione che deve contenere indicazioni terapeutiche e consigli sul
follow-up e dall’archiviazione del referto con chiusura della pratica amministrativa. Il DL 187/00 richiede in maniera esplicita che la fase di sorveglianza
post-trattamento venga effettuata anche dal medico specialista allo scopo di
verificare il risultato clinico e come forma di controllo dell’insorgenza di eventuali danni di tipo deterministico o stocastico.
Controllo di qualità delle apparecchiature per imaging e dosimetria
Per applicazioni in ambito terapeutico (acquisizione di dati per calcoli dosimetrici ed immagini ottenute con attività terapeutiche), le comuni apparecchiature utilizzate in medicina nucleare (calibratori di dose, sonde per
rilevazione esterna, gamma camere) presentano, per quanto riguarda i comuni controlli di qualità, problematiche specifiche.
I calcoli quantitativi necessari a fini dosimetrici e l’elevato flusso fotonico
dovuto all’elevata energia dello 131I aprono problematiche di controllo di
qualità diverse da quelle presenti in ambito diagnostico. In caso di contemporanea rilevazione scintigrafica whole body in anteriore e posteriore, tecnica
frequentemente utilizzata dopo somministrazione di attività terapeutiche, è
essenziale verificare l’uniforme velocità di scansione delle due testate della
gamma camera. Il controllo di qualità della risoluzione e della linearità spaziale in modalità intrinseca deve essere effettuato utilizzando un fantoccio a
barre a quattro quadranti, valutando la capacità di distinguere le diverse fenditure di ogni quadrante.
Un problema molto frequente nella quantificazione a scopo dosimetrico effettuata su immagini acquisite dopo somministrazioni di attività terapeutiche
è quello del tempo morto, che determina saturazione della capacità di con-
65
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
teggio ed ampia sottostima dei conteggi reali e difficoltà per la quantificazione della dose. In letteratura sono stati proposti diversi possibili rimedi,
come la schermatura del detector con pannelli di piombo di 6,4 mm di spessore, l’uso di sorgenti standard per misurare l’avvenuta perdita di conteggi
e l’impiego del calcolo preliminare con curva di count rate su fantoccio e
l’impiego di immagini planari whole-body di tipo step and shot con compensazione, attraverso adeguato programma, delle discontinuità delle immagini tra due adiacenti campi di vista dovute alla differente perdita di
conteggio da tempo morto.
Aspetti di qualità relativi alla preparazione del radiofarmaco
La qualità nella preparazione dei radiofarmaci utilizzati in terapia deve essere
assicurata in base a quanto previsto dalle NBP-MN.
Il radioiodio, utilizzato nella diagnostica e terapia del carcinoma differenziato
della tiroide, viene classificato come radiofarmaco già pronto per l’uso, in
possesso di autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) e commercializzato in conformità al DM 13 dicembre 1991. E’ un prodotto industriale finito, distribuito in forma di soluzione o capsule per uso orale o soluzione
iniettabile, per il quale valgono le modalità di preparazione relative alle preparazioni già pronte per l’uso.
Bibliografia
• Maffioli L, Mazzuca N, Rota G, Salvo D, Silvestri M. Linee Guida per il Migliora•
•
•
•
•
•
•
Raccomandazioni
Sulla base di quanto finora esposto, si raccomanda:
• l’esecuzione della scintigrafia con attività terapeutica di radioiodio
(TxWBS) anche il giorno della dimissione dalla degenza protetta
• l’adozione di una soglia di 30 µSv/h/m, corrispondente a circa 16 mCi di
131I ritenuti, come criterio di dimissione del paziente dalla degenza protetta.
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare
•
•
mento della qualità nelle Strutture di Medicina Nucleare. AIMN, 2005.
EANM Physics Committee, Busemann Sokole E, Płachcínska A, Britten A; EANM
Working Group on Nuclear Medicine Instrumentation Quality Control, Lyra Georgosopoulou M, Tindale W, Klett R. Routine quality control recommendations
for nuclear medicine instrumentation. Eur J Nucl Med Mol Imaging 2010; 37:
662-71.
Busemann Sokole E, Płachcínska A, Britten A; EANM Physics Committee. Acceptance testing for nuclear medicine instrumentation. Eur J Nucl Med Mol Imaging 2010; 37: 672-81.
Zanzonico PJ. Routine quality control of clinical nuclear medicine instrumentation: a brief review. J Nucl Med 2008; 49: 1114- 31.
Soloke EB. IAEA Quality Control Atlas for Scintillation Camera Systems, 2003 [Internet]. Available at: http://www.iaea.org/books.
IAEA Human Health Series. Quality assurance for PET and PET/ TCX Systems
[Internet]. Available at: http://www.iaea.org/books.
Norme di buona preparazione dei radiofarmaci in medicina nucleare. Primo supplemento alla XI edizione della Farmacopea ufficiale della Repubblica italiana,
DM 30 marzo 2005. G.U. n.168, 21.7.2005
Linee Guida SIE-AIMN-AIFM per il trattamento e follow-up del carcinoma differenziato della tiroide (2004) [Internet]. Disponibile all’indirizzo: www.aimn.it/pubblicazioni
Pubblicazione ICRP 94. Dimissione dei pazienti trattati con radionuclidi non sigillati (AIFM). Genova: Omicron Editrice; 2006.
Chiesa C, Negri A, Alberini C, Azzeroni R, Setti E, Mainardi L, et al. A practical
dead time correction method in planar activity quantification for dodimetry during
radionuclide therapy. Q JNucl Med Mol Imaging 2009; 53: 658-70.
Criteri di appropriatezza clinica
ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up
del carcinoma polmonare
Coordinatore: Massimo Martelli
F. Coloni, F. Facciolo, P. Granone, M. Martelli, C. Mineo, E. Rendina,
A. Ceribelli, E. Cortesi, F. De Marinis, F. Longo, O. Martelli, I. Pavese, M. Rinaldi,
V. Donato, E.R. Maurizi, A. Mirri, E. David, P. Ialongo,
T. Faraggiana, P. Graziano, G. Galluccio
Pagina
66
Pagina
67
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
INDICE
1. Introduzione
1.
Introduzione
Pagina 69
2.
Diagnosi e Stadiazione
2.1 Identificazione, caratterizzazione
2.2 Valutazione di estensione di malattia
2.3 Stadio e “Risk assessment”
2.4 Criteri di diagnosi, di stadiazione istologica e indagini molecolari
Pagina 69
Carcinoma del polmone non a piccole cellule (NSCLC)
3.1 Trattamento della malattia “early stage”
3.2 Trattamento della malattia localmente avanzata
3.3 Trattamento della malattia avanzata
3.4 Trattamento di II linea e successive
3.5 Pazienti anziani o con PS2
3.6 Valutazione delle Risposte e Follow-up
3.7 Ricanalizzazione delle vie aeree
3.8 Chirurgia del IV stadio (metastasi solitaria)
3.9 Follow-up del paziente radicalmente operato
Pagina 74
4.
Carcinoma del polmone a piccole cellule (SCLC)
Pagina 79
5.
Valutazione delle Attività per Accreditamento ed Eccellenza
5.1 Chirurgia
5.2 Terapia medica
5.3 Radioterapia
5.4 Endoscopia
5.5 Patologia Molecolare
5.6 Radiodiagnostica
5.7 Counselling psicologico e/o psichiatrico
Pagina 80
Bibliografia
Pagina 86
3.
6.
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare
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Pagina 70
Pagina 72
Pagina 74
Pagina 74
Pagina 77
Il gruppo di lavoro ha preso come riferimento ed approvato, apportando alcune modifiche ed aggiornamenti, il documento “Quaderni del Ministero della
Salute: Criteri di appropiatezza diagnostico terapeutica – Le neoplasie polmonari”, n° 2 marzo-aprile 2010.
Incidenza e mortalità
Il carcinoma polmonare è divenuto nel corso del 20° secolo uno dei principali problemi socio-sanitari dei paesi industrializzati, ed è destinato a diventarlo nei paesi in via di sviluppo.
Negli ultimi decenni anche a causa del diffondersi anche nel sesso femminile dell’abitudine tabagica, l’incidenza della malattia fra le donne è andata
progressivamente aumentando, così che il rapporto d’incidenza fra maschi
e femmine è passato dal 5:1 di circa 20 anni fa all’attuale 2.5:1. In Italia
muoiono per carcinoma polmonare circa 35.000 persone all'anno (circa
27.000 uomini e 6.000 donne), rappresentando la prima causa di morte on-
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Pagina 78
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2. Diagnosi e stadiazione
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Pagina 79
Pagina 80
Pagina 80
Pagina 80
Pagina 81
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Pagina 85
Le neoplasie polmonari rappresentano un problema oncologico dominante,
caratterizzato dalla ridotta percentuale di pazienti guaribili. I pazienti che attraversano una fase in cui la malattia si può considerare passibile di trattamento devono poter usufruire di un rapido accesso alla diagnosi e ai
trattamenti integrati più efficaci. Per i pazienti con malattia avanzata devono
essere disponibili cure palliative e assistenza continua. Tradizionalmente la
gestione dei pazienti con sospetto carcinoma polmonare è caratterizzata da
una sequenza di accertamenti e visite di diversi specialisti con tempi lunghi,
valutazione frammentaria e scarsamente coordinata, cui seguono spesso
decisioni inappropriate.
Per tali ragioni il carcinoma polmonare deve essere affrontato in modo multidisciplinare sin dall’esordio e conseguentemente, ogni singolo caso, indipendentemente dallo stadio iniziale, deve essere valutato nell’ambito di un
gruppo interdisciplinare di cure, che per il carcinoma polmonare prevede la
presenza di pneumologo, radiologo, medico nucleare, chirurgo toracico, anatomopatologo, radioterapista, oncologo clinico, e specialista di cure palliative.
A seconda di specifiche necessità può essere richiesta la presenza del genetista e del fisiatra.
E’ preferibile che la maggioranza di queste figure professionali insistano fisicamente nella medesima struttura. Ai fini terapeutici continua ad essere
considerato separatamente l’approccio per il carcinoma polmonare non a
piccole cellule (80% dei carcinomi polmonari) da quello del carcinoma polmonare a piccole cellule (20%).
2.1 Identificazione, caratterizzazione
Nel SOSPETTO CLINICO DI NEOPLASIA POLMONARE (es. paziente con emoftoe) l’esame di prima istanza (grado d raccomandazione g.r. A) è rappresentato dalla radiografia del torace eseguita nelle due proiezioni ortogonali (PA
e LL). L’esame radiografico può risultare negativo, pur in presenza di cellule
neoplastiche nell’escreato bronchiale, o con un quadro diverso a seconda
Pagina
68
cologica negli uomini e la seconda nelle donne. Va sottolineato come oltre un
terzo delle nuove diagnosi di carcinoma polmonare sono poste in individui di
età > 70 anni di età.
L’innegabile progresso dei mezzi diagnostici non ha sostanzialmente mutato
la storia naturale del tumore: più dei due terzi dei casi ha già interessamento
linfonodale loco-regionale o metastasi a distanza al momento della diagnosi,
la sopravvivenza complessiva a 5 anni si assesta intorno al 15% negli Stati
Uniti e 10% in Europa, restando sostanzialmente invariata nel corso degli ultimi 15 anni. In considerazione del ruolo predominante del fumo di tabacco
quale fattore eziologico, campagne antifumo e programmi di counseling per
fumatori dovrebbero essere considerate quali parte di un processo integrato
assistenziale. Pur in assenza al momento attuale di evidenza comprovata
circa modalità di diagnosi precoce, la ricerca clinica in questo settore dovrebbe costituire, in senso lato, uno di principali obiettivi dei centri di eccellenza.
Pagina
della sede della neoplasia: la neoplasia endobronchiale può caratterizzarsi
per atelettasia parziale o completa di un lobo o dell’intero polmone; la neoplasia intraparenchimale si presenta come nodulo (diametro compreso tra 1
e 3 cm) o massa polmonare (diametro maggiore di 3 cm).
L’esame di seconda istanza (g.r. A) è rappresentato dalla TC del torace che
presenta valori di sensibilità maggiori nella identificazione di lesioni polmonari di piccole dimensioni ma espone il paziente ad una maggiore dose di radiazioni ionizzanti.
Nella CARATTERIZZAZIONE DI UN NODULO POLMONARE SOLITARIO (lesione
focale del diametro massimo compreso tra 1 e 3 cm parzialmente circondata
da parenchima polmonare aerato) l’esame radiografico del torace è in grado
di caratterizzare correttamente un nodulo polmonare solo se interamente
calcifico, espressione di pregresso processo flogistico specifico (g.r. C).
L’esame più accurato è rappresentato dalla TC del torace (g.r. A) eseguita
con somministrazione ev di mdc (tabella 1); tale metodica è in grado di determinarne:
• le caratteristiche morfologiche
• la densità (presenza di calcio, grasso ed enhancement contrastografico)
• la velocità di crescita.
Un valore di enhancement > 30 UH calcolato ad 1, 2, 3 e 4 minuti dall’inizio
dell’infusione ev di mdc come riferimento per la diagnosi di malignità della
lesione ha elevati valori di sensibilità, specificità, accuratezza (98%, 58%,
77%) ed un elevato VPN. Nella caratterizzazione di nodulo polmonare solitario (NPS), la PET/TC ha elevata accuratezza diagnostica nella caratterizzazione di noduli maligni > 1 cm, che presentano accumulo di FDG superiore
all’attività vascolare nel mediastino.
La broncoscopia è l'esame che permette, mediante la biopsia transbronchiale, la caratterizzazione e la tipizzazione in una elevata percentuale di lesioni periferiche di dimensioni fra i 2 ed i 4 cm, anche grazie alla guida
radioscopica e ecografica, e deve essere sempre eseguita, anche per completare l'iter stadiativo.
69
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Tabella 1. Raccomandazioni per la gestione del nodulo polmonare solitario
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare
Figura 2. Stadiazione TNM del Tumore del polmone in funzione della disponibilità della metodica PET-TC
Dimensioni (mm) Pazienti a basso rischio*
Pazienti a alto rischio**
<4
FUP non necessario
TC a 12 mesi
Se nodulo immodificato non ulteriore FUP
4-6
TC a 12 mesi
Se nodulo immodificato non ulteriore FUP
TC a 6-12 mesi
Se nodulo immodificato CT a 18-24 mesi
6-8
TC a 6-12 mesi
Se nodulo immodificato CT a 18-24 mesi
TC a 3-6 mesi
Successivamente TC a 9-12 mesi e a 24 se nodulo immodificato
>8
TC a 3, 9, 24 mesi
Valutazione enhancement contrastografico
Eventuale PET-TC e/o biopsia
TC a 3, 9, 24 mesi
Valutazione enhancement contrastografico
Eventuale PET-TC e/o biopsia
Quando non è disponibile la metodica PET-TC
TC cranio-torace-addome sup e scintigrafia ossea
Negativa
T1,N0,M0
Positiva
N2-3
Trattamento chirurgico
Conferma cito-istologica
Metodiche di diagnostica invasive
*Minima o assente storia di abitudine tabagica, assenza di ulteriori fattori di rischio (pregressa storia oncologica, storia di esposizioni professionali all’asbesto, all’uranio, al radon)
**Storia di prolungata abitudine tabagica, associata ad ulteriori fattori di rischio (pregressa storia oncologica, storia di esposizioni professionali all’asbesto, all’uranio, al radon)
2.2 Valutazione dell’estensione di malattia.
Nella STADIAZIONE PRETRATTAMENTO TNM del tumore del polmone l’indagine indicata (g.r. A) è rappresentata dall’esame TC cranio torace ed addome superiore con somministrazione ev di mdc.
• T: l’esame TC è in grado di valutare con elevata accuratezza l’infiltrazione
della parete toracica, del mediastino e del diaframma. La RMN non presenta maggiori vantaggi rispetto alla TC. Può essere utile nella valutazione del tumore dell’apice polmonare e nel Paziente con documentata
reazione allergica al mdc iodato
• N: bassa è la sensibilità della TC nella identificazione di metastasi linfonodali in quanto tale metodica utilizza un parametro dimensionale (linfonodi con asse corto > 1 cm considerati sede di metastasi). Può essere
però utilizzata come “atlante anatomico” per le metodiche di diagnostica invasiva ai fini di eventuali procedure bioptiche sulle stazioni linfonodali mediastiniche od ilari
• M: utile per localizzazioni extratoraciche craniche e addominali (surrenaliche). (In caso di sospette lesioni encefaliche è utile eseguire RM del
cranio per meglio definire numero e caratteristiche delle lesioni).
L’esame PET-TC presenta una più elevata accuratezza diagnostica rispetto
alla TC nella identificazione di metastasi linfonodali (N) e a distanza (M): i
casi di captazione patologica a livello linfonodale mediastinico (N2-N3) devono essere sottoposti a stadiazione invasiva per gli elevati falsi positivi caratteristici della metodica (figura 1, 2).
Le metodiche di stadiazione endoscopica o chirurgica mininvasiva come EUS
(ultrasuonoendoscopia transesofagea), EBUS (endobroncoscopia con ultrasuoni), TBNA (biopsia transbronchiale con ago sottile) e mediastinoscopia si
caratterizzano per l’elevato grado di accuratezza diagnostica nella stadiazione mediastinica. Sono indicate in specifiche circostanze quali tumore a localizzazione centrale, tumore a localizzazione centrale con coinvolgimento
linfonodale N1 in PET-TC, BAC (carcinoma bronchiolo alveolare), presenza di
linfonodi con asse corto > 16 mm in TC. Possono essere omesse in Pz con
stadio clinico I (T1/T2N0M0) e PET-TC negativa a livello mediastinico. E’ inoltre importante ricordare che tali metodiche non espongono il paziente a radiazioni.
Nella VALUTAZIONE DELLA RISPOSTA AL TRATTAMENTO CT/RT indicato è
l’esame TC cranio torace ed addome superiore con somministrazione ev di
mdc (g.r. A): la valutazione della risposta si basa su variazioni dimensionali
della lesione parenchimale e dei linfonodi. L’accuratezza è limitata per la difficoltà a differenziare il tessuto neoplastico da alterazioni post-attiniche. La
metodica PET-TC è anch’essa indicata (g.r. A) per l’elevata sensibilità nella
Positiva
M1
RMN cerebrale se TC encefalicapositiva
Trattamento integrato
CT/RT
identificazione di residuo di malattia metabolicamente attivo a livello del T e
del N. Per eventuali falsi positivi correlati a flogosi reattive l’indagine va eseguita non prima di 60 gg dalla fine del trattamento.
Nel FOLLOW UP il ricorso all’indagine TC cranio torace ed addome superiore
è indicato (g.r. A) in caso di sospetto clinico di ripresa di malattia o per variazioni del piano di trattamento. Solo in specifiche circostanze o per dirimere casi dubbi all’esame TC può essere indicato il ricorso all’esame PET-TC.
Il ricorso a metodiche di diagnostica invasive può essere comunque utile in
caso di:
•
•
tumore a localizzazione centrale
tumore a localizzazione centrale con coinvolgimento linfonodale N1 in
PET-TC
• BAC (carcinoma bronchiolo-alveolare)
• linfonodi con asse corto > 16 mm in TC
Solo in caso di neoplasia T1, N0, M0 non è necessario il ricorso a metodiche
invasive di staging pre-operatorio. In tutti gli altri casi l’interessamento metastatico linfonodale deve essere escluso con il ricorso a diagnostica invasiva.
La flow-chart relativa alla diagnostica per immagini è riportata nella tabella 2.
Tabella 2. La flow-chart della indagini strumentali
Situazione clinica
Indagine
Raccomandazione Commento
Indicata (A)
Il quadro Rx è diverso a seconda della sede della neoplasia polmonare
1) Endobronchiale: possibile atelettasia parziale o completa di un lobo o dell’intero polmone
2) Intraparenchimale: nodulo (< 3 cm) o massa (> 3 cm)
3) Rx negativa pur in presenza di cellule neoplastiche nell’escreato bronchiale
TC del torace senza
e con mdc
Indicata (A)
Più sensibile dell’Rx nell’identificazione di lesioni di piccole dimensioni
(In corso di validazione l’utilità della TC come mezzo di screening)
Indagine
Raccomandazione Commento
Rx del torace
(2 proiezioni)
Indicata (C)
Utile solo in presenza di nodulo interamente calcifico
Indicata (A)
La TC è più sensibile e accurata. Esame impiegato per determinare:
1) le caratteristiche morfologiche, la densità, (nodulo GGO, semisolido e solido,
secondo le recenti raccomandazioni della International Association for the Study
of Lung Cancer 2011)
2) la presenza di calcio, grasso
3) le caratteristiche densitometriche pre o post-contrasto (enhancement contrastografico). Un valore di enhancement > 30 UH a 1, 2, 3, 4 min dall’inizio dell’infusione ev di mdc come riferimento per la diagnosi di malignità della lesione
ha elevati valori di sensibilità, specificità, accuratezza (98%, 58%,77%) e un elevato VPN
4) la velocità di crescita del nodulo
Indicata (A)
Elevata accuratezza diagnostica nella caratterizzazione di noduli solidi maligni >
1 cm che presentano accumulo di FDG superiore all’attività vascolare nel mediastino. L’accuratezza è tuttavia minore nel caso di noduli ground-glass (GGO)
o semi-solidi
Rx del torace
Sospetto clinico
(2 proiezioni)
di neoplasia polmonare
(es. sintomo emoftoe)
Figura 1. Stadiazione TNM del Tumore del polmone in funzione della disponibilità della metodica PET-TC
Situazione clinica
Quando è disponibile la metodica PET-TC
TC cranio-torace-addome sup
PET-TC
Negativa
N0-M0
Trattamento chirurgico
Positiva
N2-3
Conferma cito-istologica
Metodiche di diagnostica invasive
Positiva
M1
RMN cerebrale se TC encefalicapositiva
Trattamento integrato
CT/RT
Pagina
70
Caratterizzazione
di nodulo polmonare
solitario (NPS)
TC del torace senza
e con mdc
PET-TC
Pagina
71
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Situazione clinica
Indagine
TC cranio, torace
e addome superiore
con mdc ev
TC PET
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Raccomandazione Commento
Indicata (A)
Indicata (A)
Stadiazione
pretrattamento
Metodiche invasive
EUS, EBUS,
TBNA, TBNB
mediastinoscopia
Indicate in
specifiche
circostanze
T: accurata nel valutare diametri e l’infiltrazione di:
• parete toracica
• diaframma
• mediastino
N: bassa sensibilità nella stadiazione linfonodale, parametro dimensionale (linfonodi con asse corto > 1 cm). Può essere utilizzata come “atlante anatomico”
per le metodiche di diagnostica invasiva per la localizzazione linfonodale ai fini
di eventuali procedure bioptiche
M: utile per localizzazioni extratoraciche craniche e addominali (surrenaliche)
•
T1b
•
T2a
Elevata accuratezza diagnostica in particolare nella valutazione di metastasi
linfonodali (N) e a distanza (M). I casi di captazione patologica a livello linfonodale mediastinico (N2-N3) devono essere sottoposti a stadiazione invasiva per
elevati falsi positivi caratteristici della metodica)
Elevato grado di accuratezza diagnostica nella stadiazione mediastinica. Tali metodiche possono essere omesse in pazienti con stadio clinico I e PET-TC negativa a livello mediastinico. Sono indicate in caso di:
1) tumore a localizzazione centrale
2) tumore a localizzazione centrale con coinvolgimento linfonodale N1 in PET-TC
3) carcinoma bronchioalveolare
4) linfonodi con asse corto > 16 mm in TC
Indicata in
specifiche
circostanze
Non presenta vantaggi rispetto alla TC. Può essere utile nella valutazione del
tumore dell’apice polmonare e nei pazienti con documentata importante reazione allergica al mdc iodato, e in caso di sospette lesioni encefaliche metastatiche
Scientigrafia ossea
Indicata in
specifiche
circostanze
Se non effettuata PET
Indagine
Raccomandazione Commento
TC cranio, torace
e addome superiore
con mdc ev
Indicata (A)
La valutazione della risposta si basa su variazioni dimensionali della lesione
parenchimale e dei linfonodi. Accuratezza limitata per la difficoltà a differenziare il tessuto neoplastico da alterazioni postattiniche
TC PET
Indicata (A)
Elevata sensibilità nell’identificazione di residuo di malattia metabolicamente
attivo a livello del T e del N. Per eventuali falsi positivi correlati a flogosi reattive l’indagine va eseguita non prima di 60 giorni dalla fine del trattamento.
Elevato VPN
TC cranio, torace
e addome superiore
con mdc ev
Indicata (A)
Il ricorso all’indagine è indicato in caso di sospetto clinico di ripresa di malattia
o per variazioni del piano di trattamento
TC PET
Indicata in
specifiche
circostanze
Elevata accuratezza diagnostica in particolare nella valutazione di metastasi
linfonodali (N) e a distanza (M). I casi di captazione patologica a livello linfonodale mediastinico (N2-N3) devono essere sottoposti a stadiazione invasiva per
elevati falsi positivi caratteristici della metodica
Indicata (A)
Uso della PET-TC come guida al trattamento radioterapico.
Definizione del volume biologico (biologic target volume, BTV)
RM
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare
•
•
•
Situazione clinica
Valutazione della
risposta al trattamento
CT/RT
Follow-up
Definizione dei volumi
del trattamento
radioterapico
TC PET
2.3 Stadio e “Risk assessment”
La stadiazione del tumore del polmone è utile sia dal punto di vista prognostico che per la valutazione e la scelta del tipo di trattamento. In accordo con
la versione attualmente disponibile, la settima edizione del UICC-AJCC Staging System, estensione e diffusione del NSCLC vengono definiti come
segue:
Tumore primitivo: T
• TX
Tumore primitivo non può essere definito, o ne è provata l’esi-
Pagina
•
•
•
T0
Tis
T1a
72
stenza per la presenza di cellule atipiche nell’escreato o nel liquido di lavaggio bronchiale; ma non è visualizzato con le tecniche per immagini o con la broncoscopia
Tumore primitivo non evidenziabile
Carcinoma in situ
Tumore < 2 cm circondato da polmone o da pleura viscerale, e
alla broncoscopia non si rilevano segni di invasione più prossimale al bronco lobare (per esempio non nel bronco principale)
T2b
T3
T4
Tumore > di 2 ma < 3 cm , circondato da polmone o da pleura
viscerale, e alla broncoscopia non si rilevano segni di invasione
più prossimale al bronco lobare (per esempio non nel bronco
principale)
Tumore > di 3 ma < 5 circondato da polmone o da pleura viscerale, e alla broncoscopia non si rilevano segni di invasione
più prossimale al bronco lobare (per esempio non nel bronco
principale).
Tumore < 5 cm con una qualsiasi delle seguenti caratteristiche
di dimensione o estensione:
- Interessamento del bronco principale a 2 cm o più distalmente
alla carena
- Invasione della pleura viscerale
- Presenza di atelettasia o polmonite ostruttiva che si estende
alla regione ilare, ma non interessa il polmone in toto
Tumore > di 5 ma < 7 cm circondato da polmone o da pleura
viscerale, e alla broncoscopia non si rilevano segni di invasione
più prossimale al bronco lobare (per esempio non nel bronco
principale)
Tumore > 7 cm
Tumore di qualunque dimensione che invade direttamente una
delle seguenti strutture: parete toracica (inclusi i tumori del
solco superiore), diaframma, pleura mediastinica, pericardio parietale; o tumore del bronco principale a meno di 2 cm dalla carena, ma senza interessamento della carena stessa; o associato
ad atelettasia o polmonite ostruttiva del polmone in toto.
Nodulo(i) neoplastico(i) separato(i) nello stesso lobo del primitivo.
Tumore di qualunque dimensione che invade una delle seguenti
strutture: mediastino, cuore, grossi vasi, trachea, esofago, nervo
ricorrente, corpi vertebrali, carena. Nodulo(i) neoplastico(i) in
altro lobo del polmone omolaterale.
Linfonodi regionali: N
• NX
Linfonodi regionali non possono essere definiti
• N0
Non metastasi nei linfonodi regionali
• N1
Metastasi nei linfonodi omolaterali peribronchiali e/o omolaterali ilari e intrapolmonari, compreso l’interessamento per estensione diretta
• N2
Metastasi nei linfonodi mediastinici omolaterali e/o sottocarinali
• N3
Metastasi nei linfonodi mediastini controlaterali, ilari controlaterali, omo- o controlaterali scalenici, o in quelli sovraclaveari
Metastasi a distanza: M
• MX
La presenza di metastasi a distanza non può essere definita
• M0
Non metastasi a distanza
• M1a
Tumore con interessamento pleurico maligno, versamento o noduli, o versamento pericardico maligno
• M1b
Nodulo neoplastico in un lobo del polmone controlaterale.
Metastasi a distanza extratoraciche
Classificazione patologica pTNM
Le categorie pT, pN e pM corrispondono alle categorie T, N e M, la valutazione
istologica avviene dopo una chirurgia con intento radicale, anche la mediastino scopia deve essere inclusa nella classificazione clinica cTNM.
• p N0 L’esame istologico del materiale ottenuto con una linfoadenec-
Pagina
tomia ilare e mediastinica include di norma 6 o più linfonodi. Se
i linfonodi sono negativi, ma il numero di linfonodi è inferiore a
quello usualmente esaminato, si classifica come pN0
Classificazione in Stadi
Occult carcinoma
TX
N0
M0
Stadio 0
Tis
N0
M0
Stadio IA
T1a, b
N0
M0
Stadio IB
T2a
N0
M0
Stadio IIA
T1a, b
T2a
T2b
N1
N1
N0
M0
M0
M0
Stadio IIB
T2b
T3
N1
N0
M0
M0
Stadio IIIA
T1, T2
T3
T4
N2
N1, N2
N0, N1
M0
M0
M0
Stadio IIIB
T4
Any T
N2
N3
M0
M0
Stadio IV
Any T
Any N
M1a, b
Per quanto riguarda il microcitoma (SCLC), la stadiazione attualmente accreditata è la seguente:
• Malattia limitata (30% dei pazienti) = confinata ad un emitorace, con o
senza coinvolgimento dei linfonodi mediastinici, ilari, e clavicolari omolaterali.
• Malattia estesa (70% dei pazienti) = tutto ciò che va oltre (oppure neoplasia ricorrente).
Risk Assessment
L’analisi degli studi di correlazione dimostra che ancora oggi il principale fattore prognostico nel NSCLC rimane lo stadio di malattia. A parità di stadio di
malattia, i fattori prognostici più importanti sono il performance status (PS)
e la recente perdita di peso. Le due scale usate per la definizione del PS sono
la scala ECOG e il metodo di Karnofsky. In particolare, sembra utile dal punto
di vista prognostico suddividere i pazienti in due gruppi: pazienti con PS 01, e pazienti con PS maggiore o uguale a 2. Nelle serie di pazienti esaminate
appare evidente come le sopravvivenze dei pazienti con PS pari a 2 siano significativamente inferiori a quelle dei pazienti con PS 0-1; in parte, tale fenomeno sembra essere dovuto alla maggiore incidenza di tossicità del
trattamento in questo sottogruppo di pazienti. Mentre il trattamento dei pazienti con PS 0-1 è indicato in modo incontrovertibile, tale approccio è tuttora in fase di discussione per i pazienti con PS pari a 2. L’età è storicamente
un fattore prognostico importante, anche se le recenti analisi hanno evidenziato che l’impatto del trattamento sui pazienti maggiori di 70 anni non sia
così detrimentale come si riteneva in passato, anzi sia vantaggioso per i parametri di sopravvivenza assoluti. I pazienti che hanno perso più del 5% del
loro peso corporeo nei 3-6 mesi precedenti hanno una prognosi peggiore
dei pazienti che non hanno avuto questa sintomatologia. Numerosi studi pubblicati negli ultimi 15 anni hanno indicato che la mutazione del proto-oncogene ras, in particolare k-ras, determina una prognosi sfavorevole negli
individui con NSCLC, stadio IV. Inoltre, l’infiltrazione patologica e l’estensione
73
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
della resezione chirurgica possono fornire le informazioni prognostiche più
critiche, ma la mutazione dell’oncogene k-ras e l’assenza di espressione del
proto-oncogene H-Ras p21 possono aumentare le informazioni ottenute dall’esame istologico tradizionale.
2.4 Criteri di diagnosi e di stadiazione istologica
e indagini molecolari
Come per tutte le neoplasie è determinante uno stretto rapporto tra chirurgo,
.pneumologo, interventista, radiologo, oncologo ed anatomopatologo, al fine
di ottenere il maggior numero di informazioni necessarie per una corretta
valutazione prognostica ed una accurata definizione delle potenzialità di risposta ai trattamenti successivi (radioterapia, chemioterapia, terapie a bersaglio molecolare). Le procedure da seguire per un corretto campionamento
del pezzo operatorio ai fini della diagnosi e della stadiazione del tumore sono
state definite con accuratezza [Rosai, 2004]. È necessaria un’accurata descrizione del pezzo operatorio (peso e/o dimensioni, tipo di resezione chirurgica, condizioni della pleura viscerale), delle caratteristiche del tumore
(dimensioni, localizzazione nel lobo, relazione con il bronco, presenza di aree
emorragiche, di necrosi o di cavitazioni, presenza di invasione vascolare microscopicamente visibile; rapporto con la pleura, distanza dal margine di resezione bronchiale e dalla pleura), dell’aspetto del parenchima polmonare
non neoplastico (enfisema, atelettasia, etc) e del numero ed aspetto dei linfonodi ilari repertati. Il campionamento del pezzo per gli esami istologici dovrebbe prevedere almeno un prelievo per ogni cm di tumore, il
campionamento di ogni lesione macroscopicamente repertata, prelievi sul
parenchima polmonare non neoplastico, tutta la circonferenza del margine
di resezione bronchiale, tutti i linfonodi ilari e mediastinici prelevati sul pezzo
operatorio o inviati (e contrassegnati in maniera chiara) dal chirurgo. La classificazione dei tumori del polmone attualmente in uso è quella WHO 2004
[Travis 2004]. La diagnosi e classificazione dei tumori si basa su criteri morfologici (preparato istologico colorato con ematossilina & eosina). Le colorazioni istochimiche ed immunoistochimiche, ancillari all’esame morfologico,
se impiegate nel tentativo di definizione di istotipo, devono essere documentate ed i risultati riportati nel referto. La scelta dei reagenti più appropriati
varia a seconda del caso e si effettua dopo una prima valutazione morfologica. La stadiazione patologica pTNM viene effettuata utilizzando i criteri illustrati nello AJCC Cancer Staging Manual (2009).
Nella diagnostica delle piccole biopsie o di campioni citologici i termini "carcinoma non a piccole cellule" (NSCLC) e "carcinoma non squamoso" dovrebbero essere evitati a favore del costante tentativo di definizione di
istotipo, anche mediante l'impiego di tecniche ancillari alla morfologia, relegando la diagnosi di NSCLC o di carcinoma non altrimenti specificabile (NOS)
ad una quota inferiore al 10%.
Dovrebbe essere sempre prevista un'adeguata ed efficace gestione del materiale biologico, soprattutto nelle forme avanzate e non eleggibili per il trattamento chirurgico, con l'intento di preservare e conservare il materiale
biologico per fornire direttamente od indirettamente il maggior numero di
informazioni utili al trattamento oncologico. E’ ormai routine effettuare lo studio della mutazione del gene EGFR, prima di iniziare un trattamento negli
stadi avanzati di malattia e sta diventando altrettanto importante studiare il
gene ALK, per cui saranno presto disponibili farmaci molto efficaci.
Meeting multidisciplinari periodici che prevedano la partecipazione del patologo dovrebbero essere formalizzati con l'intento, tra gli altri, di individuare
la procedura diagnostica più efficace all'acquisizione del materiale biologico
più adeguato per la diagnosi.
3. Carcinomi del polmone non a piccole cellule (NSCLC)
3.1 Trattamento della malattia “Early Stage”
Terapia medica e strategia generale
Nel Ca in situ e nel carcinoma microinvasivo, il trattamento endoscopico,
condotto mediante laser, coagulatore ad argon plasma o, diatermocoagulatore, presentano il migliore rapporto costo-beneficio. La chirurgia rappresenta il trattamento elettivo nel carcinoma polmonare in stadio I II e IIIa
minimo Gli stadi IIIa non-minimo, IIIb e IV sono il piú delle volte non resecabili; la chirurgia può trovare indicazione solo in casi selezionati. L’opportunità
di terapie complementari post-chirurgiche (terapie adiuvanti) trova ragione
nel limitato successo a lungo termine della sola chirurgia negli stadi II e IIIa
minimo (sopravvivenza a 5 anni del 30-40% nello stadio II e del IIIa minimo)
e nell’elevato numero di recidive, prevalentemente extratoraciche, entro i
primi 2 anni dall’intervento. L’impiego della chemioterapia adiuvante contenente cisplatino (4 cicli) migliora la sopravvivenza a 5 anni del 5%, dato ottenuto da studi randomizzati e riportato nelle metaanalisi pubblicate, e trova
indicazione negli stadi II-III ma non nello stadio I, in pazienti che rispondano
ad alcuni requisiti (buon PS, buona compliance alla chirugia, non patologie
concomitanti, età inferiore ai 70 anni, etc).
Il ruolo della chirurgia
Benché sia concordemente riconosciuto che la chirurgia rappresenti il mezzo
più efficace per ottenere una guarigione definitiva del carcinoma broncopol-
Pagina
monare, i pazienti candidabili a chirurgia con intento curativo rappresentano
a tutt’oggi una limitata minoranza. Con criteri di selezione e rischio perioperatorio ottimali, nel gruppo dei pazienti sottoposti a resezione completa (stadio I-IIIA), la probabilità di guarigione dovrebbe oscillare tra il 40 e 50%, che
applicata alla frazione di casi resecabili si traduce in una sopravvivenza globale a 5 anni del 12-14%. Utilizzando in maniera ottimale le tecniche di stadiazione oggi disponibili, la frequenza di toracotomie esplorative non deve
superare il 5%.
Valutazione funzionale
L’esame funzionale del paziente è un elemento cardine nella scelta della terapia ottimale. Nel forte fumatore, tale bilancio è spesso complicato dalla
presenza di una comorbilità cardiovascolare e/o polmonare. Performance
status e comorbilità contano molto più del dato anagrafico, e le tecniche
anestesiologiche e chirurgiche attuali permettono di eseguire un intervento
di resezione polmonare al di sopra dei 75 anni con un profilo di rischio estremamente contenuto. Infarto miocardico recente (meno di 6 mesi), scompenso cardiaco o aritmia grave, pregresso recente ictus cerebrale
controindicano generalmente l’intervento chirurgico, mentre una cardiopatia ischemica ben controllata sul piano sintomatico e con una buona frazione
di eiezione costituisce solamente un fattore di rischio relativo. Le terapie prolungate con farmaci anticoagulanti o steroidei richiedono un trattamento spe-
74
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare
cifico, allo scopo di prevenire possibili complicanze postoperatorie. Prima di
procedere all’intervento, il chirurgo deve accertare se il paziente sia in grado
di tollerare anche una asportazione totale del polmone, qualora le circostanze
intraoperatorie lo richiedano, valutando sia l’entità del rischio postoperatorio immediato che la qualità di vita attesa a 6 mesi di distanza. Spirometria
ed emogasanalisi rappresentano il primo livello, sufficiente se i valori funzionali sono prossimi a quelli normali (FEV-1 > 60% del predetto). Nei pazienti
con limitata riserva respiratoria, particolarmente se si prevede una pneumonectomia, la scintigrafia polmonare perfusionale consente di misurare la
percentuale di perfusione di ciascun polmone e stimare la FEV-1 postoperatoria predetta. Un utile complemento della spirometria, nei pazienti con
funzionalità respiratoria marginale, è il test di diffusione alveolo-capillare
(DLCO), che esprime in maniera più accurata la capacità di scambio dei gas,
e può evidenziare un’interstiziopatia o fibrosi polmonare latente, non altrimenti diagnosticabile.
Broncoscopia
In fase prechirurgica tutti i pazienti che devono essere sottoposti ad intervento per neoplasia polmonare vengono sottoposti ad esame broncoscopico
per escludere localizzazioni tumorali endoluminali in sedi diverse da quelle
già evidenziate con tecniche di imaging.
In fase prechirurgica i pazienti con ostruzione delle basse vie aeree che determinino infezioni broncopolmonari ricorrenti da ristagno di secrezioni, o insufficienza respiratoria tale da condizionare la gestione anestesiologica
dell’intervento, possono beneficiare di procedure di broncologia operativa
mediante ricanalizzazione del lume occluso.
Tecniche di anestesia
I requisiti minimi di anestesia generale considerati necessari per garantire un
livello adeguato di efficacia e morbilitàa in chirurgia toracica sono gradualmente aumentati nel corso di questo decennio. Per eseguire in condizione di
sicurezza un intervento di media difficoltà, come una lobectomia polmonare,
si considera oggi indispensabile un monitoraggio continuo dei parametri cardiovascolari mediante cateterismo venoso centrale ed arterioso periferico. La
ventilazione monopolmonare è ottenibile con una varietà di dispositivi, che
si adattano ad ogni condizione anatomica. Il broncoscopio sottile a fibre ottiche è divenuto un ausilio indispensabile per controllare il posizionamento
del tubo, ed eventualmente facilitare la pulizia del bronco durante l’intervento. Per un controllo del dolore più selettivo ed efficace, sia durante che
dopo l’intervento, esistono numerose procedure che comprendono il posizionamento di un catetere peridurale in sede toracica o lombare o di un catetere paravertebrale. L’anestesia loco-regionale consente di ridurre gli effetti
sistemici dell’infusione di morfina o derivati, con un eccellente controllo del
dolore toracotomico durante le prime 72 ore.
Stadiazione chirurgica
In caso di sospette adenopatie mediastiniche alla TAC (diametro > 1-1.5 cm)
e positività PET, è sempre indicato un esame bioptico, per confermare lo stadio N2, o escludere la presenza di metastasi in pazienti altrimenti operabili.
La mediastinoscopia cervicale rimane un esame endoscopico semplice ed
affidabile, per le stazioni linfonodali pre- e paratracheali e carenali. E’ opportuno che il prelievo sia effettuato a livello di 2-3 stazioni linfonodali distinte: paratracheale alta e bassa, sottocarenale (R o L 2-4-7), comprendendo
naturalmente le adenopatie sospette alla TAC. Per le adenopatie della finestra aortica (L 5-6), è preferibile un accesso anteriore parasternale, o la toracoscopia video-assistita (VATS). La VATS è la via più diretta al mediastino
inferiore (para-esofageo, retrocrurale, legamento polmonare), e trova un’in-
Pagina
dicazione elettiva nei pazienti con versamento pleurico e/o pericardico, particolarmente in caso di negatività citologica della puntura esplorativa, e eseguire una pleurodesi chimica. Queste tecniche di stadiazione chirurgica
sostituite o integrate dall’agobiopsia transbronchiale e transesofagea eco
guidata (EBUS ed EUS), ma restano essenziali per decidere la resecabilità in
caso di sospetta infiltrazione degli organi mediastinici, prima o dopo la terapia d’induzione.
Approccio chirurgico curativo
La toracotomia postero-laterale rappresenta ancora l’approccio standard per
la resezione polmonare anatomica, nella maggior parte dei reparti di chirurgia toracica. Tuttavia, negli ultimi decenni si sono affermate tecniche più conservative dell’integrità anatomo-funzionale del torace, come le toracotomie
laterali o la toracotomia ascellare che prevedono la conservazione muscolare o le procedure videoassistite (VATS). Non esistono tuttavia studi randomizzati che dimostrino un significativo impatto dell’approccio conservativo
sulla mortalità e morbilità, a parità di estensione del tumore e della resezione polmonare.
Esame intraoperatorio e linfadenectomia
Nel trattamento del carcinoma polmonare non vi è in generale indicazione per
resezioni incomplete con malattia residua macroscopica, impropriamente
definite palliative in quanto peggiorano quasi sempre la qualità di vita. Pertanto, prima di procedere alla resezione polmonare, il chirurgo deve accertarsi che il tumore primitivo e le eventuali localizzazioni linfonodali siano
resecabili con margini adeguati di radicalità. Anche se il ruolo terapeutico
della linfadenectomia mediastinica sistematica è in corso di valutazione, attraverso lo studio randomizzato dell’American College of Surgeons, è dimostrato che la stadiazione intraoperatoria accurata permette di fornire al
paziente una prognosi realistica, e di utilizzare al meglio le terapie complementari disponibili. La dissezione linfonodale dovrebbe comprendere per i
tumori del polmone destro le stazioni R 2, 4, 7,9 e per il polmone sinistro le
stazioni L 5, 6, 7, 9, oltre alle stazioni ilari specifiche (10-13). Per facilitare il
compito del patologo ed ottenere un referto ben interpretabile, il chirurgo
deve eseguire personalmente la mappatura dei linfonodi, e inviare separatamente le diverse stazioni.
Modalità di resezione e ricostruzione
La lobectomia radicale, con dissezione dei linfonodi ilo-mediastinici, rappresenta oggi l’intervento di elezione per tutte le neoplasie confinate in un
solo lobo, o con interessamento marginale e periferico del lobo adiacente,
senza metastasi macroscopiche ai linfonodi ilari. Il sacrificio funzionale dopo
lobectomia è proporzionale al numero di segmenti, essendo massimo per la
lobectomia inferiore destra, anche a causa del rapporto ventilazione/perfusione. La lobectomia può risultare adeguata anche in caso di interessamento
dei linfonodi ilari, purché la resezione comprenda tutte le adenopatie e le
strutture ilari siano libere da tumore a livello del margine di sezione. Quando
il tumore o una metastasi linfonodale si estendono alla porzione prossimale
del bronco lobare (meno di 1 cm dall’origine), la lobectomia può essere ancora possibile con una resezione a manicotto del bronco (sleeve resection)
ed anastomosi bronchiale, associate o meno a resezione e ricostruzione dell’arteria polmonare. In caso di piccole lesioni periferiche (T1-N0), la segmentectomia tipica può essere un’operazione altrettanto adeguata della
lobectomia, soprattutto nei pazienti con funzione respiratoria compromessa.
La pneumonectomia deve essere riservata a neoplasie più estese localmente,
non suscettibili di trattamento conservativo. Quando il tumore polmonare invade la parete toracica o il mediastino ma non vi sono metastasi linfonodali,
75
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
la resezione chirurgica radicale può ottenere una guarigione definitiva, ed i
limiti di resecabilità anatomica sono oggi molto più ampi. Infatti, oggi è possibile fare fronte alla gran parte dei problemi di demolizione e ricostruzione
della parete toracica e delle strutture mediastiniche. Il riscontro intraoperatorio di adenopatie sospette deve sempre essere confortato dall’esame patologico estemporaneo per escludere una iperplasia reattiva o una forma
granulomatosa. In presenza di metastasi linfonodali mediastiniche, la resezione polmonare è indicata purché i margini della dissezione linfonodale non
siano interessati dalla malattia.
Complicanze della chirurgia
La mortalità postoperatoria globale (entro 30 giorni dall’intervento) per il carcinoma polmonare varia tra 4 e 8%; è meno del 1% per le resezioni sublobari, pari a circa 2-4% per le lobectomie e 4-7% per le pneumonectomie. I
problemi più frequenti dopo resezione polmonare sono rappresentati dal dolore toracotomico, che richiede terapia analgesica maggiore durante i primi
2-3 giorni e tende talvolta alla cronicizzazione, e dalle difficoltà di espettorazione che richiedono una fisioterapia intensiva eventualmente associata a
manovre di broncoaspirazione.
L’empiema pleurico si osserva oggi in meno del 5% dei resecati, con o senza
fistola broncopleurica. È più frequente dopo pneumonectomia destra, dove
può richiedere complesse manovre di riparazione chirurgica. La fistola broncopleurica è oggi un’evenienza rara, se non eccezionale, laddove si utilizzino delle tecniche di sutura bronchiale adeguate. In caso di evidenza di
fistola bronchiale di piccole e medie dimensioni, si procederà, in prima
istanza, al trattamento broncoscopico. Comune è invece la perdita aerea dovuta a una comunicazione pleuro-parenchimale. L’aritmia cardiaca, e in particolare la fibrillazione atriale, si osserva con maggiore frequenza nei pazienti
anziani o dopo pneumonectomia. L’infarto miocardico e l’ictus cerebrale sono
relativamente rari, e si verificano nell’1-2% dei pazienti. L’embolia polmonare
è ormai un evento assai raro se viene sistematicamente applicata la profilassi eparinica.
Chirurgia dello stadio I-IIA (T1-2N0-1)
Negli pazienti con tumore intrapolmonare, la chirurgia trova un’indicazione
assoluta: lobectomia per i tumori intralobari, con interessamento linfonodale
assente o limitato; pneumonectomia nelle neoplasie centrali di grandi dimensioni o in presenza di metastasi linfonodali estese; segmentectomia tipica in pazienti selezionati con tumore periferico e diminuita riserva
respiratoria. La resezione sub-lobare non anatomica deve essere considerata
una scelta di compromesso in pazienti con grave insufficienza respiratoria,
tumori multipli sincroni, e/o pregresse resezioni polmonari maggiori. Qualora la chirurgia non sia attuabile, la radioterapia e la termoablazione rappresentano un valido trattamento alternativo.
Chirurgia dello stadio IIB (T3N0)
I tumori che interessano la pleura parietale, la muscolatura intercostale o le
coste sono generalmente suscettibili di resezione completa. L’exeresi radicale (margine minimo di tessuto sano superiore a 2 cm) conferisce una
buona probabilità di guarigione (fino al 50% a 5 anni), anche se la sopravvivenza dipende dal grado di estensione nelle parti molli, mentre non si osservano lungosopravviventi dopo resezione incompleta. Nelle neoplasie
dell’apice polmonare che infiltrano la prima costa, il ganglio stellato, ed il
plesso brachiale (tumore del solco superiore o tumore di Pancoast), la resezione è indicata in assenza di metastasi linfonodali mediastiniche, e deve
comprendere, oltre a polmone e parete, tutte le strutture coinvolte (simpatico, radice C8-D1). Talvolta può essere necessario resecare l’arteria suc-
Pagina
clavia e sostituirla con una protesi. Studi non controllati indicano un potenziale beneficio del trattamento combinato di chemio-radioterapia preoperatoria, ma la probabilità di guarigione rimane correlata alla possibilità di
ottenere un’exeresi completa, e la sopravvivenza a 5 anni è nell’ordine del
30-40%.
Radioterapia
Nei tumori non a piccole cellule (NSCLC), la chirurgia rappresenta la principale arma terapeutica. La radioterapia può rappresentare un valido trattamento con intento radicale, nei casi inoperabili per motivi medici o per
estensione della malattia. La radioterapia, sola o in combinazione con la chemioterapia , può infatti essere anche indicata in fase pre- e post-operatoria.
I risultati della chirurgia da sola e della radioterapia da sola, impiegate con
intento radicale, sono lungi dall’essere soddisfacenti. La chemioterapia sola
ha un ruolo esclusivamente palliativo. Pertanto, sono stati sviluppati schemi
di trattamento combinato radiochemioterapico progressivamente più efficaci, destinati sia ai pazienti inoperabili che alla combinazione con la chirurgia. La radioterapia sola o in combinazione con la chemioterapia può
infatti essere anche indicata in fase pre- e postoperatoria. Le Linee Guida del
National Comprehensive Cancer Network © (v.2.2009) stabiliscono chiaramente che: “If determined medically inoperable by thoracic surgeon, clinical
stage I and II patients should receive potentially curative RT as their local
approach”. Dello stesso tenore le indicazioni del Physician Data Query del
NCI-USA (http://www.cancer.gov/): “I pazienti con stadio I inoperabile e sufficiente riserva polmonare possono essere candidati al trattamento radiante
con intento curativo. In un lavoro su pazienti al di sopra dei 70 anni con lesioni resecabili minori di 4 cm, medicalmente inoperabili o che rifiutavano
l’intervento, la sopravvivenza a 5 anni dopo terapia radiante con intento curativo è risultata simile a quella di un controllo storico rappresentato da pazienti della stessa età che erano stati resecati con intento curativo. Nelle due
più grandi serie retrospettive di radioterapia, i pazienti con malattia inoperabile trattati con radioterapia definitiva hanno ottenuto una sopravvivenza
a 5 anni del 10% e 27%.
Entrambe le serie hanno osservato che i pazienti con tumori T1N0 avevano
una migliore prognosi, con sopravvivenze del 60% e 32%. Anche i pazienti
con stadio II inoperabile e sufficiente riserva polmonare sono candidabili al
trattamento radiante con intento curativo. Nei pazienti con eccellente Performance Status, la sopravvivenza attesa a 3 anni è pari al 20% se la radioterapia può essere portata a termine con intento curativo. Nella più grande
serie retrospettiva, 152 pazienti con NSCLC medicalmente inoperabile, che
sono stati trattati con RT definitiva, la sopravvivenza globale a 5 anni è stata
del 10%, ma nei 44 pazienti con tumori T1 la sopravvivenza libera da malattia è stata del 60%. Questo studio retrospettivo ha dimostrato anche che
la migliore sopravvivenza libera da malattia era ottenuta con dosi superiori
a 60 Gy.“(PDQ, ultima modifica 1.8.2008). Su questo punto vi è dunque uniformità di indirizzi e tale indicazione può essere considerata del tutto appropriata, con un livello di evidenza II (consenso unanime degli esperti in
assenza di trials randomizzati) secondo la scala del National Comprehensive
Cancer Network © (NCCN).
Le linee guida del NCCN considerano opportuna anche la associazione della
chemioterapia alla radioterapia (radiochemioterapia concomitante) in altri
sottogruppi selezionati di pazienti in questa categoria. Si tratta dei pazienti
in Stadio clinico I e II operati e con positività linfonodale mediastinica o positività dei margini di resezione dimostrata dall’esame istologico. L’indicazione è più controversa per i casi senza positività marginale, e le linee guida
del PDQ reputano opportuno l’arruolamento di pazienti con queste caratteristiche in studi clinici. Si veda in merito anche la discussione dello stesso ar-
76
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare
gomento per i casi in Stadio clinico III. Le linee guida del PDQ rimandano
anche a requisiti per la realizzazione del trattamento radioterapico. “Radiation therapy should consist of approximately 60 Gy delivered with megavoltage equipment to the midplane of the known tumor volume using
conventional fractionation. A boost to the cone down field of the primary
tumor is frequently used to enhance local control. Careful treatment planning
with precise definition of target volume and avoidance of critical normal
structures to the extent possible is needed for optimal results; this requires
the use of a simulator.” Le già citate linee guida del NCCN ripetono nella sostanza queste raccomandazioni e suggeriscono l’impiego della TC e di avvalersi di Treatment Planning Systems (TPS) adeguati per produrre piani di
trattamento 3D conformazionali. Nei tumori T1-T2 di dimensioni ≤ 5 cm e
senza interessamento linfonodale, non operabili per comorbidità, età o rifiuto del paziente, la Radioterapia Stereotassica può rappresentare una valida alternativa con tassi di controllo locale e sopravvivenza maggiori rispetto
a quelli della radioterapia esterna (Linee Guida NCNN v.2-2010).
3.2 Trattamento della malattia localmente avanzata
Terapia medica e strategia generale
Nei pazienti in stadio IIIA con interessamento linofonodale mediastinico un
trattamento pre-operatorio (cosiddetto neoadiuvante o di induzione) basato
su chemioterapia, meglio se associata, in base all’attuale evidenza clinica, a
radioterapia, consente la regressione dell’impegno adenopatico nel 50-70%
dei casi, l’aumento del tasso di resecabilità, resezioni chirurgiche meno
estese. Tuttavia l’attuale evidenza clinica indica che per la maggioranza dei
pazienti in questo stadio clinico di malattia il trattamento elettivo sia la chemioterapia associata a radioterapia. Nei pazienti con malattia localmente
avanzata inoperabile (stadio IIIB) con buon performance status (Scala ECOG
0 - 1) e con minima perdita di peso (meno del 5% nei tre mesi precedenti la
diagnosi di neoplasia polmonare) e assenza di versamento pleurico o metastasi sopraclaveari beneficiano di una sopravvivenza superiore se sottoposti ad un trattamento combinato chemioradioterapico e vanno accuratamente
valutati per questo tipo di approccio terapeutico. E’ raccomandata una accurata selezione del paziente (condizioni generali, estensione della malattia
nell’ambito del III stadio, funzionalità respiratoria, parametri dosimetrici radioterapici in termini di predizione di tossicità polmonare ed esofagea) ed
una completa discussione con il paziente stesso circa i benefici e le tossicità
delle possibili opzioni terapeutiche.
Radioterapia
Il ruolo della radioterapia come trattamento radicale in queste forme è assai
importante. La frazione di casi operabili è infatti molto minore, rispetto ai
malati in Stadio clinico I-II; nei casi inoperabili, la radioterapia rappresenta il
cardine del trattamento. Come indicato dalle linee guida del PDQ: “Patients
with clinical stage IIIA N2 disease have a 5-year survival rate of 10% to 15%
overall; however, patients with bulky mediastinal involvement (i.e., visible on
chest radiograph) have a 5-year survival rate of 2% to 5%. Depending on clinical circumstances, the principal forms of treatment that are considered for
patients with stage IIIA NSCLC are radiation therapy, chemotherapy, surgery,
and combinations of these modalities.
Although most patients do not achieve a complete response to radiation therapy, a reproducible long-term survival benefit in 5% to 10% of patients treated with standard fractionation to 60 Gy occurs, and significant palliation
often results. Patients with excellent performance status (PS) and those who
require a thoracotomy to prove that a surgically unresectable tumor is present are most likely to benefit from radiation therapy.” Il trattamento che-
Pagina
mioradioterapico (specie concomitante), quando fattibile, migliora i risultati
rispetto alla sola radioterapia. Ancora il PDQ: “The addition of chemotherapy
to radiation therapy has been reported to improve survival in prospective clinical studies, including the RTOG-8808 and ECOG-4588 trials, for example,
that have used modern cisplatin-based chemotherapy regimens. A metaanalysis of patient data from 11 randomized clinical trials showed that cisplatin-based combinations plus radiation therapy resulted in a 10%
reduction in the risk of death compared with radiation therapy alone”. Dati
non dissimili valgono per i casi in categoria IIIB, con la evidente diversità che
la stragrande maggioranza di questi pazienti non riconosce una indicazione
chirurgica. Pertanto, è possibile affermare, ancora in accordo con le linee
guida del PDQ, che “…Patients with stage IIIB NSCLC do not benefit from
surgery alone and are best managed by initial chemotherapy, chemotherapy
plus radiation therapy, or radiation therapy alone, depending on the sites of
tumor involvement and the performance status (PS) of the patient. Most patients with excellent PS are candidates for combined modality therapy ..”. Per
quanto riguarda i pazienti operabili o potenzialmente operabili (come già ripetuto più volte, una minoranza), un piccolo numero di studi randomizzati
ha poi evidenziato l’efficacia della radioterapia associata alla chemioterapia
come trattamento preoperatorio (Albain KS, Rusch VW, Crowley JJ, et al.:
Concurrent cisplatin/etoposide plus chest radiotherapy followed by surgery
for stages IIIA (N2) and IIIB non-small-cell lung cancer: mature results of
Southwest Oncology Group phase II study 8805. J Clin Oncol 13 (8): 188092, 1995). Per quanto si tratti di casistiche selezionate, i risultati sono incoraggianti e l’indicazione può considerarsi appropriata su base individuale e
dopo attenta valutazione dell’oncologo radioterapista. Per quanto vi sia evidenza di Livello I che la radioterapia postoperatoria riduce l’incidenza di recidive mediastiniche in pazienti con Stadio III operati, non vi è evidenza ad
oggi di un miglioramento significativo della sopravvivenza. Tuttavia, un recente studio retrospettivo di oltre 7.000 casi ha evidenziato un vantaggio di
sopravvivenza per i pazienti in categoria N2 trattati con radioterapia postoperatoria [Lally 2006].
Ciò determina difformità di indicazioni nelle linee guida internazionali. Quelle
del NCCN, ad esempio, suggeriscono l’impiego della radioterapia postoperatoria nei casi N2 sia che la categoria T iniziale fosse T1 o 2 che T3; il contrario vale per le indicazioni del PDQ-NCI, che consigliano l’impiego della
radioterapia postoperatoria solo nel contesto di studi clinici controllati. Il trattamento postoperatorio di questi casi può dunque essere considerato appropriato solo sulla base della valutazione caso per caso, da parte
dell’oncologo radioterapista, dei rischi competitivi di recidiva locale e di metastasi a distanza; in ogni caso deve essere considerata individualmente la
tossicità del trattamento. Analoghe considerazioni valgono per i casi con positività marginale.
Chirurgia dello stadio IIIA (T1-3N2)
Circa il 15-20% dei pazienti con linfonodi di aspetto normale alla TAC e PET,
presentano metastasi linfonodali mediastiniche se sottoposti a linfadenectomia sistematica. La percentuale è inferiore ma sempre rilevante (10-15%)
nei pazienti con T1N0 clinico. Molti di questi casi presentano una diffusione
limitata (singola stazione, metastasi embolica), e la resezione radicale si associa ad una sopravvivenza a 5 anni del 20-25%. Nei pazienti con N2 clinico,
la chirurgia primaria ottiene raramente una exeresi macroscopicamente
completa, e nelle serie retrospettive la sopravvivenza a 5 anni è ben al di
sotto del 10%, vale a dire simile se non peggiore a quella della radioterapia.
Il trattamento di induzione con chemioterapia per 2-3 cicli (± radioterapia) è
oggi la scelta più razionale e conveniente, per ridurre la malattia visibile e
identificare i casi in cui la chemiosensibilità locale possa predire una mag-
77
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
giore efficacia della resezione chirurgica.
L’interessamento della carena per estensione diretta del tumore primitivo,
senza metastasi mediastiniche, è un evento eccezionale, ed in casi ben selezionati, la pneumonectomia con resezione tracheale può essere tecnicamente fattibile e conveniente. Le probabilità di guarigione chirurgica sono
nell’ordine del 20-25%, ma la mortalità perioperatoria è elevata (10-15%).
Chirurgia dello stadio IIIB (T4N0)
La resezione della vena cava superiore, con eventuale sostituzione protesica, è un intervento efficace nei tumori che infiltrano direttamente il mediastino, e può essere eseguito senza circolazione extracorporea, con una
mortalità e morbilità limitate. Questa chirurgia, in combinazione con un trattamento medico di induzione, deve essere valutata in pazienti adeguatamente selezionati per stadio e comorbilità. I progressi nel campo della
chirurgia della colonna, offrono nuove possibilità di intervento nei tumori che
infiltrano marginalmente il corpo vertebrale, che è oggi possibile affrontare
con un intento curativo. Si tratta tuttavia di una procedura complessa, che richiede la presenza simultanea del neurochirurgo e del chirurgo ortopedico,
e d’indicazione eccezionale. La resezione dell’atrio sinistro per estensione diretta del tumore alla confluenza delle vene polmonari non è un evento eccezionale nel corso di una pneumonectomia intrapericardica, e non comporta
problemi di carattere tecnico. Analoghe considerazioni valgono per la resezione tangenziale dell’esofago o dell’avventizia dell’aorta. L’infiltrazione massiva del miocardio, dell’esofago o dell’aorta costituiscono invece una
controindicazione formale all’intervento, così come la presenza di un versamento citologicamente positivo, anche se di limitata estensione. Con un
esame citologico negativo, è imperativo procedere ad esplorazione toracoscopica e biopsie pleuriche multiple, prima di una eventuale toractomia.
Chirurgia dei noduli satelliti
Il riscontro intraoperatorio di noduli satelliti, nello stesso lobo in cui ha sede
il tumore primario o in un altro lobo, e che si confermano dello stesso tipo
istologico all’esame estemporaneo, pone ovvii problemi di interpretazione
(metastasi o malattia multifocale) e di scelta terapeutica. Da un punto di vista
pratico, laddove un’exeresi completa sia ottenibile, è ragionevole procedere
alla resezione polmonare.
3.3 Trattamento della malattia avanzata.
Per i pazienti con Carcinoma polmonare in stadio IV le opzioni terapeutiche
includono la chemioterapia o la terapia di supporto, comprensiva della radioterapia ad intento palliativo. Per questi pazienti il trattamento sistemico
offre la possibilità di controllare la sintomatologia correlata al tumore, migliorare la sopravvivenza e la qualità di vita. Nello stadio IV il trattamento
chemioterapico va riservato a pazienti ambulatoriali, senza considerevole
calo ponderale ed in buone condizioni generali. La chemioterapia prevede
l’impiego di derivati del platino (cisplatino o carboplatino) in associazione
con uno dei seguenti farmaci: gemcitabina, vinorelbina, tassani (paclitaxel o
docetaxel) o pemetrexed (limitatamente all’istologia non squamosa). Pazienti
con tumori recanti mutazioni a carico del gene del recettore dell’Epidermal
Growth Factor possono avvalersi di un trattamento con inibitori della tirosin
chinasi (gefitinib). Esistono sufficienti evidenze che l’impiego di bevacizumab (un anticorpo monoclonale contro il Vascular Endothelial Growth Factor)
allorchè aggiunto alla chemioterapia migliora il tempo alla progressione e,
con alcune combinazioni chemioterapiche, anche la sopravvivenza. La durata
ottimale del trattamento è di 4-6 cicli.
3.4 Trattamento di II linea e successive
Pagina
La maggioranza dei pazienti tende a recidivare dopo la terapia di prima linea;
la ripresa di malattia è solitamente accompagnata dalla presenza di sintomi
con una aspettativa di vita limitata.
I fattori predittivi di risposta al trattamento di seconda linea sono legati al
tempo di comparsa della recidiva rispetto al termine del trattamento di prima
linea, alla risposta al trattamento precedente ed al tipo di terapia utilizzata
durante la fase di induzione.
La maggioranza dei pazienti in questa fase riceve un trattamento mono-chemioterapico secondo le specifiche indicazioni, ad oggi i farmaci registrati per
una terapia di seconda linea sono il docetaxel ed il pemetrexed come chemioterapici, il gefitinib e l’erlotinib come terapie biologiche questi ultimi sono
registrati anche per l’utilizzo in terza linea, il gefitinib è però indicato solo
nei pazienti con mutazione dell’EGFR. La terapia radiante con intento palliativo riveste un ruolo importante nel controllo del dolore e/o dei sintomi da metastasi cerebrali, da sindromi mediastiniche da ostruzione della cava
superiore e in particolare da metastasi ossee ove, integrata con una adeguata terapia farmacologica antalgica, migliora la qualità di vita dei pazienti
e previene le complicanze maggiori quali le compressioni midollari e le fratture patologiche.
3.5 Pazienti anziani o con PS 2
Per i pazienti anziani (> 70 anni di età) e/o con Performace Status >2, benché esista ancora una indicazione a trattamenti chemioterapici a 2 farmaci
la maggioranza di essi, viene prevalentemente trattato con una monochemioterapia o con terapie biologiche, dove indicate, per il co-esistere di comorbilità.
3.6 Valutazione delle risposte e follow-up
Nella maggior parte dei casi il medico effettua un controllo TC dopo 2-4 cicli
di chemioterapia per identificare quei casi che sono stabili o in progressione,
e per i quali il trattamento andrebbe interrotto, e quelli che hanno risposto al
trattamento, per i quali può ritenersi valido continuarlo. Il programma di follow-up deve necessariamente tenere conto della storia naturale della neoplasia (tempo di raddoppiamento, sede e modalità di ripresa, rischio di
ripresa, tossicità tardive, beneficio della diagnosi precoce) e va contenuto al
minimo in rapporto al vantaggio ottenibile dal paziente.
Con l’esclusione dei pazienti che afferiscono a studi clinici controllati ove la
cadenza del follow-up è fissata dal protocollo di studio occorre precisare
che, per il carcinoma polmonare, non esistono evidenze cliniche a supporto
della necessità di un follow-up particolarmente intenso, soprattutto alla luce
delle scarse possibilità terapeutiche in caso di recidiva con la sola esclusione del Microcitoma in recidiva tardiva (intervallo libero di almeno 3 mesi
dal termine della terapia primaria). Pazienti sottoposti a terapia primaria potrebbero essere sottoposti a controlli di follow-up trimestrali per i primi 2
anni, allorché è attesa la comparsa della maggioranza delle recidive, successivamente a cadenze semestrali.
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare
ramento respiratorio e clinico.
La procedura va eseguita nei centri di II livello, con elevata esperienza, in
possesso di tutte le apparecchiature e dei diversi device endobronchiali disponibili. Essa prevede broncoscopia rigida ed anestesia generale, in regime
di ricovero. Il tasso di mortalità riportato in letteratura è del 4% ed un risultato efficace viene raggiunto nell’87% dei casi.
3.8 Chirurgia del IV stadio (metastasi solitarie)
L’encefalo è una delle sedi più frequenti di metastatizzazione dopo terapia
primaria. Nei casi di metastasi cerebrale unica, il trattamento con Radiochirurgia o craniotomia più o meno irradiazione panencefalica rappresenta il
trattamento di elezione. Nei casi con metastasi cerebrale unica sincrona all’esordio ,il trattamento focale della metastasi cerebrale (Chirurgia, Radiochirurgia), seguito da resezione chirurgica polmonare e chemioterapia
sistemica può ottenere una sopravvivenza a 5 anni compresa tra il 10% e il
20%.
Per le metastasi uniche in altre sedi (es. surrene), sono riportati casi aned-
78
3.9 Follow-up del paziente radicalmente operato
Una visita con esame radiologico standard ed esami emato-chimici è consigliata a distanza di 30 giorni dall’intervento per una valutazione degli esiti
chirurgici. Non sono disponibili dati EBM sul follow-up ottimale nei pazienti
operati radicalmente e che non necessitano di ulteriori trattamenti.
Lo standard consiste in una visita ambulatoriale con TAC Torace ogni 4 mesi
nei primi 2 anni, ogni 6 mesi nell’anno successivo, ed annualmente dopo 3
anni dall’intervento chirurgico, per un possibile nuovo tumore primitivo (1020% dei casi).
Esami aggiuntivi come la PET o la broncoscopia, possono essere prescritti in
presenza di sintomi o segni sospetti per recidiva locale o metastasi a distanza, o per valutare una nuova lesione polmonare, ma non rientrano nel follow-up di routine.
4. Carcinomi del polmone a piccole cellule (NSCLC)
Terapia medica e strategia generale
La polichemioterapia è il cardine terapeutico sia per la malattia estesa che
per quella limitata. Nei pazienti con carcinoma polmonare a piccole cellule
in stadio di malattia limitata la radioterapia toracica migliora il controllo locale e la sopravvivenza complessiva e va incorporata in una strategia terapeutica combinata.
Nell’applicare questo principio terapeutico deve essere tenuto in considerazione il volume tumorale e la sede della lesione nonché la funzionalità polmonare del paziente. Vi sono evidenze di miglior controllo locale e migliore
sopravvivenza ove il trattamento radiante concomitante alla chemioterapia
sia inserito precocemente (2 cicli di chemioterapia) nel programma terapeutico.
La combinazione chemioterapica standard prevede l’impiego dell’associazione di un sale di platino ed etoposide oppure meno frequentemente viene
usata la combinazione di ciclofosfamide, adriamicina, vincristina. Non esiste
evidenza per raccomandare uno specifico numero di cicli di terapia. Comunemente negli studi clinici si somministrano sei cicli Non c’è evidenza a favore di una qualsivoglia terapia di mantenimento in grado di migliorare la
sopravvivenza. La terapia radiante può svolgere un ruolo palliativo peraltro
estremamente importante nel controllo delle metastasi cerebrali, delle sindromi da compressione della cava superiore, nelle metastasi ossee e nelle
compressioni midollari da metastasi vertebrali. Nei pazienti con malattia limitata ed estesa in risposta dopo terapia di induzione è indicato il trattamento radioterapico encefalico profilattico da effettuarsi comunque al
termine del trattamento di induzione.
3.7 Ricanalizzazione delle vie aeree
In pazienti con malattia avanzata, con ostruzione delle vie aeree da infiltrazione neoplastica o compressione estrinseca, il decadimento delle funzione
respiratoria e le infezioni post-ostruttive possono causare un rapido e progressivo peggioramento del PS e delle condizioni cliniche.
In questi pazienti un intervento di disostruzione laser-assistita o il posizionamento di una endoprotesi sono in grado di indurre un importante miglio-
dotici di lungo-sopravviventi dopo metastasectomia, ma non vi sono elementi sufficienti a suffragare il ruolo terapeutico di questa procedura.
Trattamento di II linea
La maggioranza dei pazienti tende a recidivare e la scelta del trattamento di
seconda linea dipende principalmente dalla risposta alla terapia inziale. Se
la malattia è sensibile alla terapia (la ripresa di malattia è oltre i 3-6 mesi dal
termine della fine del primo trattamento chemioterapico) si ripropone la
stessa combinazione di farmaci; se la malattia è resistente, (ripresa di ma-
Pagina
lattia entro i 3 mesi) o refrattaria (progressione in corso di chemioterapia di
prima linea), si cambia farmaco, al momento l’unica molecola registrata per
il trattamento in seconda linea del SCLC è il topotecan.
La chirurgia nel SCLC
La chirurgia ha uno scarso impatto sul trattamento del microcitoma, e meno
del 5% dei casi è operabile all’esordio. L'indicazione all'intervento chirurgico si basa sullo stadio TNM, come nelle forme non a piccole cellule, ma
dopo chemioterapia di induzione. Nei casi eccezionali operati senza diagnosi
preoperatoria per un piccolo tumore periferico (T1N0), è consigliabile un trattamento di chemioterapia adiuvante, anche se alcune casistiche retrospettive mostrano una sopravvivenza a 5 anni del 40% con sola chirurgia.
Radioterapia
La combinazione chemioradioterapica è lo strumento fondamentale per la
gestione della minoranza dei casi con malattia limitata passibili di trattamento radicale. E’ di recente stata sottolineata per questi ammalati l’opportunità di una precoce associazione della radioterapia alla chemioterapia. Il
microcitoma (SCLC) è altamente radiosensibile e, nei casi con “limited disease”, la radioterapia a livello toracico migliora significativamente la sopravvivenza rispetto alla sola chemioterapia. Nei pazienti responsivi alla
chemioradioterapia, l’irradiazione panencefalica migliora ulteriormente la
prognosi [Pignon 1992; Warde 1992; Murray 1993; Turrisi 1990]. Infatti, secondo il già citato PDQ-NCI: “Combined modality treatment with chemotherapy and thoracic radiation therapy (TRT) is the standard treatment for
patients with limited-stage disease (LD) small cell lung cancer (SCLC).” Il
trattamento radioterapico deve essere iniziato se possible non oltre l’inizio del
terzo ciclo di chemioterapia (inizio precoce) sulla base di dati che supportano
un Livello di evidenza I. Nei pazienti con “extensive disease”, l’unico possibile (e controverso) ruolo della radioterapia nel contesto di un trattamento radicale è quello della irradiazione panencefalica nei pazienti in risposta
[Slotman 2007].
79
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
5. Valutazione per attività per accreditamento ed eccellenza
5.1 Chirurgia
Volumi di attività per accreditamento ed eccellenza
Nella letteratura internazionale esiste una sufficiente evidenza che i risultati
globali della terapia chirurgica (mortalità, morbilità e sopravvivenza a lungo
termine) in ogni struttura siano legati al numero di interventi eseguiti annualmente, e che il volume di attività possa rappresentare un parametro indiretto di eccellenza.
In particolare, per quanto riguarda la chirurgia dei tumori polmonari, i dati del
più affidabile registro americano (SEER), mostrano che nei centri che eseguono più di 66 resezioni per tumore polmonare ogni anno, rispetto a quelli
che ne eseguono meno di 15, si osserva una drastica riduzione della mortalità (3% vs. 6%) e della morbilità (20% vs. 44%), ed un netto miglioramento
della sopravvivenza globale a 5 anni (44% vs. 33%) [Bach 2001].
Gli standard di qualità per la chirurgia toracica sono stati approvati nel 2001
dalle due Società Europee di Cardiochirurgia e Chirurgia Toracica Generale,
ed individuano i seguenti parametri di attività [Klepetko 2001]:
• il numero minimo di procedure maggiori, quali lobectomie e pneumonectomie è pari a 100-200 casi anno per l'accreditamento, e 250-350
casi anno per i centri di eccellenza clinica
• il livello minimo di attività per un chirurgo toracico senior è di 150 interventi per anno, e per un chirurgo in formazione di 50-100 interventi
per anno
• la disponibilità di risorse per l'assistenza ed il monitoraggio postoperatorio deve essere pari ad 1 letto di terapia Intensiva, e 1-2 letti di terapia semi-Intensiva, ogni 300 interventi anno.
5.2 Terapia medica
Dotazioni delle unità cliniche per accreditamento ed eccellenza
Sono indispensabili adeguati locali di attesa a seconda dei volumi di attività.
Ai fini dell’iter diagnostico le strutture da accreditare devono disporre necessariamente dei servizi (radiologia, pneumologia, anatomia-patologica, laboratorio di fisiopatologia respiratoria) che consentano di formulare una
diagnosi di natura e di candidare il paziente al più appropriato trattamento.
E’ indispensabile la disponibilità di adeguati locali per la somministrazione
della chemioterapia che consentano il rispetto della privacy dei pazienti. Si
ritiene indispensabile una dotazione minima di 4 sedie per chemioterapia
per l’accreditamento e di 8-10 per i centri di eccellenza.
Un minimo di 2 camere visita per l’accreditamento e di 4 per i centri di eccellenza.
Debbono necessariamente sussistere un minimo di 3-4 posti letto di appoggio qualora si renda necessaria l’ospedalizzazione dei pazienti. Per essere
qualificati quali centri di eccellenza debbono necessariamente insistere nella
stessa struttura tutte le figure professionali che sono richieste per il gruppo
interdisciplinare di cure. E’ richiesto la comprovata esecuzione di una riunione del gruppo interdisciplinare ogni 2 settimane per l’accreditamento e
settimanale per i centri di eccellenza.
Per l’accreditamento e per la qualificazione come centri di eccellenza è indispensabile disporre di farmacia oncologica centralizzata per la preparazione dei farmaci oncologici. Occorre disporre di sistemi di controllo di qualità
per la prescrizione dei farmaci al fine di minimizzare l’errore prescrittivo.
L’esistenza d'infermiere di ricerca, di data managers e di psicologi è considerato criterio irrinunciabile per i centri di eccellenza. Per i centri di eccel-
Pagina
lenza deve essere comprovata l’esistenza di dotazioni tecnologiche di laboratorio che consentano l’adesione a studi clinici che richiedano l’utilizzo di
analisi molecolari.
Volumi di attività per accreditamento ed eccellenza
Si ritiene che per l’accreditamento delle strutture dedicate alla somministrazione della chemioterapia per le neoplasie toraciche sia richiesto un volume minimo di 4 nuovi pazienti/mese mentre per i centri di eccellenza si
richiede un numero minimo di 8-10 nuovi pazienti mese.
Per i centri di eccellenza è richiesta la comprovata partecipazione a studi
clinici in un numero minimo di 3/anno con un arruolamento di un minimo
del 20% del totale dei pazienti. Sono altresì da richiedere alle strutture di
eccellenza un numero minimo di uno studio clinico promosso dal centro di
eccellenza ogni 3 anni.
In tabella 1 sono riportati tutti i criteri necessari per l’accreditamento e l’eccellenza.
5.3 Radioterapia
Dotazioni e volumi di attività per accreditamento ed eccellenza
Dal punto di vista della dotazione strutturale, è altamente auspicabile (anche
se non strettamente indispensabile, v.infra) che il Centro di Radioterapia che
esegue trattamenti per le neoplasie del polmone disponga al suo interno di
personale infermieristico e di un ambiente clinico adeguatamente attrezzato
presso il quale effettuare terapie di supporto e/o trattamenti chemioterapici
concomitanti alla radioterapia.
La dotazione strumentale necessaria per l’accreditamento include le attrezzature per la realizzazione di trattamenti 3D conformati (immagini TC da TC
simulatore o trasferite da una normale TC impiegata per diagnostica, TPS
con potenzialità adeguata per produrre piani conformati 3D, acceleratore lineare). Non vi sono al momento attuale evidenze di un sicuro vantaggio clinico con l’uso di apparecchiature complesse quali il Cyberknife™ o la
Tomotherapy™ che possono però essere consigliate in caso di ritrattamenti
o lesioni complesse per forma e/o dimensioni. Pur mancando al momento
evidenze di Livello di Evidenza di Tipo I, i risultati di molteplici studi non randomizzati suggeriscono l’uso della radioterapia stereotassica “body” (SBRT)
nei pazienti con tumori polmonari in I/II stadio (diametro inferiore ai 4-5 cm)
non passibili di intervento chirurgico per condizioni respiratorie, cardiache,
comorbidità importanti, età.
E’ altresì molto controversa (e in ogni caso limitata a casi estremamente selezionati) l’utilità di piani di trattamento IMRT (Intensity Modulated Radiation
Therapy). Non vi è alcuna evidenza della superiorità in termini di outcome di
piani basati sulla coregistrazione di immagini TC e PET. L’uso di queste tecniche è pertanto non appropriato al di fuori di studi clinici. Pertanto, la disponibilità di tutte queste metodiche non può essere considerato un requisito
per l’accreditamento. L’impiego di metodiche di “gating” respiratorio o comunque di “breathing control” non può essere realizzato in tutti i pazienti ed
il suo impatto sull’outcome non è dimostrato. Analogamente, una valutazione
in termini di outcome e di EBM dell’impiego di tecniche di Image Guided Radiation Therapy (IGRT) non è ancora disponibile; la possibilità di utilizzare tali
tecniche non può essere considerato un requisito per l’accreditamento strumentale. Tuttavia, le linee guida del NCCN suggeriscono il loro impiego
“quando fattibile”. Dal punto di vista dell’expertise e delle necessità orga-
80
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare
Tabella 1. Requisiti minimi e criteri di eccellenza per la terapia medica
Risorse/Procedure
Requisiti minimi
Requisiti eccellenza
Numeri prime visite
Nuovi casi mese > 4
Nuovi casi mese > 8-10
Posti Day Hospital
≥2
≥ 12
Posti letto
NO
SI
Preparazione centralizzata dei farmaci
NO
SI
Continuous care
NO
SI
Prima visita oncologica
> 1 settimana
< 1 settimana
Completamento stadiazione
> 2 settimane
< 2 settimane
Inizio terapia
> 2 settimane dalla decisione terapeutica
< 2 settimane dalla decisione terapeutica
Presenza di gruppi multidisciplinari
La gestione del Paziente deve avvalersi
Riunioni settimanali con patologo, chirurgo, radioteradella possibilità di discussione interdisciplinare pista, oncologo, radiologo, pneumologo interventista
Organizzazione interna per l’emergenza
NO
Reperibilità telefonica
DEA primo livello
NO
SI
Ambulatorio per impianti di CVC
Disponibilità saltuaria
Disponibilità settimanale
Terapia nutrizionale
Disponibilità saltuaria
Disponibilità settimanale
Struttura di terapia antalgica
NO o disponibilità saltuaria
SI con disponibilità continua
Counselling psicologico e/o psichiatrico
NO o disponibilità saltuaria
SI con disponibilità settimanale
Data management office
NO
SI
Studi clinici inerenti patologia polmonare
N° pazienti inseriti negli studi clinici
<2 nuovi studi anno
< 20% del totale trattati
>2 nuovi studi anno
> 20% del totale trattati
Pubblicazioni su riviste scientifiche, libri o capitoli
< 2 anno
inerenti la patologia polmonare
≥ 2 anno
Abstract, relazioni, o comunicazioni a Congressi
inerenti la patologia polmonare
≥ 3 anno
< 3 anno
Per l’accreditamento devono essere soddisfatti almeno 10/12 requisiti
Per l’eccellenza devono essere soddisfatti almeno 6/12 requisiti
nizzative, è necessario che l’oncologo radioterapista sia consultato nella fase
di programmazione terapeutica iniziale, dal momento che il trattamento radioterapico deve essere definito in base alle condizioni cliniche del paziente,
alla estensione della malattia, in rapporto alla potenziale tossicità del trattamento radioterapico, che a sua volta varia in rapporto alla associazione o
meno con la chemioterapia e la chirurgia e a seconda del tipo di trattamento
chirurgico o chemioterapico che venga eventualmente adottato.
E’ infine indispensabile che siano disponibili per la radioterapia posti di degenza (LETTI TECNICI) presso il quale seguire i pazienti in trattamento radiante che presentassero tossicità e/o morbosità di grado tale da rendere
necessario il ricovero; è altamente auspicabile che questi spazi siano individuati in reparti con adeguate caratteristiche clinico-organizzative. Dal punto
di vista dei livelli di attività necessari per l’accreditamento, essi sono meglio
espressi in rapporto all’insieme della patologia neoplastica polmonare trattata, ben sapendo che la percentuale di trattamenti con finalità radicale sul
totale dei casi trattati, con la conseguente richiesta di una maggiore complessità delle procedure terapeutiche da adottare, è relativamente ridotta
(circa il 30%). Per quanto tutti i Centri di Radioterapia siano in grado di trat-
Pagina
tare questa patologia, purché dispongano della dotazione strutturale e strumentale prima delineata, si ritiene che per l’accreditamento di eccellenza
sia necessario che un Centro tratti oltre 40 casi di neoplasia polmonare/anno
con un minimo di circa 15 pazienti/anno irradiati con finalità radicale (RT
esclusiva o pre/postoperatoria) (tabella 2).
5.4 Endoscopia
Criteri di appropriatezza per la esecuzione di broncoscopie diagnostiche e terapeutiche
Pneumologia Interventistica
La Pneumologia Interventistica è quel settore di attività pneumologica che si
occupa della diagnostica e della terapia delle malattie respiratorie con metodiche invasive.
Le attività sono focalizzate sull’utilizzo delle tecniche broncoscopiche (con
strumento flessibile e rigido), toracoscopiche e bioptiche in generale, per la
diagnosi ed il trattamento. di un ampio spettro di patologie dell’apparato respiratorio.
81
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Tabella 2. Requisiti minimi (fondo bianco) e criteri di eccellenza (fondo grigio) per la radioterapia
Risorse/Procedure
Numero pazienti trattati
nel 2010
Disponibilità
Radioterapia Oncologica
Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e 3 dei 6 altri requisiti
Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul
tumore primitivo con intento radicale o palliativo
15*
Acceleratore lineare
Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa
Simulazione con utilizzo di TC
Idem
Piano di trattamento basato su immagini TC
Idem
Immagini portali settimanali
Idem
Sistemi di immobilizzazione
Idem
DH
Disponibilità di accesso
Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul
tumore primitivo con intento radicale o palliativo
40 *
Radioterapia conformazionale con collimatore
multilamellare
Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa
IMRT
Il trattamento può avvalersi di questa risorsa
IGRT
Idem
RT Stereotassica
l trattamento può avvalersi di questa risorsa
Degenze
Disponibilità posti letto dipartimentali o tecnici
Procedure
Per l’eccellenza è necessario soddisfare entrambi i due requisiti richiesti
Prima visita specialistica
Entro 1 settimana dalla richiesta di prenotazione
Completamento stadiazione
Entro 4 settimane dalla prima visita
Inizio terapia
Entro 6 settimane dalla prescrizione
Inizio terapia
I trattamenti con intento curativo radio o radio-chemioterapici dovranno
iniziare nel tempo più breve possibile dal completamento della stadiazione
e/o della chemioterapia neoadiuvante.
Nei trattamenti postoperatori l’intervallo sarà il più breve possibile compatibilmente con la guarigione chirurgica,le condizioni cliniche del paziente
e/o il completamento dell’eventuale programma chemioterapico adiuvante.
Gruppo Oncologico Multidisciplinare
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare
Le attività, divise in diagnostiche ed operative, richiedono diversi livelli di
competenza.
Endoscopia diagnostica
Settore caratterizzato soprattutto dall’utilizzo di strumenti flessibili (fibrobroncoscopi). Sono compresi in questo settore attività come la fibrobroncoscopia senza e con prelievi (broncolavaggio, lavaggio bronchioloalveolare,
brushing, biopsia mucosa, biopsia transbronchiale senza e con guida fluoroscopica, agoaspirato e agobiopsie transbronchiali), la broncoscopia con
autofluorescenza, l’agoaspirato transtoracico, le biopsie pleuriche a “cielo
coperto” e la broncoscopia pediatrica.
Endoscopia operativa
Oltre alle funzioni esercitate dal livello diagnostico si aggiungono: il trattamento endoscopico delle malattie bronco polmonari, la terapia palliativa e radicale endoscopica dei tumori, la disostruzione tracheobronchiale nelle
patologie benigne, l’impianto di protesi, la rimozione dei corpi estranei (procedure che si avvalgono dell’utilizzo prevalente della strumentazione rigida,
del laser, della criosonda e dell’elettrocoagulatore), la toracoscopia medica,
la ultrasonografia.
Oltre ai requisiti generali e specifici previsti dalla normativa vigente, devono
essere previsti i seguenti requisiti.
Requisiti tecnologici per broncoscopia di I livello
• Sala endoscopica per Broncoscopia con strumento flessibile
• Attrezzatura/strumentazione necessaria
• Broncoscopi flessibili
• Strumenti per prelievi: pinze, pinze per corpi estranei, aghi cito e istologici, brushing, dispositivi per la raccolta, la conservazione e l’invio dei
campioni prelevati
• Fonti luminose per flessibile
• Sistema di registrazione Video dell’esame (Opzionale ma consigliato)
Sistema di monitoraggio paziente:
• pulsossimetro, ECG, rilievo incruento della pressione arteriosa
• materiale per incannulazione e mantenimento via venosa
Requisiti tecnologici per broncoscopia di II livello
Oltre ai requisiti previsti per le strutture di broncoscopia I livello devono essere previsti i seguenti:
• sala endoscopica per Broncoscopia operativa
• attrezzatura/strumentazione necessaria
• stessa strumentazione del flessibile
• tracheoscopi e broncoscopi rigidi
• pinze rigide per biopsie e rimozioni corpi estranei
• cateteri con palloncino per blocco bronchiale
• sondini per aspirazione bronchiale
• laser o elettrocoagulatore
• protesi con introduttori.
Requisiti organizzativi (per le singole procedure)
Durante l’attività broncoscopica sono necessari:
• un medico con formazione specialistica e training specifico endoscopico
• un infermiere professionale con formazione specifica.
Per la attività di endoscopia operativa sono necessari:
• con formazione specialistica e training specifico in endoscopia operativa
un medico anestesista
• due infermieri professionali con formazione specifica in endoscopia.
E’ necessario che in ogni centro dove si pratichi attività di pneumologia in-
Tabella 3. Percorso assistenziale dei pazienti sottoposti a broncoscopia
Tempestività delle
risposte per
l’esame
broncoscopico
diagnostico
N. pazienti con
tempi di attesa
adeguati tra
richiesta esame e
esecuzione della
prestazione
Correttezza
diagnostica
% diagnosi
eziologia corrette/
100 esami
diagnostici
Rilevazione delle
complicanze
magggiori in corso
di broncoscopia
% complicanze*
100 esami eseguiti
La gestione del paziente dovrebbe sempre avvalersi di questa risorsa
Attività Scientifica
• sala endoscopica per prelievi in controllo radiologico
• disinfezione
NB: gli endoscopi non totalmente immergibili devono essere sostituiti
• lavatrice ad ultrasuoni per accessori (preferibile)
• dispositivo per la verifica di tenuta dei fibroscopi
• apparato per la disinfezione di alto livello o sterilizzazione con una lava
disinfetta endoscopi automatica o sterilizzazione
• la disinfezione manuale deve essere abbandonata
• stoccaggio e smaltimento del disinfettante secondo la normativa vigente.
n.b. i tempi si intendono adeguati
se variano da 1 a 5
giorni (dipende
dall’esame)
Indicatore che
>90%
valuta i tempi di
attesa per accedere
alla prestazione
U.O.
Documentazione
sanitaria
Rilevazione a cura
dell’U.O.
Valutazione annuale
su campione
statisticamente
significativo
>70%
U.O
Documentazione
sanitaria
Rilevazione a cura
dell’U.O.
Valutazione annuale
su camipne
statisticamente
significativo
<2%
U.O.
Documentazione
sanitaria
Rilevazione a cura
dell’U.O.
Valutazione annuale
su campione
statisticamente
significativo
Per l’eccellenza è necessario soddisfare 2 dei 4 requisiti richiesti
Pubblicazioni
Pubblicazioni su riviste scientifiche
Almeno una nell’anno
Abstracts in Congressi
Almeno una nell’anno
Presentazioni a Congressi e Corsi
Relazioni, comunicazioni
Almeno una partecipazione nell’anno
Partecipazione a studi multicentrici
Almeno uno attivo
Pagina
82
*per complicanze
maggiori si intendono: insufficienza
respiratoria, polmonite, pneumotorace,
broncoostruzione,
arresto cardiorespiratorio, aritmie,
edema polmonare,
emorragie
Pagina
83
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Tabella 4. Requisiti minimi (fondo bianco) e criteri di eccellenza (fondo grigio) per l’endoscopia
Risorse/Procedure
Numero pazienti trattati
nel 2010
Disponibilità
Endoscopia Toracica
Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e almeno 3 dei 5 altri requisiti
Broncoscopia diagnostica
360
Biopsie transbronchiali
Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa
TBNA
Idem
Disostruzione laser assistita
Biopsie trans bronchiali con sistema di guida
cessarie per un laboratorio di biologia molecolare sono numerose e specifiche. Possiamo citare, a titolo esemplificativo, Heat Block, microdissettore
laser, cappa sterile per PCR, congelatore -20°C e -80°C, Frigo +4°C/ -20°C,
Forni ventilati, centrifughe, termociclatori, bilancie, cappa chimica, Phmetro,
agitatore rotante, piastra riscaldante, sequenziatore automatico. La strategia
più efficace per garantire la qualità della prestazione è la obbligatorietà dell’adesione ad un programma di controllo di qualità esterno, attraverso cui
venga verificata periodicamente la capacità operativa tecnica ed interpretativa, per verificare periodicamente la capacità operativa in biologia
molecolare del centro".
60
5.6 Radiodiagnostica
Ogni esame può avvalersi di questa risorsa
Fluorescenza o NBI
Idem
Assistenza anestesiologica
Idem
Posizionamento di endoprotesi
Idem
Degenze
Disponibilità posti letto dedicati, dipartimentali o tecnici
Procedure
Per l’eccellenza è necessario soddisfare entrambi i due requisiti richiesti
Broncoscopia diagnostica
1 settimana dalla richiesta
Stadiazione endoscopica
2 settimane dalla richiesta
Disostruzione laser o posizionamento endoprotesi 2 settimane dalle richiesta o 48 ore in urgenza
Attività Scientifica
Per l’eccellenza è necessario 1dei 3 requisiti
Pubblicazioni
Pubblicazioni su riviste con impact factor
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma polmonare
Nell’anno
Adesione a protocolli nazionali e internazionali
Relazioni a Congressi e Corsi di rilevanza azionale Nell’anno
terventistica, vi siano almeno due medici competenti, in grado di eseguire autonomamente una indagine di endoscopia diagnostica.
E’ necessario che in ogni centro dove si pratichi attività di pneumologia interventistica, vi siano almeno due infermieri competenti, in grado di eseguire
autonomamente le attività collegate alla endoscopia diagnostica.
Nel campo della Oncologia Polmonare la stessa legge prevede anche alcuni
parametri minimi di efficienza (tabella 3)
Le linee guida stabiliscono i parametri minimi di esperienza per singolo operatore, con un minimo di 120 broncoscopie diagnostiche per operatore, mentre sono necessarie non meno di 10 procedure operative per operatore nel
campo della endoscopia terapeutica (broncoscopie rigide in anestesia generale).
E’ indispensabile che i centri di endoscopia coinvolti nella rete oncologica
regionale siano in grado di eseguire correntemente broncoscopie in anestesia locale e sedazione, con esecuzione di prelievi bioptici endobronchiali, di
biopsie transbronchiali periferiche e di TBNA. Tali metodiche debbono essere
impiegate routinariamente nel processo diagnostico e stadiativo. Per le biopsie transbronchiali l’impiego di sistemi di guida ha dimostrato un netto incremento del rendimento diagnostico, e fra questi sono considerati accettabili
la radioguida, l’ecoguida e la navigazione elettromagnetica. L’impiego della
ROSE (Rapid On Site Examination), ha innalzato il rendimento diagnostico
della TBNA e ridotto tempi e complicanze, ed è pertanto anch’essa consi-
Pagina
gliata. Per la TBNA su linfonodi inferiori al cm e pertinenti a stazioni non 7,
4, 10, è consigliata l’ecoguida.
I centri di eccellenza di II secondo livello debbono possedere un più elevato
livello di esperienza e devono garantire il completo iter diagnostico, stadiativo e terapeutico. Per essere inclusi nei centri di II livello è necessario disporre di almeno un sistema di guida per le biopsie periferiche e rispettare
i criteri nazionali di accreditamento, quali quelli previsti dal disciplinare AIPO
per la Pneumologia Interventistica o quelli della regione Emilia Romagna, in
larga parte sovrapponibili.
Si allega la tabella 4 con la proposta di codifica dei criteri richiesti. Tali criteri debbono essere basati su dati obiettivi ricavabili dai dati dei Servizi Informatici Regionali o Aziendali.
5.5 Patologia molecolare
Dotazioni e volumi di attività per accreditamento ed eccellenza La struttura
deve disporre di un laboratorio di istopatologia e di un laboratorio di biologia
molecolare attrezzato per estrazione, conservazione, amplificazione, e sequenziamento di acidi nucleici. Per quanto riguarda i volumi di attività è difficile oggi stabilire valori soglia in modo attendibile, anche se un volume di
valutazioni di biologia molecolare di almeno 350 esami l’anno sembra indispensabile per garantire efficacia ed efficienza di attività. Le attrezzature ne-
84
Dotazioni e volumi di attività per accreditamento ed eccellenza
Il Gruppo di studio per la garanzia di qualità in radiologia diagnostica e interventistica ha pubblicato nel 2007, per conto dell’ Istituto Superiore di Sanità, le “Linee guida per la garanzia di qualità in radiologia diagnostica e
interventistica” nelle quali sono elencati i requisiti strutturali e tecnologici
per strutture di 1°,2° e 3° livello
La dotazione strumentale minima necessaria per l’accreditamento include,
oltre agli spazi necessari per la diagnostica e l’accoglienza del paziente, con
area di attesa per pazienti allettati con postazione per l’assistenza infermieristica:
• attrezzatura per Radiologia Convenzionale costituita da un telecomandato digitalizzato e un teleradiografo, (1 apparecchio dedicato, nelle
strutture ad alta attività (> 50 Rx torace/die))
• uno o più ecografi dei quali almeno uno dotato di modulo color-doppler;
• una apparecchiatura di risonanza magnetica (RM) per le indagini dell’encefalo e del tronco
• una apparecchiatura di radiologia vascolare e interventistica in presenza
di attività di radiologia interventistica
• una apparecchiatura di Tomografia Computerizzata, volumetrica.
Per l’eccellenza sono necessarie, oltre alle dotazioni previste per le attività
di 1° e 2° livello, almeno le seguenti apparecchiature di alta tecnologia:
• una o più sale dotate di angiografi digitali per l’esecuzione di procedure
interventistiche con annessi spazi di attesa per pazienti allettati, con
presidio infermieristico. Dette strutture, nelle quali si eseguono procedure
mininvasive, devono rispondere ai requisiti strutturali e impiantistici di un
gruppo operatorio
• tomografia computerizzata volumetrica con tecnologia multidetettore
(MSCT)
• una apparecchiatura di RM, con campo magnetico statico superiore a 1
Tesla, per indagini dell’encefalo e del tronco e indagini angiografiche.
Presenza di un servizio di Medicina Nucleare dotata di TC-PET
Dal punto di vista dell’expertise è necessario personale medico dedicato e
versato nella patologia polmonare, che possa strettamente collaborare con
clinico e anatomo-patologo, soprattutto nella valutazione iniziale del tumore
e nella valutazione e gestione del nodulo polmonare solitario (NPS), con particolare attenzione alle ultime raccomandazioni dell’ATS e ERS del 2011.
Necessaria la presa in carico del paziente (con liste dedicate), in modo da
dare in tempi ristretti (max 1 settimana) risposta alla richiesta del Clinico sia
di un primo accertamento che di successivo follow up. Auspicabile che l’iter
di prima diagnosi e i successivi controlli vengano eseguiti interamente nella
stessa struttura ospedaliera e dalla stessa equipe.
Devono essere previste riunioni collegiali periodiche, da parte di un gruppo
dedicato per valutazione degli aspetti clinici, radiologici, medico-nucleari e
Pagina
istologici e per la valutazione dei risultati secondo protocollo RECIST.
Necessario altresì servizio di radiologia interventistica capace di rispondere
in tempi adeguati alle richieste di biopsia diagnostica e, quando indicato, alle
richieste di trattamento di termoablazione con radiofrequenza delle lesioni
polmonari.
Il personale deve mantenere la propria clinical competence con almeno 30
ore/anno di aggiornamento dedicato.
Attività diagnostica non invasiva
Il mantenimento della clinical competence da parte dello specialista che
opera nella struttura richiede l’esecuzione e la refertazione di almeno 1500
esami (esami indentificati e contati come da nomenclatore tariffario) per le
varie procedure diagnostiche ogni tre anni di presenza in servizio.
Deve esistere un piano annuale di formazione dell’U.O. secondo quanto indicato negli obiettivi del Piano annuale delle attività.
Il piano di aggiornamento del personale deve tenere conto della necessità di
acquisire i crediti formativi secondo i criteri e le indicazioni previste dall’Educazione Medica Continua.
Attività di radiologia invasiva
Per l’attività invasiva oltre ai requisiti generali sovraspecificati si richiede in
particolare che il professionista che operi in autonomia abbia eseguito fin dall’inizio del suo curriculum formativo come primo o secondo operatore almeno
150 procedure complessive nei due settori, invasivo diagnostico e invasivo
terapeutico-interventistico, con un casemix percentuale orientativamente non
inferiore al 20% per l’attività terapeutico interventistica.
5.7 Counselling psicologico e/o psichiatrico
I tumori del polmone possono impattare la sfera psicologica, affettiva e familiare del paziente che si confronta con una malattia che minaccia la vita e
con gli esiti dei trattamenti oncologici.
Questa neoplasia colpisce in modo consistente la popolazione ultra sessantacinquenne (>55%) e gli ultrasettantenni (30%), è strettamente legata all’abitudine tabagica, che rappresenta il più importante fattore di rischio (85%
dei casi osservati), ed all’inquinamento atmosferico (tra il 20% e il 50%100% a secondo delle aree geografiche).
In questa popolazione la presenza di pregressa morbidità psicologica legata
all’età ed il significato attribuito dai pazienti a questa patologia ed alle possibilità di cura determinano elevati livelli di distress psicologico (43%). Si
raccomanda uno screening del distress psicologico fin dalla presa in carico
del paziente per il piano assistenziale individuale di trattamento (PAI) ed un
intervento di prevenzione secondaria per i danni legati al fumo, al fine di offrire, in ambiente ospedaliero e a domicilio, un supporto psicologico rivolto
al paziente e ai familiari.
Tale supporto deve essere fornito da uno Psicologo e/o Psichiatra inserito
nel Gruppo Interdisciplinare di cura, adeguatamente formato nel campo delle
problematiche personali, familiari e sociali del paziente con tumore al polmone. L’obiettivo del supporto psicologico è quello di favorire l’adattamento
alla malattia e la compliance all’iter terapeutico, la progettualità e la migliore
qualità di vita.
La presenza dello psicologo/psichiatra all’interno del Gruppo Interdisciplinare di cura è mirata anche all’offerta di training sulle abilità comunicative
agli operatori sanitari. La presenza di abilità comunicative negli operatori
permette ai pazienti una decisione informata sulle scelte terapeutiche, minori livelli di distress psicologico, maggiore compliance all’iter terapeutico e
maggiore soddisfazione per la cura ricevuta.
85
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella
6. Bibliografia
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86
Criteri di appropriatezza clinica
ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up della neoplasia
della mammella
Coordinatore: Francesco Cognetti
V. Altomare, C. Amanti, M. Amini, A.Barca, E. Cossu, G. De Toma, F. Di Filippo, A. Fabi,
F. Ferranti, L. Fortunato, T. Gamucci, G.B. Grassi, G. Guggiardo, P. Marchetti, R. Masetti,
M. Mottolese, L. Nardone, G. Naso, L. Perrachio, G. Petrella, P. Pinnarò, P. Pistolese,
C. Pistolese, P. Pugliese, D. Terribile, S. Tomao, M. Valeriani.
Pagina
87
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
1. Prevenzione secondaria
INDICE
1.
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella
A. Barca, G. Gucciardo, C. Pistolese
Prevenzione secondaria
1.1 Aspetti generali
1.2 Riferimenti normativi
1.3 I dati
1.4 Popolazione di riferimento dei Programmi di screening
1.5 Ricerca e Innovazione
ALLEGATO 1 Articolazione delle strutture, funzioni, requisiti
tecnici e strutturali nella prevenzione secondaria
Pagina 3
2.
Accertamento diagnostico e stadi azione
Pagina X
3.
Trattamento
3.1. Malattia non invasiva
3.2. Stadi iniziali
3.3. Malattia localmente avanzata
3.4. Malattia recidiva e metastatica
3.5. Terapie di supporto e riabilitazione
Pagina X
4.
Follow-Up
Pagina X
5.
Percorso psicologico nelle diverse fasi della neoplasia mammaria
Pagina X
6.
Criteri sull’appropriatezza delle dotazioni strutturali
e delle expertise nel carcinoma della mammella ai fini
della valutazione di accreditazione e della definizione di eccellenza
Pagina X
1.1 Aspetti generali
Il tumore della mammella è la neoplasia di gran lunga più frequente nel sesso
femminile; nel periodo 1998-2002 ha rappresentato il 24,9% del totale delle
diagnosi tumorali. Anche in termini di mortalità è risultata la prima fra le
cause tumorali con il 17,1% del totale dei decessi per tumore.
Nell’area AIRT (Associazione Italiana Registri Tumori) sono stati diagnosticati
in media ogni anno 152 casi di tumore della mammella ogni 100.000 donne.
Le stime per l’Italia indicano un totale di circa 38.000 nuovi casi diagnosticati nel nostro paese, mentre per quanto riguarda la mortalità nel 2003 si
sono verificati 11.461 decessi per tumore della mammella femminile. La sopravvivenza relativa a 5 anni è del 85%.
Il rischio di avere una diagnosi di tumore della mammella femminile nel corso
della vita (fra 0 e 74 anni) è di 90,2‰ (1 caso ogni 11 donne), mentre il rischio di morire è di 19,8‰ (1 decesso ogni 50 donne). Nel Lazio i tassi di
incidenza e mortalità sono in linea con i dati nazionali. Nel 2010 si sono stimati circa 4.000 nuovi casi (tasso di incidenza st. 110,1 per 100.000 donne),
con una stima del numero di decessi di circa 700 casi (tasso di mtà st. 16.3
per 100.000 donne).
I dati nazionali ed internazionali hanno dimostrato l’efficacia dei programmi
di prevenzione secondaria basati sulla sola mammografia (screening) nelle
50-69enni eseguita ogni 2 anni: nelle donne che vi partecipano è dimostrata
riduzione della mortalità che può arrivare fino al 50%. Questi programmi presentano criticità: soffrono infatti di incompleta copertura del territorio e di
carenze di adesione, talvolta non rispondono ai requisiti minimi di qualità,
escludono la fascia d’età dai 45 ai 49 aa, oltre alla fascia dai 70 ai 74 aa, non
utilizzano estesamente la mammografia digitale e le nuove tecnologie complementari alla mammografia, quali CAD, ecografia e RM, e non tengono
conto del profilo di rischio della singola donna (es. rischio genetico/familiare).
1.2 Riferimenti normativi
Nell’ambito del Piano Nazionale della Prevenzione 2010-2012, la Regione
Lazio con DGR 557/10 e 613/10 ha approvato le linee di intervento che riguardano il consolidamento e le innovazioni tecnologiche in ambito dello
screening organizzato per i timori della mammella, della cervice uterina e
del colon retto.
Nel DCA 59/2010 sono inseriti come parti integranti della rete, sottolineando
l’importanza del monitoraggio effettuato attraverso il sistema di indicatori
dell’Osservatorio Nazionale degli Screening (ONS) calcolati a livello regionale.
1.3 I dati
Nel Lazio l’estensione teorica dei programmi ha raggiunto il 100% in quanto
tutte le ASL hanno un programma di screening che si sviluppa sul proprio territorio. Nel 2009 i programmi hanno invitato il 70% della popolazione target.
La popolazione residente da invitare ogni due anni è di circa 700.000 donne
in fascia di età 50-69 anni.
Delle donne invitate solo il 40% ha aderito al programma eseguendo la mammografia di screening. La partecipazione è più alta nelle zone fuori comune
di Roma (52% vs 34%). Il 5.8% delle donne che ha effettuato la mammografia di screening ha proseguito l’iter di screening effettuando esami di ap-
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88
Pagina
profondimento, valore in linea con il tasso nazionale e con lo standard raccomandato. Sono state inviate a trattamento chirurgico circa 500 donne ottenendo una Detection Rate del 3.36 per mille; il rapporto Benigni /Maligni
registrato è in linea con lo standard raccomandato (0.16 vs 0.5 standard
ONS).
Se si considerano i dati della Multiscopo dell’Istat e dallo studio PASSI risulta in realtà che la percentuale di copertura mammografica nel Lazio nelle
donne in fascia di età 50-69 anni risulta essere superiore al 70%. Tale dato
scaturisce dalla coesistenza di un doppio canale di offerta (organizzata ed opportunistica) che genera inappropriatezza e dispendio di risorse.
1.4 Popolazione di riferimento dei Programmi
di screening
Secondo le Raccomandazioni del Ministero della Salute tutte le regioni devono attuare programmi di screening per il tumore della mammella per garantire l’offerta di un LEA alla popolazione bersaglio, ossia tutte le donne di
età compresa tra i 50 e i 69 anni. L’estensione alle fasce 45-49 e 70-74 anni
è attuabile dalle Regioni solo dopo aver garantito l’estensione totale ed una
adeguata partecipazione alla fascia di elezione.
Fascia 45-49 anni: L’ estensione dell’invito a questa fascia di età deve tenere
conto dell’ utilizzo come test di screening della mammografia con doppia
proiezione, doppia lettura con frequenza a 12-18 mesi. Per le donne con
mammelle radiologicamente più dense è opportuno integrare l’esame mammografico con l’ecografia. Qualora non ci siano le condizioni per estendere
l’invito a tale fascia di età è necessario integrare nel percorso le donne che
spontaneamente effettuano la mammografia attraverso lo screening opportunistico..
Fascia 70-74 anni: i presupposti per una estensione a questa fascia di età
sono: migliore sensibilità mammografica, durata maggiore della fase preclinica, maggiore aspettativa di vita e crescente disponibilità di trattamenti efficaci; per le donne già inserite nel percorso si tratta di continuare ad invitare
secondo i controlli periodici (mammografia con doppia proiezione, doppia
lettura con frequenza biennale).
1.5 Ricerca e Innovazione
La riduzione della mortalità è invariata da 40 anni ed è stata ottenuta con
un’unica tecnica standard, la mammografia, E’ ipotizzabile che la personalizzazione dei programmi, con l’introduzione della mammografia digitale, del
CAD e l’integrazione della Mammografia con l’Ecografia e la RM, adottando
percorsi e timing di controllo differenziati, possa ridurre ulteriormente la mortalità. Per raggiungere tale scopo è indispensabile attuare sperimentazioni di
modelli organizzativi modulati sul profilo di rischio individuale.
Sulla base dei risultati di tali sperimentazioni ogni singola donna dovrà essere classificata in base al proprio profilo di rischio, tenendo conto della storia personale e familiare, dell’ assunzione o meno di terapia ormonale
sostitutiva, delle caratteristiche di composizione della ghiandola mammaria
(es. seno denso), di eventuali precedenti interventi/terapie per carcinoma
mammario, della presenza di impianti protesici.
Le donne a rischio “normale” seguirebbero le modalità dello screening “tradizionale”, le altre verrebbero inviate ad un programma di prevenzione “personalizzato”sulla base del rischio:
89
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Prevenzione oncologica mammaria: screening personalizzato
Ipotesi di inserimento nello scenario attuale della prevenzione secondaria modulata sul profilo di rischio di ciascuna donna
INTRODUZIONE
Screening MX50-69 aa (biennale) riduzione della mortalità del 30-50%
Non completa estensione dell’invito sulla popolazione target (70%);
non inclusione delle 45-49enni; 70-74enni;
Uso della Mx digitale poco esteso
POSSIBILITÀ DI IMPIANTARE SPERIMENTAZIONI SU LARGA SCALA NEI PROGRAMMI DI SCREENING PER:
Modalità di utilizzo di CAD, ecografia e RM, rispetto alle ultime linee guida disponibili; definizione del profilo di rischio per singola donna
Prevenzione oncologica mammaria: screening personalizzato
Ipotesi di inserimento nello scenario attuale della prevenzione secondaria modulata sul profilo di rischio di ciascuna donna
profilo di rischio personalizzazione del programma
Done a rischio normale (45-74 aa)
screening tradizionale secondo LLGG
Donne con rischio intermedio (rischio familiare; HRT; mammella di
ens BI-RADS 3/4; LCis; iperplasia atipica; protesi)
Donne con rischio alto genetico/familiare; lifetime risk >25%; esiti
RT mediastino; Li-Fraumeni ecc:
40-59 aa
Mx annuale (ev.US)
60-74 aa
Mx biennale
<39 aa*
RM annuale e US annuale
40-49 aa*
Mx annuale (ev. US) e RM annuale
50-74 aa
Mx biennale
Integraziobe tra le sedi di senologia clinica & screening
* NICE 2006 Familial Breast Cancer
Prevenzione oncologica mammaria: screening personalizzato
Ipotesi di inserimento nello scenario attuale della prevenzione secondaria modulata sul profilo di rischio di ciascuna donna
INTERVENTI URGENTI
Identificazione del profilo fi rischio: normale,medio, elevato
Diffondere l’uso della Mx digitale
Sperimentare l’utilizzo del CAD
Introdurre l’utilizzo di US e RM come da proposta operativa
Estendere i Programmi di Screening alle fasce 45-49 aa; 70-74 aa
1. Rischio medio = mammella densa (3°- 4° BI-RADS), terapia ormonale
sostitutiva, precedenti terapie/interventi per Ca mammario, impianti protesici.
2. Rischio alto = rischio genetico/familiare (lifetime risk = >25%)
La stratificazione potrebbe essere fatta dal Medico Radiologo, che legge la
mammografia di screening e valuta i dati della scheda anamnestica della
donna compilata dal tecnico radiologo che effettua il test; nel caso di sospetta componente genetica la donna andrebbe obbligatoriamente inviata ai
centri di counselling precedentemente identificati.
ALLEGATO 1
Articolazione delle strutture, funzioni, requisiti
tecnici e strutturali nella prevenzione secondaria
Ciascuna ASL, attraverso un comitato di coordinamento interdisciplinare,
composto dai responsabili delle Unità Operative interessate e da un rappresentate dei Medici di Medicina Generale, svolge le seguenti funzioni:
Pagina
•
garantire l’applicazione dei controlli di qualità inclusi quelli di fisica sanitaria
• organizzare le modalità informative interne mettendo in rete tutte le
strutture e garantendo la registrazione tempestiva dei dati sul sistema
informativo
• valutare i bisogni formativi e assicurare la partecipazione del personale
alle attività didattiche
• provvedere alla valutazione ed adeguamento delle tecnologie sanitarie
ed informatiche necessarie allo svolgimento del programma.
Le strutture che operano nell’ambito del programma di screening sono:
Struttura di coordinamento: è la struttura organizzativa responsabile dell’intero percorso. Svolge le seguenti attività:
• identificazione della popolazione bersaglio
• definizione del calendario di attività del centro di screening
• invito dell’utenza (lettera con appuntamento prefissato in base al calendario di attività
• l’appuntamento può essere modificato dalle utenti)
90
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella
•
•
•
•
invio del calendario giornaliero di attività al centro di screening
registrazione dei risultati della mammografia di screening:
negativo: invio della risposta all’utente tramite lettera
dubbio/positivo: contatto telefonico con appuntamento per esami di approfondimento
• registrazione dei risultati degli esami di secondo livello e comunicazione
delle indicazioni di follow up derivate all’utente
• reperimento della documentazione clinica dei casi positivi
• monitoraggio dell’attività con valutazione dell’ adeguatezza della performance del programma in rapporto agli standard riconosciuti dal Ministero della Salute e ai Criteri di Buona Pratica organizzazione di audit
per il miglioramento continuo della qualità
• gestione del numero verde
• allestimento dei report periodici
• preparazione del materiale informativo, consensi informati, questionari
di soddisfazione dell’utenza.
Struttura di I livello è la struttura dove viene effettuata la mammografia di
screening bilateralmente in due proiezioni (medio laterale obliqua e cranio
caudale). L’utente che si presenta per la mammografia di screening viene
accolta e registrata; una breve anamnesi con particolare riguardo alla anamnesi familiare e ad interventi precedenti sulla mammella con esame istologico viene inoltre raccolta ed inserita nel sistema informativo, dal personale
infermieristico.
Il tecnico radiologo, esperto qualificato e dedicato, svolge i seguenti compiti:
• esecuzione del test di screening di eccellente qualità sia dal punto di
vista del posizionamento che dal punto di vista tecnico.
• esecuzione sistematica delle procedure di controllo di qualità per quanto
riguarda gli aspetti fisici e tecnici, in base ai protocolli di qualità definiti
dalle Linee Guida Europee sulla Quality Assurance (IV edition, 2006)
L’interpretazione del test di screening è affidata al medico radiologo che
legge i radiogrammi di screening; la lettura deve essere eseguita indipendentemente dai due radiologi.
La doppia lettura aumenta sia la sensibilità che la specificità del test, riducendo il tasso dei richiami. Secondo i criteri di Buona Pratica e le raccomandazioni del Ministero, un radiologo che opera nello screening deve:
• essere dedicato nell’attività senologica almeno il 50% della sua attività
• leggere almeno 5.000 esami/anno
• partecipare all’approfondimento delle lesioni identificate mediante
screening e alla discussione dei casi clinici nelle riunioni multidisciplinari;
• partecipare alla revisione periodica della propria performance (tasso diagnostico, tasso di richiami, revisioni dei cancri intervallo).
Struttura di II livello: comprende tutti gli esami di approfondimento necessari in caso di mammografia “non negativa” e che devono essere effettuati
presso una struttura specialistica integrata (unità di senologia diagnostica).
Tutti gli approfondimenti diagnostici devono essere svolti in un'unica sede ed
è necessario che l’attività di screening (I livello) sia connessa organizzativamente e strutturalmente all’unità di senologia che seguirà gli approfondimenti diagnostici.
Gli esami di approfondimento sui casi richiamati dallo screening devono essere eseguiti dai medici radiologi che effettuano la lettura di screening.
In caso di positività o persistenza del dubbio la valutazione dei casi deve essere fatta insieme ad un’equipe multidisciplinare (radiologo, patologo, chirurgo, oncologo e radioterapista) per verificare la completezza della diagnosi
preoperatoria e concordare il trattamento più adeguato da offrire.
Struttura di III livello: ogni programma di screening deve avere almeno un’
unità chirurgica di riferimento dove vengano trattati un minimo di 100/150
casi di tumore mammario all’anno con almeno 50 casi/chirurgo per anno
Pagina
sempre nell'ambito della stessa UO dedicata a cui indirizzare i casi diagnosticati. In questa struttura deve essere presente una Breast Unit che garantisca funzioni di: chirurgia della mammella, radiologia senologica, chirurgia
plastica e ricostruttiva con chirurgo dedicato, anatomia patologica con patologo dedicato; per le pazienti affette da tumore della mammella: oncologia
medica, medicina nucleare, radioterapia con radioterapista dedicato, riabilitazione, psicologia, genetica medica.
La necessità di unità operative dedicate è motivata dal fatto di garantire la
massima qualità degli interventi diagnostico terapeutici senza far uscire la
paziente da una Rete professionale integrata, ed anzi facilitandone l’accesso,
qualunque sia il professionista per primo incontrato.
Le Breast Unit, concepite nell’ottica di una razionalizzazione ed ottimizzazione delle risorse umane ed economiche impiegate per la diagnosi e cura
delle donne affette da carcinoma mammario, consentono inoltre di:
riesaminare e completare, se necessario, l’iter diagnostico nei casi con documentazione incompleta, evitare di trasferire la paziente che necessiti, per
esempio, di una linfoscintigrafia mammaria per linfonodo sentinella presso
altre strutture, o di far intervenire un chirurgo plastico non facente parte della
breast unit proveniente da altri ospedali per garantire un approccio conservativo, evitando mutilazioni superflue e complicanze invalidanti e di offrire un
intervento ricostruttivo dopo intereventi demolitivi o un trattamento oncoplastico in corso di terapia conservativa.
Ogni Breast Unit deve inoltre aver elaborato un Percorso clinico assistenziale
condiviso e tenere riunioni multidiscplinari periodiche per la discussione dei
casi clinici ed il miglioramento della qualità degli interventi diagnostici e terapeutici.
CONTROLLI DI QUALITA’ DEI MAMMOGRAFI DIGITALI
• Mammografo Digitale (diretto/indiretto)
• CAD (computer aided detection)
• dual energy
• monitor dedicati per la refertazione, con
• possibilità di rielaborazione dati (postprocessing)
Controlli effettuati dal tecnico radiologo con tempistica: giornaliera, settimanale, mensile:
• funzionalità del monitor di refertazione;
• verifica ed omogeneità dei flat-panel
• riproducibilità del sistema di controllo automatico dell’esposizione attraverso la verifica del rapporto contrasto-rumore
• pulizia del plate e del lettore CR e verifica dell’assenza di artefatti su
tutte le cassette
• verifica dell’eventuale “anodizzazione” del tubo radiogeno
• calibrazione del rivelatore flat-panel
Controlli effettuati dall’esperto in Fisica Medica con tempistica: semestrale,
annuale:
• tubo radiogeno
• generatore
• griglia
• compressore e controllo automatico dell’esposizione per tutti gli spessori (2-7cm)
• misura della dose ghiandolare media al variare degli spessori
• verifica della soglia di contrasto
Controllo rivelatore digitale (sia flat-panel che cassette CR):
• fnzione di risposta al variare della dose
• assenza di sorgenti di rumore
• omogeneità ed artefatti
• calibrazione e controllo dei monitor delle Work-station di refertazione.
91
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
2. Accertamento diagnostico e stadiazione
V.Altomare , C.Amanti, M.Amini, F.Ferranti, M.Mottolese, L.Perracchio, P.Pistolese, P.Pugliese, S.Tomao
2.1 Diagnosi Strumentale
Diagnostica per Immagini
Protocolli diagnostici da applicare presso le strutture eroganti prestazioni
di senologia diagnostica.
In accordo con le principali società Scientifiche Nazionali (SIRM, FONCAM) ed
Internazionali (RCR, ACR) i protocolli diagnostici da applicare presso le strutture eroganti prestazioni di senologia diagnostica, al fine di coniugare efficacia ed efficienza nelle principali situazioni cliniche nel rispetto
dell’evoluzione delle conoscenze e delle tecnologie, sono i seguenti:
• sospetto clinico di carcinoma (nodulo, retrazione-ispessimento cute-capezzolo, Paget ecc.): la mammografia (MX), preferibilmente digitale con
tecnica FFDM, è indagine di elezione e preliminare a qualsiasi ulteriore
test diagnostico.
Da associare ad ecografia (US) nell’ambito della tripletta diagnostica
(MX+US+FNAC/B) o in caso di MX non risolutiva (es. densità diffusa o focale). US esame preliminare in donna giovane (specie se a basso sospetto clinico), in gravidanza o allattamento. Risonanza magnetica (MRM)
e scintigrafia (MN) da riservare a strutture altamente specialistiche quali
dovrebbero essere quelle che comprendono una breast unit, secondo
protocolli validati e continuamente aggiornati alla luce delle nuove conoscenze e tecnologie, in grado di gestire l’eventuale successivo iter
diagnostico
• sospetto clinico di carcinoma in portatrici di protesi: sarebbe opportuno
che tale tipologia di soggetti (portatrici di protesi) fossero studiate in ambienti specifici e dotati di MRM per la particolare validità diagnostica di
tale esame nella specifica popolazione. MX ed US, sebbene raccomandate, possono presentare, in particolare la prima, evidenti limitazioni diagnostiche
• dolore/tensione generalizzato ciclico e non: preliminare valutazione clinica ed anamnestica. MX può essere indicata in rapporto all’età, alla
storia familiare/personale; US non indicata di routine
• flogosi acuta: US indicata come primo esame in particolare per valutare
eventuali ascessi e come supporto per manovre interventistiche. MX nel
sospetto clinico o strumentale di ca
• secrezione: preliminare valutazione clinica ed anamnestica. In caso di
sospetto clinico è indicata MX, es. citologico del secreto ed eventuale
galattografia. Non evidenza clinica per US che può risultare indicata nell’impossibilità ad eseguire galattografia. MRM ancora in fase di validazione in questa situazione clinica.
• stadiazione pre terapia: MX ed US indicate per stadiazione locale. MRM
indicata nel sospetto (non certezza) clinico/strumentale di multicentricità/multifocalità o bilateralità E nel monitoraggio delle chemioterapia
neoadiuvante per carcinomi localmente avanzati. CT total body e scintigrafia ossea, o se del caso PET nei tumori con elevata probabilità di
metastasi a distanza, Rx mirati per metastasi a distanza solo su decisionalità multidisciplinare.
• follow-up di pz con neoplasia: MX annuale (eventuale associazione US).
MRM a chiarimento di specifici problemi; PET nella valutazione della risposta metabolica alla terapia e caratterizzazione di lesioni dubbie alle
altre indagini.
La mammografia rappresenta sicuramente l’esame strumentale principale
per la diagnosi di neoplasia mammaria, eventualmente integrata dall’ eco-
Pagina
grafia mammaria e dei cavi ascellari pre-operatoria.
Il mammografo digitale deve prevedere le seguenti caratteristiche:
• sistema CAD (computer aided detection)
• dual energy
• monitor dedicati per la refertazione, con possibilita’ di rielaborazione dati
(post-processing)
L’ecografia deve essere eseguita con ecografo di ultima generazione e con
sonde dedicate ad alta frequenza (>=10Mhz); è preferibile che sia previsto
un programma di rielaborazione immagini in 3D.
La RMN mammaria è da considerare una metodica integrata nella ricerca di
un carcinoma occulto, nella stadiazione loco-regionale (multicentricità, multifocalità, infiltrazione del muscolo pettorale, linfonodi regionali), in caso di
neoplasia localmente avanzata o di chemioterapia neo-adiuvante.
Tale metodica è anche l’indagine più sensibile per valutare l’estensione del
tumore invasivo ed ha permesso di evidenziare altri focolai neoplastici inattesi nel 16% delle pazienti.
In uno studio prospettico, la RMN mammaria ha evidenziato un tumore della
mammella contro laterale nel 3.1% di donne a cui era stato diagnosticato un
tumore della mammella ma in cui sia l’esame clinico che la mammografia
della mammella controlaterale erano negativi
La RMN deve possedere i seguenti requisiti:
• intensità di campo 1.5-3 Tesla
• bobine dedicate
• sequenze dedicate per spettroscopia
• sistema di localizzazione stereotassica per biopsie vuoto-assistite e/o
localizzazione prechirurgica
Tali metodiche strumentali devono inoltre consentire la possibilità di effettuare procedure interventistiche di caratterizzazione cito-istologica e di localizzazione prechirurgica.
Una stadiazione pre-operatoria con esami strumentali (ecografia epatica, rx
torace, scintigrafia ossea) non è strettamente necessaria in assenza di sintomi e/o segni di malattia sistemica nelle pazienti a basso rischio di recidiva
(N-).
Nelle pazienti a più alto rischio di recidiva (N+, T3-T4) o con segni clinici o
di laboratorio sospetti per la presenza di localizzazioni secondarie è indicata
una stadiazione biochimica e strumentale completa con marcatori tumorali
(CEA, CA 15-3), radiografia standard o TC del torace, ecotomografia o TC o
RMN epatica e scintigrafia ossea.
2.2 Diagnosi Anatomo-patologica
Diagnosi preoperatoria
La diagnosi pre-operatoria si basa essenzialmente sull’esecuzione di esame
ago aspirato per diagnosi citologica o di core biopsy o mammotome per diagnosi istologica
Diagnosi intraoperatoria
L’esame istologico intraoperatorio si esegue quando la natura della lesione
sia dubbia nonostante indagini clinico-strumentali, è utile in pazienti con problematiche particolari (cardiopatiche gravi, gravidanza, etc) e in casi con precedente biopsia non diagnostica.
L’esame istologico intraoperatorio consente la definizione di eventuale mul-
92
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella
tifocalità, bilateralità della neoplasia, la valutazione dello status dei margini,
può dare indicazione a QUART o mastectomia; è indispensabile per la valutazione del tessuto al di sotto del complesso di areola e capezzolo in corso
di nipple sparing.
E’ opportuno che la lesione da diagnosticare sia >1cm di diametro massimo. I vantaggi principali sono la possibilità di distinzione tra lesione benigna e lesione maligna. In caso di identificazione di lesioni complesse, quali
lesioni papillari, lesioni sclerosanti, la diagnosi va differita alla valutazione
definitiva.
microscopica dei margini con indicazione della distanza dal carcinoma invasivo e dal carcinoma intraduttale, valutazione dell’invasione vascolare e
linfatica, esame dei linfonodi, numero totale linfonodi esaminati, presenza di
macrometastasi, micrometastasi ed ICT, estensione extralinfonodale, metodo di esame del linfonodo sentinella, valutazione della risposta alla eventuale terapia neoadiuvante, Stato recettoriale, fattori prognostici, e il pTNM
(riferimento AJCC 2010 7^ edizione).
Diagnosi postoperatoria
Nella diagnosi post-operatoria è fondamentale il referto Anatomo patologico.
Questo dovrebbe comprendere i dati anagrafici, il tipo di campione (agobiopsia, biopsia escissionale, nodulectomia, quadrantectomia, riescissione,
mastectomia) e lato della lesione, indicazione dell’orientamento del campione e della sua integrità, i linfonodi (linfonodo sentinella e altri linfonodi),
descrizione e dimensioni del campione (indicare la presenza di cute, capezzolo, muscolo pettorale ed eventuale infiltrazione), descrizione e dimensioni
della neoplasia, focalità (nodulo singolo o noduli multipli), valutazione macroscopica dei margini con inchiostratura e campionamento, indicazione dell’istotipo della neoplasia (riferimento a Classificazione WHO 2003),
valutazione della componente intraduttale e della sua estensione, indicazione del grado della lesione (riferimento Score di Nottingham), valutazione
La classificazione clinica e patologica attualmente in uso è quello dell’AJCC
(American Joint Cancer Committee) VII edizione del 2010.
E’ strutturata come segue nelle tabelle 1, 2, 3, 4 e 5.
Dopo chemioterapia neo-adiuvante la ri-stadiazione viene preceduta dal prefisso “ycTNM” o “ypTNM” rispettivamente per la valutazione clinica e per
quella patologica.
2.3 Stadiazione TNM
Biomarcatori Validati e di Corrente Uso Clinico
Recettori Ormonali
Il metodo attualmente più utilizzato per la valutazione dei recettori per estrogeno e progesterone è quello immunoistochimico (IHC). Tale metodo richiede
una attenta valutazione di tutti gli aspetti tecnici e interpretativi, al fine di
garantire una adeguata qualità dei test. I punti critici della metodica sono le
Tabella 1. Tumore primitivo (T)a,b
TX
Primary tumor cannot be assessed
T0
No evidence of primary tumor
Tis
Carcinoma in situ
Tis (DCIS)
DCIS
Tis (LCIS)
LCIS
Tis (Paget)
Paget disease of the nipple NOT associated with invasive carcinoma and/or carcinoma in situ (DCIS and/or LCIS) in the underlying breast parenchyma. Carcinomas in the breast parenchyma associated with Paget disease are categorized based on the size and characteristics of the parenchymal disease, although the presence of Paget disease should still be noted
T1
Tumor ≤20 mm in greatest dimension
T1mi
Tumor ≤1 mm in greatest dimension
T1a
Tumor >1 mm but ≤5 mm in greatest dimension
T1b
Tumor >5 mm but ≤10 mm in greatest dimension
T1c
Tumor >10 mm but ≤20 mm in greatest dimension
T2
Tumor >20 mm but ≤50 mm in greatest dimension
T3
Tumor >50 mm in greatest dimension
T4
Tumor of any size with direct extension to the chest wall and/or to the skin (ulceration or skin nodules)c
T4a
Extension to the chest wall, not including only pectoralis muscle adherence/invasion
T4b
Ulceration and/or ipsilateral satellite nodules and/or edema (including peau d'orange) of the skin, which do not meet the criteria for inflammatory carcinoma
T4c
Both T4a and T4b
T4d
Inflammatory carcinoma
Pagina
93
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Tabella 2. Linfonodi regionali (N)a
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella
Tabella 3. Linfonodi patologici (pN)a,b
NX
Regional lymph nodes cannot be assessed (e.g., previously removed)
N0
No regional lymph node metastases
N1
Metastases to movable ipsilateral level I, II axillary lymph node(s)
pN1c
Metastases in 1–3 axillary lymph nodes and in internal mammary lymph nodes with micrometastases or macrometastases detected by
sentinel lymph node biopsy but not clinically detected
Metastases in 4–9 axillary lymph nodes.
pN2
OR
Metastases in ipsilateral level I, II axillary lymph nodes that are clinically fixed or matted
Metastases in clinically detectedd internal mammary lymph nodes in the absence of axillary lymph node metastases.
N2
OR
pN2a
Metastases in 4–9 axillary lymph nodes (at least 1 tumor deposit >2 mm).
pN2b
Metastases in clinically detectedd internal mammary lymph nodes in the absence of axillary lymph node metastases.
Metastases in clinically detectedb ipsilateral internal mammary nodes in the absence of clinically evident axillary lymph node metastases
N2a
Metastases in ipsilateral level I, II axillary lymph nodes fixed to one another (matted) or to other structures
N2b
Metastases only in clinically detectedb ipsilateral internal mammary nodes and in the absence of clinically evident level I, II axillary lymph node
metastases
OR
Metastases in ipsilateral infraclavicular (level III axillary) lymph node(s) with or without level I, II axillary lymph node involvement
Metastases in infraclavicular (level III axillary) lymph nodes
OR
OR
N3
Metastases in ≥10 axillary lymph nodes
Metastases in clinically detectedb ipsilateral internal mammary lymph node(s) with clinically evident level I, II axillary lymph node metastases
pN3
Metastases in clinically detectedc ipsilateral internal mammary lymph nodes in the presence of one or more positive level I, II axillary
lymph nodes
OR
OR
Metastases in ipsilateral supraclavicular lymph node(s) with or without axillary or internal mammary lymph node involvement
N3a
Metastases in ipsilateral infraclavicular lymph node(s)
Metastases in >3 axillary lymph nodes and in internal mammary lymph nodes with micrometastases or macrometastases detected by
sentinel lymph node biopsy but not clinically detectedc
N3b
Metastases in ipsilateral internal mammary lymph node(s) and axillary lymph node(s)
OR
N3c
Metastases in ipsilateral supraclavicular lymph node(s)
Metastases in ipsilateral supraclavicular lymph nodes
Metastases in ≥10 axillary lymph nodes (at least 1 tumor deposit >2.0 mm)
pN3a
Tabella 3. Linfonodi patologici (pN)a,b
pNX
Regional lymph nodes cannot be assessed (e.g., previously removed or not removed for pathologic study).
pN0
No regional lymph node metastasis identified histologically.
OR
Metastases to the infraclavicular (level III axillary lymph) nodes
pN3b
Note: ITCs are defined as small clusters of cells ≤0.2 mm, or single tumor cells, or a cluster of <200 cells in a single histologic cross-section. ITCs may be detected by routine histology or by IHC methods. Nodes containing only ITCs are excluded from the total positive node count for purposes of N classification but should be included in the
total number of nodes evaluated.
Metastases in clinically detectedd ipsilateral internal mammary lymph nodes in the presence of one or more positive axillary lymph nodes
OR
Metastases in >3 axillary lymph nodes and in internal mammary lymph nodes with micrometastases or macrometastases detected by
sentinel lymph node biopsy but not clinically detectedc
pN0(i–)
No regional lymph node metastases histologically, negative IHC.
pN0(i+)
Malignant cells in regional lymph node(s) ≤0.2 mm (detected by H&E or IHC including ITC).
pN0(mol–)
No regional lymph node metastases histologically, negative molecular findings (RT-PCR).
pN0(mol+)
Positive molecular findings (RT-PCR), but no regional lymph node metastases detected by histology or IHC.
Posttreatment yp "N" should be evaluated as for clinical (pretreatment) "N" methods above. The modifier "SN" is used only if a sentinel node evaluation
was performed after treatment. If no subscript is attached, it is assumed that the axillary nodal evaluation was by AND
Micrometastases
The X classification will be used (ypNX) if no yp posttreatment SN or AND was performed
OR
categories are the same as those used for pN
pN1
pN3c
Metastases in 1–3 axillary lymph nodes.
AND/OR
Metastases in internal mammary nodes with metastases detected by sentinel lymph node biopsy but not clinically detectedc
pN1mi
Micrometastases (>0.2 mm and/or >200 cells but none >2.0 mm).
pN1a
Metastases in 1–3 axillary lymph nodes, at least one metastasis >2.0 mm.
pN1b
Metastases in internal mammary nodes with micrometastases or macrometastases detected by sentinel lymph node biopsy but not clinically detectedc
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94
Metastases in ipsilateral supraclavicular lymph nodes.
Posttreatment ypN
AND = axillary node dissection
H&E = hematoxylin and eosin stain
IHC = immunohistochemical
ITC = isolated tumor cells
RT-PCR = reverse transcriptase/polymerase chain reaction.
aReprinted with permission from AJCC: Breast. In: Edge SB, Byrd DR, Compton CC, et al., eds.: AJCC Cancer Staging Manual. 7th ed. New York, NY: Springer, 2010, pp 347-76.
bClassification is based on axillary lymph node dissection with or without sentinel lymph node biopsy. Classification based solely on sentinel lymph node biopsy without subsequent axillary lymph node dissection is designated (SN) for "sentinel node," for example, pN0(SN).
c "Not clinically detected" is defined as not detected by imaging studies (excluding lymphoscintigraphy) or not detected by clinical examination.
d"Clinically detected" is defined as detected by imaging studies (excluding lymphoscintigraphy) or by clinical examination and having characteristics highly suspicious for malignancy or a presumed pathologic macrometastasis based on fine-needle aspiration biopsy with cytologic examination.
Pagina
95
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Tabella 4. Metastasi a distanza (M)a
M0
No clinical or radiographic evidence of distant metastases
cM0(i+)
No clinical or radiographic evidence of distant metastases, but deposits of molecularly or microscopically detected tumor cells in circulating blood, bone marrow, or other nonregional nodal tissue that are ≤0.2 mm in a patient without symptoms or signs of metastases
M1
Distant detectable metastases as determined by classic clinical and radiographic means and/or histologically proven >0.2 mm
Reprinted with permission from AJCC: Breast. In: Edge SB, Byrd DR, Compton CC, et al., eds.: AJCC Cancer Staging Manual. 7th ed. New York, NY: Springer, 2010, pp 34776.
a
Posttreatment yp M classification. The M category for patients treated with neoadjuvant therapy is the category assigned in the clinical stage, prior to initiation of neoadjuvant therapy. Identification of distant metastases after the start of therapy in cases where pretherapy evaluation showed no metastases is considered progression of disease.
If a patient was designated to have detectable distant metastases (M1) before chemotherapy, the patient will be designated as M1 throughout.[1]
Tabella 5. Stadi/Gruppi prognosticia,b
Stage
T
N
M
0
Tis
N0
M0
IA
T1b
N0
M0
T0
N1mi
M0
T1b
N1mi
M0
T0
N1c
M0
T1b
N1c
M0
T2
N0
M0
T2
N1
M0
T3
N0
M0
T0
N2
M0
T1b
N2
M0
T2
N2
M0
T3
N1
M0
T3
N2
M0
T4
N0
M0
T4
N1
M0
T4
N2
M0
IIIC
Any T
N3
M0
IV
Any T
Any N
M1
IB
IIA
IIB
IIIA
IIIB
Reprinted with permission from AJCC: Breast. In: Edge SB, Byrd DR, Compton CC, et al., eds.: AJCC Cancer Staging Manual. 7th ed. New York, NY: Springer, 2010, pp 347-76.
T1 includes T1mi.
cT0 and T1 tumors with nodal micrometastases only are excluded from Stage IIA and are classified Stage IB.
- M0 includes M0(i+).
- The designation pM0 is not valid; any M0 should be clinical.
- If a patient presents with M1 prior to neoadjuvant systemic therapy, the stage is considered Stage IV and remains Stage IV regardless of response to neoadjuvant therapy.
- Stage designation may be changed if postsurgical imaging studies reveal the presence of distant metastases, provided that the studies are carried out within 4 months of diagnosis in the absence of disease progression and provided that the patient has not received neoadjuvant therapy.
- Postneoadjuvant therapy is designated with "yc" or "yp" prefix. Of note, no stage group is assigned if there is a complete pathologic response (CR) to neoadjuvant therapy, for
example, ypT0ypN0cM0.
a
b
Pagina
96
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella
procedure di fissazione del tessuto tumorale (max 24 - 48h in formalina tamponata) e di recupero dell’antigenicità, il tipo di anticorpi utilizzati, la quantificazione della immunoreattività, l’utilizzo di controlli appropriati di qualità
interni ed esterni.
HER2 immunoistochimica
L’iperespressione dell’oncogene HER2 è analizzata routinariamente su tutti
i pazienti operati per carcinoma invasivo della mammella con metodica IHC
utilizzando anticorpi validati. I più utilizzati sono l’anticorpo policlonale A0485
(Dako, Milano) e l’anticorpo monoclonale CB11 (Menarini, Firenze). Viene determinato uno score della immunoreattività (0 e 1+ = negativo o reattività discontinua di membrana, 2+ e 3+= rispettivamente positivo con reattività
debole completa di membrana o intensa completa di membrana).
HER2 amplificazione genica
Nei tumori con score 2+ (reattività equivoca) , dovrà essere analizzata l’amplificazione genica mediante FISH (ibridazione in situ fluorescente) o
CISH/SISH (Ibridazione in situ cromogenica). Queste due ultime metodiche
permettono la visualizzazione dell’amplificazione genica al microscopio ottico consentendo un’accurata valutazione della morfologia del tessuto e sono
particolarmente utili nei preparati citologici, dove è importante visualizzare
accuratamente l’amplificazione nel contesto della morfologia cellulare. Secondo le linee guida internazionali (American College of Pathologists) si considerano amplificati in FISH carcinomi con una ratio (gene/cromosoma 17)
>2.2 e in CISH/SISH carcinomi con >6 segnali/nucleo.
Ki-67
è un antigene che si trova esclusivamente nel nucleo delle cellule proliferanti (dalla fase G1 alla mitosi) , ma è assente nelle cellule in G0. La determinazione dell’indice di proliferazione mediante ki-67 è effettuata mediante
IHC e il cut-off accettato in letteratura varia tra il 13% e il 15%. La valutazione dell’indice di proliferazione mediante il ki-67 può fornire informazioni
prognostiche e essere di ausilio clinico per pianificare piu’ accuratamente il
trattamento adiuvante in pazienti N0 (Viale G et al J Natl Cancer Inst 2008)
e in donne post menopausa con recettori ormonali positivi ( Viale G et al J Clin
Oncol 2008). Come per tutte le indagini immunoistochimiche anche per la
valutazione del ki-67 le fasi preanalitiche della preparazione dei tessuti devono essere accuratamente standardizzate e controllate.
Biomarcatori in Corso di Validazione Clinica
Tutti i geni e i loro prodotti coinvolti nei processi di invasione, migrazione e
metastatizzazione, possono rappresentare potenziali fattori prognostici. Una
prima strategia è stata caratterizzata dall’analisi combinata di geni di cui è
noto il coinvolgimento nel processo di crescita neoplastica, portando allo sviluppo dell’Oncotype; una seconda strategia è consistita nello studio su varie
casistiche di un ampio numero di geni per poi validare, attraverso algoritmi
matematici, un complesso di geni correlato con la prognosi sfavorevole e
ciò ha portato allo sviluppo di Mammaprint. La disponibilità della tecnologia
del micro-array, basata sull’ibridizzazione di catene di DNA con loro copie
complementari di cDNA fluorescente o sequenze gnomiche provenienti da
tessuto, permette il confronto dell’espressione di tutti i geni in tessuti normali
e tumori diversi; tutto questo analizzando l’intensità della fluorescenza nel
micro-array chip. Una delle più interessanti applicazioni della tecnologia dei
micro-array è consistita nella possibilità di classificare i casi di carcinoma
mammario su base molecolare, cioè a seconda dei differenti profili di espressione genica.
La presenza di cellule tumorali circolanti (CTC) nel sangue di donne con carcinoma mammario in fase precoce necessita ancora di ulteriore definizione
relativamente alla sensibilità, specificità e riproducibilità sia qualitativa sia
quantitativa delle metodiche utilizzate. La recente disponibilità di una tecnica
Pagina
affidabile come quella Cell Search potrà consentire l’implementazione di progetti di ricerca che valutino prospettivamente questo fattore prognostico in
rapporto ai trattamenti adiuvanti, contribuendo inoltre a fornire una valutazione e una stima dei marker di resistenza o sensibilità ai regimi chemioterapici e favorendo, quindi, una migliore comprensione degli eventi molecolari
precoci del processo di metastatizzazione. Un ulteriore interesse sul piano
prettamente clinico deriva dalla dimostrazione che le caratteristiche di maggiore aggressività legate all’amplificazione di HER2 sono mediate da questa
sottopopolazione.
La classificazione clinica e patologica attualmente in uso è quello dell’AJCC
(American Joint Cancer Committee) L’analisi del profilo genico attraverso
l’utilizzo di DNA microarrays ha confermato che il tumore della mammella
non rappresenta un’unica patologia con diverse caratteristiche morfologiche a specifici biomarkers, ma piuttosto un insieme di ben distinte patologie molecolari. Quattro classi principali di tumore della mammella sono state
identificate attraverso l’analisi del profilo genico. Secondo la classificazione
“intrinseca” di Perou et al (Nature 2000) queste quattro categorie sono denominate basal-like, (tumori con recettori ormonali e HER2 non espressi), luminal A (tumori con recettori ormonali positivi e a basso grado di
proliferazione), luminal B (tumori con recettori ormonali generalmente
espressi ma piuttosto debolmente e spesso ad alto grado di proliferazione)
e tumori HER2 positivi che mostrano amplificazioni ed elevata espressione
del gene ERBB2 e di altri geni ad esso correlati. Questi sottogruppi corrispondono ragionevolmente alla caratterizzazione clinica dei tumori della
mammella sulla base dello stato dei recettori ormonali e di HER2, oltre che
del grado istologico. Studi di Microarray hanno inoltre dimostrato che i tumori
luminali esprimono un’alta percentuale di citocheratine luminali e marcatori
genetici delle cellule epiteliali luminali del tessuto mammario normale. Al
contrario i tumori basal-like non esprimono recettore per l’estrogeno, recettore per il progesterone e non esprimono geni importanti che caratterizzano
le cellule mioepiteliali del tessuto mammario normale. In alcuni tumori basal–
like c’è un’alta espressione di citocheratine basali come CK5 e di una grande
varietà di recettori di fattori di crescita, inclusi alti livelli di epidermal growth
factor receptor, c–kit, e fattori di crescita come hepatocyte growth factor e
insulina growth factor. I metodi di immunoistochimica per definire i tumori
basal – like non sono completamente sufficienti, in parte perché la corrispondenza con la classificazione molecolare non è perfetta ed anche perché
complessità logistiche limitano lòa possibilità di combinare 5 o più markers
immunoistochimici nella routine della pratica clinica. Un’altra caratteristica
che differenzia i tumori basal-like sporadici dai tumori luminal-like è la disfunzione del pathway di BRCA1 causata dalla metilazione del promoter o
dalla inattivazione trascrizionale del gene BRCA1 o di entrambe. Infatti quasi
tutti i tumori associati a mutazioni di BRCA1, sia sporadici che ereditari,
hanno un fenotipo basal-like. L’analisi del profilo genico è stata utilizzata per
sviluppare test genomici che possano predire l’outcome clinico in modo più
“tailored”rispetto agli standard tradizionali clinici e patologici. Gli investigatori del Nederlands Cancer Institute hanno sviluppato una firma genetica
(MammaPrint) a partire da una serie retrospettiva di 78 pazienti con tumore
della mammella con linfonodi negativi che non hanno ricevuto alcuna terapia sistemica adiuvante (Van’T Veer, Nature 2002). L’analisi,che misura
l’espressione di 70 geni e calcola un punteggio prognostico che categorizza
le pazienti in alto e basso rischio , è stata recentemente approvata dalla FDA
(anche se non è stata validata in uno studio prospettico) per le pazienti con
tumore della mammella che hanno meno di 61 anni, stadio I o II, linfonodi negativi e dimensioni tumorali ≤ 5 cm (Van’T Veer, Nature 2002). Un confronto
tra questa firma genetica e Adjuvant! Online Program (www.adjuvantonline.com), che assegna un rischio sulla base dei criteri convenzionali come
97
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
dimensioni tumorali, stato linfonodale, grado, stato recettoriale, ha dimostrato che 87 dei 302 pazienti aveva risultati discordanti (29%). Soprattutto
in questi casi discordanti il test genetico sembra essere più preciso nella discriminazione dei pazienti a basso o ad alto rischio. Una gene-signature attualmente utilizzata anche nella pratica clinica negli USA, approvata da FDA
è l’Oncotype DX, in corso di validazione prospettica come fattore predittivo
per il trattamento adiuvante nello studio TAILORX. Oncotype DX è un profilo
di espressione di 21 geni che misura 16 geni, in triplice copia, e 5 geni di riferimento; è attualmente applicabile come profilo prognostico in pazienti con
diagnosi di neoplasia mammaria stadio I e II, con recettori per gli estrogeni
positivi e i linfonodi negativi per discriminare coloro che si possano giovare
anche di un trattamento chemioterapico antiblastico, oltre che dell’ormonoterapia.
Linfonodo Sentinella
La presenza di metastasi nei linfonodi ascellari è il più importante indicatore
prognostico del cancro della mammella. Lo stato del linfonodo sentinella riflette con precisione (>90%) la presenza o assenza di metastasi nei linfonodi
ascellari. La tecnica del linfonodo sentinella consente di ridurre di circa il
70% le linfadenectomie ascellari. Il patologo deve fare il possibile per trovare
eventuali metastasi in sede intraoperatoria. La condizione migliore è poter
concentrare l’attenzione su un linfonodo anziché su tutti i linfonodi ascellari.
Quello che si vorrebbe è un metodo rapido, economico ed efficace per valutare lo stato del linfonodo, ma non esiste protocollo che possa essere realizzato a basso costo e velocemente. Oltre alla normale procedura di
valutazione (sezione congelata o touch imprint con successiva colorazione
ematossilina-eosina, H&E) con cui è possibile analizzare solo una porzione
ridotta del linfonodo, a causa del tempo limitato a disposizione durante l’intervento , in alcuni centri si utilizza il metodo OSNA (One Step Nucleic Acid
Amplification), rapido, costoso, ma molto affidabile. Tale metodo è una procedura isotermica che utilizza una tecnologia di amplificazione rapida degli
acidi nucleici (RT-LAMP*) per rilevare il livello di espressione dell'mRNA della
citocheratina 19.
Tenuto conto dell’importanza delle informazioni contenute nel linfonodo sentinella, il patologo deve fare il possibile per trovare eventuali metastasi. La
condizione favorevole è di poter concentrare l’attenzione su un linfonodo anziché su tutti i linfonodi ascellari. Quello che si vorrebbe è un metodo rapido,
economico ed efficace per valutare lo stato del linfonodo, ma non esiste protocollo che possa essere realizzato a basso costo e velocemente. La valutazione intraoperatoria si effettua con il metodo OSNA (One Step Nucleic Acid
Amplification). Tale metodo è una procedura isotermica che utilizza una tecnologia di amplificazione rapida degli acidi nucleici (RT-LAMP*) per rilevare
il livello di espressione dell'mRNA della citocheratina 19.
L’analisi della CK19 consente di distinguere tra risultati positivi e negativi, e
fornisce anche una chiara indicazione quantitativa in termini di assenza di
metastasi (- < 250 copie mRNA/µL ), micro (+ 250 ≤ copie < 5000mRNA/µL)
o macrometastasi (++ ≥ 5.000 copie mRNA/µL).
La citocheratina 19 è un marcatore delle cellule epiteliali non espresso nel
linfonodo e la sua reattività è indipendente dall’istotipo e dal sottogruppo
molecolare del carcinoma della mammella.
Il metodo OSNA permette di analizzare l’intero linfonodo e, in parallelo, fino
a quattro linfonodi e i risultati sono disponibili in un tempo di circa 30 minuti;
consente una risposta definitiva durante l’intervento chirurgico, evita una
linfoadenectomia consentendo di formulare una risposta definitiva durante
l’intervento chirurgico, evita una linfoadenectomia ascellare non necessaria.
Le valutazioni condotte su OSNA in tutto il mondo hanno evidenziato livelli di
sensibilità e specificità superiori al 96%, rispetto ai metodi tradizionali.
Il sistema OSNA è conforme alla direttiva europea per la diagnostica in vitro
98/79/CE (marchio CE-IVD), ed è pertanto approvato per l’uso diagnostico in
tutta Europa. In Italia è utilizzato ancora in un numero limitato di centri.
3. Trattamento
3.1. Malattia non invasiva
C. Amanti, M. Amini, O. Buonomo, E. Cossu, L. Nardone, G. Petrella.
Carcinoma duttale in-situ
Lo scopo del trattamento è quello di prevenire lo sviluppo della recidiva sia
in situ sia invasiva.
Il trattamento del DCIS non è univoco ma si differenzia sulla base della presentazione.
Tipo ad alta malignità (comedonico): Alto grado
• Lesioni unifocali< 3 cm: Resezione mammaria limitata, orientamento e
radiografia del pezzo operatorio per valutare la presenza e la corrispondenza delle microcalcificazioni riscontrate all’esame mammografico.
• Lesioni multifocali: Quadrantectomia, orientamento e radiografia del
pezzo operatorio.
• Lesioni multicentriche: mastectomia nipple o skin sparing con risparmio
del Complesso Areola Capezzolo, orientamento del pezzo operatorio. Valutazione istologica intraoperatoria e poi definitiva, del tessuto retroareolare che deve essere negativo per patologia neoplastica. La presenza
di tessuto neoplastico in tale sede impone la rimozione del Complesso.
Margini di resezione: liberi da malattia. In caso contrario va eseguito un ulteriore intervento, salvo casi particolari da valutare in ambito multidisciplinare
Pagina
La biopsia del Linfonodo Sentinella è consigliata nelle lesioni > 3 centimetri
di diametro per il rischio della presenza di microinvasione.
La biopsia del Linfonodo Sentinella è indicata in tutti i casi che devono essere sottoposti ad mastectomia skin sparing o nipple sparing.
Tipo a bassa - media malignità (non comedonico):
• Lesioni unifocali <3 cm: Resezione mammaria limitata, orientamento e
radiografia del pezzo operatorio per valutare la presenza e la corrispondenza delle microcalcificazioni riscontrate all’esame mammografico.
• Lesioni multifocali: Quadrantectomia, orientamento e radiografia del
pezzo operatorio.
• Lesioni multicentriche: mastectomia skin sparing o nipple sparing con
risparmio del Complesso Areola Capezzolo, orientamento del pezzo operatorio. Valutazione istologica intraoperatoria e poi definitiva, del tessuto retroareolare che deve essere negativo per patologia neoplastica.
La presenza di tessuto neoplastico in sede retroareolare impone la rimozione del Complesso.
• Margini di resezione: liberi da malattia per almeno 5 mm. In caso contrario va eseguito un ulteriore intervento, salvo casi particolari da valutare in ambito multidisciplinare.
Carcinoma duttale in-situ microinfiltrante: Neoplasia lobulare in-situ
98
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella
Asportazione completa della lesione con margini liberi (se multifocale o molto
estesa:
• Lesioni unifocali < 3 cm: resezione mammaria limitata, orientamento e
radiografia del pezzo operatorio per valutare la presenza e la corrispondenza delle microcalcificazioni con quanto riscontrato all’esame
mammografico.
• Lesioni multifocali: Quadrantectomia, orientamento e successiva radiografia del pezzo operatorio.
• Lesioni multicentriche: Adenomammectomia sottocutanea con risparmio del Complesso Areola Capezzolo, orientamento del pezzo operatorio, valutazione istologica intraoperatoria e poi definitiva del tessuto
retroareolare. La presenza di tessuto neoplastico in sede retroareolare
impone la rimozione del Complesso.
• Margini di resezione: liberi da malattia per almeno 5 mm. In caso contrario va eseguito un ulteriore intervento, salvo casi particolari da valutare in ambito multidisciplinare
La biopsia del Linfonodo Sentinella è obbligatoria.
Neoplasia lobulare in-situ
Asportazione completa della lesione con margini liberi (se multifocale o molto
estesa: adenomammectomia sottocutanea con risparmio del Complesso
Areola Capezzolo, orientamento del pezzo operatorio, valutazione istologica
intraoperatoria e poi definitiva del tessuto retroareolare, la presenza di tessuto neoplastico in sede retroareolare impone la rimozione del Complesso
AC).
Le forme pleomorfe possono avere maggiore potenziale di svilupparsi in carcinoma lobulare invasivo.
Lesioni non palpabili
• Resezione ghiandolare su repere, orientamento e radiografia del pezzo
operatorio per valutare la presenza e la corrispondenza delle microcalcificazioni e/o di eventuale clip metallica lasciata in sede in corso della
precedente procedura bioptica.
• Margini di resezione: liberi da malattia. In caso contrario va eseguito un
ulteriore intervento, salvo casi particolari da valutare in ambito multidisciplinare
• Tecnica di reperage: sono consigliati, in base all’esperienza e disponibilità dei vari centri, sia l’uso del filo guida metallico che del radiotracciante (ROLL) posizionati sotto guida strumentale.
Radioterapia
Carcinoma lobulare in-situ
La radioterapia nel LCIS non trova indicazione.
Carcinoma duttale in-situ
La RT è efficace indipendentemente dall’età alla diagnosi, dal metodo di diagnosi del DCIS, dalla stato dei margini, dalla focalità, dal grado istologico,
dalla presenza di comedonecrosi e dalla architettura e dimensione del tumore.
E’ indicata l’irradiazione di tutta la mammella, con una dose totale di 50 Gy,
secondo la tecnica adottata anche per le neoplasie invasive, senza inclusione nel target né della cute né delle stazioni linfonodali, come indicato nel
documento AIRO.
La somministrazione del boost sul letto tumorale, nonostante sia stata utilizzata da alcuni Autori per estrapolazione dal trattamento delle forme infiltranti, con dose totale di 10-20 Gy in 1-2 settimane, non può essere
considerata al momento attuale uno standard di trattamento, con eccezione
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in caso di minima focalità del margine e impossibilità al re-intervento. Alcune pazienti giovani (di età < 45 anni) traggono un vantaggio maggiore sul
controllo locale della malattia.
L’ipofrazionamento è considerato uno standard validato nel carcinoma mammario invasivo, ma ancora da validare nel DCIS.
La PBI (partial breast irradiation) è esclusa come trattamento per il DCIS, eccetto in trias randomizzati
Nel DCIS dopo chirurgia conservativa è, pertanto, indicata la RT in tutti i
sottogruppi di pazienti.
Il recente aggiornamento delle linee guida NCCN Versione 2.2011 indica
la chirurgia conservativa associata alla RT con alto livello di evidenza e
alto grado di raccomandazione.
Ormoterapia
Carcinoma lobulare in-situ
L’ormonoterapia in presenza di recettori estrogenici positivi riduce il rischio
relativo su riportato pertanto può essere proposta in terapia.
Carcinoma duttale in-situ
I carcinomi duttali in situ esprimono frequentemente recettori per gli estrogeni . A tal fine si consiglia l’ormonoterapia preventiva (tamoxifene e raloxifene) in quanto svolge un ruolo determinante nel ridurre l’incidenza di
recidive locali soprattutto di tipo invasivo
3.2 Stadi iniziali
G.De Toma, F. Di Filippo, A. Fabi, P. Marchetti, R. Masetti, L. Perracchio, G. Petrella, P.Pinnarò, M.Valeriani
Terapia chirurgica
Carcinoma infiltrante operabile
Secondo la classificazione dell’ AJCC gli stadi iniziali vanno dallo stadio I fino
al III A (solo T3 N1 M0).
La terapia si basa su resezione parziale o quadrantectomia quando l’estensione della malattia, anche se multifocale, sia entro i limiti anatomici di una
chirurgia conservativa. Il rapporto tra il volume mammario e l’ampiezza dell’intervento deve essere favorevole all’asportazione completa della neoplasia con un risultato cosmetico accettabile. In caso di T2 o T3 con possibilità
di terapia chirurgica conservativa impedita dalle dimensioni del tumore, va
considerata un chemioterapia neoadiuvante. Per resezione ampia o tumorectomia allargata si intende l’asportazione di una porzione di tessuto mammario comprendente il tumore ed un margine non inferiore al centimetro di
parenchima circostante macroscopicamente sano.
Su questo argomento non vi è un accordo unanime ma una recente metaanalisi sembrerebbe portare alla conclusione che 2 mm siano un margine
sufficiente. Nelle donne giovani (< 40 anni, con componente intraduttale
estesa) 1cm di margine rimane obbligatorio. (Houssami).
E’ da preferire un’incisione curvilinea, comprendente una porzione di cute,
in caso di lesione superficiale. Quando è necessario asportare tutto il territorio duttale, può essere opportuna un’incisione radiale a losanga, come nella
quadrantectomia, con margini più limitati.
Il pezzo chirurgico va orientato e mandato al patologo per la valutazione dei
margini.
La mastectomia è riservata a carcinomi estesi oltre un quadrante, multicentrici, multifocali estesi o con sospetto radiologico o ecografico di multicentricità, e a tutte le situazioni nelle quali la quadrantectomia esiti in un risultato
cosmetico scarso. Si adotta la tecnica della mastectomia totale con biopsia
del linfonodo sentinella e/o dissezione ascellare se necessaria (mastecto-
99
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
mia radicale modificata).Attualmente quando tecnicamente possibile e
l’esame estemporaneo del tessuto retroareolare è negativo si preferisce eseguire la mastectomia “nipple sparing” che garantisce risultati estetici decisamente migliori.
La ricostruzione mammaria è il completamento della mastectomia, da garantire sempre. La biopsia del linfonodo sentinella va eseguita in tutti i casi.
Sono una controindicazione assoluta il carcinoma infiammatorio, adenopatia ascellare con agoaspirato C5 pazienti sottoposte a chemioterapia neoadiuvante in cui persista un coinvolgimento linfonodale. e pazienti sottoposte
a chemioterapia neoadiuvante con coinvolgimento linfonodale. In caso di
donne che si devono sottoporre a chemioterapia neoadiuvante senza compromissione linfonodale , si raccomanda l’esecuzione della ricerca del linfonodo sentinella prima dell’inizio della terapia poiché il tasso di identificazione
ritrovamento del linfonodo sentinella è più elevato.
La tecnica che si preferisce è basata sul tracciante radioattivo legato a microaggregati di albumina umana iniettati in prossimità del tumore ( sottocute, oppure area peritumorale); in alcuni Centri viene utilizzato il colorante
blu, accettabile ma meno preciso . In presenza di adenopatie ascellari sospette, linfonodi ascellari esaminati con agoaspirato positivo per CTM o linfonodo sentinella positivo per metastasi , si esegue la dissezione ascellare
totale del I e II livello. La procedura è la stessa in caso di linfonodo sentinella
non “migrato” o non identificato, evenienza molto rara.
In caso di presenza nel linfonodo sentinella di ITC non si esegue la dissezione linfonodale ascellare completa, perché la situazione è paragonabile a
una negatività del linfonodo sentinella ; nel caso di micrometastasi inferiori
ai 2 mm si può discutere l’inclusione della paziente in uno studio randomizzato che eviti la dissezione ascellare a favore di controlli regolare, ovvero in
caso di fattori prognostici sfavorevoli della neoplasia (invasione angiolinfatica, G3 , K167 elevato, HER 2 positivo) si può discutere con la paziente l’opportunità di una dissezione ascellare, perché in questi casi la positività dei
linfonodi non sentinella supera il 30%. In caso di tumore ai quadranti interni
o quadrante centrale della mammella si può eseguire, la biopsia del linfonodo
sentinella nella catena mammaria interna, iniettando il tracciante in sede
profonda peritumorale.
Ricostruzione mammaria dopo patologia oncologica
Ricostruzione dopo chirurgia conservativa
La ricostruzione viene attuata, a seconda delle quantità di tessuto asportato
e della sede, mediante rimodellamento del parenchima residuo o applicando
le varie tecniche di mastoplastica
Ricostruzione dopo mastectomia
Ricostruzione con materiale protesico
Ricostruzione in uno o due tempi, immediata o differita medianteespansore
e/o protesi.
Indicazioni di tale metodica sono:
• Tempi operatori relativamente brevi
• Rapida guarigione
• nessun ulteriore danno anatomico.
• complicanza: possibile decubito ed eventuale esposizione protesica soprattutto nel caso di tessuti danneggiati dalla radio terapia
Ricostruzione con materiale autologo
Qualora, per motivi di radicalità oncologica, venga asportata un’abbondante
porzione della cute mammaria è consigliabile utilizzare: lembi di vicinanza,
lembo peduncolato muscolo-cutaneo di grandorsale, lembo Tram, lembi liberi (DIEP – Gluteo etc….) che consentono un’adeguata ricostruzione del
mantello cutaneo, più eventualmente espansore e/o protesi.
Indicazioni lembi peduncolati:
Pagina
•
qualora la paziente non accettasse il materiale protesico o per la presenza di tessuto compromesso dalla radioterapia si potrebbe optare per
una ricostruzione con lembi peduncolati come il Tram o di Gran Dorsale
rifornendo così l’area di neovascolarizzazione.
• controindicazione all’esecuzione di ricostruzione con lembi peduncolati
sono: situazione clinica scadente della paziente, presenza di cicatrici
nelle aree dei lembi da scolpire, scarsa aspettativa di vita.
Indicazioni lembi liberi:
• qualora la paziente non accettasse il materiale protesico, controindicazioni all’uso di lembi peduncolati.
• controindicazioni: presenza di tessuto severamente danneggiato dalla
radioterapia
Ricostruzione complesso Areola/Capezzolo
• Capezzolo: Mediante lembi cutanei scolpiti in corrispondenza della sede
di impianto o mediante innesto di porzione del capezzolo contro laterale.
• Areola: Mediante innesto a tutto spessore prelevato dalla regione inguinale o tatuaggio .
La ricostruzione del complesso areola/capezzolo è preferibile effettuare
quando il trattamento ricostruttivo della mammella sia stato ultimato ed il
suo risultato si possa considerare stabilizzato.
Rimodellamento della mammella contro laterale
Da eseguire, in accordo con la paziente, quando non sia possibile ottenere
una buona simmetria ricostruttiva con le tecniche di mastoplastica (mastopessi, mastoplastica riduttiva, mastoplastica additiva)
Lipofilling
Innesto di tessuto adiposo autologo utile per ammorbidire le cicatrici dei
pregressi interventi, per mascherare i margini protesici,per migliorare la qualità della cute irradiata per la presenza di cellule staminali mesenchimali.
Radioterapia
Radioterapia dopo chirurgia conservativa
L’irradiazione dell’intero parenchima mammario (la cute non e’ parte del volume bersaglio a meno di un suo coinvolgimento da parte della neoplasia) va
considerato come lo standard nell’approccio conservativo del carcinoma
della mammella.
La radioterapia è parte integrante del trattamento conservativo e fattori che
controindichino la radioterapia controindicano l’intera strategia.
L’irradiazione parziale della mammella c.d. PBI : partial breast irradiation o
APBI: accelerated partial breast irradiation) si ritiene vada considerata, al
momento, solo nell’ambito di studi clinici controllati e non può essere quindi
considerata uno standard terapeutico
Infatti, nonostante studi in corso riportino, in gruppi selezionati di pazienti a
basso rischio di recidiva sottoposte a irradiazione parziale della mammella,
percentuali di controllo locale analoghe a quelle ottenute in pazienti sottoposte a irradiazione dell’intero corpo mammario, tali risultati vanno considerati ,visto il breve follow up, come preliminari sia per quanto attiene il
controllo locale sia per quanto riguarda i dati di tossicità e di risultato cosmetico.
Per quanto riguarda l’irradiazione delle stazioni linfonodali, nonostante l’assenza, al riguardo, di risultati di studi clinici randomizzati precipuamente
condotti in pazienti sottoposte a chirurgia conservativa, vengono generalmente estesi a tale tipologia di pazienti gli atteggiamenti terapeutici adottati
nelle pazienti sottoposte a mastectomia (vedi).
Trova quindi una forte raccomandazione, nelle pazienti con 4 o più linfonodi
ascellari positivi, sottoposte a chirurgi a conservativa, l’irradiazione dei linfonodi infra/sovraclaveari omolaterali.
100
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella
Dose alla mammella
Dopo chirurgia conservativa possono essere impiegati per l’irradiazione della
mammella una dose totale ed un frazionamento convenzionale (2 Gy/fr/die/
5 fr/sett. Dose totale 50 Gy) o schemi ipofrazionati, la cui equivalenza, in termini di efficacia, tossicità e risultato cosmetico emerge dai risultati a lungo
termine di diversi studi prospettici e randomizzati.
Poiché la maggior parte delle recidive locali è documentata in corrispondenza o nelle immediate vicinanze del letto tumorale, al fine di ridurne l’incidenza, l’erogazione di un sovradosaggio al letto operatorio (c.d. boost) è
pratica routinaria presso la maggior parte dei Centri di Radioterapia L’esecuzione del boost (10-16 Gy a seconda dello stato dei margini di resezione)
è comunque soprattutto raccomandata in pazienti di età ≤ 40 anni ed in
quelle ad elevato rischio di recidiva.
Timing dei trattamenti adiuvanti
Quando indicata, la chemioterapia adiuvante dovrebbe precedere la radioterapia complementare. Un approccio concomitante può essere pianificato
solo nel caso in cui la paziente venga sottoposta a chemioterapia secondo
lo schema CMF. La radioterapia dovrebbe iniziare entro 3/4 settimane dalla
fine della chemioterapia.
Per quanto riguarda la sequenza ottimale ormonoterapia/radioterapia entrambi i trattamenti possono essere somministrati contemporaneamente.
Nell’ambito della programmazione di un approccio conservativo dovranno
essere tenute in debita considerazione le controindicazioni all’approccio conservativo specifiche per la radioterapia:
• Gravidanza
• Assoluta impossibilità a mantenere la posizione (supina o prona) individuata per l’esecuzione del trattamento
• Alcune malattie del collageno quali lupus, sclerodermia, dermatomiosite se in fase quiescente rappresentano una controindicazione relativa,
se in fase attiva rappresentano una controindicazione assoluta, per l’amplificazione delle tossicità segnalate (l’artrite reumatoide non è considerata controindicazione al trattamento)
• Pregressa irradiazione della parete toracica (neoplasie della regione mediastinica e/o di altri volumi toracici).
Radioterapia dopo mastectomia
In base ai dati della letteratura, si ritiene indicato l’impiego della RT dopo
mastectomia nei seguenti casi:
• tumore superiore a 5 cm nella sua dimensione massima, indipendentemente dallo stato linfonodale
• tumore di qualsiasi dimensione con estensione alla parete toracica, al
muscolo pettorale, alla cute, indipendentemente dallo stato linfonodale
• metastasi ai linfonodi ascellari in numero uguale o superiore a 4
• pazienti con margini positivi o close, soprattutto in presenza di altri fattori di rischio, anche se i dati della letteratura non sono conclusivi a riguardo.
Nelle pazienti con malattia T 1-2 e un numero di linfonodi positivi da 1 a 3,
il rischio di recidiva loco-regionale è compreso tra il 13% e il 16% e non vi
è sufficiente evidenza per raccomandare l’impiego routinario di un trattamento radiante postoperatorio.
Dopo RT la riduzione del rischio relativo di recidiva loco-regionale è della
stessa entità in pazienti con 1-3 o 4 o più linfonodi positivi, ma il vantaggio
assoluto è inferiore nel primo gruppo, a causa del minor rischio di recidiva.
Di contro, il trattamento radiante postoperatorio ha determinato, in alcune
serie, un maggior vantaggio in termini di sopravvivenza globale in pazienti
con 1-3 linfonodi positivi, a più basso rischio di sviluppare metastasi a distanza, rispetto a quelle con 4 o più linfonodi positivi. Sono stati identificati
fattori prognostici che, in pazienti N1 possono aumentare il rischio di recidiva
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al di sopra del 20% e avere un impatto sulla sopravvivenza globale: dimensioni tumorali superiori a 3,5-4 cm, assenza di recettori per gli estrogeni,
presenza di invasione linfovascolare, età inferiore a 40-45 anni, numero di
linfonodi escissi e percentuale di linfonodi positivi superiore o uguale 2025%. Pertanto, tenendo presente che l’argomento è ancora controverso, pur
in assenza di risultati di studi clinici randomizzati specificamente disegnati
per questo sottogruppo di pazienti, in presenza dei fattori di rischio sopra indicati, alcuni autori suggeriscono di proporre e discutere con la paziente la
possibilità di effettuare un trattamento radiante postoperatorio.
In ultimo, per quanto riguarda i linfonodi della catena mammaria interna non
vi è ancora sufficiente evidenza per raccomandarne o sconsigliarne l’irradiazione.
Per ogni ulteriore approfondimento si rimanda alle Linee Guida AIRO.
Terapia medica degli stadi iniziali
La decisione del trattamento adiuvante (chemioterapia e/o ormonoterapia
e/o terapia biologica dopo la chirurgia) richiede un’attenta valutazione di
quelli che sono i fattori prognostici e predittivi attualmente da considerare:
il diametro del tumore, lo stato linfonodale e il numero dei linfonodi metastatici, il grading istologico, la presenza di invasione vascolare peritumorale,
l’attività proliferativa (ki67/Mib1), lo statodi HER2, lo stato dei recettori ormonali, l’età della paziente. Per la scelta terapeutica di quale trattamento
effettuare in fase adiuvante a tutt’oggi esistono 2 fattori predittivi fondamentale: lo stato dei recettori ormonali e quello di HER2, mentre per la definizione del rischio ci si basa su quelli sopra elencati. La decisione di quale
o quali terapie effettuare alla singola paziente richiede la valutazione complessiva dei fattori predittivi di risposta ai trattamenti, del rischio di ripresa
della malattia, dei benefici attesi dal trattamento, degli effetti collaterali e
delle comorbidità (tabella 1).
La classificazione in sottotipi istologici (Luminal A, Luminal B, HER2 like, triplo negativo) rappresenta un punto di partenza per la scelta del trattamento
adiuvante. I tumori classificati con profilo genico “luminal A” (Recettori ormonali+ / HER2-) sono quelli che possono beneficiare della sola terapia ormonale; il sottogruppo di tumori microinvasivi o di piccole dimensioni, in
assenza di linfonodi e in assenza di altri fattori prognostici sfavorevoli: si può
anche decidere di non somministrare alcun trattamento. I benefici della ormonoterapia e della chemioterapia sono additivi.
I benefici ottenuti con la chemioterapia in questo sottogruppo sembrano essere collegati ai livelli dei recettori ormonali ed alla presenza di altri fattori
prognostici. I tumori “luminal B” (recettori ormonali + elevati indici di proliferazione come Ki 67 >15 % e G3) sono quelli che invece possono beneficiare di una chemioterapia, ormonoterapia e terapia anti-HER2 nei rari casi
di overespressione di HER2 .
Mancano dati da studi prospettici sulla possibilità di combinare il trastuzumab con la sola ormonoterapia. I tumori “HER2 like” avendo la positività del
recettore HER2 e i recettori ormonali negativi/positivi beneficiano del trattamento con la chemioterapia in associazione con l’anticorpo monoclonale trastuzumab; nel sottogruppo di tumori microinvasivi o di piccole dimensioni
tra 0.6 e 1.0 cm si può prendere in considerazione la chemioterapia ± trastuzumab. I tumori “tripli negativi”, mancando dell’espressione dei recettori
per gli ormoni che per l’HER2 beneficia del solo trattamento chemioterapico;
nel caso del sottogruppo di tumori microinvasivi o di piccole dimensioni (<0.5
cm)con linfonodi negativi non è indicato alcun trattamento. Nel sottogruppo
di tumori di dimensioni tra 0.6 e 1.0 cm si può effettuare la chemioterapia.
La chemioterapia adiuvante riduce significativamente il rischio di ripresa e
morte nelle pazienti con tumore della mammella operabile indipendentemente dall’età, dallo stato linfonodale, dallo stato recettoriale e dallo stato
101
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
menopausale, anche se il beneficio assoluto è proporzionale al rischio di ripresa della malattia e diminuisce con l’aumentare dell’età (tabella 2).
• La polichemioterapia è superiore alla monochemioterapia.
• In generale la chemioterapia deve essere iniziata entro 4-6 settimane
dall’intervento chirurgico pur non essendoci un accordo unanime sul timing ottimale.
• La durata di 4-8 cicli di terapia è considerata lo standard.
• La chemioterapia “dose-dense” non trova indicazione al di fuori di studi
clinici, anche se nel sottogruppo di pazienti con recettori ormonali negativi e nelle pazienti HER2 positive sembrano giovarsi maggiormente
della terapia dose-dense.
• I regimi contenenti antracicline con due farmaci (AC o EC) non sono superiori al regime ciclofosfamide, metotrexato e fluorouracile (CMF) (4
cicli di AC o EC = a 6 cicli di CMF).
• I regimi a tre farmaci sono superiori al CMF, anche se il beneficio assoluto è correlato al rischio di ripresa della malattia, aumenta con l’aumentare del rischio di ricaduta.
Schemi includenti antraci cline di più comune utilizzo:
• A o E CMF (adriamicina 75 mg/m2 o epirubicina 100 mg/m2 ev ogni
21 giorni per 4 cicli ciclofosfamide 600 mg/m2 ev; metotrexate 40
mg/m2 ev; fluorouracile 600 mg/m2 ev ogni 21 giorni per 8 cicli oppure
CMF classico x 4
• FAC (ciclofosfamide 100 mg/m2/die per os giorni 1-14; adriamicina 30
mg/m2 ev giorni 1, 8; fluorouracile 600 mg/m2 ev giorni 1, 8 ogni 28
giorni) per 6 cicli
• CEF (ciclofosfamide 75 mg/m2/die per os giorni 1-14; epirubicina 60
mg/m2 giorni 1, 8; fluorouracile 500 mg/m2 ev giorni 1, 8 ogni 28 giorni)
per 6 cicli
• FEC 75-100 (fluorouracile 600 mg/m2; epirubicina 75-90-100 mg/m2;
ciclofosfamide 600 mg/m2 ogni 21 giorni) per 6 cicli.
Ruolo dei taxani
Molti studi randomizzati e tre metanalisi suggeriscono un piccolo vantaggio
dei regimi contenenti taxani (docetaxel o paclitaxel), indipendentemente dall’età, dallo stato linfonodale, dall’espressione dei recettori ormonali e dallo
stato dell’HER2. Le raccomandazioni a tal riguardo sono:
1) Regimi sequenziali sono efficaci quanto i regimi concomitanti, ma gravano di minori effetti collaterali soprattutto midollari.
2) Il trattamento sequenziale con docetaxel trisettimanle (100 mg/m2 ogni
21 gg) è stato quello maggiormente testato in studi randomizzati.
3) Nei regimi sequenziali la migliore schedula con paclitaxel è settimanale
(80-100 mg/m2).
4) La durata del trattamento va considerata in base al regime utilizzato (6
cicli regimi concomitanti, 4 cicli in quelli sequenziali dopo antraci cline).
Pertanto la scelta del regime da utilizzare va considerata sulla base del singolo paziente. Di seguito i regimi che possono essere di indicazione:
• A/E C x 4 q 21 (adriamicina 60 mg/m2/epirubicina 90mg/m2) Ciclofosfamide 600 mg/m2) seguito da
• da Taxotere 100 mg/m2 x 4 q 21 oppure da taxolo 80 mg/m2 ogni 7
giorni per 12 settimane consecutive;
• AC (taxotere 75 mg/m2; adriamicina 50 mg/mq; ciclofosfamide 500
mg/m2 ogni 21 giorni) per 6 cicli con il supporto del G-CSF come profilassi primaria (per rischio di neutropenia febbrile > 20%);
• FEC x 3 o 4 q 21(fluorouracile 600 mg/m2; epirubicina 90-100 mg/m2;
ciclofosfamide 600 mg/m2 ) seguito da Taxotere x 3 o 4 q 21 (100
mg/m2 ogni) 21.
Per i tumori con istotipo “triplo negativo” non esiste ad oggi un trattamento
chemioterapico adiuvante standard, pertanto i regimi più utilizzati riman-
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gono quelli a base di antracicline e taxani.
I tumori tubulari, mucinosi ed i papillari hanno una prognosi migliore per cui
soprattutto in assenza di interessamento dei linfonodi ascellari possono essere trattati con la sola ormonoterapia e se di dimensioni < 1 cm non ricevere alcun trattamento sistemico.
Anche alcuni tumori “tripli negativi” quali il carcinoma midollare, l’adenoido
ci-stico e l’apocrino hanno una prognosi favorevole ed in assenza di interessamento dei linfonodi ascellari e di altri fattori di rischio non necessitano
di trattamenti sistemici adiuvanti.
Il carcinoma lobulare infiltrante (5-15% di tutti i tumori della mammella) sembrerebbe essere meno responsivo al trattamento chemioterapico rispetto al
carcinoma duttale infiltrante come riportato in studi retrospettivi di chemioterapia neoadiuvante in cui sono state ottenute più basse percentuali di risposte patologiche complete e di interventi conservativi anche se la prognosi
a lungo termine è stata migliore.
I carcinomi lobulari sono diagnosticati in uno stadio più avanzato all’esordio,
esprimono più frequentemente i recettori ormonali ed hanno un grado di differenziazione più basso. La presenza di coinvolgimento metastatico linfonodale fa comunque consigliare l’uso della chemioterapia seguita da
ormonoterapia.
Terapie biologiche
Il Trastuzumab è un anticorpo monoclonale ricombinante umanizzato contro
il dominio extracellulare dell’HER2.
Il trattamento standard per i tumori che esprimono il recettore per l’HER2
(IHC 3+ o FISH/CISH/SISH amplificati) determina un beneficio significativo in
termini di rischio di recidiva e, in alcuni studi, di morte, come ampliamente
dimostrato da studi randomizzati includenti oltre 15.000 donne.
Il trastuzumab si può somministrare sia concomitante alla chemioterapia che
sequenziale alla chemioterapia. Rimane al momento da definire la sicurezza
del trastuzumab concomitante al regimi includenti antracicline a causa della
cardiotossicità cui il farmaco determina (incidenza di cardiotossicità circa
del 5%).
Il trastuzumab, al momento in assenza di conclusione di studi randomizzati,
si somministra per un anno o in regime trisettimanale (8 mg/kg dose loading
seguito da 6 mg/kg q 21 gg x 18 somministrazioni) oppure in regime settimanale 4 mg/kg dose loading seguito da 2 mg/kg/settimanale x 1 anno).
E’ necessario un adeguato monitoraggio cardiaco (con ecocardiogramma o
MUGA scan) prima, durante e dopo la terapia con trastuzumab.
Al momento non sono indicati altri trattamenti anti-HER2 in fase adiuvante
(lapatinib) in attesa di risultati di studi randomizzati.
Terapia ormonale
E’ indicata in tutte le pazienti con tumori ormonoresponsivi indipendentemente dallo stato linfonodale, dall’età, dallo stato menopausale, dall’espressione di HER2 e dall’utilizzo o meno della chemioterapia. Nessuna
indicazione nei tumori con recettori ormonali negativi.
La definizione di recettori ormonali negativi è da intendersi come assenza dei
recettori all’immunoistochimica.
Le pazienti con recettori ormonali tra 1% e 9%, già trattate con chemioterapia adiuvante devono essere successivamente sottoposte ad ormonoterapia.
Per quanto riguarda l’ormonoterapia adiuvante esclusiva, questa può essere
indicata quando il tumore esprime i recettori ormonali in misura ≥ 10%.
Tamoxifene
Rappresenta il trattamento standard per le donne in premenopausa, mentre
per quelle in postmenopausa deve, nel caso se ne ritenga opportuno l’im-
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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella
piego, essere necessariamente integrato con l’uso degli inibitori dell’aromatasi.
Dose: 20 mg al giorno x 5 anni nelle donne in premenopausa alla fine della
chemioterapia; 2-3 anni in quelle in peri-post-menopausa.
La somministrazione di tamoxifene per più di 5 anni è da ritenere non standard. Nelle donne in premenopausa può essere indicata l’associazione con
LHRH analogo.
Gli antidepressivi SSRI (selective serotonin reuptake inhibitors), impiegati
anche per il trattamento delle vampate di calore nelle pazienti che assumono
tamoxifene, possono interferire con il metabolismo del farmaco attraverso
l’inibizione del CYP2D6, pertanto non dovrebbero essere utilizzati in queste
pazienti. Unica eccezione sembrerebbe essere la venlafaxina.
Inibitori dell’Aromatasi
Sono i farmaci di prima scelta nelle donne in postmenopausa da soli per 5
anni o in sequenza a tamoxifene dopo 2-3 anni e per 5 anni complessivi o
nelle pazienti che hanno completato i 5 anni di terapia con tamoxifene per
altri 5 anni, soprattutto se a elevato rischio di ripresa (evidenza di beneficio
nelle donne con linfonodi positivi).
Ove non vi siano controindicazioni elettive, la scelta di un inibitore per 5 anni,
al di fuori di studi clinici, è da ritenersi il trattamento di scelta. Le sequenze
(inibitore seguito da tamoxifene, o tamoxifene seguito da inibitore) sono da
riservare a studi clinici, o a situazioni cliniche particolari. Il valore del recettore per il progesterone non modifica sostanzialmente la scelta, mentre una
positività dell’HER2 segnala una generale bassa endocrino-responsività, più
vera in particolare per tamoxifene.
Gli effetti collaterali degli inibitori dell’aromatasi sono sopratutto a carico del
sistema osteoscheletrico con sindromi fibromialgiche e osteoporosi, ipercolesterolemia, quest’ultimo effetto potrebbe determinare un aumento degli
eventi cardiovascolari anche se non in modo significativo.
La comparsa di artralgie è stata riportata come la causa più frequente di sospensione del trattamento. Per la prevenzione dell’osteoporosi e di eventuali
fratture da inibitori dell’aromatasi sono state stilate delle raccomandazioni
che tengono in considerazione il T-score basale (Dexa-MOC) e altri fattori di
rischio.
Per le donne in premenopausa che sviluppano amenorrea o con la chemioterapia o con il tamoxifene gli inibitori dell’aromatasi possono determinare
una ripresa del ciclo mestruale anche dopo molti mesi di amenorrea. Pertanto, il loro impiego da soli è sconsigliato.
Analoghi del luteinizing hormone-releasing hormone (LHRH) o misure locali (solo in casi particolari: ovariectomia chirurgica o radioterapica)
Durata del trattamento con analoghi del LHRH: almeno 2-3 anni; nelle pazienti ad alto rischio o in età molto giovane (inferiore a 35-40 anni) si può valutare di continuare la terapia con analogo del LHRH per complessivi 5 anni.
L’impiego del LHRH da solo non sembra dare buoni risultati e va utilizzato in
casi selezionati.
L’associazione di tamoxifene e analogo del LHRH sembra preferibile, sia per
i dati di efficacia disponibili nella malattia metastatica, sia per la riduzione
degli effetti di tamoxifene sulle ovaie.
I risultati di alcuni studi randomizzati indicano che l’ablazione ovarica associata a tamoxifene, nelle pazienti endocrinore-sponsive in premenopausa,
potrebbe essere equivalente alla chemioterapia prevalentemente con il regime CMF (un solo studio ha utilizzato un regime contenente antracicline).
Alcuni studi segnalano un possibile vantaggio nelle donne con età < 40 anni
o in quelle che non vanno in amenorrea.
Non sono ancora da ritenersi standard trattamenti in donne in premenopusa
con inibitori di aromatasi + goserelin +/- acido zoledronico, in attesa di ulteriori conferme di studi randomizzati e di follow- up più lunghi.
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Regimi sequenziali
(N0 alto rischio)
Regimi sequenziali (N+)
FEC x 3 q 21 Taxotere x 3 q 21
FEC o FAC x 4 q 21 Taxolo x 16 sett
ADM o EPI x 4 q 21 CMF x 4 1,8 q 28
FEC o FAC x 4 q 21 Taxotere x 4 q 21
FEC x 3 q 21 Taxolo x 12 settimane
EC o AC x 4 q 21 Taxotere x 4 q 21
EC o AC x 4 q 21 Taxolo x 16 sett
Regimi concomitanti
(N0 basso rischio*)
Regimi concomitanti
(N0 alto rischio, N+)
FEC o FAC x 6 q 21
TAC x 6 q 21 (+ GCSF)
EC o AC x 6 q 21
CMF x 6 1,8 q 28
* La scelta del trattamento chemioterapico in pazienti con N0 va effettuata sulla
base dei fattori prognostici, età della paziente e comorbidità (vd testo)
3.3 Malattia localmente avanzata
L. Fortunato, T. Gamucci, G.B. Grassi, M. Mottolese, L. Nardone, G. Naso, P.
Pinnarò
Premessa
Il Carcinoma della Mammella Localmente Avanzato (LABC) e il Carcinoma Infiammatorio della Mammella (IBC) pur essendo due entità nosologiche distinte sostenute da una diversa biologia e con differenti modalità di
presentazione clinica, richiedono entrambe, per un trattamento quanto più efficace possibile, una discussione collegiale alla presenza di un gruppo multidisciplinare integrato che comprende la figura dell’oncologo medico, del
radiologo, del chirurgo e del radioterapista. Da un punto di vista prettamente
clinico sia il tumore della mammella localmente avanzato che il tumore
della mammella infiammatorio, possono essere definiti come tumori che pur
non essendo metastatici alla loro presentazione, risultano comunque funzionalmente non operabili, cioè non radicalmente asportabili per le loro dimensioni o per la loro estensione ai linfonodi ascellari (clinico N+). Questi tumori
che anche in presenza di una chirurgia apparentemente radicale, presentano
una alta percentuale di recidive sia locali che metastatiche e un basso indice
di sopravvivenza se trattati con i soli trattamenti loco regionali ( Chirurgia +
Radioterapia). Allo scopo sia di ottenere un minore tasso di recidive locali che
per abbassare le probabilità di una ripresa a distanza è consigliabile nella
maggior parte dei casi proporre alla paziente una “Terapia Primaria” detta
anche “Terapia Neo-Adiuvante” (chemio o ormonoterapia). La percentuale di
risposte cliniche risulta pari al 60-90% con una percentuale di risposte cliniche complete oscillanti tra il 6 ed il 65% e la possibilità di effettuare un intervento conservativo nei casi candidati alla mastectomia è pari al 20-30%.
La percentuale di risposte patologiche complete, che sembrerebbe correlarsi
ad un miglioramento della sopravvivenza, oscilla tra il 10 ed il 30%. E’ stata
pubblicata una meta analisi di 9 studi randomizzati e pubblicati su riviste internazionali che hanno confrontato la chemioterapia preoperatoria con la chemioterapia adiuvante convenzionale utilizzando lo stesso regime nei due
bracci. Sono stati anche inclusi studi in cui una terapia neoadiuvante era seguita dopo l’intervento chirurgico da una terapia adiuvante con lo stesso re-
103
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
gime. La percentuale di interventi conservativi è stata estremamente variabile tra i diversi studi anche se in cinque era significativamente più elevata nel
braccio della chemioterapia primaria. A tutt’oggi il regime chemioterapico ottimale non è noto anche se la percentuale di risposte patologiche complete
più elevate è stata osservata con regimi contenenti antracicline e taxani. Una
meta-analisi basata sui dati della letteratura ha incluso 7 studi randomizzati
che hanno confrontato regimi contenenti antracicline con regimi contenenti
antracicline e taxani in associazione o in sequenza. L’aggiunta dei taxani ha
aumentato la percentuale di pCR e di interventi conservativi. La durata ottimale della chemioterapia primaria non è nota, ma almeno 6 cicli di terapia
sono in genere necessari per raggiungere il massimo della risposta. Nelle pazienti con tumori che presentano una aumentata espressione di HER-2, la
somministrazione contemporanea di trastuzumab alla chemioterapia contenente antracicline e taxani determina percentuali di risposte patologiche complete nell’ordine del 40% -60%, e sono da ritenersi lo standard terapeutico
attuale. Va attuata una attenta valutazione della funzione cardiaca. L’ormonoterapia primaria è stata valutata nelle pazienti in postmenopausa con tumori ormonoresponsivi e non suscettibili di interventi conservativi. Gli inibitori
della armatasi hanno una maggiore percentuale di risposte obiettive e di interventi conservativi rispetto al tamoxifene. Tuttavia la percentuale di risposte complete patologiche rimane molto bassa, e a parte casi particolari non
è da considerarsi uno standard terapeutico. Mancano studi sulla durata della
ormonoterapia, ma è probabile che una volta iniziata vada continuata per un
lungo periodo (almeno 6 mesi). Il posizionamento di un marcatore radioopaco
nella sede del tumore prima chemioterapia neo-adiuvante è associato con un
miglior controllo locale, in virtù di una più precisa individuazione della sede tumorale al momento della successiva escissione chirurgica. Anche il posizionamento di clips chirurgiche sul letto operatorio, secondo linee guida
codificate, in corso di chirurgia conservativa ne rende più agevole l’identificazione per una più efficace la somministrazione del boost radioterapico. Tali
procedure dovrebbe essere parte integrante dell’iter diagnostico-terapeutico
di queste pazienti. Come per i tumori mammari in fase iniziale, la radioterapia post-operatoria è parte integrante del trattamento delle pazienti con tumori localmente avanzati o infiammatori, sia in caso di chirurgia conservativa
sia di mastectomia.
La tecnica di irradiazione è identica, anche se alcune controversie non chiarite rimangono per quanto riguarda l’irradiazione linfonodale nelle pazienti
con risposta clinica completa o maggiore (R0-R1) al trattamento chemioterapico primario, in rapporto alla scelta dei volumi da irradiare.
In particolare lo stato linfonodale patologico è stato tradizionalmente usato
per stimare il rischio di recidiva loco-regionale e per identificare le pazienti che
si possano giovare della radioterapia sulle stazioni linfonodali claveo-ascellari
e della catena mammaria interna. La maggior parte delle Istituzioni considera
il piano terapeutico secondo i volumi identificabili prima della chemioterapia,sia per il tumore primario che per l’interessamento linfonodale, anche se
a maggior rischio di linfedema del braccio nella irradiazione linfonodale e
con inferiore risultato cosmetico mammario per un più ampio volume del sovradosaggio (boost) sul letto tumorale e una più frequente necessità di irradiazione linfonodale. Il trattamento ormonale e il trattamento con trastuzumab
devono essere effettuati sulla base dei fattori biologici valutati sulla biopsia iniziale poiché tali fattori possono variare dopo chemioterapia neo-adiuvante.
Anche la radioterapia deve essere effettuata sulla base delle caratteristiche
iniziali del tumore.
Ruolo della biopsia del Linfonodo Sentinella (LS)
La questione se la biopsia del linfonodo sentinella debba essere effettuata
prima o dopo una terapia neoadiuvante in quei pazienti con linfonodi clinicamente negativi alla stadiazione pre-trattamento sistemico è ancora ampiamente dibattuta, considerando che i vantaggi di una biopsia linfonodale dopo
la chemioterapia potrebbero superare gli svantaggi. In effetti però la tecnica
del Linfonodo Sentinella effettuato al momento della chirurgia definitiva dopo
la terapia neoadiuvante, ha prodotto una percentuale di identificazione di
eventuali linfonodi positivi più bassa, se confrontata con la ricerca del Linfonodo Sentinella effettuata prima della terapia. Questo fatto è stato spiegato
con i possibili cambi strutturali che si potrebbero verificare nelle vie linfatiche
di drenaggio della mammella dopo la terapia sistemica. Una sistematica review di 27 studi con un totale di 2148 pazienti ha mostrato una percentuale
di identificazione del Linfonodo Sentinella dopo terapia neoadiuvante del 91%,
e una percentuale di falsi negativi del 10.5%. I risultati dei falsi negativi potrebbero essere notevolmente superiori nel caso nel Carcinoma della Mammella Infiammatorio. Sebbene la ricerca del Linfonodo Sentinella dopo la
terapia neoadiuvante sistemica potrebbe ridurre la percentuale di Linfoadenectomie quale chirurgia non necessaria qualora il LS risultasse negativo, il
significato clinico del LS negativo dopo chemioterapia neoadiuvante non è
chiaro. Pertanto, anche se ancora questi dati non sono stati pesati in studi clinici randomizzati per valutare il reale beneficio o gli svantaggi di effettuare la
ricerca del Linfonodo Sentinella prima o dopo la terapia neoadiuvante, appare prudente allo stato attuale adottare le linee guida suggerite sia dall’ASCO
(ASCO consensus guidelines for SLNB 2005) sia le linee guida NCCN (2. 2011)
che raccomandano entrambe di effettuare la ricerca del Linfonodo Sentinella
prima di somministrare la terapia sistemica (figure 1 e 2).
Figura 1. Diagramma di flusso suggerito sul trattamento del linfonodo sentinella
Se LS + linfoadenectomia
Per N0 clinico effettuare LS prima
di somministrare la terapia sistemica
Se LS + linfoadenectomia NON necessaria
E’ accettabile anche LS dopo terapia adiuvante
Linfectomia
Per N+ clinico non necessario
LS prima della terapia
Linfectomia I livello +/- linfectomia allargata
Se alla ristadiazione cN0
Pagina
104
LS +/- linfoadenectomia
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella
Figura 2. Diagramma di flusso nella gestione della chemioterapia primaria
(una terapia endocrina con un I.A. può essere considerata per le pazienti in post-menopausa ormono responsive)
Programmare 4-8 cicli di chemioterapia
(4 cicli possono essere sufficienti in caso di cRC per pazienti ER-)
(per pazienti ER+ tendere a completare i cicli programmati anche in presenza in una cRc)
Rivalutare ogni 2 cicli con ECO o RMN
Se RP alla prima rivalutazione
ancora 2 cicli della stessa terapia
Se SD alla prima rivalutazione
ancora 2 cicli della stessa terapia
Se P alla prima rivalutazione
Considerare 2 cicli di una terapia
cross-resistente
Se RP alla seconda rivalutazione
ancora 2 cicli della stessa terapia
Se SD alla seconda rivalutazione
Proporre 2 cicli di una terapia
non cross-resistente
Se P alla seconda rivalutazione
Se ER+ valutare chirurgia
e poi adiuvante ORMONO
Se ER- proporre 2 cicli
di chemioterapia non
cross-resistente
Se ER-: chirurgia (valutare su istologico definitivo eventuale terapia adiuvante
Se cRC alla seconda rivalutazione
Se ER+ uteriori 2 cicli di chemioterapia programmata
3.4. Trattamento della malattia recidiva
o metastatica
F. Cognetti, A. Fabi, T. Gamucci, G. Naso, P. Pinnarò.
Per effetto dei progressi sia dei programmi di screening che dei trattamenti
adiuvanti, l’occorrenza di malattia recidiva o metastatica è in sensibile diminuzione nei paesi occidentali dall’inizio degli anni ’90.
Solo il 7% circa dei tumori della mammella si presenta all’esordio come malattia metastatica. La maggior parte dei casi viene diagnosticata in pazienti con
pregressa storia di neoplasia mammaria già trattata per malattia locale, ed in
particolare fino al 30% delle pazienti con linfonodi ascellari negativi e fino al
70% delle pazienti con linfonodi ascellari positivi.
Dopo aver documentato una ripresa della malattia è opportuno eseguire una
ristadiazione. Innanzitutto la paziente deve essere sottoposta ad una attenta
e completa anamnesi includente la valutazione dello stato menopausale e
delle eventuali comorbidità, una dettagliata caratterizzazione molecolare del
tumore primario, con particolare attenzione alla biologia tumorale, al trattamento e allo stato dell’ultimo follow-up, la storia della malattia metastatica
compresa la durata e i siti originariamente coinvolti, i precedenti trattamenti
e i loro effetti, i sintomi attuali , il performance status, il background socio-economico e le preferenze della paziente. Successivamente sarà effettuato l’
esame obiettivo, esami ematobiochimici includenti anche i markers tumorali
(CEA, Ca15.3), soprattutto nel caso di pazienti con lesioni non misurabili allo
scopo di monitorare l’efficacia del trattamento,
Rx torace, ecografia addome, scintigrafia ossea, se necessario TC torace o
TC o RM addome. Una PET-TC può essere utilizzata, anche se al momento i
dati sono ancora limitati, soprattutto in casi di lesione metastatica singola dal
momento che queste pazienti possono giovarsi di approcci urgenti, più ag-
Pagina
gressivi e multidisciplinari o quando le comuni metodiche esprimono risultati
non univoci. Inoltre tutte le pazienti dovrebbero essere sottoposte a tests cardiologici (ECG ed ecocardiogramma) soprattutto se è previsto l’uso di Trastuzumab o Antracicline.
In base alle caratteristiche cliniche della malattia le pazienti vengono suddivise come malattia indolente o come malattia aggressiva. Nella definizione di
malattia indolente e malattia aggressiva rimane fondamentale il giudizio clinico e si può fare riferimento ai seguenti parametri:
• Malattia indolente: lungo DFS, precedente risposta a OT, età > 35 anni,
metastasi ossee e/o ai tessuti molli, numero limitato di lesioni metastatiche
• Malattia aggressiva: breve DFS, no risposta a OT, età < 35 anni, metastasi
viscerali, presenza di numerose lesioni, malattia fortemente sintomatica.
La scelta della terapia sistemica verrà effettuata tenendo conto di queste caratteristiche a cui va aggiunta sempre la preferenza della paziente, oltre che
dei due fattori biologici predittivi validati e cioè lo stato recettoriale ormonale
e l’aumentata espressione di HER-2, la cui determinazione dovrebbe essere
effettuata anche nelle lesioni metastatiche quando possibile. Possibili eccezioni alla biopsia delle lesioni metastatiche sono le seguenti:
• situazioni nelle quali la biopsia è rischiosa
• intervallo libero tra intervento sul tumore primitivo e la comparsa di metastasi molto breve.
• nel caso in cui i risultati della biopsia non muterebbero l’atteggiamento
terapeutico (controindicazioni alla chemioterapia o alle terapie anti-Erb2).
Malattia loco regionale
La recidiva loco regionale isolata dovrebbe essere considerata come un nuovo
tumore primitivo quindi con un approccio terapeutico ad intento curativo. Se
105
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
possibile la raccomandazione è effettuare l’escissione radicale della recidiva
tumorale. Nei pazienti che non hanno eseguito la radioterapia post-operatoria, la radioterapia sulla parete toracica e, se del caso, sui linfonodi loco-regionali dovrebbe seguire l’intervento chirurgico. Nei tumori precedentemente
irradiati il valore di una nuova radioterapia è ancora oggetto di studio; comunque la re-irradiazione su aree limitate della parete toracica può essere effettuata dopo un’attenta valutazione del rapporto rischio/beneficio, tenendo in
considerazione la durata del periodo libero da radioterapia, l’intensità dei cambiamenti strutturali post-radioterapia ed il rischio di ripresa di malattia locoregionale. I pazienti inoperabili possono se possibile essere sottoposti a
radioterapia radicale sulla parete toracica e linfonodi regionali. Comunque in
queste pazienti la terapia sistemica primaria con l’intento di ridurre le dimensioni del tumore e renderlo operabile, rappresenta la prima scelta di trattamento. Il valore della chemioterapia “pseudo-adiuvante” e cioè praticata
dopo l’esecuzione della recidiva loco regionale, non è del tutto provato ed è
ancora oggetto di studio in trials randomizzati.
Malattia metastatica
Il trattamento del carcinoma mammario metastatico deve essere svolto da
un team multidisciplinare che include l’oncologo medico, il radioterapista, il
chirurgo, il radiologo, lo specialista in cure palliative e dovrebbe comprendere
un supporto psicologico. Tutte le decisioni relative all’impostazione terapeutica devono perciò essere assunte attraverso l’interazione di queste figure
professionali. E’ importante ricordare che il trattamento della malattia metastatica è essenzialmente palliativo considerando che solo poche pazienti che
possono ottenere la guarigione (2-3%). Quindi gli obiettivi sono il prolungamento della sopravvivenza ed il miglioramento dei sintomi che devono però
essere bilanciati con il mantenimento di una adeguata qualità di vita e con una
tossicità accettabile. La prevalenza della malattia metastatica è alta poiché un
numero sempre più crescente di pazienti sopravvivono con la malattia per
periodi di tempo sempre più prolungati, anche in ragione della possibilità di
applicare loro in sequenza molteplici opzioni di trattamento ormonale, chemioterapico e biologico. La paziente e i suoi familiari dovrebbero essere compiutamente informati fin dall’inizio e dovrebbero essere stimolati a partecipare
a tutte le decisioni terapeutiche. Le singole realtà delle pazienti devono sempre essere considerate con attenzione. Le opzioni terapeutiche nel carcinoma
mammario metastatico sono l’ormonoterapia, la chemioterapia, gli agenti biologici (trastuzumab, lapatinib e bevacizumab), e la radioterapia:
•
La scelta della terapia più appropriata deve sempre prevedere l’analisi di
fattori vari relativi alle caratteristiche della malattia (numero e siti delle
metastasi, stato dei recettori ormonali e di HER-2, intervallo libero da malattia) alle precedenti terapie adiuvanti (dosi cumulative di antracicline,
uso dei taxani e di trastuzumab, effetti collaterali a lungo termine) ed alle
caratteristiche della paziente (età, PS, comorbidità, preferenza).
La continuazione del trattamento oltre la terza linea è giustificata nelle pazienti
con buon PS e che abbiano risposto alle chemioterapie precedenti.
La chemioterapia ad alte dosi non dovrebbe essere considerata.
Il ruolo del Bevacizumab viene definito nella sezione seguente riguardante gli
altri agenti biologici.
Dal momento che non esistono o sono pochi i trattamenti definibili standard
nel trattamento della malattia metastatica, l’inserimento di pazienti in studi
prospettici randomizzati rappresenta una priorità.
Dal punto di vista biologico, strettamente correlato al comportamento clinico
ed alla scelta del trattamento, le pazienti possono essere così classificate:
1) pazienti con tumore della mammella di tipo luminale ( recettori ormonali
positivi):
- la terapia ormonale rappresenta l’opzione di scelta con l’eccezione dei
casi nei quali il comportamento aggressivo della malattia richiede una risposta rapida. La scelta del tipo di trattamento ormonoterapico deve essere individualizzato, ma deve essere scelto tenendo conto delle seguenti
considerazioni:
- Il valore del trattamento ormonale di mantenimento dopo chemioterapia non è dimostrato da studi controllati, ma può considerarsi un approccio ragionevole.
- La combinazione simultanea di chemio e ormonoterapia è da non applicare.
- In caso di iperespressione o amplificazione di HER-2, l’aggiunta all’ormonoterapia di terapie anti HER-2 conferisce un beneficio aggiuntivo.
- con l’eccezione della combinazione di tamoxifene e LHRH agonisti in
premenopausa, non esiste alcun razionale all’uso delle terapie ormonali in combinazione.
Gli schemi nella figura 3 indicano il possibile atteggiamento in pre e post menopausa, ove vi sia l’indicazione ad una ormonoterapia di prima linea sulla
base dei precedenti trattamenti ormonali nel setting adiuvante (pazienti con
recettori ormonali positivi e malattia indolente).
Figura 3. Xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx
Ormonoterapia adiuvante
No
Tamoxifene
LhRh
Tamoxifene + LhRh
Prima linea
tamoxifene + LhRg
Prima linea
inibitori aromatasi + LhRh
Prima linea
tamoxifene + LhRh
Prima linea
inibitori aromatasi + LhRh
Seconda linea
inibitori aromatasi + LhRh
Seconda linea
MAP/megestrolo acetato
Seconda linea
inibitori aromatasi + LhRh
Seconda linea
MAP/megestrolo acetato
Terza linea
MAP/megestrolo acetato
Terza linea
MAP/megestrolo acetato
Pagina
106
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella
2) Pazienti con tumore della mammella triplo negative (recettori ormonali
negativi e HER-2 non iperespresso/ non amplificato):
Queste pazienti sono candidate alla chemioterapia.
Quando vi è l’indicazione alla chemioterapia (malattia non più ormonoresponsiva, malattia con recettori ormonali negativi, malattia aggressiva
con metastasi viscerali multiple o “life threatening”, pazienti giovani con
metastasi viscerali) la scelta può cadere su una polichemioterapia o su
una monochemioterapia.
La Polichemioterapia: più attiva della monochemioterapia anche se un
aumento delle risposte obiettive determina raramente un beneficio in sopravvivenza che viene invece influenzata dai trattamenti messi in atto
alla progressione. I regimi devono essere scelti anche in base al precedente trattamento adiuvante.
• pazienti non pretrattate con antracicline:
- CAF/FAC, FEC, A/ED (doxorubicina/epirubicina e docetaxel); A/ET (doxorubicina/epirubina e paclitaxel)
• pazienti pretrattate con antracicline
- Nab-Paclitaxel (approvato per pazienti in fallimento dopo terapia di
prima linea metastatica e per le quali la terapia standard con antracicline è controindicata), docetaxel/capecitabina o paclitaxel/gemcitabina (questi ultimi due regimi sono approvati per le pazienti pretrattate
con antracicline), CMF
• pazienti pretrattate con antracicline e/o taxani
- Nab-Paclitaxel capecitabina, vinorelbina, gemcitabina,doxorubicine
liposomiali
• La monochemioterapia: è da preferire
• nella malattia indolente,
• nelle pazienti anziane (>70 anni),
• nelle pazienti con riserva midollare ridotta a causa di metastasi ossee
multiple e/o pregressa RT palliativa o
• nei casi in cui sia necessario limitare gli effetti collaterali (ad es. comorbidità).
I regimi di combinazione sono da preferire in presenza di una malattia aggressiva allorchè è necessaria una rapida riduzione della massa tumorale
mentre una monochemioterapia può rappresentare il trattamento di scelta
nella malattia indolente, nelle pazienti anziane (>70 anni), nelle pazienti con
riserva midollare ridotta a causa di metastasi ossee multiple e/o pregressa RT
palliativa o nei casi in cui sia necessario limitare gli effetti collaterali (ad es.
comorbidità). La durata ottimale del trattamento chemioterapico non è nota
soprattutto con i “nuovi” agenti chemioterapici per la comparsa di effetti collaterali. L’obiettivo è quello di ottenere una risposta il più possibile duratura
mantendo però una qualità di vita accettabile.
Uno degli ultimi farmaci approvati in questo setting di pazienti è il Nab-Paclitaxel, un farmaco contenente nano particelle di Paclitaxel legate ad albumina
di siero umano. Questo legame contribuirebbe ad avere una maggiore quantità di farmaco nelle regioni in cui è presente il tumore. Il farmaco si è rivelato essere superiore in termini di risposte obiettive e sopravvivenza libera da
progressione peraltro producendo una minore tossicità, rispetto al Paclitaxel
in pazienti affette da carcinoma della mammella metastatico, in uno studio di
fase III che ne ha permesso l’approvazione.
3) pazienti con tumore della mammella HER2 positivo (iperespresso/amplificato):
• Il trastuzumab dovrebbe essere proposto precocemente a tutte le pazienti con tumore della mammella metastatico HER2 positivo con somministrazione settimanale alla dose 2mg/Kg dopo una dose carico di
4mg/Kg con una somministrazione trisettimanale 8-6 alla dose di
6mg/Kg dopo una dose di carico di 8mg/Kg.
Pagina
• Il monitoraggio della funzionalità cardiaca deve essere effettuato prima
e durante il trattamento con trustuzumab.
• L’insieme dei dati retrospettivi e i risultati dello studio di fase III hanno
dimostrato che continuare il trattamento con trastuzumab dopo una
prima progressione, con l’aggiunta di un differente regime chemioterapico, è superiore rispetto alla sospensione dell’anticorpo monoclonale. In seguito all’approvazione del lapatinib per il trattamento del
tumore della malattia metastatica, il problema se continuare il trastuzumab o passare al lapatinib, al momento è ancora oggetto di discussione.
• Il lapatinib ha dimostrato un aumento significativo del tempo alla progressione in combinazione con la capecitabina nei pazienti in progressione dopo trastuzumab.
• L’aggiunta di agenti anti-HER-2 ( trastuzumab e lapatinib) alla terapia
ormonaleha determinato un prolungamento della sopravvivenza libera
da progressione e deve essere considerata una opzione per le pazienti
con tumori che esprimono recettori ormonali positivi ed HER2 postivo.
• Altri agenti ant-HER2 o pan-anti-HER, come il Pertuzumab, il T-DM1, il
Neratinib, sono al momento oggetto di studio così come le combinazioni di Trastuzumab con altri agenti biologici in combinazione o meno
alla chemioterapia per cercare di superare il problema della resistenza
al Trastuzumab.
4) Altri agenti biologici
• Bevacizumab, un agente anti-angiogenetico è stato approvato dall’
FDA e dall’EMA in combinazione con il Paclitaxel come trattamento di
prima linea per il tumore della mammella metastatico dopo aver dimostrato un beneficio di 6 mesi in termini di sopravvivenza libera da
progressione nello studio ECOG2100. Di recente il Bevacizumab è stato
approvato in II linea in combinazione con Capecitabina (RIBBON 2). Nei
successivi studi randomizzati di fase III (AVADO, RIBBON), il beneficio
del Bevacizumab in una popolazione non selezionata di pazienti con tumori della mammella, era solo di un mese in termini di sopravvivenza
libera da progressione, senza alcun beneficio in termini di sopravvivenza globale. Le evidenze scientifiche devono continuare ad approfondire quali pazienti possono trarre beneficio da una terapia così
costosa.
• Altre terapie biologiche innovative e targeted sono attualmente oggetto di studi importanti sia come agenti singoli sia come combinazione di più agenti.
5) La radioterapia
• Svolge un ruolo importante nella palli azione dei sintomi e in alcune
situazioni di emergenza (compressioni midollari sindrome mediastinica) per ridurre la sintomatologia e contribuire insieme alle terapie sistemiche al miglioramento della qualità della vita.
• Nelle metastasi ossee, mediante l’utilizzo di frazionamenti convenzionali o ipofrazionamenti, consente un rapido sollievo dal dolore nel 6080% dei casi e con remissione completa nel 20%. In caso di
compressione midollare può essere associata ad interventi di decompressione, stabilizzazione o vertebroplastica.
• Nelle metastasi cerebrali la scelta del trattamento di rradiazione pancencefalica ± boost stereotassico o solo trattamento stereotassico,
eventualmente preceduto dalla asportazione chirurgica della/e metastasi, dipende dal numero e dalla sede delle stesse, dal PS della paziente e dalla estensione della malattia in sede extracranica. La dose
di 30 Gy in 10 frazioni consente una risposta clinica nel 75% dei casi.
La radioterapia sterotassica si è dimostrata efficace nel controllare lesioni
fino a 4 cm, con risultati analoghi alla irradiazione panencefalica.
107
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
•
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Altre sedi metastatiche come lesioni cutanee isolate, stazioni linfonodali
sopraclaveari, ascellari, localizzazioni coroidee, singole lesioni polmonari
periferiche, lesioni epatiche di piccole dimensioni (max 3 cm ) in numero
non superiore a 2-3, si possono giovare di irradiazione focalizzata, anche
mediante nuove tecniche e tecnologie (sterotassia, IMRT, IGRT…)
3.5. Terapie di supporto e riabilitazione
T. Gamucci, P. Marchetti, P. Pugliese, S. Tomao
Le terapie di supporto e di riabilitazione per le pazienti affette da neoplasia
mammaria costituiscono un settore estremamente importante in ambito oncologico nei diversi stadi della malattia.
Riabilitazione dopo chirurgia sulla mammella
Tra le principali problematiche di interesse riabilitativo nelle pazienti operate
per carcinoma mammario ci sono sicuramente la limitazione funzionale dell’articolarità scapolo-omerale, le neuropatie periferiche e il linfedema. In particolare la limitazione articolare può essere causata dal dolore conseguente
all’intervento o da un atteggiamento di difesa che la paziente assume anche
inconsciamente nei confronti della zona operata; tale postura, se mantenuta
nel tempo, può portare ad un’alterazione permanente della biomeccanica
della spalla. Il linfedema rappresenta una delle complicanze più temute per
il decorso cronico e progressivo, l’esordio anche tardivo e la necessità di numerosi e ripetuti cicli di fisioterapia per il suo contenimento. Fortunatamente,
nel corso degli ultimi anni tali problematiche si sono notevolmente ridotte
nella numerosità grazie al sempre più frequente ricorso ad interventi chirurgici di tipo conservativo.
Il setting riabilitativo deve estrinsecarsi come di seguito riportato:
1) Fase preoperatoria
• informare la paziente sulle possibili strategie di recupero funzionale
(libretto informativo)
• valutare alcuni parametri funzionali dell’arto superiore ed in modo
particolare la presenza di limitazioni funzionali dovute a patologie pregresse e/o concomitanti.
2) Fase postoperatoria. È distinta in due periodi:
• Acuto: relativo al periodo della degenza ospedaliera post-chirurgica
• Post-acuto: relativo ai 40-60 giorni successivi alla dimissione ospedaliera.
Il trattamento riabilitativo post-operatorio deve essere iniziato il più precocemente possibile fin dal giorno successivo all’intervento e durare per tutto
il periodo del ricovero proseguendo anche a dimissione avvenuta. A tal proposito è opportuno consegnare alla paziente una sorta di diario con dei semplici esercizi da svolgere a domicilio.
La valutazione funzionale deve comprendere:
• ROM (riduzione della mobilità articolare) attivo e passivo del complesso
articolare di spalla
• test muscolari dei muscoli potenzialmente compromessi
• valutazione di deficit a carico del sistema nervoso periferico con particolare attenzione alle sensibilità dell’arto superiore e della zona toracica
interessata
• misurazione antropometrica degli arti superiori e caratteristiche dell’edema
• valutazione del dolore con scala analogico-visiva (VAS)
• valutazione delle cicatrici (aderenti, retraenti, ipertrofiche, cheloidee)
• valutazione posturale
• valutazione funzionale globale.
Gli obiettivi del trattamento sono:
Pagina
•
•
•
•
•
•
•
adeguata informazione della paziente
educazione al controllo della sintomatologia dolorosa
facilitazione all’espansione dell’emitorace interessato
prevenzione degli atteggiamenti posturali viziati
prevenzione e controllo dell’instaurarsi di aderenze cicatriziali
prevenzione delle retrazioni mio-cutanee, mio-tendinee e mio-fasciali
recupero dell’escursione articolare dei cingoli scapolo-omerale e scapolo-toracico
• educazione all’auto-prevenzione delle complicanze tardive con particolare riferimento al linfedema.
3) Fase degli esiti tardivi
Questa fase si può collocare temporalmente trascorsi i 60 giorni dall’intervento chirurgico.
L’edema linfatico rimane oggi l’esito cronico più importante per le donne
operate, anche se si presenta con una frequenza inferiore rispetto al
passato. L’edema viene classificato in lieve, moderato, grave, gravissimo con lesione del plesso brachiale. L’edema lieve è molle, recede con
il riposo notturno e insorge generalmente a breve distanza dall’intervento chirurgico o radioterapico, presenta una differenza di diametro
con l’arto contro-laterale sano di 1-3 cm. La cute mantiene l’elasticità e
non si evidenziano lesioni trofiche; la fovea è positiva ma rientra subito.
La paziente non riferisce episodi precedenti di linfangiti. In questi casi
l’intervento riabilitativo prevede una maggiore attenzione all’educazione
preventiva finalizzata alla cura dell’arto, al corretto posizionamento insegnando posture ed esercizi drenanti e, a discrezione degli specialisti,
il linfodrenaggio manuale (LDM) con bendaggio elastocompressivo.
L’edema moderato è duro-elastico, non recede con il riposo notturno,
presenta una differenza di diametro con l’arto controlaterale sano di 35 cm. La cute perde d’elasticità, la fovea è positiva e stabile. Il paziente
può riferire episodi di linfangite. Ci può essere alterata funzionalità dell’arto. In questi casi l’intervento fisioterapico dovrebbe essere così strutturato:
• linfodrenaggio manuale (LDM) + bendaggio elastocompressivo +
guaina elastica confezionata su misura + esercizi da eseguire con la
compressione;
e/o
• linfo-pressoterapia sequenziale preceduta da manovre di apertura secondo LDM + guaina elastica confezionata su misura.
L’edema grave è duro, non recede con il riposo notturno e presenta una
differenza di diametro con l’arto controlaterale sano maggiore di 5 cm.
La cute ha perso d’elasticità, la fovea è profonda e stabile. La funzionalità dell’arto è modificata con limitazione dei movimenti in rapporto all’aumento di peso dell’arto ed alla fibrosi. L’intervento riabilitativo
dovrebbe essere così articolato:
• linfodrenaggio manuale (LDM) + bendaggio elastocompressivo +
guaina elastica confezionata su misura + esercizi da eseguire con la
compressione
e/o
• linfo-pressoterapia sequenziale preceduta da manovre di apertura secondo LDM.
L’edema gravissimo con interessamento del plesso brachiale: in questo
caso il quadro clinico è complicato dall’interessamento del plesso brachiale. Il programma riabilitativo dovrebbe essere come sopra con l’aggiunta di ausili di supporto per l’arto paretico/plegico. La valutazione
della paziente deve sempre prevedere un approccio diagnostico multidisciplinare per escludere eventuali riprese di malattia.
Carcinoma mammario - fertilità
108
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella
Il rapporto carcinoma mammario-fertilità racchiude distinti ordini di problemi:
• La gestione dei casi di neoplasia mammaria insorti durante una gravidanza
• Gravidanza dopo carcinoma mammario
• La preservazione della fertilità durante il trattamento per carcinoma
mammario.
Gestione dei casi di carcinoma mammario insorti in gravidanza
I tumori della mammella diagnosticati durante una gravidanza presentano
mediamente uno stadio più avanzato rispetto alle neoplasie mammarie riscontrate in donne non gravide. L’incidenza di casi con interessamento linfonodale nelle pazienti gravide risulta infatti 2,5 volte superiore rispetto a
quella riscontrata nelle pazienti non gravide.
Procedure diagnostiche
Le procedure diagnostiche preoperatorie da adottare di fronte ad una paziente gravida che presenti un nodulo mammario sono:
• Ecografia mammaria priva di rischi teratogenici ed in grado di distinguere lesioni solide e lesioni liquide. Qualora la immagine solida presenti caratteri ecografici di dubbia malignità, occorre procedere
all’esecuzione di una mammografia con schermatura addominale (talora peraltro di scarsa utilità a causa della densità radiologica della
ghiandola mammaria in gravidanza), seguita da biopsia. La dose radiante assorbita dal feto durante una mammografia con schermatura
addominale è sostanzialmente nulla: non esistono quindi rischi teratogenici legati alla indagine mammografica
• Ecografia addominale
• Rx torace con scheramatura addominale
• Deve essere evitata l’esecuzione di TC total body e di scintigrafia ossea.
La condotta terapeutica di fronte ad una paziente gravida in cui si sia diagnosticato un carcinoma mammario può variare in relazione al periodo gestazionale. Chiaramente devono essere tenuti presenti gli articoli della legge
194/1978 relativi all’interruzione di gravidanza (articoli 6 e 7 riportati in appendice). Circa il 60% delle donne in stato di gravidanza con diagnosi di neoplasia mammaria può essere trattata con intento curativo (diagnosi di early
breast cancer).
Trattamento early breast cancer
Chirurgia
Primo trimestre:
• Discutere con la paziente e con il partner circa la possibiltà di un’interruzione di gravidanza
• Se possibile, evitare la chirurgia fino al completamento della dodicesima
settimana di gestazione
• In caso di intervento chirurgico: mastectomia e dissezione ascellare (impossibilità di eseguire un trattamento radioterapico in tempi adeguati).
Secondo e terzo trimestre:
• Dopo colloquio con la paziente ed il partner, si può valutare una chirurgia conservativa (se applicabile) e dissezione ascellare
• Va considerato, ove possibile, l’induzione del parto.
La biopsia del linfonodo sentinella non può essere raccomandata durante il
periodo gestazionale per il rischio di esposizione a radiazioni.
Radioterapia
• Non raccomandata durante l’intero periodo gestazionale
Chemioterapia adiuvante
Primo trimestre:
• Da evitare.
Secondo trimestre:
• Necessaria ampia discussione con paziente e partner
Pagina
•
Si può ricorrere ad un trattamento chemioterapico (non escludendo con
assoluta certezza eventuali effetti teratogeni e malformazioni)
• E’ da escludere un trattamento con farmaci antimetaboliti
• Con maggiore sicurezza possono essere utilizzati antracicline .
• Per i Taxani non si hanno molti dati a disposizione circa eventuali danni
teratogeni.
Terzo trimestre:
• Se possibile, ricorrere all’induzione del parto in modo da poter programmare un iter terapeutico non più condizionato dallo stato gravidico
• Se non possibile un’induzione del parto, dovrebbero valere le stesse indicazioni del secondo trimestre.
Terapie biologiche ed ormonoterapia
Trastuzumab
• Non raccomandato in corso di gravidanza per casi di oligoidramnios, alcuni associati a ipoplasia polmonare del feto ad esito fatale, in donne in
gravidanza trattate con Trastuzumab.
Terapia ormonale
• Non raccomandata in corso di gravidanza.
Trattamento della malattia avanzata
In caso di diagnosi di carcinoma mammario metastatico le condotte da mettere in pratica sono le seguenti:
• Colloquio con paziente e partner
• Primo trimestre: se necessario ed accettato un trattamento antitumorale da parte della paziente, interruzione di gravidanza
• Secondo e terzo trimestre: valgono le stesse indicazioni riportate per il
trattamento antitumorale adiuvante.
Gravidanza dopo un intervento per carcinoma mammario
La maternità non sembra influenzare negativamente la prognosi di una paziente precedentemente sottoposta a trattamento chirurgico e chemio-radioterapico per carcinoma mammario. Alcuni studi evidenzierebbero una più
elevata sopravvivenza libera da malattia a 5 anni nelle donne che hanno intrapreso una gravidanza dopo un trattamento per neoplasia mammaria, facendo supporre un possibile effetto protettivo della gravidanza stessa.
Il suggerimento non perentorio per una paziente che voglia programmare
una maternità dopo una neoplasia della mammella, è di attendere almeno
due anni dalla diagnosi posto che questo è considerato il periodo a maggior
rischio di recidiva
Embriotossicità e fetotossicità di precedenti trattamenti antineoplastici
Un precedente trattamento chemioterapico non determina evidenti fenomeni
di embrio o fetotossicità. I dati a disposizione riguardo a pazienti sottoposte
a trattamenti antineoplastici evidenziano solo casi più frequenti di aborto
spontaneo, parto prematuro o basso peso alla nascita. Le donne che assumono Tamoxifene possono diventare gravide durante il trattamento (tranne
nei casi in cui il Tamoxifene determini una amenorrea). Il Tamoxifene ha però
evidenziato, in studi di laboratorio sul topo, effetti teratogenici, in particolare
a carico degli organi urogenitali. Le pazienti che desiderano una gravidanza
devono perciò interrompere la terapia con Tamoxifene alcuni mesi prima del
concepimento. Durante il trattamento le donne devono inoltre essere sottoposte ad attenti controlli per escludere la possibilità di una gravidanza in
atto.
Effetti di precedenti trattamenti antineoplastici sulla lattazione
La resezione conservativa di neoplasie localizzate al quadrante centrale della
mammella danneggia in genere la lattazione in modo irreversibile, più di
quanto possa verificarsi in seguito a quadrantectomie per neoplasie localiz-
109
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
zate in aree ghiandolari periferiche. L’irradiazione della mammella può a sua
volta compromettere la capacità di lattazione della mammella stessa, a causa
della induzione di fibrosi dei lobuli ghiandolari. Una mammella che sia stata
sottoposta a chirurgia conservativa e terapia radiante presenta difficoltà nello
sviluppo della ipertrofia durante la gravidanza ed il puerperio, per cui si assiste in questi casi nelle pazienti ad un ingrossamento mammario asimmetrico.
Alcune donne sono comunque in grado di allattare dalla mammella trattata
con chirurgia conservativa e radioterapia; nella maggioranza dei casi ciò avviene però con difficoltà e con produzione di quantità inadeguate di latte.
Preservazione della fertilità
Strategie
Chemioprotezione ovarica
Il razionale dell’uso degli agonisti del GnRH è quello di rallentare l’attività
cellulare delle gonadi rendendole meno sensibili all’aggressione degli agenti
citotossici. Studi osservazionali ne validano l’efficacia corroborati da un unico
studio di fase II randomizzato (Promice).
Pertanto, ad oggi, il loro utilizzo potrebbe essere consigliato alle pazienti desiderose di gravidanza in concomitanza al trattamento chemioterapico.
Criopreservazione ovocitaria
Tecnica prevede la necessità di sottoporre la paziente ad una stimolazione
ormonale. I protocolli di stimolazione ovarica sono finalizzati a prelevare il
maggior numero possibile di ovociti in un arco di tempo generalmente non
inferiore alle due settimane. Da ciò emergono due problemi:
• necessità di avere a disposizione il tempo necessario alla crescita follicolare (ritardando un trattamento antitumorale)
• la stimolazione determina un notevole incremento dei livelli estrogenici
circolanti, rischiose in pazienti affette da neoplasie mammarie ormonosensibili.
Per il congelamento ovarico, i tassi di sopravvivenza e fecondazione sono
aumentati nel tempo (surviavl rate 75% e fertilization rate 83%). Restano tuttavia limitati i tassi di gravidanza e di nascita per ovocita crioconservato (2%
e 1.9%).
Pertanto la tecnica della criopreservazione dell’ovocita è da considerarsi sperimentale e dovrebbe essere praticata in Centri qualificati ed in possesso di
adeguata esperienza clinica e scientifica e di apposita certificazione.
Congelamento di tessuto ovarico
Questa tecnica prevede l’asportazione per via laparoscopica di striscioline di
corticale ovarica che vengono poi messe a contato con crioprotettori ed espo-
ste a basse temperature. In un secondo momento, quando le condizioni cliniche della paziente lo permettono, si procede all’autotrapianto del tessuto.
Purtroppo, una grossa parte del contenuto follicolare potrebbe essere perso
a causa del danno ischemico durante la fase di rivascolarizzazione del tessuto. Inoltre per escludere la possibilità che il tessuto ovarico trapiantato
possa contenere cellule neoplastiche, esso deve essere sottoposto sempre
ad analisi istologica ed immunoistochimica. La tecnica di congelamento di
tessuto ovarico va considerata sperimentale e dovrebbe essere praticata in
Centri qualificati ed in possesso di adeguata esperienza clinica e scientifica
e di apposita certificazione.
Trattamento loco-regionali
Linfonodi ascellari negativi
Linfonodi ascellari positivi
Trattamenti sistemici
3.6 Appendice
Articolo 6
L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata:
a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita
della donna
b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti
anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.
Articolo 7
I processi patologici che configurino i casi previsti dall’articolo precedente
vengono accertati da un medico del servizio ostetrico-ginecologico dell’ente
ospedaliero in cui deve praticarsi l’intervento, che ne certifica l’esistenza. Il
medico può avvalersi della collaborazione di specialisti. Il medico è tenuto a
fornire la documentazione sul caso e a comunicare la sua certificazione al direttore sanitario dell’ospedale per l’intervento da praticarsi immediatamente.
Qualora l’interruzione della gravidanza si renda necessaria per imminente
pericolo per la vita della donna, l’intervento può essere praticato anche senza
lo svolgimento delle procedure previste dal comma precedente e al di fuori
delle sedi di cui all’articolo 8.
In questi casi, il medico è tenuto a darne comunicazione al medico provinciale. Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l’interruzione
della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell’articolo 6 e il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura
idonea a salvaguardare la vita del feto.
precoce possibile. Non vi sono però dati a sostegno di questo atteggiamento.
Neppure è noto se l’utilizzo di metodiche diagnostiche più avanzate possa
portare a dei benefici (TC, RMN, TC-PET).
Per le pazienti asintomatiche in trattamento con tamoxifene è consigliabile
una semplice visita ginecologica annuale senza alcun esame strumentale.
Una valutazione basale della densità ossea con metodica DEXA è consigliabile per le pazienti in postmenopausa in trattamento con AI.
Lo schema sottostante da un indirizzo generale delle tempistiche di followup (figura 4).
110
Mammografia
Visita clinica
Articoli Legge 194/1978
S. Tomao, F. Cognetti
Pagina
Figura 4. Xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx
Follow-up
4. Follow up
Allo stato attuale non esiste una evidenza che l’esecuzione di routine di alcuni esami (esame emocrocitometrico e profilo biochimico, rx torace, scintigrafia ossea, ecografia epatica, marcatori tumorali) possa portare a dei reali
benefici nella gestione del tumore della mammella.
Tali conclusioni si basano sulle linee guida dell’ASCO la cui revisione è stata
recentemente pubblicata. L’osservazione che alcuni sottogruppi ristretti di
pazienti con carcinoma mammario metastatico possono essere guarite (pazienti con localizzazioni singole), può spingere verso un follow-up più intensivo allo scopo di diagnosticare la malattia metastatica in una fase il più
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella
1°-3° anno
4°-5° anno
Dopo 5° anno
Prima MX:
9-12 mesi dopo RT
Ogni 3-6 mesi
Ogni 6-12 mesi
Ogni anno
Successivamente
ogni anno
5. Percorso psicologico nelle diverse fasi della neoplasia mammaria
P. Pugliese
La neoplasia mammaria può impattare significativamente la sfera psicologica, affettiva, familiare e sessuale della paziente determinando, durante le
diverse fasi della malattia oncologica, livelli di distress psicologico più o meno
severi, nel 35-40 % delle donne.
Il distress psicologico è determinato dal confronto con una malattia che minaccia la vita e dagli esiti dei trattamenti oncologici, che mettono in discussione l’identità femminile della donna.
Ogni fase della malattia oncologica ha un preciso correlato psicologico che
genera distress, anche molti anni dopo la fine dei trattamenti attivi, e peggiora la qualità della vita delle donne: nella fase degli accertamenti diagnostici la percezione di vulnerabilità; nella fase della comunicazione della
diagnosi le importanti paure e preoccupazioni per la morte e la mutilazione;
durante la fase dei trattamenti attivi e nel follow-up il danneggiamento dell’immagine corporea, le alterazioni della femminilità, della sessualità, della
capacità riproduttiva e del funzionamento relazionale, le disfunzioni cognitive,
la fatigue, il linfedema, il dolore, il corredo sintomatologico della menopausa
indotta nelle donne giovani; nella ripresa di malattia la perdita della possibilità di guarire e nella fase avanzata la limitata aspettativa di vita.
Ugualmente elevato è il fenomeno nei familiari delle pazienti che mostrano,
a seconda delle varie fasi di malattia, un distress psicologico che varia dal
20% al 71%.
Diversi studi hanno rilevato una relazione del distress psicologico con il peggioramento della qualità della vita, con l’aumento del rischio di disagio psichico nella famiglia, con la riduzione dell’aderenza ai trattamenti ormonali,
con l’alterazione della relazione medico-paziente, con l’aumento dei tempi di
recupero, riabilitazione e degenza, con una minore efficacia biologica della
Pagina
terapia, con una riduzione della sopravvivenza ed un maggiore rischio di ricorrenza.
Il benessere psicologico può inoltre essere correlato all’abilità degli operatori
di dare informazioni chiare, sollecite e modulate sul bisogno di sapere delle
donne, riguardo alla malattia, alle procedure diagnostiche, alle opzioni terapeutiche e alle loro conseguenze ed un giudizio ponderato sulle aspettative e
sulla qualità della vita. Tale abilità permette alle pazienti di partecipare alla
scelta tra diverse strategie chirurgiche, tra trattamenti chemioterapici di
uguale efficacia in fase avanzata di malattia ed alla scelta tra trattamenti aggressivi di seconda linea ed il riferimento ai centri di cure palliative.
Training sulle abilità comunicative agli operatori sanitari hanno mostrato un
miglioramento della comunicazione.
Gli studi hanno messo in evidenza la difficoltà di rilevare routinariamente i
problemi psicologici da parte degli operatori medici, in quanto non formati a
tali aspetti. La morbidità psicologica viene sottostimata e, quindi, non trattata.
C’è evidenza dell’efficacia di terapie psicologiche che legittimano lo screening del distress psicologico ed in alcuni paesi sono ormai disponibili linee
guida che forniscono raccomandazioni, basate sull’evidenza, riguardo la cura
psicosociale dei pazienti (NCCN, 2011). Trial randomizzati, review sistematiche e meta-analisi sostengono che una cura per il cancro per essere “di
qualità” deve integrare routinariamente la cura psicosociale. Altro dato di
evidenza è la consapevolezza sempre più alta della sofferenza psicologica da
parte delle pazienti e dei loro familiari e, quindi, la richiesta di supporto psicologico e di una comunicazione efficace.
Il supporto psicologico è un’indicazione del Piano Oncologico Nazionale
2011-2013 e della Rete Oncologica del Lazio.
111
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Il supporto psicologico alle donne con carcinoma mammario è mirato a favorire l’adattamento alla malattia, una migliore qualità di vita ed un reinvestimento della progettualità a lungo termine.
Percorso psicologico per le pazienti con cancro della mammella nelle diverse
fasi di malattia:
• presenza di uno psicologo adeguatamente formato nelle problematiche
personali, familiari, sociali e sessuali delle pazienti affette da carcinoma
mammario tra i costituenti del GIC (raccomandazione C).
• rilevazione precoce del distress psicologico della paziente nelle diverse
fasi della malattia (primo accesso presso la struttura, fase pre e postoperatoria, fase dei trattamenti medici, fase di follow-up, fase terminale)
•
•
•
ed ad ogni cambiamento nello stato di malattia (remissione, ripresa, progressione), attraverso uno strumento di autovalutazione (raccomandazione B).
invio allo psicologo delle pazienti a rischio (presenza di livelli di distress
psicologico superiori al cut-off) da parte degli operatori dell’equipe medico-sanitaria. (raccomandazione B).
supporto psicologico o più specificatamente psicoterapeutico (individuale, di gruppo, di coppia, familiare), durante tutte le fasi della malattia, alle pazienti ed ai familiari che ne abbisognano (raccomandazione A).
training per il miglioramento delle abilità comunicative degli operatori
(raccomandazione A).
6. Criteri sull’appropriatezza delle dotazioni strutturali
e delle expertise nel carcinoma della mammella ai fini della
valutazione di accreditazione e della definizione di eccellenza
F. Cognetti
L’Unità Clinica di Senologia, nel rispetto della multidisciplinarietà e della qualificazione che “in primis” la definiscono, è composta da un gruppo di professionisti ben individuati (c.d. Core Team) accreditati come specialisti nel
campo del tumore della mammella in funzione di:
• comprovata esperienza in materia di patologia mammaria
• numero di casi trattati per anno e tempo dedicato all’assistenza per questa patologia
• regolare partecipazione ad incontri interdisciplinari dedicati alla pianificazione diagnostico-terapeutica dei singoli casi clinici
• regolare aggiornamento professionale specifico e partecipazione ai programmi di Assicurazione di Qualità.
Criteri minimi di composizione del “Core Team”
• Un Coordinatore Clinico cui compete la responsabilità organizzativa dell’Unità
• Due o più Chirurghi dedicati, con formazione specifica e direttamente
coinvolti nella chirurgia dei tumori mammari
• Un chirurgo plastico direttamente coinvolto nella chirurgia ricostruttiva
dopo intervento per tumori della mammella
• Due Radiologi con comprovata esperienza nel campo della patologia
mammaria, dell’“imaging” ad essa associato e delle procedure ecografiche e stereotassiche di localizzazione e prelievo bioptico. (Numero minimo di mammografie refertate ≥ 1000/anno)
• Un Patologo responsabile con formazione specifica nella diagnosi istologica e citologica delle lesioni mammarie
• Un Oncologo Medico con specifica esperienza nel campo dei tumori
mammari
• Un Radioterapista Oncologo con specifica esperienza nel campo dei tumori mammari
• Un Fisico Medico
• Due Tecnici di Radiologia dedicati con specifica formazione ed esperienza nel campo della diagnostica strumentale senologica
• Due Infermiere Professionali dedicate con formazione professionale
specifica anche nell’area della comunicazione
• Uno Psicologo (o preferibilmente Psico-oncologo) con specifica forma-
Pagina
zione nel campo delle problematiche personali, familiari e sociali riferibili a donne affette da tumore della mammella
• Un Data Manager responsabile della raccolta e dell’analisidi tutti i dati
clinici Tali dati dovranno essere disponibili per le sessioni periodiche di
Audit Clinico
• Un Amministrativo per il supporto segretariale.
Più in particolare, per l’accreditamento dei Professionisti di cui ai punti A-I,
come specialisti nell’ambito della patologia mammaria (così da soddisfare gli
standard richiesti ai componenti di una Unita’ Clinica di Senologia), verranno
seguiti i criteri indicati nel documento a cura dell’EUSOMA: ”Guidelines on the
standards for the training of specialised health professinals dealing with breast cancer”.
Professionisti che affiancano il “Core Team” ma che non ne fanno parte
(c.d. Consulenti)
• Un Fisiatra con particolare esperienza in tema di linfedema
• Un Anestesista con specifica formazione nel settore delle metodologie
atte a contrastare il dolore.
• Un Genetista/Consulente Genetico
• Un Chirurgo Ortopedico con esperienza nell’ambito degli interventi sulle
metastasi ossee.
• Un Neurochirurgo.
L’Unità Clinica dovrà produrre percorsi diagnostico-terapeutici scritti per la
gestione della malattia in tutti i suoi stadi.
Periodicamente tali protocolli dovranno essere ridiscussi e ove necessario
collegialmente modificati. Il “Core Team” dovrà avere incontri settimanali
multidisciplinari per la discussione di tutti i casi clinici e incontri periodici di
Audit Clinico A tal fine andranno identificati degli indicatori di processo, di risultato e di qualità del servizio.
L’attivita’ di ricerca e l’attivita’ didattica sono parte fondamentale della funzione dell’Unità Clinica ed il loro monitoraggio sarà’ oggetto di analisi nell’ambito delle riunioni di Audit clinico
Volume critico
All’Unità Clinica di Senologia, per mantenere gli elevati standard che la definiscono e per giustificarne l’impegno economico, dovranno afferire almeno
112
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up della neoplasia della mammella
150 nuovi casi di tumore della mammella ogni anno di cui l’Unità stessa
dovrà gestire diagnosi, terapie chirurgiche , radioterapiche, mediche e follow-up.
Requisiti tecnologici
Radiodiagnostica
• Mammografi digitali con dispositivi dedicati per eseguire approfondimenti diagnostici mirati
• Ecografi dedicati con sonde lineari o anulari ad alta frequenza
• Apparecchiature per i prelievi bioptici vuoto-assistiti (VABB)
• RM con campo magnetico di almeno 1,5 T e gradienti di campo di almeno 20mT/m.
Radioterapia
• Sistemi di immobilizzazione personalizzati
• TC-Simulatore
• Stazione di contornamento per la definizione dei volumi di interesse e per
la fusione di immagini multimodali (TC ± RM ± PET ecc.)
• Rete di trasferimento immagini tra TC e Sistema di Pianificazione del
Trattamento (TPS)
• Sistema di elaborazione tridimensionale del piano di terapia completo di
modulo di pianificazione inversa (IMRT) e di sistemi per la validazione dosimetrica dei trattamenti
• Due Acceleratori Lineari dotati di: collimatore multi lamellare, dispositivo
elettronico per l’acquisizione di immagini digitali del fascio di fotoni e di
sistema di verifica e controllo.
Organizzazione dell’Ambulatorio di Prime Visite di donne sintomatiche
• Frequenza: ≥1 a settimana (in una Breast Unit il cui volume critico è di
150 nuovi casi/anno il numero di nuove visite attese è pari a 1500/anno
o 30/settimana)
• Tempi di attesa: non superiori a 10 giorni lavorativi dal momento della
richiesta
• Presenze: Chirurgo, del Radiologo, Tecnico di radiologia,Patologo, Infermiere professionale
• Obiettivo Triplo test in un’unica seduta
• Comunicazione della diagnosi: entro 5 giorni lavorativi.
I tempi di attesa prima dell’intervento chirurgico non dovranno essere superiori a tre settimane.
Requisiti di accreditamento per l’eccellenza: Tutti i requisiti elencati sono necessari per accreditare una Unità Clinica di Senologia (UCS) per l’eccellenza.
Requisiti relativi alla composizione della UCS
1) I professionisti che costituiscono il Core Team della UCS devono avere
competenze riconosciute nell’ambito della diagnosi e trattamento del
carcinoma mammario.
E’ necessario quindi che sia documentabile, complessivamente, per il
Core Team nel suo insieme:
• una attività scientifica, con pubblicazione di almeno 10 lavori su riviste scientifiche con Impact Factor superiore ad 1, negli ultimi 5 anni
( sia come primo autore che come co-autore)
• un coinvolgimento, negli ultimi tre anni, in almeno 10 studi clinici in
GCP in ambito mammario
Deve essere documentabile, per ogni partecipante del Core Team:
• la partecipazione ad almeno due congressi/corsi/convegni regionali/nazionali specifici sul carcinoma mammario/anno
• la partecipazione ad almeno un congresso/corso/convegno internazionale/anno in oncologia.
2) Tutti i componenti del Core Team devono aver ricevuto una comprovata
formazione in modalità di comunicazione.
3) I Consulenti del Core Team devono far parte della stessa struttura sanitaria nella quale opera la UCS alla quale afferiscono.
Requisiti tecnologici/strutturali
• Le apparecchiature per i prelievi per esame istologico vuoto-assistiti
(VABB) e la Risonanza Magnetica (RM), con campo magnetico di almeno
1,5 T e gradienti di campo di almeno 20mT/m, per lo studio mammario,
debbono essere disponibili nella struttura sanitaria nella quale opera la
UCS.
• E’ necessaria la presenza, nella struttura ove opera la UCS, di una Laboratorio di Biologia Molecolare per:
- la valutazione del gene BRCA1-2;
- per studi di ricerca traslazionale nel carcinoma mammario.
Requisiti di attività (Volume critico)
Ad ogni Unità Clinica Senologica di eccellenza dovranno afferire ≥ 400 nuovi
casi di carcinoma mammario/anno (tutti gli stadi) di cui l’Unità stessa dovrà
gestire diagnosi, terapie chirurgiche e mediche e follow-up.
Requisiti organizzativi
Deve essere presente, nella stessa struttura nella quale opera la UCS, un
ambulatorio di Counseling genetico per le donne ad alto rischio eredo-familiare di carcinoma mammario. L’ambulatorio dovrà essere aperto almeno una
volta ogni 10-14 giorni. Dovrà essere presente un oncologo medico ed in
consulenza un genetista. Dovrà inoltre essere garantita la presenza di uno
psicologo esperto in queste problematiche.
7. Bibliografia
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•
Linee guida concernenti la prevenzione, la diagnosi e l’assistenza in oncologia,
contenute nell’accordo tra ministero della Sanità e le Regioni e Province autonome”. Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 100 del 2 maggio 2001.
Perry N, et al. European Guidelines for Quality Assurance in Breast Cancer Screening and diagnosis. IV Edition.
Raccomandazione del Consiglio d’Europa 2003 e 2009
Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001, Gazzetta
Ufficiale n. 33, Supplemento Ordinario n. 26 del 8 febbraio 2002.
Pagina
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•
•
•
Delibera della Giunta Regionale 8 luglio 1997, n. 4236.
Decreto del Commissario ad Acta 13 luglio 2010, n. 59 “Rete Oncologica”
Delibera della Giunta Regionale n.557 “Approvazione del Piano Regionale della
Prevenzione 2010-12 - Quadro Strategico, individuazione del Modello Organizzativo integrato territoriale e vincolo annuale ai risultati raggiunti della quota parte
del Fondo Sanitario”
Delibera della Giunta Regionale n. 613 “Approvazione del Piano Regionale della
Prevenzione 2010-2012”
113
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
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Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Coviello E, Miccinesi G. “Sopravvivenza per carcinoma mammario in aree di
screening”, Come cambia l’epidemiologia del tumore della mammella in Italia. I
risultati del progetto IMPATTO dei programmi di screening mammografico, 2011;
57-65.
ISTAT. Il Sistema di indagine sociali Multiscopo – contenuti e metodologie dell’indagine, 2006 n. 31.
Sistema di Sorveglianza PASSI – Rapporto Regionale 2007 – 2008, 2009
Delibera della Giunta Regionale 21 dicembre 2002, n. 1736. Bollettino Ufficiale
della Regione Lazio n. 5, Supplemento Ordinario n. 2 del 20 marzo 2003.
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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma del colon-retto
Criteri di appropriatezza clinica
ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up del carcinoma
del colon-retto
Coordinatore: Carlo Barone
Componenti del Gruppo di lavoro:
M. Anti, L. M. Larocca, B. Barbaro, G. Nuzzo,
M. Crecco, I. Pavese, M. D’Aprile, L. Petruzziello, G.B. Doglietto, A. Romit, M. Ferri,
L. Ruco, E. Fiori, R. Terzighi, G.M. Ettorre, G. Tonini, G.B. Grassi, M. Zeuli, G.L. Grazi
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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
INDICE
1.
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma del colon-retto
1. Prevenzione secondaria
Prevenzione secondaria.
1.1 Aspetti generali.
1.2 Popolazione di riferimento dei programmi di screening
2.
Criteri di diagnosi e stadi azione
2.1 Diagnosi Clinica
2.2 Diagnosi di natura
2.3 Diagnosi di estensione (Stadiazione)
3.
Valutazione Anatomo-patologica e di Biologia Molecolare
4.
Terapia Chirurgica
4.1 Terapia endoscopica
4.2 Terapia chirurgica
5.
Terapia Medica
5.1 Terapia Adiuvante.
5.2 Terapia della malattia metastatica.
5.3 Fattori predittivi
6.
Terapia Integrata della malattia metastatica
7.
Terapie loco-regionali
8.
Terapie palliative.
8.1 Sindromi Ostruttive
8.2 Dolore
8.3 Nutrizione
8.4 Sindromi Compressive
8.5 Fratture Patologiche
8.6 Assistenza al paziente terminale
9.
Follow-up
10.
Bibliografia
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1.1 Aspetti generali
Il carcinoma del grosso intestino è una delle principali cause di morbilità e mortalità per tumori, in tutti i Paesi occidentali. In Europa, è il tumore più frequente
nei non fumatori dei due sessi combinati. In Italia, l’incidenza stimata è di 4045.000 nuovi casi l’anno e la mortalità di circa 20.000 persone ogni anno. Il rapporto di mortalità tra i due sessi (M/F) per il tumore dell’intestino è cresciuto da
1,2 negli anni ’50 fino ad arrivare a 1,5. Secondo i dati AIRTUM nel centro-Italia
l’incidenza è di 47 per 100000 e di 31 per 100000, rispettivamente per i maschi
e le femmine. La mortalità nel Lazio, in riduzione come nel resto d’Italia, è di 29
per 100000 e 19 per 100000 rispettivamente per gli uomini e le donne.
Circa il 10% dei tumori del colon hanno una base genetica o una più o meno
spiccata familiarità. Le principali sindromi genetiche sono la sindrome di Lynch
o cancro colorettale ereditario non associato a poliposi (hereditary non-polyposis colorectal cancer, HNPCC) e la poliposi adenomatosa familiare (familial adenomatous polyposis, FAP) con la sua variante attenuata (1-3). La prima è dovuta
a mutazioni costitutive nei geni di riparazione degli errori di appaiamento del DNA
(mismatch repair, MMR), la seconda a mutazioni nel gene APC. Entrambe queste forme ereditarie si trasmettono in maniera autosomica dominante. Recentemente, è stata identificata una particolare forma di poliposi intestinale a
trasmissione recessiva, dovuta a mutazioni del gene MUTYH (4) e denominata poliposi adenomatosa associata a MUTYH (MUTYH-associated adenomatous polyposis, MAP). I più importanti fattori di rischio ambientale sono di tipo alimentare
e sono piuttosto numerosi. Tra questi i più documentati sono: il sovrappeso, l’obesità e il diabete mellito; la dieta ipercalorica, povera di fibre e ricca di cereali ad
elevato indice calorico e carico glicemico; l’eccessivo consumo di carni rosse;
l’eccessivo consumo di alcool. Tra i fattori non legati all’alimentazione, è controverso il ruolo del fumo di tabacco, mentre vi è accordo sul fatto che l’attività fisica svolga un ruolo protettivo, indipendentemente dal peso corporeo (5). Vari
studi hanno rilevato associazioni dirette tra peso corporeo, in particolare rapporto
vita/fianchi, e tumori del colon e, in misura minore, del retto (9). Nonostante il rischio relativo di tali fattori sia piuttosto modesto, essi sottolineano un ruolo importante del medico di medicina generale nella prevenzione. Un ruolo protettivo
sembra essere svolto dall’assunzione di piccole dosi di acido acetilsalicilico, come
quelle assunte con finalità anti-aggregante. Una revisione dei risultati ottenuti da
circa 15 studi osservazionali sul ruolo dell’aspirina ha confermato che l’assunzione a lungo termine di questo farmaco è associato ad una riduzione del rischio
di tumore del colon-retto di circa il 20-30%. Anche altri farmaci anti-infiammatori non steroidei sembrerebbero avere un ruolo analogo.
Per le caratteristiche della sua storia naturale, la presenza di una possibile base
genetica, la disponibilità di trattamenti efficaci e la sua frequenza, il carcinoma
del colon (e del retto) è diventato argomento di particolare interesse per i programmi di prevenzione ed, in particolare, per i programmi di screening. Infatti, è
generalmente accettato che la maggior parte dei cancri colorettali deriva da adenomi con un anticipo di circa 10 anni. L’individuazione e l’asportazione degli adenomi, con conseguente interruzione della sequenza adenoma-cancro,
rappresenta un’importante strategia nella prevenzione del carcinoma colorettale. Lo screening a cui si fa riferimento è quindi quello organizzato, rivolto all’intera popolazione bersaglio con l’obiettivo di ridurre la mortalità causa-specifica
e caratterizzato dall’equità di accesso, a differenza di quello opportunistico, che
è un approccio singolo ed individualizzato, non causa- ma cancro-specifico e
sostanzialmente discriminatorio in favore delle fasce di popolazione più abbienti
o informate. La storia clinica delle neoplasie intestinali (adenoma/carcinoma) è
caratterizzata dal sanguinamento nel lume intestinale, discontinuo e con carat-
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teristiche differenti in funzione della sede e delle dimensioni della neoplasia. Il
sanguinamento occulto può essere rilevato attraverso specifici test fecali, che
per lo più fanno riferimento al metodo del guaiaco o al metodo immunologico, che
– a differenza del primo – non è influenzato dalla dieta. La specificità di questo
test è elevata, ma la sensibilità è relativamente bassa in particolare per gli adenomi o i carcinomi di piccole dimensioni o non ulcerati.
L’indagine più importante nello screening del cancro del colon è quindi l’endoscopia, rettosigmoidoscopia e colonscopia. La sensibilità degli esami endoscopici per le neoplasie presenti nei segmenti colici esaminati è considerata molto
elevata, oltre il 90% per le lesioni ≥ 10 mm. La colonscopia virtuale è una metodica meno invasiva dell’endoscopia con una sensibilità inferiore specialmente
per le lesioni più piccole; il principale limite risiede nella necessità di dover ricorrere comunque all’endoscopia di conferma in caso di esame positivo. La combinazione di FOBT annuale ed endoscopia (RSS ogni 5 anni o colonscopia ogni
7-10 anni) consente di ottimizzare la sensibilità dello screening.
1.2 Popolazione di riferimento
dei Programmi di screening
Nei pazienti asintomatici ed a rischio intermedio si stima che lo screening debba
iniziare intorno ai 50 anni; l’inizio deve essere anticipato all’età giovanile nelle
forme genetiche, mentre nelle forme cosiddette familiari complesse si ritiene che
debba essere anticipato di 10 anni rispetto all’età di insorgenza nel caso indice
più giovane. Nella regione Lazio la diffusione dei programmi di screening è a
macchia di leopardo ed è quindi necessaria una maggiore sensibilizzazione sia
della popolazione che dei medici di base. Inoltre è necessario adeguare le strutture diagnostiche all’incremento di volumi di attività endoscopica che conseguiranno inevitabilmente alla diffusione dei programmi di screening.
Criteri di appropriatezza dei programmi di screening organizzato
• Informazione dell’utenza per lettera (ripetuta)
• Coinvolgimento dei medici di base
• Offerta dell’esame di II livello entro 15 gg. dall’esito positivo del SOF
• Organizzazione delle risorse in funzione del numero atteso di endoscopie
• Individuazione della popolazione a maggior rischio
• Inizio:
- Popolazione a rischio intermedio: 50 anni
- Familiarità semplice (1 solo parente di I grado diagnosticato >50 aa.): 40
anni
- Familiarità complessa: 10 anni prima rispetto al caso indice più giovane
- Sindrome di Lynch: 20-25 anni
- Poliposi familiare: 10-12 anni
• Tipo di test:
- Popolazione a rischio intermedio e Familiarità semplice
- Sangue occulto nelle feci ogni 1-2 e rettosigmoidoscopia ogni 5-7 anni
- Sangue occulto nelle feci ogni anno e colonscopia ogni 10 anni
- Familiarità complessa
- Colonscopia ogni 3-5 anni
- Sindrome di Lynch
- Colonscopia ogni 1-2 anni
- Poliposi familiare
- Rettosigmoidoscopia ogni 2 anni sino alla comparsa di polipi, poi colonscopie annuali sino all’intervento chirurgico
119
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
2. Criteri di diagnosi e stadiazione
2.1 Diagnosi Clinica
Fra esordio dei sintomi e terapia chirurgica intercorrono in media 4 mesi per le
localizzazioni nel colon sinistro e 7 mesi per quelle nel colon destro. La tardività
della diagnosi correla con la prognosi, ma i sintomi tipici delle neoplasie del
colon sono presenti nelle fasi iniziali della malattia nel 40% dei casi. Tuttavia, poiché si stima che ad un medico di medicina generale con 1500 assistiti si presentino 1 caso di cancro del colon-retto all’anno e circa 15 casi sospetti, è
importante che tali pazienti vengano individuati e tempestivamente indirizzati
alla visita ed agli accertamenti specialistici. Questo intervallo non deve superare
le due settimane con l’obiettivo di giungere alla diagnosi definitiva entro un
mese. In questo processo sono quindi importanti due aspetti: il riconoscimento
dei sintomi e l’accesso alla diagnostica. I principali sintomi evocativi di patologia neoplastica colo-rettale sono: sanguinamento rettale in pazienti di età ≥45
anni e sintomi persistenti e/o di recente insorgenza potenzialmente attribuibili
a patologia colo-rettale in pazienti di età ≥45 anni (dolore addominale, alterazioni dell’alvo specialmente in senso stitico e/o delle caratteristiche delle feci,
mucorrea, anemizzazione). Questi pazienti devono essere sottoposti ad un accurato esame obiettivo comprensivo di esplorazione digitale del retto, che può
consentire la diagnosi del 10-15% dei tumori del grosso intestino e quindi indirizzati al successivo accertamento diagnostico, che di norma è l’endoscopia.
In presenza di sintomi clinici o di SOF positivo la colonscopia deve essere effettuata entro due settimane.
2.2 Diagnosi di natura
La rettosigmoidoscopia in genere non è un esame appropriato per la diagnosi
perché esplora solo la parte più distale del colon e perché non esclude una seconda neoplasia a monte nel caso di identificazione di una neoplasia nel segmento esplorato. Per la diagnosi di tumori del grosso intestino la colonscopia è
l’esame con maggior accuratezza diagnostica, sensibilità e specificità superiori
al 95% per lesioni di diametro superiore a 10 mm. Il rischio di falsi negativi è
inversamente correlato agli standard di qualità dell’esame, che comprendono la
buona preparazione intestinale, l’accuratezza dell’esplorazione e l’esperienza
dell’operatore. La colonscopia è un esame invasivo e, quando non doloroso, è
sicuramente poco gradito al paziente. Per questi motivi la sedazione/analgesia
è altamente raccomandata anche al fine di consentire una maggior accuratezza
dell’esame e non deve essere proposta come alternativa all’effettuazione dell’esame in condizioni di coscienza, ma - viceversa - deve essere l’opzione prioritaria ed essere esclusa solo su specifica richiesta del paziente. La “sedazione
cosciente” viene in genera effettuata con midazolam eventualmente associato
a petidina e richiede l’attenta sorveglianza dell’operatore e dell’infermiere. La sedazione più profonda con propofol richiede la presenza dell’anestesista. Il monitoraggio strumentale dei parametri vitali è comunque essenziale.
delle lesioni mediante polipectomia o mucosectomia. La procedura interventistica incrementa il rischio di complicanze; l’incidenza complessiva di emorragia varia fra 0.2% e 2.5% mentre quella di perforazione oscilla fra 0.07% e
0.7% per gli esami puramente diagnostici per raggiungere il 3% nelle procedure
interventistiche specialmente in presenza di condizioni favorenti come la diverticolosi e l’imperfetta preparazione intestinale.
Indicatori di qualità della colonscopia
• Consenso informato
• Appropriata gestione della terapia anticoagulante/antiaggregante
• Uso della sedazione/analgesia
- Presenza dell’anestesista in caso di sedazione profonda
• Preparazione intestinale adeguata (bassi volumi di soluzioni, tempistica appropriata, eventuale regime in due fasi)
• Adeguate procedure di disinfezione e sterilizzazione
• Percentuale di intubazione ciecale
• Monitoraggio strumentale dei parametri vitali
• Polipectomia sincrona contestuale di polipi <2 cm
• Adeguato campionamento bioptico
• Percentuale di complicanze
• Completezza del referto
• Corretta procedura di pro cessazione dei campioni
• Soddisfazione del paziente
Il clisma opaco con doppio mezzo di contrasto ha una sensibilità inferiore alla
colonscopia con una accuratezza molto variabile in rapporto all’esperienza del
radiologo. Richiede una accurata preparazione e, seppure raramente, presenta
il rischio di perforazione. Inoltre non consente la tipizzazione istologica. Per tutti
questi motivi è una metodica diagnostica che ormai viene utilizzata molto raramente, per esempio nelle condizioni in cui l’accertamento diagnostico è stato
effettuato mediante rettosigmoidoscopia al fine di valutare la presenza di neoplasie sincrone a monte del tratto esplorato endoscopicamente. La colonscopia
virtuale può essere realizzata sia mediante RMN che, più frequentemente, mediante TC. La sensibilità è piuttosto variabile in caso di neoplasie di piccole dimensioni, più omogenea ed intorno al 95% per le lesioni maggiori con una
accuratezza vicina a quella dell’endoscopia. L’esame è gravato da un numero
piuttosto elevato di falsi positivi legati a residui fecali. Inoltre, come il clisma
opaco, richiede il complemento endoscopico per la tipizzazione istologica. Per
questi motivi il suo ruolo è inferiore rispetto a quello dell’endoscopia nella fase
diagnostica, ma la minore invasività giustifica l’incremento del suo campo di
impiego alle situazioni in cui la colonscopia presenta rischi maggiori o in cui
l’accertamento istologico non sia necessario.
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma del colon-retto
nistrazione del mezzo di contrasto consente di migliorare la sensibilità e il potere diagnostico (sensibilità 80%, specificità 98%). L’ecografia epatica consente
l’effettuazione di ago-biopsie eco-guidate. Inoltre, ha una importante utilizzazione (con o senza mezzo di contrasto) nel corso degli interventi di metastasectomia epatica consentendo l’individuazione di metastasi occulte o non
evidenziate dalla TC preoperatoria.
Ecoendoscopia
Nella fase di stadiazione non ha un ruolo importante nei tumori del colon come
quello nei tumori del retto, tuttavia mantiene una certa importanza nel riconoscimento e nella caratterizzazione delle recidive per esempio dei tumori del
sigma o del colon ascendente.
TC torace e addominopelvica
E’ prevalentemente utilizzata per la valutazione dell’estensione loco- regionale
e della presenza di metastasi, mentre la sua accuratezza nella fase iniziale è
controversa. La TC multistrato consente di incrementare notevolmente la velocità di esecuzione e la risoluzione spaziale, tissutale e temporale. Queste caratteristiche, insieme all’indipendenza dall’operatore ed alla facile confrontabilità
la rendono la metodica di imaging più utilizzata sia nella stadiazione che nella
sorveglianza. La sensibilità è molto elevata per i noduli polmonari e l’accuratezza
nel riconoscimento delle metastasi epatiche è considerata la migliore oggi possibile per una singola metodica diagnostica.
Risonanza Magnetica
L’introduzione delle sequenze veloci e dei mezzi di contrasto epato-specifici ha
reso la RM complessivamente accurata quanto la TC multi-strato. La RM può
avere una maggiore accuratezza nella definizione dei rapporti delle metastasi
epatiche con alcune strutture (grossi vasi, ecc.) nel bilancio preoperatorio delle
metastasi epatiche. Può essere più accurata della TC nella valutazione delle
metastasi in fegato steatosico.
PET e PET-TC
Viene utilizzata per chiarire la natura di lesioni dubbie evidenziate da esami di
primo livello, oppure quando nel corso della sorveglianza si evidenzia un aumento del marcatore. Può essere utilizzata prima di una eventuale resezione
epatica per verificare l’assenza di metastasi extra-epatiche.
Scintigrafia ossea
Non è indicata nella fase di stadiazione in assenza di sintomi di riferimento.
•
Appropriatezza delle indicazioni della diagnostica per immagini
• Colonscopia
- Screening programmato/opportunistico (SOF/sintomi di allarme)
- Stadiazione iniziale
- Sorveglianza
- Condizioni ad alto rischio (IBD, sindromi genetiche, “imaging”)
- Dopo polipectomia/resezione endoscopica: 6/12 mesi, se negativa 3 anni
- Dopo resezione chirurgica
Requisiti tecnologici di eccellenza per la diagnostica endoscopica e per
immagini*
• Colonscopia
- Magnificazione di immagine
- Procedure codificate per la sedazione cosciente
- 700 colonscopie/anno
- Asportazione contestuale completa dei polipi > 5 mm
- Protocollo operatore/paziente dipendente di asportazione di polipi multipli (> 3)
- Possibilità di effettuare mucosectomia e dissezione endoscopica sottomucosa
• TC spirale multistrato
- Minimo 16 strati
- Post-processing per l’analisi volumetrica e di perfusione
• RM
- Bobine phased-array (>4 canali)
- Disponibilità di sequenze volumetriche e DWI
- Post-processing per l’analisi volumetrica, di diffusione e di perfusione
- >3 Tesla
• PET-TC
- Colon dx: dopo 1 e 3 anni e poi ogni 5 se negativa
- Colon sin: dopo 6 mesi e poi dopo 1, 3 e 5 anni se negativa
•
2.3 Diagnosi di estensione (Stadiazione)
Criteri di appropriatezza della fase diagnostica iniziale
• Riconoscimento dei sintomi di possibile patologia colo-rettale
• Accurato bilancio clinico di base
- Valutazione del rischio
- Esame obiettivo comprensivo di esplorazione digitale del retto
• Invio all’accertamento endoscopico
- Definizione e fruibilità delle modalità di accesso
- Tempistica non superiore a 2 settimane
In presenza di polipi, oltre alla diagnosi, la colonscopia consente il trattamento
Pagina
Per valutare l’estensione della neoplasia la moderna diagnostica per immagini
offre numerosi strumenti che si aggiungono agli esami radiologici più tradizionali come la radiografia del torace e l’ecografia epatica.
Rx torace
E’ utile nella valutazione pre-operatoria in mancanza della TC del torace
Ecografia epatica
E’ indispensabile nella stadiazione preoperatoria e nella sorveglianza dopo l’intervento. La sensibilità è piuttosto bassa nel riconoscimento delle metastasi
epatiche (53-77%) e varia anche in maniera operatore-dipendente. La sommi-
120
•
Colonscopia virtuale
- Stadiazione iniziale: solo in caso di colonscopia incompleta o non effettuabile
- Bilancio post-operatorio: solo in alternativa alla colonscopia, quando non
effettuabile
- Sorveglianza: come sopra
Ecografia addome
- Stadiazione iniziale
- Bilancio post-operatorio
- Sorveglianza e follow-up
- Valutazione della risposta alla terapia
Pagina
•
•
TC multistrato
- Stadiazione iniziale: opportuna, ma non indispensabile
- Bilancio post-operatorio: opportuna, ma non indispensabile
- Sorveglianza: in caso di presenza di metastasi, di sintomi o di aumento dei
marcatori
- Valutazione della risposta alla terapia
RMN
- Stadiazione iniziale: non indicata
- Sorveglianza: in caso di lesioni epatiche o pelviche dubbie
- Prima della resezione delle metastasi dopo chemioterapia
PET-TC
- Stadiazione iniziale: non indicata
- Bilancio prima della metastasectomia
- Sorveglianza: in caso di aumento non spiegato dei marcatori
Requisiti minimi per la colonscopia
• Spazi dedicati per l’attesa, lo spogliatoio, la sala endoscopica, la disinfezione
• Servizi igienici
• Procedure per il controllo dei rischi da gas anestetici
• Procedure di integrazione con l’istopatologia e la chirurgia
• Sistema di registrazione delle immagini
• Disponibilità di anestesista e carrello per le emergenze
• Disponibilità di attrezzatura per la polipectomia
Requisiti minimi per la diagnostica per immagini
• Completezza referto
- Diagnosi radiologica
• Ecografia
- Sonda convex addominale
• TC spirale multistrato
- Almeno 4 strati
• RM
- Campo magnetico di almeno 1.5 T
- Gradienti di campo di almeno 20mT/m
- Bobine phased-array
* Per ogni singola procedura sono essenziali tutti i requisiti)
121
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
3. Valutazione Anatomo-patologica e Biologia Molecolare
In linea generale dal punto di vista genetico-molecolare si distinguono due
principali modelli di cancerogenesi del cancro del colon. Il primo, più frequente, è caratterizzato da instabilità cromosomica e progredisce secondo
la sequenza adenoma-carcinoma, il secondo (circa il 15%) è caratterizzato
da instabilità dei micro-satelliti, conseguente a deficit del sistema di riparazione del DNA e della regolazione epigenetica.
Negli ultimi anni è stata dimostrata l’esistenza di un terzo modello di cancerogenesi caratterizzato da elevati livelli di metilazione del promoter di numerosi geni (oncosoppressori e BRAF) e da una sequenza che comprende il
cosiddetto adenoma serrato.
Gli adenomi vengono classificati in base all’istotipo ed al grado di displasia.
Secondo la classificazione WHO si distinguono tre tipi di adenoma: tubulare
(componente tubulare >80%), villoso (componente villosa >80%), tubulovilloso (entrambe le componenti presenti fra 20% e 80%). La displasia può
essere di basso grado e di alto grado in base alle alterazioni dell’architettura
ghiandolare e citologiche.
La classificazione WHO distingue i seguenti istotipi: adenocarcinoma (85%),
adenocarcinomi mucoidi (10%), carcinoma con cellule ad anello con castone,
carcinoma midollare, carcinoma indifferenziato, carcinoma a piccole cellule,
carcinoma adenosquamoso, carcinoma squamoso. In base alle caratteristiche delle ghiandole gli adenocarcinomi possono essere distinti in due o tre
gradi di differenziazione, anche se recentemente il sistema preferito è a due
classi: basso grado (>50% del tumore produce ghiandole) o alto grado
(<50% del tumore produce ghiandole).
Nel carcinoma del colon vengono prese in considerazione altre caratteristiche istopatologiche, in funzione di una possibile correlazione con il decorso
clinico e la prognosi: invasione perineurale e perivascolare, tipo di crescita,
grado di infiltrazione linfocitaria, presenza di aggregati nodulari linfocitari
peritumorali, numero di linfociti compenetranti le cellule neoplastiche, eccetera.
Lo stadio è il più importante fattore prognostico nel carcinoma del colon; si
raccomanda l’utilizzazione del sistema di classificazione UICC-TNM, alla cui
edizione del 2009 si rimanda. Il numero di linfonodi asportati chirurgicamente è correlato all’estensione della resezione del mesocolon e dell’intervento chirurgico; si è convenuto che meno di 12 linfonodi non rappresentino
una adeguata garanzia di radicalità chirurgica anche se non esiste un valore
soglia per una stadiazione adeguata.
Tuttavia, è stato dimostrato che un numero inferiore di linfonodi esaminati si
associa a una minore sopravvivenza. I casi con cellule tumorali isolate o in
piccoli aggregati di ≤0.2 mm (ITC) nei linfonodi sono classificati con pN0 sia
che l’identificazione avvenga mediante immunoistochimica che con metodiche molecolari.
La presenza di micro-metastasi (dimensioni comprese fra 0.2 e 2 mm) nei
linfonodi può essere indicata con l’aggiunta della sigla “mi”.
Nella descrizione del referto istopatologico in un carcinoma del colon devono essere indicati l’istotipo, il grado di differenziazione, il livello di infiltrazione, la distanza dai margini di resezione, il numero di linfonodi esaminati
e di linfonodi metastatici, la presenza o assenza di invasione vascolare.
Numerose osservazioni cliniche hanno recentemente evidenziato il ruolo predittivo e, forse, prognostico di alcuni pathway di segnale intracellulare e di
altri biomarcatori tissutali coinvolti nella cancerogenesi.
Un ruolo consolidato nella clinica ha lo stato mutazionale di KRAS e forse
anche di altri geni coinvolti nello stesso pathway di segnale intracellulare
Pagina
(BRAF, PI3K, PTEN). Inoltre, sembra che, non tanto l’espressione, quanto il
numero di copie del gene di EGFR determinato mediante FISH possa avere
ruolo predittivo. L’instabilità micro-satellitare, oltre a caratterizzare uno dei
modelli di cancerogenesi, sembra essere non solo un fattore prognostico,
ma anche un fattore predittivo sfavorevole di risposta al 5-fluorouracile nella
terapia adiuvante.
Non è questo il contesto per parlare delle metodiche di determinazione di
tali biomarcatori tissutali, che si distinguono anche per la diversa sensibilità.
Per quanto riguarda il KRAS, che attualmente è il biomarcatore tissutale più
importante, esistono linee-guida emanate congiuntamente dalla SIAPEC e
dall’AIOM a cui si deve fare riferimento.
Le metodologie, comunque, richiedono strumentazioni ed “expertise” particolari, che non sono tuttavia sufficienti a garantire la riproducibilità del test
e gli operatori devono quindi aderire a programmi di controllo reciproco di
qualità.
La possibilità che un laboratorio di istopatologia possa ricorrere ad analisi del
DNA per l’identificazione di biomarcatori tissutali avvalora la necessità che
nel consenso informato prima di ogni campionamento sia bioptico che operatorio sia incluso un riferimento al tipo di esame istologico che verrà effettuato e alla durata della conservazione del campione tissutale.
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma del colon-retto
La diffusione negli ultimi 15 anni dei trattamenti integrati medico-chirurgici,
in particolare in presenza di malattia con metastasi solo epatiche o polmonari o con metastasi discrete in due o tre sedi metastatiche pone all’istopatologo ulteriori quesiti concernenti la valutazione della risposta e
dell’eventuale danno da farmaci.
Le principali lesioni epatiche associate alla terapia medica delle metastasi
epatiche da cancro del colon sono la steatoepatite e la dilatazione sinusoidale che presenta molte analogie con la malattia veno-occlusiva.
Tali lesioni probabilmente non influenzano significativamente la mortalità e
la morbilità post-operatoria, ma in alcuni casi possono giustificare alterazioni ematologiche (per esempio piastrinopenia) che precludono ulteriori trattamenti oncologici.
Per quanto riguarda la risposta alla terapia medica è necessario distinguere
il grado di necrosi delle metastasi e l’entità e la disposizione del tumore residuo. In relazione alla radicalità della resezione chirurgica delle metastasi
epatiche oggi si ritiene che il margine di sicurezza debba essere almeno di
0.5 cm.
Requisiti minimi per l’istopatologia
• Presenza di una Unità di Istopatologia nella struttura dove viene effettuata la procedura endoscopica o chirurgica
• Possibilità di effettuare un esame istologico estemporaneo
• Tempo di risposta dell’esame istologico tradizionale non superiore a 2
settimane
• Completezza del referto istologico tradizionale secondo quanto indicato
nei criteri di appropriatezza
• Accuratezza del referto relativo alle metastasi epatiche
- Numero e sede
- Percentuale di necrosi
- Studio dei margini di resezione chirurgica
- Caratteristiche e disposizione del tumore residuo
- Caratteristiche del fegato non interessato da tumore
122
(* Requisiti essenziali)
4. Terapia chirurgica
4.1 Terapia endoscopica
Criteri di appropriatezza dell’Anatomia Patologica
• Aderenza alla classificazione WHO
- Adenomi
• Architettura, displasia, livello di infiltrazione, embolizzazione linfatica o
venosa, margine di resezione, rapporto tessuto adenomatoso/carcinomatoso, “budding” tumorale
- Adenocarcinomi
• Descrizione chiara e dettagliata del referto
- Descrizione macroscopica
- Istotipo e grado di differenziazione
- Livello di infiltrazione
- Distanza dai margini di resezione
- Numero di linfonodi interessati e di linfonodi metastatici
- Presenza o meno di invasione vascolare
• Stadiazione secondo UICC-TNM 2009
• Indicazione nel foglio informativo della possibilità che sul campione istologico venga una analisi del DNA
Requisiti di eccellenza per l’Istopatologia
• Referto dell’esame istologico standard in meno di 2 settimane*
• Presenza di un Laboratorio di Biologia Molecolare nell’Unità di Istopatologia*
• Possibilità di effettuare analisi molecolari*
- Stato mutazionale di KRAS con metodica standard*
- Possibilità di utilizzare metodiche alternative per KRAS
- Stato mutazionale di altri codoni di KRAS
- Possibilità di analizzare altri geni del pathway di EGFR
- Possibilità di effettuare altre analisi molecolari
• Validazione della valutazione di KRAS secondo indicazioni AIOM-SIAPEC*
• Volume di determinazioni dello stato mutazione di KRAS: >30 all’anno*
• Referto dell’analisi mutazionale di KRAS entro due settimane*
• Formulazione del referto di biologia secondo indicazioni AIOM-SIAPEC*
• Descrizione del metodo
- Chiarezza e completezza, evitando formule equivoche
Attraverso le tecniche di polipectomia o di mucosectomia è possibile resecare neoformazioni peduncolate, sessili o piatte in un unico frammento o,
anche, in più frammenti, purchè possano essere tutti recuperati per l’esame
istopatologico. Un adenoma con cancerizzazione iniziale confinata entro la
muscolaris mucosae (pTis) viene considerato come un adenoma con displasia con alto grado, condizione che non si configura come invasiva ed esente
da disseminazione neoplastica per la quale la resezione endoscopica è appropriata. L’adenoma con focolaio di cancerizzazione che supera la muscolaris mucosae ed infiltra la sottomucosa (pT1) è considerato inizialmente
infiltrante e dotato di potenzialità metastatica.
In questo caso la resezione endoscopica può essere considerata oncologicamente sufficiente solo quando si verificano alcune condizioni: completezza
dell’asportazione con margine di resezione di almeno 1 mm per i polipi peduncolati o infiltrazione della sottomucosa entro 1000 micron per le forme
sessili, grading 1-2, assenza di invasione linfatica o vascolare della sottomucosa.
In mancanza anche di una sola di queste condizioni il paziente dovrebbe essere indirizzato all’intervento; è importante in questi casi la marcatura della
sede della lesione asportata endoscopicamente.
Indicatori istopatologici di appropriatezza della resezione endoscopica*
• Asportazione completa della lesione (o recupero di tutti i frammenti)
• Margine di resezione di almeno 1 cm
• Livello di infiltrazione della sottomucosa entro 1000 micron (nelle lesioni
sessili o piatte)
• Grado 1-2 di differenziazione
• Assenza di invasione linfatica o vascolare della sottomucosa
• Prevalenza quantitativa del tessuto adenomatoso rispetto a quello carcinomatoso
(* Gli elementi indicati devono essere tutti presenti)
Poichè il rischio di recidiva o di malattia residua o di metastasi linfonodali è
differente a seconda dell’indicatore mancante, in alcune situazioni cliniche
Pagina
(soggetti anziani, comorbidità importante, disponibilità del paziente a sottoporsi all’intervento chirurgico o a controllo endoscopico periodico) la decisione terapeutica può essere oggetto di una valutazione multidisciplinare.
4.2 Chirurgia
La chirurgia rappresenta la principale opzione terapeutica con intento curativo nelle neoplasie del colon e dovrebbe essere effettuata in tempi ragionevolmente brevi. Il tempo di attesa fra diagnosi e ricovero per l’intervento non
dovrebbe superare le 4 settimane e il ricovero dovrebbe avvenire subito
prima dell’intervento. E’ quindi da favorire la preospedalizzazione al fine di
effettuare le valutazioni preliminari all’intervento.
Prima dell’intervento deve essere effettuata una preparazione intestinale
meccanica, salvo nei casi di occlusione. In assenza di specifiche controindicazioni si raccomanda di utilizzare l’eparina a basso peso molecolare come
profilassi della trombosi venosa profonda e dell’embolia polmonare. La profilassi antibiotica consente di ridurre le infezioni nel sito chirurgico; si raccomanda l’uso prima dell’intervento di una cefalosporina di I o II generazione,
da proseguire per 1-3 giorni in funzione dell’entità della contaminazione dell’intervento. Nel caso di interventi che prevedano una stomia, è necessaria
un’adeguata informazione e il sito della stomia deve essere marcato sulla
cute prima dell’intervento. Tutti i pazienti devono essere informati della possibilità di una eventuale emotrasfusione, che deve essere effettuata quando
le condizioni cliniche la rendono necessaria.
La degenza post-operatoria non dovrebbe superare gli 11-15 gg.
Requisiti minimi di appropriatezza della gestione clinica del ricovero
per l’intervento chirurgico*
• Durata del ricovero: <20 giorni
• Preparazione intestinale meccanica
• Informazione
- Foglio informativo dettagliato
- Possibilità o necessità di una stomia
123
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
•
•
•
•
•
•
•
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Preparazione per eventuale stomia prima dell’intervento
Esistenza di indicazioni per la prevenzione delle complicanze
- Pazienti sottoposti a profilassi della TVP: >80%
- Pazienti sottoposti ad antibiotico-profilassi: >80%
Direttive per la sicurezza in sala operatoria
Controllo preventivo del dolore post-operatorio: >90%
Risorse per la gestione delle perdite ematiche
Possibilità di consulenza oncologica (almeno due giorni alla settimana)
Supporto
- Personale di riferimento per la gestione delle stomie
- Possibilità di consulenza nutrizionale o autonomia gestionale
* I requisiti devono essere tutti presenti
Requisiti di eccellenza per la gestione clinica del ricovero per l’intervento chirurgico
• Durata del ricovero*
- Preintervento: < 3 giorni
- Post-intervento: < 15 giorni
• Linee-guida*
- Profilassi della TVP e dell’EP
- Antibioticoprofilassi
- Uso corretto delle trasfusioni
- Trattamento del dolore post-operatorio
- Sicurezza in sala operatoria
• Predeposito sangue*
• Team multidisciplinare costituito
• Supporto
- Centro specializzato per la gestione delle stomie
* Requisiti necessari
Chirurgia negli stadi pT1-4 pN0-2 M0
L’obiettivo della terapia chirurgica delle neoplasie del colon è l’exeresi del
segmento di grosso intestino sede del tumore con adeguati margini liberi
associata all’asportazione completa delle rispettive stazioni linfonodali regionali. Ciò comporta che i tumori del colon debbano essere trattati da chirurghi con adeguato “training” ed esperienza e che debbano essere rispettati
alcuni principi generali. Il tumore deve essere rimosso integro con margine
prossimale e distale di almeno 5 cm. Il peduncolo vascolare deve essere legato alla sua origine; questo non rappresenta un problema per i vasi ileo colici, colici destri e medi nelle resezioni del colon prossimale, ma nel caso dei
tumori del colon distale la legatura dell’arteria mesenterica inferiore all’origine, prima dell’origine della colica sin, può determinare un deficit di vascolarizzazione del moncone colico prossimale, e deve quindi essere sezionata
a 1.5-2 cm dall’origine. Il livello della sezione del peduncolo vascolare condiziona anche il volume della linfoadenectomia, che – a sua volta – ha importanti implicazioni prognostiche e terapeutiche. Per quanto non vi sia
unanimità di vedute, si ritiene che sia adeguato un campione di almeno 12
linfonodi, anche se alcuni studi suggeriscono un incremento della sopravvivenza con l’aumento dei linfonodi asportati. In circa il 3-5% dei casi vi può
essere un interessamento degli organi adiacenti, che devono essere resecati
in blocco in quanto la mortalità e il tasso di recidiva sono maggiori quando
non viene effettuata la resezione in blocco. Analogamente quando vi sia una
perforazione della neoplasia, spontanea o involontaria, l’intervento è considerato non radicale. La radicalità delle resezione deve essere confermata
sia dal giudizio intraoperatorio che dal successivo esame istologico; a tal
fine eventuali lesioni sospette per residuo o metastasi devono essere sottoposte a biopsia. La mortalità operatoria globale è inferiore al 4%.
Pagina
Appropriatezza della tecnica chirurgica
• Emicolectomia destra
- Legatura dell’arteria ileo-colica, della colica dx e del ramo dx della colica media
• Emicolectomia destra allargata al trasverso
- Legatura dell’arteria ileo-colica, della colica dx, dei vasi colici medi
• Trasversectomia o resezione segmentaria del trasverso
- Legatura del ramo superiore della colica dx e della colica media
• Emicolectomia sinistra
- Legatura all’emergenza della colica sinistra oppure della mesenterica
inferiore a 1.5-2 cm dall’origine
• Sigmoidectomia
- Legatura dell’arteria mesenterica inferiore oppure dell’emorroidaria
superiore
• Colectomia totale
- In caso di tumori sincroni multipli o di tumori associati a poliposi diffusa
Criteri di appropriatezza della chirurgia sul tumore del colon
• Margini di resezione adeguati
- 5 cm
• Legatura dei vasi colici principali all’origine
- Cautela nella legatura della arteria mesenterica inferiore
• Adeguata dissezione linfonodale
- 12 o più linfonodi
• Resezione in blocco
• Integrità del tumore
Nel carcinoma del colon la chirurgia laparoscopica rappresenta una corretta
alternativa ala chirurgia laparotomica, in particolare per i tumori del colon sinistro, con risultati simili in termini di recidive e sopravvivenza a 3 anni e
vantaggi per quanto concerne il dolore post-operatorio, la ripresa dell’alimentazione e delle normali attività quotidiane. L’esperienza del centro e la
curva di apprendimento del chirurgo rappresentano tuttavia i principali limiti
di questa metodica, né bisogna dimenticare che per i tumori del colon destro i benefici sono meno evidenti e che nella maggior parte degli studi clinici di confronto con la tecnica laparotomica sono stati di volta in volta esclusi
i pazienti obesi od occlusi, precedentemente operati, con tumori multipli o affioranti alla sierosa o localizzati al colon trasverso.
La deiscenza dell’anastomosi è la principale fonte di morbilità operatoria, indipendente dalla modalità meccanica o manuale della sutura, ed è riportata
nel 2-4% delle resezioni coliche con una mortalità del 20-23%.
Requisiti minimi per la chirurgia del tumore del colon
• Aderenza ai criteri di appropriatezza ≥90%
• Aderenza ai principi di tecnica chirurgica: 100%
• Appropriato addestramento ed adeguata esperienza
• Registrazione dei dati
- Descrizione dei componenti dell’équipe
- ASA del paziente, classe di contaminazione dell’intervento
• Descrizione dell’intervento
- Reperti
- Tecnica operatoria
- Valutazione della radicalità macroscopica dell’intervento
Un accenno a parte deve essere fatto per la chirurgia in regime di urgenza.
Nel cancro del colon la più comune emergenza è rappresentata dall’occlusione (11-16% dei casi), mentre emorragia non controllabile e perforazione
sono meno comuni. Nella chirurgia d’urgenza la mortalità operatoria è mag-
124
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma del colon-retto
giore rispetto alla chirurgia in elezione (19-20% versus 5-6%) e la sopravvivenza a 5 anni peggiore. Si calcola che il 75% delle morti post-operatorie
riguarda i pazienti operati in regime d’urgenza. Per questo ogni sforzo deve
essere compiuto per ricondurre il paziente in condizioni ottimali all’intervento
in elezione con un chirurgo ed una “equipe” esperta, con le ovvie eccezioni
delle perforazioni e delle occlusioni con dilatazione eccessiva del cieco. In alcune circostanze l’inserimento di una endoprotesi per via endoscopica da
parte di un endoscopista esperto o un trattamento laser endoscopico può
consentire di risolvere temporaneamente la stenosi e portare il paziente all’intervento in elezione. In emergenza il tipo di intervento nelle neoplasie del
colon di destra è l’emicolectomia, come nella chirurgia di elezione, mentre
nelle lesioni del colon sinistro può essere considerata la possibilità di un intervento in due tempi con confezionamento di una stomia temporanea, ma
solo come scelta derivante dalla valutazione della situazione clinica, non
come conseguenza di un difetto di esperienza del chirurgo.
Requisiti Minimi di appropriatezza per la chirurgia d’urgenza
• Adeguata valutazione delle reali condizioni di emergenza
- Posporre quando possibile l’intervento in elezione
- Ottimizzare le condizioni cliniche prima dell’intervento
• Adeguatezza dell’intervento chirurgico
- Resezione con anastomosi ileo-colica nelle lesioni di dx
- Resezione del tumore nelle lesioni di sinistra
• Ricostruzione con intervento di Hartmann
• Anastomosi con eventuale stomia di protezione
La qualità della chirurgia in termini di risultati può essere valutata sulla base
di alcuni indicatori, in cui l’esperienza e l’addestramento del chirurgo da un
lato e l’accuratezza dall’altro hanno un ruolo indiscutibile. La mortalità operatoria varia in base alle condizioni in cui si svolge l’intervento ed al tipo di
intervento. Valori accettabili dovrebbero essere contenuti entro il 5% per la
chirurgia di elezione e il 20% per quella di emergenza. La percentuale di reinterventi e di recidive locali dovrebbe essere inferiore al 2% e al 10%, rispettivamente.
La sopravvivenza a lungo termine non dovrebbe discostarsi per i diversi stadi
da quella dei registri nazionali. Anche se non è possibile specificare il numero
minimo di interventi/anno, dati recenti indicano che la mortalità e le recidive
sono più elevate per gli operatori che eseguano un numero ridotto di interventi all’anno e – a parità di esperienza dell’operatore – i risultati tendono ad
essere migliori negli ospedali che trattano un elevato numero di pazienti. La
valutazione dell’accuratezza dell’intervento non può prescindere dalla corretta registrazione dei dati operatori, che è indispensabile sia ai fini epidemiologici e di ricerca, ma anche per la corretta pianificazione dei trattamenti
successivi.
Gli indicatori di qualità dovrebbero essere oggetto di analisi ai fini della definizione di eccellenza del singolo centro e/o dei singoli chirurghi.
Requisiti di eccellenza per la chirurgia del tumore del colon
• Volume operatorio del chirurgo e del centro superiore alla media regionale
• Curva di apprendimento e addestramento che consentono interventi in
laparoscopia
• Presenza di risorse per trattamento endoscopico delle ostruzioni neoplastiche
• Mortalità
- Elezione <5%
- Urgenza <20%
• Deiscenze <4%
Pagina
•
•
•
Reinterventi
- <2%
Recidive
- <10%
Sopravvivenza
- In linea con i registri nazionali
Chirurgia nella malattia metastatica
Nel cancro del colon la presenza di metastasi non costituisce una condizione
che preclude la possibilità di intervento chirurgico con intento di radicalità.
Le sedi metastatiche che possono essere suscettibili di resezione radicale
sono il fegato, il polmone, l’ovaio e – entro certi limiti – il peritoneo e i linfonodi addominali.
E’ necessario distinguere innanzitutto se la diagnosi di malattia avanzata
viene effettuata alla laparotomia o nell’ambito della valutazione pre-operatoria. Nel primo caso appare appropriata la resezione del tumore primario o
almeno un intervento palliativo, associato o meno alla resezione della metastasi, se possibile. Nel secondo caso occorre distinguere differenti scenari:
a) malattia che non sarà mai resecabile in maniera radicale; b) metastasi
epatiche (e/o polmonari) che potrebbero diventare resecabili; c) metastasi
epatiche (e/o polmonari) operabili.
Nel caso di malattia plurimetastatica, mai resecabile, l’intervento chirurgico
deve essere effettuato in presenza di chiari sintomi di occlusione o di perforazione o emorragia in atto. In tutte le altre circostanze è necessario un attento bilancio clinico, ma in linea generale la priorità spetta alla terapia
sistemica, mentre l’intervento – a seconda dell’evoluzione – può essere posposto o addirittura evitato.
Nel caso di metastasi che potrebbero diventare resecabili dopo adeguato
trattamento medico, in assenza di sintomi di imminente occlusione o di perforazione, la tempistica dell’intervento chirurgico deve essere valutata nell’ambito di un gruppo multidisciplinare, che comprenda – fra gli altri – il
chirurgo addominale, il chirurgo epatobiliare, l’oncologo medico, il radiologo,
il radiologo interventista, l’istopatologo. In linea generale, in caso di conversione all’operabilità con la terapia medica, il successivo intervento chirurgico
deve consentire la resezione del tumore primario e delle metastasi epatiche
(e/o polmonari), in uno o due tempi.
I progressi nella chirurgia epatobiliare degli ultimi anni hanno ampliato i criteri di resecabilità anatomica delle metastasi epatiche; attualmente le metastasi epatiche vengono ritenute operabili se è possibile una resezione R0,
se possono essere preservati due segmenti epatici contigui, se può essere
risparmiato il 20-30% di fegato. Il limite di questi criteri di resecabilità risiede principalmente nell’assenza di indicatori della biologia più o meno aggressiva della neoplasia. Anche per questo motivo, per quanto non vi siano
chiare evidenze sull’efficacia della terapia medica post-operatoria, la tendenza generale è quella di completare il programma terapeutico con una ulteriore terapia medica post-operatoria, utilizzando la stessa combinazione
della fase di induzione.
Quando le metastasi sono resecabili, sono possibili due strategie. L’intervento chirurgico contestuale sul tumore primario e sulla metastasi è l’approccio da privilegiare in caso di metastasi epatica singola resecabile, sia
essa metacrona o anche sincrona, se l’operatore ha le competenze e l’esperienza adeguate per effettuare la resezione epatica. In tutti gli altri casi, è
possibile optare per una terapia medica perioperatoria o per l’intervento chirurgico.
Nel caso in cui non venga effettuata una terapia perioperatoria, un trattamento medico adiuvante viene in genere consigliato, anche se le evidenze
in tale direzione sono piuttosto modeste.
125
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Criteri di appropriatezza della chirurgia nella malattia metastatica
• Malattia plurimetastatica, definitivamente non resecabile con radicalità
- Occlusione, perforazione, emorragia in atto
- Resezione del tumore primario o intervento palliativo
- Assenza di sintomi critici
- Valutazione delle priorità cliniche nel gruppo multidisciplinare
- Pospsosizione o esclusione dell’intervento
• Malattia metastatica, potenzialmente resecabile
- Valutazione in gruppo multidisciplinare
- Terapia di conversione
- Intervento sul tumore primario contestuale all’intervento sulle metastasi epatiche
• Malattia metastatica resecabile
- Valutazione in gruppo multidisciplinare
- Metastasi epatica singola
- Intervento su tumore primario e metastasi
- Metastasi epatiche multiple
- Terapia perioperatoria o intervento chirurgico
- Metastasi polmonari
- Intervento chirurgico dopo l’intervento sul tumore primario e/o metastasi epatica/che
La possibilità di trattare chirurgicamente le metastasi di cancro del colon richiede quindi una costante interazione di molteplici competenze, diagnostiche e terapeutiche, e la presenza di risorse aggiuntive e qualificanti, come
una chirurgia epatobiliare e toracica dedicata, la disponibilità di una terapia
intensiva post-operatoria ed una specifica competenza oncologica. Ne deriva
che solo i centri che possiedano le competenze e l’organizzazione multidisciplinare necessarie possono essere qualificati per l’eccellenza nel trattamento della malattia metastatica. Si rimanda al paragrafo sulla terapia delle
metastasi epatiche per la definizione in dettaglio dei criteri di eccellenza.
5. Terapia medica
La terapia medica oncologica è frequentemente utilizzata nel cancro del
colon. Gli obiettivi sono differenti nelle diverse situazioni cliniche.
Uso e Obiettivi della terapia medica oncologica nel cancro del colon
• Fase post-resezione del tumore primario e/o della metastasi
- Miglioramento della sopravvivenza globale
- Miglioramento dell’intervello libero da malattia
• Malattia avanzata resecabile
- Prolungamento della sopravvivenza
- Riduzione della mortalità cancro-specifica
- Miglioramento dell’intervallo libero da malattia
• Malattia avanzata potenzialmente resecabile
- Conversione alla resecabilità
- Prolungamento della sopravvivenza globale
- Riduzione della mortalità cancro-specifica
- Controllo dei sintomi
- Miglioramento della sopravvivenza libera da progressione
• Malattia avanzata non resecabile
- Prolungamento della sopravvivenza globale
- Controllo dei sintomi
- Ritardo della progressione
- Miglioramento della qualità di vita
• Malattia avanzata pretrattata
- Controllo dei sintomi
- Miglioramento della qualità di vita
- Ritardo della progressione
- Prolungamento della sopravvivenza globale
5.1 Terapia adiuvante
Numerosi studi hanno dimostrato che nei pazienti con carcinoma del colon allo
stadio III la terapia medica post-operatoria migliora la sopravvivenza globale
e la sopravvivenza libera da malattia. Il vantaggio è maggiore con la terapia
di combinazione comprendente una fluoro-pirimidina e l’oxaliplatino (schemi
FOLFOX, XELOX e FLOX). La fluoropirimidina da sola in questo stadio può es-
Pagina
sere utilizzata quando vi siano controindicazioni all’uso dell’oxaliplatino per comorbidità, fragilità, problematiche professionali, eccetera. L’età di per se non
costituisce una controindicazione all’oxaliplatino, anche se la percentuale di
pazienti di età superiore a 75 anni, inseriti negli studi clinici, è molto bassa.
Per quanto riguarda i pazienti allo stadio II le indicazioni sono più confuse
anche perché non esistono studi clinici di dimensioni sufficientemente ampie
per dimostrare un beneficio statisticamente significativo in una categoria di
pazienti con una prognosi già abbastanza buona con il solo intervento chirurgico. Le indicazioni derivano da meta-analisi o da valutazioni retrospettive
di sotto-gruppi o da pareri di esperti. Esiste un consenso che nello stadio II la
terapia adiuvante non abbia indicazione in linea generale. Vi sono tuttavia dei
sottogruppi, a maggior rischio di recidiva per motivi clinici, istopatologici, biologici, in cui la terapia post-operatoria può essere consigliabile. Le condizioni
di maggior rischio sono diverse: età <50 anni, stadio pT4, esordio con occlusione o perforazione, basso numero di linfonodi esaminati (<12), invasione
vascolare o linfatica o perineurale, stato dei micro-satelliti, eccetera. Il peso
di ognuno di questi fattori non è ben chiaro, tuttavia ognuno di essi può avere
un impatto prognostico sfavorevole e, specialmente se è presente più di un
fattore, il rischio di recidiva diventa uguale o superiore a quello dello stadio III
e giustifica quindi un trattamento adiuvante. I criteri di scelta della terapia
adiuvante sono gli stessi indicati per lo stadio III. Il ruolo della chemioterapia
adiuvante nell’anziano è controverso e sembrerebbe che i regimi di combinazione potrebbero essere associati ad un incremento di effetti tossici. Pur non
esistendo dati certi in merito, è consigliabile una maggiore cautela nella scelta
e nella effettuazione del trattamento nei soggetti molto anziani specialmente
se le loro condizioni psicofisiche non sono ottimali.
Criteri di appropriatezza della terapia adiuvante
• Timing di inizio: <8 settimane dall’intervento chirurgico
• Aderenza a linee-guida
- Fluoropirimidina + Oxaliplatino nello stadio III e II a rischio
- Fluoropirimidina da sola in caso di controindicazione all’oxaliplatino
• Durata complessiva della terapia: 5-7 mesi
• Risosrse per il trattamento delle complicanze
- PS e/o degenza
126
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma del colon-retto
5.2 Terapia della malattia metastatica
Negli ultimi anni la prognosi del carcinoma del colon in fase metastatica, pur
rimanendo spesso infausta, è andata incontro a significativi miglioramenti,
grazie all’introduzione di nuovi farmaci, sia citotossici che biologici, e allo
sviluppo della strategia terapeutica. L’incremento globale della sopravvivenza
è sostenuto dalla possibilità di effettuare più linee di trattamento con farmaci o combinazioni di farmaci che possono presentare una parziale resistenza crociata.
Il concetto di “linee di terapia” successive, tuttavia, è piuttosto riduttivo rispetto alla strategia globale della continuità terapeutica che prevede una
pianificazione a priori di un programma terapeutico flessibile, che oltre alle
rigide linee terapeutiche preveda anche fasi di terapia di mantenimento o di
interruzione programmata, ma anche la possibilità di “re-challenge” con farmaci utilizzati precedentemente.
Il razionale biologico del “continuum of care” risiede nella eterogeneità dei
cloni neoplastici, nella loro differente sensibilità ai farmaci e nella loro diversa velocità e cronologia di accrescimento. Nell’ottica di una rete oncologica questo implica la necessità che tutti i pazienti possano accedere a centri
forniti di tutte le risorse necessarie o – almeno – che esistano percorsi terapeutici condivisi e accessibili.
I farmaci attivi nella malattia metastatica sono le fluoropirimidine, l’irinotecano, l’oxaliplatino, gli anticorpi monoclonali anti-VEGF (bevacizumab) e antiEGFR (cetuximab e panitumumab).
In linea generale le combinazioni di farmaci sono più efficaci (ma anche più
tossiche) rispetto ai farmaci singoli e l’aggiunta di un farmaco biologico migliora molti parametri di efficacia. La potenziale tossicità è una criticità da
tener presente in qualunque contesto si faccia ricorso alla terapia antineoplastica, perchè non infrequentemente può essere grave o addirittura a rischio di mortalità.
Effetti collaterali gravi possono manifestarsi con maggior frequenza nei trattamenti protratti e più complessi, ma anche nella terapia adiuvante o - in
rari casi di deficit degli enzimi deputati al metabolismo delle fluoro-pirimidine
- dopo la prima somministrazione di trattamenti teoricamente poco invasivi.
La pratica della terapia antineoplastica non può essere disgiunta dalla capacità di gestire i possibili eventi avversi, ma anche di farsi carico del ricovero in caso di tossicità gravi.
La numerosità delle opzioni terapeutiche, la mancanza di una ampia gamma
di confronti diretti fra le diverse combinazioni terapeutiche e l’incompleta conoscenza dei fattori predittivi e prognostici impone un accurato bilancio non
solo dello stato della malattia, ma anche delle caratteristiche del paziente e
della biologia tumorale in ogni momento decisionale.
La rete oncologica deve favorire la possibilità che le analisi biomolecolari e
farmacogenetiche, che sempre più stanno modificando la strategia dell’approccio terapeutico, siano già disponibili per tutti i pazienti al momento in
cui sono necessarie e deve prevenire il rischio di scelte inappropriate o di ritardi terapeutici, dovuti alla mancanza dei dati biologici.
Alcuni di questi elementi sono ormai entrati nella pratica terapeutica corrente, ma la ricerca in questo campo è molto attiva e promettente.
Senza entrare nello specifico, si possono fare alcune affermazioni di carattere generale che sono alla base dell’appropriatezza delle scelte terapeutiche:
• i bisogni del paziente e gli obiettivi razionalmente raggiungibili devono
essere alla base delle decisioni cliniche
• la posticipazione del trattamento alla comparsa dei sintomi non è vantaggiosa
• nonostante la politerapia sia superiore rispetto alla monoterapia, esistono situazioni cliniche (malattia multimetastica indolente, pazienti an-
Pagina
ziani fragili, malattia indolente asintomatica, ecc.), peraltro non sempre
facilmente identificabili, in cui la monoterapia sequenziale può ancora
essere considerata.
Non vi sono, però, preclusioni di principio per quanto riguarda la terapia
di combinazione nei confronti dei pazienti anziani in buone condizioni
psico-fisiche
• le fluoro-pirimidine orali, in particolare la capecitabina, possono sostituire
il 5-fluorouracile per via endovenosa sia in monoterapia che nelle combinazioni, ad eccezione – probabilmente – della combinazione con irinotecano, che spesso è associata ad un incremento di effetti collaterali
• la combinazione di tutti e tre i farmaci citotossici (5-fluorouracile, irinotecano e oxaliplatino) è più efficace rispetto alla combinazione di due
farmaci, ma si associa ad un moderato incremento di tossicità
• prima dell’inizio del trattamento devono essere disponibili tutte le informazioni cliniche, istopatologiche e biologiche necessarie
• l’aggiunta di bevacizumab alla chemioterapia migliora i risultati in maniera più o meno clinicamente significativa sia in prima linea che, limitatamente alle combinazioni con oxaliplatino, anche in seconda linea.
• l’aggiunta di Cetuximab ad una doppietta di farmaci citotossici migliora
l’efficacia nei pazienti con K-RAS wild-type
• gli anticorpi monoclonali anti-EGFR possono essere efficaci anche da
soli nei pazienti K-RAS wild type in qualunque linea di trattamento
• i dati disponibili escludono la possibilità di utilizzare contemporaneamente il bevacizumab ed un anticorpo anti-EGFR
• la scelta del trattamento deve in ogni momento ed in ogni situazione
tener conto degli obiettivi che si possono raggiungere nel singolo paziente e delle caratteristiche e disposizione caratteriale del paziente
stesso: conversione alla resecabilità, prolungamento della sopravvivenza,
controllo dei sintomi, eccetera
• esistono molte osservazioni che convergono a suggerire che possa essere utile, almeno in termini di qualità di vita, intercalare trattamenti più
intensi a trattamenti meno intensi o anche effettuare interruzioni programmate di un trattamento anche quando si stia dimostrando efficace.
• nei pazienti, che - nonostante la progressione di malattia dopo il primo
trattamento - mantengono buone condizioni generali, deve essere presa
in considerazione una terapia di seconda linea
In un buon numero di casi può anche essere ipotizzato un trattamento
di terza linea.
La complessità e la costante evoluzione delle scelte terapeutiche implica la
necessità di un continuo aggiornamento del bagaglio culturale.
Sintesi dei principali criteri di appropriatezza nella terapia della malattia avanzata
• Centralità del paziente e dei suoi bisogni
• Possibilità di impianto e corretta gestione del CVC
• Applicazione delle linee-guida derivanti dagli studi clinici
• Discostamento rilevante dalle linee-guida solo per consistenti motivazioni cliniche
• Disponibilità o facilità di accesso alle indagini biologiche e farmaco-genetiche necessarie
• Capacità di gestione di trattamenti complessi
• Trattamento appropriato dei pazienti fragili
• Possibilità di gestione degli eventi avversi e delle complicanze
- PS e/o degenza
• Effettuazione di seconde e terze linee di trattamento nei pazienti idonei
• Partecipazione a studi clinici tesi a migliorare o a innovare la pratica clinica
127
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
5.3 Fattori predittivi
zioni dell’espressione genetica di una serie enzimi coinvolti nel metabolismo
dei farmaci utilizzati nel trattamento del carcinoma del colon possono avere
una estrema rilevanza sia nella risposta che nella tossicità. Questo vale in
particolare per la DPD che è correlata alla tossicità delle fluoro pirimidine, ma
non è ancora entrata nell’uso corrente.
Nell’ottica della rete oncologica almeno lo stato mutazionale del K-RAS deve
essere disponibile al momento in cui è necessario e cioè, allo stato attuale
delle conoscenze, al momento del trattamento della malattia avanzata. In
una corretta valutazione costo-benefici probabilmente non è appropriato effettuare tale test in tutti i pazienti, ma deve essere effettuato in tutti i pazienti con malattia metastatica e, probabilmente, in tutti i pazienti
radicalmente operati, ma a rischio più elevato di recidiva. Inoltre, l’accesso
ai centri di riferimento in grado di effettuare questa, come altre determinazioni biologiche potenzialmente utili, deve essere garantito a tutti i pazienti
e quindi devono essere previste le modalità di accesso a tali centri e le relative facilitazioni.
Il progresso delle conoscenze biologiche e la disponibilità di farmaci biologici con un bersaglio molecolare più o meno rilevante nel processo cancerogenetico ha aperto un nuovo vasto campo di ricerca volto a identificare
fattori misurabili in grado di consentire la selezione dei pazienti potenzialmente responsivi. Parallelamente si sta sviluppando anche la ricerca di fattori in grado di predire la prognosi, che non ha un impatto immediato sulla
scelta terapeutica, ma può consentire di identificare futuri bersagli terapeutici e, comunque, ha un impatto sulla strategia terapeutica generale.
Lo stato mutazionale del K-RAS è il fattore predittivo di resistenza agli anticorpi anti-EGFR sinora identificato, che ha la maggiore importanza nella terapia. Oltre al K-RAS altri fattori molecolari sono in corso di valutazione
nell’ambito dello stesso “pathway” di EGFR e almeno uno di questi, il B-RAF,
sembrerebbe poter svolgere un ruolo prognostico. Al di fuori di tale “pathway” sono oggetto di studio intenso lo stato dei micro-satelliti e lo stato
mutazionale di geni coinvolti nell’angiogenesi, senza dimenticare che varia-
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma del colon-retto
di 6-8 mesi di trattamento medico comprendendo sia la fase pre- che postoperatoria. Certamente l’aspetto più cruciale e indispensabile della terapia integrata della malattia metastatica è la presenza di un “team”
multidisciplinare che comprenda almeno chirurgo/i dedicato/i, oncologo, radiologo e, all’occorrenza, altre figura professionali come il radiologo interventista, il radioterapista, lo psicologo.
Criteri di appropriatezza della terapia integrata della malattia metastatica
• Valutazione multidisciplinare
• Equipé chirurgica dedicata Possibilità di gestire eventi avveersi
• Terapia intensiva post-operatoria
• Terapia di conversione
•
•
•
•
- Doppietta o tripletta di farmaci citotossici
- Possibile utilizzazione dei farmaci biologici
Terapia peri-operatoria
- Doppietta di farmaci citotossici
- Biologici solo nell’ambito di studi clinici
Terapia adiuvante
- Stessa combinazione della terapia preoperatoria
- Doppietta o fluoro pirimidina nelle resezioni senza terapia pre-operatoria
Tempestività dell’intervento
- Rischio di epatotossicità (specialmente nei pazienti con BMI elevato)
- Rischio di sottovalutazione delle metastasi
Durata totale della terapia medica 6-8 mesi
7. Terapie loco-regionali
6. Terapia integrata della malattia metastatica
Come si è detto, la terapia chirurgica può essere proponibile anche nella malattia metastatica. Per quanto riguarda le metastasi resecabili esiste un solo
studio che ha dimostrato che la terapia medica peri-operatoria con la combinazione FOLFOX possa migliorare la sopravvivenza nei pazienti sottoposti
a resezione delle metastasi epatiche. Nonostante ciò, esiste un generale
orientamento sul fatto che sia preferibile sottoporre direttamente all’intervento le metastasi epatiche singole operabili.
Come si è detto, la chirurgia delle metastasi epatiche deve essere effettuata
solo da chirurghi esperti e dedicati.
Questo implica che le metastasi sincrone operabili potrebbero anche essere
non sottoposte ad immediata resezione se il chirurgo addominale non ha le
adeguata competenza.
Non ci sono dati sul ruolo dei farmaci biologici in questo contesto, né sulla
terapia peri-operatoria nei pazienti con metastasi resecabili in altre sedi diverse dal fegato. La possibilità di integrare la resezione radicale delle metastasi operabili con una terapia medica post-operatoria non è supportata da
evidenze chiare, tuttavia viene in genere consigliata; in questo caso il regime più appropriato è la combinazione FOLFOX o anche una fluoro-pirimidina da sola, qualora vi fossero controindicazioni all’uso dell’oxaliplatino.
Le più importanti acquisizioni nella terapia integrata della malattia metastatica riguardano la possibilità che la terapia medica renda operabili metastasi
epatiche (e – limitatamente ad alcune condizioni – anche extra-epatica) in
precedenza non operabili (“terapia di conversione”).
I criteri di operabilità si sono molto modificati negli ultimi anni grazie al progresso delle tecniche chirurgiche ed attualmente non si basano tanto sulle
dimensioni e la sede delle metastasi, ma sulla quantità minima di fegato residuo che consenta una adeguata funzione dell’organo; un limite di questo
approccio risiede nella mancanza di criteri biologici che consentano una stratificazione anche sulla base dell’aggressività della neoplasia. Sia le doppiette
che le triplette di farmaci citotossici sono in grado di rendere resecabili metastasi epatiche inizialmente non resecabili.
Molte osservazioni suggeriscono che l’aggiunta dei farmaci biologici può migliorare la percentuale di resecabilità, implementando il tasso e l’entità della
risposta obiettiva. Ciò è vero in particolare per le combinazioni comprendenti
Pagina
l’anticorpo anti-EGFR cetuximab nei pazienti K-RAS wild type.
Osservazioni analoghe esistono anche con le combinazioni comprendenti
l’anticorpo anti-VEGF bevacizumab, ma in questo caso la somministrazione
dell’anti-angiogenetico deve essere interrotta almeno 5 settimane prima della
resezione epatica.
La resezione R0 rappresenta il parametro che correla maggiormente con il
prolungamento della sopravvivenza, ma anche i pazienti con resezione R1
sembrano avere una sopravvivenza superiore ai pazienti non sottoposti a resezione.
Un aspetto della terapia di conversione spesso ritenuto critico concerne la durata della terapia pre-operatoria, sia per il rischio di tossicità epatica che il
rischio di risposta clinica completa che renderebbe difficile l’identificazione
della sede da sottoporre a resezione. In realtà, entrambi questi rischi sono
forse sopravvalutati perché studi recenti hanno evidenziato che non c’è un
incremento del rischio operatorio dopo terapia di conversione nella popolazione generale, ma solo nei soggetti con “body mass index” elevato, che
probabilmente hanno una condizione pre-esistente di steato-epatite. Tuttavia, non sono ancora quantizzabili gli eventuali danni a distanza nei soggetti
lungo-sopravviventi.
D’altra parte il rischio di non riuscire a identificare le sedi da resecare in caso
di risposta clinica completa è realmente piuttosto contenuto perchè con gli
strumenti di indagine pre- ed intra-operatoria (ecografia intra-operatoria) disponibili non è impossibile identificare le sedi da sottoporre a resezione
anche in caso di risposta completa. Tenendo conto dell’insieme di queste
considerazioni, allo stato attuale tuttavia si suggerisce di proseguire la terapia di conversione per il tempo minimo necessario a rendere le metastasi
operabili.
Nella terapia di conversione, partendo dal presupposto che la riduzione del
tumore con la terapia medica sia una dimostrazione di chemio-sensibilità
“in-vivo”, viene effettuato un trattamento post-operatorio con la stessa combinazione utilizzata precedentemente.
In realtà, non è detto che questo sia completamente vero dal punto di vista
biologico se si pensa alla eterogeneità del tumore, tuttavia negli studi sinora
effettuati questa strategia è sempre stata rispettata raggiungendo un totale
128
Le terapie loco-regionali hanno come obiettivo il controllo locale della malattia e, pertanto, hanno in linea generale un ruolo sostanzialmente palliativo
nella malattia multi metastatica, ma possono rappresentare una opzione utile
nelle metastasi epatiche e/o polmonari a complemento o integrazione del
trattamento sistemico e chirurgico. La termoablazione mediante radiofrequenze consente di produrre una necrosi coagulativa di metastasi non superiori a 3 cm. Allo stato attuale non può essere considerata equivalente alla
chirurgica nelle metastasi epatiche o polmonari resecabili e quindi non è una
alternativa di pari efficacia, anzi in alcune circostanze può rendere più complesso il successivo intervento chirurgico. Può tuttavia essere utilizzata a
completamento di un intervento con residuo di malattia macroscopica o
quando l’intervento chirurgico non sia fattibile. Le criticità sono rappresentate dalle dimensioni, dalla sede della metastasi e dalla sua accessibilità.
Nonostante la percentuale di risposte cliniche ottenute con la chemio-terapia intra-arteriosa epatica sia risultata a volte superiore rispetto alla terapia
sistemica, non vi è allo stato attuale una chiara evidenza di superiorità di
questo approccio nel trattamento integrato delle metastasi epatiche. Per
l’elevata attività locale, tuttavia, in alcune circostanze potrebbe essere presa
in considerazione in casi selezionati in associazione agli altri trattamenti o
nell’ambito di studi clinici in centri con adeguato addestramento. Le criticità
sono legate all’effetto di “primo passaggio”, alla necessità di un catetere
intra-arterioso e di pompe infusionali dedicate e ai possibili effetti tossici
loco regionali. La radioterapia interstiziale con ittrio o con altri isotopi delle
metastasi epatiche multiple non suscettibili di altri trattamenti comincia a
diffondersi in alcuni centri selezionati. Non sono tuttavia disponibili studi su
larga scala e non è noto l’impatto sulla sopravvivenza globale, mentre non
sono da sottovalutare i rischi. Pertanto il suo impiego deve essere riservato
a studi clinici ed a pazienti accuratamente selezionati. La criticità principale
è il rischio di insufficienza epatica che non deve essere sottovalutato in pazienti con diffuso interessamento epatico e pluritrattati. La radioterapia
esterna è efficace e deve essere considerata come trattamento palliativo
delle metastasi ossee o cerebrali e citoriduttivo di recidive pelviche.
Appropriatezza delle terapie loco-regionali
• Termo-ablazione mediante radiofrequenze
- Residuo macroscopico dopo intervento chirurgico di metastasectomia
epatica
- Trattamento di metastasi epatiche o polmonari per le quali l’intervento
non è indicato
• Chemioterapia intra-arteriosa
- Casi selezionati in associazione ad altri trattamenti (sistemico o chirurgico)
- Studi clinici
• Radioterapia interstiziale
- Metastasi epatiche multiple non suscettibili di altri trattamenti
• Radioterapia esterna
- Trattamento palliativo: metastasi ossee e cerebrali
- Trattamento citoriduttivo: metastasi pelviche
8. Terapia palliativa
Nei tumori metastatici del colon la terapia palliativa si sviluppa lungo tutto il
decorso della malattia e riguarda il trattamento delle complicanze e degli effetti collaterali delle altre terapie, ma ha ruolo preminente nella fase terminale in particolare quando i sintomi della malattia costituiscono di per se
malattie che necessitano di cura. Sono quindi importanti i seguenti aspetti:
a) Competenza personale nel trattamento degli effetti tossici delle terapie
Pagina
oncologiche
b) Competenza nella gestione delle principali sindromi cliniche terminali
(dolore, sindromi ostruttive, iponutrizione e sindromi discrasiche, sindromi compressive, sindromi neurologiche)
c) Interazione strutturata con specialisti di riferimento
d) Coordinamento con unità per le cure palliative del paziente terminale.
129
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
8.1 Sindromi ostruttive
Le più sindromi ostruttive nel carcinoma del colon riguardano l’apparato
gastrointestinale, il sistema biliare e l’apparato urinario.
I moderni presidi di drenaggio biliare, urinario e peritoneale, degli “stent” intestinali, biliari ed urinari hanno un evidente effetto sulla qualità di vita dei
pazienti.
Non è stato mai quantizzato il loro effetto sulla sopravvivenza, ma sicuramente una quota almeno dell’incremento della sopravvivenza nel carcinoma
del colon è da attribuire ad essi se non altro perché la risoluzione di una
ostruzione biliare o urinaria può consentire l’effettuazione di una terapia
oncologica che altrimenti sarebbe preclusa. Pertanto l’accesso a tali presidi
è un diritto di tutti i pazienti.
8.2 Dolore
Il dolore è una delle esperienze più devastanti in oncologia. Pertanto gli oncologi devono avere un addestramento in terapia del dolore; in alternativa
in tutti i centri deve esserci un consulente dedicato. Nei centri qualificati
deve essere inoltre presente la possibilità di trattamenti invasivi del dolore,
a cui possano riferirsi anche i centri periferici.
A volte la gestione ottimale del dolore richiede competenze multidisciplinari che comprendono l’oncologo medico, il radioterapista, l’anestesista o
il neurochirurgo e lo psicologo.
8.3 Nutrizione
La maggior parte dei pazienti sperimentano deficit nutrizionali nel corso
della malattia, specialmente nelle fasi terminali.
L’aspetto nutrizionale è cruciale nelle fasi chirurgiche, ma è altrettanto importante nelle fasi avanzate e terminali.
Nel primo caso è necessario mantenere un bilancio calorico adeguato per
evitare un eccesso di complicanze.
Nel secondo caso è importante cercare garantire il livello di idratazione e di
nutrizione che prevenga l’insorgenza di ulteriori complicanze.
Sono necessarie competenze in ambito nutrizionale sia da parte del chirurgo che dell’oncologo o - in alternativa - la possibilità di usufruire di una
consulenza nutrizionale. ma in alcuni casi.
Questo può avvenire nelle fasi chirurgiche.
Anche per questo aspetto è necessario che gli oncologi abbiano competenze di base per la gestione dei problemi nutrizionali.
8.4 Sindromi compressive
Le principali sindromi compressive sono la sindrome da compressione mediastinica e la sindrome da compressione midollare.
Si tratta spesso di eventi che intercorrono nella fase terminale della malattia, ma che comunque impattano negativamente sulla qualità di vita.
Anche la gestione di questi eventi richiede da un lato un certo grado di preparazione dell’oncologo, il coordinamento con gli specialisti di riferimento
in qualità di consulenti interni o esterni, la valutazione multidisciplinare.
8.5 Fratture patologiche
Le fratture patologiche sono eventi che richiedono sia il trattamento del dolore che di eventuali danni neurologici.
Oltre all’oncologo possono svolgere un ruolo il radiologo, il radioterapista, il
chirurgo vertebrale o il neurochirurgo, eccetera.
Pagina
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma del colon-retto
L’approccio anche in questo caso è multidisciplinare, per cui diventa essenziale la disponibilità delle comptenze necessarie o la istituzionalizzazione della possibilità di riferire questi pazienti in centri adeguati.
•
8.6 Assistenza al paziente terminale
Senza entrare nel merito della definizione di terminalità e delle decisioni
gestionali burocratiche che ne derivano, è certo che nei tumori in fase avanzata prima o poi i presidi terapeutici specifici si esauriscono e tutti i pazienti entrano in una fase più o meno lunga in cui gli obiettivi terapeutici
sono il controllo dei sintomi e la preservazione della qualità di vita.
E’ importante comprendere che, nell’ambito di una neoplasia solida metastatica, l’esaurimento delle terapie oncologiche non significa “fine” delle
cure, ma passaggio ad un tipo diverso di cura; in altri termini, in questa fase
della malattia le cure palliative e di supporto non sono “assenza” di cura, ma
la miglior cura proponibile.
Proprio per attenuare la sensazione di “cesura” fra un trattamento e l’altro
è auspicabile che le cure palliative siano in qualche maniera simultanee
alle terapie oncologiche.
La cura del paziente terminale è spesso affidata ad equipe costituite da medici diversi da quelli che hanno tenuto in cura il paziente nella fase “attiva”
di trattamento oncologico e l’organizzazione stessa della presa in carico del
paziente terminale prevede modelli organizzativi differenti, assistenza domiciliare e hospice, da quelli a cui il paziente era abituato, ambulatorio, DH,
degenza ospedaliera.
Pertanto sarebbe auspicabile un coinvolgimento delle equipé oncologiche
nelle cure terminali e, viceversa, un coinvolgimento delle equipé palliative
prima che il paziente sia dichiarato non più suscettibile di terapie attive.
Con l’attuale organizzazione questo obiettivo è difficilmente realizzabile, ma
la possibilità di interazione precoce deve essere considerato un indicatore
di qualità assistenziale; in questa ottica sarebbe auspicabile che ogni centro avesse sempre gli stessi referenti, anche territoriali, per le cure nella
fase terminale al fine di poter realizzare modelli di interazione ottimali.
Appropriatezza delle terapie palliative
• Disponibilità delle risorse per il trattamento delle complicanze
- Degenza e/o PS
• Competenze e formazione in terapia del dolore e terapia nutrizionale
• Adeguate risorse per la gestione delle sindromi ostruttive e compressive
• Accesso a terapie invasive del dolore
• Adeguate risorse per il trattamento delle fratture patologiche
• Regolare interazione con associazioni deputate alla cura del paziente
terminale
- Concetto di simultaneità delle cure
- Accesso all’assistenza domiciliare
- Accesso all’hospice
Requisiti minimi per la terapia medica
• Indicatori di attività
- Numero minimo di prime visite: 3-4 al mese
- Numero minimo di posti di DH/ambulatorio: 2
- Numero minimo di terapie al giorno: 4
• Indicatori di qualità
- Disponibilità della cappa per la preparazione di farmaci
- Tempo massimo di attesa per la I visita: 20 giorni
- Tempo massimo per il completamento della stadiazione: 6 settimane
130
•
- Tempo massimo di attesa per l’inizio della terapia dopo la decisione
terapeutica: 2 settimane
- Possibilità di confronto interdisciplinare
- Possibilità di impianto di CVC
Indicatori di multidisciplinarietà
- Competenze autonome di terapia del dolore o consulenza almeno 2
volte alla settimana
- Competenze autonome di terapia nutrizionale o consulenza almeno 1
volta alla settimana
- Disponibilità di consulenza psicologica almeno 2 volte alla settimana
Aggiornamento
- Partecipazione almeno a 2 Congressi nazionali o regionali all’anno
- Almeno 2 abstract a congressi nazionali all’anno
- Partecipazione almeno ad uno studio clinico all’anno
•
•
•
Requisiti di eccellenza per la terapia medica
• Indicatori di attività*
- Numero di prime visite ≥8 al mese
- Numero di posti di DH/Ambulatorio ≥ 8
- Numero di letti di degenza dedicati ≥ 8
• Indicatori di qualità
- Presenza di una unità per la preparazione dei farmaci*
- Ambulatorio dedicato per le terapie orali*
- Tempo massimo di attesa per la prima visita: 10 giorni*
- Tempo massimo per la stadiazione: 3 settimane*
- Attesa per l’inizio della terapia dopo la decisione terapeutica: 10 giorni*
- Numero di secondi pareri: ≥2 al mese
- Presenza di radiologia interventistica*
Indicatori di multidisciplinarietà
- Team strutturato multidisciplinare*
- Presenza di specialisti in terapia del dolore*
- Presenza di specialisti in nutrizione clinica*
- Presenza di consulenza psicologica*
- Autonomia di impianto e gestione dei CVC*
- Risorse per la gestione delle emergenze e delle complicanze*
- Organizzazione strutturata per le cure palliative*
Possibilità di gestione condivisa della malattia terminale
Aggiornamento
- Partecipazione almeno a 1 Congresso internazionale e 2 nazionali all’anno*
- Almeno 6 abstract in congressi internazionali o nazionali all’anno
- Almeno 1 pubblicazione su riviste con IF all’anno*
- Partecipazione ad almeno 3 studi clinici all’anno*
* Requisiti essenziali
9. Follow-up
La sorveglianza endoscopica dopo la polipectomia ha un indubbio impatto
sulla mortalità cancro-specifica, visto l’aumentato rischio di nuovi polipi o di
adenocarcinomi.
Per quanto riguarda i pazienti sottoposti a resezione chirurgica solo negli ultimi anni è stato dimostrato il beneficio di adeguato programma di sorveglianza con una riduzione del rischio di morte del 20-33% ed un beneficio
assoluto intorno al 10%.
Non esistono tuttavia indicazioni certe relativamente al tipo di esami da effettuare e alla durata della sorveglianza stessa, ma è stato evidenziato che
la maggior parte delle recidive si verifica nei primi 3 anni dopo l’intervento
chirurgico.
I recenti progressi nella terapia integrata della malattia metastatica e la possibilità di migliorare i risultati della terapia farmacologica con il trattamento
precoce rendono sempre più importante la corretta gestione della sorveglianza.
Una pianificazione di media intensità, inoltre, è in genere ben accetta dal paziente. I centri coinvolti nella diagnosi e nel trattamento dei tumori del colon
devono quindi disporre delle risorse idonee per gestire un programma di sorveglianza che sia sufficientemente aderente alle indicazioni condivise o suggerite dalle poche linee-guida disponibili.
Per semplificare possiamo distinguere il programma di follow-up in 3 diverse condizioni:
a) dopo polipectomia
b) dopo resezione di tumori in fase precoce (pT1N0M0)
c) dopo resezione di tumori allo stadio II-III.
Programma di sorveglianza negli adenomi ed adenocarcinomi del colon
• Dopo polipectomia
Pagina
- Adenoma singolo: pan-colonscopia a 5 anni
- Adenomi multipli: pan-colonscopia a 1 e 3 anni; se negative ogni 5
anni successivamente
- Polipo maligno: pan-colonscopia a 1 e 3 anni; se negative ogni 5 anni
successivamente
• Dopo resezione di adenocarcinomi in fase precoce (pT1N0M0)
- Visita clinica: dopo 3 mesi, 1 anno, 3 anni
- Colonscopia: a 1 e 3 anni e poi ogni 5 anni
- CEA: dopo 3 mesi, 6 mesi, 1 anno, 2 anni, 3 anni
- Ecografia epatica: dopo 1 anno
• Dopo resezione di adenocarcinomi allo stadio II-III
- Visita clinica
- Ogni 3-6 mesi nei primi 3 anni
- Ogni 6 mesi nel 4° e 5° anno; successivamente a discrezione
- CEA: Entro due mesi in caso di CEA pre-operatorio elevato
- Ogni 3 mesi nei primi 3 anni per tutti i pazienti
- Ogni 6 mesi nel 4° e 5° anno
- Colonscopia
- Entro 6 mesi nei pazienti senza studio preoperatorio completo
- Entro 6-12 mesi in tutti i pazienti
- Dopo 3 e 5 anni
- TC torace+addome con contrasto
- Ogni 6-12 mesi per i primi 3 anni
- Ecografia epatica
- Ogni 6 mesi nei primi 3 anni (intervallata alla TC)
Non vi sono evidenze a favore dell’utilizzazione routinaria della radiografia del
torace o di particolari esami ematochimici (al di fuori di altre indicazioni) nei
programmi di sorveglianza.
131
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto
10. Bibliografia
•
•
•
Autori vari. Linee-Guida dell’Oncologia Italiana. Tecnografica Edizioni, 2009.
Autori vari. Basi scientifiche per la definizione di linee-guida in ambito clinico per
i Tumori del Colon-Retto e dell’Ano. Alleanza contro il cancro 2009. www.alleanzacontroilcancro.it.
Autori vari. Quaderni di Appropriatezza del Ministero della Salute. Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutica in oncologia. Poligrafico dello Stato, Roma
2010.
•
•
•
NCCN Clinical Practice Guidelines in Oncology, 2011
Labianca R, Nordlinger B, Beretta GD, et al. Primary colon cancer: ESMO Clinical Practice Guidelines for diagnosis, adjuvant treatment and follow-up. Ann Oncol
2010, 21 (suppl 21): v70-v77.
Autori vari. Prevenzione e Diagnosi precoce dei Tumori del Colon Retto. Modello
organizzativo e protocollo diagnostico-terapeutico dei programmi di screening
nella regione Lazio. Laziosanità - ASP. Roma 2011.
Criteri di appropriatezza clinica
ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up delle neoplasie
del retto
Coordinatore: Giulio Maira
C.M. Carapella, C. Colosimo, U. De Paula, A. Fabi, F. Giangaspero, A. Pace, A. Turriziani
Con la collaborazione di:
M. Antonelli, M. Balducci, G. Colicchio, G. Lanzetta, A. Mangiola, G. Mansueto, G. Minniti,
A. Mirri, G. Moscati, I. Penco, M. Salvati, A. Scopa
Versione finale, 15 maggio 2011
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132
Pagina
133
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
INDICE
1. Definizione anatomico-chirurgica del retto
1.
Definizione anatomico-chirurgica del retto
2.
Incidenza e Mortalità
2.1. Risk assessment
3.
Diagnosi
4.
Stadiazione
4.1. Stadiazione TNM
5.
Esami diagnostici
5.1. Diagnostica per immagini.
5.2. Esami di Follow-Up post-operatorio
5.3. Esami minimali di stadiazione
6.
7.
Terapia delle Neoplasie rettali Non Metastatiche
6.1. Trattamento degli stadi iniziali
6.2. Trattamento della malattia localmente avanzata
6.3. Lesioni non resecabili
Trattamento della Malattia metastatica
7.1. Terapia medica (chemioterapia e farmaci biologici)
7.2. Fattori predittivi di risposta
7.3. Trattamento chirurgico della malattia avanzata
7.4. Chemioterapia dopo resezione radicale di metastasi epatiche
7.5. Terapie locoregionali
7.6. Trattamento della malattia metastatica nell’anziano
7.7. Valutazione della risposta
8.
Follow-up dei pazienti con neoplasia del retto
9.
Dotazioni delle unità cliniche e volumi di attività per accreditamento
e definizione di eccellenza
10.
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto
Bibliografia
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134
Retto
E’ l’ultima porzione dell’intestino crasso, la lunghezza è variabile ma oscilla
in genere tra i 15 ed i 12 cm. Tradizionalmente il retto viene diviso anatomicamente in tre segmenti (superiore, medio ed inferiore) ed in una parte intraperitoneale ed in una extraperitoneale. I 3 segmenti sono in genere
considerati di uguale lunghezza e oscillano tra i 4-5 cm. Questi segmenti
sono approssimativamente separati da 3 pliche interne o valvole di Houston
(2 a sn sup ed inf, ed una a destra mediana): la plica mediana anche nota
come plica di Kouhlraush è la più costante ed in genere situata tra i 9-11 cm
del retto corrisponde alla riflessione anteriore peritoneale.
Tutto il retto è extraperitoneale nella sua parete posteriore.
Il retto superiore è intraperitoneale nelle sue pareti laterali ed anteriore.
Il retto medio è prevalentemente extraperitoneale ma può essere parzialmente intraperitoneale nella sua parete anteriore se la riflessione del Douglas è bassa. Il retto inferiore è tutto extraperitoneale.
I limiti sia superiore che inferiore sono spesso oggetto di dibattito.
Limite superiore
Intraoperatoriamente il limite superiore è identificabile nel punto dove si interrompono le taenie e il crasso manifesta una tipica curvatura (giunzione
retto sigmoidea). Corrisponde spesso al livello del promontorio sacrale.
Non esiste un chiaro riferimento interno che sia visibile endoscopicamente
se si esclude la terza plica di Houston. Secondo alcuni la terza plica di Houston non corrisponde al passaggio retto-sigma.
Anche radiologicamente non è facile dare un limite superiore preciso.
Limite inferiore
I chirurghi spesso considerano come limite inferiore l’anorectal ring o orifizio anale interno che è situato al limite superiore del canale anale, divide
l’ano dal retto ed ha un preciso significato chirurgico in quanto spesso sede
delle anastomosi colo-anali. Gli anatomici considerano spesso come limite
inferiore la linea pettinata o dentata che è situata a circa metà del canale
anale nel pieno del complesso sfinterico. Gli endoscopisti considerano in genere come limite inferiore la rima ano-cutanea o anal verge che è situata al
bordo inferiore od esterno del canale anale poiché misurano da questo punto
di riferimento la distanza dal limite distale di un tumore del retto.
Poiché il canale anale ha una lunghezza anatomica variabile in media dai
2,5 ai 4 cm si comprende bene come il differente punto di riferimento come
limite inferiore del retto può ingenerare molta confusione sulla definizione
della sede di una neoplasia.
In queste linee guida verranno prese in considerazione solo le lesione neoplastiche che originano dalla mucosa colica (adenocarcinoma), limitando
pertanto le raccomandazioni al tratto anatomico di organo rivestito da questa.
2. Incidenza e mortalità
Il carcinoma del colon-retto (CCR) è per frequenza la seconda causa di morte
per cancro nel mondo (1 milione di nuovi casi), dopo il tumore del polmone
nell’uomo e della mammella nella donna. In Italia si registrano 20.457 nuovi
casi fra i maschi e 17.276 quelli fra le femmine, in media 77-78 persone
ogni 100.000 abitanti. In 9 casi su 10 colpisce dopo i 50 anni. Il tasso d’incidenza per i maschi è 64,2 (il 4° in Europa), per le donne 52,5 (il 9° - tra i
più bassi - in Europa) su 100.000 abitanti. I tassi di incidenza e mortalità più
elevati si registrano nell’Italia centro-settentrionale, quelli più bassi nel meridione e nelle isole. Negli ultimi 15 anni, in Italia, come in gran parte dell’Europa, si è assistito ad una diminuzione d’incidenza di oltre il 20%.
Per quanto riguarda il quadro epidemiologico approssimabile a quello del
Lazio ci si può riferire ai tassi standardizzati di incidenza per cancro del colon
e del retto, provenienti dalla base dati AIRTUM, che raccoglie i dati reali dei
Registri Tumori italiani suddivisi per macroarea geografica. Per il Centro-Italia si registrano i seguenti valori: 47 per 100.000 (cancro del colon, maschi);
31 per 100.000 (cancro del colon, femmine); 21.9 per 100.000 (cancro del
retto, maschi); 12.1 per 100.000 (cancro del retto, femmine). Per quanto riguarda la sopravvivenza a 5 anni (relativa a casi incidenti negli anni 19951999) essa si colloca fra il 58 e il 60% per entrambi i tipi di tumore e in
ambedue i generi.
Infine, per quanto concerne la mortalità per cancro del colon-retto sono disponibili stime recenti ottenute da modelli previsionali, che per il Lazio corrispondono a valori di circa 29 per 100.000 nei maschi e di circa 19 per
100.000 nelle femmine. Anche nel Lazio come nel resto d’Italia la mortalità
Pagina
è in diminuzione. I Programmi organizzati di screening per il CCR rappresentano un livello essenziale di assistenza e sono rivolti alla popolazione generale a partire dai 50 anni di età. L’età di inizio della sorveglianza attiva può
essere minore per soggetti con poliposi ad elevato rischio familiare. La responsabilità dell’attivazione dello screening di popolazione spetta alle Regioni e la diffusione sul territorio nazionale segue un gradiente Nord-Sud,
privilegiando le regioni settentrionali, mentre nel centro Italia la situazione è
variegata. Allo stato attuale nel Lazio (dati di attività 2009) i programmi di
screening sono attivi solo in alcune ASL e la copertura della popolazione target su base territoriale (età 50-74 anni) è ancora incompleta. In media la
percentuale dei soggetti invitati al test di primo livello (test del sangue occulto nelle feci) è del 9%, e di questi ultimi solo il 35% aderisce all’invito effettuando il test. La percentuale di positività al test rilevata è mediamente del
5,3%, in linea con il dato nazionale, registrato dall’Osservatorio Nazionale
Screening.
2.1 Risk assessment
Il tumore del colon-retto è una patologia a genesi multifattoriale ed eziologia complessa. I fattori di rischio sono di tipo alimentare, ambientale e genetico. Numerosi studi dimostrano che una dieta ad alto contenuto di calorie,
ricca di grassi animali e povera di fibre è associata a un aumento dei tumori
intestinali; viceversa, diete ricche di fibre sembrano svolgere un ruolo protettivo. Altri fattori di rischio sono rappresentati dall’età (l'incidenza è 10 volte
135
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
superiore tra le persone di età compresa tra i 60 e i 64 anni rispetto a coloro
che hanno 40-44 anni), le malattie infiammatorie croniche intestinali come
la rettocolite ulcerosa ed il morbo di Crohn, una precedente storia clinica di
polipi del colon o di un tumore del colon-retto. Polipi e carcinomi che non
rientrano tra le sindromi ereditarie vengono definiti "sporadici", sebbene
anche in questo caso sembra vi sia una certa predisposizione familiare. Si
stima che il rischio di sviluppare un tumore del colon aumenti di 2 o 3 volte
nei parenti di primo grado di una persona affetta da cancro o da polipi del
grosso intestino. Anche il fumo di sigaretta e l’utilizzo di alcolici sembrano
correlare con un aumentato rischio di sviluppare questo tipo di neoplasia,
mentre effetto protettivo sembra essere svolto da una corretta attività fisica.
Esistono delle sindromi genetiche familiari che sono alla base di un certo
numero di carcinomi del colon retto nell’adulto.
Le principali sono la sindrome di Lynch o cancro colorettale ereditario non associato a poliposi (hereditary non-polyposis colorectal cancer, HNPCC), la
poliposi adenomatosa familiare (familial adenomatous polyposis, FAP) e la
sua variante attenuata (AFAP), che si trasmettono in maniera autosomica dominante. La FAP è responsabile dell’1% di tutti i tumori del colon, con una frequenza nella popolazione di 1/10000 (tabella 1 e 2). Altre sindromi ereditarie
sono la sindrome di Gardner e quella di Turcot e la poliposi MUTYH-associata. La sindrome di Lynch è responsabile di circa il 3% di tutti i casi di carcinoma del colon-retto; è causata da una mutazione a carico di geni implicati
nel mismatch repair (MMR). I soggetti portatori di una mutazione a carico
dei geni MMR hanno un rischio di sviluppare un tumore del colon-retto che
può arrivare all’80%, oltre ad altri tipi di neoplasie, come il tumore dell’endometrio.
3. Diagnosi
La tempestività della diagnosi clinica definitiva di cancro del colon-retto
(CCR), sia come capacità di “anticipazione (diagnosi precoce) che di “riduzione dei tempi di accesso”, minimizzando il ritardo dell’intervento terapeutico efficace, fa parte degli aspetti tecnico-organizzativi evidenziati dal PSN
1998-2000 e dal D.L. 229/99 per la patologia neoplastica. La prognosi del
cancro CCR migliora in modo drammatico se la neoplasia viene riconosciuta
e trattata in uno stadio precoce, mentre se la neoplasia è avanzata qualunque trattamento è statisticamente inefficace in termini di sopravvivenza.
I sintomi di allarme per l’identificazione dei casi “sospetti”, che dovrebbero
pilotare l’accesso alla visita specialistica proposti sono:
• emorragia rettale persistente senza sintomi anali in pazienti età > 65
anni e nessuna evidenza di patologia anale benigna
• emorragia rettale e/o cambiamento delle abitudini intestinali per almeno
6 settimane
• modifiche recenti nelle abitudini intestinali con feci poco formate e/o au-
mento della frequenza della defecazione, persistente per più di 6 settimane
• anemia sideropenica con Hb < 10 g/dl senza causa evidente
• massa rettale evidenziabile alla esplorazione rettale o massa addominale
palpabile.
L’obiettivo è che tutti i pazienti che presentano sintomatologia di sospetta natura neoplastica possano accedere alla visita specialistica entro le due settimane ed avere una diagnosi definitiva entro un mese.
La conferma istologica è da ricercare in tutti i casi di sospetto della presenza
di una neoplasia primitiva o recidiva prima di procedere alle terapie, tranne
nelle situazioni di urgenza clinica o di complessità nella esecuzione di tale accertamento.
In queste situazioni si deve sempre disporre di un consenso informato da
parte del paziente che indichi l’assenza di esame istologico e l’orientamento
diagnostico del medico curante.
4. Stadiazione
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto
4.1 Stadiazione TNM (Classificazione TNM 2009)
Nota
• cTNM è la classificazione clinica, pTNM è la classificazione patologica
• il prefisso “y” è usato per quei cancri dopo trattamento neoadiuvante
(es, ypTNM)
• i pazienti che hanno una risposta patologica completa sono classificati
come ypT0N0cM0che può essere simile allo Stadio 0 o allo Stadio I
• il prefisso “r” deve essere usato per quei cancri che recidivano dopo un
intervallo libero.
Al di fuori delle urgenze cliniche, il paziente deve essere stadiato prima di
procedere alla terapia. Lo stadio della neoplasia è definito in base agli esami
clinico-strumentali appropriati per le differenti presentazioni di malattia.
Le classificazioni raccomandata per la stadiazione del carcinoma del retto è
quella TNM (Union Internationale Contra le Cancer [UICC]) del 2009 (VIIª Edizione).
Questa versione ha introdotto alcuni cambiamenti rispetto la precedente versione. In particolare un nodulo presente nel tessuto adiposo perirettale, anche
senza evidenza istologica di residuo linfonodale nel nodulo, deve essere classificato come metastasi linfonodale regionale (pN1c). Alcuni Autori hanno
commentato che questo può generare confusione nella stadiazione del coinvolgimento linfonodale raccomadando di utilizzare la versione 5 del TNM
Il TNM non tiene in considerazione il margine circonferenziale o “circunferential resection margin (CRM) nel definire lo stadio patologico complessivo
della malattia. Esso è un importante parametro prognostico nel cancro del
Pagina
136
Linfonodi regionali
N2a
Metastasi in 4-6 linfonodi regionali
N2b
Metastasi in 7 o più linfonodi regionali
Per quanto riguarda le metastasi a distanza si applica il seguente schema
M
Metastasi a distanza
MX
Metastasi a distanza non accertabili
T
Tumore primitivo
M0
Metastasi a distanza assenti
TX
Tumore primitivo non valutabile
M1
Metastasi a distanza presenti
T0
Non evidenza di tumore primitivo
M1a
Metastasi confinate ad un organo (fegato, polmone, ovaio, linfonodo/i non regionale/i)
Tis
Carcinoma in situ: tumore intraepiteliale o invasione della lamina
propria
M1b
Metastasi in più di un organo o nel peritoneo
T1
Invasione della sottomucosa
T2
Invasione della muscolare propria
T3
Invasione della sottosierosa o dei tessuti perirettali
Stadio
T
N
M
T4a
Infiltrazione del peritoneo viscerale
Stadio 0
Tis
N0
M0
T4b
Invasione di altri organi o strutture
Stadio I
T1,T2
N0
M0
Stadio IIA
T3
N0
M0
IIB
T4a
N0
M0
IIC
T4b
N0
M0
T1-T2
N1/N1c
M0
T1
N2a
T3-T4a
N1/N1c
La stadiazione viene dunque compiuta seguendo lo schema in tabella (i numeri indicano la percentuale di sopravvivenza a 5 anni):
I linfonodi regionali sono quelli rettali superiori medi e inferiori (emorroidari),
mesenterici inferiori, iliaci interni, mesorettali (pararettali), sacrali laterali,
presacrali, del promontorio sacrale (linfonodi di Gerota).
Stadio IIIA
N
Linfonodi regionali
NX
Linfonodi regionali non valutabili
N0
Assenza di metastasi
T2-T3
N2a
N1
Metastasi in 1-3 linfonodi regionali
T1-T2
N2b
N1a
Metastasi in 1 linfonodo regionale
T4a
N2a
N1b
Metastasi in 2-3 linfonodi regionali
T3-T4a
N2b
N1c
Assenza di metastasi nei linfonodi regionali ma presenza
di deposito/i tumorale/i nella sottosierosa o nel tessuto
perirettale non peritonealizzato
T4b
N1-N2
Stadio IVA
ogni T
ogni N
M1a
IVB
ogni T
ogni N
M1b
N2
retto, in quanto il retto è per la maggior parte sprovvisto di sierosa peritoneale. Il CRM viene definito come la distanza tra il punto di maggior penetrazione del tumore ed il margine dei tessuti resecati attorno al retto,
corrispondente al mesoretto, e si misura in millimetri. Un CRM viene definito
“positivo” per una distanza inferiori ad 1 mm dal margine di resezione. Il
CRM positivo è un forte fattore di rischio per recidiva locale e per la sopravvivenza. Il referto dell’esame istologico nei pazienti che hanno ricevuto trattamento neoadiuvante prima della chirurgia deve anche prevedere anche
una valutazione del “TRG” ovvero del Tumor Regression Grade secondo
Mandard, avente significato prognostico.
Tale valutazione classifica il tumore residuo in cinque gradi che vanno da
TRG 1 (assenza di cellule neoplastiche) a TRG 5 (tumore non modificato dalla
terapia). I gradi intermedi TRG 2, TRG 3 e TRG 4 sono rispettivamente previsti per rare cellule neoplastiche (TRG 2), per fibrosi maggiore della neoplasia residua (TRG 3) e per neoplasia residua maggiore della fibrosi (TRG 4).
N
IIIB
IIIC
Metastasi in 4 o più linfonodi regionali
M0
M0
5. Esami diagnostici
L’esplorazione rettale digitale è irrinunciabile e fornisce utili informazioni ai
fini del trattamento chirurgico (distanza in cm. libera da tumore dall’orifizio
anale interno, rapporti con la prostata, fissità sul piano sacrale, ecc.), prima
e dopo eventuale radiochemioterapia neoadiuvante e durante il follow-up.
La colonscopia ha lo scopo di:
• diagnosticare e tipizzare, attraverso l’istologia, il cancro al retto
• escludere neoplasie sincrone
• bonificare lesioni asportabili endoscopicamente.
Pagina
La sensibilità degli esami endoscopici per le neoplasie presenti nei segmenti
colici esaminati è considerata molto elevata, più del 90% per le lesioni ≥ 10
mm.
Gli indicatori più condivisi sono: la completezza del referto, l’uso della sedazione, la registrazione delle complicanze, la soddisfazione del paziente, la
percentuale di esami impossibili per inefficace preparazione intestinale, la
percentuale di raggiungimento del fondo cecale.
Sebbene alcuni centri continuino ad eseguire un dosaggio preliminare dei
137
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
marcatori virali (HBV, HCV ed HIV), le attuali tecniche di disinfezione degli
strumenti, se correttamente eseguite, consentono un’assoluta tranquillità.
Sedazione per colonscopia
E’ fortemente raccomandata la sedazione /analgesia in corso di colonscopia,
che può essere un esame doloroso e stressante per il paziente.
La sedazione/analgesia, se ben condotta, garantisce inoltre una più facile ed
accurata esecuzione della procedura.
Al fine di ridurre l’incidenza di eventi avversi è necessaria una attenta ed accurata valutazione complessiva del paziente stesso, mediante la raccolta
dell’anamnesi e l’individuazione di condizioni di rischio.
E’ altresì mandatorio un continuo monitoraggio del paziente durante la sedazione/analgesia, verificando con periodicità ravvicinata il livello di coscienza, controllando ventilazione ed ossigenazione (monitoraggio
pulsossimetrico senza esclusione degli allarmi acustici) e monitorando i parametri emodinamici.
Relativamente alla “sedazione cosciente” è raccomandata la somministrazione e.v di midazolam (2-4 mg) ed eventualmente di petidina alla dose di
25-75 mg o di farmaci equivalenti. Nel caso di “sedazione profonda “ con
propofol è raccomandata la presenza dell’anestesista.
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto
5.1 Diagnostica per immagini
Valutazione della risposta
alla terapia (RT / RT + CHT)
5.1 Diagnostica per immagini
Indicazione
Metodica
Commento
Diagnosi
Colonscopia
Metodica di scelta. Consente identificazione e caratterizzazione bioptica.
Colonscopia virtuale (in caso di indisponibilità: Da effettuarsi in caso di colonscopia incompleta o non effettuabile.
clisma a d.c.)
Stadiazione T
Ecografia con sonda trans-rettale o Eco-endoscopia
RM
TCMS
Stadiazione N/M
E’ la metodica più accurata per la stadiazione dei tumori superficiali (T1/T2).
Scarsa accuratezza per la stadiazione dei tumori invasivi (T3/T4) e per la valutazione del margine di resezione circonferenziale.
Non eseguibile nel caso di tumori stenosanti il lume. Difficoltosa valutazione dei
tumori del retto alto.
Il gold standard ad oggi è lo studio utilizzando bobine “phased-array”.
E’ la metodica più accurata nel caso di tumore con infiltrazione extra-parietale
per la valutazione del margine di resezione circonferenziale. Può stratificare il rischio dei pazienti a seconda della profondità di infiltrazione del tessuto adiposo
mesorettale.
Può essere utilizzata per la stadiazione locale solo nel caso di tumori del retto
medio-alto.
Risoluzione di contrasto insufficiente per i tumori del retto medio-basso.
Ecografia con sonda trans-rettale
Eco-endoscopia
Ecografia addominale
Limitata per la valutazione dei linfonodi perirettali.
Possibilità di bioptizzare le lesioni linfonodali sospette (Esame di II livello).
Non si raccomanda come esame di staging.
TCMS
Ha una sensibilità elevata per linfonodi delle dimensione maggiore di 8 mm.
Molto meno accurata per linfonodi di dimensioni minori.
Ai fini della valutazione del parametro N tutte le indagini radiologiche a oggi disponibili presentano limitazioni essendo la diagnosi basata su criteri dimensionali.
La TCMS consente una rapida e accurata valutazione di metastasi a distanza
epatiche e polmonari.
RM
Ha una sensibilità elevata per linfonodi delle dimensione maggiore di 8 mm.
Molto meno accurata per linfonodi di dimensioni minori.
Ai fini della valutazione del parametro N tutte le indagini radiologiche a oggi disponibili presentano limitazioni essendo la diagnosi basata su criteri dimensionali.
Consente la valutazione di eventuali metastasi epatiche. Da utilizzarsi in caso di
lesione epatica dubbia alla TCMS.
SCINTIGRAFIA OSSEA
Metodica che evidenzia precocemente le lesioni scheletriche. Non indicata routinariamente nello staging.
PET-TC
Metodica che consente la valutazione delle metastasi a distanza (parametro M) e
l’interessamento linfonodale di malattia (parametro N). La metodica trova una limitazione nelle forme istologiche di tipo mucinoso. Non indicata routinariamente
nello staging.
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138
Ruolo dell’imaging controverso
Rettoscopia
Viene utilizzata per valutare la riduzione dell’estensione endoluminale della lesione
Ecografia endocavitaria / Ecoendoscopia
L’ecografia, non avendo un valore diagnostico nella stadiazione delle lesioni localmente avanzate (T3 e oltre), suscettibili di trattamento neo-adiuvante, non è raccomandata per la valutazione della risposta.
Eco-endo: utile per bioptizzare le lesioni linfonodali sospette (esame di II livello).
TCMS
Valutazione variazione volumetrica della neoplasia.
RM
Esame di I scelta.
La RM è superiore alla TCMS nell’individuare e localizzare il residuo macroscopico,
ma senza differenziare fibrosi con cancro residuo dalla fibrosi senza cancro residuo.
PET-TC
Utilità nella routine ancora da validare negli studi clinici.
5.2 Esami di Follow-Up post-operatorio
Rettoscopia
Timing: si raccomanda ogni 6 mesi nei primi 2 anni, poi con frequenza annuale fino a 5 anni.
Colonscopia
Timing: al 1° anno se non eseguita precedentemente, altrimenti al 3° anno; se negativa ogni 3 anni.
TCMS
Esame di I scelta per il F/U post-operatorio. Studio Torace-addome-pelvi;
Timing: una volta all’anno per almeno 5 anni.
Rx Torace
Non raccomandato.
Ecografia
Non raccomandata. Utile per la sola ricerca di metastasi epatiche, in Pz a basso rischio e adeguatamente valutabili.
RM
Fegato: in caso di lesione epatica dubbia alla ecografia e/o TCMS. Particolarmente utile in caso di fegato marcatamente
steatosico, dove la TCMS ha un valore diagnostico limitato.
Pelvi: utile in caso di dubbio alla TC pelvi.
PET-TC
Indicata nel caso di un rialzo dei marcatori in presenza di indagini strumentali negative o dubbie e nella diagnosi differenziale fra recidiva locale e fibrosi.
5.3 Esami minimali di stadiazione
La stadiazione deve sempre comprendere un esame clinico completo, inclusa l’esplorazione rettale, una colonscopia ed una TC multistrato estesa al
torace all’addome ed alla pelvi con mdc.
Nei casi in cui vi sia una stenosi del retto non superabile con lo strumento
può essere sufficiente la sola rettoscopia. Vi sono poi esami strumentali che
hanno una loro indicazione preferenziale a seconda dell’estensione iniziale
della malattia.
• Stadi iniziali: eco-transrettale o eco-endoscopia
• Malattia localmente avanzata: RM pelvica
• PET/TC e Scintigrafia Ossea solo in presenza di sintomi o rilevanti dubbi
diagnostici.
6. Terapia delle neoplasie rettali non metastatiche
Dal punto di vista diagnostico e terapeutico, il carcinoma del retto medio e
basso, cioè extraperitoneale (normalmente fino a 11-12 cm dal margine
anale) presenta delle peculiarità che lo distinguono nettamente dal carcinoma del colon, mentre l’approccio al carcinoma del retto alto non si differenzia sostanzialmente da quello del sigma.
La chirurgia del carcinoma del retto medio-basso presenta delle difficoltà
tecniche al punto che in alcuni paesi europei e nord-americani essa viene demandata a centri specialistici. I cardini di questa chirurgia, al momento attuale, riguardano: l’escissione totale del mesoretto, nota come total
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mesorectal excision (TME), nei limiti del possibile la conservazione dell’innervazione simpatica e parasimpatica, detta anche nerve-sparing technique, il margine di sezione distale alla neoplasia libero da neoplasia.
I principali interventi chirurgici per il carcinoma del retto medio-basso
sono: la resezione anteriore (bassa) del retto (con o senza stomia derivativa)
e ricostruzione con anastomosi colo-rettale bassa o colo-anale, l’amputazione addomino-perineale (intervento di Miles), e la escissione locale.
La procedura laparoscopica deve ancora essere validata dal punto di vista
oncologico, ma fattibilità, bassa morbilità e qualità di vita postoperatoria sono
139
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
ampiamente dimostrate e pongono questa opzione in forte competizione con
la tecnica tradizionale.
La procedura robotica è invece ancora alla fase di studi di fattibilità. Una stomia cautelativa è caldeggiata nei pazienti trattati dopo radiochemioterapia
neoadiuvante.
La valutazione istologica del pezzo operatorio deve fornire dei criteri diagnostici minimi (da riportare sempre nel referto): istotipo, grado di differenziazione, livello di infiltrazione della parete e eventuale infiltrazione della
sierosa, e del grasso periviscerale, la distanza dei margini di resezione prossimale, distale, numero di linfonodi esaminati e numero di linfonodi metastatici, presenza/assenza di invasione vascolare e/o linfatica. Nei tumori del
retto in particolare deve essere indicata anche l’integrità della fascia mesorettale e la distanza del margine di resezione radiale dalla neoplasia espressa
in mm.
Nei pazienti trattati con terapia neo-adiuvante dovrebbe essere riportato il
grado di regressione tumorale (TRG). Nel caso dei tumori del retto deve essere sempre eseguita una stadiazione integrata prima di qualsiasi procedura
terapeutica, escluse ovviamente le situazioni di emergenza per occlusioni e
sanguinamenti.
La tipologia e la sequenza delle terapie adiuvanti alla chirurgia (radioterapia
e chemioterapia) variano secondo lo stadio della malattia, la posizione del tumore e le condizioni cliniche del paziente.
6.1 Trattamento degli stadi iniziali
Si definisce stadio iniziale un paziente affetto da una lesione del retto stadio
I.
Attualmente, possiamo annoverare tre opzioni chirurgiche curative maggiori:
escissione locale, chirurgia addominale con preservazione sfinteriale
(“sphincter-saving“) e la resezione addominoperineale (“abdominoperineal
resection” - APR).
I candidati ideali per la escissione includono quei pazienti affetti da piccole
lesioni T1 (invasione soltanto della submucosa) e lesioni T2 (invasione della
muscularis propria). Probabilmente i pazienti con lesioni T2 non dovrebbero
essere sottoposti alla sola procedura chirurgica: la recidiva locale è infatti
elevata.
Ci sono tre approcci differenti per l’escissione locale del cancro rettale: transanale, transcoccigeale, e trans-sfinterica. Quest’ultimo è stato associato a
incontinenza fecale secondaria a disfunzione sfinteriale, e ciò ha fatto ridurre
di molto il numero di esecuzioni di tali procedure. Recentemente, una nuova
tecnica, la microchirurgia endoscopica transanale (“Transanal Endoscopic
Microsurgery” - TEM), rappresenta una opzione mini-invasiva per l’escissione locale capace di aggredire lesioni rettali prossimali che non sono accessibili per via transanale, transsfincterica, o transcoccigeale.
In contrasto ai risultati favorevoli, questa tecnica relativamente nuova non ha
ottenuto grande popolarità a causa del costoso equipaggiamento, della
scarsa familiarità con il setup, e la complessità del sistema operativo della
TEM stessa.
Il sistema radiante endocavitario per contatto (“Endocavitary Contact Radiation therapy” - ECR) è un trattamento mini-invasivo i cui risultati sono comparabili con i rilievi di radicalità oncologica di altre terapie locali per le
neoplasie rettali T1 e T2 stadiate con ERUS. A causa della possibilità di non
ricorrere alla anestesia generale, l’ECR è un’attraente opzione per i pazienti
fragili.
I dati clinici che comparano la chirurgia radicale agli approcci locali per early
CRC sono eterogenei a causa della selezione dei pazienti, dei disegni degli
studi e riguardo l’uso di terapia adiuvante e/o neoadiuvante.
Pagina
I tassi di recidiva sono elevati nei pazienti sottoposti a escissione locale o a
ECR, che dovrebbe essere riservata a neoplasie a basso rischio ed in quei pazienti che accettino una probabilità aumentata di recidiva neoplastica e accettino di sottoporsi ad un periodo prolungato postoperatorio di sorveglianza
oncologica; in questi casi un ruolo importante è giocato dalla chirurgia di
“salvataggio”.
Per i pazienti con tumore rettale T1, la selezione per l’escissione locale è
consigliata per lesioni piccole, di basso grado, distali e senza evidenza di invasione linfovascolare.
Dunque, la decisione riguardo l’escissione locale versus la resezione standard in questa popolazione di pazienti richiede un’analisi individualizzata dei
rischi e dei benefici.
Per i pazienti con neoplasie T2, la selezione per l’escissione locale è estremamente ristretta dai fattori e dagli indicatori di rischio correlati ai pazienti
ed al tumore.
Nei casi di tumore del retto agli stadi iniziali (early cancer) T1 e T2 N0 M0,
il trattamento radioterapico adiuvante o neoadiuvante ad una chirurgia locale
(local excision), +/- eventualmente associato a trattamento chemioterapico
concomitante, dovrebbe essere indicato solo per i casi che non possono essere sottoposti per controindicazioni cliniche ad una chirurgia radicale o che
rifiutino espressamente quest’ultima.
I trattamenti di radioterapia a fasci esterni adiuvanti ad una local excision,
possono avere un ruolo:
• Nei pT1 con fattori patologici avversi (margini chirurgici positivi, tumore
poco differenziato, invasione linfo-vascolare).
• Nei pT2 con assenza di fattori patologici avversi (margini chirurgici positivi, tumore poco differenziato, invasione linfo-vascolare). In questo
caso comunque si deve accettare un rischio di fallimento loco regionale
che si attesta tra il 18-25%.
I trattamenti di radioterapia neoadiuvanti seguiti da una local excision possono avere un ruolo:
• Nei cT2
Nei casi in cui non è possibile eseguire trattamenti di radio chemioterapia a
frazionamenti convenzionali, può essere somministrato un trattamento ipofrazionato (short course) di sola radioterapia.
Sintesi
Principi di tecnica chirurgica
• Escissione transanale: criteri < 30% della circonferenza enterica, diametro massimo (< 3 cm), margini liberi (> 0.3 cm), mobile (non fisso ai
piani profondi), entro gli 8 cm dalla rima anale, T1, T2, assenza di invasione linfovascolare o perineurale, ben differenziato, adeguata identificazione rettale.
• Resezione transaddominale: resezione addominoperineale o resezione
anteriore bassa o anastomosis coloanale usando l’escissione mesorettale totale, affinchè si riduca il tasso di margini radiali positivi ed si esegua una completa mobilizzazione rettale.
Cancro Distale del Retto: T1
• Escissione locale
• Resezione radicale, se fattori istopatologici sfavorevoli
• La radio(chemio) terapia postoperatoria non è generalmente indicata.
Cancro Distale del Retto: T2
• Resezione radicale senza terapia adiuvante (scelta raccomandata)
• Escissione locale con terapia radio(chemio)terapia preoperatoria o postoperatoria (in base a presentazioni cliniche particolari e/o rifiuto del
paziente alla chirurgia maggiore).
Cancro Medio del Retto: T1
140
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto
Figura 1. Trattamento degli stadi iniziali
Stadio
clinico
cT1, N0
Trattamento
primario
Escissione
transanale
se possibile
Trattamento adiuvante
(6 MO trattamento perioeratorio consigliato)
T1, NX;
Margini negativi
T1, NX con
caratteristiche
ad alto rischio
o T2, NX
Attesa
Resezione
Chirurgica
addominale
pT1-2,
N0, M0
pT3, N0, M0
o
pT1-3, N1-3
O
5-FU± leucovorina o poi 5-FUic/RT
o 5-FU a bolo + leucovorina/RT o
capecitabina RT, poi 5-FU ± leucovorina
o
5-FUic/RT o 5-FU a bolo +
leucovorina/RT o capecitabina/RT,
seguita da 5-FU ± leucovorina
Nei pazienti con pN+ si suggerisce
l’impiego dell’oxaliplatino
cT1-2,
N0
Resezione
chirurgica
addominale
pT1-2,
N0, M0
pT3, N0, M0
o
pT1-3, N1-3
SC
Attesa
5-FU± leucovorina o poi 5-FUic/RT o 5-FU a bolo + leucovorina/RT
o capecitabina RT, poi 5-FU ± leucovorina
o
5-FUic/RT o 5-FU a bolo + leucovorina/RT o capecitabina/RT,
seguita da 5-FU ± leucovorina
Nei pazienti con pN+si suggerisce l’impiego dell’oxaliplatino
• Escissione locale (es.: TEM)
• Resezione radicale, se fattori istopatologici sfavorevoli
• La radio(chemio) terapia postoperatoria non è generalmente indicata.
Cancro Medio del Retto: T2
• Resezione radicale senza terapia adiuvante (scelta raccomandata)
• Escissione locale con terapia radio(chemio)terapia preoperatoria o postoperatoria (in base a presentazioni cliniche particolari e/o rifiuto del
paziente alla chirurgia maggiore).
Cancro Prossimale del Retto: T1 e T2
• Resezione radicale, usualmente una resezione anteriore bassa.
6.2 Trattamento della malattia localmente avanzata.
Comprende il trattamento di neoplasie che alla stadiazione clinica hanno una
estensione extraparietale o che coinvolgono i linfonodi regionali, senza infiltrare organi pelvici al punto tale da impedire una resezione chirurgica radicale (T3 N0, T4 resecabile ogni N, ogni T N+) in assenza di metastasi a
distanza (M0).
Nei tumori a sviluppo extraperitoneale (retto medio-inferiore) è indicata la
radioterapia preoperatoria.
La radioterapia pre operatoria è dunque raccomandata nei pazienti con carcinoma del retto extraperitoneale localmente avanzato.
Sono utilizzate due modalità di trattamento radioterapico preoperatorio:
• una prevede la combinazione di radioterapia per circa 5-6 settimane con
dosi convenzionali (1.8-2 Gy) combinata con il 5FU in infusione continua
• l’altra prevede la sola radioterapia per 5 giorni precedenti la chirurgia con
dosi singole elevate (5Gy).
Pagina
Dall’analisi dei singoli studi randomizzati, non vi è evidenza di differenza
della riduzione dell’incidenza di recidive locali tra un regime ipofrazionato
seguito da chirurgia immediata ed un regime radiochemioterapico seguito da
chirurgia posticipata.
Una recente pooled analisi dei dati degli studi randomizzati ha mostrato un
beneficio in sopravvivenza per la radiochemioterapia.
La radiochemioterapia pre-operatoria è in grado di determinare down-staging della neoplasia rettale con la completa negativizzazione del pezzo operatorio in percentuali variabili dal 10 al 25%, e facilita l’esecuzione degli
interventi di salvataggio degli sfinteri (con conseguente riduzione degli interventi di resezione addomino-perineale, soprattutto nei pazienti con lesioni
del retto basso non candidabili a escissione locale).
Nei casi con coinvolgimento della fascia mesorettale (CRM+) o cT4 un sovradosaggio sul T ha evidenziato percentuali elevate (> 80%) di resecabiltà
R0 in studi di fase II di radiochemioterapia preoperatoria.
Un ruolo può avere l’impiego della capecitabina in sostituzione dell’infusione
di 5FU in pazienti con controindicazioni al posizionamento di CVC.
I trattamenti polichemioterapici associati alla radioterapia devono, allo stato
attuale, essere limitati a protocolli di ricerca, in assenza di studi randomizzati che ne dimostrino la superiorità rispetto all’impiego del solo 5FU/folato.
Si consiglia la valutazione della risposta della neoplasia dopo il trattamento
preoperatorio radiochemioterapico al fine di pianificare in maniera appropriate il successivo intervento chirurgico.
Gli esami di imaging dovranno essere gli stessi condotti per la stadiazione iniziale di T e N.
Nei casi di risposta clinica completa è possibile avviare i pazienti a studi di
conservazione dell’organo, che prevedono l’escissione locale della cicatrice
141
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
residua o la sola osservazione.
Tra il termine del trattamento chemio-radiante e la chirurgia devono intercorrere non meno di 4 settimane e non più di 8-10 settimane.
Nei pazienti sottoposti a trattamento radiochemioterapico pre-operatorio può
essere valutato l’impiego di un trattamento adiuvante dopo l’intervento di
resezione, anche se non ci sono sicure evidenze di un benefico della chemioterapia basata su 5FU sia la base di singoli studi randomizzati; la scelta
spetta al clinico e alla paziente (l’uso di modelli matematici sembra quantificare meglio il rischio di ripresa di malattia).
Si raccomanda l’introduzione dei pazienti in studi clinici.
I pazienti in stadio II, III che per sottostadiazione iniziale non avessero effettuato trattamento pre-operatorio sono candidati a radiochemioterapia adiuvante (irradiazione con 45-50 Gy associata a schemi di chemioterapia basati
sul 5FU).
Sintesi
Stadio II-III (T3-4[resecabile] N0-2, T1-2N1-2, M0)
Cancro del Retto Distale e Medio cT3, CRM–, N0:
• la radiochemioterapia (45-50 Gy + 5FU infusione o capecitabina) seguita dopo 8-10 settimane da chirurgia
• la radioterapia preoperatoria (5Gy x 5gg) seguita da chirurgia immediata
• in caso di risposte maggiori dopo trattamento radiochemioterapico la
conservazione d’organo (escissione locale, wait and see) può essere
praticata solo all’interno di studi clinici
• la chemioterapia adiuvante può essere valutata. Si raccomanda l’introduzione dei pazienti in studi clinici.
Cancro del Retto Distale e Medio cT3, CRM-, N+:
• la radiochemioterapia (50 Gy + 5FU infusione o capecitabina) seguita
dopo 8-10 settimane da chirurgia
• in caso di risposte maggiori dopo trattamento radiochemioterapici la
conservazione d’organo (escissione locale, wait and see) può essere
praticata all’interno di studi clinici
• la chemioterapia adiuvante può essere valutata. Si raccomanda l’introduzione dei pazienti in studi clinici.
Cancro del Retto Distale e Medio cT3 CRM+ o cT4 resecabile:
• la radiochemioterapia (45-50 Gy sulla pelvi, con possibile sovradosaggio fino a 55 Gy di dose totale sul T, + 5FU infusione o capecitabina) seguita dopo 8-10 settimane da chirurgia
• in caso di risposte maggiori dopo trattamento radiochemioterapici la
conservazione d’organo (escissione locale, wait and see) può essere
praticata all’interno di studi clinici
• la chemioterapia adiuvante può essere valutata. Si raccomanda l’introduzione dei pazienti in studi clinici.
Cancro del Retto Distale e Medio pT3-4 o pN+:
• questa situazione si può verificare solo per sottostadiazione diagnostica,
perché altrimenti il trattamento radio(chemio)terapico deve precedere
la chirurgia
• radiochemioterapia secondo la successione: chemioterapia 2 mesi
(5FU/Folato), radio chemioterapia /45-50 Gy + infusione di 5FU o capecitabina), 2 mesi (5FU/Folato)
• particolare attenzione va posta alla valutazione della presenza di anse intestinali nello scavo pelvico postoperatorio, condizione che controindicherebbe il trattamento radioterapico.
Cancro del Retto Prossimale:
• Il trattamento preoperatorio radio(chemio)terapico va eseguito nelle modalità precedentemente indicate quando il polo inferiore della lesione
arriva al terzo medio o la lesione sia CRM+ posteriormente o cT4(per
infiltrazione di organi pelvici ma non per infiltrazione del tenue, nel qual
caso va eseguita immediatamente la chirurgia)
6.3 Lesioni non resecabili
Comprendono neoplasie che alla stadiazione clinica infiltrano organi pelvici
non consentendo una resezione chirurgica radicale (T4 [non resecabile], M0).
Il trattamento radiochemioterapico è raccomandato, seguito da chirurgia allargata all’organo pelvico infiltrato alla diagnosi, da eseguire preferibilmente
anche quando si è di fronte ad una riduzione della neoplasia rispetto alla sua
estensione precedente il trattamento radiochemioterapico.
Sintesi
Stadio III (T4[ non resecabile], M0)
• la radiochemioterapia (45-50 Gy sulla pelvi, con sovradosaggio fino a
55 Gy di dose totale sul T, + 5FU infusione o capecitabina) seguita dopo
8-10 settimane da chirurgia
• in caso di risposte maggiori dopo trattamento radiochemioterapici l’organo infiltrato prima del trattamento neoadiuvante va comunque rimosso
• la chemioterapia adiuvante deve essere somministrata
Trattamento
primario
T3,N0
5FUic/RT
o capecitabina/RT
o 5x5
T qualsiasi,
N1-2
5FUic/RT
o capecitabina/RT
T4 e/o
non resecabile
5FUic/RT
o capecitabina/RT
Trattamento adiuvante
(6 mesi trattamento
perioperatorio consigliato)
De Gramont/capecitabina
o
FOLFOX/XELOX
Resezione
Chirurgica
addominale
Resezione,
se possibile
Pagina
7. Trattamento della malattia metastatica
Circa il 20% dei pazienti con carcinoma del retto presenta malattia metastatica alla diagnosi ed il 35% dei pazienti trattati con intento curativo svilupperà delle metastasi. La terapia dei malati con carcinoma del retto in fase
avanzata deve essere concepita come una strategia globale e non più come
semplici linee di trattamento (continuum care). In questa logica va collocata
la chirurgia, quando possibile, e periodi di momentanea interruzione della
terapia medica o di mantenimento con farmaci biologici. Questa strategia
deve essere governata dai risultati scientifici, dall’esperienza e dagli obiettivi che si vogliono raggiungere nelle varie fasi della malattia.
Gli obiettivi del trattamento nei pazienti con malattia metastatica possono
essere:
• la cura (possibile solo in un numero limitato di casi)
• il prolungamento della sopravvivenza
• la palliazione dei sintomi
• il miglioramento della qualità della vita
• il ritardo della progressione della malattia
• la riduzione delle dimensioni della neoplasia.
In considerazione delle varie terapie attualmente disponibili, la strategia clinica nei pazienti con neoplasia avanzata non resecabile deve tenere conto
di quale sia il principale obiettivo del trattamento: potenzialmente curativo o
palliativo. E quindi è possibile identificare 3 scenari clinici con 3 diversi approcci:
1) pazienti con malattia disseminata limitata ma non resecabile (situazione
potenzialmente curabile): uso di terapie ad alta percentuale di risposta
per “convertire”la malattia in resecabile (concetto di “conversion therapy”)
2) pazienti sintomatici con qualità di vita e prospettive di sopravvivenza
compromesse dalla malattia (situazione palliativa): uso di terapie che
consentano un rapida riduzione della massa tumorale
3) pazienti asintomatici (situazione palliativa): uso di una strategia che preveda un trattamento sequenziale con i vari farmaci a disposizione con attenzione alla tossicità (concetto di “continuum of care”).
7.1 Terapia medica
(chemioterapia e farmaci biologici)
Figura 2. Terapia della malattia localmente avanzata e delle lesioni non resecabili
Stadio
clinico
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto
Qualsiasi
pT
142
De Gramont/capecitabina
o
FOLFOX/XELOX
La terapia medica, mediante l’utilizzo della chemioterapia e dei farmaci biologici, risulta efficace nel prolungare la sopravvivenza (OS), il tempo libero da
progressione (PFS) e la qualità di vità (QoL) dei pazienti con tumore avanzato
o metastatico. Attualmente la sopravvivenza globale oscilla intorno ai 25
mesi.
La disponibilità di diversi farmaci efficaci e la dimostrazione che la sopravvivenza è correlata all’impiego di tutti i chemioterapici attivi nel corso della
malattia rende giustificato l’utilizzo della chemioterapia anche in linee successive alla prima nei pazienti in buone condizioni generali. La somministrazione del trattamento alla diagnosi presenta dei vantaggi rispetto alla
somministrazione al momento della comparsa dei sintomi sia in termini di sopravvivenza che di qualità della vita (Livello di evidenza I).
I farmaci che hanno dimostrato utilità nel trattamento della malattia avanzata
sono le fluoropirimidine sia orali che endovenose, l’irinotecan, l’oxaliplatino,
gli anticorpi monoclonali anti-VEGF (bevacizumab) e anti-EGFR (cetuximab e
panitumumab).
Le associazioni di 5FU (preferibilmente somministrato per via infusionale) e
Pagina
acido folinico con oxaliplatino (FOLFOX) o irinotecan (FOLFIRI) sono da impiegare in tutti i pazienti in grado di essere trattati con una polichemioterapia. Non esiste differenza tra l’impiego in prima linea di una combinazione
rispetto all’altra, mentre differente è il profilo di tollerabilità.
Nei pazienti non suscettibili di una polichemioterapia o nell’ottica di una strategia sequenziale il farmaco di scelta è il 5FU preferibilmente somministrato
in infusione continua ed associato ad acido folinico.
La capecitabina può sostituire la monoterapia con 5FU + acido folinico producendo risultati sovrapponibili ma con diversi aspetti di tossicità (hand- foot
syndrome, diarrea, mucosite).
Allo stato attuale l’uso della capecitabina in combinazione con oxaliplatino
può sostituire i regimi infusionali. La sua associazione con irinotecan deve essere impiegata, con attenzione agli effetti collaterali gastrointestinali, solo
nei pazienti in cui esistano controindicazioni all’impiego di regimi infusionali
con 5FU e all’impianto di un catetere venoso centrale.
Il regime a tre farmaci FOLFOXIRI (5-FU/acido folinico infusionale, oxaliplatino, irinotecan) è risultato significativamente superiore in termini di attività,
di prolungamento del tempo a progressione e della OS rispetto al regime a
due farmaci FOLFIRI ottenendo un’elevata percentuale di resezioni epatiche
R0 in pazienti inizialmente non suscettibili di chirurgia.
Bevacizumab (anticorpo monoclonale anti-Vascular Endothelial Growth Factor) può essere considerato in associazione alla chemioterapia con Fluorouracile ± CPT-11 nei pazienti non pre-trattati. Tale trattamento è superiore in
termini di sopravvivenza rispetto alla sola combinazione tra 5FU e Irinotecan
e può essere considerato di prima scelta in pazienti in buone condizioni generali senza controindicazioni, K-ras mutati. Bevacizumab è efficace in prima
linea anche in associazione a regimi contenenti oxaliplatino anche se il beneficio è limitato. L’attività della combinazione di FOLFOX e bevacizumab in
seconda linea è stata documentata nello studio E3200, inoltre due studi di
fase IV, lo studio BRITE e lo studio BEAT, hanno confermato l’attività del bevacizumab anche in linee successive alla prima. ABevacizumab può essere
impiegato in seconda linea nei pazienti che non lo abbiano impiegato in prima
linea.
L’associazione di capecitabina e bevacizumab può rappresentare la prima
linea in quei pazienti con malattia non resecabile paucisintomatica, nell’ottica di una strategia sequenziale.
Un mantenimento con solo bevacizumab può essere considerato in quei pazienti che presentano una risposta al trattamento chemio-immunoterapico
dopo il completamento della chemioterapia.
Bevacizumab è controindicato in pazienti con ipertensione non controllata,
diatesi emorragica; il suo utilizzo va attentamente valutato nei pazienti con
precedenti eventi atero-embolici.
Cetuximab (anticorpo monoclonale anti-Epidermal Growth Factor - Receptor)
può essere impiegato in pazienti EGFR + e K-ras non mutato (WT wild type),
indipendentemente dalla linea di trattamento, sia in associazione a regimi
con irinotecan ± fluoropirimidine, sia in monoterapia nei pazienti pretrattati
con intolleranza ad irinotecan. Meno consistenti sono i dati relativi all’associazione del cetuximab con l’oxaliplatino, mentre dati recenti non sembrano
suggerire l’utilizzazione del cetuximab in associazione alle sole fluoropirimidine. L’associazione FOLFIRI + cetuximab per l’elevata attività in termini di
risposte va consigliata nei pazienti con malattia potenzialmente resecabile Kras WT.
Panitumumab (anticorpo monoclonale anti-Epidermal Growth Factor - Re-
143
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
ceptor) può essere al momento impiegato in monoterapia in pazienti EGFR+
e K-ras WT sottoposti a precedenti trattamenti chemioterapici comprensivi
di irinotecan e oxaliplatino che non abbiano precedentemente impiegato cetuximab, o in pazienti che hanno sospeso cetuximab, in assenza di progressione, per reazioni avverse.
Allo stato attuale non devono essere utilizzate combinazioni di più farmaci
biologici con o senza CT.
In caso di malattia a lenta aggressività può essere considerato l’impiego di
una strategia sequenziale e la possibilità di prevedere delle pause nel trattamento, allo scopo di ridurre la tossicità e migliorare la QoL.
In caso di malattia aggressiva o nell’intento di convertire una malattia inizialmente inoperabile può essere considerata una combinazione comprendente la doppietta con il biologico o la tripletta (FOLFOXIRI). I regimi e le
sequenze ottimali di trattamento sono ancora in ampia misura da definire: per
tale motivo tutti i pazienti eleggibili dovrebbero essere preferibilmente inseriti in trial clinici.
7.2 Fattori predittivi di risposta
La disponibilità di farmaci biologici ad attività target ed i miglioramenti della
biologia molecolare consentono di ipotizzare il riconoscimento dei pazienti
potenzialmente responsivi al trattamento.
I dati attualmente disponibili non evidenziano fattori predittivi di risposta per
i chemioterapici né per gli anti-VEGF. Per quanto riguarda gli anti-EGFR sono
invece disponibili numerosi dati, tutti retrospettivi, relativi all’inutilità della
determinazione immunoistochimica del recettore EGFR. Esistono poi altri
dati, per lo più retrospettivi, relativi alle mutazioni di K-Ras. La presenza di
una mutazione di K-Ras, solitamente nei codoni 12 e 13, condiziona la assenza di risposta ai farmaci anti-EGFR, Cetuximab e Panitumumab, ed alcuni studi evidenziano addirittura un possibile effetto detrimentale
dell’impiego di tali farmaci nei pazienti mutati. In contrapposizione a ciò, la
selezione dei pazienti basata sull’assenza di mutazione di K-Ras (K-Ras Wild
Type WT) determina un miglioramento di tutti i parametri di efficacia (RR,
PFS e OS) rispetto al trattamento di pazienti non selezionati e comporta benefici anche in termini economici, per il minor numero di pazienti sottoposti
al trattamento.
Inoltre la selezione dei pazienti consente di evitare tossicità inutili legate all’impiego in un gruppo di pazienti sicuramente non responsivi.
Altri fattori predittivi sono in studio (B-raf, p-ten, PIK3CA) ma il loro ruolo
deve ancora essere definito.
Lo stato mutazionale di K-Ras deve essere determinato ogni qualvolta la
strategia terapeutica preveda il possibile impiego di farmaci anti-EGFR. L’impiego di anti-EGFR è da evitare in tutti i pazienti K- Ras mutati.
L’uso di altri fattori predittivi è al momento da riservarsi ai soli studi clinici.
7.3 Trattamento chirurgico della malattia avanzata
L’opzione chirurgica è proponibile anche nella malattia avanzata. Vanno valutate per la chirurgia le metastasi a livello epatico, polmonare, ovarico e la
sede primitiva di malattia (qualora non precedentemente rimossa). Anche la
recidiva pelvica può essere considerata una indicazione chirurgica, se unica
sede di malattia e potenzialmente resecabile R0 dopo chemioradioterapia
pre-operatoria.
I pazienti giudicati operabili vanno avviati direttamente alla chirurgia; uno
studio dell’EORTC ha valutato la possibilità di un trattamento chemioterapico pre e post-operatorio nei pazienti candidabili a chirurgia epatica con intento radicale apprezzando un incremento della PFS a 3 anni, non sono
Pagina
ancora tuttavia disponibili i dati sulla sopravvivenza e al momento la chirurgia sembra la soluzione più accreditata in questo subset di pazienti.
In considerazione dell’efficacia delle moderne combinazioni chemioterapiche
l’opzione chirurgica deve essere valutata in tutti i pazienti in cui la chemioterapia abbia ottenuto una riduzione di malattia che ne consenta l’exeresi.
Il trattamento medico va sospeso non appena la malattia risulti resecabile.
La prosecuzione del trattamento dopo tale momento espone il paziente a rischi di tossicità epatica ed aumenta il rischio operatorio.
Il raggiungimento di una remissione completa strumentale non garantisce la
remissione completa patologica e può creare difficoltà al chirurgo nell’individuazione della sede di resezione.
Il numero delle metastasi epatiche non è più riconosciuto come fattore prognostico sfavorevole se l’intervento chirurgico è eseguito da chirurghi esperti.
Il margine di resezione negativo è fattore prognostico favorevole anche se
millimetrico. L’approccio laparoscopico è fattibile anche per resezioni epatiche maggiori, ma solo in centri con adeguata esperienza.
La resezione epatica R0 rappresenta attualmente l’unico mezzo terapeutico
curativo. La resezione epatica R1 può rappresentare una strategia accettabile se in grado di produrre un significativo beneficio al paziente.
Qualora la combinazione impiegata in terapia neo-adiuvante comprenda bevacizumab tale farmaco deve essere sospeso 8 settimane prima della resezione.
Allo stato dell’arte i pazienti con malattia sicuramente resecabile devono essere inviati al chirurgo od a trattamento neoadiuvante in base ad una valutazione multidisciplinare che consideri elementi quali l’intervallo libero dal
precedente trattamento primario.
La resezione chirurgica di metastasi del polmone o dell’ovaio può essere curativa in casi selezionati.
7.4 Chemioterapia dopo resezione radicale
di metastasi epatiche
La possibilità di integrare la resezione radicale di metastasi epatiche con
chemioterapia “adiuvante” con 5FU è stata indagata da diversi studi senza
giungere a conclusioni definitive. I risultati più interessanti sono emersi da
due studi randomizzati che hanno dimostrato un vantaggio dalla combinazione di chemioterapia intra-arteriosa associata a una chemioterapia sistemica. Un singolo studio sembra evidenziare il vantaggio in DFS di un
trattamento pre- e post-operatorio con regime FOLFOX rispetto alla sola chirurgia. Risultati negativi sono invece emersi dall’impiego del regime FOLFIRI
dopo resezione R0.
7.5 Terapie locoregionali
Chemioterapia locoregionale
Non vi è attualmente una chiara evidenza di una maggiore efficacia di questa via di somministrazione rispetto a quella sistemica.
Seppure la percentuale di risposte cliniche osservata con l’impiego della terapia loco-regionale, in alcuni casi, sia più elevata di quella osservata con la
terapia sistemica, l’impatto sulla sopravvivenza risulta essere marginale.
La metodica è, inoltre, gravata da frequenti problemi “tecnici” legati all’impiego di cateteri intrarteriosi e pompe infusionali. Tale trattamento deve
quindi essere riservato a casi selezionati o a studi clinici, in centri con adeguato training.
La chemioterapia intra-arteriosa può essere considerata nell’ambito di protocolli di ricerca o in pazienti selezionati. Tale metodica deve essere effettuata
da personale con adeguata preparazione.
144
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto
Ablazione termica
L’ablazione di metastasi usando le radiofrequenze si è dimostrata un metodo efficace che induce una necrosi coagulativa mediante effetto termico.
È una tecnica minimamente invasiva i cui potenziali benefici includono la
possibilità di effettuazione per via percutanea e la possibilità di effettuazione
ambulatoriale, oltre alla facilità di controllo strumentale dell’efficacia. La metodica può essere effettuata anche per via laparoscopica. Le casistiche disponibili sono però ancora limitate e la procedura deve essere limitata a casi
selezionati in attesa di studi clinici che valutino il significato terapeutico della
metodica e la sua integrazione con gli altri trattamenti. La termoablazione con
radiofrequenze non può essere sostitutiva della chirurgia e/o della chemioterapia.
Radioterapia stereotassica
La radioterapia stereotassica su singole lesioni metastatiche può essere proposta in pazienti non candidabili a resezione chirurgica. È una tecnica non invasiva di effettuazione ambulatoriale. Le casistiche disponibili sono però
ancora limitate e la procedura deve essere limitata a casi selezionati in attesa di studi clinici che valutino il significato terapeutico della metodica e la
sua integrazione con gli altri trattamenti. La radioterapia stereotassica non
può essere sostitutiva della chirurgia e/o della chemioterapia.
Radioembolizzazione
La radioembolizzazione epatica con sfere di Yttrio 90 può essere proposta in
pazienti con esclusiva malattia epatica, con PS conservato, non suscettibili
di ulteriori trattamenti antineoplastici. La sua utilizzazione in associazione
alla chemioterapia è attualmente fattibile solo nell’ambito di studi clinici. Le
casistiche sono al momento limitate e i pazienti vanno indirizzati in centri
specializzati e con esperienza nei confronti di tale trattamento.
7.6 Trattamento della malattia metastatica
nell’anziano
In presenza di malattia metastatica i regimi di associazione di 5-fluorouracile con oxaliplatino o irinotecan hanno mostrato una maggiore attività rispetto alle sole fluoropirimidine anche nel paziente anziano. Una pooled
analysis ed una metanalisi su tre studi randomizzati hanno evidenziato un
lieve incremento dei casi di neutropenia e piastrinopenia G3-4 e della stomatite G3-G4 nei pazienti ultrasettantenni rispetto ai più giovani, senza tuttavia un aumento della mortalità a 60 giorni, ed una sovrapponibile attività
(in termini di RR, OS, PFS).
I regimi di associazione 5fluorouracile-oxaliplatino e 5fluoruracile-irinotecan
possono essere messi in atto anche nel paziente anziano ultrasettantenne
nell’ambito di una valutazione multidimensionale che possa selezionare i
soggetti “fit” e con un attento monitoraggio delle eventuali tossicità.
La capecitabina, analogamente al soggetto non anziano, può essere impiegata in sostituzione del 5FU in presenza di controindicazioni al posizionamento di CVC e di un care-giver attendibile ed in assenza di insufficienza
renale.
L’impiego di anti-VEGF nel paziente ultrasettantenne deve essere valutato
con attenzione per la potenziale maggiore tossicità in termini tromboembolici.
L’impiego di cetuximab sembra sovrapponibile per efficacia e tossicità a
quanto evidenziato nei pazienti non anziani ma i dati preliminari dello studio
CALGB 80203 , che ha valutato l’aggiunta o meno di cetuximab al FOLFOX
e al FOLFIRI, hanno mostrato un aumento della tossicità nei pazienti anziani.
I regimi di associazione 5fluorouracile-oxaliplatino e 5fluoruracile-irinotecan
Pagina
possono essere messi in atto nel paziente anziano ultrasettantenne nell’ambito di una valutazione multidimensionale che possa selezionare i soggetti “fit” e con un attento monitoraggio delle eventuali tossicità.
7.7 Valutazione della risposta al trattamento
Nella malattia avanzata la risposta al trattamento farmacologico viene valutata tramite i parametri codificati dai criteri RECIST utilizzando l’esame clinico e la diagnostica per immagini. Le lesioni misurabili ( dimensioni > 10
mm alla TC in caso di lesioni viscerali) vengono identificate come lesioni Target. Tutte le altre lesioni sono identificate come lesioni non Target. I criteri RECIST codificano 4 tipi di risposta al trattamento come riportato nella legenda
sottostante. La risposta globale al trattamento è definita come la migliore risposta dall’inizio del trattamento fino a progressione o recidiva di malattia.
Valutazione lesioni target
Risposta Completa (CR): scomparsa di tutte le lesioni target.
Risposta Parziale (PR): riduzione di almeno il 30% della somma dei maggior
diametri, prendendo come riferimento la somma basale dei maggior diametri.
Malattia Stabile (SD): riduzione insufficiente per essere qualificata come PR
o incremento insufficiente per essere qualificato come PD, prendendo come
riferimento la somma basale dei maggiori diametri.
Malattia in Progressione (PD): incremento di almeno il 20% nella somma dei
maggior diametri delle lesioni target, prendendo come riferimento la più piccola somma dei maggior diametri registrata dall'inizio del trattamento, o
comparsa di una o più lesioni nuove.
Valutazione lesioni non-target
Risposta Completa (CR): scomparsa di tutte le lesioni non-target e normalizzazione del marker tumorale.
Risposta incompleta/Malattia Stabile (SD): persistenza di una o più lesioni
non-target e/o livelli anormali di marcatore tumorale.
Malattia in Progressione (PD): comparsa di una o più nuove lesioni e/o sicura
progressione delle lesioni non-target esistenti.
Valutazione della miglior risposta obiettiva
La miglior risposta obiettiva è la miglior risposta registrata dall'inizio del trattamento fino alla progressione/recidiva.
Sintesi
La terapia medica effettuata in fase asintomatica risulta più efficace in termini di sopravvivenza e qualità della vita, rispetto a quella eseguita alla comparsa di sintomi (Livello di evidenza I):
• Le associazioni di 5FU (preferibilmente somministrato per via infusionale) e AF con oxaliplatino (FOLFOX) o irinotecan (FOLFIRI) sono da impiegare in tutti i pazienti in condizioni di essere trattati con una
polichemioterapia; in alternativa il farmaco di scelta è il 5FU, preferibilmente somministrato in infusione continua ed associato ad AF. Non esiste differenza tra l’impiego in prima linea di una combinazione rispetto
all’altra. Le fluoropirimidine orali (capecitabina, UFT) possono sostituire
la monoterapia con 5FU + AF. (Livello di evidenza I)
• Allo stato attuale l’uso della capecitabina in combinazione con oxaliplatino (CAPOX) può sostituire i regimi infusionali, mentre la sua associazione con irinotecan (CAPIRI) deve essere impiegata, con attenzione agli
effetti collaterali, solo nei pazienti in cui esistano controindicazioni all’impiego di regimi infusionali con 5FU (livello evidenza II).
145
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
•
•
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
L’associazione di bevacizumab (anti-VEGF) alla chemioterapia con 5FU
o capecitabina e Irinotecano o Oxaliplatino nei pazienti non pre-trattati
è superiore in termini di sopravvivenza rispetto alla sola chemioterapia
e può essere considerata di prima scelta in pazienti senza controindicazioni. Bevacizumab in associazione alla chemioterapia può essere impiegato in seconda linea nei pazienti che non lo abbiano impiegato in
prima linea (livello evidenza II)
Nei pazienti in buone condizioni generali, che sono in progressione di
malattia dopo un precedente trattamento chemioterapico, deve essere
sempre preso in considerazione un trattamento di seconda linea (Livello
•
•
di evidenza I).
I regimi di associazione 5FU-oxaliplatino (FOLFOX) e 5FU-irinotecano
(FOLFIRI) possono essere utilizzati nel paziente anziano ultrasettantenne
dopo una valutazione multidimensionale che possa selezionare i soggetti con buon performance status e con un attento monitoraggio delle
eventuali tossicità (Livello di evidenza II).
Lo stato mutazionale di K-Ras deve essere determinato ogni qualvolta la
strategia terapeutica preveda il possibile impiego di farmaci anti-EGFR.
L’impiego di anti-EGFR è da evitare in tutti i pazienti K- Ras mutati (Livello di evidenza II).
Figura 3. Trattamento della malattia metastatica
Stadio
clinico
Trattamento
primario
UPFRONT chemioterapia
combinata (2-3 mesi)
FOLFIRI o FOLFOX
o CapeOX ± agenti
biologici
Qualsiasi T
e N, M1
Metastasi
sincrone
resecabili
Trattamento adiuvante
Resezione della lesione
rettale e delle metastasi
Considerare 5FUic/RT
o
capecitabina/RT
O
Considerare 5-FUic/RT
o capecitabina/RT
Resezione concomitante della lesione
rettale e delle metastasi
pT1-2, N0, M1
Regime chemioterapico attivo
per la malattia avanzata
pT3-4, qualsiasi N, M1
o
Qualsiasi T, N1-2, M1
FOLFOX o capecitabina ± oxaliplatino
poi 5-FUic/RT o capecitabina/RT, poi
FOLFOX o capecitabina ± oxaliplatino
Resezione della lesione
rettale e delle metastasi
Regime chemioterapico attivo
per la malattia avanzata
O
5FUic/RT
o capecitabina/RT
per il follow-up dei pazienti con cancro del retto: le indicazioni riportate sono
basate sulle linee guida delle principali società scientifiche aggiornate al
2011 (NCI, AIOM, ESMO, ASCO, EURECA).
strutture dove tali competenze sono disponibili. La qualità del trattamento
migliora con l’aumentare del numero di pazienti gestiti.
Di seguito (tabella 1) sono riportati gli schemi relativi agli esami consigliati
Tabella 1. Carcinoma del retto extraperitoneale
1° anno
3
2° anno
6
9
12
3
6
9
3° anno
4° anno
5° anno
12
6
12
6
12
6
Mesi
1
Anamnesi ed esame clinico
x
x
x
x
x
x
x
X
X
X
Markers (CEA, Ca19.9)
x
x
x
x
x
x
x
X
X
X
Rettoscopia
x
x
x
x
X
X
Ecografia epatica
x
X
X
X
X
x
Colonscopia
x*
TC torace/addome/pelvi
x
x
x
12
x
x
x
RM (in caso di dubbio alla TC)
TC-PET con fdg (a giudizio
del clinico)
*se non eseguita prima della chirurgia
N.B:La colonscopia va ripetuta dopo il terzo anno ogni 3 anni
O
Resezione della lesione
rettale e delle metastasi
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto
8. Follow-up dei pazienti con neoplasia del retto
Un programma di follow up viene correntemente applicato nei pazienti con
neoplasie del retto, ma non vi sono inequivocabili evidenze dell’efficacia di
un regime particolarmente intensivo in termini di aumento di sopravvivenza,
proporzione di pazienti ri-operati con intento curativo, QoL, anche se l’ormai
consolidato trattamento combinato chemio-chirurgico dei pazienti oligometastatici favorisce sopravvivenza prolungate, tale da giustificare un FUP intensivo. Le principali finalità del follow-up sono: favorire una diagnosi di
recidiva locale/metastasi in fase precoce, valutare e intervenire in caso di
tossicità tardiva legata ai trattamenti integrati eseguiti, sorvegliare sull’insorgenza di neoplasie metacrone, offrire supporto psicologico ai pazienti
(rassicurazione), in parte contrastato tuttavia dall’effetto opposto di ansia
dell’esame; consentire l’ ‘audit’ (controllo di qualità) delle terapie effettuate.
Gli obiettivi di un programma di follow-up sono rappresentati da:
• identificazione precoce, in fase asintomatica, di recidive locali e/o di metastasi a distanza, nonché di tumori primitivi metacroni;
Pagina
•
•
ottenimento di benefici in termini di sopravvivenza libera da malattia;
mantenimento di una buona QoL e compliance della popolazione sottoposta a follow-up;
• accettabile rapporto costi-benefici.
L’esigenza di coordinamento tra specialisti pone la necessità della costituzione di un gruppo interdisciplinare al quale far afferire i pazienti per la diagnosi ed il trattamento. In queste neoplasie, l’esigenza di coordinamento tra
specialisti è particolarmente rilevante per il carattere multidisciplinare dell’iter terapeutico di molti casi. Si pone, quindi, la necessità della costituzione
di un gruppo interdisciplinare al quale far afferire i pazienti per la diagnosi
ed il trattamento.
E’ consigliata, laddove possibile, la costituzione di tale gruppo con lo scopo
di pianificare e verbalizzare le decisioni diagnostico-terapeutiche di ogni singolo paziente. In assenza di qualcuna delle figure coinvolte nella pianificazione terapeutica dovrebbe essere creata una consulenza sistematica con
146
9. Dotazioni delle unità cliniche e volumi di attività
per accreditamento e definizione di eccellenza
Il gruppo multidisciplinare (Core Team) della patologia neoplastica del retto è
composta da un gruppo di professionisti di diverse specialità (oncologi medici,
radioterapisti, gastroenterologi, chirurghi, anatomopatologi, endoscopisti e radiologi) accreditati come esperti della materia in funzione di:
• comprovata esperienza in materia di patologia colorettale
• numero di casi trattati per anno e tempo dedicato all’assistenza per questa patologia
• regolare partecipazione ad incontri interdisciplinari dedicati alla pianificazione diagnostico-terapeutica dei singoli casi clinici
• regolare aggiornamento professionale specifico e partecipazione ai programmi di assicurazione di qualità.
Professionisti componenti il “Core Team”
• Un Direttore Clinico cui compete la responsabilità organizzativa del Core
Team.
• Chirurghi dedicati, con formazione specifica.
• Radiologi con comprovata esperienza nel campo della dell’“imaging” (Ecografia, TAC, RM) addominale.
• Patologo responsabile con formazione specifica nella diagnosi istologica
e citologica dei tumori del colon-retto e diagnostica molecolare.
• Oncologo Medico con specifica esperienza nel campo dei tumori del colonretto.
• Radioterapista Oncologo con specifica esperienza nel campo dei tumori del
retto.
Pagina
•
•
•
•
Gastroenterologo-endoscopista.
Psicologo con specifica formazione nel campo delle problematiche personali, familiari e sociali riferibili a pazienti con ca del colon-retto, in particolare i colostomizzati.
Un Data Manager responsabile della raccolta e dell’analisi di tutti i dati clinici. Tali dati dovranno essere disponibili per le sessioni periodiche di Audit
Clinico.
Un Amministrativo per il supporto segretariale.
Professionisti che affiancano il “Core Team” ma che non ne fanno parte
(c.d. Consulenti)
• Infermiere esperto nella gestione delle colostomie
• Terapista del dolore
• Un genetista/consulente genetico
• Rappresentante degli ammalati.
Il Core team dovrà produrre percorsi diagnostico-terapeutici scritti per la gestione della malattia in tutti i suoi stadi. Periodicamente tali protocolli dovranno
essere ridiscussi e ove necessario collegialmente modificati. Il “Core Team”
dovrà avere incontri settimanali multidisciplinari per la discussione di tutti i
casi clinici e incontri periodici di Audit Clinico. A tal fine andranno identificati
degli indicatori di processo, di risultato e di qualità del servizio. L’attività di ricerca e l’attività didattica sono parte fondamentale della funzione dell’Unità
Clinica ed il loro monitoraggio sarà oggetto di analisi nell’ambito delle riunioni
di Audit clinico (tabella 2).
147
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Tabella 2. Requisiti minimi (fondo bianco) e criteri di eccellenza (fondo grigio)
Risorse/Procedure
Risorse/Procedure
Numero pazienti
trattati nel 2010
Disponibilità
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up delle neoplasie del retto
Chirurgia: interventi chirurgici per neoplasie del retto in qualsiasi stadio, anche con intento non radicale
Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e 1 dei 2 altri requisiti
Resezione anteriore, Amputazione addominoperineale,
stomia derivativa
20
Resezione anteriore, Amputazione addominoperineale,
stomia derivativa
50 *
Numero pazienti
trattati nel 2010
Disponibilità
Anatomia Patologica
Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e l’altro requisito
Refertazione secondo linee guida validate
20
Refertazione secondo linee guida validate
50 *
Laboratorio di biologia molecolare
Gastroenterologia
La diagnostica può avvalersi di questa risorsa
Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e 1 dei 2 altri requisiti
Microchirurgia Endoscopica Transanale (TEM)
Il trattamento può avvalersi di questa risorsa
Videoendoscopia
20
Resezione laparoscopica
Il trattamento può avvalersi di questa risorsa
Videoendoscopia
50 *
Radioterapia Oncologica
Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e 3 dei 5 altri requisiti
Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore primitivo
con intento radicale o palliativo
15
Mucosectomia e dissezione sottomucosa endoscopica
Il trattamento può avvalersi di questa risorsa
Ecoendoscopia
La diagnostica può avvalersi di questa risorsa
Procedure
Acceleratore lineare
Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa
Simulazione con utilizzo di TC
Idem
Piano di trattamento basato su immagini TC
Idem
Immagini portali settimanali
Per l’eccellenza è necessario soddisfare 2 dei 3 requisiti
Prima visita specialistica
1 settimana dalla diagnosi
Completamento stadiazione
3 settimane dalla prima visita specialistica
Idem
Programmazione terapeutica tramite Gruppo Oncologico
Multidisciplinare
La gestione del paziente si avvale di questa risorsa
Sistemi di immobilizzazione o dislocamento
Idem
Inizio terapia
4 settimane dalla prescrizione del gruppo multidisciplinare
DH
Disponibilità di accesso
Inizio terapia
2 settimane dalla prescrizione
Prenotazione Esami Diagnostici centralizzata
La diagnostica può avvalersi di questa risorsa
La gestione del paziente può avvalersi di questa risorsa
Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore
primitivo con intento radicale o palliativo
35
Radioterapia conformazionale con collimatore multilamellare
Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa
Follow-up tramite Gruppo Oncologico Multidisciplinare
IMRT
Il trattamento può avvalersi di questa risorsa
Attività Scientifica
IGRT
Idem
Disponibilità data center
IORT
Idem
Pubblicazioni
DEGENZE
Disponibilità posti letto sotto la responsabilità
dell’oncologo radioterapista
Pubblicazioni su Riviste Scientifiche sul ca del retto
Presenza di pubblicazione nell’anno
Libri o Capitoli di libri sul ca del retto
Idem
Abstract in Congressi sul ca del retto
Idem
Oncologia Medica
Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e l’altro requisito
DH
25
DH
50 *
Degenze
Per l’eccellenza è necessario 3 dei 6 requisiti
Disponibilità posti letto sotto la responsabilità
dell’oncologo medico
Radiodiagnostica
Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati in 3 dei 5 esami
Eco transrettale (sonda radiale ad alta frequenza)
Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa secondo quanto
15
indicato nel documento sulla appropriatezza
TC multistrato (≥4 strati)
Idem
15
RM ad alto campo con bobine “phased-array” (almeno 4 canali) Idem
15
Eco transrettale (sonda radiale ad alta frequenza)
Idem
40
TC multistrato (≥16 strati); post-processing per l’analisi voluIdem
metrica e di perfusione
40
RM ad alto campo con bobine “phased-array” (>4 canali); disponibilità di sequenze volumetriche e DWI; post-processing per Idem
l’analisi volumetrica, di diffusione e di perfusione
40
Relazioni, comunicazioni
Presenza di pubblicazione nell’anno
Materiale audiovisivo scientifico
Idem
* Per ottenere l’eccellenza un Centro deve soddisfare i criteri indicati in 6 degli 8 aspetti presi in considerazione.
10. Bibliografia
•
•
TAC PET
La diagnostica può avvalersi di questa risorsa
RM > 3 Tesla
Idem
Pagina
Presentazioni a Congressi e Corsi
•
148
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149
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
•
•
•
•
•
•
•
•
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•
•
•
•
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Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
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150
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori del rene
Criteri di appropriatezza clinica
ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up
dei tumori del rene
Coordinatore: M. Milella
P.F. Bassi, E. Sacco, G. Schinzari, A. Tubaro, A. Aschelter, E. Cortesi, G. D’Elia, C. Sternberg,
G. Vespasiani, P. Bove, R. Longo, M. Buscarini, G. Tonini, M. Gallucci, G. Simone,
R. Papalia, M. Milella, S. Sentinelli, E.M. Ruggeri, S. Tomao, P. De Carli, V. Panebianco,
P. Berloco, A. D’Angelo
Pagina
151
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
INDICE
1. Introduzione
1.
Introduzione
2.
Algoritmi presi in esame
2.1 Fattori di rischio e screening
2.2 Approccio diagnostico al paziente con massa renale di riscontro occasionale
2.3 Approccio diagnostico al paziente con ematuria
2.4 Stadiazione e diagnosi istologica
2.5 Terapia chirurgica degli stadi precoci
2.6 Terapia chirurgica degli stadi localmente avanzati, non metastatici
2.7 Terapia chirurgica della malattia metastatica
2.8 Terapie loco-regionali in pazienti con controindicazioni alla chirurgia
2.9 Follow up del paziente operato per neoplasia renale
2.10 Terapia sistemica adiuvante e neoadiuvante
2.10 Terapia sistemica di I linea
2.12 Terapia sistemica di II linea
2.13 Linee di trattamento successive alla II
2.14 Trattamento sistemico dei tumori non a cellule chiare
3.
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori del rene
Pagina 3
Appendici
3.1 Considerazioni sull’utilizzo di specifici farmaci a bersaglio molecolare nel paziente nefropatico
3.2 Insufficienza renale acuta indotta da mezzo di contrasto (CIN)
3.3 Stadiazione dei tumori renali (TNM 2009)
3.4 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tumori renali (Radiologia diagnostica ed interventistica e Medicina Nucleare)
3.5 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tumori renali (Urologia)
3.6 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tumori renali (Anatomia Patologica)
3.7 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tumori renali (Oncologia Medica)
3.8 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tumori renali (Radioterapia)
Lo scenario della diagnosi, stadiazione e trattamento dei tumori renali è radicalmente cambiato negli ultimi dieci anni. Da un lato la diffusione degli
esami ecografici ha portato ad un incremento della diagnosi di forme precoci
asintomatiche (incidentalomi), dall’altro lo sviluppo di farmaci interferenti
con l’asse HIF/VEGF e con il pathway di mTOR, i due principali meccanismi
molecolari alla base della cancerogenesi renale, ha completamente rivoluzionato il panorama del trattamento medico delle forme avanzate.
Ciò causa trends apparentemente opposti nella gestione di questi pazienti:
da un lato lo sviluppo di una chirurgia sempre più conservativa e meno invasiva nelle forme precoci, che però richiede un elevato grado di esperienza
(rispetto alla tradizionale nefrectomia open) e quindi la centralizzazione delle
procedure presso centri altamente specializzati; dall’altro la diffusione di
trattamenti, somministrabili per lo più per via orale, per la malattia avanzata
che, unitamente all’incremento della sopravvivenza dei pazienti ed alla disponibilità di molteplici linee di trattamento, tende a spostare la gestione del
paziente metastatico (prima appannaggio di pochi centri altamente specializzati con esperienza nella somministrazione di schemi contenenti IL-2)
verso il territorio.
2. Algoritmi presi in esame
2.1 Fattori di rischio e screening
Nel periodo 1998-2002 il tumore del rene (con questo termine si includono
anche i tumori della pelvi renale, dell’uretere e dell’uretra) ha rappresentato
il 3,2% del totale delle diagnosi tumorali nei maschi e il 2,1% nelle femmine;
in termini di mortalità ha rappresentato il 2,5% del totale dei decessi neoplastici nei maschi e l’1,8% nelle femmine.
Nell’area AIRT sono stati diagnosticati in media ogni anno 25,2 casi di tumore
del rene ogni 100.000 uomini (21,0 casi di tumore del rene, 1,7 dell’uretra,
1,2 della pelvi e 1,3 dell’uretere) e 12,9 ogni 100.000 donne (11,2 casi di tumore del rene, 0,7 dell’uretra, 0,6 della pelvi e 0,4 dell’uretere).
Le stime per l’Italia indicano un totale di 5.568 nuovi casi diagnosticati ogni
anno tra i maschi e 2.639 tra le femmine, mentre per quanto riguarda la
mortalità nel 2002 si sono verificati 2.052 decessi per tumore del rene tra gli
uomini e 1.133 tra le donne. Il rischio di avere una diagnosi di tumore del
rene nel corso della vita (fra 0 e 74 anni) è di 16,2‰ fra gli uomini (1 caso
ogni 62 uomini) e di 6,8‰ fra le donne (1 caso ogni 148 donne), mentre il
rischio di morire è di 4,7‰ per gli uomini e di 1,6‰ per le donne.
I tassi di incidenza variano considerevolmente nel nostro paese con un rapporto fra i valori più alti e quelli più bassi (rilevati nel Sud Italia) attorno a 3.
L’incidenza del tumore del rene è in crescita nel corso del tempo, forse anche
per una migliorata possibilità di diagnosi anticipata grazie all’imaging diagnostico, mentre la mortalità è in riduzione.
Fumo e obesità sono da considerarsi i principali fattori di rischio, particolarmente negli uomini di età compresa tra 50 e 65 anni.
Tuttavia, allo stato attuale non vi sono sufficienti dati a supporto di programmi
di screening nella popolazione generale.
(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN)
Pagina
152
Questa rapida evoluzione degli scenari scientifici, legislativi e gestionali rappresenta un reale challenge e richiede un processo di continuo ripensamento,
adattamento e verifica.
L’intento del presente documento è quello di costituire un punto partenza
per questo processo, cercando di stabilire quali sono, ad oggi, gli scenari e
gli approcci condivisi e quelli più controversi. Per tale motivo, l’impostazione
è estremamente sintetica e pragmatica e si basa, non tanto sull’analisi dettagliata della letteratura scientifica, quanto sulla revisione e confronto di documenti di indirizzo (linee guida nazionali ed internazionali), che in qualche
modo traducono l’evidenza scientifica in raccomandazioni di comportamento
clinico di utilizzo quotidiano, tenendo conto anche della realtà legislativa del
nostro Paese, che costituisce comunque un elemento di indirizzo importante
della pratica clinica corrente.
Si è ritenuto, altresì, utile fornire, in una sintetica appendice al documento,
alcune indicazioni sulla gestione del paziente nefropatico e/o dializzato (condizione frequente nei pazienti affetti da carcinoma renale) sia per quanto riguarda la gestione delle terapie farmacologiche sia per quanto riguarda la
pianificazione ed esecuzione di esami contrastografici.
Pagina
2.2 Approccio diagnostico al paziente con massa
renale di riscontro occasionale
Nella caratterizzazione di masse renali indeterminate di riscontro occasionale, sia la TC che la RM con mdc sono da considerarsi appropriate; ecografia e RM senza mdc possono essere considerate adeguate per la
caratterizzazione di lesioni cistiche benigne visualizzate con altre metodiche
come reperto occasionale o nei pazienti con insufficienza renale e controindicazioni alla somministrazione di mdc e.v. (vedi anche Appendici 3.2 e 3.4).
(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN, ACR)
3. Approccio diagnostico al paziente con ematuria
L’uro-TC è da considerarsi l’esame di scelta nella valutazione dell’ematuria
in tutti i soggetti, fatta eccezione per i pazienti con nefropatie mediche o giovani donne con cistite emorragica, nei quali l’ecografia può essere considerata appropriata; tuttavia, nella caratterizzazione delle masse renali, l’uro-TC
ha un ruolo molto limitato, per cui nei casi ematuria con riscontro ecografico
di massa renale si raccomanda di seguire l’algoritmo precedente.
(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN, ACR)
4. Stadiazione e diagnosi istologica
La TC (o RM) con mdc dell’addome superiore ed inferiore e la TC del torace (con o senza mdc) sono gli esami di scelta per il corretto inquadramento stadiativo delle neoplasie renali; l’esame ecocontrastografico può
essere considerato nei pazienti con insufficienza renale. TC o RM del cranio,
scintigrafia ossea e PET/TC total body sono da riservare a condizioni di so-
153
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
spetto clinico e non sono indicate nella routine stadiativa dei tumori renali.
(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN, ACR)
La biopsia renale è ritenuta utile in casi selezionati e dinanzi a determinati
dubbi diagnostici (lesioni renali < 3 cm, possibile benignità della lesione renale, massa renale in paziente con tumore extrarenale pregresso o sincrono,
sospetto linfoma renale, etc) e nei tumori metastatici, nei quali l’indicazione
alla nefrectomia può essere discutibile.
(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN)
Una corretta definizione dell’istotipo appare oggi di fondamentale importanza per la definizione prognostica ed una corretta scelta terapeutica; l’uso
di pannelli immunoistochimici rende più agevole la diagnostica differenziale.
I tipi istologici più comuni comprendono il carcinoma a cellule chiare (anche
definito “convenzionale”), i carcinomi papillari (suddivisi in tipo I e II) ed il carcinoma cromofobo. Il carcinoma dei dotti collettori è da considerare un istotipo a sé stante con variante e sottotipi esibenti morfologia e prognosi diverse.
Il grading di Fuhrman, articolato in 4 gradi e basato sulle dimensioni del nucleo e la forma e la prominenza del nucleolo, rimane un parametro consolidato e universalmente accettato; è necessario, tuttavia, ribadire che il suo
valore è limitato al carcinoma a cellule chiare e non agli altri istotipi. La presenza di componente sarcomatoide rappresenta un fattore prognostico negativo consolidato e può essere presente in tutti gli istotipi.
(Raccomandazione supportata da LG: EAU)
Il sistema TNM, versione 2009 (Appendice 3.3), è raccomandato per la stadiazione e la valutazione prognostica.
(Raccomandazione supportata da LG: EAU)
2.5 Terapia chirurgica degli stadi precoci
Il trattamento chirurgico rappresenta il gold standard nell’ambito della malattia localizzata e le indicazioni alla chirurgia conservativa sono in grande
maggioranza condivise. La nefrectomia radicale è stata a lungo sovrautilizzata nel trattamento delle neoplasie renali in stadio clinico cT1. L’evidenza
di un incremento della morbilità cardiovascolare legata all’insorgenza di una
insufficienza renale post nefrectomia radicale impone la chirurgia conservativa per neoplasie in questo stadio clinico, purché completamente resecabili, anche in presenza di un rene controlaterale sano (vedi anche
Appendice 3.5). Un aspetto controverso sul piano tecnico chirurgico riguarda
l'eventuale definizione del margine minimo di parenchima renale sano che
dovrebbe essere asportato contemporaneamente al tumore primitivo. Sebbene le linee guida non approfondiscano questo punto, negli ultimi anni questo è stato argomento di confronto nell'ambito della comunità urologica. I
canoni inizialmente condivisi dalla comunità urologica prevedevano che contestualmente al tumore primitivo dovesse essere asportato anche un cercine di parenchima sano di 1 cm. Successivamente venne proposto che tale
margine di sicurezza potesse essere ridotto a 0,5 cm prima e a 0,1 cm dopo.
A questo propostio, dati recenti provenienti da casistiche europee includenti
complessivamente > 700 pazienti indicano un impatto marginale della presenza di margini chirurgici positivi sul rischio di recidiva e nessun impatto
sulla sopravvivenza cancro-specifica. Nelle forme localizzate di carcinoma a
cellule renali convenzionale in stadio 1 (dimensioni della massa ≤ 7 cm, limitata al rene) le tecniche di nefrectomia nephron-sparing (NNS) sono oggi
da considerarsi il gold standard. Pertanto, per i tumori renali solitari e localizzati (T1a/b) la NSS dovrebbe sempre essere eseguita come trattamento
primario. Un minimo margine chirurgico istologicamente esente da patologia successivo alla rimozione parziale di un carcinoma a cellule renali convenzionale localizzato è oggi considerato sufficiente per evitare recidive
locali. Viceversa, per lesioni di dimensioni > 7 cm trattate con NSS o in pre-
Pagina
senza di positività dei margini esiste un rischio più elevato di recidive locali
intrarenali, anche se ciò non sembra impattare in modo significativo sulla
sopravvivenza cancro-specifica. In mani esperte, la chirurgia laparoscopica
è un’alternativa alla chirurgia open nei tumori renali T1-T2.
Fatta eccezione per gli angiomiolipomi, le altre forme meno comuni di tumore
renale dovrebbero essere trattate come il carcinoma a cellule renali convenzionale; le cisti di Bosniak tipo III e gli angiomiolipomi > 4 cm possono essere parimenti trattati con NSS.
(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN)
2.6 Terapia chirurgica degli stadi localmente
avanzati, non metastatici
La nefrectomia radicale rimane l’approccio standard nei tumori renali dallo
stadio II in poi; la linfoadenectomia è considerata opzionale, ma è raccomandata in tutti i casi con sospetto coinvolgimento linfonodale all’imaging
pre- od intra-operatorio.
(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN)
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori del rene
2.9 Follow-up del paziente operato
per neoplasia renale
La valutazione nel tempo della funzionalità renale residua si basa sui dati
clinico-anamnestici e sul dosaggio della creatinina sierica. L’impiego dell’imaging è da riservare a casi selezionati, in cui esiste un fondato sospetto
di complicanze.
Per quanto riguarda il follow-up oncologico, bisognerebbe scoraggiare i pazienti da un monitoraggio particolarmente intenso, così come l’utilizzo routinario di metodiche non validate in questo setting (ad esempio PET/TC total
body), a meno che il paziente non ricada in una categoria a intermedio/alto
rischio di metastatizzazione o non sussistano specifici dubbi diagnostici. Il
follow-up del paziente trattato per neoplasia renale andrebbe individualizzato in base al profilo di rischio ed al tipo di procedura chirurgica o ablativa
effettuata. La TC con mdc del torace e dell’addome costituisce l’esame di
scelta ed andrebbe effettuata a 4-6 mesi dal trattamento primario e con periodicità variabile in base al profilo di rischio successivamente; Rx o TC senza
mdc del torace e RM dell’addome possono essere considerate in alternativa; PET e scintigrafia ossea possono essere utili nell’identificazione e caratterizzazione di eventuali lesioni ossee comparse in corso di follow-up.
(Raccomandazione supportata da LG: NCCN, ACR)
2.7 Terapia chirurgica della malattia metastatica
La nefrectomia radicale è indicata nei casi di tumore renale con metastasi
sincrona unica in associazione alla chirurgia radicale sul sito metastatico.
(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN)
La chirurgia radicale sul sito metastatico è altresì appropriata in pazienti con
metastasi unica (sincrona o metacrona) od in pazienti altamente selezionati
con malattia oligometastatica (sincrona o metacrona) suscettibile di chirurgia radicale, in particolare in pazienti responsivi ad un precedente trattamento immunoterapico.
(Raccomandazione supportata da LG: EAU)
La nefrectomia citoriduttiva prima del trattamento sistemico è da considerarsi appropriata in pazienti metastatici selezionati con buon performance
status e senza controindicazioni chirurgiche, in particolare in pazienti potenzialmente candidati a trattamento immunoterapico; in questi casi, l’inclusione in studi clinici controllati è fortemente raccomandata.
(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN)
2.8 Terapie loco-regionali in pazienti
con controindicazioni alla chirurgia
Indicazioni a trattamenti mini-invasivi includono: lesioni piccole, esofitiche,
incidentali nel paziente anziano, pazienti con predisposizione genetica a tumori renali multipli, pazienti con rene solitario o con tumore bilaterale, laddove sussitano rischi chirurgici elevati per procedure radicali open o
laparoscopiche. Controindicazioni alle tecniche citate sono invece: aspettativa di vita inferiore ad 1 anno, la presenza di metastasi multiple ovvero sede
e dimensioni del tumore non adeguati a garantire la riuscita del trattamento.
In generale tumori > 5 cm o localizzati a livello dell’ilo renale, dell’uretere
prossimale o del sistema collettore non sono raccomandabili per un’ablazione con radiofrequenza. Controindicazioni assolute sono una coagulopatia
irreversibile o condizioni mediche che determinino una severa instabilità,
come la sepsi. Le tecniche mini-invasive più utilizzate sono: ablazione del tumore mediante radiofrequenze, crioterapia, microonde, laser o ultrasuoni focalizzati ad alta intensità (HIFU). L’esecuzione di queste tecniche prevede,
comunque, l’ottenimento di una diagnosi isto/citologica di natura ed andrebbe preferita nell’ambito di studi clinici controllati.
(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN)
154
2.10 Terapia sistemica adiuvante e neoadiuvante
I dati oggi disponibili, ancorché ottenuti prevalentemente con citochine (IL2/IFN), farmaci ormonali o protocolli vaccinali, piuttosto che con farmaci a
bersaglio molecolare oggi di uso comune nella malattia avanzata, non supportano l’uso di una terapia sistemica adiuvante o neoadiuvante, che andrebbero utilizzate esclusivamente nell’ambito di studi clinici controllati.
Tale concetto si applica anche alla terapia sistemica ‘neoadiuvante’, alla nefrectomia citoriduttiva ed alla terapia sistemica ‘adiuvante’ alla chirurgia radicale nel paziente con metastasi sincrone.
(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN)
2.11 Terapia sistemica di I linea
La scelta terapeutica di I linea si basa essenzialmente sulla valutazione del
rischio secondo i criteri del MSKCC. Varie modificazioni del modello prognostico di Motzer, inclusa quella proposta da Heng et al., maturata su una casistica di pazienti trattati con agenti a bersaglio molecolare, che introduce in
aggiunta ai classici fattori prognostici anche la neutrofilia e la piastrinosi,
sono state sviluppate per meglio riflettere l’impatto delle terapie a bersaglio
molecolare; tuttavia, poiché gli studi randomizzati che hanno condotto alla registrazione dei farmaci attualmente in uso sono stati condotti utilizzando la
stratificazione prognostica del MSKCC, si ritiene che l’utilizzo dei criteri originali di Motzer sia ancora la guida più affidabile per la pianificazione del
percorso terapeutico del paziente affetto da carcinoma renale avanzato.
Premesso che per alcuni pazienti altamente selezionati (malattia indolente,
tumor burden limitato, metastasi esclusivamente polmonari, eccellente PS,
giovane età ed assenza di comorbidità) rimane una possibile indicazione al
trattamento con HD-IL2/IFN od, all’estremo opposto, ad un atteggiamento
di sorveglianza attiva, 4 farmaci hanno ad oggi dimostrato di essere superiori ad IFN (o a placebo, nel caso di Pazopanib) come trattamento di I linea
del carcinoma renale metastatico:
Pazienti a rischio basso/intermedio:
• bevacizumab/IFN
• sunitinib
• pazopanib.
Pagina
Pazienti ad alto rischio (≥3 su 6 fattori di rischio secondo i criteri di Motzer
modificati):
• Temsirolimus.
L’utilizzo di sorafenib come trattamento di I linea è un’opzione possibile in
pazienti non candidati a trattamento con citochine, ma non supportata dall’evidenza nel contesto della I linea di trattamento. Si raccomanda altresì,
ove possibile, l’inclusione dei pazienti in studi clinici.
(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN)
2.12 Trattamento sistemico di II linea
Per i pazienti progressivi dopo un trattamento di I linea si raccomanda, ove
possibile, l’inclusione in studi clinici. La scelta terapeutica evidence-based
dipende dal tipo di trattamento ricevuto in I linea:
Pazienti pretrattati con citochine:
• sorafenib
• pazopanib.
Pazienti pretrattati con anti-VEGF:
• everolimus.
(Raccomandazione supportata da LG: EAU, NCCN)
Evidenze di grado largamente inferiore e provenienti da piccole casistiche
non randomizzate (e in molti casi retrospettive) suggeriscono che non vi è
completa cross-resistenza tra i diversi agenti anti-VEGF, rendendo perciò ragionevole l’utilizzo di un secondo VEGF-TKI dopo Bevacizumab/IFN, Sunitinib
o Sorafenib. Sunitinib e Temsirolimus hanno attività documentata, ma non
supportata da studi randomizzati, anche dopo trattamento di I linea con citochine.
(Raccomandazione supportata da LG: NCCN)
2.13 Linee di trattamento successive alla II
Per i pazienti progressivi dopo un trattamento di I e II linea si raccomanda,
ove possibile, l’inclusione in studi clinici. Everolimus ha dimostrato, in uno
studio randomizzato di fase III, di essere superiore al placebo anche in pazienti trattati con più linee di terapia e risulta pertanto l’unico agente indicato
in questo tipo di situazione clinica. Evidenze provenienti da piccole casistiche non randomizzate (e in molti casi retrospettive) suggeriscono che non vi
è completa cross-resistenza tra i diversi agenti anti-VEGF, rendendo perciò
ragionevole anche l’utilizzo di un VEGF-TKI non somministrato nelle precedenti linee di trattamento.
2.14 Trattamento sistemico dei tumori
non a cellule chiare
Nei pazienti con carcinoma renale di tipo papillare di tipo I e II, cromofobo ed
altre varietà istologiche rare (escluse le forme sarcomatoidi ed il carcinoma
dei dotti di Bellini) si raccomanda l’inclusione in studi clinici. Nei pazienti
con almeno 3/6 fattori di rischio (secondo il MSKCC score modificato) è indicato l’utilizzo di temsirolimus.
L’utilizzo di VEGF TKI rappresenta una scelta alternativa ragionevole, ancorché non supportata da evidenze di livello elevato.
Sopratutto nelle forme cromofobe, la chirurgia della malattia metastatica
andrebbe sempre presa in considerazione se tecnicamente perseguibile con
intento radicale ed in assenza di controindicazioni mediche o chirurgiche.
Le forme sarcomatoidi sono ritenute una variante/evoluzione delle altre
forme istologiche (cellule chiare, papillare, etc.) ed andrebbero trattate secondo l’algoritmo terapeutico della forma di base (tenendo conto dell’im-
155
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
patto prognostico sfavorevole della presenza di una componente sarcomatoide significativa). Unicamente per la variante sarcomatoide del carcinoma
a cellule chiare, può essere considerata la chemioterapia con gemcitabina/doxorubicina.
(Raccomandazione supportata da LG: NCCN)
Nel carcinoma dei dotti collettori (di Bellini) la chemioterapia con cisplatino/gemcitabina o carboplatino/paclitaxel è considerata l’approccio standard.
3. Appendice
3.1 Considerazioni sull’utilizzo di specifici farmaci
a bersaglio molecolare nel paziente nefropatico
I pazienti affetti da carcinoma renale presentano con elevata frequenza una
condizione di insufficienza renale subclinica, in parte legata all’asportazione
chirurgica di una cospicua quota di parenchima renale ed in parte legata a
malattie renali preesistenti, e, in una percentuale minore ma non trascurabile di casi, una condizione di franca insufficienza, tale da richiedere un trattamento dialitico. Entrambe queste condizioni, unitamente alla possibilità
che alcuni dei farmaci utilizzati abbiano di per sé un effetto nefrotossico,
pongono un problema nella scelta dei farmaci e nella gestione della terapia.
Nonostante i dati di letteratura su questo argomento siano frammentari e
non esistano raccomandazioni specifiche nelle linee guida nazionali ed internazionali, abbiamo ritenuto opportuno riportare alcune considerazioni sull’utilizzo di specifici farmaci in una condizione di insufficienza renale:
1) Bevacizumab: il suo utilizzo può essere complicato da proteinuria (2163% dei pazienti), raramente nefrosica (< 2%).
I fattori associati a questa evenienza e alla severità della proteinuria sono
sconosciuti.
Sono stati riportati casi rari di glomerulonefrite proliferativa e di insufficienza renale acuta.
Raccomandazioni:
• esame periodico delle urine per controllo proteinuria
• sospensione temporanea della somministrazione per proteinuria
>2g/24h
• sospensione definitiva della somministrazione per proteinuria
>3g/24h
• non richiesto aggiustamento posologico nell’insufficienza renale.
2) Sunitinib: Ancorché non descritto con particolare frequenza negli studi
clinici sin qui condotti, la comparsa di proteinuria può complicare l’utilizzo di Sunitinib ed andrebbe periodicamente monitorizzata. La farmacocinetica e la sicurezza del sunitinib sono state valutate in un piccolo
numero di pazienti con insufficienza renale. La farmacocinetica è risultata inalterata in pazienti con GFR > 42 ml/min. Limitati case reports del
suo utilizzo in pazienti con carcinoma renale in emodialisi riportano l’efficacia del farmaco. I dati ottenuti non suggeriscono la necessità di una
riduzione delle dosi anche nei pazienti con insufficienza renale severa
o in dialisi.
3) Sorafenib: ancorché non descritto con particolare frequenza negli studi
clinici sin qui condotti, la comparsa di proteinuria può complicare l’utilizzo di Sunitinib ed andrebbe periodicamente monitorizzata. Uno studio
in fase 1 sulla sicurezza e farmacocinetica in vari gradi di insufficienza
renale indica le dosi empiriche da somministrare nei vari gradi di funzionalità renale, basati sulla tolleranza del paziente:
a) Insufficienza renale lieve (GFRr 40-59 mL/min): 400 mg 2 volte al dì
b) Insufficienza renale moderata (GFRr 20-39 mL/min): 200 mg 2 volte al
dì
Pagina
4.
5.
6.
7.
c) Insufficienza renale severa (GFRr <20 mL/min): dati insufficienti a definire la dose
d) Emodialisi: 200 mg una volta al dì.
Altri dati, invece, non suggeriscono grossolane differenze in termini di
farmacocinetica e tollerabilità nei pazienti con insufficienza renale severa
o in dialisi e non supportano la necessità di una riduzione delle dosi in
queste fattispecie cliniche.
Pazopanib: non è richiesto alcun aggiustamento posologico in caso di insufficienza renale.
Temsirolimus: pochi studi in letteratura. Minima eliminzione renale
(<5%) per cui non è richiesto aggiustamento posologico nell’insufficienza renale. Non ci sono studi in pazienti in emodialisi, anche se l’esperienza clinica suggerisce la possibilità di utilizzare il farmaco a dosaggi
standard.
Everolimus: può causare proteinuria in particolare se utilizzato ad alte
dosi o associato a ciclosporina.
Lievi aumenti della creatininemia sono stati osservati in corso di terapia
per carcinoma renale.
Interferone: può causare proteinuria nefrosica per comparsa di glomerulonefrite a lesioni minime. Rari casi di microangiopatia trombotica.
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori del rene
stica.
Stratificazione del rischio di CIN sulla base del GFR:
• GFR > 60 ml/min: rischio estremamente basso , non necessaria profilassi
• GFR 30 - 60 ml/min: rischio basso-moderato
• GFR < 30 ml/min: rischio alto
Misure preventive per pazienti a rischio basso-moderato e alto:
• Sospendere o evitare, se possibile, farmaci nefrotossici e metformina
48 ore prima della somministrazione del mdc
• Sospendere diuretici il giorno dell’esame e il precedente
• Non iniziare terapia o variare dosi di ACE-inibitori nel periodo immediatamente precedente o successivo alla somministrazione del mdc
• Infusione del mdc con un intervallo di almeno 7 gg da una chemioterapia
• Utilizzare mdc iodati a bassa osmolarità o iso-osmolari
• MDC a dosi inferiori a 30 ml per esami diagnostici
3.3 Stadiazione dei tumori renali (TNM 2009 e confronto con la precedente versione del 2002)
T (tumore primitivo)
2002
2009*
Tx
T0
T1
T1a
T1b
Tumore primitivo non misurabile
Tumore primitivo non dimostrabile
Tumore limitato al rene, ∅ max ≤ 7 cm
Tumore limitato al rene, ∅ max ≤ 4 cm
Tumore limitato al rene,∅ max > 4 cm ≤7 cm
Idem
Idem
T2
T2a
T2b
T3
Idem
Tumore limitato al rene, ∅ max < 7 cm
-
Idem
∅ max >7 cm ≤ 10cm
∅ max >10 cm
Tumore esteso alle vene maggiori, invasione diretta della
ghiandola surrenale o del grasso perirenale, ma non oltre la
fascia di Gerota.
Invasione diretta della surrenale o del grasso perirenale
(compresa l’invasione del seno renale).
Invasione delle vene renali e delle loro diramazioni e della
vena cava sottodiaframmatica.
Invasione macroscopica della vena cava o della sua parete al
di sopra del diaframma
Tumore esteso alle vene maggiori o invasione del grasso perirenale, ma non della ghiandola surrenale omolaterale e non
oltre la fascia di Gerota.
Invasione delle vene renali e delle loro diramazioni o del
grasso perirenale (compresa l’invasione del seno renale).
Invasione della vena cava sottodiaframmatica.
T4
Invasione oltre la fascia di Gerota
Invasione oltra la fascia di Gerota (compresa l’invasione per
continuità della ghiandola surrenale omolaterale).
N (linfonodi regionali)
Nx
N0
N1
N2
Linfonodi regionali non valutabili
Linfonodi regionali assenti
Metastasi in 1 linfonodo regionale
Metastasi in >1 linfonodo regionale
Idem
Idem
Idem
Idem
T3a
3.2 Insufficienza renale acuta indotta
da mezzo di contrasto (CIN)
T3b
La presenza di un quadro di insufficienza renale, più o meno conclamato,
pone anche alcune limitazioni relative all’uso di mezzi di contrasto (mdc) radiologici.
L’utilizzo del mezzo di contrasto (mdc) a scopi diagnostico-terapeutici può,
di per sé, indurre una insufficienza renale acuta da mezzo di contrasto
(CIN) con quadro clinico variabile da incrementi relativamente modesti della
creatininemia fino a gradi severi di compromissione renale in pazienti con
uno o più fattori di rischio.
E’ quindi opportuno identificare il paziente a rischio e pianificare la tipologia
e il numero delle indagini contrastografiche.
Definizioni:
• Aumento della creatininemia di 0.5 mg/dl in pazienti con creatininemia
basale inferiore a 2 mg/dl
• Aumento della creatininemia basale di almeno il 25%
• Diminuzione del GFR più del 25%
Caratteristiche:
• Aumento della creatininemia nel 2- 3 giorno dopo infusione del mdc
• Ritorno ai valori di normalità in 2 settimane
Incidenza:
In circa il 15% delle indagini contrastografiche, anche se è riportata in letteratura ampia variabilità per la mancanza di univoca valutazione prospettica
o retrospettiva dell’incidenza e delle caratteristiche della procedura diagno-
T3c
156
Idratazione:
• Nei pazienti con GFR > 60 ml/min con più fattori di rischio si può considerare idratazione ev
• Nei pazienti con GFR fra 60 e 30 ml/min idratazione
- per os: 500 cc di acqua o soluzione salina (citrosodina 3 buste in 500
ml) il giorno prima e la mattina dell’esame. L’assunzione di liquidi dovrebbe essere proseguita nelle 24 ore successive oppure, in particolare
se coesistono altri fattori di rischio,
- ev: Na Cl 0,9% 1 ml/Kg/ora da almeno 2 ore prima fino a 6-12 ore
dopo iniezione del mdc
• Nei pazienti con GFR < 30 ml/min idratazione ev con:
- NaHCO3 1,4% 3 ml/kg/ora per 1 ora prima della procedura; dopo la
procedura continuare per 6 ore ad 1 ml/kg/ora, oppure
- NaCl 0.9% 1 ml/Kg/ora da almeno 2 ore prima ma preferibilmente 612 ore prima e continuata per 6-12 dopo. La durata dell’infusione dovrebbe essere proporzionale al danno renale.
Invasione della vena cava sopradiaframmatica o invasione
macroscopica della parete venosa.
M (metastasi a distanza)
Mx
Metastasi a distanza non valutabili
M0
Metastasi a distanza assenti
M1
Metastasi a distanza presenti
Idem
Idem
Idem
Stadiazione TNM
Stadio I
Stadio II
Stadio III
Idem
Idem
Idem
Stadio IV
T1; N0; M0
T2; N0; M0
T3; N0; M0
T1-3; N1; M0
T4; N0-1; M0
Qualsiasi T; N2; M0
Qualsiasi T; qualsiasi N; M1
Idem
Adattato da Gasbarrini G, Trattato di Medicina Interna, Capitolo 255: I Tumori del Rene
Pagina
157
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up dei tumori del rene
3.4 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tumori renali
(Radiologia Diagnostica ed Interventistica e Medicina Nucleare)
3.6 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento
dei tumori renali (Anatomia Patologica)
Tipologia
Requisiti minimi
Requisiti d’eccellenza
Tipologia
Requisiti minimi
Rx Torace
X
X
Agobiopsia ed agoaspirato
Ecografia
Apparecchio con sonda addominale
convex multifrequenza e Color-Doppler
Apparecchio con sonda addominale
convex multifrequenza e possibilità di
elaborazione delle immagini sulla II
armonica per utilizzo di mdc;
Color-Doppler
Campione quantitativamente adeguato; i frustoli devono essere fis- Archiviazione del materiale in Banca Tessuti mesati immediatamente in formalina e gli agoaspirati con spray fissa- diante congelamento in azoto liquido e conservativo
zione a -80°C per studi genetici o molecolari
Nefrectomia parziale
•
TC
RM
Tecnologia multistrato; scan time: ≤ 2
sec; minimum slice thickness: ≤ 2 mm;
interscan delay: 1 sec; limiting spatial
resolution: ≥ 8 lp/cm for ≥ 32 cm display
field of view (DFOV) and ≥ 10 lp/cm for
< 24 cm DFOV; elaborazione 3D delle
immagini
Tecnologia multistrato (a partire da 16
strati per studi di perfusione TC);
consolle di elaborazione 3D delle immagini e software dedicato per
valutazione qualitativa e quantitativa
della perfusione renale
1.5 Tesla; bobina di superficie
multicanale (almeno 4); software per
sequenze morfologiche, da acquisire
anche durante somministrazione
dinamica ev di mdc e AngioRM;
elaborazione 3D delle immagini
1.5 o 3 Tesla; bobina di superficie
multicanale (almeno 8), con uso di
parallel imaging; software completo di
sequenze morfologiche, AngioRM e
tecniche funzionali da acquisire sia
senza (BOLD, DWI) che con
somministrazione ev di mdc;
elaborazione 3D delle immagini e
software dedicato per valutazione
qualitativa e quantitativa della
perfusione renale
•
•
•
•
•
•
Nefrectomia totale e radicale
•
•
•
•
•
•
Angiografia (embolizzazione fistole e sanguinamenti)
X
Trattamenti ablativi percutanei (crioablazione, HIFU,
brachiterapia)
X
Gammacamera (scintigrafia renale con DTPA)
X
Possibilità di eseguire agobiopsie di lesioni dubbie sotto guida
Eco o TC
X
3.5 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tumori renali (Urologia)
•
Diagnosi istologica
•
•
•
•
•
Tipologia
Requisiti minimi
Requisiti d’eccellenza
Chirurgia nephron-sparing negli stadi I
X
X
•
•
Chirurgia nephron-sparing laparoscopica o robotica
X
•
Nefrectomia radicale laparoscopica o robotica
X
Nefrectomia radicale open
X
X
Dati raccolti in database istituzionali
X
Pagina
•
158
•
Requisiti d’eccellenza
Misurazione del pezzo operatorio (3 misure) e descrizione macroscopica
Inchiostratura del margine di resezione
Sezioni secondo piani perpendicolari alla superficie con evidenziazione dei margini della neoplasia
Registrazione della distanza minima dal margine di resezione e
del diametro massimo del tumore
Campionamento della neoplasia con i margini di resezione
Campionamento della neoplasia con la capsula ed eventuale
grasso perirenale
I tumori di piccole dimensioni possono essere inclusi in toto, per
quelli più grandi vale la regola di almeno un prelievo per cm di
diametro
•
•
Misurazione del pezzo operatorio (3 misure) e descrizione ma- •
croscopica.
Inchiostratura della superficie solo in caso di evidenza macroscopica di estensione extrarenale della neoplasia
•
Esame macroscopico dell’ilo con identificazione di vena, arteria
ed uretere. campionamento di sezioni trasversali ed apertura
longitudinale della vena e dell’uretere
Sezione sagittale del pezzo operatorio dalla periferia verso l’ilo
Descrizione della lesione neoplastica (dimensioni, sede, forma,
colore) e valutazione dei suoi rapporti con il parenchima renale,
il grasso perirenale, la pelvi, l’uretere, il seno renale, i vasi dell’ilo e il surrene (se presente)
Un prelievo per cm della lesione cercando di rappresentare i
suoi rapporti con la capsula, il grasso perirenale, il parenchima
adiacente, la pelvi, il surrene e tutte le zone di sospetto coinvolgimento neoplastico di vasi o seno renale. Un prelievo di parenchima non neoplastico.
Un prelievo di surrene e di eventuali (rari) linfonodi dell’ilo
Esame intraoperatorio della neoplasia con valutazione del margine di exeresi ed eventuale
istotipo
Archiviazione del materiale in Banca Tessuti
mediante congelamento in azoto liquido e
conservazione a -80°C per studi genetici o
molecolari
Esame intraoperatorio del campione in caso
di dubbi sulla natura corticale o uroteliale
della neoplasia
Archiviazione del materiale in Banca Tessuti
mediante congelamento in azoto liquido e
conservazione a -80°C per studi genetici o
molecolari
Studio dei fattori molecolari che potrebbero inIstotipo della neoplasia sec. WHO 2004
Grading della neoplasia sec. lo schema di Fuhrman per i carci- fluenzare la prognosi (CA9, HIF-1-α, CXCR3,
nomi renali convenzionali (nei carcinomi cromofobi non è atten- CXCR4, B7-H1, PTEN, Ki67, ecc)
dibile)
Grading sec. Eble dei carcinomi a cellule renali papillari.
Indicare la presenza di necrosi tumorale e di aspetti sarcomatoidi.
Indicare se il tumore è limitato al rene o si estende oltre la capsula o nel seno renale.
Indicare se il tumore si estende ai calici o alla pelvi.
Indicare se il tumore infiltra i vasi venosi maggiori o i vasi segmentali.
Indicare se presente estensione diretta (T4) o discontinua (M1)
del surrene.
Valutazione dello stato dei margini chirurgici: parenchimale e
capsulare nella nefrectomia parziale, grasso perirenale, uretere
e vena nella nefrectomia totale
Staging patologico (pTNM) sec. AJCC 2010
Pagina
159
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della cervice
3.7 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento dei tumori renali
(Oncologia Medica)
Tipologia
Requisiti minimi
Requisiti d’eccellenza
Team multidisciplinare (con discussione periodica strutturata
dei casi clinici)
Urologo, Oncologo, (Radioterapista)
Urologo, Oncologo, Radioterapista,
Radiologo (diagnostica/interventistica),
Patologo, Medico Nucleare, Nefrologo,
Specialisti dedicati per la gestione delle
tossicità dei farmaci a bersaglio molecolare.
Tempo alla prima visita
< 14 gg
< 7 gg
Tempo dalla decisione terapeutica all’inizio del trattamento
14-30 gg
< 14 gg
Reparto di degenza per gestione complicanze
X
X
Data managers dedicati
X
Accesso a studi clinici
X
Pubblicazioni scientifiche
X
3.8 Requisiti minimi e di eccellenza relativi alla diagnosi ed al trattamento
dei tumori renali (Radioterapia)
Tipologia
Requisiti minimi
Requisiti d’eccellenza
Acceleratore Lineare
X
X
Simulazione TC
X
X
Immagini portali settimanali
X
X
Sistemi d’immobilizzazione
X
X
Definizione dei volumi di trattamento e critici mediante programma di fusione delle immagini RM
X
3D-CRT
X
IMRT
X
IGRT
X
Degenze e DH per terapia di supporto
X
Tempo alla prima visita
14-28 gg
< 14 gg
Tempo all’inizio del trattamento
28-56 gg
< 28 gg
Partecipazione a studi multicentrici
Criteri di appropriatezza clinica
ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up
del carcinoma della cervice
Coordinatore: Giovanni Scambia
P.A. Margariti, V. Di Donato, R. Angioli, F. Maneschi, F. Patacchiola, G. Nicolanti, G. Vittori, P. Palazzetti,
A. Micheli, L. Pompei, V. Donato, G. Arcangeli, A. Savarese, L. Bonomo, V. David, M. Crecco,
G.F. Zannoni, V. Gomes, S. Rahimj, G. Manlio
X
Pagina
160
Pagina
161
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
INDICE
1.
Fattori di rischio
Pagina 163
2.
Sintomi
Pagina 163
3.
Screening
Pagina 163
4.
Diagnosi
Pagina 164
5.
Stadiazione
Pagina 164
6.
Trattamento degli stadi precoci
Pagina 166
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della cervice
Il tumore della cervice uterina è la seconda causa di morte nelle aree economicamente meno sviluppate mentre occupa solo il 13° posto nei paesi industrializzati, come gli Stati Uniti d'America; in Italia scende addirittura al
16° posto (ISTAT 2006 e 2007). L’enorme discrepanza di questo dato si può
giustificare sulla base della nota differenza nella esposizione ai fattori di rischio, nella disponibilità di risorse impiegate per la prevenzione primaria e
secondaria ed infine nella qualità delle cure.
Il numero dei nuovi casi diagnosticati ogni anno in tutto il mondo è pari a
493000 e 274000 morti. In Italia vengono stimati circa 3700 nuovi casi/anno
con una incidenza dei 12/100000 donne/anno. L’età mediana di insorgenza
per le forme invasive è di 51 anni, ma si abbassa a 32 per le forme intraepiteliali.
1. Fattori di rischio
•
•
•
•
7.
Trattamento degli stadi avanzati
Pagina 167
8.
Refertazione istologica
Pagina 169
9.
Follow up
Pagina 170
10.
Bibliografia
Pagina 171
Infezioni da Papillomavirus (HPV)
Precocità di inizio dell’attività sessuale
Elevato numero di partners o partner singolo ma che ha avuto diversi
rapporti promiscui
Terapie immunosoppressive
•
•
•
•
Basso livello socio-economico
Multiparità
Giovane età alla prima gravidanza
Fumo di sigaretta.
2. Sintomi
Le fasi iniziali del tumore cervicale sono in genere asintomatiche. Quando
presenti i sintomi più comuni possono essere legati ad altre patologie di tipo
non tumorale.
Il sanguinamento vaginale anomalo è il sintomo più importante: può essere
post-coitale, intermestruale o del tutto inaspettato, come accade nel periodo
menopausale.
In caso di malattia avanzata può essere presente dolore pelvico (irradiato
alle gambe), accompagnato da secrezioni maleodoranti.
3. Screening
Il principale test di screening per il carcinoma del collo dell’utero con il quale
è possibile effettuare la prevenzione secondaria, è rappresentato dal Pap-test
(striscio colpo citologico).
Nonostante questa metodica sia, in qualche caso, in grado di identificare
anche carcinomi dell’endometrio, della vagina o di altre sedi perineali, il suo
utilizzo è rivolto alla diagnosi precoce delle displasie cervicali e dei carcinomi della cervice.
Lo striscio deve essere eseguito in donne che non abbiamo eseguito lavande
vaginali o utilizzato lubrificanti da almeno 24 ore, che non abbiano sanguinamenti in atto e/o processi infiammatori intensi, che non abbiano svolto
pratiche sessuali nelle 24 ore precedenti; è consigliabile eseguire lo striscio
prima della visita digitale ginecologica.
La raccolta del materiale avviene mediante l’utilizzo di specifici strumenti,
quali cytobrush per la raccolta di cellule endocervicali e la spatola di Ayre per
la raccolta di cellule dell’esocervice.
L’affidabilità del Pap-test è sensibilmente influenzata dal grado di esperienza
del citologo esaminatore e dal modo con cui viene prelevato e allestito il preparato nei diversi vetrini.
Al fine di eliminare, o quanto meno ridurre la percentuale di falsi negativi, si
utilizzano da non molto tempo nuove presidi in fase liquida o in monostrato
che modificano le modalità con le quali le cellule vengono raccolte e processate.
Pagina
162
Pagina
La modalità di refertazione del pap test può essere effettuata attraverso diversi sistemi di classificazione.
Il sistema attualmente più utilizzato è rappresentato da Bethesda System
elaborato nel 1991 e revisionato nel 2001.
Il sistema Bethesda 2001
Adeguatezza del preparato
• Soddisfacente per la valutazione
• Non soddisfacente per la valutazione (specificare il motivo)
- preparato rifiutato/non processato (specificare il motivo)
- preparato processato ed esaminato, ma non soddisfacente per la valutazione di anormalità delle cellule epiteliali a causa di... (specificare il
motivo)
Classificazione generale
• Negativo per lesioni intraepiteliali o malignità
• Anormalità delle cellule epiteliali
• Altro
Interpretazione/risultati
• Negativo per lesioni intraepiteliali o malignità
Organismi
- Trichomonas vaginalis
- funghi del tipo Candida
163
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
•
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
- variazione della flora batterica suggestiva di vaginosi batterica
- batteri compatibili con Actinomiceti
- modificazioni cellulari compatibili con herpes simplex visrus
Altri reperti non palstici
- modificazioni cellulari reattive
- presenza di cellule ghiandolari post-isterectomia
- atrofia
Anormalità delle cellule epiteliali
Cellule squamose
- cellule squamose atipiche (ASC)
- di significato indeterminato (ASC-US)
- non possibile escludere HSIL (ASC-H)
- lesioni intraepiteliali squamose di basso grado (LSIL) (includente
HPV/displasia lieve/CIN 1)
- lesioni intraepiteliali squamose di alto grado (HSIL)/(includente displasia moderata e grave/CIN 2 e CIN 3/CIS)
- l’invasione non può essere esclusa
- carcinoma squamocellulare
Cellule ghiandolari
- cellule ghiandolari atipiche (AGC) (specificare: endometriali, endocervicali o NOS - non specificabili)
- cellule ghiandolari atipiche (AGC) suggestive di neoplasia (specificare:
endometriali, endocervicali o NOS - non spacificabili)
- adenocarcinoma endocervicale in situ (AIS)
- adenocarcinoma (specificare: endometriale, endocervicale, extrauterino
o NOS - non specificabile)
• Altro
Cellule endometriali in donne di 40 anni o oltre (specificare anche se
negativo per lesione squamosa).
Da qualche anno, inoltre, per le donne è disponibile un mezzo per la prevenzione primaria dell’infezione da HPV: un vaccino rivolto contro i ceppi
HPV16 e HPV18 ritenuti responsabili del carcinoma della cervice (considerati
ad alto rischio) ed i ceppi HPV6 HPV11 responsabili di lesioni non cancerose
(principalmente le condilomatosi).
In Italia oggi è stata introdotta la possibilità della vaccinazione gratuita al
compimento del 12° anno di età ma attualmente sono in corso numerosi
studi per valutare l’efficacia della vaccinazione anche in donne adulte con
una vita sessuale attiva e in donne già entrate in contatto con il virus.
Tra i vaccini in commercio abbiamo quello tetravalente (Gardasil®) che offre
una copertura sierologica per i quattro ceppi virali ad alto e basso rischio. Gli
studi pubblicati finora dimostrano che il vaccino è efficace e privo di effetti
collaterali, anche se tutt’ora non è nota la durata della sua protezione.
Altro vaccino in commercio è quello bivalente (Cervarix®), attivo esclusivamente verso i due ceppi ad alto rischio.
Per valutare l’impatto esercitato dall’utilizzo di massa dei vaccini sull’incidenza del carcinoma cervicale sarà necessario attendere un adeguato followup: intanto resta indicata l’aderenza ai programmi di screening per la
prevenzione secondaria, finora impiegati.
4. Diagnosi
Il sospetto diagnostico di neoplasia cervicale nei casi appena iniziali si pone
sulla base di un referto dubbio o positivo al Pap-test che rappresenta l’esame
di primo livello. La colposcopia segue ad una citologia anormale, come
esame di secondo livello: indirizza la biopsia alla zona della portio sospetta
e consente di ottenere un esame istologico mirato.
Nei casi più avanzati il sospetto di neoplasia cervicale può essere posto
anche sulla sola base clinica ma necessita ugualmente di conferma istologica.
LA PRESENTAZIONE CLINICA può avvenire nelle seguenti forme:
• Forma esofitica (tessuto friabile facilmente sanguinante)
• Forma endofitica (cervice dura)
• Forma a “barilotto” con esocervice integra
• Forma ulcerativa (presenza di lesione crateriforme).
Le più frequenti forme ISTOLOGICHE sono di natura epiteliale e comprendono i seguenti istotipi:
• Squamoso (85%): cheratinizzante - non cheratinizzante - tipi speciali
(e.g. verrucoso, fusato)
• Adenocarcinoma (10-12%): endometrioide - a cellule chiare - sieroso tipo intestinale
• Adenosquamoso (3-5%)
• Adenocistico (3-5%)
• Indifferenziato.
5. Stadiazione
Una volta accertata la diagnosi si procede alla STADIAZIONE CLINICO-STRUMENTALE che comprende i seguenti esami:
• Ecoflussimetria pelvica trans-vaginale e trans-rettale
• RMN addomino-pelvica
• Visita ginecologica in narcosi e biopsie di mappatura cervicali e vaginali (ed
in caso di sospetta infiltrazione agli esami strumentali, cistoscopia e/o rettoscopia con biopsie delle mucose vescicali e/o rettali)
• 18 FDG PET-TC (e qualora non disponibile esame TC total-body con mdc).
Pagina
La RMN assicura elevati valori di sensibilità e accuratezza diagnostica (rispettivamente 93% ed 86%).
La RMN, come l’ECOFLUSSIMETRIA PELVICA, consente di valutare i seguenti
parametri:
• volume tumorale
• preservazione dell’anello stromale cervicale
• estensione vaginale
• invasione parametriale
164
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della cervice
• invasione di strutture ed organi adiacenti l’utero (retto e vescica)
• invasione della parete pelvica
• presenza di linfadenopatie pelviche e retroperitoneali.
• presenza di idronefrosi.
In particolare nelle donne giovani con neoplasia iniziale che abbiano desiderio
di preservare la fertilità, entrambi questi esami sono utili per valutazione dell’eleggibilità ad un trattamento chirurgico conservativo, verificando le seguenti
condizioni:
• dimensioni della neoplasia (<2 cm),
• lunghezza del canale cervicale (>2.5 cm)
• distanza del tumore dall’orifizio uterino interno (>1 cm)
L’ESAME PET-TC è raccomandato in pazienti con carcinoma della cervice localmente avanzato.
• Consente di individuare eventuali localizzazioni di malattia a distanza e di
elaborare un corretto programma terapeutico
• Rappresenta un riferimento basale nelle donne candidate a trattamento
neo-adiuvante
• Fornisce un approfondimento sullo stato linfonodale per una corretta programmazione pre-chirurgica nelle pazienti con elevato rischio di localizzazione linfonodale di malattia (alto grading istologico, stadio elevato,
invasione linfovascolare) risultate negative agli altri esami strumentali, mostrando una sensibilità del 100% e una specificità del 96% (vs la sensibilità del 38-89% e la specificità del 78-99% della RMN).
Alla luce delle indagini eseguite la patologia maligna cervicale può essere classificata secondo:
• Stadiazione FIGO (International Federation of Gynecology and Obstetrics) ultima revisione pubblicata nel 2009 (Figo Committee on Gynecologic Oncology, Int J Gynaecol Obstet 2009)
• Stadiazione TNM (AJCC-American Joint Committee on Cancer, 7th Edition,
2008)
5.1 Stadiazione
(FIGO 2009)
•
•
I
IA
•
•
IA1
IA2
•
IB
•
•
•
IB1
IB2
II
•
•
•
•
•
IIA
IIA1
IIA2
IIB
III
Il carcinoma è strettamente confinato alla cervice
Carcinoma invasivo che può essere diagnosticato solo microscopicamente con invasione in profondità ≤ 5 mm ed estensione in
larghezza ≥ 7 mm
Invasione stromale ≤ 3 mm in profondità ed estensione ≤ 7mm
Invasione stromale > 3 mm ma < 5 mm di profondità con estensione < di 7 mm
Lesione macroscopica limitata alla cervice o carcinoma preclinico
maggiore dello stadio IA*
Lesione macroscopica ≤ 4 cm di diametro massimo
Lesione macroscopica > 4 cm di diametro massimo
Carcinoma della cervice che si estende oltre l’utero senza giungere alla parete pelvica o al III inferiore della vagina
Senza invasione dei parametri
Lesione macroscopica ≤ 4 cm di dimensione maggiore
Lesione macroscopica > 4 cm di dimensione maggiore
Con evidente invasione dei parametri
Il tumore si estende alla parete pelvica e/o coinvolge il III inferiore della vagina e/o causa idronefrosi e/o rene non funzionante**
Pagina
•
IIIA
•
IIIB
•
IV
•
•
IVA
IVB
Il tumore coinvolge il III inferiore della vagina; nessuna estensione
alla parete pelvica
Estensione alla parete pelvica e/o causa idronefrosi o rene non
funzionante
Il carcinoma si estende oltre la vera pelvi o ha coinvolto la mucosa della vescica o del retto (con conferma istologica su biopsia - l’edema bolloso come tale non permette di assegnare lo
stadio IV)
Infiltrazione della mucosa rettale o vescicale
Metastasi a distanza.
5.2 Stadiazione TNM
(AJCC - 7th Edition, 2008)
•
•
•
•
•
•
•
Tis N0
T1
T1A
T1A1
T1A2
T1B
T2
Carcinoma in situ preinvasivo
Tumore limitato all’utero
Diagnosi solo microscopica
Minima invasione stromale
Profondità < 5 mm, diffusione orizzontale < 7 mm
Lesione superiore a T1A2
Tumore esteso oltre l’utero, non alla parete pelvica o al terzo inferiore della vagina
• T2A
Assenza di evidente coinvolgimento parametriale
• T2B
Evidente coinvolgimento parametriale
• T3
Tumore esteso fino alla parete pelvica e/o al III inferiore della vagina
• T3A
Invasione di un terzo inferiore della vagina senza estensione alla
parete pelvica
• T3B
Estensione alla parete pelvica e/o idronefrosi o rene escluso
• T4
Invasione della mucosa della vescica o del retto e/o estensione
fuori della piccola pelvi
• NX
Metastasi linfonodali non valutabili
• N0
Assenza di metastasi linfonodali
• N1
Metastasi linfonodali regionali
• Mx
Metastasi a distanza non valutabili
• M0
Assenza di metastasi
• M1
Presenza di metastasi a distanza.
Le regole per una corretta stadiazione clinica, secondo la classificazione FIGO
prevedono che:
• Lo stadio sia definito clinicamente prima di qualsiasi programma terapeutico
• La stadiazione clinica venga effettuata immediatamente dopo la diagnosi
di cervico-carcinoma
• Definito lo stadio esso non sia modificato successivamente al riscontro istologico
• Nei casi di dubbio clinico tra due stadi venga scelto quello inferiore.
È utile infine considerare che la stadiazione FIGO, maggiormente utilizzata nella
pratica clinica, attualmente non include la valutazione di numerosi altri fattori
prognostici, utili per la programmazione del piano terapeutico:
• Tipo istologico, grado di differenziazione, recettori ormonali, virus e oncogeni, modalità di infiltrazione.
• Stato linfonodale
• Diffusione degli spazi linfo-vascolari
• Volume del tumore.
165
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
6. Trattamento degli stadi precoci
Il trattamento del carcinoma della cervice uterina con esordio in fase precoce
(FIGO IA1-IB1) è modulabile in base allo stadio ed all’età di insorgenza della
malattia, in ragione del desiderio di prole (l’incidenza nelle donne giovani
che desiderano conservare la fertilità è pari al 25-40%).
Può pertanto prevedere un atteggiamento terapeutico conservativo o demolitivo (figura 1).
La chirurgia conservativa (fertility sparing) può essere riservata alle donne
affette da malattia in stadio precoce (FIGO IA1-IB1) fortemente motivate alla
conservazione della fertilità, con le seguenti caratteristiche:
• Lesione cervicale con diametro < di 3 cm
• Linfonodi negativi
• Età ≤ 45 anni
• Accertata fertilità
a) In particolare, in caso di lesioni con diametro < 2 cm il trattamento di
scelta prevede la conizzazione a lama fredda associata a linfadenectomia pelvica laparoscopica (LPS) o quando non possibile laparotomica
(LPT).
Qualora l’esame istologico definitivo mostri i margini del cono prossimi
o infiltrati dalla malattia deve essere valutata la possibilità di una “ri-conizzazione” (fino ad ottenere una completa radicalità chirurgica). Nel
caso il reintervento non fosse possibile (principalmente per ragioni steriche, come l’assenza di sufficiente tessuto cervicale residuo) sarà utile
far seguire alla chirurgia un trattamento chemioterapico antiblastico
adiuvante.
b) Nelle lesioni con diametro > 2 e < 3 cm l’indicazione di prima istanza
consiste nella visita ginecologica in narcosi con biopsie multiple e linfadenectomia pelvica sistematica LPS (o quando non possibile LPT).
In caso di assenza di malattia linfonodale, nonostante le maggiori dimensioni della neoplasia, si potrà tentare la strada di una chirurgia conservativa sulla cervice, preceduta da chemioterapia antiblastica
neoadiuvante, ed in base alla risposta clinica si valuterà l’appropriatezza
delle seguenti opzioni:
- chirurgia conservativa: conizzazione a lama fredda (in caso di sufficiente risposta alla terapia)
- chirurgia radicale: isterectomia radicale di classe C1 secondo Querleu
associata o meno all’annessiectomia bilaterale (in dipendenza dell’età e
del desiderio della paziente) (in caso di risposta insufficiente alla terapia).
In ogni caso, qualora l’esame istologico definitivo mostri linfonodi pelvici metastatici si procederà a chirurgia radicale, ossia:
• isterectomia radicale di classe B1 (se T< 2 cm) o C1 (se T > 2 e < 3 cm)
secondo Querleu, eventuale annessiectomia bilaterale (in dipendenza
dell’età e del desiderio della paziente)
• linfadenectomia paraorto-cavale fino all’arteria mesenterica inferiore
Infine, concluso lo step chirurgico, in presenza di malattia linfonodale e/o di
multipli fattori prognostici sfavorevoli è necessario valutare, dopo adeguato
counselling, l’aggiunta di un trattamento radioterapico adiuvante.
La chirurgia radicale (no fertility sparing) è riservata alle donne giovani
senza desiderio di prole o di fertilità, alle donne di età > 45 anni o con lesioni
Figura 1. Cancro della cervice
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della cervice
del diametro ≥ 3 cm.
In questi casi l’intervento può avvenire secondo:
• tecnica laparoscopica (in caso di lesione di minore diametro che consenta l’utilizzo del manipolatore uterino)
• tecnica laparotomica nel caso di lesioni ≥ di 3 cm
• tecnica robotizzata (se il presidio è disponibile nella struttura).
L’intervento chirurgico prevede
• l’isterectomia radicale di classe B1 (se T< 2cm) o C1 (se T > 2 cm) secondo Querleu
• l’annessiectomia bilaterale
• la linfadenectomia pelvica sistematica ed eventualmente paraorto-cavale
fino all’arteria mesenterica inferiore (sulla base degli esami strumentali
pre-operatori o dell’esame istologico estemporaneo intraoperatorio)
La presenza all’esame istologico definitivo di fattori prognostici sfavorevoli
pone indicazione all’aggiunta di un trattamento adiuvante. Nello specifico in
caso di:
• infiltrazione > del 50%, grading scarsamente differenziato (G3), interessamento degli spazi linfo-vascolari (LVI) e positività linfonodale (N+),
la terapia adiuvante di scelta consiste nella radioterapia a fasci esterni
(ERT) in associazione con la brachiterapia (BRT).
• positività dei margini di resezione e/o parametri positivi la terapia adiuvante prevede radio-chemioterapia concomitante (ERT-CT) seguita da
BRT.
In questo gruppo di donne può inoltre essere considerata una RADIOTERAPIA ESCLUSIVA nel caso in cui la donna presenti importanti comorbidità che
controindichino l’intervento chirurgico o nel caso di donne anziane.
7. Trattamento degli stadi avanzati
molitiva per motivi anestesiologici, infettivologici (e.g. HIV positive), metabolici (e.g. diabete ed obesità severa) o per impedimenti psico-sociali
a sostenere una chirurgia altamente demolitiva
b) al profilo di tossicità più conforme alle esigenze della paziente (come ad
esempio quello relativo alla omissione della chirurgia e dei suoi potenziali rischi, a fronte dell’accettazione degli esiti della BRT sui tessuti adiacenti la cervice, non osservabili invece in un trattamento RT-CT
neoadiuvante)
c) la preferenza dell’operatore a non eseguire un atto chirurgico demolitivo
su tessuti già irradiati.
La scelta del TRATTAMENTO NEOADIUVANTE SEGUITO DA CHIRURGIA RADICALE potrà avvalersi invece di due opzioni terapeutiche:
Il trattamento degli stati avanzati si differenzia in base all’estensione, all’eventuale coinvolgimento della mucosa vescicale e rettale o alla presenza
di metastasi a distanza.
1. Negli stadi di malattia IB2, II e III le opzioni terapeutiche prevedono un trattamento radio-chemioterapico esclusivo verso un trattamento neoadiuvante,
seguito da chirurgia radicale ed eventuale trattamento adiuvante.
In base ai dati attualmente disponibili in letteratura, le due opzioni risultano
sostanzialmente sovrapponibili in termini di sopravvivenza.
La scelta del TRATTAMENTO RADIO-CHEMIOTERAPICO ESCLUSIVO o RADIOTERAPICO ESCLUSIVO, verrà preferito in base a:
a) le caratteristiche della paziente: donne con età > di 75 anni, PS ≥ 2,
donne che in futuro siano in ogni modo non candidabili a chirurgia de-
Riconizzazione
Margini +
≤2 cm; N-: ≤45 aa
(previo studio della fertilità)
Conizzazione* +
LFN pelvica (LPS)
Fertility sparing
N+
RAH*** + LFN pa (evSOB)
N-
>2 e < 3 cm; N-: ≤45 aa
(previo studio della fertilità)
Visita ginecologica
in narcosi* + LFN (LPS)
Early stage
IA1-IB1
<2 cm
No Fertility sparing
RT esclusiva (80 gy)
≥2 cm
Terapia adiuvante
Counselling in
centri oncologici
di eccellenza
N+
N+ (lombo-aortici),
margini+, parametri+
* A lama fredda, ** Visita ginecologica in narcosi, *** Tipo B1 se T<2 cm - Tipo C1 se T ≥2 cm
LACC
IB2 - II - III
RAH*** + LFN pa +
(evSOB)
T1, NX;
RT-CT
esclusiva
Margini
negativi
CT a barre i platino
RT di almeno
T1, NX70Gy
con
caratteristiche
ad alto rischio
RT esclusiva
o T2, NX
RT di almeno 80Gy
Attesa
pT1-2,
N0, M0
Resezione
Chirurgica
addominale
pT3, N0, M0
o
pT1-3, N1-3
RAH* + LFN + SOB
LPS/LPT
Terapia
neoadiuvante
ERT (+ CT) + BRT
Resezione
chirurgica
Addominale
RAH*** + LFN + SOB
LPT
cT1, N0
Escissione
Transanale
se possibile
RT-CT
Infiltrazione >50%, LVSI+,
N+ (pelvici), G3
LPS/ROBOT
Figura 2. Cancro della cervice
Counselling in
centri oncologici
di eccellenza
ERT - CT + BRT
* Type C1 sec Querleu
pT1-2,
N0, M0
pT3, N0, M0
o
pT1-3, N1-3
O
5-FU± leucovorina o poi 5-FUic/RT
o 5-FU a bolo + leucovorina/RT o
capecitabinaCR
RT, poi 5-FU ± leucovorina
o
micro
5-FUic/RT o PR
5-FU
a bolo +
leucovorina/RT o capecitabina/RT,
PR macro
e/o
seguita da 5-FU
± leucovorina
N+, margini +
Nei pazienti con pN+ si suggerisce
l’impiego dell’oxaliplatino
CR
PR micro
RAH* + LFN + SOB
LPS/LPT
PR macro e/o
N+, margini +
5-FU± leucovorina o poi 5-FUic/RT o 5-FU a bolo + leucovorina/RT
o capecitabina RT, poi 5-FU ± leucovorina
Inflitrazione >50%,
o
G3, LVS1+, N+ (1 LFN)
5-FUic/RT o 5-FU a bolo + leucovorina/RT o capecitabina/RT,
seguita da 5-FU ± leucovorina
Attesa
166
FU
CT
SC
FU
FU
CT
Nei pazienti con pN+si suggerisce l’impiego dell’oxaliplatino
Pagina
FU
Pagina
167
RT-CT
RT
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
a) Radio-chemioterapia concomitante
b) Chemioterapia antiblastica.
La scelta avverrà in base a fattori come l’eleggibilità alla radioterapia pelvica
o la presenza di eventuali controindicazioni soggettive alla radioterapia, la disponibilità dell’operatore ad eseguire un intervento chirurgico sugli esiti della
radioterapia o le risorse tecniche del centro dove si svolge il trattamento (e.g.
possibilità all’eventuale irradiazione della barra aortica). L’indirizzo terapeutico viene stabilito dopo aver completato la stadiazione clinico-strumentale:
ecoflussimetria pelvica TV/TR, RMN addomino-pelvica, visita in narcosi con
biopsie multiple, eventuale cistoscopia/rettoscopia, 18 FDG-PET/TC.
Al termine del trattamento verrà effettuata una rivalutazione con i medesimi
esami, ad eccezione della visita in narcosi con biopsie (che sarà utile ripetere solo in assenza di risposta alla terapia o per sospetta progressione di
malattia).
A seguire, la chirurgia radicale prevede: l’isterectomia di classe C1 secondo
Querleu, l’annessiectomia bilaterale e la linfadenectomia sistematica pelvica
ed eventualmente paraorto-cavale fino all’arteria mesenterica inferiore (sulla
base dell’esame istologico intraoperatorio degli esami strumentali).
Anche in questo caso la tecnica chirurgica, quando possibile deve essere laparoscopica (o robotizzata) ed in alternativa laparotomica.
Infine, una volta completato il trattamento neoadiuvante e la chirurgia, l’indicazione ad un eventuale trattamento adiuvante complementare verrà posta
sulla base dell’esame istologico definitivo:
• In presenza di una risposta patologica completa (CR) o parziale microscopica (PR micro) non seguiranno ulteriori terapie e la paziente sarà
indirizzata ad uno stretto follow-up.
• Nel caso in cui la risposta alla terapia neoadiuvante sia parziale macroscopica (PR macro) o assente, oppure in presenza di multipli fattori prognostici sfavorevoli (quali linfonodi positivi, infiltrazione > 50%, alto
grading, margini di resezione positivi, parametri positivi o interessamento
degli spazi linfo-vascolari) si porrà indicazione all’aggiunta di terapia
adiuvante: chemioterapia o radio-chemioterpia concomitante, sulla base
del precedente trattamento neoadiuvante.
2. Nello stadio IV le opzioni terapeutiche prevedono un diverso trattamento
sulla base della presenza di metastasi a distanza o meno.
Nello stadio IV A (Infiltrazione della mucosa vescicale e/o rettale) le opzioni
terapeutiche prevedono un trattamento radio-chemioterapico esclusivo verso
un trattamento neoadiuvante (RT-CT o CT).
La scelta tra queste due opzioni terrà conto delle medesime considerazioni
riportate per gli stadi meno avanzati.
Come sempre il trattamento sarà preceduto da una completa valutazione clinico-strumentale che prevede: ecoflussimetria pelvica TV/TR, RMN addomino-pelvica, visita in narcosi con biopsie multiple, eventuale cistoscopia/
rettoscopia, 18 FDG-PET/TC.
Al termine del trattamento verrà effettuata una rivalutazione clinico strumentale con i medesimi esami (compresa la visita in narcosi con eventuali
biopsie di rivalutazione delle mucose vescicale/rettale).
Per le donne sottoposte a TRATTAMENTO NEO-ADIUVANTE (RT-CT o CT):
• in caso di progressione, stabilità di malattia (PD/SD) o infiltrazione della
mucosa vescicale e/o rettale, l’indicazione terapeutica è la pelvectomia
(anteriore, posteriore o totale)
• in caso di risposta completa o parziale (CR/PR) e assenza di malattia vescicale e/o rettale alle biopsie di rivalutazione, sarà possibile eseguire
una chirurgia più conservativa ma adeguatamente radicale, con il risparmio della vescica e/o del retto.
Nello stadio IV B (metastasi a distanza) il trattamento può prevedere nell’immediato la CHIRURGIA PALLIATIVA, per il controllo dei sintomi legati al
sanguinamento vaginale e/o rettale o la CHEMIOTERAPIA ANTIBLASTICA:
• in caso di risposta parziale, stabilità o progressione di malattia oppure
in caso di metastasi non resecabili, la chemioterapia assumerà il significato di trattamento esclusivo, ossia non seguito da chirurgia
• in caso di completa risposta clinica delle localizzazioni a distanza o in
presenza/persistenza di un’unica metastasi resecabile, si procederà all’intervento chirurgico pelvico con eventuale resezione della metastasi.
Sulla base dell’esame istologico definitivo si valuterà l’opportunità di aggiungere eventuali terapie adiuvanti.
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della cervice
8. Refertazione istologica
In considerazione della necessità di modulare il trattamento oncologico sulla
base delle caratteristiche istologiche della malattia, è auspicabile la condivisione di un modello unico di refertazione istologica, come guida nelle diverse fasi della malattia (biopsie pre-trattamento e di rivalutazione, esame
istologico intraoperatorio e definitivo) (tabella 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 7).
Tabella 3. Linfonodi pelvici: (linfonodi pelvici includono otturatori,
iliaci interni, esterni e comuni)
Numero totale
Destro
Sinistro
Numero di linfonodi coinvolti
Esame istologico definitivo
Destro
Sinistro
Tabella 1. Esame macroscopico
Margine di resezione Presente/assente
vaginale
Lunghezza: mm
Dimetro: mm
Estensione extranodale
Si/ No
Dimensione utero
Lunghezza: mm
Diametro trasverso: mm
Diametro antero-posteriore: mm
Tabella 4. Linfonodi para-aortici
Annessi
Presenti
Assenti
Normali
Anormali
Numero totale:
Presenza tumore
Sì
No
Dimensione del tumore: mm x
mm
Numero di linfonodi positivi:
Posizione del
tumore
Anteriore:
Posteriore:
Destra:
Sinistra:
Circonferenziale:
Esocervice:
Endocervice:
Numero di linfonodi negativi:
Non asportati:
Estensione extranodale:
Si/No
Tabella 5. Altri tessuti/organi
Endometrio
Normale:
Anormale (specificare)
Miometrio
Normale:
Anormale (specificare)
Annesso destro
Normale:
Anormale (specificare)
Annesso sinistro
Normale:
Anormale (specificare)
Tabella 2. Esame microscopico
Istotipo
G1/Ben differenziato
G2/Moderatamente differenziato
Differenziazione
G3/Scarsamente differenziato
GX/Non applicabile
Figura 3. Cancro della cervice
RT-CT esclusiva
IV A
Massima estensione orizzontale: mm
Tabella 6. AICC RNM 2009 (7 edizione)
Spessore/profondità di invasione: mm
pT
Dimensioni Tumore
RT-CT
Valutazione della risposta
post-CT
(con ev biposie
vescicali/rettali)
Terapia neoadiuvante
CT
IV STADIO
Pelvectomia se PD/SD
o biopsie
vescicali/rettali positive
Chirurgia radicale diversa
da plvectomia solo
in casi di CR/PR e biopsie
vescicali/rettali negative
pN
Mx
Dimensioni utero
Lunghezza:
mm
Diametro trasverso: mm
Annessi
Presenti/
assenti
normali/anormali
(specificare)
Presenza tumore
Sì/No
Dimensione de tumore:
mm x mm
Coinvolgimento macroscopico
della vagina
Sì/No
Coinvolgimento macroscopico
dei paramentri
Sì/No
Coinvolgimneto macroscopico
dei tessuti paracervicali
Sì/No
Si/No
Distanza dal margine epiteliale vaginale
distale: mm
Coinvolgimento Paracervicale
Se PR/SD/PD
sulle metastasi o
metastasi non resecabili
IV B
Sinistro
Se coinvolto
Destro
CT esclusiva
Si/No
CT
Coinvolgimento parametriale
Se CR sulle metastasi
o solo 1 metastasi
resecabile
Pagina
168
Sinistro
Se coinvolto
Destro
Intervento chirurgico
Invasione linfovascolare
C4
Tabella 7. Esame istologio intraoperatorio
Si/No
Chirurgia palliativa
R0
Stadio FIGO
Spessore stroma cervicale
sottotumorale non-coinvolto
(spessore della rima tessutale
esente da tumore): mm
Coinvolgimento vaginale
G2
Si/No
Pagina
169
Diametro anteroposteriore: mm
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
9. Follow up
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della cervice
Risorse/Procedure
Numero pazienti
trattati nel 2010
Disponibilità
Procedure
Al termine del trattamento seguiranno periodici controlli clinico-strumentali,
volti alla valutazione delle complicanze precoci e tardive conseguenti alle diverse terapie effettuate ed alla individuazione precoce di una eventuale ripresa di malattia. È noto infatti che la prognosi relativa al trattamento di una
recidiva è legata alla precocità della sua diagnosi.
I controlli che avverranno ogni 4 mesi per i primi due anni dal termine del
trattamento comprendono i seguenti esami di base:
• visita ginecologica con esplorazione rettale
• scraping vaginale o Pap-test (in caso di trattamento conservativo)
• esami di laboratorio, compresi i markers tumorali
• ecoflussimetria pelvica TV/TR
A questi si aggiungono:
• RMN addomino-pelvica (a cadenza semestrale)
• 18 FDG-PET (a cadenza annuale o sulla base di un sospetto di ripresa di
malattia)
• TC total-body con mdc (quando PET non disponibile o controindicata)
• cistoscopia e/o rettoscopia (negli stadi IV non sottoposti a pelvectomia)
Nei successivi tre anni i controlli avverranno con cadenza semestrale prevedendo gli esami già elencati.
Dopo il quinto anno il follow-up consisterà in controlli annuali di base.
Per l’eccellenza è necessario soddisfare 2 dei 3 requisiti
Completamento stadiazione
3 settimane dalla prima visita
Inizio procedura radioterapia
4 settimane dalla prescrizione
Inizio terapia
Le UOC di Radioterapia si impegnano a mettere in atto le procedure sia radio che chemioterapiche in tempo reale, attenendosi
esclusivamente a quelli che sono i tempi tecnici necessari. Nei
trattamenti postoperatori l’intervallo sarà il più breve possibile
compatibilmente con le condizioni cliniche della paziente e con i
tempi di guarigione della ferita chirurgica
Gruppo Oncologico Multidisciplinare
La gestione del paziente può avvalersi di questa risorsa
Attività Scientifica
Per l’eccellenza è necessario 1 dei 3 requisiti
Pubblicazione
Tabella 1. Gruppo di lavoro tumori ginecologici (escluso il carcinoma dell’ovaio)
Adesione a protocolli nazionali e internazionali
Requisiti minimi (fondo bianco) e criteri di eccellenza (fondo grigio)
Risorse/Procedure
Disponibilità
Numero minimo di interventi per tumori ginecologici
Servizio di anatomia patologica
Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa
Collegamento con altre UO (Chirurgia generale, urologia)
Idem
Disponibilità di strumentazione laparoscopica
Idem
Disponibilità di posti in Terapia Intensiva Post-operatoria
Il trattamento può avvalersi di questa risorsa
Disponibilità dell’esame istologico intraoperatorio
Idem
Numero pazienti
trattati nel 2010
Presentazioni a Congressi e Corsi
Relazioni, comunicazioni
Presenza di una pubblicazione nell’anno
40
Partecipazione a studi multicentrici
Almeno uno nell’anno
10. Bibliografia
Possibilità di valutare il linfonodo sentinella (Tumori della vulva) Idem
•
NB: Il carcinoma della cervice localmente avanzato richiede, in particolar modo, centri in cui è attivo il servizio di radioterapia.
Radioterapia Oncologica
Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e 3 dei 5 altri requisiti
Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore primitivo
con intento radicale o palliativo
15
Acceleratore lineare
Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa
Simulazione con utilizzo di TC
Idem
Piano di trattamento basato su immagini TC
Idem
Immagini portali settimanali
Idem
Sistemi di immobilizzazione o dislocamento
Idem
DH
Disponibilità di accesso
•
•
•
25
Radioterapia conformazionale con collimatore multilamellare
Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa
IMRT
Il trattamento può avvalersi di questa risorsa
IGRT
Idem
Brachiterapia
Idem
DEGENZE
Disponibilità posti letto dipartimentali o tecnici
•
•
•
Procedure
Prima visita specialistica
•
•
Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore
primitivo con intento radicale o palliativo
Per l’eccellenza è necessario soddisfare 2 dei 3 requisiti
1 settimana dalla richiesta di prenotazione
Pagina
170
Almeno uno nell’anno
•
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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma dell’endometrio
Criteri di appropriatezza clinica
ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up del carcinoma
dell’endometrio
Coordinatore: Giovanni Scambia
P.A. Margariti, V. Di Donato, R. Angioli, F. Maneschi, F. Patacchiola, G. Nicolanti, G. Vittori,
P. Palazzetti, A. Micheli, L. Pompei, V. Donato, G. Arcangeli, A. Savarese, L. Bonomo,
V. David, M. Crecco, G.F. Zannoni, V. Gomes, S. Rahimj, G. Manlio
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172
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173
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
INDICE
1.
Segni e sintomi
Pagina 175
2.
Forme istologiche
2.1 Vie di diffusione
Pagina 175
3.
Diagnosi
Pagina 175
4.
Valutazione clinico strumentale
Pagina 176
5.
Stadiazione
5.1 Stadiazione del carcinoma del corpo uterino (FIGO 2009)
5.2 Stadiazione TNM del carcinoma del corpo uterino (AJCC/UICC)
Pagina 177
Trattamento
6.1 Trattamento degli stadi precoci
6.2 Trattamento degli stadi avanzati
Pagina 177
7.
Terapia adiuvante
Pagina 179
8.
Refetazione istologica
Pagina 180
9.
Follow-up
Pagina 181
10.
Bibliografia
Pagina 182
6.
Pagina
Pagina 177
Pagina 177
Pagina 177
Pagina 179
174
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma dell’endometrio
Il carcinoma dell'endometrio è il tumore maligno più comune in ambito ginecologico, con una stima globale di circa 43.470 nuovi casi nel 2010 e 7950
decessi. Nell’ultimo decennio la sua incidenza è notevolmente aumentata
nei paesi sviluppati, rappresentando l’8-10% di tutte le neoplasie femminili.
In Italia rappresenta il 5-6% dei tumori che colpiscono le donne, con 4.000
nuovi casi annui. L’età media alla diagnosi è 61 anni. Tuttavia rappresenta
una patologia che dal 5% al 29% affligge donne in età riproduttiva con ≤ 45
anni.
I fattori di rischio correlati allo sviluppo di questa neoplasia possono essere:
Endogeni:
• menarca precoce
• menopausa tardiva
• nulliparità
• anovularità (policistosi ovarica)
•
•
costituzionali (obesità, diabete, ipertensione arteriosa)
genetici e familiari (nella correlazione con i tumori della mammella, ovaio
e colon - vd Sindrome ereditaria, Lynch II, associata a mutazione a carico dei geni del mismatch repair - MMR)
• tumori ovarici estrogeno secernenti.
Esogeni:
• dietetici
• radioterapia a fasci esterni (ERT) in base alla dose e alla durata
• terapia con tamoxifene
• terapia estrogenica non bilanciata.
Al contrario, i fattori di protezione comprendono:
• contraccezione con E/P
• età avanzata all’ultimo parto
• menarca tardivo e/o menopausa precoce.
1. Segni e sintomi
Il carcinoma dell’endometrio quasi mai decorre in maniera asintomatica ma
spesso si manifesta con segni sfumati e non sempre riconoscibili. In particolare, in post-menopausa il sintomo di esordio più tipico è rappresentato dal
sanguinamento uterino atipico che può avvenire sotto forma di spotting, blee-
ding o metrorragia. Nelle donne in età riproduttiva ed in perimenopausa, in
presenza di fattori di rischio, il sospetto deve essere posto anche di fronte ad
anomalie del ritmo, della durata e della quantità del flusso mestruale o in
presenza di perdite ematiche intermestruali.
2. Forme istologiche
Il carcinoma endometriale si presenta più frequentemente nella forma endometrioide e più raramente nella forma di un istotipo speciale.
In base alle caratteristiche del tessuto su cui si sviluppa si distinguono due
differenti forme cliniche:
• Il Tipo I che insorge prevalentemente in età perimenopausale ed in condizioni di iperestrogenismo, per il quale l’iperplasia complessa e/o con
atipie rappresenta una condizione predisponente o una precancerosi.
Particolari condizioni a rischio sono il diabete e l’obesità. L’istotipo prevalente è l’endometrioide, spesso a basso o medio grado di differenziazione e generalmente a buona prognosi
• Il Tipo II insorge da un endometrio atrofico post-menopausale mostrando
un comportamento clinico indipendente dall’assetto estrogenico. Gli istotipi prevalenti sono il sieroso, a cellule chiare e indifferenziato, spesso ad
alto grading e con prognosi sfavorevole
Più in generale la classificazione istologica del carcinoma dell’endometrio
riflette le ampie possibilità di differenziazione della cellula ghiandolare di derivazione mulleriana:
1. Adenocarcinoma endometriale
a. con differenziazione squamosa
b. secretivo
c. ciliato
2. Adenocarcinoma mucinoso
3. Adenocarcinoma sieroso
4. Adenocarcinoma a cellule chiare
5. Carcinoma squamoso
Pagina
6. Carcinoma indifferenziato
7. Carcinoma misto
8. Tumori non classificabili
La prognosi di questa neoplasia appare correlata maggiormente alla differenziazione istotipica della cellula d’origine piuttosto che al grado istologico
della neoplasia.
Infatti, mentre il carcinoma endometriale con le sue varianti, che si lega ad
una condizione di iperestrinismo, si sviluppa perlopiù dalle cellule endometriali di un endometrio iperplasico, gli altri istotipi si sviluppano in prevalenza
da cellule mulleriane pluripotenti in endometri atrofici.
2.1 Vie di diffusione
La via di diffusione preferenziale del carcinoma dell’endometrio è quella linfatica e le probabilità di coinvolgimento linfonodale sono tanto più alte quanto
più l’infiltrazione del miometrio si approssima alla rete linfatica sottosierosa
Le vie di drenaggio linfatico dell’utero sono essenzialmente tre:
• linfonodi pelvici (iliaci esterni, interni, comuni ed otturatori) attraverso il
legamento largo ed i parametri
• linfonodi paraortici, attraverso il legamento infundibolo-pelvico o i linfonodi pelvici
• linfonodi inguinali, attraverso il legamento rotondo.
In circa il 30% delle pazienti con linfonodi pelvici positivi è presente anche un
coinvolgimento dei linfonodi para aortici; tuttavia non è escluso il riscontro
della positività di questi ultimi a fronte della negatività a livello pelvico.
175
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
dali) agli esami precedenti
precedente procedura chirurgia non adeguata ai fini della stadiazione
(figura 1).
Infine si può ricorrere all’esame TC (TORACE-ADDOME-PELVI con mdc) qua-
3. Diagnosi
•
Attualmente non esiste alcuna forma di screening approvata dal momento
che esami come l’ecografia trans-vaginale, le periodiche biopsie endometriali
random, la citologia endometriale mediante aspirazione elavaggio o abrasione
in donne asintomatiche non si sono rivelate all’altezza dei criteri necessari
per un utilizzo di massa.
Nelle donne sintomatiche che manifestano perdite ematiche atipiche esiste
l’indicazione ad un percorso diagnostico che prevede l’esecuzione di:
• ecografia pelvica TV, possibilmente associata a flussimetria
• isteroscopia diagnostica con eventuale biopsia delle aree sospette
• resettoscopia
• l’unica certezza diagnostica è data dall’esame istologico.
L’esame isteroscopico (ISC) consente di valutare le irregolarità della cavità
uterina e del rivestimento endometriale, orientando in caso di sospetto il prelievo bioptico; esamina inoltre il canale cervicale, offrendo informazioni sul’eventuale estensione della malattia in quella direzione. Tuttavia, non sempre
è possibile condurre l’accertamento bioptico nel corso di un esame ISC ambulatoriale o il campione prelevato può risultare inadeguato; in questo caso
si deve optare per una procedura resettoscopica che consente di effettuare
manovre invasive mirate in condizioni di analgesia con il prelievo di campioni
multipli e più frequentemente adeguati. La tipizzazione istologica della malattia
è di fondamentale importanza perchè consente un primo orientamento terapeutico, offrendo le informazioni di base relative all’istotipo ed al grading.
4. Valutazione clinico strumentale
Ottenuta la diagnosi istologica si procede allo inquadramento strumentale
della diffusione della malattia mediante i seguenti esami di base:
• Ecoflussimetria pelvica trans-vaginale
• RMN addomino-pelvica con mdc
• Rx torace.
In particolare:
L’Ecoflussimetria pelvica TV offre informazioni su:
• Presenza di tessuto neoplasitco endocavitario e diametro massimo della
mlattia
• Infiltrazione miometriale e residuo miometriale libero (in mm)
• Estensione al canale cervicale, eventuale infiltrazione profonda o sconfinamento oltre l’anello stromale
Localizzazione di malattia a livello annessiale
Valutazione dei setti vescico-vaginale e retto-uterino, dei parametri e
delle strutture linfonodali.
La RMN addomio-pelvica con MDC aggiunge a quanto già riportato sopra:
• la valutazione linfonodale pelvica e retroperitoneale con un’elevata accuratezza diagnostica (sensibilità 50% con specificità 95%), leggendo
come patologici i linfonodi con asse corto > 10 mm o con configurazione rotonda ed asse corto ≥ 8 mm.
L’aggiunta di un esame 18 FDG PET/TC può risultare di ausilio nei seguenti casi:
• malattia avanzata all’esordio, nel rischio consistente si metastasi a distanza
• approfondimento strumentale di lesione dubbie (principalmente linfono-
Stadio IA, G1-2
(senza invasione
del miometrio)
Osservazione
Negativo
RM/PET-TC
Positivo
Stadio IA, G1-2
(con invasione del
miometrio <50%)
1. La stadiazione più utilizzata è quella della FIGO (International Federation
of Gynecology and Obstetrics) - ultima revisione pubblicata nel 2009
(Figo Committee on Gynecologic Oncology, Int J Gynaecol Obstet 2009)
basata sul reperto chirurgico ed istopatologico definitivo attraverso cui
si effettua una precisa valutazione dell’estensione della neoplasia e dei
suoi fattori prognostici.
2. La stadiazione TNM (AJCC/UICC, American Joint Committee on Cancer/
Union Internationale Contre le Cancer, Fourth Edition 1982, revisionata
nel 1992) meno utilizzata rispetto alla stadiazione FIGO.
5.1 Stadiazione del carcinoma del corpo uterino
(FIGO 2009)
•
•
•
•
I
IA
IB
II
•
•
III
IIIA
•
•
•
•
•
IIIB
IIIC
IIIC1
IIIC2
IV
•
•
IVA
IVB
Il tumore confinato al corpo dell’utero
No invasione o invasione < 50% del miometrio
Invasione ≥ 50% del miometrio
Il tumore invade lo stroma cervicale ma non si estende oltre
l’utero**
Estensione locale e/o regionale del tumore
Il tumore invade la sierosa del corpo uterino e/o
gli annessi ***
Interessamento vaginale e/o parametriale
Metastasi ai linfonodi pelvici e/o paraortici
Linfonodi pelvici positivi
Linfonodi paraortici positivi con o senza linfonodi pelvici positivi
Il tumore invade la vescica e/o la mucosa intestinale e/o metastasi a distanza
Il tumore invade la vescica e/o la mucosa intestinale
Metastasi a distanza, incluse metastasi intra-addominali e/o linfonodi inguinali
** il coinvolgimento delle ghiandole endocervicali dovrebbe essere considerato solo
come stadio i e non più come stadio II.
*** la citologia positiva deve essere riportata separatamente senza cambiamento dello
stadio
5.2 Stadiazione TNM del carcinoma
del corpo uterino (AJCC/UICC)
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Tis
T1
T1A
T1B
T1C
T2
T2A
T2B
T3
T3A
•
•
•
•
•
•
•
•
T3B
T4
NX
N0
N1
MX
M0
M1
Carcinoma in situ
Tumore confinato al corpo dell’utero
Tumore limitato all’endometrio
Tumore che invade non oltre il 50%
Tumore con invasione dello spessore del miometrio > del 50
Il tumore ha invaso la cervice uterina senza spingersi oltre l’utero
Tumore con interessamento ghiandolare endocervicale
Tumore con interessamento dello stroma cervicale
Il tumore diffonde oltre l’utero
Tumore con interessamento della sierosa, e/o degli annessi e/o
con citologia peritoneale positiva per cellule tumorali maligne
Metastasi vaginali
Tumore che invade la vescica e/o l’intestino
Metastasi linfonodali non valutabili
Assenza di metastasi linfonodali
Metastasi linfonodali regionali
Metastasi a distanza non valutabili
Assenza di metastasi
Presenza di metastasi a distanza
Fattori prognostici
1) Tipo istologico
2) Grado di differenziazione istologica
3) Profondità di invasione miometriale
4) Coinvolgimento cervicale
5) Invasione vascolare
6) Presenza di iperplasia endometriale atipica associata
7) Stato dei recettori per il progesterone
8) Ploidia del DNA
9) Coinvolgimento degli annessi
10) Citologia peritoneale
11) Metastasi linfonodali pelviche e para-aortiche.
Ristadiazione chirurgica o istologia
positiva per malattia metastatica
Trattamenti
adiuvanti
Positivo
Stadio IA, G3
Stadio IB
Stadio II
lora la struttura non offra la possibilità di eseguire una RMN o una PET/TC oppure nel caso della disponibilità di ecografisti dedicati che garantiscano le informazioni necessarie alla pianificazione terapeutica (ad eccezione della
valutazione linfonodale), di norma ricavabili da un esame RMN.
5. Stadiazione
•
•
Figura 1. Diagnostica per immagini nel caso di stadiazione chirurgica incompleta
Stadiazione
chirurgica
inconpleta
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma dell’endometrio
RM/PET-TC
Pagina
Negativo
176
6. Trattamento
Il trattamento chirurgico rappresenta, nel carcinoma dell’endometrio, il gold
standard.
Esso consente una corretta stadiazione, una corretta individuazione delle pazienti ad alto rischio di recidiva e, conseguentemente, l’indicazione ad una
eventuale terapia adiuvante.
Pagina
6.1 Trattamento degli stadi precoci
Il trattamento del carcinoma dell’endometrio con esordio in fase precoce
(FIGO IA-IB) è modulabile in base allo stadio, all’istotipo ed all’età di insorgenza della malattia, in ragione del desiderio di prole. Può pertanto prevedere
un atteggiamento terapeutico conservativo o demolitivo.
177
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma dell’endometrio
ferenziato o infiltrazione > 50%, con un grading moderatamente o scarsamente differenziato, la linfoadenectomia pelvica sistematica deve essere compresa nello sforzo chirurgico, dato il maggior rischio di
metastasi linfonodali (figura 2).
Figura 1. Trattamento degli stadi precoci
“Fertility sparing”
Adenocarcinoma tipo endometrioide G1,
studio della fertilità, non invasione miometriale
ISC+MA
6.2 Trattamento degli stadi avanzati
Stadio precoce
(IA, IB)
Tecnica LPS
accessibile
LPS*
No linfoadenectomia**
Lymph
No fertility sparing
Tecnica
impossibile
LPT*
Negativo(Stadio FIGO
Il trattamento degli stati avanzati del carcinoma dell’endometrio
II-IV) si differenzia in base allaRM/PET-TC
diffusione della malattia e alla presenza di
Positivo
segni e sintomi:
Stadio IA, G1-2
•
Chirurgia
radicale:
(con invasione del
- donne
sintomatiche (in presenza di anemizzazione severa)
miometrio
<50%)
Ristadiazione chirurgica o istologia
- malattia aggredibile chirurgicamente
positiva per malattia metastatica
•
Terapia neoadiuvante:
- donne asintomatiche
- malattia metastatica
La terapia neoadiuvante prevede un ciclo completo di terapia antiblastica
con rivalutazione della diffusione di malattia. Quando possibile a questa
segue un trattamento chirurgico. L’intervento chirurgico prevede:
Osservazione
• isterectomia totale
• annessiectomia bilaterale
• linfoadenectomia pelvica e/o lombo-aortica
• omentectomia totale
• resezione di metastasi macroscopiche
Il fine è effettuare una chirurgia radicale quindi ottimale con assenza di malattia macroscopicamente visibile (RT=0) (figura 3).
No linfoadenectomia**
Trattamenti
adiuvanti
Positivo
* Isterectomia radicale
Tipo Ao B1 in caso diinflitrazione della cervice sec Querleu
Annessiectomia + linfoadenectomia pelvica (min. 15 N)
+/- linfoadenectomia lombo-aortica (min. 10 N)
**Invasione miometriale: <50% G1-G2
Invasione miometriale: >50% G1 (Endometrioid type)
7.
Terapia
adiuvante
Stadio
IA, G3
Stadio IB
Stadio II
Il TRATTAMENTO CONSERVATIVO può essere eseguito in donne che presentano le seguenti caratteristiche:
• Giovane età < 45 anni
• Istotipo endometrioide
• Assente infiltrazione miometriale
• Grado ben differenziato (G1)
• Accertata fertilità
Il “Fertility Sparing” prevede l’esecuzione di un’isteroscopia operativa che
accerti la presenza di un carcinoma in stadio iniziale con le caratteristiche
suddette, seguita da una terapia ormonale (e.g. Medrossiprogesterone acetato- Megace®) a cadenza trimestrale fino alla completa risposta.
La risposta al trattamento progestinico viene valutata attraverso un’isteroscopia diagnostica con biopsie ed una ecoflussimetria pelvica, TV al termine
di ogni ciclo di terapia ormonale.
Il TRATTAMENTO RADICALE è riservato a:
• donne giovani in assenza di desiderio di prole
• donne di età > 45 anni
• infiltrazione miometriale
• grado istologico ≠ G1
• istotipi speciali (sieroso, cellule chiare, indifferenziato)
L’indicazione terapeutica è rappresentata dall’isterectomia radicale Tipo A o
B1 (nel caso di infiltrazione della cervice) secondo la classificazione di Querleu, annessiectomia bilaterale, lavaggio pelvico per esame citologico, linfoadenectomia pelvica con asportazione di un minimo di quindici linfonodi
bilateralmente e/o lomboaortica con un minimo di dieci linfonodi bilateralmente sulla base della presenza o meno di malattia linfonodale pelvica.
La tecnica chirurgica di scelta è oggi rappresentata dalla laparoscopia, in
grado di ottenere ottimi risultati in termini di radicalità equiparabili alla chirurgia laparotomia, ma anche di ottenere un miglior out come post-operatorio (rapida mobilizzazione, diminuiti giorni di degenza, scarsa sintomatologia dolorosa post-chirurgica) non paragonabile ad una chirurgia a cielo
aperto.
Il trattamento chirurgico del carcinoma dell’endometrio richiede una valutazione istologica intraoperatoria al fine di valutare l’istotipo, l’infiltrazione miometriale, il grading, il coinvolgimento del canale cervicale.
Questo muove la scelta di eseguire o meno la linfoadenectomia pelvica:
• in caso di infiltrazione miometriale < 50%, grado istologico ben o moderatamente differenziato (G1-G2) o istotipo endometrioide con infiltrazione miometriale > 50% ben differenziato (G1), la linfoadenectomia
pelvica può essere omessa.
• In caso di infiltrazione del miometrio < 50%, grading scarsamente dif-
Negativo
Nella scelta di una terapia adiuvante necessaria risulta la valutazione dei
FATTORI PROGNOSTICI:
• tipo istologico
• grado Istologico (25%)
• invasione linfo-vascolare
• invasione miometriale (28-34%)
• stato dei linfonodi
• invasione stroma cervicale (20%)
• diametro del tumore (< 2 cm vs ≥ 2 cm).
La terapia adiuvante più diffusa nel carcinoma dell’endometrio è la radioterapia a fasci esterni sulla pelvi in combinazione o meno con la radioterapia
intracavitaria.
La radioterapia è ormai riconosciuta come efficace per il controllo locale
della malattia.
In letteratura non sono presenti molti studi che pongono l’indicazione di una
terapia antiblastica negli stadi precoci di malattia, nonostante vi sia evidenza
che in presenza di fattori prognostici negativi, l’associazione di una terapia
antiblastica in aggiunta alla radioterapia riduca il rischio di metastasi a distanza (frequente causa di decessi), aumentando quindi il tasso di sopravvivenza.
Nel carcinoma dell’endometrio che interessa mucosa e infiltra il < 50% (IA,
grading G1-G2-G3), in presenza o meno di fattori prognostici negativi, non si
pone indicazione ad una terapia adiuvante. Questo concetto e’ valido anche
in presenza di una neoplasia infiltrante il miometrio per più della metà (IB grading G1-G2), però in assenza di ulteriori fattori prognostici negativi.
In generale, la presenza di un carcinoma scarsamente differenziata richiede
Tabella 1. Terapia adiuvante
G1
G2
G03
Stadiazione completa
No Risk factors
Observe
Observe
Observe
Risk factors*
Observe
Observe
Observe or vaginal BRT
No risk factors
Observe
Observe
ERT+/- vaginal BRT
Risk factors + II
Observe or vaginal BRT
ERT +/- vaginal BRT
ERT and vaginal BRT +/- CT
IA
IB
Figura 3. Trattamento degli stadi avanzati
Casi clinicamente
operabili e/o
pazienti sintomatiche
Surgical effort
- Isterectomia
- Annessiectomia bilaterale
- Liufoadenectomia
- Omentectomiaa
- Resezione metastasi
LPT/LPS
Stadio FIGO
avanzato
II-IV
Casi inoperabili
clinicamente e/o
pazienti asintomatici
RM/PET-TC
Stadiazione incompleta
Imaging
ERT (no LN paraortici) + vaginal BRT
IA, G3, IB
Imaging + II
ERT (+ LN paraorici + vaginal BRT + CT
G1
G2-G3
IIIA
ERT ± BRT (?)
CTx4 + ERT sequential
Alternativa: CTx6 ± BRT
IIIB-IIIC
ALL G CTx4 + ERT (sequential) or CTx3 + ERET + CTx3
RT=0
LPS
NACT
IV A (debulking senza grosso residuo
o residuo microscopico)
Pagina
178
ALL G CTx6
Pagina
179
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
una più attenta valutazione al fine stabilire se realmente non vi è la necessità di una terapia adiuvante. In stadi ancora precoci di malattia, in presenza
di più fattori di prognosi negativi, si pone indicazione ad una terapia adiuvante. La sola chirurgia può rappresentare l’opzione nel caso di un tumore
ben differenziato in presenza di fattori di rischio. Differentemente la radioterapia adiuvante può ridurre il rischio di ripresa di malattia, quando somministrata in neoplasie di grado moderato.
Molto discusso invece, è la necessità di eseguire in donne con malattia allo
stadio iniziale con più fattori prognostici negativi, una chemioterapia che
segua alla radioterapia. Studi presenti in letteratura sostengono che l’associazione di una chemioterapia in uno stadio IB, con più fattori prognostici
negativi riduce la possibilità di ripresa di malattia a distanza, determinando
un incremento della sopravvivenza e un maggior tempo libero domani mattina.Nel II stadio (invasione dello stroma cervicale) in presenza o meno di
fattori prognostici negativi l’opzione terapeutica è di uno stretto controllo nel
caso in cui il tumore sia ben differenziato.
Peggiorando il grading, si rende necessaria una radioterapia nel caso que-
sto risulti un grading moderatamente differenziato, in associazione di una
radio-chemioterapia non concomitante nelle forme scarsamente differenziate.
Nello stadio IIIA (invasione della sierosa dell’utero e/o interessamento degli
annessi), come negli altri casi, il trattamento adiuvante cambia sulla base
del grado istologico; in caso di un tumore ben differenziato l’indicazione di
una radioterapia a fasci esterni in associazione o meno alla brachiterapia. Nel
tumore moderatamente/scarsamente differenziato, alla radioterapia seguiranno quattro cicli di terapia antiblastica. L’alternativa può essere rappresentata da sei cicli di chemioterapia associata o meno ad una brachiterapia.
Nello stadio IIIB/IIIC (interessamento vaginale e/o parametriale/metastasi ai
linfonodi pelvici e/o paraortici), la terapia di scelta è la terapia antiblastica associata da una radioterapia esterna; in alternativa tre cicli di chemioterapia,
radioterapia esterna e ulteriori tre cicli di chemioterapia.
Nello stadio IV (invasione della vescica e/o della mucosa intestinale e/o metastasi a distanza), si pone indicazione ad un ciclo completo di terapia antiblastica. La terapia ormonale non trova indicazione come terapia adiuvante.
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma dell’endometrio
9. Follow up
Al termine del trattamento seguiranno periodici controlli clinico-strumentali,
volti alla valutazione delle complicanze precoci e tardive conseguenti alle diverse terapie effettuate ed alla individuazione precoce di una eventuale ripresa di malattia. Il programma di follow-up diagnostico strumentale, viene
modulato anche sulla base dei fattori di rischio.
I controlli avverranno ogni 3/4 mesi per i primi due anni dal termine del trattamento e comprendono i seguenti esami di base:
• visita ginecologica
• scraping vaginale
• esami di laboratorio, compresi i markers tumorali
• ecoflussimetria pelvica TV/TR.
A questi si aggiungono:
• RMN addomino-pelvica (a cadenza semestrale)
• 18 FDG-PET (a cadenza annuale o sulla base di un sospetto di ripresa di
malattia)
• TC total-body con mdc (quando PET/TC non disponibile o controindicata).
Nei successivi tre anni i controlli avverranno con cadenza semestrale prevedendo gli esami già elencati. Dopo il quinto anno il follow-up consisterà in
controlli annuali di base.
Tabella 1. Gruppo di lavoro tumori ginecologici (escluso il carcinoma dell’ovaio)
Requisiti minimi (fondo bianco) e criteri di eccellenza (fondo grigio)
Risorse/Procedure
8. Refertazione istologica
Numero minimo di interventi per tumori ginecologici
In considerazione della necessità di modulare il trattamento oncologico sulla
base delle caratteristiche istologiche della malattia, è auspicabile la condivisione di un modello unico di refertazione istologica, come guida della corretta scelta chirurgica e dell’adeguatezza di una eventuale terapia adiuvante
(esame istologico intraoperatorio e definitivo).
Se esiste anormalità, specificare:
Linfonodi
Pelvici
Numero totale
40
Servizio di anatomia patologica
Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa
Collegamento con altre UO (Chirurgia generale, urologia)
Idem
Disponibilità di strumentazione laparoscopica
Idem
Disponibilità di posti in Terapia Intensiva Post-operatoria
Il trattamento può avvalersi di questa risorsa
Disponibilità dell’esame istologico intraoperatorio
Idem
Possibilità di valutare il linfonodo sentinella (Tumori della vulva) Idem
Numero coinvolti
Esame istologico definitivo
NB: Il carcinoma della cervice localmente avanzato richiede, in particolar modo, centri in cui è attivo il servizio di radioterapia.
Esame macroscopico
Linfonodi
Dimensioni dell’utero
X mm
Diametro massimo del tumore
X mm
Invasione miometriale
Numero pazienti
trattati nel 2010
Disponibilità
Radioterapia Oncologica
Para-aortici
Sì/No
Esame istologico
numero totale
Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore primitivo
con intento radicale o palliativo
Numero coinvolti
Acceleratore lineare
Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa
Simulazione con utilizzo di TC
Idem
Piano di trattamento basato su immagini TC
Idem
Immagini portali settimanali
Idem
Sistemi di immobilizzazione o dislocamento
Idem
DH
Disponibilità di accesso
Lavaggio peritoneale:
Istotipo
Grado FIGO (solo istotipo endometrioide)
% dell’invasione dello spessore del miometrio (facoltativo: mm/mm di
spessore)
Coinvolgimento microscopico di:
Canale cervicale
Sì/No
Parametrio
Sì/No
Annessi
Commenti:
Esame istologico intraopeatorio
Esame macroscopico
Dimensioni dell’utero
X mm
Sì/No
Diametro massimo del tumore
X mm
Sierosa
Sì/No
Invasione miometriale
Sì/No
Spazi linfovascolari
Sì/No>>>>focale/massiva
Normalità delle seguenti strutture
15
Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore
primitivo con intento radicale o palliativo
25
Radioterapia conformazionale con collimatore multilamellare
Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa
IMRT
Il trattamento può avvalersi di questa risorsa
Grado FIGO (solo istotipo endometrioide)
IGRT
idem
% dell’invasione dello spessore del miometrio (facoltativo: mm/mm di
spessore)
Brachiterapia
idem
DEGENZE
Disponibilità posti letto dipartimentali o tecnici
Tuba destra
Sì/No
Ovaio destro
Sì/No
Tuba sinistra
Sì/No
Coinvolgimento macroscopico di:
Procedure
Ovaia sinistra
Sì/No
Canale cervicale: Sì/No
Prima visita specialistica
Pagina
Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e 3 dei 5 altri requisiti
180
Per l’eccellenza è necessario soddisfare 2 dei 3 requisiti
1 settimana dalla richiesta di prenotazione
Pagina
181
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Risorse/Procedure
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Numero pazienti
trattati nel 2010
Disponibilità
Procedure
Per l’eccellenza è necessario soddisfare 2 dei 3 requisiti
Completamento stadiazione
3 settimane dalla prima visita
Inizio procedura radioterapia
4 settimane dalla prescrizione
Inizio terapia
Le UOC di Radioterapia si impegnano a mettere in atto le procedure sia radio che chemioterapiche in tempo reale, attenendosi
esclusivamente a quelli che sono i tempi tecnici necessari. Nei
trattamenti postoperatori l’intervallo sarà il più breve possibile
compatibilmente con le condizioni cliniche della paziente e con i
tempi di guarigione della ferita chirurgica
Gruppo Oncologico Multidisciplinare
La gestione del paziente può avvalersi di questa risorsa
Attività Scientifica
Per l’eccellenza è necessario 1 dei 3 requisiti
Pubblicazioni
Adesione a protocolli nazionali e internazionali
Almeno uno nell’anno
Presentazioni a Congressi e Corsi
Relazioni, comunicazioni
Presenza di una pubblicazione nell’anno
Partecipazione a studi multicentrici
Almeno uno nell’anno
•
•
•
•
•
•
•
Criteri di appropriatezza clinica
ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up del carcinoma
della vulva
Coordinatore: Giovanni Scambia
10. Bibliografia
•
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della vulva
Pecorelli S. Revised FIGO staging for carcinoma of the vulva, cervix, and endometrium. Int J Gynaecol Obstet. 2009; 105(2): 103-4.
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Re F. Linee guida Ginecologia Oncologica SIGO.
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Hogberg T, Signorelli M, Freire de Oliveira C, Fossati R, Lissoni AA, Sorbe B, Andersson H, Grenman S, Lundgren C, Rosenberg P, Boman K, Tholander B, Scambia G, Reed N, Cormio G, Tognon G, Clarke J, Sawicki T, Zola P, Kristensen G.
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Mao Y, Wan X, Chen Y, Lv W, Xie X. Outcomes of conservative therapy for young
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•
•
•
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size. Ultrasound Obstet Gynecol. 201; 38(5): 586-93.
Benedetti Panici P, Basile S, Maneschi F, Alberto Lissoni A, Signorelli M, Scambia
G, Angioli R, Tateo S, Mangili G, Katsaros D, Garozzo G, Campagnutta E, Donadello
N, Greggi S, Melpignano M, Raspagliesi F, Ragni N, Cormio G, Grassi R, Franchi M,
Giannarelli D, Fossati R, Torri V, Amoroso M, Crocè C, Mangioni C. Systematic pelvic lymphadenectomy vs. no lymphadenectomy in early-stage endometrial carcinoma: randomized clinical trial. J Natl Cancer Inst. 2008; 100(23): 1707-16.
182
P.A. Margariti, V. Di Donato, R. Angioli, F. Maneschi, F. Patacchiola, G. Nicolanti, G. Vittori,
P. Palazzetti, A. Micheli, L. Pompei, V. Donato, G. Arcangeli, A. Savarese, L. Bonomo,
V. David, M. Crecco, G.F. Zannoni, V. Gomes, S. Rahimj, G. Manlio
Pagina
183
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
INDICE
1.
Fattori di rischio
Pagina 185
2.
Sintomatologia
Pagina 185
3.
Screening
Pagina 185
4.
Diagnosi
Pagina 185
5.
Valutazione clinico-strumentale
Pagina 186
6.
Stadiazione
6.1 Stadiazione FIGO (2009)
6.2 Stadiazione TNM (2002)
Pagina 186
7.
Principi generali di trattamento
Pagina 187
8.
Trattamento per stadi
Pagina 188
9.
Tecniche di chirurgia plastica ricostruttiva
Pagina 190
10.
Refertazione istologica
Pagina 191
11.
Follow up
Pagina 192
12.
Bibliografia
Pagina 193
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della vulva
Il carcinoma della vulva, responsabile di circa il 5% dei tumori maligni del
tratto genitale femminile, è il 5° tumore ginecologico per frequenza dopo
mammella, endometrio, ovaio e cervice uterina. E’ rappresentato in circa il
90% dei casi da forme istologiche squamocellulari. L’incidenza annua è pari
ad 1-2/100.000 e colpisce più frequentemente donne in post-menopausa,
con un’età media di circa 68 anni, sebbene negli ultimi 20 anni, per le forme
in situ che precedono di circa 10 anni quelle invasive, sia stato registrato un
abbassamento dell’età media di rischio a 44 aa,. L’associazione con l’infezione HPV è frequente nelle forme in situ o inizialmente invasive. L’età media
al decesso è di circa 79 anni.
1. Fattori di rischio
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Variazioni ormonali della menopausa
Età avanzata
Stati di immunodepressione (e.g. infezione da HIV)
Papilloma-virus (HPV)
Lesioni cutanee vulvari croniche (e.g. lichen sclerosus)
Precancerosi vulvari (VIN)
Fumo di sigaretta
Pregresso tumore della cervice
Melanoma o nevi atipici
Pagina 186
Pagina 186
2. Sintomatologia
Macroscopicamente i tumori della vulva formano masse esofitiche dure e
ulcerate. Nella maggior parte dei casi sono coinvolte le grandi e le piccole
labbra; il clitoride è interessato primariamente nel 5-15% dei casi e la forchetta posteriore nel 15%.
Le pazienti riferiscono spesso con una lunga storia di prurito e bruciore, associato a dolore solo nelle forme avanzate: l’elasticità dell’area vulvo-vaginale consente infatti una discreta crescita di tessuto tumorale con necrosi
estese ed ulcerazioni, inizialmente senza la comparsa di dolore. Circa il 20%
delle pazienti presentano lesioni di piccole dimensioni e possono essere asintomatiche, pertanto la diagnosi avviene nel corso dei controlli ginecologici di
routine. Quando l’orifizio uretrale esterno viene coinvolto dalla malattia a
questi sintomi può aggiungersi la disuria. Se la lesione subisce un’evoluzione verso la necrosi o l’ulcerazione possono infine comparire il sanguina-
mento o delle secrezioni maleodoranti, dovute principalmente alla sovrapposizione di infezioni locali. Nelle pazienti che si presentano con malattia
avanzata la neoplasia può sovvertire l’intera architettura vulvare ed estendersi al resto del perineo o alla vagina, all’ano ed al retto, con possibile sviluppo di fistole.
Il coinvolgimento dei linfonodi inguinali analogamente può essere iniziale e
sub-clinico (dunque asintomatico) o massivo, apprezzandosi clinicamente
come nodularità di diametro variabile, perlopiù dure e mobili oppure fisse ai
tessuti circostanti, profondi (sul piano muscolare e vascolare) o superficiali
(sul piano cutaneo, fino alla produzione di fistole). Il linfedema degli arti inferiori o della cute perineale e del monte di venere si sviluppa principalmente
in caso di coinvolgimento linfonodale, come conseguenza dell’ostacolo meccanico al drenaggio linfatico.
3. Screening
L’unica forma di prevenzione secondaria possibile consiste nell’attenta e corretta
osservazione e palpazione della regione vulvare e perineale durante la visita gi-
necologica e, nel caso di comparsa di lesioni sospette o di distrofia cutanea, nell’approfondimento mediante vulvoscopia ed eventuale biopsia delle sedi sospette.
4. Diagnosi
La diagnosi del carcinoma vulvare è esclusivamente istologica: più comunemente
avviene mediante una biopsia effettuata in sede ambulatoriale o l’exeresi dell’in-
Pagina
184
Pagina
tera formazione; al contrario raramente la citologia da scraping o da apposizione
può fornire gli elementi sufficienti all’orientamento terapeutico.
185
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
5. Valutazione clinico-strumentale
Una volta ottenuta la diagnosi, una valutazione clinico-strumentale di base della
malattia consente di stabilire un corretto programma terapeutico; essa comprende:
• Rx torace
• Ecografia inguinale bilaterale con eventuale esame citologico per aspirazione dei linfonodi sospetti
• TC (o RMN) con mdc dell’addome e della pelvi (in base alla disponibilità del
centro) per la valutazione epatica e linfonodale pelvica e retroperitoneale
• Markers tumorali (SCC e CA125).
A questi esami possono aggiungersi:
•
•
•
•
7. Principi generali di trattamento
ecografia pelvica trans-vaginale (opzionale, per l’esclusione di patologie
concomitanti del corpo uterino e degli annessi)
visita in narcosi con biopsie di mappatura per la programmazione del piano
terapeutico (in caso di malattia multifocale, prossima alla linea mediana o
localmente avanzata)
cistoscopia/rettoscopia nel corso della narcosi (in caso di sospetto di infiltrazione uretrale, vescicale o rettale)
18FDG-PET (in caso di patologia avanzata ad alto rischio di localizzazioni
linfonodali o viscerali a distanza o in caso di reperti dubbi ai precedenti
esami strumentali).
6. Stadiazione
Attualmente non si dispone di una stadiazione CLINICA per la classificazione
del carcinoma della vulva, pertanto l’unica stadiazione disponibile è su base
istologica, ossia POST-CHIRURGICA.
La classificazione per stadi può avvenire secondo due stadiazioni ufficialmente riconosciute:
1) Stadiazione FIGO (International Federation of Gynecology and Obstetrics)
- la cui ultima revisione è stata pubblicata nel 2009 (Figo Committee on
Gynecologic Oncology, Int J Gynaecol Obstet 2009): le modifiche più sostanziali apportate in quest’occasione sono riassumibili nel ridimensionamento del peso prognostico attribuito in precedenza alle dimensioni
della neoplasia (anche nei casi di iniziale infiltrazione delle struttura anatomiche della linea mediana, quali la vagina, l’uretra e l’ano/retto) e nella
valorizzazione dell’impatto della malattia linfonodale sulla prognosi (in
particolare in base al numero di linfonodi coinvolti e alle dimensioni degli
impianti neoplastici linfonodali), indipendentemente dalla mono o bilateralità della diffusione linfonodale
2) Classificazione TNM - la cui ultima revisione è stata pubblicata nel 2002
(American Joint Committee on Cancer.: AJCC Cancer Staging Manual.
6th ed. New York)
6.1 Stadiazione FIGO (2009)
•
•
I
IA
•
IB
•
II
•
III
Tumore confinato alla vulva con linfonodi negativi
Lesione ≤ 2 cm, confinato alla vulva o al perineo e con invasione stromale ≤ 1 mm
Lesione > 2 cm o con invasione stromale > 1 mm confinato
alla vulva o al perineo
Tumore di diverse dimensioni con estensione ad adiacenti
strutture perineali (terzo inf. dell’uretra/terzo inf. della vagina
e/o estensione all’ano) con linfonodi negativi
Tumore di diverse dimensioni con estensione ad adiacenti
Pagina
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della vulva
•
•
•
•
IIIA
IIIB
IIIC
IV
•
IVA
•
IVB
•
•
Tis
T1a
•
T1b
•
•
T2
T3
•
T4
•
•
•
•
•
N0
N1
N2
M0
M1
strutture perineali (terzo inf. dell’uretra/terzo inf. della vagina
e/o estensione all’ano) con linfonodi positivi
1 linfonodo positivo ≥ 5 mm o 1-2 linfonodi positivi < 5 mm
1 linfonodo positivo ≥ 5 mm o 1-2 linfonodi positivi < 5 mm
Linfonodi positivi con invasione extracapsulare
Il tumore invade altre regioni (2/3 sup. dell’uretra, 2/3 sup.
della vagina) o strutture a distanza
I - Il tumore invade il terzo superiore dell’uretra e/o della mucosa vaginale, la mucosa vescicale, la mucosa rettale, la parete ossea pelvica
II - linfonodi inguino-femorali ulcerati o fissi
Metastasi a distanza o dei linfonodi pelvici.
6.2 Stadiazione TNM (2002)
186
Ca in situ - VIN III
Tumore di Ø •2 cm. confinato a vulva e/o perineo: con invasione stromale non superiore a 1 mm
Tumore di Ø •2 cm confinato a vulva e/o perineo: con invasione
stromale superiore a 1 mm
Tumore di Ø > 2 cm. confinato a vulva e/o perineo
Tumore di qualsiasi Ø con: interessamento del 1/3 distale, dell’uretra e/o vagina e/o ano
Tumore di qualsiasi Ø che invade il 1/3 prossimale dell’uretra
e/o la mucosa vescicale e/o la mucosa rettale o fisso alla parete
ossea
Assenza di metastasi linfonodali loco-regionali
Metastasi linfonodali loco-regionali unilaterali
Metastasi linfonodali loco-regionali bilaterali
Assenza di metastasi a distanza
Metastasi a distanza o metastasi linfonodali pelviche.
Il trattamento di prima scelta del carcinoma vulvare consiste nell’asportazione chirurgica radicale della lesione vulvare associata alla chirurgia inguinale e qualora necessario alla chirurgia pelvica.
Il planning chirurgico viene elaborato in base alla combinazione delle diverse
caratteristiche della malattia:
1) Dimensioni della neoplasia:
il diametro assoluto influisce, insieme ad altri parametri, nella dell’indicazione alla procedura del linfonodo sentinella (se ≤ 4 cm) o alla linfadenectomia inguinale (se > 4 cm).
2) Sede:
- Laterale (grandi o piccole labbra) con distanza > 1 cm dalla linea mediana
- Centrale (lungo l’asse centrale di simmetria della vulva e comunque a
meno di 1 cm da esso)
- In ognuno dei due precedenti casi si può distinguere una posizione anteriore o posteriore.
3) Orientamento del diametro massimo, rapporto tra diametro della malattia e dimensioni complessive della vulva e del perineo (T/V), uni/multicentricità e mono/bilateralità: condizionano l’orientamento dell’incisione
chirurgica e l’indicazione ad una chirurgia conservativa o radicale.
4) Stato linfonodale, valutato come:
- Negativo se tutti gli esami pre-operatori danno esito negativo (esame
obiettivo, ecografia inguinale, esame citologico, TC o RMN, ev PET)
- Positivo (monolateralmente o bilateralmente) sulla base di una positività citologica ottenuta con ago aspirato o di una franca positività ad un
esame strumentale che non richiede conferma citologica
- Dubbio in caso di discordanza tra un citologico negativo ed uno o più
strumentali dubbi o positivi.
5) Diffusione extraperineale ai seguenti:
- Uretra, vagina o retto
- Muscoli perinali profondi
- Organi pelvici
- Linfonodi pelvici
- Localizzazioni viscerali a distanza.
In base agli elementi riportati si programmerà dunque il piano chirurgico.
La CHIRURGIA VULVARE potrà prevedere una delle seguenti procedure:
• wide resection del nodulo vulvare
• emivulvectomia (laterale dx o sx, anteriore o posteriore)
• vulvectomia semplice
• vulvectomia radicale
• vulvectomia ultra-radicale (estesa ai tessuti limitrofi alla vulva)
La CHIRURGIA INGUINALE si svolgerà invece secondo due principali procedure:
• biopsia del linfonodo sentinella inguinale (mono o bilaterale)
• linfadenectomia inguinale monolaterale o bilaterale
La chirurgia PELVICA potrà prevedere:
• colpectomia parziale o totale, isterectomia, annessiectomia bilaterale
• resezione parziale o totale dell’uretra, resezione vescicale o cistectomia
totale
• resezione anteriore del retto
• linfadenectomia pelvica dele stazioni iliache (esterne e comuni) ed otturatorie
• pelvectomia (anteriore, posteriore e totale)
Pagina
Prima di esaminare le diverse specifiche indicazioni occorre precisare gli
elementi descrittivi delle procedure e delle indicazioni relative alla chirurgia
inguinale.
Biopsia del linfonodo sentinella
La chirurgia demolitiva radicale sui linfonodi inguinali è gravata da una severa morbidità: deiscenza delle suture inguinali (tra il 22 e il 52%), formazione
di linfocisti (tra il 7 ed il 28%), cellulite post-operatoria (50.8%), linfedema agli
arti inferiori (fino al 63%).
A fronte di tanta morbidità però solo il 25-35% delle pazienti risulta affetta
da metastasi linfonodali: esiste allora un 65-75% di donne che non trae alcun
beneficio dalla chirurgia linfonodale demolitiva, pur subendone le sequele.
Attualmente, la biopsia del linfonodo sentinella (SNB), che rappresenta una
tecnica chirurgica mini-invasiva, sta emergendo come nuovo standard nelle
malattie in stadio iniziale.
I vantaggi della metodica consistono nel risparmio dei linfonodi inguinali in
caso di negatività del SN e dunque nel significativo abbattimento delle complicanze post-operatorie e della morbidità a lungo termine. Al contrario, il
principale rischio a cui la tecnica espone è quello della sotto-stadiazione,
imputabile ad una possibile falsa negatività del SN, che produrrebbe risvolti
potenzialmente inaccettabili sotto il profilo prognostico. È noto infatti che la
persistenza di malattia o la recidiva inguinale configurano un’evenienza di
difficile gestione clinica, con esito spesso infausto.
Dagli studi pubblicati in letteratura la quota di SN negativi in presenza di linfonodi NON sentinella metastatici nello stesso inguine (ossia di SN falsi negativi) varia tra lo 0 e il 7.7%: in particolare, il rischio di errore sembra
correlarsi con le dimensioni crescenti del tumore, con la sua prossimità alla
linea mediana e con la multicentricità della malattia. Per limitare al massimo
il rischio di falsa negatività è necessario attenersi strettamente alle corrette
indicazioni.
Le indicazioni alla procedura sono:
• diagnosi di carcinoma vulvare con infiltrazione > 1mm
• linfonodi inguinali negativi alla valutazione clinico- strumentale-citologica
• nessuna pregressa chirurgia inguinale o vulvare
Inoltre, l’International Sentinel Node Society (ISNS) specifica tra le raccomandazioni del 2008 di:
• limitare la procedura del SNB alle donne con tumori di diametro < 4 cm
• omettere la SNB a favore di una linfadenectomia radicale nei casi di tumori vulvari della linea mediana in cui la linfoscintigrafia non identifichi
il SN bilateralmente, o in caso di dubbia corrispondenza tra linfoscitigrafia e reperto intraoperatorio.
Il suo impiego inoltre non viene ritenuto sufficientemente sicuro nel caso di
• stato linfonodale dubbio alla valutazione pre-operatoria
• neoplasie muticentriche o bilaterali.
In questi ultimi casi, data la morbidità legata all’alternativa di una linfadenectomia inguinale bilaterale, si può tuttavia considerare l’utilizzo della procedura mininvasiva in condizioni particolari come: età molto avanzate (> 80
anni), perfomance status alto, multiple comorbidità o alto rischio anestesiologico.
Tecnica dell’SNB
La procedura del sentinella prevede una preparazione linfoscintigrafica preoperatoria per la sua marcatura ed un dispositivo introperatorio per la sua ricerca ed individuazione. In particolare la procedura prevede:
187
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
•
•
•
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Iniezione peritumorale di radiocolloide (albumina micronizzata in micelle
da 80nm, marcata a freddo con 99m-Tc) che potrà avvenire il giorno precedente o il medesimo giorno dell’intervento. L’intervento verrà eseguito
in un intervallo variabile tra 2 e 20 ore dal momento dell’iniezione (la dose
in MBq verrà modulata in base all’intervallo di tempo prevedibile).
Acquisizione dinamica delle immagini relative al drenaggio del radio colloide fino alla visualizzazione del linfonodo sentinella.
Piccola incisione inguinale ed identificazione del linfonodo sentinella mediante gamma-counter: il linfonodo sentinella si potrà esaminare con
esame istologico estemporaneo (con colorazione E/E) eseguito su una o
più sezioni del linfonodo o con sistema touch-print e secondo tecnica
classica nell’esame istologico definitivo (colorazione in E/E ed eventuale
studio immunoistochimico rispettivamente su sezione dedicata ogni 150
nm di spessore linfonodale).
Linfadenectomia inguinale
La linfadenectomia inguinale radicale bilaterale, eseguita con incisioni arcuate separate, deve essere riservata ai casi di:
• linfonodo sentinella positivo per localizzazione neoplastica, mono o bilateralmente (nel corso dello stesso intervento se la diagnosi è intrao-
peratoria o con intervento differito se la diagnosi sopraggiunge all’esame
istologico definitivo)
• accertata malattia linfonodale mono o bilaterale alla valutazione preoperatoria: è preferibile porre indicazione ad intervento radicale dopo
aver ottenuto una conferma citologica del sospetto posto agli esami strumentali, mediante ago aspirato linfonodale eseguito su guida ecografica; tale procedura potrà essere omessa nei casi francamente
riconoscibili come patologici anche ai soli esami strumentali (e.g. linfonodi confluenti in pacchetti di grosso volume)
• malattia vulvare di grosso volume (> 4cm) o diffusamente multifocale o
bilaterale
Qualora invece si verifichino tutte le seguenti condizioni sarà indicata una linfadenectomia monolaterale:
• stato linfonodale negativo alla valutazione pre-operatoria negativa
• lesione vulvare laterale (distanza > 1 cm)
• assenza di indicazione alla biopsia del infondo sentinella (e.g. pregressa
chirurgia inguinale o vulvare)
• impossibilità a reperire il linfonodo sentinella dopo linfoscintigrafia (per
mancato drenaggio del radio-tracciante o per mancata identificazione intraoperatoria con gamma-counter)
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della vulva
Figura 2. Algoritmi di trattamento per le neoplasie a diffusione viscerale o linfonodale pelvica, dove una valutazione
clinico-strumentale pre-operatoria fa supporre uno stadio FIGO IV
Stadio IV
Neo-adj RT-CT
I
III sup. di uretra o vagina
mucosa vescicale o rettale
parete ossea pelvica
(*)
(**)
Neo-adj CT
±
CHIRURGIA:
RV or URV + IBD
ev POR/PE/PL
±
CT
Exclusive RT-CT
IVA
RV or URV + IBD
ev IPB
II
LN inguino-femorali
ulcerati o ofissi
RT-CT
±
CT
(***)
RV ev URV + IBD
ev IPB
CT
RT
(*) Se RT controindicata
(**) Se chirurgia mai fattibile
(***) Se lesione non resecabile
RV: vulvectomia radicale, URV: vulvectomia ultraradicale, POR: resezione di organi pelvici, PE: pelvectomia,
IPB: resezione del pionte cutaneo inguino-perineale, IBD: linfadenectomia inguinale bilaterale, PL: linfadenectomia pelvica
8. Trattamento per stadi
A) Il trattamento chirurgico delle neoplasie vulvari ad INIZIALE DIFFUSIONE
LOCALE che all’esordio appaiono resecabili prevede:
• CHIRURGIA VULVARE
- wide resection del nodulo vulvare
- emivulvectomia (laterale, anteriore o posteriore)
- vulvectomia semplice
- vulvectomia radicale
• CHIRURGIA INGUINALE
- biopsia del linfonodo sentinella inguinale (mono o bilaterale)
- linfadenectomia inguinale monolaterale o bilaterale.
B) Qualora la malattia dimostri una più AMPIA DIFFUSIONE LOCALE la chirurgia potrà prevedere, in aggiunta a quanto già riportato, la resezione
Figura 1. Algoritmi di trattamento per le neoplasie a diffusione locale, dove una valutazione clinico-strumentale pre-operatoria
fa supporre uno stadio FIGO I, II o III
Stadio I
IA
RLE
<4 cm
RLE o EV lat
SNB ± IBD
>4 cm
EV lat o RV
IMD ± IBD
<4 cm
EV (ant-post) o RV
SNB bilaterale ± IBD
>4 cm
RV o URV
IBD
Neo-adj
RT-CT
Chirurgia in base
alla risposta
Lesione unilaterale
IMD ± IBD
se SN non reperito
IB
Lesione centrale
Stadio II
RLE o EV
RV o URV
Stadio III
IBD if bilateral
se SN non reperito
IBD
RLE: escissione radicale locale, EV emivulvectomia, RV: vulvectomia radicale, URV: vulvectomia ultraradicale
DNB: biopsia del linfonodo sentinella, IMD: linfadenectomia inguinale monolaterale, IBD: linfadenectomia inguinale bilaterale
Pagina
188
dei tessuti limitrofi a quelli vulvari:
• orifizio uretrale esterno, fino all’intero terzo inferiore dell’uretra
• vestibolo vaginale, fino al terzo inferiore della vagina
• mucosa perianale, con attenzione al risparmio dello sfintere anale
esterno
• cute perineale extravulvare.
Nel caso sia prevedibile uno sforzo chirurgico eccessivo o la combinazione di più di una procedura tra queste elencate, si dovrà considerare
il ricorso ad una terapia neoadiuvante di preparazione alla chirurgia
(figura 1).
C) La DIFFUSIONE AGLI ORGANI PELVICI o UNO STATO LINFONODALE INGUINALE PARTICOLARMENTE SEVERO potrebbe richiedere una chirurgia “ultraradicale” o preferibilmente un trattamento neoadiuvante
(radio-chemioterapico concomitante o chemioterapico), al cui termine
venga poi stabilito il programma chirurgico in base alla risposta ottenuta (figura 2).
La chirurgia dunque potrà prevedere, in aggiunta alle procedure già
descritte:
• asportazione del ponte cutaneo inguino-perineale
• colpectomia radicale/isterectomia
• resezione anteriore del retto
• asportazione dell’uretra
• resezione vescicale o cistectomia totale
• linfadenectomia pelvica (delle stazioni iliache esterne, comuni ed otturatorie superficiali)
• pelvectomia (anteriore, posteriore o totale).
La scelta del trattamento neo-adiuvante deve prediligere la combinazione di radio e chemioterapia in regime concomitante, ricorrendo alla
chemioterapia esclusiva solo nei casi in cui la RT risulta controindicata
(e.g. diverticolosi, patologie infiammatorie croniche intestinali ecc).
La scelta del trattamento radio-chemioterapico esclusivo avverrà in
base alle caratteristiche della paziente: donne con età avanzate e PS -
Pagina
> 2 o donne che in futuro siano in ogni modo non candidabili a chirurgia demolitiva per motivi anestesiologici, infettivologici (e.g. HIV positive), metabolici (e.g. diabete ed obesità severa) o per impedimenti
psico-sociali a sostenere una chirurgia altamente demolitiva.
D) La DIFFUSIONE AI LINFONODI PELVICI come quella VISCERALE A DISTANZA assume il significato di malattia sistemica.
• Per le lesioni viscerali a distanza la terapia di scelta è concordemente riconosciuta nella chemioterapia esclusiva, eventualmente
associata a chirurgia palliativa per i casi fortemente sintomatici.
• Al contrario per le localizzazioni ai linfonodi pelvici resta tutt’ora controversa la scelta tra chemioterapia e radio-chemioterapia concomitante.
La causa di tale incertezza è da ricercare nella rarità di base di questa
neoplasia ed in particolare di questa condizione, per quale la letteratura offre casistiche ristrette, disomogenee e protocolli di trattamento
sempre differenti.
Ad ogni modo, al termine del trattamento scelto, in assenza di localizzazioni a distanza, è ragionevole programmare uno step chirurgico
orientato all’asportazione radicale della malattia, a cui eventualmente
far seguire un consolidamento sistemico mediante chemioterapia o
radio-chemioterapia (in base al trattamento precedentemente eseguito).
Infine, più raramente condizioni particolari possono giustificare un programma che preveda la chirurgia in prima istanza, seguita poi da un
trattamento CT o RT-CT concomitante, come ad esempio nella necessità di una chirurgia palliativa urgente che comporti procedure la cui
morbidità non sarebbe aggravata dall’aggiunta della linfadenectomia
pelvica (figura 3).
In conclusione, è necessario rimarcare che la chirurgia del carcinoma vulvare, soprattutto negli stadi più avanzati o nelle lesioni di grosso volume,
è spesso gravata da una severa morbidità e da un alto tasso di complicanze, (come deiscenza delle suture inguinali, infezione e cellulite post-
189
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Figura 3. Trattamenti per le neoplasie in cui la valutazione clinico-strumentale pre-operatoria faccia supporre uno stadio FIGO IV
Stadio IV
CT
Linfonodi pelvici
Linf pelvica
Chirurgia perineale,
inguinale ev pelvica
RT-CT
CT or RT-CT
Chirurgia palliativa +
linf pelvica
IVB
Metastasi a distanza
CT
± chirurgia palliativa
lattia (tabella 1).
Per ridurre al massimo l’incidenza di tali complicanze può essere utile integrare il trattamento con:
• TECNICHE DI CHIRURGIA PLASTICA RICOSTRUTTIVA – che talvolta risulta imprescindibile al fine di ottenere la riparazione degli ampi difetti
tissutali e talvolta semplicemente utile per migliorare la qualità delle
suture di raffronto che risulteranno “tension free”.
Le molteplici tecniche di ricostruzione non sono abitualmente competenza del solo ginecologo ma prevedono la collaborazione con il chirurgo plastico.
operatoria, linfedema degli arti inferiori, linfociti, trombosi venosa profonda
e più raramente sepsi).
Questi fattori possono comportare l’allungamento dei tempi di degenza
post-operatoria e di convalescenza, ritardando l’inizio delle terapie adiuvanti
(fino talvolta ad impedirne l’attuazione) e aumentando i costi complessivi
di trattamento. In alcuni casi inoltre la risoluzione può anche richiedere una
seconda chirurgia ripartiva.
Risulta fondamentale che le donne con stadio avanzato di carcinoma della
vulva, vengano inviate presso centri oncologici di riferimento al fine di effettuare un trattamento adeguato data la considerevole diffusione della ma-
Tabella 1. Complicanze post-chirurgiche nei tumori della vulva)
Timing
Tipo di complicanza
Complicanze precoci (fino a sei settimane dopo chirurgia)
Disestesie della regione anteriore della coscia (secondaria ad insulto del nervo femorale)
Trombosi venosa profonda
Infezione e deiscenza della ferita inguinale
Emorragia
Osteite del pube
Embolia polmonare
Sieroma o linfocele del triangolo di Scarpa
Infezione del tratto urinario
Necrosi della ferita
Complicanze tardive (6 settimane o più dopo chirurgia)
Dispareunia
Ernia femorale
Prolasso genitale
Linfangite ricorrente aa. inferiori
Urinary stress incontinence
Linfedema arti inferiori
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della vulva
i difetti orientati verticalmente di taglia piccola o
media. Non si addice alla riparazione dei difetti
comprendenti la piega inguino-crurale e quelli generati nella chirurgia delle recidive (dato il rischio
di danneggiamento del peduncolo vascolare su cui
si regge alla prima chirurgia).
3) Lembo fascio-cutaneo della piega glutea: ha le
stesse indicazioni del precedente ma consente la
riparazione anche di piccoli difetti lungo la piega
inguino-crurale, anche nella chirurgia su recidiva,
dal momento che il suo peduncolo vascolare è localizzato più lateralmente e difficilmente può essere danneggiato.
4) Lembo VRAM (vertically oriented rectus abdominis
muscle): utilizzato in caso di difetti molto estesi, infatti garantisce la chiusura di qualsiasi tipologia di
difetto, anche molto profondo o che si estenda ai
tessuti limitrofi al perineo. Gode di un ampio arco di
rotazione e può trasportare un’area cutanea molto
ampia. In aggiunta, il risultato cosmetico e funzionale è soddisfacente perché dopo la connessione
con uretra e vagina riproduce le pieghe cutanee
che associate alla ridondanza laterale del tessuto
assumono le sembianze delle grandi labbra.
5) Lembo di Limberg: il suo utilizzo è limitato a minimi difetti già prossimi
alla chiusura per prima intenzione. Si impiega con l’unico obiettivo di
realizzare una sutura senza tensione.
• PROTOCOLLO DI GESTIONE PERIOPERATORIA - mirato alla prevenzione
primaria delle complicanze
Protocollo di gestione perioperatoria
Preoperatoriamente
• Somministrazione di sostanze probiotiche (come i Lactobacilli) da al-
meno 3 giorni prima della data presunta per la chirurgia: tale provvedimento preserva l’integrità della flora batterica intestinale ed riduce il rischio di traslocazione batterica nel periodo del digiuno che seguirà la
chirurgia.
Intra-operatoriamente
• Gambali a compressione dinamica o, in alternativa, calze elastiche a
compressione graduale.
Post-operatoriamente
• Digiuno per almeno 5 giorni.
• Nutrizione parenterale - complessivamente non superiore a 1800-2000
kcal/die, (evitando la sovra nutrizione che faciliterebbe la contaminazione batterica e fungina).
• Terapia antibiotica (cefalosporine di terza generazione) almeno per i primi
7 giorni dopo l’intervento.
• Farmaci antidiarroici (loperamide cloridrata) nei primi giorni dopo chirurgia per mantenere la ferita pulita rinviando l’evacuazione.
• Profilassi tromboembolica (eparina a basso peso molecolare a dosaggio
profilattico - 100 UI/ proK, s.c. al giorno) per tutto il periodo dell’immobilizzazione a letto e di successiva scarsa mobilità (almeno tre settimane).
• Immobilizzazione a letto per i primi 5 giorni - posizione supina con
gambe aperte a 60° per evitare l’umidificazione delle ferite e la trazioni
sulle suture.
• Materassino pneumatico e gambali a compressione dinamica nei giorni
dell’immobilizzazione, per evitare il principio di decubiti e favorire la circolazione venosa profonda degli arti inferiori.
• Ossigenoterapia in ventimask - per compensare la scarsa ventilazione
dovuta alla posizione e garantire la corretta ossigenazione utile alla cicatrizzazione delle ferite.
• Ampia copertura antalgica (nei casi più a rischio valutare l’opportunità
di un catetere peridurale a infusione continua).
• Attenta cura delle ferite chirurgiche e mantenimento della pressione di
aspirazione nei drenaggi chirurgici (ove possibile due volte al giorno).
10. Refertazione istologica
Istopatologia
Tipo di vulvectomia
Radicale
Squamoso (usuale)
Semplice
Verrucoso
Istotipo
Anteriore
9. Tecniche di chirurgia plastica ricostruttiva
Adenocarcinoma
Posteriore
A cellule basali
Escissione locale
La scelta della tecnica ricostruttiva dei difetti vulvari e perineali che esitano
dopo chirurgia oncologica verte principalmente sulla preferenza del chirurgo
ma è utile tracciare qualche linea di riferimento,
I lembi fascio-cutanei locali sono solitamente preferibili a tutti gli altri, grazie alla loro sottigliezza, affidabilità e scarsa morbidità. Vengono sollevati
come isole cutanee peduncolate a coprire difetti di taglia medio-grande. Solo
in casi di difetti molto ampi è necessario ricorrere a lembi muscolo-cutanei
che trasportano tessuti da sedi lontane, assicurandone il supporto vascolare
Pagina
attraverso un peduncolo vascolare che irrora il muscolo e la sua cute sovrastante.
Nell’uso comune i lembi maggiormente utilizzati sono:
1) Lembo fascio-cutaneo di avanzamento V-Y: consente la chiusura di difetti di piccola, media ed ampia portata, specialmente localizzati delle regioni posteriori; considerata la sua versatilità e affidibailità viene
considerato il cavallo di battaglia della ricostruzione vulvare.
2) Lembo fascio cutaneo pudendo della coscia: si usa preferibilmente per
190
Escissione a Y con linfonodi
Altro istotipo (specificare)
Emivulvectomia destra
Differenziazione istologica
Emivulvectomia sinsitra
Diametro massimo orizzontale
Dimensione del tumore
Linfonodi inguinali sinistra
Spessore/profondità di invasione
Linfonodi inguinali destra
Invasione linfovascolare
Altro
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191
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Esame macroscopico
Linfonodi inguinali
Lunghezza
Dimensioni del campione chirurgico
Tabella 1. Requisiti minimi (fondo bianco) e criteri di eccellenza (fondo grigio)
Numero totale di linfonodi a destra
Disponibilità
Piano di trattamento basato su immagini TC
Idem
Numero totale di linfonodi positivi a destra
Immagini portali settimanali
Idem
Numero totale di linfonodi positivi a sinistra
Sistemi di immobilizzazione o dislocamento
Idem
Estensione extranodale
DH
Disponibilità di accesso
Metastasi >5 mm
Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore
primitivo con intento radicale o palliativo
Commenti
Radioterapia conformazionale con collimatore multilamellare
Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa
IMRT
Il trattamento può avvalersi di questa risorsa
IGRT
idem
Brachiterapia
idem
DEGENZE
Disponibilità posti letto dipartimentali o tecnici
Numero totale di linfonodi a sinistra
Dimensioni del tumore
Sede del tumore
Numero pazienti
trattati nel 2010
Risorse/Procedure
Diametro trascerso
Spessore
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up del carcinoma della vulva
Presenza macroscopica di tumore residuo sui margini
AJCC - TNM 2009 (7 edizione)
pT
pN
Mx
G
R0
C4
Stadio FIGO (2009)
11. Follow up
25
Procedure
A tutt’oggi si dispone di scarse informazioni relative alla caratterizzazione
del comportamento biologico di questa neoplasia, occorre affidarsi unicamente allo stadio patologico per la previsione della prognosi e la programmazione del follow-up.
1) Casi a diffusione locale limitata (STADIO FIGO I-II): un’eventuale recidiva è attesa prevalentemente in sede locale (vulvare, inguinale o cutaneo loco-regionale), pertanto si raccomandano i seguenti controlli:
ESAMI DI BASE (ogni 3-4 mesi nei primi due anni ed ogni 6 mesi per i
successivi tre anni):
• visita ginecologica con accurata esplorazione perineale ed eventuale
vulvoscopia
• pap test
• ecografia inguinale bilaterale
ESAMI DI VALUTAZIONE SISTEMICA
• esami di laboratorio, compresi i markers tumorali (a cadenza semestrale)
• Rx torace (a cadenza annuale)
• C o RMN addomino-pelvica con mdc (a cadenza annuale)
2. Casi ad alto rischio di ripresa di mallatia a distanza(FIGO III-IV):
ESAMI DI BASE (stessa schedula riportata sopra)
ESAMI DI VALUTAZIONE SISTEMICA (ogni 6 mesi per i primi due anni ed
ogni anno per i successivi tre anni)
• esami di laboratorio, compresi i markers tumorali (a cadenza semestrale)
• TC torace-addome-pelvi con mdc (o TC torace e RMN addomino-pelvica con mdc)
Per l’eccellenza è necessario soddisfare 2 dei 3 requisiti
Prima visita specialistica
1 settimana dalla richiesta di prenotazione
Completamento stadiazione
3 settimane dalla prima visita
Inizio procedura radioterapia
4 settimane dalla prescrizione
Inizio terapia
Le UOC di Radioterapia si impegnano a mettere in atto le procedure sia radio che chemioterapiche in tempo reale, attenendosi
esclusivamente a quelli che sono i tempi tecnici necessari. Nei
trattamenti postoperatori l’intervallo sarà il più breve possibile
compatibilmente con le condizioni cliniche della paziente e con i
tempi di guarigione della ferita chirurgica
Gruppo Oncologico Multidisciplinare
La gestione del paziente può avvalersi di questa risorsa
Attività Scientifica
Per l’eccellenza è necessario 1 dei 3 requisiti
Pubblicazioni
Tabella 1. Requisiti minimi (fondo bianco) e criteri di eccellenza (fondo grigio)
Risorse/Procedure
Disponibilità
Numero minimo di interventi per tumori ginecologici
Servizio di anatomia patologica
Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa
Collegamento con altre UO (Chirurgia generale, urologia)
Idem
Disponibilità di strumentazione laparoscopica
Idem
Disponibilità di posti in Terapia Intensiva Post-operatoria
Il trattamento può avvalersi di questa risorsa
Disponibilità dell’esame istologico intraoperatorio
Idem
Adesione a protocolli nazionali e internazionali
Almeno uno nell’anno
Numero pazienti
trattati nel 2010
Presentazioni a Congressi e Corsi
40
Relazioni, comunicazioni
Presenza di una pubblicazione nell’anno
Partecipazione a studi multicentrici
Almeno uno nell’anno
12. Bibliografia
Possibilità di valutare il linfonodo sentinella (Tumori della vulva) Idem
•
NB: Il carcinoma della cervice localmente avanzato richiede, in particolar modo, centri in cui è attivo il servizio di radioterapia.
Radioterapia Oncologica
Per l’eccellenza è necessario soddisfare il volume di pazienti trattati (*) e 3 dei 5 altri requisiti
Trattamenti radioterapici con fasci esterni sul tumore primitivo
con intento radicale o palliativo
15
•
Acceleratore lineare
Ogni trattamento deve avvalersi di questa risorsa
•
Simulazione con utilizzo di TC
Idem
•
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192
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RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
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Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up
della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli
Criteri di appropriatezza clinica
ed organizzativa nella diagnosi,
terapia e follow-up della neoplasia
dei sarcomi e delle parti molli
Coordinatore: Prof. Franco Di Filippo
Estensori:
A. Piccioli, R. Biagini, B. Vincenzi, C. Della Rocca, C. Vitelli, G. Lanzetta,
G. Maccauro, M. Manili, M. Anzà, O. Moreschini, P. Pugliese, R. Rambone,
R. Garinei, S. Ghera, U. De Paula, V. Anelli, V. Ferraresi
Pagina
194
Pagina
195
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
INDICE
1.
Premessa
1.1 Criteri di ricerca
1.2 Classificazione dei livelli di evidenza e delle raccomandazioni
2.
Sarcomi degli arti, dei cingoli e del tronco
2.1 Introduzione
2.2 Fattori di rischio
2.3 Classificazione istologica
2.4 Stadiazione
2.5 Diagnosi e valutazione risposta
3.
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up
della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Sarcomi degli arti, dei cingoli e del tronco
3.1 Chirurgia
3.2 Radioterapia
3.3 Chemioterapia
4.
Malattia localmente avanzata
4.1 Chemioterapia citoriduttiva
4.2 Radioterapia
4.3 Chemio localmente avanzata
5.
Malattia in fase metastatica
5.1 Malattia polmonare operabile
5.2 Malattia metastatica non operabile
6.
Sarcomi del retroperitoneo
6.1 Chirurgia
6.2 Trattamento medico
6.3 Trattamento radioterapico
6.4 Malattia avanzata plurirecidiva e metastatica
6.5 Follow-up dei sarcomi delle parti molli di qualsiasi sede
6.6 Supporto psico-oncologico
Pagina
196
7.
Tumori stromali gastrointestinali
7.1 Introduzione caratteri generali
7.2 Terapia localmente avanzata o sedi complesse
7.3 Terapia malattia avanzata
7.4 Follow-up
8.
Criteri di appropriatezza e requisiti minimi
9.
Bibliografia
Le presenti Linee Guida, trattano dei sarcomi dei tessuti molli dell’adulto ad insorgenza negli arti, nei cingoli, nel tronco superficiale, nel retroperitoneo e,
in capitoli a parte dei Tumori Stromali Gastrointestinali (GIST).
Pagina
197
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up
della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
1. Premessa
2. Sarcomi degli arti dei cingoli e del tronco
Una delle definizioni più condivise di Linea Guida, ripresa nel Programma Nazionale per le Linee Guida, afferma che “Le Linee Guida sono raccomandazioni
di comportamento clinico, prodotte attraverso un processo sistematico, allo
scopo di assistere medici e pazienti nel decidere quali siano le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche”.
Le Linee Guida che rispondono a tale definizione sono considerate dei validi ed
efficaci strumenti per migliorare il livello dell’assistenza. Le Linee Guida dunque
sono una guida elaborata da esperti di diverse discipline sulla base delle migliori
prove scientifiche esistenti, in grado di esplicitare i benefici ed i rischi di possibili alternative, lasciando agli operatori ed alle preferenze dei pazienti, opportunamente informati, le responsabilità delle decisioni. L’unica accortezza che
dovrebbe essere rispettata da parte dei medici, soprattutto quando si prendono
decisioni che si discostano ampiamente dalle raccomandazioni delle Linee Guida
è quella di esplicitare per iscritto le motivazioni di tipo clinico o legate alle preferenze del paziente che motivino la scelta.
1.1 Criteri di ricerca
Gli Autori delle presenti Linee Guida hanno utilizzato documenti analoghi, prodotti a livello nazionale ed internazionale come base di conoscenze scientifiche
già assodate sui cui poi è stato elaborato l’intero percorso assistenziale, aggiornando i dati della ricerca ed adattando le indicazioni fornite dalla realtà italiana.
La ricerca della documentazione è stata ricondotta alle seguenti banche dati:
• Medline versione PUBMED
• (CANCERLIT)
• CANCERNET PDQ
• NCCN
• Cochrane Library Database of Systematic Reviews
• Inoltre sono state effettuate ricerche su articoli originali
• NHS
• PDQNCI
• ESMO Minimal recommendations
• Linee guida sui sarcomi dei tessuti molli dell’ AIOM 2008
Infine la presente traccia si basa su:
• Linee guida per i Sarcomi dei tessuti molli redatte dal Consiglio Nazionale
delle Ricerche pubblicate nel 2002.
• Linee Guida per i Tumori Rari redatte dal Consiglio Nazionale delle Ricerche
pubblicate nel 2004.
• Linee Guida sui Sarcomi dei Tessuti Molli nell’Adulto, linee guida clinico organizzative per la Regione Piemonte pubblicate nel 2004 e riviste nel 2009.
Vista la complessità dell’argomento, vi sarà una distinzione ab initio tra Sarcomi
dei Tessuti Molli degli arti,dei cingoli e del tronco superficiale, Sarcomi del retroperitoneo e GIST. Nei Sarcomi dei Tessuti Molli vi sarà una parte comune relativa ai caratteri generali, ed una specifica per sede anatomica di presentazione.
1.2 Classificazione dei livelli di evidenze
e delle raccomandazioni
In analogia a quanto già adottato in analoghe Linee Guida nazionali il metodo di
classificazione delle evidenze e delle raccomandazioni si è basato su informazioni scientifiche a valenza differenziata secondo uno schema di 6 livelli. Livelli
delle prove di efficacia.
Pagina
I. Prove ottenute da più studi clinici controllati randomizzati e/o da revisioni
sistematiche di studi randomizzati
II. Prove ottenute da un solo studio randomizzato di disegno adeguato
III. Prove ottenute da studi di coorte non randomizzati con controlli concorrenti
o storici o loro metanalisi
IV. Prove ottenute da studi retrospettivi tipo caso-controllo o loro metanalisi
V. Prove ottenute da studi di casistica (serie di casi) senza gruppo di controllo
VI. Prove basate sull’opinione di esperti autorevoli o di comitati di esperti come
indicato in Linee Guida o Consensus Conferences o basate su opinioni dei
membri del gruppo di lavoro responsabile di queste Linee Guida.
Il grado delle raccomandazioni tiene conto di due fattori principali: il livello delle
prove scientifiche disponibili e la rilevanza che viene attribuita dagli operatori a
quella determinata decisione nell’ambito delle scelte possibili. Il livello delle raccomandazioni viene classificato in 5 livelli (da A ad E) dove A è una raccomandazione positiva ed E una negativa.
A. Forte raccomandazione a favore della esecuzione di una particolare procedura o test diagnostico. Indica una particolare raccomandazione sostenuta da prove scientifiche di buona qualità, anche se non necessariamente
di tipo I e II
B. Questa particolare procedura o intervento non deve sempre essere raccomandata, ma si ritiene che l’intervento debba essere attentamente considerato
C. Esiste incertezza a favore o contro la raccomandazione di eseguire la procedura o l’intervento
D. La procedura o l’intervento non è raccomandato
E. Si sconsiglia fortemente la procedura o l’intervento.
In neoplasie rare, quali sono i Sarcomi dei Tessuti Molli ed i GIST, i livelli di evidenza e di raccomandazione sono meno forti rispetto ai tumori frequenti. Dopo
aperto dibattito si è convenuto che i livelli di evidenza, rivista la Letteratura per
i singoli argomenti, siano nella quasi totalità di grado basso V e VI e non verranno
espressi. I gradi di raccomandazione saranno invece esplicitati secondo i livelli
convenzionali. Come metodologia di lavoro si è scelto un consenso fra gli esperti,
in modo da riflettere un pensiero condiviso da tutti o dalla maggioranza. Vi è
consenso unanime nel ritenere che l’approccio ai sarcomi deve sempre essere
pluridisciplinare, come è possibile soltanto a livello istituzionale nei centri ad
alta specializzazione. Le presenti Linee Guida, pur essendo un utile strumento
di lavoro, non possono sostituire l’expertise multidisciplinare e specialistica che
viene offerto in Istituzioni espressamente dedicate all’argomento. Nelle malattie rare e nei sarcomi in particolare, il riferimento a Centri ad alta specializzazione che garantiscano la multidisciplinarietà nelle diagnosi e nel trattamento è
di fondamentale importanza, soprattutto in alcune fasi della malattia. Va tenuto
in conto che la centralizzazione trova ostacoli organizzativi quali l’obbligo della
migrazione sanitaria dei pazienti e le lunghe liste di attesa nei Centri di Eccellenza. Una delle finalità principali di queste Linee Guida è di diffondere una cultura di base sull’argomento in tutto il territorio nazionale e, soprattutto, di creare
una attiva e proficua collaborazione tra Istituzioni ad alta specializzazione e gli
Ospedali in cui il trattamento dei STM è un evento sporadico e minoritario nella
attività clinica quotidiana.
I tumori rari si caratterizzano inoltre per la difficoltà nella ricerca clinica, vista la
bassa incidenza di queste neoplasie e la frequente non uniformità del trattamento. È dunque auspicio comune che i portatori di tali malattie vengano inseriti in studi clinici Nazionali e Internazionali e che le Linee Guida possano favorire
questo processo.
198
2.1 Introduzione
Sotto la denominazione di sarcomi delle parti molli si intendono tutte le neoplasie maligne non epiteliali a sede extra-scheletrica ed extra-cranica, ad eccezione di quelle derivate dal sistema linfoemopoietico ed
istiocitario-macrofagico. Si tratta di un vasto e alquanto eterogeneo gruppo di
lesioni con diversi gradi di aggressività e differenti capacità di recidivare e/o
metastatizzare.
Non è facile determinare l’esatta frequenza dei sarcomi delle parti molli (SPM)
sebbene nel complesso essi siano poco comuni rappresentando circa lo 0,8%
di tutte le neoplasie maligne umane. L’incidenza annua dei STM è attualmente
stimata in 1-2 nuovi casi/anno ogni 100.000 abitanti. Circa il 50-60% dei STM
si appalesa in soggetti di oltre 60 anni, ma l’età media di incidenza è intorno
ai 43. Anche qui va peraltro ricordato come alcuni tipi istologici hanno una
particolare associazione con l’età: ad esempio il rabdomiosarcoma è un tumore proprio dell’infanzia e dell’adolescenza, il sarcoma sinoviale è dei giovani adulti, ed i sarcomi pleomorfi sono propri dell’età avanzata. I STM
possono svilupparsi in qualsiasi sede dell’organismo ma le localizzazioni più
abituali sono le estremità seguite dalla parete toracica e poi dal retroperitoneo.
2.2 Fattori di rischio
L’eziologia della maggior parte dei STM è a tutt’oggi ancora sconosciuta, e
anche se talora nell’anamnesi viene riferito un pregresso trauma, raramente
esiste una sicura associazione fra i due eventi e più spesso il trauma è cosidetto “rivelatore”. Sono tuttavia stati descritti sarcomi che si sono sviluppati
in corrispondenza di cicatrici da lesioni da agenti chimici o termici o in vicinanza di protesi metalliche o di materiale plastico. Una bassa percentuale (<
del 1%) di soggetti sottoposti radioterapia può sviluppare, dopo anni dal trattamento, sarcomi particolarmente aggressivi. Molti composti chimici, quali
alchilanti e prodotti derivati dalla diossina sono stati associati, seppur sporadicamente, all’insorgenza di particolari sarcomi; l’angiosarcoma del fegato è
stato associato alla lunga esposizione a diversi composti quali il cloruro di polivinile o l’arsenico. L’eziologia virale è stata dimostrata in animali da laboratorio e sono state identificate sequenze di DNA virale nelle cellule tumorali
del Sarcoma di Kaposi sia nella sua forma classica sporadica che in quella associata a sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS). Nel complesso comunque nell’eziologia dei sarcomi il posto più rilevante è occupato da fattori
ereditario-genetici. Va infatti menzionato che esiste stretta relazione fra alcuni
SPM che possono comparire in un contesto familiare sia isolati che associati
a determinate sindromi (sindrome di Li Fraumeni e rabdomiosarcoma; neurofibromatosi tipo I e tumori maligni delle guaine nervose periferiche). In fine
va ricordato che in un considerevole numero di tumori sono state riscontrate
anomalie genetiche clonali (delezioni, amplificazioni, e traslocazioni) che possono assumere significato diagnostico e talora prognostico.
2.3 Classificazione Istologica
Oggi i sarcomi delle parti molli sono classificati secondo il concetto di linea differenziativa; in altre parole essi vengono classificati in base alla somiglianza
del tessuto prodotto con le controparti normali, non implicando necessariamente la loro derivazioni da queste. Un tumore adiposo è tale perchè produce
cellule che somigliano a quelle della linea adiposa, a prescindere dal fatto che
Pagina
insorga in una sede dove è presente o meno il tessuto adiposo stesso. Esistono
comunque alcune lesioni che non possono essere assimilate a nessun tessuto
normale conosciuto e pertanto vengono definite “a incerta linea differenziativa”. Di seguito verranno trattati i più comuni sarcomi delle parti molli secondo tale concetto.
Tumori a differenziazione fibro-miofibroblastica
FIBROSARCOMA.
Definizione: Il Fibrosarcoma è una neoplasia maligna a linea differenziativa
fibroblastica, può presentarsi in due varianti infantile o connatale ed adulta con
aggressività diversa. Entrambe le varianti istologicamente presentano struttura analoga, costituita da cellule fusate disposte in fasci che si incrociano
fra loro in modo tale da configurare immagini a “spina di pesce” .
Fibrosarcoma dell’adulto
Epidemiologia: Si appalesa nella 4a-6a decade di vita, con predilezione per il
sesso maschile.
Sedi di insorgenza: si localizza per lo più in corrispondenza degli arti inferiori
o del tronco e di solito in sede profonda (fasciale-sottofasciale).
Quadro macroscopico: Si tratta di lesione solitaria: 3-8 cm di diametro. Al taglio: aspetto a carne di pesce; possono osservarsi foci di necrosi o emorragia.
Quadro microscopico: Proliferazione uniforme di cellule fusate con scarso citoplasma e nuclei fusati immersi in variabile quantità di stroma collageno. Attività mitotica ben rappresentata. Polimorfismo assente o minimo. Necrosi
presente nelle forme ad alto grado. I gradi di malignità variano dal basso all’alto grado. Immunoistochimicamente si rileva positività per vimentina e occasionalmente per actina muscolo liscio.
Varianti
Sarcoma fibromixoide a basso grado (c.d. Tumore di Evans): Rara forma di
sarcoma in cui si apprezza varia commistione di aree collagene e mixoidi. Le
cellule fusate in genere a basso grado si aggregano in assetto variamente
vorticoide attorno a vasi a decorso curvilineo.
Fibrosarcoma sclerosante epitelioide: Variante in cui cordoni o isolotti di cellule tumorali epitelioidi sono immersi in matrice collagena addensata. In aree
focali ci possono essere aspetti di fibrosarcoma convenzionale. E’ a tratti presente vascolarizzazione tipo emangiopericitoma. Il profilo immunoistochimico
è caratterizzato da frequente positività per bcl2
Mixofibrosarcoma: Lesione fibroblastica con variabile quantità di stroma mixoide, pleomorfismo nucleare e aspetto vescicolare caratteristico. E’ uno dei
più frequenti sarcomi delle parti molli nell’anziano. Nelle localizzazioni sottocutanee la lesione è costituita da noduli multipli che al taglio hanno colorito
bianco grigiastro lucente. Le lesioni nei tessuti molli profondi sono uniche a
limiti mal definiti con necrosi ed emorragia.
Evoluzione e prognosi: E’ caratterizzata da elevata aggressività con diffusione
metastatica per via ematica (ai polmoni e sopravvivenza ai 5 anni, valutabile
intorno al 40% dei casi).
Tumori a differenziazione fibro-istiocitica
TUMORE FIBROISTIOCITICO PLESSIFORME
Definizione: Il Tumore Fibroistiocitico Plessiforme (TFP) è una neoplasia mesenchimale dei bambini, degli adolescenti e giovani adulti, caratterizzata da
citomorfologia fibroistiocitica e crescita multi nodulare, che raramente può
metastatizzare.
199
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Epidemiologia: Il TFP colpisce soggetti giovani con età media di 14-15 anni alla
presentazione, con lieve predominanza nel sesso femminile. (F:M=2,5:1).
Sedi di insorgenza Il TFP si localizza prevalentemente agli arti superiori (oltre
il 65% dei casi), con polso e mani nel 45% dei casi. Gli arti inferiori sono colpiti in circa il 27% dei casi mentre rare sono le localizzazione alla testa ed al
collo.
Quadro macroscopico: Il TFP è un nodulo fisso, scarsamente circoscritto, multinodulare localizzato nel derma o nel sottocute che raramente supera i 3 cm.
Quadro microscopico. Il TFP è composto da piccolo noduli di proliferazione di
cellule fusate, allungate strutturate in caratteristico arrangiamento plessiforme. Tre tipi di cellule sono presenti in proporzione variabile: cellule mononucleate istiociti-like, cellule fusate fibroblasto-simili e cellule giganti
multinucleate. Gli aggregati cellulari sono delimitati alla periferia da cellule
fusate che si continuano nei setti che separano i noduli. Possono esserci minime atipie nucleari, scarse mitosi e raramente invasione vascolare mentre la
necrosi è assente. I noduli sono localizzati nel derma profondo, nell’ipoderma
e talvolta si estendono al tessuto muscolare scheletrico. Dal punto di vista
immunoistochimico, il TFP mostra positività per CD68/KP1 ed Actina muscolo
liscio.
Evoluzione e Prognosi: Il TFP dà recidive locali fino al 37% dei casi. In 3/61 casi
con follow-up sono state descritte metastasi ai linfonodi loco regionali e nella
stessa percentuale metastasi al polmone.
TUMORE A CELLULE GIGANTI DEI TESSUTI MOLLI
Definizione: Il Tumore a Cellule Giganti dei Tessuti Molli (TCG-TM) è un tumore
primitivo dei tessuti molli che è clinicamente ed istologicamente simile al TCG
dell’osso. E’ un tumore raro e può metastatizzare.
Epidemiologia: Il TCG-TM colpisce maggiormente soggetti in età adulta di
circa 50 anni (range di età da 5 a 89 anni) di entrambi i sessi.
Sedi di insorgenza: Il TCG-TM si localizza nei tessuti molli superficiali delle
estremità superiori ed inferiori (70%) e meno frequentemente al tronco e nella
regione testa-collo.
Quadro macroscopico: Il TCG-TM si presenta in genere come una massa solida, ben circoscritta, che può superare i 10 cm (media 3 cm) nel contesto del
derma o del sottocute, raramente in sede sottofasciale. Al taglio è costituito
da tessuto grigio-brunastro, solido, carnoso con occasionali calcificazioni in
periferia.
Quadro microscopico: A basso ingrandimento il TCG-TM mostra architettura
multinodulare, con nodule separate da setti di fibroconnettivo più o meno
spessi contenenti emosiderina e siderofagi. La componente cellulare è costituita da cellule mononucleate rotondo-ovali frammiste a cellule giganti multinucleate osteoclasta-simili, entrambe disperse in uno stroma vascolare in
proporzioni variabili. I nuclei degli elementi mononucleati e delle cellule giganti
sono uguali. L’indice Mitotico è generalmente elevato con fino a 25-30 mitosi/10 HPF. Non ci sono atipie, pleomorfismo o necrosi.
Nel 50% dei casi si ha una rima periferica di osso maturo metaplastico. Possono esserci aree cistiche o cistico-emorragiche come nelle cisti aneurismatiche e segni di invasione vascolare.
Evoluzione e Prognosi: Il TCG-TM può recidivare localmente nel 12% dei casi
e raramente può dare metastasi a distanza e morte. Il trattamento di scelta è
l’exeresi chirurgica complete e radicale.
ISTIOCITOMA FIBROSO MALIGNO.
Definizione: Anche se per motivi storici è ancora in uso il termine di istiocitoma
fibroso maligno, si preferisce attualmente etichettare questa entità come Sarcoma polimorfo indifferenziato. Epidemiologia. Rappresenta il più frequente
sarcoma dell’età adulta-senile.
Sedi di insorgenza: Colpisce di solito le estremità, ma può essere ubiquitario.
Quadro macroscopico. Si tratta di masse tra i 5 e i 10 cm di diametro, di
Pagina
aspetto pseudocapsulato, consistenza duro-elastica e colorito biancastro e/o
variegato per la presenza di aree di necrosi ed emorragia.
Quadro microscopico: Morfologicamente si tratta di una proliferazione di cellule fusate commiste ad una componente numericamente variabile di cellule
giganti spesso plurinucleate e talora mostruose, elementi xantomatosi e focolai di cellule infiammatorie. Inoltre di regola sono apprezzabili elevato indice
mitotico, aree di necrosi, aspetti di anaplasia e pattern storiforme più o meno
diffuso. Vengono oggi riconosciuti 4 sottotipi:
• variante polimorfa - storiforme: il più comune caratterizzato da prevalente polimorfismo e frequente riscontro di pattern storiforme.
• variante mixoide: (oggigiorno più comunemente etichettato come mixofibrosarcoma) caratterizzato da stroma mixoide riccamente vascolarizzato. Ha prognosi migliore rispetto alle altre varianti con possibilità di
lunghe sopravvivenze e tende a recidivare piuttosto che a metastatizzare.
• variante a cellule giganti osteoclasto-simili: è caratterizzato dalla presenza di numerose cellule giganti simil-osteoclastiche e talora da una focale componente osteoide.
• variante infiammatoria: è la più rara e si osserva prevalentemente nella
cavità addominale (retroperitoneo) ed è caratterizzato dalla presenza di
un ricco infiltrato infiammatorio costituito sia da linfociti che da granulociti e da una cospicua componente di cellule xantomatose maligne.
Evoluzione e Prognosi: E’ quasi sempre caratterizzato da elevata aggressività.
Tumori a differenziazione adiposa
LIPOSARCOMA.
Definizione: Tumore maligno con differenziazione adiposa.
Epidemiologia: E’ uno dei più frequenti sarcomi dell’età adulta con massima
incidenza fra i 40 e i 60 anni.
Sedi di insorgenza: Le localizzazione più frequenti sono: le estremità inferiori
(35%), tronco (22%) e retroperitoneo (15%).
Quadro macroscopico: Si tratta di masse anche voluminose di aspetto diverso
a seconda della variante, da lipoma simile ad aspetti gelatinosi e/o francamente sarcomatosi.
Quadro microscopico: Da molti la caratteristica peculiare del liposarcoma è
considerata la presenza del lipoblasto, cellula immatura, caratterizzata da uno
o più vacuoli citoplasmatici, contenenti trigliceridi otticamente vuoti, che deformano il nucleo intensamente ipercromatico ed atipico. Si descrivono 3 varietà anatomo-cliniche con aspetti morfologici e comportamenti biologici
differente:
• liposarcoma ben differenziato (da alcuni denominato Lipoma atipico) presenta estrema somiglianza con il lipoma da cui è differnziabile per la presenza di bande di collagene, polimerismo degli adipociti, presenza di
elementi fusiformi a nucleo ipercromatico, nonché per la presenza di lipoblasti. Tale istotipo, specie superficiale, è ben curabile, privo di capacità metastatica, ma con frequenza di recidiva nel 10-15% dei casi. Per
tale motivo alcuni Autori preferiscono etichettarlo come lipoma “atipico”.
Va ricordato che una frazione dei liposarcomi ben differenziati (soprattutto
a localizzazione retroperitoneale) va incontro a dedifferenziazione con
sviluppo di altre forme sarcomatose all’interno del liposarcoma stesso.
Tale evento è gravato dall’acquisizione di potere di metastatizzare a distanza con elevata mortalità (40-50% dei casi) entro i 5 anni.
• Liposarcoma mixoide ed a cellule rotonde. Si tratta di un unico istotipo in
cui i 2 aspetti (puramente mixoide e/o con cellule rotonde) costituiscono
uno spettro evolutivo della stessa neoplasia e ne condizionano anche il diverso grado di aggressività. La forme puramente mixoidi sono neoformazioni ipocellulari, con ricca componente di capillari ematici che si
200
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up
della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli
biforcano variamente e si intrecciano fra di loro formando una trama plessiforme compresa in uno stroma mixoide, gelatinoso. Presenti i lipoblasti in numero variabile. Le aree a cellule rotonde sono caratterizzate
invece da alta cellularità, con aspetto indifferenziato delle stesse e notevole riduzione della trama vascolare. La quantità di cellule rotonde è variabile ma può talora occupare l’intera neoplasia. Il comportamento
biologico è molto diverso nel senso che il mixoide “puro” recidiva nel 3050% dei casi, e solo eccezionalmente metastatizza, mentre quando presenta componente a cellule rotonde oltre il 25%, le recidive più frequenti
(85%) e le metastasi la regola.
• Liposarcoma polimorfo è il più raro delle tre forme ed il più aggressivo;
si presenta come un sarcoma ad alto grado con cellule giganti anaplastiche e lipoblasti atipici mostruosi.
Genetica: La forma mixoide/a cellule rotonde presenta la traslocazione
t(12:16)(q13;t11).
Tumori a differenziazione leiomuscolare
LEIOMIOSARCOMA
Definizione: Neoplasia maligna in cui le cellule neoplastiche mostrano una
differenziazione leiomuscolare.
Epidemiologia: Pur essendo la neoplasia maligna più frequente nell’ambito
dei grossi vasi (dove predomina nel sesso femminile, insieme alla localizzazione retroperitonele, complessivamente si tratta di una lesione a scarsa incidenza concentrata soprattutto nell’età media e avanzata.
Sedi di insorgenza: Il leiomiosarcoma dei tessuti molli insorge sia a livello del
retroperitoneo, dove più spesso origina da strutture vascolari di grosso calibro, sia a livello degli arti e del tronco, dove costituisce circa il 15-20% di tutti
i sarcomi. Anche a livello degli arti è talora possibile riconoscere un’origine vascolare.
Quadro macroscopico: Si tratta di neoformazioni più spesso di grosse dimensioni, di consistenza molle, di colore bianco-grigiastro, con aree di necrosi
centrale, e/o di degenerazione cistico - emorragica.
Quadro microscopico: Il tipico aspetto riconoscibile nelle forme ben differenziate è quello di una proliferazione di cellule fusate, con citoplasma eosinofilo fibrillare, e nucleo “a sigaro”. Nelle varietà meno differenziate, sono
presenti elementi pleomorfi marcatamente atipici, anche multinucleati. Raramente si riconoscono aspetti epitelioidi. Le cellule sono disposte in fasci
variamente intersecantesi, o in architettura vorticoide. In genere non è presente matrice tra le cellule neoplastiche, ma talora possono essere presenti
aspetti mixoidi o ialinizzanti. Immunoistochimicamente le cellule neoplastiche sono positive per i marcatori di differenziazione leiomuscolare, quali actina muscolare liscia, h-caldesmone e desmina, anche se nessuno di questi
può essere considerato specifico. In alcune neoplasie poco differenziate la
positività può essere focale.
Evoluzione e Prognosi: Il quadro evolutivo è strettamente sede dipendente,
essendo le localizzazioni retroperitoneale e dei grossi vasi quelle con prognosi
meno favorevole sia per difficoltà di eradicazione radicale che per potenzialità metastatica.
Tumori a differenziazione rabdomuscolare
RABDOMIOSARCOMA EMBRIONALE
Definizione: Sarcoma che ricapitola le caratteristiche morfologiche del muscolo scheletrico embrionale. Comprende le varianti a cellule fusate, botrioide
ed anaplastica.
Epidemiologia: E’ la neoplasia maligna mesenchimale più frequente dell’adolescenza.
Sedi di insorgenza: Le sedi di insorgenza più frequenti sono la regione testa-
Pagina
collo (orbita, orofaringe, parotide, orecchio medio, tratto naso-sinusale e rinofaringe, cavo orale) ed il tratto genito-urinario (vescica, prostata, e tessuti
molli paratesticolari). Più raramente il rabdomiosarcoma embrionale insorge
a livello dei tessuti molli degli arti e del tronco.
Quadro macroscopico: La lesione appare generalmente poco circoscritta, di
consistenza molle e colore biancastro. Le forme a cellule fusate hanno consistenza teso-elastica, colore giallastro, e superficie di taglio di aspetto fascicolato. Per definizione, la forma botrioide insorge sotto una superficie epiteliale
e si caratterizza per una crescita esofitico-polipoide ed un aspetto multinodulare.
Quadro microscopico: Si riconoscono diversi tipi cellulari, che corrispondono
alle diverse fasi della miogenesi. Le cellule di aspetto stellato e fusato, con nucleo ovale e citoplasma anfofilo rappresentano gli elementi più indifferenziati,
mentre la presenza di elementi più allungati, con citoplasma eosinofilo, di
aspetto talora aracneiforme, esprime una maggiore differenziazione in senso
rabdomuscolare, fino ad arrivare a cellule con citoplasma intensamente eosinofilo e striato che mimano l’aspetto del miotubo. A livello architetturale si
riconoscono un alternarsi di aree di aspetto mixoide e paucicellulate, con aree
più densamente cellulate. Nel rabdomiosarcoma botrioide il chorion sub epiteliale, è occupato da aggregati lineari di cellule neoplastiche (strato cambiale), mentre nel rabdomiosarcoma a cellule fusate le cellule neoplastiche,
di forma allungata, si dispongono in fasci variamente intersecantesi. Nella variante anaplastica si riconoscono elementi cellulari di taglia grande, marcatamente atipici, che possono essere presenti come elementi singoli dispersi
nella neoplasia (anaplasia focale) o in gruppi (anaplasia diffusa). Immunoistochimicamente le cellule neoplastiche sono positive in maniera variabile e
correlata al grado di differenziazione a marcatori muscolari, quali la actina
muscolare comune, la desmina, la mioglobina, e la miosina, ma il marcatore
più specifico e sensibile per la diagnosi su campioni in paraffina è rappresentato dalla miogenina, che peraltro nelle forme embrionali può essere
espresso solo focalmente.
Evoluzione e Prognosi: L’evoluzione è dipendente essenzialmente dal tipo istologico, dall’età dell’assistito, dallo stadio e dalla sede di origine. Le forme embrionali in età pediatrica hanno la prognosi migliore, mentre le forme fusate
e anaplastiche nell’adulto la peggiore, ferma comunque restando la natura
sarcomatosa della lesione che ne caratterizza la potenzialità alta di recidiva
e di metastasi a distanza.
RABDOMIOSARCOMA ALVEOLARE.
Definizione: Sarcoma a cellule rotonde, con parziale differenziazione muscolare scheletrica.
Epidemiologia: Può colpire qualsiasi età, ma predilige i giovani adulti.
Sedi di insorgenza: Insorge preferenzialmente a livello degli arti, sebbene sia
stato descritto in molte altre sedi, compresa la regione testa-collo.
Quadro macroscopico: Si tratta di neoplasie a crescita rapida, di consistenza
molle e colore grigiastro.
Quadro microscopico: Le cellule neoplastiche hanno un aspetto linfocito-simile
e mostrano differenziazione in senso rabdomuscolare. Nelle forme tipiche le
cellule si dispongono in nidi separati da setti fibrosi, nel cui centro gli elementi neoplastici appaiono discoesi. Sono in genere presente elementi di taglia grande di aspetto rabdomioblastico. Nella variante solida mancano i setti
fibrosi e la neoplasia ha un’architettura diffusa (2), mentre nella forma mista
alveolare-embrionale coesistono i caratteri di ambedue le forme. Immunoistochimicamente l’immunofenotipo è sovrapponibile a quello del rabdomiosarcoma embrionale, ma la positività per miogenina è diffusa.
Genetica: Il rabdomiosarcoma alveolare presenta una traslocazione specifica
che nella maggior parte dei casi è t(2;13)(q35;q14) ed in un minor numero di
casi è t(1;13)(p36;q14) (3). Queste traslocazioni portano alla fusione dei geni
201
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
PAX3 o PAX7 situati rispettivamente sul cromosoma 2 ed 1, con il gene FKHR
situato sul cromosoma 13. Dal 10 al 30% delle neoplasie non presenta però
alcuna di queste traslocazioni.
Evoluzione e Prognosi: La prognosi è peggiore di quella del rabdomiosarcoma
embrionale ed è strettamente dipendente dallo stadio.
RABDOMIOSARCOMA PLEOMORFO
Definizione: Il rabdomiosarcoma pleomorfo è un sarcoma di alto grado costituito da elementi cellulari bizzarri poligonali, rotondi e fusati, con differenziazione rabdomuscolare.
Epidemiologia: Colpisce soprattutto adulti di sesso maschile con prevalenza
intorno ai 60 anni.
Sedi di insorgenza: Insorge prevalentemente nei tessuti molli profondi degli
arti.
Quadro macroscopico: Appare come una lesione a rapida crescita, di dimensioni solitamente superiori ai 10 cm., ben circoscritta per la presenza di una
pseudo-capsula. La superficie di taglio mostra aspetto variegato per la presenza di aree di necrosi ed emorragia.
Quadro microscopico: La neoplasia è costituita da una commistione di cellule
di aspetto fusato, poligonale, rotondo, spesso con presenza di elementi giganti multinucleati, che mostrano ampio citoplasma eosinofilo. Immunoistochimicamente il profilo immunoistochimico è identico a quello degli altri
rabdomiosarcomi, compresa la positività per miogenina, che in genere è
espressa solo focalmente.
Evoluzione e Prognosi: E’ il peggiore dei rabdomiosarcomi in quanto a prognosi
con mortalità precoce in circa i _ degli assistiti.
Tumori a differenziazione vascolare
EMANGIOENDOTELIOMA EPITELIOIDE
Definizione: Lesione vascolare per lungo tempo considerata a “malignità intermedia”, ma che oggi è da considerarsi francamente maligna sante la potenzialità di recidivare e di metastatizzare ben accertata.
Epidemiologia: Non ha predilezione di sesso e colpisce in prevalenza l’età
adulta.
Sedi di insorgenza: E’ una neoplasia ubiquitaria con possibilità di localizzazione
in svariati distretti dell’organismo (cute, sottocute, l’apparato scheletrico, fegato e polmone).
Aspetto macroscopico: Solitamente è una massa fusiforme intravascolare che
simula un trobo tranne che per la sua tenace fissità alla parete che infiltra.
Aspetto microscopico: Istologicamente è costituito da un insieme di strutture
vascolari di piccolo calibro, bordate da cellule endoteliali epitelio simili con
citoplasma eosinofilo spesso vacuolato e talora occupato da emazie.
Evoluzione e Prognosi: La lesione recidiva e/o metastatizza nel 25-50% dei
casi.
SARCOMA DI KAPOSI.
Definizione: E’ tumore che, molto raro in Europa fino a 10-15 anni fa, ha avuto
un incremento della sua frequenza con l’avvento dell’AIDS. Oggigiorno si distinguono quattro forme cliniche:
• classico (sporadico): colpisce l’età avanzata e si localizza alla cute delle
estremità distali, in unica o multipla presentazione
• linfoadenopatico, endemico dell’Africa equatoriale, colpisce l’età giovanile
con interessamento dei linfonodi cervicali, inguinali e dell’ilo del polmone
• associato a terapia immunosoppressiva: colpisce soggetti immunodepressi per trattamento iatrogeno
• AIDS correlato: è caratteristicamente cutaneo e multiplo, ma di frequente
coesistono anche lesioni viscerali, del tratto digerente e dei linfonodi.
Aspetto macroscopico. Si tratta di placche, papule o noduli di aspetto emorragico che possono essere di minime dimensioni fino ad alcuni centimetri
Aspetto microscopico.Il quadro è sovrapponibile nelle diverse varianti ed è
Pagina
caratterizzato da crescita nodulare di cellule endoteliali fusate con presenza
di spazi fissuriformi a ricco contenuto di emazie.
Evoluzione e Prognosi. Sono strettamente dipendenti dalla variante, essendo
gli immunodepressi più sfavoriti. L’interessamento diffuso cutaneo e viscerale
presenta la prognosi peggiore.
ANGIOSARCOMA
Definizione: E’ il più aggressivo fra i tumori a linea differenziativa endoteliale.
Epidemiologia: Interessa in maggioranza l’età avanzata.
Sedi di insorgenza. Si localizza principalmente a livello cutaneo e nei tessuti
molli specie negli arti inferiori; più raramente è presente a livello delle braccia, del tronco e della testa e collo in tale ordine di frequenza.
Aspetto macroscopico: Si tratta di masse emorragiche multinodulari che raggiungono anche i 10 centimetri.
Aspetto microscopico: Istologicamente è costituito da fessure vascolari irregolari rivestite da elementi rotondo-poligonali atipici frequentemente in mitosi.
Evoluzione e Prognosi: La prognosi è infausta nella maggior parte dei casi in
un arco di tempo di circa 5 anni.
TUMORI A DIFFERENZIAZIONE NEURALE
Si intendono qui in questo gruppo raccolte le seguenti due tipologie di neoplasie:
• Tumori delle Guaine Nervose Periferiche: neoplasie composte da elementi
cellulari della guaina dei nervi periferici (cellule di Schwann, cellule perineurali, tessuto connettivo);
• Tumori neuroectodermici primitivi periferici (noti comunemente come
PNET dall’acronimo inglese): tumori a piccole cellule rotonde con scarsa
differenziazione che presentano caratteri morfologici (formazione di rosette di Homer-Wright), ultrastrutturali (presenza di granuli neurosecretori) ed immunofenotipici tipici del neuroectoderma primitivo.
TUMORE MALIGNO DELLE GUAINE NERVOSE PERIFERICHE (TMGNP O
MPNST dall’acronimo anglo-sassone):
Definizione: Neoplasia considerata ad elevata malignità, può causare notevoli
difficoltà diagnostiche per la varietà di aspetti morfologici che può assumere.
Generalmente criteri diagnostici rilevanti sono:
• evidenza di origine da un tronco nervoso periferico
• presenza di aspetti di residui di neurofibroma
• insorgenza della neoplasia in soggetti con neurofibromatosi
• neoplasie con quadro morfologico simile quelle precedenti e che presentino positività alla proteina S-100 in una quota anche minima delle
cellule tumorali.
Epidemiologia: I T.M.G.N.P. colpiscono i soggetti fra i 20 e i 50 anni di età e prediligono il sesso femminile.
Aspetto macroscopico: Sono masse di dimensioni anche voluminose, aspetto
francamente sarcomatoso di sovente in continuità con un tronco nervoso.
Aspetto microscopico: Istologicamente si distinguono: la variante convenzionale a cellule fusate, la variante epitelioide, la variante con componente eterologa (tessuto osseo e/o cartilagineo, elementi rabdomioblastici ) e la variante
con strutture epiteliali-ghiandolari. La variante convenzionale, che è la più frequente, istologicamente si presenta come un sarcoma con pattern fascicolato,
costituito da cellule fusate, con nuclei a profilo ondulato o ripiegato su se
stesso e alternanza di aree ipo ed ipercellulari.
Evoluzione e Prognosi: La prognosi e generalmente infausta stante l’alta potenzialità metastatica.
TUMORI NEUROECTODERMICI PRIMITIVI PERIFERICI (PNET)
Definizione: Si intendono compresi in questa definizione il cosiddetto Neuroepitelioma Periferico oggi comunemente etichettato PNET ed il Sarcoma di
Ewing (SE) extraosseo. Oggi si ritiene ch S.E. e PNET costituiscano espressione
morfologica e fenotipica di una stessa entità, il tumore neuroectodermico pri-
202
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up
della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli
mitivo. A sostegno di tale affermazione oltre che le affinità cito-morfologiche
reiteratamente riscontrate a livello strutturale e ultrastrutturale c’è la condivisione nel 98% dei casi di una tipica anomalia genetica, la traslocazione reciproca del braccio lungo dei cromosomi 11 e 22 : t(11;22) (q24; q12). Per
quanto detto oggi ci si riferisce a tali lesioni con l’unica denominazione di Sarcoma di Ewing/Tumore neuroectodermico primitivo (PNET).
Epidemiologia: Si può presentare in realtà in qualsiasi età della vita con predilezione per i giovani adulti di sesso maschile.
Sedi di insorgenza: Le sedi più comuni sono il tronco, le estremità ed il retroperitoneo.
Aspetto macroscopico: Si tratta di solito di masse anche di voluminose dimensioni di colorito grigio-brunastro con presenza di aree necrotiche ed emorragiche.
Aspetto microscopico: Istologicamente è formato da piccole cellule rotonde,
con scarso citoplasma, con occasionale presenza di immagini a rosetta o
pseudorosette. Alto è l’indice mitotico e frequenti sono le aree di necrosi. Immunoistochemicamente le cellule risultano positive alla ricerca della vimentina, del CD99 ed in una piccola parte dei casi della citocheratina.
Genetica. Caratteristica è la già ricordata traslocazione reciproca del braccio
lungo tra i coromosomi 11 e 22.
Evoluzione e Prognosi: Si tratta di un tumore ad alto grado di aggressività con
mortalità di oltre il 60-70% dei casi ai 5 anni.
Tumori a incerta linea differenziativa
SARCOMA SINOVIALE
Definizione: Il sarcoma sinoviale (SS) è un tumore mesenchimale a cellule fusate che mostra variabile differenziazione epiteliale, inclusa la possibile formazione di ghiandole.
Epidemiologia: E’ più frequente in maschi giovani adulti. Insorge più frequentemente nei tessuti molli profondi degli arti, specialmente il ginocchio. Rappresenta il 5-10% dei sarcomi dei tessuti molli.
Sedi di insorgenza: Il SS è un tumore ubiquitario, non solo localizzato nei tessuti molli. Non origina dalla sinovia né ha differenziazione sinoviale, nonostante il nome.
Aspetto macroscopico: Il SS è rappresentato da un nodulo ben circoscritto se
cresciuto lentamente, oppure presenta crescita infiltrativa. Può essere multinodulare e multicistico. Può presentare aree calcifiche.
Aspetto microscopico: Microscopicamente il SS viene suddiviso in:
• tipo monofasico: rappresentata solo la componente a cellule fusate
• tipo bifasico: rappresentata la componente a cellule fusate e la componente epiteliale
• tipo poco differenziato: presenza di elevato indice mitotico e necrosi, con
morfologia a piccole cellule tipo Ewing o a grandi cellule.
Tipici marcatori immunofenotipici sono, oltre la vimentina, le cheratine, EMA
CD99 e bcl2 in assenza di CD34.
Genetica: Il SS è caratterizzato dalla traslocazione t(X;18) (p11;q11), con generazione dei trascritti di fusione SYT-SSX1,2 e 4.
Evoluzione e Prognosi: Circa 40% dei SS metastatizza ai polmoni, osso, e
anche ai linfonodi. Una percentuale più elevata e più precoce metastatizzazione si ha nel tipo poco differenziato.
SARCOMA EPITELIOIDE
Definizione: Particolare sarcoma ad incerta istogenesi che mostra una citomorfologia prevalentemente epitelioide. Questo tumore può essere erroneamente diagnosticato come lesione benigna, specialmente come processo
granulomatoso benigno.
Epidemiologia: Insorge in giovani adulti (mediana di 26 anni), soprattutto maschi.
Pagina
Sedi di insorgenza: Le sedi più frequenti sono le superfici flessorie di dita,
mani, polsi e avambracci, seguiti da ginocchio e parte inferiore della gamba.
Aspetto macroscopico: Quando è superficiale il sarcoma epitelioide (SE) è di
solito costituito da piccoli noduli duri, che crescono lentamente, o da placche, solitari o multipli, in sede dermica o sottocutanea, e che possono ulcerare la cute. Se profondo, può coinvolgere tendini, guaine tendinee e
aponeurosi, e mostrare necrosi.
Aspetto microscopico: Microscopicamente, tipicamente il SE presenta cellule
epitelioidi e fusate in un tipico pattern pseudogranulomatoso di crescita nodulare con necrosi centrale. In questa forma simula un processo granulomatoso benigno. Frequentemente, specialmente nelle forme profonde, può
mostrare diffusione perineurale e vascolare. L’immunofenotipo è caratteristico, con espressione di vimentina, citocheratine, EMA e CD34.
Evoluzione e Prognosi: Una diagnosi corretta e precoce all’esordio permette
una chirurgia radicale ed evita le recidive, che tendono a propagarsi lungo i
piani fasciali e le guaine tendinee e nervose.
Metastasi si sviluppano nel 40% dei casi e coinvolgono i polmoni, ed anche i
linfonodi, osso ed encefalo. Particolarmente aggressiva la variante prossimale.
SARCOMA ALVEOLARE DELLE PARTI MOLLI
Definizione: Si tratta di un tumore raro che colpisce soprattutto adolescenti e
giovani adulti.
Epidemiologia: E’ un sarcoma raro, che rappresenta meno dell’1% della totalità dei sarcomi. E’ più comune fra 15 e 35 anni.
Sedi di insorgenza: Coinvolge soprattutto le estremità, in particolare i tessuti
molli profondi della coscia. In età pediatrica è più frequente in sede testacollo.
Aspetto macroscopico: Sono masse mal-definite di colorito grigio-giallastro e
frequente necrosi.
Aspetto macroscopico: Ha una morfologia caratteristica . Nei bambini tende
ad avere un aspetto solido. E’ formato da grandi cellule epitelioidi con abbondante citoplasma eosinofilo granulare in nidi solidi o strutture alveolari,
separati da vasi sinusoidi sottili. Non ha un immunofenotipo caratteristico. La
maggioranza dei casi mostra immunoreattività nucleare per TFE3.
Genetica. E’ caratterizzato dalla traslocazione che fonde TFE3 (Xp11) con ASPL
(17q25).
Evoluzione e Prognosi: Metastatizza precocemente, e frequentemente esordisce con le metastasi a polmone o encefalo.
2.4 Stadiazione
I sarcomi delle parti molli vengono classificati prendendo in considerazione i
parametri del T (tumore) N (linfonodi) M ( metastasi). Per la stadiazione di questi tumori viene impiegato il sistema sviluppato dall’AJCC, in cui ciascuno stadio risulta dalla valutazione dei seguenti fattori.
• T è il risultato della combinazione tra le dimensioni del tumore (>/< 5
cm) e la profondità di localizzazione dello stesso. Vengono definite
“superficiali “ le lesioni che non interessano nella loro crescita la fascia muscolare superficiale, mentre sono “profonde” le lesioni che invadono o quelle sottostanti. Per convenzione, tutti i sarcomi che si
sviluppano nel retro - peritoneo o nei visceri sono da considerarsi
profondi. Vengono considerate profonde anche la maggior parte delle
lesioni del distretto cervico-facciale e quelle endotoraciche.
• N nei SPM l’interessamento dei linfonodi regionali è un evento raro, ma
con prognosi infausta. La prognosi dei pazienti con malattia N1 è infatti sovrapponibile a quella dei pazienti con malattia metastatica a
distanza.
203
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
•
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
G
esprime il grado di differenziazione istologica della neoplasia, a cui
viene dato un punteggio crescente da 1 a 3 o 4 a seconda del sistema di classificazione utilizzato. Poiché questo fattore è una variabile biologica di tipo continuo, può essere talora difficile
assegnarle un punteggio arbitrario.
Tumore primitivo (T)
• Tx tumore primitivo non valutabile
• T0 nessuna evidenza di tumore primitivo
• T1 tumore primitivo < 5cm :
T1a = superficiale
T1b = profondo
• T2 t umore primitivo > 5cm
T2a = superficiale
T2b = profondo
Linfonodi regionali (N)
• Nx linfonodi regionali non valutabili
• N0 assenza di metastasi nei linfonodi regionali
• N1 metastasi nei linfonodi regionali
Metastasi a distanza (M)
• Mx metastasi non valutabili
• M0 non evidenza di metastasi a distanza
• M1 presenza di metastasi a distanza
Grado istopatologico (G)
• Gx non valutabile
• G1 ben differenziato
• G2 moderatamente differenziato
• G3 scarsamente differenziato
• G4 indifferenziato
Stadi
• I G1-2 T1a-b T2a-b N0
M0
• II G3-4 T1a-b T2a
N0
M0
• III G3-4 T2b
N0
M0
• IV ogni G
ogni T
N1
M0
ogni G
ogni T
N0
M1
2.5 Diagnosi e valutazione della risposta
La diagnostica per immagini
La diagnostica per immagini risulta fondamentale sia nelle fasi iniziali di diagnosi che in quelle di stadiazione. Nello studio di lesioni dei tessuti molli di
sospetta natura maligna, le diverse tecniche di immagine permettono di identificare la massa, descriverne le caratteristiche, i rapporti con la fascia muscolare e le strutture vascolo-nervose limitrofe, l’estensione e l’eventuale
coinvolgimento dei tessuti circostanti.
L’esame radiografico diretto del segmento interessato deve essere eseguita
in almeno due proiezioni,con tecnica radiologica digitale con elaborazione
della immagine sia per l’osso che per le parti molli.
L’esame radiografico permette di individuare un eventuale coinvolgimento
della componente scheletrica (lesioni periostali, alterazioni del profilo, erosioni dello stesso, coinvolgimento della componente midollare) e le alterazioni
di densità dei tessuti molli, presenza di calcificazioni a differente morfologia
(fleboliti nelle lesioni angiomatose , ossificazioni a guscio della miosite ossificante matura, etc.) La radiografia del segmento osseo non richiede competenze specialistiche e può essere eseguita in qualsiasi struttura fornita di
apparecchiatura radiologica.
Se è eseguita con tecnica di radiologia digitale vi è maggiore duttilità nell’elaborazione dell’immagine ed è possibile l’archiviazione agevole delle im-
Pagina
magini con rapida consultazione a distanza o in caso di controlli successivi.
L’indagine ecografica è l’ esame di prima istanza in quanto metodica semplice, di basso costo, disponibile nella maggior parte dei centri diagnostici
anche periferici.
Consente di misurare le dimensioni ed il rapporto con la fascia muscolare superficiale, di valutare il contenuto (liquido, solido, misto, adiposo, fibroso), di
valutare il coinvolgimento delle strutture vicine. L’esame deve essere eseguito con apparecchiatura dotata di trasduttori a scansione elettronica a larga
banda e multifrequenza lineari e convex a larga banda multifrequenza per
poter studiare sia i tessuti superficiali che profondi compresi nel campo di
vista.
L’indagine ecografica deve essere sempre completata con Eco-color Doppler
e PowerDoppler (PD) con elevata sensibilità per i flussi sia arteriosi che venosi, per una accurata valutazione della vascolarizzazione della lesione.
In caso di lesioni vascolarizzate è consigliabile procedere all’utilizzo del
mezzo di contrasto ecografico (CEUS). Lo studio ecografico con mdc consente di studiare in tempo reale le strutture vascolari, in particolare la neoangiogenesi presente nella lesione, analizzandone il comportamento in tutte
le fasi, da quella arteriosa a quella venosa sino alle fasi tardive, e delineandone la precisa mappa vascolare.
Lo studio CEUS, oltre a fornire utili informazioni sulla possibile natura benigna o maligna della lesione basata sulla neoangiogenesi, diffusione del CEUS
permette inoltre di scegliere l’area più significativa per la successiva biopsia, che dovrà indirizzarsi su di un tessuto vitale, non necrotico, e dovrà evitare le aree non diagnostiche ai fini anatomo-patologici. A tale scopo
l’ecografia, grazie a particolari dispositivi applicati alle sonde e alla guida
elettronica mirata, presente su tutte le apparecchiature, consente di indirizzare con estrema precisione l’ago nel tragitto prescelto.
Il referto dell’ecografia di una massa dei tessuti molli deve riportare le dimensioni, la sede (in particolare i rapporti con la fascia), i margini, l’ecostruttura, la vascolarizzazione (nel caso di Eco Power Color Doppler) (livello
V).
Una lesione clinicamente sospetta deve essere studiata in prima
istanza mediante l'esecuzione di radiografia ed ecografia con eco Color
Doppler (livello VI di evidenza).
Nel caso gli esami di primo livello confermino il sospetto di patologia aggressiva evolutiva, oppure permanga il dubbio diagnostico, o ancora la massa
abbia dimensioni superiori ai 5 cm vi è indicazione ad eseguire esami di secondo livello.
Qualora il paziente sia in carico a servizi periferici, a questo punto dell’iter
diagnostico è necessario considerare il riferimento a centri specialistici specifici.
Il paziente con lesione sospetta di malignità agli esami di primo livello
dovrebbe essere sottoposto agli esami di secondo livello o in un centro ad alta specializzazione specifica o in un centro che si attenga al
presente protocollo (livello V).
Una lesione delle parti molli deve essere sottoposta a Risonanza magnetica
(RM) se all’esame ecografico dimostra caratteristiche sospette per lesione
evolutiva o se presenta dimensioni superiori ai 5 cm circa.
L’indagine RM è in grado di fornire una accurata valutazione anatomica e
morfologica della lesione la sua estensione compartimentale, l’edema peritumorale, l’interessamento neuro vascolare osseo ed articolare.
L’esame RM deve essere condotto prevalentemente con sistemi superconduttivi ad alto campo (almeno 1.0 T) o comunque con elevata potenza di gradiente, che consentano di ottenere immagini caratterizzate da un rapporto
204
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up
della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli
segnale/rumore ottimale (indispensabile per ottenere un adeguato dettaglio
anatomico), e da alta risoluzione di contrasto (indispensabile per la caratterizzazione tissutale).
La RM consente uno studio sia panoramico della lesione esplorandola nella
sua interezza e in tutti i piani dello spazio in rapporto con le strutture anatomiche dell’intero segmento corporeo sia con studio mirato della lesione restringendo il campo di vista con elevato dettaglio anatomico.
Il primo scopo dell’indagine RM è quello di valutare la compartimentalità
della lesione con studio ad elevato dettaglio anatomico FSE (fast Spin Echo)
pesate in T1 e T2/DP, che consentano di visualizzare le logge muscolari, le
fasce muscolari, i tendini, il piano cutaneo e sottocutaneo, i nervi, i vasi e le
strutture capsulo-legamentose articolari.
In secondo luogo è fondamentale delimitare correttamente la massa, distinguendola dall’edema perilesionale, confrontando sia le sequenze T2 e T1 pesate, che quelle T1 con soppressione del grasso (Fat-Sat) prima e dopo la
somministrazione endovenosa di mezzo di contrasto paramagnetico.
L’esame RM grazie alla sua elevata risoluzione di contrasto consente una
valutazione delle caratteristiche tissutali della lesione.
I tumori maligni come i sarcomi sono caratterizzati da tessuti ad elevata attività metabolica e cellularità, e sono generalmente caratterizzati da elevato
e disomogeneo segnale nelle sequenze T2 e T2 con soppressione del grasso
(STIR), caratteristiche di segnale che però appartengono anche ad alcune
lesioni benigne altamente vascolarizzate (angiomi, schwannomi, etc) .
Una particolare raccomandazione è sull’utilizzo della sequenza STIR, caratterizzata da una estrema sensibilità per le molecole di acqua libera e quindi
nell’evidenziare anche solo minime alterazioni di natura edematosa.
L’utilizzo del mezzo di contrasto paramagnetico è indispensabile nella diagnosi dei sarcomi.
La neoangiogenesi dei tumori maligni è caratterizzata dall’abnorme e anarchica proliferazione di vasi con alterata permeabilità.
Il potenziamento di segnale e la conseguente iperintensità nelle sequenze pesate in T1 dopo la somministrazione di mezzo di contrasto paramagnetico è
dovuta sia alla ricchezza di vasi intralesionali sia al rapido passaggio del
mezzo nel compartimento interstiziale attraverso le alterate pareti vascolari.
Lo studio RM dopo mdc appare particolarmente importante nella valutazione
della necrosi intratumorale pre e post-terapia neoadiuvante.
La RM è in grado di fornire una accurata valutazione dell’ interessamento
del fascio neuro vascolare con lo studio Angio-RM delle strutture vascolari
in fase arteriosa e artero-venosa, grazie all’iniezione a “bolo” del mezzo di
contrasto a flusso elevato. L’angio-TC, praticata con apparecchi “multidetettore”, è sicuramente al momento attuale l’indagine meglio codificata per
lo studio di un eventuale coinvolgimento dell’asse vascolare da parte della
neoplasia. Tuttavia, i più recenti sviluppi tecnico-metodologici in ambito RM
(sequenze ultraveloci, utilizzo di iniettori ad alto flusso) e l’utilizzo dei mezzi
di contrasto “blood-pool” consentono di ottenere immagini pressoché sovrapponibili all’indagine TC.
E’ inoltre possibile eseguire studi RM “ dinamici “ dopo mdc ( DCE-RM) o
studi RM perfusione con sequenze ultrarapide in , consentendo di ottenere
informazioni sulle modalità dell’arrivo del mezzo nel compartimento vascolare arterioso della lesione, del passaggio nel compartimento interstiziale e
della sua persistenza più o meno duratura in esso.
Ciò permette di costruire delle curve intensità-tempo dai cui parametri (pendenza della curva, tempo di picco, area sotto la curva, etc.) si possono ricavare importanti informazioni sulle caratteristiche della vascolarizzazione della
lesione.
Questa tecnica RM è in grado di individuare le modificazioni del flusso sanguigno, volume ematico, perfusione e permeabilità nella neoangiogenesi con
Pagina
incremento delle possibilità di caratterizzazione tissutale e nella valutazione
della risposta.
L’esame RM può essere completato con esame RM di Diffusione, tecnica
particolarmente sensibile nella valutazione della cellularità della lesione sia
nella incremento della sensibilità nella caratterizzazione tissutale ma soprattutto nella valutazione della necrosi tumorale sia prima che dopo i diversi trattamenti terapeutici.
I pazienti con lesione potenzialmente maligna agli esami di primo livello
devono essere sottoposti a Risonanza magnetica, senza e con gadolinio, dell’intero segmento corporeo in cui è situata la massa (livello V).
La tomografia computerizzata (TC) allo stato dell’arte attuale deve essere
eseguito con tecnica multistrato e con utilizzo del mezzo di contrasto.
L’esame così eseguito presenta un elevato contenuto diagnostico circa la
compartimentalità e i rapporti fra massa e le strutture ossee e vascolo-nervose, meglio se completato da ricostruzioni nei vari piani dello spazio e 3D.
L’esame TC nei sarcomi dei tessuti molli è utile eseguirlo sia quando la massa
è prossima a un segmento scheletrico per valutare l’interessamento della
corticale ossea e della trabecolatura, o è prossima all’asse vascolare per determinarne il coinvolgimento (infiltrazione, compressione e dislocazione).
L’esame TC con queste caratteristiche mantiene tuttora un alto valore diagnostico in assenza di apparecchiatura RM idonea.
In caso di presenza di RM, la TC è indagine di secondo livello rispetto a questa ed è essenzialmente di completamento diagnostico e di indirizzo in fase
pre-chirurgica. Naturalmente appare oggi invariato e fondamentale il suo
ruolo nella stadiazione di torace ed addome in caso di sarcoma.
I pazienti affetti da sarcoma delle parti molli devono essere sottoposti
a tomografia computerizzata del torace senza e con mezzo di contrasto (livello V).
Valutazione della risposta
La valutazione della risposta ai trattamenti chemioterapici e radioterapici devono essere effettuati con Risonanza Magnetica sia convenzionale che Dinamica mentre la TC deve essere eseguita solo nei casi con controindicazioni
alla RM. I criteri di risposta devono basarsi non solo sui tradizionali criteri
RECIST e WHO, che sono basati esclusivamente sulla misurazione dei diametri del tumore ma integrati con sistemi alternativi come quelli proposti da
Choi et al nel 2004, che considerano nel criterio di valutazione della risposta oltre che le dimensioni anche l’aspetto “funzionale” (valori densitometrici,
vascolarizzazione, densità cellulare della lesione) che si correlano meglio
con l’outcome ma che possono porre problemi di riproducibilità.
Le tecniche Dinamiche e di Perfusione sono particolarmente rilevanti di monitorare la risposta ai diversi trattamenti chemioterapici sia convenzionali
che dopo target therapy in quanto i sarcomi tendono a dimostrare curve con
picchi elevati e precoci (in fase arteriosa), che si possono ridurre nettamente
dopo la terapia neoadiuvante, fornendo importanti informazioni prognostiche correlabili con i dati anatomo-patologici dell’entità della necrosi post-terapia.
La tecnica di RM di diffusione dovrebbe essere sempre eseguita nella valutazione della risposta al trattamento.
I parametri di valutazione ad ogni esame radiologico sono i seguenti:
• Valutazione delle dimensioni del tumore (criteri RECIST) con RM o TC.
• Valutazione della cellularità del tumore (valori di diffusione RM o densità
con la TC) secondo i criteri CHOI.
• Valutazione della vascolarizzazione tumorale con quantificazione della
perfusione con RM di perfusione o TC di perfusione o PET-TC.
205
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
3. Sarcomi degli arti, dei cingoli e del tronco
3.1 La biopsia
La biopsia è l’ultimo passo nell’iter diagnostico e il primo atto chirurgico. E’
una “strategia”, non un “intervento di piccola chirurgia”. Deve sempre essere
preceduta dall’anamnesi, l’esame obiettivo e gli esami strumentali, e non
deve essere il primo atto diagnostico “per abbreviare i tempi”.
La stadiazione strumentale locale completa è indispensabile per conoscere
la sede, l’estensione, il compartimento anatomico e le caratteristiche di segnale correlabili a differenti tessuti. Se si esegue una biopsia senza lo studio con ecografia, RM e/o TC, si possono contaminare più compartimenti e
si può prelevare tessuto non idoneo né significativo per la diagnosi. Se si
esegue la biopsia escissionale, cioè si asporta la lesione, senza averne studiato la reale estensione, l’escissione chirurgica potrebbe essere marginale
o addirittura intralesionale.
La biopsia è il primo atto chirurgico anche quando viene eseguita con un
ago tranciante dal radiologo. Una biopsia condotta in modo errato preclude
la terapia corretta, portando talvolta al sacrificio dell’arto laddove una biopsia corretta avrebbe potuto salvarlo, aumenta la probabilità di recidiva locale, aumenta il rischio di complicanze postoperatorie, peggiora il risultato
funzionale.
Solo ortopedici, chirurghi, radiologi, patologi, oncologi e radioterapisti, che conoscono tutto il caso e collaborano strettamente, possono scegliere ed applicare la corretta strategia diagnostica e terapeutica. In quest’ottica, è
indispensabile che il chirurgo e il radiologo, che abbiano eseguito la biopsia,
considerino non concluso il proprio lavoro con il prelievo, ma continuino a collaborare con il patologo fino alla definizione della diagnosi istologica.
La biopsia deve essere eseguita secondo tutte le regole chirurgiche oncologiche da medici che ne conoscono tutti i presupposti e le conseguenze (A)
In caso di sospetto sarcoma dell’osso e dei tessuti molli, a causa della rarità
della patologia e delle difficoltà e complessità diagnostiche e terapeutiche,
tutta la letteratura internazionale è concorde nel suggerire che il paziente
sia inviato già nella fase della biopsia presso un centro di riferimento con
esperienza nei sarcomi, per evitare errori e perdite di tempo, limitando i costi
umani e sanitari.
Livello V
I pazienti con sospetto tumore dei tessuti molli devono essere inviati ad
un centro di riferimento per l’esecuzione della biopsia (A).
Indipendentemente dalla specialità e dalla tecnica, è indispensabile che il
medico esecutore sia strettamente coinvolto nel processo diagnostico e terapeutico: essendo la biopsia l’ultimo atto diagnostico, l’esecutore ed il patologo che la interpreta non possono ignorare la storia clinica, l’esame
obiettivo e gli esami strumentali già eseguiti; essendola biopsia il primo atto
chirurgico, l’esecutore ed il patologo devono avere ben presenti tutte le possibili conseguenze terapeutiche.
In particolare, l’uno deve conoscere perfettamente la via d’accesso definitiva
con cui verrà asportato il tumore, perché tutto il tratto bioptico dovrà essere
asportabile in blocco con il sarcoma; l’altro deve conoscere le conseguenze
terapeutiche della diagnosi istologica per dare tutte le informazioni necessarie, utilizzando tutte le metodiche a disposizione.
Poiché la biopsia è parte di una strategia, è fondamentale che l’ortopedico
ed il chirurgo non solo diano l’indicazione alla biopsia, ma provvedano anche
a stabilirne l’urgenza in base al sospetto diagnostico, e metta in atto un protocollo, anche organizzativo, per realizzarla nei tempi e modi adeguati.
Pagina
Fondamentale è, in tutti i passaggi, l’informazione al paziente ed ai familiari in modo che, quando la diagnosi istologica arriverà, il paziente e la famiglia siano pronti ad affrontare il lungo e difficile percorso terapeutico.
Livello VI
E’ indispensabile che ciascun reparto ortopedico o chirurgico rediga un
protocollo attuabile nella propria realtà lavorativa per la realizzazione della
“strategia bioptica” (B).
La scelta della sede della biopsia deve tenere conto di tre fattori:
1) le vie chirurgiche d’accesso: la biopsia deve essere eseguita utilizzando
la stessa via d’accesso dell’intervento chirurgico definitivo, perché il
tratto bioptico dovrà essere successivamente asportato in blocco con il
tumore
2) il compartimento anatomico: la biopsia deve essere eseguita in modo
da non contaminare altri compartimenti
3) le caratteristiche del tessuto patologico individuate dalla diagnostica per
immagini: la biopsia deve essere centrata dove vi è tessuto idoneo e
rappresentativo, escludendo le aree necrotiche, colliquative e/o emorragiche.
Gli accessi oncologici sono diversi da quelli ortopedici classici e devono essere conosciuti bene da chi si accinge ad eseguire la biopsia.
La biopsia può essere eseguita in due modi: con ago tranciante (tru-cut, definita anche core needle biopsy) sotto controllo ecografico, oppure mediante
incisione chirurgica (biopsia incisionale).
In caso di sospetta lesione sarcomatosa, la terza alternativa, la biopsia ad ago
sottile (Fine Needle Aspiration Cytology, FNAC) è da eseguirsi solo in casi selezionati e quando il servizio disponga di patologi con grande esperienza,
perché dà un prelievo di cellule e non di tessuto: spesso le masse sarcomatose hanno componenti cellulari differenti che, prese separatamente, possono dare diagnosi diametralmente opposte. La diagnosi più adeguata è
invece basata soprattutto sullo studio dell’“architettura” del tessuto neoplastico: il tipo e numero di cellule, il numero di mitosi, la matrice, la necrosi e
la vascolarizzazione.
La biopsia escissionale, cioè l’asportazione della lesione non preceduta dall’esame istologico, nei sarcomi dei tessuti molli è possibile solo nei seguenti
casi: la massa è sottocutanea o intramuscolare, di dimensioni inferiori o
uguali a 3 cm, i margini sono ben delimitati, l’escissione in blocco con margini ampi è conservativa, il referto istologico non modificherebbe il trattamento (né il tipo di escissione né i margini), il risultato funzionale è buono.
La biopsia incisionale con esame al congelatore e l’immediato intervento
chirurgico ha indicazioni molto limitate: può essere eseguita solo nei sarcomi dei tessuti molli con caratteristiche all’imaging omogenee, per sede e
caratteristiche non vi è indicazione al trattamento preoperatorio con radio
e/o chemioterapia e vi è la possibilità di asportarla chirurgicamente con margini adeguati in modo conservativo.
L’esame al congelatore è invece utile per la conferma dell’idoneità del prelievo.
Sia la biopsia con tru-cut che incisionale hanno vantaggi e svantaggi. La
scelta tra le due metodiche bioptiche dipende da molti fattori, tra cui l’esperienza del radiologo, del chirurgo e del patologo, la sede ed il tipo di lesione,
il tipo di paziente e la sua volontà.
In qualunque modo venga eseguita e da chiunque venga eseguita, chirurgo
o radiologo, la biopsia deve seguire le regole della chirurgia oncologica per
206
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up
della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli
permettere l’asportazione chirurgica corretta ed adeguata del sarcoma
quando la diagnosi e la stadiazione permetteranno la terapia.
L’anestesia locale per infiltrazione con anestetico è sconsigliata: è possibile
la disseminazione con l’ago di cellule tumorali nei tessuti circostanti ed all’intervento definitivo la zona infiltrata sarà difficilmente identificabile e quindi
vi è il rischio di non asportarla in blocco con il tumore.
L’esecuzione sotto guida ecografica o TC permette sia di indirizzare l’ago
nelle zone di tessuto con segnale più rappresentativo, evitando il prelievo in
aree necrotiche e/o emorragiche, sia di non oltrepassare la massa, disseminando il tumore.
Se necessario, è possibile eseguire più prelievi utilizzando
sempre lo stesso foro cutaneo di entrata. E’ sconsigliabile eseguire il prelievo
con ago tranciante a mano libera.
Il grande svantaggio dell’agobiopsia, nonostante la possibile pluralità dei prelievi, è la relativa scarsità del tessuto, per cui talvolta è impossibile avere
una diagnosi istologica certa, anche se il prelievo è stato fatto tecnicamente
in modo impeccabile ed il patologo è esperto in lesioni sarcomatose. Inoltre,
ancora per la scarsità del prelievo, nella maggior parte dei casi è impossibile studiare il tessuto neoplastico con indagini aggiuntive quali la biologia
molecolare.
Le complicanze dell’agobiopsia con ago tranciante sotto controllo ecografico
o TC sono minime sia come numero che come morbilità, essenzialmente,
anche se raramente, l’ematoma post-prelievo (è buona norma eseguire
un’ecografia di controllo dopo un’ora dal prelievo, documentando la situazione postbioptica).
Il rischio di infezione dopo l’agobiopsia sia eco che TC guidata, pur possibile,
è poco probabile. In letteratura sono stati segnalati rarissimi casi di morte per
crisi vagali in pazienti affetti da neurinoma biopsiati con ago sotto controllo
ecografico.
Poiché talvolta è difficile diagnosticare con la clinica e l’imaging un neurinoma, è buona regola far precedere la biopsia con la “puntura esplorativa”
della massa con un ago da spinale; se il paziente non ha reazioni,
si può procedere senza problemi.
Si sottolinea che anche l’agobiopsia deve essere eseguita per la stessa via
d’accesso della biopsia incisionale in modo da permettere l’asportazione in
blocco del tragitto bioptico con il tumore.
Se chi esegue la biopsia con ago è il radiologo, è determinante l’accordo
preliminare con il chirurgo, per identificare esattamente la via d’accesso definitiva.
La biopsia incisionale richiede l’accesso ad una sala operatoria ed una anestesia almeno loco-regionale.
Oltre alle normali complicanze di un intervento chirurgico (ematoma, infezione, ritardo di guarigione della ferita, tromboembolia, ecc.), vi è il rischio di
prelevare in una zona poco rappresentativa per cui la diagnosi, da cui deriva
la scelta terapeutica, potrebbe non essere corretta. Se vi è il dubbio che il
materiale prelevato sia necrotico, e quindi non adatto per la diagnosi, l’esecutore della biopsia deve richiedere l’esame al congelatore per definirne
l’idoneità.
Si sottolinea che l’esame al congelatore può essere effettuato solo sui tessuti molli, non sull’osso.
In caso di discordanza tra i dati clinici, gli esami strumentali ed il referto
istologico sul prelievo bioptico, è indispensabile rivalutare tutto il percorso
diagnostico e, se necessario, ripetere la biopsia.
Come eseguire il prelievo bioptico con ago tranciante sotto controllo ecografico o TC.
Le regole per il prelievo chirurgico bioptico, in base ai principi di chirurgia
oncologica, sono le seguenti:
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informare il paziente ed ottenerne il consenso informato
se possibile, non usare il laccio emostatico: si evita il rischio teorico di
liberare emboli di cellule tumorali al momento sia della spremitura con
fascia di Esmark che al rilascio del laccio. Se si decide di usarlo, non
usare la fascia compressiva in corrispondenza del tumore e sgonfiare il
laccio subito dopo il prelievo bioptico per procedere alla coagulazione accurata
se vi sono dubbi sulla localizzazione (alcune masse, specie se con componente angiomatosa, tendono a diminuire improvvisamente di dimensioni in anestesia), identificare con l’ecografo la sede prima di incidere
la cute
sezionare a “tutto fondo” i piani con un’incisione longitudinale: incidere
cute, sottocute e muscolo evitando di scollare il sottocute dalla fascia,
la fascia dal muscolo, il muscolo dal periostio ecc. Lo scollamento contamina ed aumenta i tessuti da asportare in blocco all’intervento definitivo
Il tumore è sempre delimitato da una pseudocapsula, di solito ricca di
vasi: coagularli accuratamente o legarli per diminuire il rischio di sanguinamento quando la si incide. Nel dubbio, applicare un ago ed aspirare per essere sicuri che all’interno non vi sia una raccolta di sangue
sotto pressione
Incidere la pseudocapsula, se possibile ad H in modo da sollevare i due
lembi (suturabili al termine dell’intervento) e procedere, a seconda della
consistenza del tessuto patologico, al prelievo di un frammento di circa
1cm3 con pinza e bisturi in modo “atraumatico”
Valutare l’aspetto macroscopico del frammento prelevato: deve essere
un tessuto vitale, non necrotico, né colliquativo né emorragico. In caso
di dubbio, si richiede immediatamente l’esame al congelatore per valutare l’idoneità del prelievo e, se necessario, procedere all’ulteriore prelievo. Inviare il frammento bioptico al servizio di anatomia patologica
eseguire l’emostasi in modo accurato: bisogna evitare la formazione di
un ematoma postoperatorio che, oltre ai comuni problemi, potrebbe disseminare le cellule tumorali nei tessuti circostanti
suturare accuratamente la pseudocapsula e tutti i piani, per evitare la
contaminazione, posizionando i punti di sutura vicino ai margini di incisione in modo da diminuire la quantità di tessuti da asportare come tramite bioptico
il drenaggio dovrebbe essere utilizzato solo se strettamente necessario.
Deve essere posizionato in modo che rimanga intracompartimentale ed
esca dalla cute nella direzione e vicino ad un estremo dell’incisione: all’intervento definitivo il tragitto ed il tramite cutaneo dovranno essere
asportati in blocco con il tumore
controllare la guarigione della ferita ed informare il paziente che il riposo funzionale nel postoperatorio diminuisce il rischio di ematoma e di
sanguinamento.
Il razionale della chirurgia
La maggior parte dei sarcomi delle parti molli deve essere asportata chirurgicamente in blocco dopo un’accurata analisi della diagnostica per immagini,
della funzione residua, delle possibilità ricostruttive, dell’efficacia delle terapie adiuvanti e della volontà del paziente.
In oncologia del sistema muscolo-scheletrico, il chirurgo deve attenersi ad
alcune regole fondamentali:
• escissione in blocco della massa con margini chirurgici adeguati
• accurata emostasi e successivo lavaggio del letto operatorio, per evitare ematomi ed infezioni
• posizionamento di clips metalliche a livello dei margini di resezione del
207
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
letto operatorio, con il compito di facilitare il planning di radioterapia
adiuvante.
• assistenza diretta al radioterapista nel caso di posizionamento dei tubicini di plastica per la brachiterapia interstiziale, evitando il contatto diretto di questi con vasi e nervi e identificando i punti di dubbia
marginalità per la concentrazione della dose e l’estensione dell’impianto.
• descrizione accurata dell’intervento chirurgico, delle masse muscolari
asportate, delle strutture nobili escisse, delle zone di contiguità o dubbia marginalità
• determinazione da parte del chirurgo dei margini chirurgici sul pezzo
anatomico, segnalando al patologo, con inchiostro di china o fili di sutura, i margini potenzialmente contaminati o le zone di contiguità di vasi
e nervi principali
• evitare di sezionare il campione in sala operatoria, per non compromettere i reperi sui margini di resezione. La sezione del tumore è un atto che
deve essere svolto dal patologo
• invio del pezzo “a fresco” ed in condizioni di sterilità, come già esposto
nel paragrafo sulla biopsia, per avere la possibilità di eseguire studi biologici; se non è possibile, si consiglia la fissazione del campione operatorio in toto in sala operatoria. In genere la diagnosi istologica di malattia
è già stata definita con la biopsia. È’ tuttavia utile non solo confermare
l’istotipo, ma anche verificare che, nel contesto della massa, non esistano aree di grado più elevato. Inoltre, con l’analisi combinata macroscopica e microscopica, l’anatomopatologo deve verificare la qualità dei
margini della resezione.
Il tipo di escissione, definita dalla classificazione della Musculoskeletal Tumor
Society come intralesionale, marginale, ampia e radicale, condiziona la condotta terapeutica successiva all’intervento.
L’esame microscopico della resezione garantisce la definizione precisa dei
margini e quindi della qualità e del tipo di escissione. L’individuazione di aree
di marginalità e/o contaminazione della resezione è sempre fondamentale,
ma soprattutto nelle escissioni cosiddette allargate, laddove l’atto chirurgico
ha già asportato tutto ciò che le caratteristiche anatomiche e compartimentali permettevano.
Escissione Intralesionale: è l’asportazione eseguita passando attraverso la
massa tumorale, quando la pseudocapsula del tumore è violata dal chirurgo,
cosicché parti macroscopicamente visibili di tessuto sarcomatoso rimangono in sede.
Un margine intralesionale può talvolta essere accettato per neoformazioni
benigne come un lipoma, se localizzato in prossimità di strutture anatomiche nobili come vasi o nervi principali, il cui sacrificio comporterebbe gravi
deficit funzionali.
Anche nelle forme benigne localmente aggressive (es. tumore desmoide), se
in contatto con strutture nobili, una marginalità è accettabile se si associa la
radioterapia postoperatoria per ridurre la probabilità di recidive locali.
Nei sarcomi ad alto grado, questo tipo di margine è da considerarsi inaccettabile, perché espone il paziente ad una percentuale di recidiva locale di oltre
il 90%. Escissione Marginale: è l’asportazione in blocco della neoplasia attraverso la pseudocapsula reattiva.
La pseudocapsula è un’area di tessuto che circonda la neoplasia, potenzialmente contaminata da cellule neoplastiche e/o con digitazioni neoplastiche,
e spesso circondata da lesioni “skip”, presenti intorno ad essa.
Questa è la ragione per cui l’escissione marginale di un sarcoma ad alto
grado espone il paziente ad un rischio di recidiva locale stimato intorno al 4060%.
In un sarcoma a basso grado e in contiguità con una struttura vascolare o
nervosa di rilievo, si può accettare anche una focale marginalità chirurgica
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se si associa al margine anche il perinevrio o l’avventizia del vaso e si esegue la radioterapia adiuvante.
Una escissione marginale è il trattamento adeguato per la maggior parte dei
tumori benigni, dove, se la neoplasia viene escissa in blocco, la recidiva locale è rara. Vi sono alcuni tumori benigni, come la fibromatosi aggressiva o
il neurofibroma, che non hanno una vera e propria pseudocapsula ed hanno
una crescita caratterizzata da un pattern infiltrativo locale. Per questo motivo il neurofibroma può essere escisso dal nervo di origine solo attraverso
l’ausilio di ottiche microchirurgiche.
Escissione Ampia: è l’asportazione in blocco del tumore circondato da tessuto sicuramente sano, non reattivo, all’interno del compartimento anatomico di origine. La qualità del margine è più importante dello spessore: una
fascia o un’avventizia rappresentano un margine chirurgico migliore rispetto
ad alcuni centimetri di tessuto adiposo o muscolare (1 mm di fascia è più efficace di 2 cm di muscolo).
Questo tipo di escissione non esclude la possibilità di lasciare in situ delle
skip metastasi, motivo per il quale la percentuale di recidiva con la sola chirurgia ampia di un sarcoma delle parti molli, si aggira intorno al 20-30%.
Per ridurre questa percentuale di recidiva si deve associare la radioterapia
(diversamente combinata: preoperatoria, postoperatoria, brachiterapia), che
ha portato ad un controllo locale nelle forme ad alto grado compreso tra il 9
ed il 18%.
Escissione Radicale (o compartimentale): è l’asportazione in blocco di tutto
il compartimento anatomico, o di tutti i compartimenti anatomici interessati
dal tumore, per esempio l’intero quadricipite per la loggia anteriore di coscia.
Dopo questo tipo di escissione la recidiva locale è bassa (circa 2%) e spesso
non si associa alcun adiuvante locale.
Dal punto di vista oncologico, questa escissione garantisce grandi risultati sul
controllo locale, a scapito però della funzione residua dell’arto.
Per poter offrire al paziente una qualità funzionale accettabile, è necessario
ricorrere ad artifici chirurgici ricostruttivi molto complessi (megaprotesi composite, lembi microchirurgici liberi vascolarizzati ed innervati etc) e molto
impegnativi per il paziente, con possibili complicanze della ricostruzione.
E’ questo il motivo per cui una escissione radicale è limitata ai pazienti in cui
la malattia è localmente avanzata e compartimentale, mentre ad oggi, il golden standard della chirurgia oncologica di un sarcoma o di una lesione benigna aggressiva delle parti molli è la chirurgia ampia, associata o meno alla
radioterapia.
Livello VI
I pazienti portatori di sarcoma delle parti molli operabili devono essere
sottoposti ad intervento chirurgico di asportazione in blocco con margini
radicali o ampi, sulla base della stadiazione, della funzione residua, delle
possibilità ricostruttive, dell’efficacia delle terapie adiuvanti e della volontà del paziente (A).
Nel caso di trattamento inadeguato, come ad esempio può accadere in un
paziente trattato in un Centro non specializzato, pur in assenza di una franca
recidiva locale, è necessario che il paziente sia stadiato con tutte le necessarie tecniche di imaging; il preparato istologico deve essere rivalutato da un
patologo di grande esperienza nel settore.
Completato questo iter, il paziente deve essere ritrattato con una nuova chirurgia (radicalizzazione), escidendo in blocco la cicatrice chirurgica ed i tessuti contigui per ottenere una radicalità del letto operatorio.
La nuova analisi del pezzo operatorio deve essere accurata, con la finalità sia
del riscontro di malattia residua sia dei nuovi margini chirurgici.
Nelle diverse casistiche, è riportata una persistenza di malattia microscopica o macroscopica variabile dal 35 al 60%.
208
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up
della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli
La presenza di cicatrice positiva amplifica la possibilità di recidiva locale da
1.5 a 3 volte rispetto ai pazienti con cicatrice negativa. Nonostante questo,
la sopravvivenza complessiva nei due gruppi di pazienti non varia in maniera
statisticamente significativa.
Livello VI
Tutti i servizi di chirurgia che operino pazienti portatori di massa delle
parti molli devono attenersi alle regole della chirurgia oncologica (A)
Livello V
Gli interventi chirurgici per l’asportazione chirurgica di un sarcoma delle
parti molli non devono essere eseguiti in un centro senza esperienza specifica.
Osso
Quando il tumore della parti molli è mobile sui piani profondi, non è in contiguità con l’osso e dall’imaging appare che ci sia un margine di sicurezza
tra le due strutture, non vi è nessuna necessità di rimuovere l’osso.
Quando il tumore è in contiguità con l’osso, ma la massa è clinicamente mobile e la scintigrafia ossea è negativa, si deve associare all’escissione anche
uno stripping del periostio con scollaperiostio o bisturi elettrico, mantenendo
lo stesso come margine profondo di resezione.
Questa accortezza tecnica da un lato evita la necessità di eseguire una ostectomia, con indubbi vantaggi per il paziente, dall’altra espone lo stesso alla
possibilità di fratture patologiche dopo radioterapia adiuvante, essendo il periostio una barriera efficace alla osteonecrosi da radioterapia. Questo è il
motivo per cui a volte, in caso di asportazione del periostio dalla diafisi delle
ossa lunghe, è necessario associare una osteosintesi preventiva dell’intero
segmento.
Quando oltre alla contiguità ossea vi è un’aumentata captazione alla scintigrafia, questo è indice di una attivazione periostea da parte della pseudocapsula. In questo caso si deve eseguire una resezione tangenziale dell’osso
ed una sua ricostruzione con allograft o autograft. Se si programma di eseguire una radioterapia adiuvante, è necessario ricorrere ad innesti autologhi, con maggior resistenza e capacità biologica, supportati da una
osteosintesi preventiva stabile (placche lunghe o chiodo endomidollare).
Se la massa è fissa ed adesa al piano osseo, la scintigrafia ossea è francamente positiva e le immagini TC e RMN evidenziano una chiara invasione
corticale della neoplasia, è necessario eseguire una escissione in blocco
della neoplasia e dell’intero segmento osseo adiacente, con conseguente ricostruzione dell’osso con protesi, innesti, spaziatori con chiodo o cemento
etc.
La stessa procedura di ostectomia totale è consigliata quando la scintigrafia è francamente positiva, l’imaging non mostra una sicura infiltrazione, ma
la massa circonda per oltre i 2/3 l’osso. In questi casi di ostectomia totale e
ricostruzione con innesti o protesi, è sempre utile eseguire un trattamento
neo-adiuvante, al fine di evitare di dover irradiare nel postoperatorio la ricostruzione ossea.
Vasi
Il rapporto tra massa neoplastica e vasi deve essere sempre valutato con attenzione. Quando durante l’escissione si riscontra un vaso principale in contiguità col tumore, se questo è da esso facilmente dissociabile per via
smussa, si deve procedere con l’isolamento del tronco vascolare principale
e la legatura delle collaterali. Se vi è una contiguità maggiore, è utile associare al margine chirurgico anche l’avventizia del vaso principale.
Se si deve eseguire una dissezione tra massa e vaso con tagliente, questa è
indice di una permeazione del tumore ed è l’indicazione al sacrificio dell’asse vascolare principale.
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In questi casi, la ricostruzione dell’asse arterioso principale è obbligatoria,
con ricostruzioni biologiche (autograft venosi es. di safena) qualora non sia
necessaria la radioterapia postoperatoria, con bypass sintetici armati dove è
programmata una terapia adiuvante.
La ricostruzione di un asse venoso profondo può non essere necessaria se
il letto venoso superficiale è stato risparmiato, mentre è consigliata se è programmata una radioterapia postoperatoria. In questi casi, pur nella consapevolezza che il bypass possa ostruirsi dopo la terapia, la presenza di uno
scarico venoso attivo è utile a diminuire l’ingorgo venoso e l’edema dell’arto
nel postoperatorio, facilitando l’inizio della terapia adiuvante.
Nervi
Il nervo è difficilmente invaso da un sarcoma, perché l’epinevrio è una barriera anatomica veramente efficace. In caso di contiguità anatomica con una
massa neoplastica, è spesso sufficiente eseguire una neurolisi del tronco
nervoso principale, affrontando la struttura nervosa dalla parte opposta della
zona di contiguità, sezionando longitudinalmente l’epinevrio, e lasciando questi a copertura del margine, salvando i fascicoli neurali.
Questa tecnica è applicabile solo nelle lesioni vergini e mai operate in precedenza: infatti, in presenza di cicatrice e fibrosi reattiva (come nelle recidive locali o nei pazienti irradiati), è impossibile riconoscere e eseguire la
neurolisi delle strutture nervose.
Questa metodica, che risparmia la funzione del nervo, è però gravata dalla
possibilità di neuriti post attiniche secondarie, anche a distanza di anni.
Nel caso in cui la neoplasia avvolga interamente l’asse nervoso principale o
nei casi di tumore primitivo delle guaine nervose, si deve procedere alla resezione in blocco del nervo.
La ricostruzione di questi è possibile con greffes nervose autologhe, con tecnica microchirurgica. In questi casi, prima della resezione del nervo, bisogna
mappare con l’elettrostimolatore il livello prossimale e distale dello stesso,
per differenziare le fibre nervose da quelle sensitive. Questa accortezza tecnica migliora la qualità della ricostruzione e favorisce la rigenerazione neurale.
Nei casi dove non si può procedere alle greffes nervose, si deve considerare
la possibilità di eseguire trasposizioni tendinee o artrodesi delle articolazioni
interessate dal danno funzionale.
Una possibilità ricostruttiva molto più ambiziosa e complessa è rappresentata dai lembi muscolari innervati, liberi o di rotazione.
Articolazioni
Un sarcoma delle parti molli può occasionalmente estendersi in prossimità
di un’articolazione e solo raramente nascervi all’interno di essa.
Quando la lesione delle parti molli è contigua alla superficie articolare, ma la
massa è coperta da un margine di tessuto osseo o da una membrana sinoviale, o quando la capsula ed i legamenti appaiono solo in parte interessati,
è possibile eseguire una escissione intra-articolare, sezionando capsula e
legamenti rasenti al bordo articolare opposto. Quando la RMN e la PET dimostrano la contaminazione dell’articolazione in toto, si deve procedere ad
una resezione extra-articolare in blocco od a una amputazione.
Lembi
I sarcomi delle parti molli superficiali, che spesso tendono ad ulcerarsi ed
hanno una importante estensione sottocutanea, e le forme di recidive con
pregresse incisioni cutanee multiple, necessitano spesso di escissioni ampie
con difficile possibilità di copertura. Lo stesso dicasi per i sarcomi delle estremità (mani e piedi), magari più piccoli dei precedenti, ma in distretti anatomici qualitativamente poveri di tessuti di copertura. In questi pazienti si ha
la necessità di eseguire lembi microchirurgici di copertura, che possono essere o liberi o di rotazione.
Nel caso del sacrificio di un intero compartimento, come ad esempio quello
209
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
deltoideo, con il sacrificio del nervo circonflesso e la perdita della funzione
abduttoria della spalla, è possibile eseguire un trapianto di unità motoria del
grandorsale, trasposto e ruotato sul suo peduncolo vascolare e ruotato a coprire la perdita di sostanza muscolo-cutanea-funzionale del deltoide. Qualora
sia sacrificato l’intero compartimento del quadricipite, con la perdita della
estensione contro resistenza, è possibile trasferire il gran dorsale libero posizionandolo al posto del quadricipite e garantendo il mantenimento della
sua funzione contrattile attraverso la neurorrafia del suo nervo motore con
una branca del nervo femorale.
Tali metodiche, assolutamente complesse sia per la parte demolitiva che per
quella ricostruttiva e microchirurgica, offrono al paziente la capacità di ottenere, oltre ad una copertura vascolarizzata della perdita di sostanza, anche
la ripresa funzionale e l’articolarità contro resistenza dell’arto.
Amputazioni
Grazie al miglioramento delle tecniche di imaging, sistemiche e chirurgiche,
la chirurgia di salvataggio degli arti è oggi possibile in oltre il 90% dei pazienti
affetti da sarcomi delle parti molli. Per quanto sopra detto sulle notevoli possibilità ricostruttive dei gaps vascolari con by pass, delle resezioni nervose
con greffes autologhe, delle perdite di sostanza ossea con protesi, innesti
massivi o trapianti autologhi, delle perdite di sostanza cutanea e muscolare
con lembi microchirurgici (di copertura o funzionali), i pazienti che devono essere amputati si sono ridotti drasticamente.
Questo tipo di intervento demolitivo è quindi stato relegato solo a pochi casi,
ed in particolare le nostre attuali indicazioni sono:
• pazienti in scadenti condizioni generali, che non siano in grado di sopportare interventi ricostruttivi lunghi, complessi, con perdita ematica e
tempi anestesiologici di molte ore
• pazienti con interessamento simultaneo di vasi e nervi, ai quali non sia
possibile garantire una funzione dell’arto soddisfacente dopo la resezione oncologica ed una eventuale ricostruzione microchirurgica. In questi casi la funzione offerta da una protesi esterna è superiore rispetto ad
arti inutili e complicati
• sarcomi delle parti molli con lesioni a skip multiple nel contesto dello
stesso arto, ai quali non è possibile garantire un soddisfacente controllo
locale
• recidive locali di ricostruzioni complesse e lembi, nelle quali non vi sia
più spazio o possibilità per nuovi artifici chirurgici
• pazienti con forme localmente avanzate, che per motivi di altre patologie associate non siano in grado di tollerare una radioterapia o chemioterapia sistemica preoperatoria, o pazienti che non rispondono alla
perfusione in ipertermia con antiblastici.
Infine bisogna cercare di evitare interventi demolitivi in pazienti con malattia localmente avanzata associata a malattia sistemica evoluta. Questi pazienti devono essere trattati con cure palliative sistemiche e locali, ad
eccezione che non presentino masse ulcerate ed infette, o complicate da
emorragia, o compressioni neurologiche gravemente sintomatiche.
3.2 Radioterapia
Il razionale
L’amputazione dell’arto sede del tumore, nonostante i buoni risultati in termini di controllo locale, comporta gravi conseguenze funzionali e sulla qualità di vita. I risultati di diversi studi clinici, tra i quali un trial randomizzato
condotto nel 1982 presso il National Cancer Institute (USA), hanno affermato
l’equivalenza dell’amputazione versus una chirurgia con ampi margini seguita da radioterapia, indirizzando ad un approccio più conservativo e mettendo in evidenza il ruolo della radioterapia, pur nel contesto di una patologia
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ritenuta tradizionalmente poco radiosensibile. Infatti, sebbene le cellule sarcomatose siano classicamente considerate radioresistenti, nel 1985 Suit e
Tepper dimostrarono che con dosi di radioterapia superiori a 65 Gy si ottiene
il controllo locale in circa il 43% dei pazienti. Ciò è ovviamente proporzionale
alle dimensioni del tumore: se il diametro è < 5 cm, il controllo atteso è
dell’88%, se è fra 5 e 10 cm del 53%, se > 10 cm del 33%.
La radioterapia può essere somministrata in fase pre-operatoria, post-operatoria, esclusiva. La sequenzialità ottimale dell’associazione chirurgia e radioterapia non è ancora definita. Infatti, non è stata dimostrata mediante
studi randomizzati una differenza statisticamente significativa fra l’approccio preoperatorio e quello postoperatorio per ciò che riguarda controllo locale,
incidenza di metastasi a distanza e sopravvivenza.
Radioterapia preoperatoria
La radioterapia preoperatoria consente:
• di irradiare volumi ridotti rispetto alla postoperatoria. Infatti, il Clinical
Target Volume (CTV) è mediamente più limitato nel caso del trattamento
preoperatorio, ove comprende la massa tumorale e l’area di interessamento subclinico, rispetto a quello postoperatorio, in cui tutti i tessuti
manipolati dal chirurgo devono essere irradiati, compresa la totale estensione della cicatrice chirurgica. Inoltre è meglio definibile il volume ottimale di irradiazione su una malattia macroscopica presente rispetto ad
una irradiazione da eseguirsi su un volume virtuale corrispondente al
letto operatorio
• di utilizzare dosi totali inferiori rispetto alla RT post-operatoria (50 Gy in
25 frazioni rispetto ad una dose minima post-operatoria di 60 Gy in 30
frazioni)
• di eseguire, nella maggior parte dei pazienti, un approccio chirurgico più
conservativo
• di prevenire l’eventuale disseminazione locale ed ematogena dovuta alle
manovre chirurgiche
• di consentire un’eventuale associazione con un tempo di brachiterapia
intra-perioperatoria.
Tuttavia, l’approccio preoperatorio può ostacolare o rallentare la cicatrizzazione ed è gravato da una più alta percentuale di complicanze (deiscenza
della ferita, ematoma, sieroma, infezione, ecc.).
Poiché il trattamento preoperatorio è gravato da una maggiore morbilità in
termini di guarigione della ferita (31% vs. 8%:p=0.0014) rispetto a quello
post-operatorio, si ritiene opportuno riservare la radioterapia preoperatoria
alle sole lesioni inizialmente non operabili. La radioterapia pre-operatoria
viene proposta nei pazienti con buon performance status, portatori di lesioni
estese e/o così prossime a strutture critiche da porre il dubbio di resecabilità con margini ampi o almeno marginali se non con interventi demolitivi.
La radioterapia postoperatoria rappresenta la più convenzionale modalità di
associazione alla chirurgia.
La radioterapia completa la chirurgia ampia nei sarcomi ad alto grado, particolarmente se di diametro elevato (> 5 cm) e nelle recidive locali di qualunque grado e dimensione. Anche nei sarcomi a basso grado la radioterapia può
completare la chirurgia a giudizio clinico, soprattutto in relazione alle dimensioni della massa, alla marginalità della chirurgia ed altri eventuali fattori di rischio. Essa viene eseguita su un “clinical target volume” comprendente il letto
operatorio e la cicatrice chirurgica, con dosi totali ≥ 60 Gy. La tossicità acuta
della radioterapia postoperatoria è inferiore a quella della radioterapia preoperatoria in termini di complicanze a carico della ferita chirurgica.
Al contrario, in termini di tossicità tardiva (fratture ossee, fibrosi dei tessuti,
linfedema), la radioterapia postoperatoria ha una tossicità superiore a quella
della radioterapia preoperatoria.
210
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up
della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli
L’irradiazione ad alte dosi non sembra compromettere gli innesti cutanei,
usati per la ricostruzione dopo chirurgia, purché la radioterapia sia eseguita
dopo un tempo di almeno 3 settimane, ritenuto necessario per la cicatrizzazione.
La brachiterapia interstiziale, che si realizza mediante il posizionamento di
cateteri plastici caricati con sorgenti radioattive (a basso o ad alto rateo di
dose), consente di somministrare dosi elevate in tempi relativamente brevi
ed a volumi ben definiti, limitando al massimo l’irradiazione di tessuti sani.
La deiscenza della ferita è la più frequente complicanza della brachiterapia
ma può essere nettamente ridotta (dal 22% al 14%) posticipando l’inizio dell’irradiazione al VI giorno postoperatorio.
La brachiterapia offre eccellenti risultati in termini di controllo locale ed abbrevia la durata della terapia in modo assai significativo rispetto alla radioterapia transcutanea.
La brachiterapia, purchè geometricamente fattibile, può essere considerata
parte integrante del protocollo di trattamento, poiché aumenta nettamente le
percentuali di controllo locale a condizione che sia programmata nell’ambito della decisione multidisciplinare preoperatoria.
Studi pilota suggeriscono che l’associazione di radioterapia transcutanea e
brachiterapia come sovradosaggio su volumi ridotti può aumentare le percentuali di controllo locale senza incrementare la tossicità, in particolare
modo nel caso di chirurgia con margini non
adeguati. In tal caso il tasso di controllo locale sarebbe del 90% rispetto al
59% ottenibile con brachiterapia sola (p=0.08), senza un aumento della tossicità.
Nel caso di margini chirurgici non adeguati e non radicalizzabili, la brachiterapia potrebbe essere associata alla radioterapia transcutanea in centri con
verificata esperienza (livello III).
La radioterapia esclusiva è utilizzata nei casi inoperabili per caratteristiche
della lesione e/o condizioni cliniche del paziente.
Radioterapia post-operatoria
Il trattamento radiante deve essere iniziato dopo la guarigione della ferita
chirurgica. La documentazione radiografica pre-operatoria, la descrizione
dell’intervento eseguito ed il posizionamento di clips amagnetiche nel “letto”
tumorale durante l’intervento sono di grande importanza per una corretta
definizione dei volumi di trattamento radioterapico.
È complesso definire una sequenza metodologica tecnica “standard”, in considerazione della molteplicità delle sedi e delle presentazioni cliniche dei sarcomi delle parti molli.
Di fondamentale importanza sono le modalità di posizionamento e di immobilizzazione del paziente. A volte sono necessarie docce di contenzione personalizzate per garantire la riproducibilità del trattamento.
Mediante la simulazione di centratura del trattamento vengono eseguiti dei
radiogrammi per ogni campo di entrata atti al confezionamento di schermi
sagomati, per consentire un adeguato risparmio delle strutture non pertinenti. La sagomatura può essere eseguita con tecnica “classica” (schermi in
leghe basso fondenti) o preferibilmente con Multi Leaf Collimator, a seconda
delle disponibilità.
Non esiste una definizione standard dei volumi da irradiare. Tuttavia, in generale, il piano di trattamento prevede l’impiego sequenziale di due volumi
bersaglio. Il volume bersaglio iniziale deve comprendere il letto tumorale con
margini sufficienti (dai 3 ai 6 cm in senso longitudinale) ad includere i tessuti considerati a rischio. Il volume bersaglio finale è limitato all’area di maggior rischio comprendente il letto tumorale con margini di 2-3 cm. Il planning
target volume (PTV) è disegnato sulle immagini della Tomografia Computerizzata eseguita appositamente per il piano di cura radioterapico.
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Al fine di ottenere un’ottimale distribuzione di dose è consigliato l’impiego di
tecniche multi portali isocentriche, con l’eventuale uso di filtri modificatori del
fascio. La prescrizione della dose viene effettuata seguendo le indicazioni
dell’ICRU 62.
La dose totale raccomandata al volume bersaglio iniziale è di 45 Gy (frazionamento giornaliero 180-200 cGy in 5 frazioni alla settimana), seguiti da 1416 Gy sul volume ridotto se i margini sono negativi o da 18-20 Gy se i margini
sono positivi. Tale sovradosaggio può essere eseguito con due modalità: radioterapia con fasci esterni o brachiterapia.
Viene consigliata, comunque, una Dose Focolaio Totale superiore a 60 Gy
poiché la dose totale parrebbe essere un fattore prognostico indipendente per
il controllo locale.
È indispensabile un controllo di qualità accurato. Indispensabile è il controllo
di ogni campo di trattamento dell’apparecchio di terapia all’inizio e ad ogni
variazione del volume di irradiazione: ciò può essere eseguito mediante dispositivo elettronico di “portal imaging” o mediante “port-film” tradizionale.
È raccomandabile, inoltre, una verifica settimanale per garantire la riproducibilità del trattamento stesso.
Radioterapia esclusiva
Questo tipo di trattamento, indicato nei sarcomi giudicati non resecabili, prevede la somministrazione di dosi fino a 75 Gy. I tessuti che ricevono più di
60 Gy sono comunque limitati al letto tumorale con un piccolo margine.
Indicazioni della Radioterapia
La radioterapia non può sanare un intervento chirurgico inadeguato (raccomandazione di grado A).
La radioterapia è generalmente indicata in pazienti con sarcoma di grado
intermedio o alto degli arti e del tronco superficiale, con diametro > 5 cm,
sottoposti a chirurgia con margini ampi o in tutti i casi di chirurgia marginale non radicalizzabile, indipendentemente dalle dimensioni (raccomandazione di grado A).
Nei sarcomi a basso grado di malignità degli arti e del tronco superficiale,
l’impiego della radioterapia deve essere individualizzato sulla base dell’istotipo, dello stato dei margini chirurgici, facendo seguito a discussione
tra esperti ed esplicitando le motivazioni delle indicazioni terapeutiche
(raccomandazione di grado C).
La radioterapia post-operatoria è indicata nel caso di escissione ampia
quando siano presenti almeno due dei seguenti fattori prognostici negativi:
• alto grado di malignità
• diametro > 5 cm
• localizzazione sottofasciale
e nei casi con margini intralesionali, marginali o ampi contaminati, qualora
sia impossibile o funzionalmente improponibile un ampliamento o una radicalizzazione.
Nei sarcomi di basso grado (STADI IA, IB secondo Enneking), il trattamento
standard è l’escissione in blocco con margini ampi o radicali, ma, anche
dopo una resezione ampia, permane un rischio di recidiva locale del 2030%.
Sebbene il potenziale di controllo locale mediante sola radioterapia sia nettamente inferiore rispetto alla chirurgia, si riportano percentuali di controllo
del 30% in gruppi selezionati di pazienti: su tali dati si basa il razionale dell’utilizzo della radioterapia preoperatoria e/o postoperatoria nei sarcomi a
basso grado di malignità.
La radioterapia post-operatoria è solitamente indicata nel caso in cui i margini siano marginali o ampi contaminati, e non sia proponibile un ampliamento dei margini o una radicalizzazione, che comporterebbe un grave deficit
funzionale, o qualora le condizioni cliniche del paziente la controindichino o
211
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up
della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
il paziente la rifiuti. In questi casi, la radioterapia postoperatoria sembra ridurre in modo significativo l’incidenza di recidive post-chirurgiche; essa, tuttavia, non influenza l’incidenza di metastasi a distanza, né la sopravvivenza.
Nel caso di lesioni di diametro inferiore a 5 cm, sottoposte a resezione con
margini ampi, molti autori non ritengono utile l’irradiazione post-operatoria.
Le lesioni di basso grado con diametro inferiore a 5 cm e sottoposte a resezione con margini ampi non devono essere trattate con radioterapia (livello V).
Nei sarcomi a basso grado trattati con chirurgia adeguata, la radioterapia
adiuvante può essere proposta solo in presenza di lesioni > 5 cm sottofasciali.
I sarcomi di basso grado di malignità degli arti in cui è stata eseguita una
chirurgia marginale o ampia contaminata ed in cui non è proponibile la revisione chirurgica con margini almeno ampi, possono essere sottoposti a
radioterapia postoperatoria transcutanea (livello V).
Nei sarcomi ad alto grado (stadi IIA, IIB secondo Enneking) la radioterapia è
in grado di diminuire l’incidenza di recidiva pur senza modificare la comparsa di metastasi, né la sopravvivenza.
I sarcomi di alto grado di malignità degli arti asportati con margini ampi
devono essere trattati con radioterapia postoperatoria, se superiori a 5
cm o localizzati in sede sottofasciale (livello II).
La radioterapia post-operatoria è indicata nei pazienti con sarcoma di alto
grado in cui sia stata eseguita una chirurgia marginale o si siano avuti
margini ampi contaminati ed in cui non è possibile o è improponibile l’ampliamento o la radicalizzazione (livello II).
Il trattamento radiante deve essere iniziato in tempi ragionevoli dopo la guarigione della ferita chirurgica e l’attecchimento degli innesti cutanei utilizzati
per la ricostruzione chirurgica. Non esistono evidenze scientifiche certe sull’intervallo ottimale fra chirurgia ed inizio della radioterapia postoperatoria,
anche nel caso in cui sia necessario posticipare in modo significativo l'inizio
della radioterapia postoperatoria per consentire un sicuro attecchimento
degli innesti cutanei.
In casi particolari, selezionati secondo presentazioni di malattia non compatibili con una sicura radicalità chirurgica, può essere presa in considerazione
una radioterapia pre-operatoria.
3.3 Chemioterapia dei sarcomi delle parti
del tronco dei cingoli e del retroperitoneo:
trattamento adiuvante
La chemioterapia adiuvante nel trattamento dei sarcomi dei tessuti molli
(STM) è ad oggi un argomento ancora ampiamente dibattuto.
Le evidenze attualmente disponibili in letteratura, benché basate su dati preliminari che necessitano di ulteriori conferme, suggeriscono come una chemioterapia post-operatoria a base di antracicline possa incrementare la
sopravvivenza libera da malattia in pazienti ad alto rischio di ripresa con un
buon performance status.
Gli studi di prima generazione, condotti negli anni ’80, hanno principalmente
valutato l’efficacia della doxorubicina, da sola o in combinazione, nel setting
adiuvante. Una metanalisi di tali studi, condotta nel 1997 dal Sarcoma Metaanalysis Collaboration (SMAC), ha incluso 14 trials clinici per un totale di
1568 pazienti: i risultati evidenziavano come un trattamento chemioterapico
adiuvante a base di antracicline, rispetto al solo trattamento chirurgico, si
associasse ad un incremento della sopravvivenza libera da malattia pari al
10% a 10 anni (P= 0.0001) ed un trend favorevole, seppur non statisticamente significativo, in termini di sopravvivenza globale (4% a 10 anni, P=
0.12).
Pagina
Gli studi di seconda generazione, condotti a partire dall’inizio degli anni ‘90,
si basano sull’utilizzo in combinazione di antracicline (doxorubicina o epirubicina) ed ifosfamide ed appaiono caratterizzati da criteri di inclusione maggiormente restrittivi.
Tra questi di particolare importanza è il trial italiano, condotto da Frustaci et.
al nel 2001, dove 104 pazienti affetti da STM delle estremità venivano randomizzati a ricevere sola chirurgia o chirurgia seguita da 5 cicli di epirubicina ed ifosfamide. La sopravvivenza libera da malattia mediana nel gruppo
sperimentale è risultata pari a 48 mesi mentre quella del gruppo di controllo
pari a 16 mesi (P= 0.04); anche la sopravvivenza globale mediana è risultata superiore nel gruppo sperimentale, con una differenza statisticamente
significativa rispetto al gruppo di controllo (75 versus 46 mesi; P= 0.04). Infine sempre in termini di sopravvivenza globale, il beneficio derivante dalla
chemioterapia è risultato pari al 13% a 2 anni, aumentando al 19% a 4 anni
(P = 0.04).
Un update dei risultati di tale studio ha mostrato come, ad un follow up mediano di 89.6 mesi, la differenza in termini di sopravvivenza globale permaneva, pur non essendo statisticamente significativa . Allo stesso modo, lo
studio di coorte condotto da Cormier et. al su 674 pazienti affetti da STM ad
alto grado delle estremità ha evidenziato come il beneficio clinico associato
al trattamento adiuvante con doxorubicina non sembri prolungarsi per più di
una anno, suggerendo una particolare cautela nell’interpretazione dei risultati precedentemente riportati.
Infine dati preliminari sono stati raccolti sull’efficacia nel setting adiuvante
dell’utilizzo in combinazione di doxorubicina ed ifosfamide a dosi aggressive. Il EORTC-62931 è uno studio di fase III completato recentemente dove
351 pazienti con STM di alto grado, stadio II e II, resecati venivano randomizzati a sola osservazione o a ricevere un trattamento adiuvante con 5 cicli
di doxorubicina (75 mg/mq) ed ifosfamide (5g/mq). Un interim analisi dello
studio sembra non mostrare alcun beneficio nel pazienti sottoposti a trattamento adiuvante, né in termini stimata sopravvivenza globale (a 5 anni 69%
versus 64%) né in termini di stimata sopravvivenza libera da malattia (a 5
anni 52% in entrambi i gruppi). Ulteriori analisi dei risultati sono tuttavia necessarie per poter trarre conclusioni circa l’utilità del trattamento adiuvante
nei STM operati.
In base alle evidenze disponibili in letteratura vi è consenso sul fatto che
un trattamento chemioterapico adiuvante possa essere proposto a pazienti con STM ad alto rischio di ripresa di malattia, previa un’adeguata informazione del paziente stesso sulle incertezze dei risultati degli studi
fino ad oggi condotti (LIVELLO DI EVIDENZA C).
Nel porre indicazione ad un trattamento chemioterapico adiuvante è tuttavia necessario tenere in considerazione specifici fattori propri sia della
malattia che del paziente.
Pazienti anziani (≤ 65 anni) o con comorbidità tali da compromettere il
performance status possono ancora beneficiare di un trattamento in monoterapia con antracicline (come supportato dai dati SMAC) o essere avviati a solo follow-up.
Per quanto concerne i fattori relativi alla malattia, è innanzi tutto necessario considerare l’istotipo diagnosticato. Infatti sarcomi quali l’ alveolare, il sarcoma a cellule chiare o l’emangiopericitoma, essendo
notoriamente resistenti ai trattamenti chemioterapici convenzionali, andrebbero esclusi. Infine si definisce ad alto rischio un STM di alto grado
(G3), delle dimensioni superiori a 5 cm se profondo o superiori a 10 cm se
superficiale. Infatti, il rischio di sviluppare metastasi a distanza in pazienti
con sarcoma ad alto grado cresce con l’aumentare del diametro della
neoplasia, essendo pari al 34% per lesioni tra 5 e 10 cm, al 43% per lesioni tra 10 e 15 cm ed al 58% per lesioni superiori ai 15 cm.
212
4. Malattia localmente avanzata
4.1 Trattamento neo-adiuvante citoriduttivo
Nei STM localmente avanzati (stadio II o III) il ricorso ad un trattamento chemioterapico pre-operatorio ha principalmente lo scopo di consentire l’asportazione radicale della neoplasia attraverso un intervento non demolitivo e che,
nel caso dei STM delle estremità, consenta di preservare la funzionalità dell’arto. In studi clinico controllati, il tasso di risposta della neoplasia primitiva
si aggira intorno al 30-40%, anche se un intervento meno demolitivo rispetto
a quello preventivato si ottiene nel solo 20-30% dei casi. Un’analisi retrospettiva dell’esperienza del M.D. Anderson Cancer Center condotta su 76 pazienti affetti da STM delle estremità stadio IIIB sottoposti a chemioterapia
pre-operatoria a base di antracicline ha documentato dei risultati in termini di
sopravvivenza a 5 anni sovrapponibili tra i responders ed i non responders al
trattamento.
Successivamente, uno studio retrospettivo condotto da Grobmyer et al. nel
2004 ha valutato l’impatto di un trattamento chemioterapico neoadiuvante
(con adriamicina ed ifosfamide) sull’ outcome di pazienti affetti da STM ad
alto grado delle estremità. Nei pazienti con STM di diametro superiore ai 10
cm si è registrato un significativo incremento della sopravvivenza specifica per
malattia in seguito al trattamento neodiuvante rispetto ai pazienti trattati con
sola chirurgia (a 3 anni, 83% versus 62%).
In considerazione dell’assenza di dati diretti di efficacia, il trattamento chemioterapico neoadiuvate non può essere considerato un trattamento standard nella gestione dei STM. Tuttavia, previa adeguata informazione del
paziente circa i risultati ottenuti, una chemioterapia pre-operatoria può essere proposta in quei casi in cui un intervento chirurgico al momento della diagnosi risultasse eccessivamente demolitivo o comportasse la perdita di
funzionalità dell’arto coinvolto (LIVELLO DI EVIDENZA B).
4.2 Radioterapia
Si possono individuare due distinte situazioni cliniche:
1) Le lesioni in cui non è possibile esprimere un sicuro giudizio di operabilità sono candidate ad un trattamento radioterapico pre-operatorio a
scopo citoriduttivo. In alcuni studi viene proposta la chemioterapia preoperatoria (con un tasso di risposte del 30-40%) o varie associazioni radiochemioterapiche, anche se solo il 20% dei pazienti non è poi
sottoposto ad intervento demolitivo. Può essere considerato un risultato
soddisfacente ricondurre le lesioni ad una resecabilità anche solo “marginale”, soprattutto quando sia possibile associare della radioterapia postoperatoria.
2) Le lesioni inoperabili per dimensione, multicentricità, posizione multi compartimentale o extracompartimentale possono essere trattate con radioterapia radicale o associazioni radiochemioterapiche o con tecniche
perfusionali chemioterapico-ipertermiche.
La radioterapia pre-operatoria, eseguita a scopo citoriduttivo al fine di ricondurre alla operabilità, viene proposta nei pazienti con buon performance status, portatori di lesioni estese e/o così prossime a strutture critiche da imporre
interventi demolitivi.
Si precisa che alcuni centri prediligono questo approccio di principio in tutte
le lesioni di diametro superiore a 5 cm. Poiché, tuttavia, il trattamento preoperatorio è gravato da una maggiore morbilità in termini di guarigione della
ferita (31% vs. 8%:p=0.0014) rispetto a quello post-operatorio, si ritiene opportuno riservarlo alle sole lesioni inizialmente non operabili.
Pagina
La radioterapia preoperatoria può essere proposta ai pazienti in buone condizioni generali con sarcoma ad alto grado inoperabile, nel tentativo di raggiungere l’operabilità (livello II).
La radioterapia esclusiva è indicata nei sarcomi giudicati non resecabili, prevede la somministrazione di dosi fino a 75 Gy. I tessuti che ricevono più di 60
Gy sono comunque limitati al letto tumorale con un piccolo margine. L’associazione chemioradioterapica non è supportata da forti evidenze scientifiche
e rimane da proporsi a casi selezionati, possibilmente nell’ambito di protocolli
di ricerca.
I pazienti con sarcoma retroperitoneale non operabile possono essere trattati
con radioterapia e chemioterapia, da sole o associate, chirurgia palliativa o di
“debulking”, terapie di supporto o anche la semplice osservazione se il paziente è asintomatico.
4.3 Chemio localmente avanzata
Perfusione isolata dell’arto
La tecnica della perfusione antiblastica per il trattamento di alcuni tumori degli
arti è stata introdotta per la prima volta nella pratica clinica da Creech e Krementz nel 1957 (1).
Il rationale della perfusione ipertermico-antiblastica si basa su precise considerazione:
• tutto l’arto sede del tumore, inclusi i linfonodi loco-regionali, viene trattato con questa metodica
• il temporaneo isolamento dell’arto dal resto della circolazione sistemica
permette di utilizzare dosi di farmaci antiblastici 5-10 volte superiore la
dose massima tollerabile sistemica, senza importanti effetti tossici
• la somministrazione di elevate dosi di farmaci antiblastici nell’arteria tributaria dell’arto sede di tumore, senza la metabolizzazione o la diffusione
del farmaco in altri distretti, consente di ottenere alte concentrazioni tissutali ed un aumento dell’uptake del farmaco da parte del tumore
• durante la perfusione viene impiegata l’eparina che non solo contribuisce
ad inibire i processi metastatici, ma possiede anche un effetto antitumorale diretto
• durante la circolazione extracorporea vengono impiegate alte concentrazioni di pO2 che variano da 200 a 300 mmHg; tale iperossigenazione potenzia gli effetti dei farmaci alchilanti ed ha un effetto tumoricida diretto
• l’ipertermia potenzia l’effetto antitumorale dei farmaci e possiede un effetto tumoricida diretto; l’applicazione contemporanea dell’ipertermia con
i farmaci si traduce in un effetto sinergico e quindi amplificazione terapeutica
• la riduzione o la scomparsa dei tumori può evitare l’amputazione dell’arto
al paziente.
Un ulteriore miglioramento della perfusione isolata di arto si è raggiunta con
la realizzazione della perfusione trimodale, che prevede l’utilizzazione del TNF
α (human recombinant tumor necrosis factor alfa) all’ipertermia ed ai farmaci
antiblastici. La sua azione è quella di citotossicità diretta sulle cellule neoplastiche e di sinergismo con l’ipertermia e chemioterapici (primo tra tutti il melphalan) con conseguente danno a carico dell’endotelio vascolare del tumore.
Dagli studi condotti e resi noti da Lienard e collaboratori, è stato dimostrato
che l’azione del TNF α non è dose-dipendente, poiché la sua azione si manifesta in ugual misura con 1 mg o con 3-4 mg di dose totale, con i vantaggi
che dosaggi più bassi consentono miglior controllo di tossicità.
213
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up
della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli
5. Malattia in fase metastatica
Figura 1. Schema della perfusione isolata dell’arto
5.1 Malattia polmonare operabile
La perfusione ipertermico antiblastica trova attualmente indicazione nei pazienti con sarcoma degli arti localmente avanzato destinati ad una chirurgia
demolitiva maggiore o ad amputazione dell’arto .
Tecnica della perfusione isolata d’arto
In anestesia generale si procede all’isolamento dei vasi tributari dell’arto sede
di tumore. Nell’arto superiore, con paziente in posiziona supina con l’arto abdotto e avambraccio semiflesso, vengono utilizzati i vasi ascellari tra la I e la
II porzione; nell’arto inferiore con paziente sempre in posizione supina e bacino leggermente rialzato al fine di ottenere l’agevolo posizionamento del tourniquet, possono essere utilizzati i vasi iliaci esterni o i vasi femorali comuni.
Nei pazienti affetti da metastasti in transit da melanomi degli arti se non precedentemente eseguita, viene effettuata la linfectomia ascellare o iliacao-otturatoria e retrocrurale con legatura e sezione dei vasi collaterali al fine di
ridurre al massimo il leakage tra circuito e circolazione sistemica. Al termine
dell’isolamento dei vasi il paziente viene eparinizzato (150-200 UI/Kg) e dopo
2-3 minuti i vasi vengono clampati ed incannulati, previa incisione trasversale
dell’arteria e della vena. I due cateteri vengono poi raccordati ad un circuito
extracorporeo, composto da un ossigenatore, uno scambiatore di calore ed
una pompa. La circolazione extracorporea inizia con un flusso minimo (30ml/L
di volume dell’arto) che viene gradualmente aumentato, fino a raggiungere un
equilibrio con il ritorno venoso che deve assicurare un livello costante nell’ossigenatore.
Un tourniquet viene applicato alla radice dell’arto per ridurre al minimo il leakage che si può verificare attraverso la circolazione venosa superficiale. Durante tutto il trattamento il leakage viene costantemente monitorizzato,
mediante introduzione di albumina radio marcata nel circuito di perfusione
con conteggio della radioattività sistemica mediante “gamma counter” posto
sull’aia cardiaca. Il monitoraggio della temperatura muscolare e tumorale
viene eseguito mediante inserzione di termocoppie ad ago nei muscoli e nei
noduli neoplastici. Vengono inoltre sempre monitorizzati l’ECG, la pressione venosa centrale e la diuresi del paziente. L’arto perfuso per tutta la durata del
Pagina
trattamento rimane avvolto in un lenzuoletto ad acqua termostatata che ha
una duplice funzione: diminuire i fenomeni di termodispersione rendendo più
breve il tempo di raggiungimento della temperatura tumorale desiderata (~
41,5°C) e agire come fonte di riscaldamento esterno efficace per i noduli neoplastici cutanei (metastasi in transito) del melanoma.
Raggiunta la temperatura tumorale desiderata (~ 41,5°C) si introduce nel circuito perfusionale il TNF α alla dose di 1 mg e dopo 30 minuti viene introdotto
il Melphalan (13 mg/L di volume dell’arto perfuso o 10 mg/L per l’arto superiore ed inferiore rispettivamente) e la circolazione extracorporea prosegue
per altri 60 minuti; nel caso dei sarcomi delle parti molli si può utilizzare
l’Adriamicina alla dose di 8.5 mg/L di volume .
Al termine della perfusione il circuito viene “lavato” con soluzione fisiologica
e con destrano a basso peso molecolare prima di rimuovere il tourniquet e le
cannule, le incisioni vasali vengono suturate con prolene 4 e 5 zeri rispettivamente per l’arteria e la vena.
L’arto perfuso viene fasciato con una benda elastica per ridurre al minimo
l’edema post-operatorio. A tal fine, il paziente viene mantenuto a diuresi forzata nei primi 5 giorni post-operatori mediante infusione di mannitolo al 1,5%
e con supporto idroelettrolitico per evitare il rischio di insufficienza renale dovuta all’eventuale precipitazione di ematina acida nei tubuli, conseguente all’aumento di mioglobina circolante prodotta per effetto della perfusione. La
terapia anticoagulante viene proseguita fino alla decima giornata post-operatoria al fine di evitare complicanze vascolari.
Le possibili complicanze possono essere un edema leggero o moderato, un
eritema più o meno esteso dell’arto trattato e il dolore, sintomatologia che
generalmente regredisce nell’arco di 15-20 giorni. Al momento attuale la perfusione ipertermico antiblastica si è dimostrata in grado di ottenere i risultati
riportati in tabella (rel glosmi) (figura 1).
E’ infine importante precisare che lo stato dei margini non rappresenta un
criterio per porre indicazione ad una chemioterapia adiuvante, in quanto
quest’ultima non può sanare una chirurgia condotta in maniera errata (LIVELLO DI EVIDENZA A).
214
Vi è consenso nella raccomandazione di un trattamento chirurgico come
prima scelta nella malattia polmonare con un numero limitato di metastasi,
senza altre localizzazioni extrapolmonari e in cui l’intervento possa essere
microscopicamente completo e funzionalmente accettabile.
Al contrario, una metastasectomia parziale o con malattia extrapolmonare
concomitante, non porta beneficio per il paziente.
Nella decisione clinica, oltre al numero di metastasi, vanno considerati anche
la posizione nel polmone delle lesioni secondarie, il performance status del
paziente , il tempo alla progressione dopo intervento sul STM primitivo o
dopo precedente metastasectomia e se, infine, le metastasi sono sincrone o
metacrone. Non esistono studi controllati che supportino queste affermazioni, anche se si è concordi sulla potenzialità eradicante della metastasectomia polmonare.La chemioterapia in fase citoriduttiva preoperatoria o
complementare dopo intervento è frequentemente prescritta, anche se non
vi sono studi pubblicati sulla efficacia di questi due approcci. Sia in fase
preoperatoria che postoperatoria, l’associazione tra Antraciclina e Ifosfamide
sembra essere la scelta più opportuna.
Si è infine concordi sulla utilità di metastasectomie reiterate quando vi sia ricaduta di malattia, rispettando sempre i criteri di radicalità e di selezione dei
pazienti sopraindicate.
• La metastasectomia polmonare in malattia metastatica confinata nel
polmone è il trattamento standard, purché l’intervento sia fattibile in maniera completa e funzionalmente accettabile.
• La chemioterapia complementare alla chirurgia può essere proposta in
base ai fattori di rischio (numero delle lesioni ed intervallo libero).
5.2 Malattia metastatica non operabile
Trattamento di prima linea
Nella malattia avanzata non più suscettibile di trattamento chirurgico il ruolo
della chemioterapia è generalmente solo palliativo. La selezione dei pazienti
(in termini di età, istotipo, patologie concomitanti, precedenti trattamenti) è
fondamentale in merito alla scelta tra un regime di combinazione, generalmente più attivo ma più tossico e senza un dimostrato impatto sulla sopravvivenza, o l’utilizzo di agenti singoli.
I sarcomi dei tessuti molli rappresentano, inoltre, un gruppo molto eterogeneo di neoplasie non solo dal punto di vista istopatologico e biologico ma
anche, e di conseguenza, anche per quanto riguarda la potenzialità di risposta ai trattamenti medici. E’ ormai, peraltro, sempre più evidente che esiste
una differente sensibilità per farmaci differenti a seconda dei diversi sottotipi istologici.
Dal punto di vista schematico, i sarcomi dei tessuti molli si possono dividere
in istotipi a scarsa o assente chemio sensibilità (liposarcoma dedifferenziato,
sarcoma a cellule chiare, sarcoma stromale endometriale, sarcoma alveolare,
condrosarcoma mixoide extrascheletrico), istotipi a moderata sensibilità (liposarcoma pleomorfo, mixofibrosarcoma, sarcoma epitelioide, rabdomiosarcoma pleomorfo, leiomiosarcoma, tumore maligno delle guaine nervose
periferiche, angiosarcoma, tumore desmoplastico a piccole cellule rotonde,
angiosarcoma) ed istotipi chemiosensibili/altamente chemiosensibili (sinovialsarcoma, liposarcoma mixoide/a cellule rotonde, leiomiosarcoma uterino,
Sarcomi di Ewing, rabdomiosarcoma alveolare ed embrionale). I sarcomi dell’età pediatrica non verranno inclusi nelle considerazioni successive perché
esclusi dalle presenti linee guida.
Gli agenti singoli più utilizzati in prima linea di trattamento (doxorubicina, ifosfamide, dacarbazina) non permettono di ottenere generalmente tassi di risposta superiori al 20-25%. La polichemioterapia è associata a tassi di
risposta che salgono fino al 30-35% ma con un tempo alla progressione di
3-4 mesi.
Lo schema di combinazione più frequentemente utilizzato in prima linea e indipendentemente dall’istotipo include generalmente una antraciclina (doxorubicina o epirubicina) e l’ifosfamide.
Livello di raccomandazione: A
Trattamento di seconda linea e linee successive
In seconda linea di trattamento, viene generalmente utilizzata l’ifosfamide
ad alte dosi (10-14 g/m2) in infusione di 3-5 giorni o in infusione protratta di
14 giorni, essendo stata segnalata una moderata attività anche in pazienti
pretrattati con ifosfamide a dosaggi convenzionali.
In seconda linea di trattamento in oltre, altri agenti singoli recentemente approvati per l’uso sono la trabectedina, la gemcitabina e il docetaxel.
In specifici istotipi di sarcomi dei tessuti molli alcuni farmaci mostrano una
attività antitumorale specifica. La gemcitabina e il docetaxel hanno dimostrato attività soprattutto in alcuni istotipi quali il leiomiosarcoma. La trabectedina risulta particolarmente attivo nei liposarcomi (soprattutto nelle
forme mixoidi/a cellule rotonde) e nei leiomiosarcomi. Il paclitaxel e la gemcitabina sono attivi nell’angiosarcoma.
Il dermatofibrosarcoma protuberans, che in una percentuale di casi esprime
il PDGFRB, può essere trattato in caso di malattia inoperabile o metastatica
con imatinib.
Livello di raccomandazione: C.
6. Sarcomi del retroperitoneo
I STM ad insorgenza retroperitoneale si differenziano per le seguenti caratteristiche dai STM degli arti:
• la ulteriore rarità: rappresentano solo lo 0,2% dei tumori e il 15% dei
STM
• l’indolenza della crescita con diagnosi generalmente tardiva
• la classificazione in tipi istologici differente: liposarcoma e leiomiosar-
Pagina
•
•
•
coma sono le forme più frequenti.
la impossibilità anatomica ad eseguire interventi ampi o radicali. Per
definizione un intervento su un sarcoma del retroperitoneo è marginale.
la conseguente elevatissima recidività locale (60-80%), con, al contrario, una minor e più tardiva tendenza alla metastatizzazione
la prognosi a lungo termine peggiore (20% di sopravviventi a 15 anni).
215
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
6.1 Chirurgia
Nella situazione più comune I STM del retroperitoneo in fase locale trovano
nella Chirurgia il trattamento primario. Il tumore deve essere operato con gli
stessi principi di trattamento dei STM degli arti, ma lo spazio retroperitoneale
non consente una Chirurgia compartimentale e sono molto rari i casi in cui
l’asportazione del tumore possa essere effettuata con margini ampi. Per definizione la Chirurgia dei STM del retroperitoneo è marginale. La Chirurgia di
questi sarcomi non è recuperabile con un secondo intervento e non ci può
essere una radicalizzazione. La Chirurgia multiviscerale di principio, per giungere ad una maggiore radicalità può essere una opzione proponibile.
Ripetuti interventi sono la norma nella storia naturale di questa malattia a
causa delle frequenti recidive, ma gli interventi successivi al primo non riescono mai a raggiungere la radicalità, ma solo a ridurre il volume di malattia.
• La Chirurgia del retroperitoneo è per definizione marginale. L’estensione
della resezione ai visceri circostanti è un’opzione da valutare.
• La chirurgia del retroperitoneo deve essere pianificata opportunamente
perché non è radicalizzabile dopo il primo intervento.
6.2 Trattamento radioterapico
Normalmente i sarcomi del retroperitoneo in fase iniziale trovano nella chirurgia il trattamento primario, ma rispetto ai sarcomi degli arti presentano alcune caratteristiche particolari che interessano e coinvolgono il radioterapista
anche nella condivisione delle decisioni terapeutiche.
Nella maggior parte dei casi infatti vi è l’impossibilità anatomica di effettuare
un intervento con margini ampi e radicale e di norma per definizione l’intervento su un sarcoma del retroperitoneo è marginale. Ne consegue un elevatissimo tasso di recidiva locale (=60-80%) con una prognosi a lungo
termine piuttosto negativa (20% di sopravviventi a 15 anni).
Gli studi di radioterapia ± chemioterapia neoadiuvante per ridurre il volume
tumorale e consentire una radicalizzazione chirurgica, non hanno documentato risultati significativi ma unicamente una elevata tossicità e pertanto non
vi è alcuna indicazione a tale trattamento al di fuori di studi clinici controllati
(raccomandazione di grado B). La radioterapia post-operatoria finalizzata al
controllo locale, potrebbe avere un importante effetto sulla sopravvivenza, ma
presenta importanti problemi dovuti all’ampiezza dei volumi da irradiare e alla
vicinanza di strutture critiche (raccomandazione di grado C). L’impiego di
tecniche avanzate ad alto gradiente di dose come la IMRT (radioterapia ad
intensità modulata) o la radioterapia intraoperatoria (IORT) rappresentano
una possibile soluzione per il maggiore risparmio agli organi vicini (anse intestinali, reni, fegato, midollo spinale, vescica, retto).
Pertanto nelle diverse situazioni cliniche si possono sintetizzare le seguenti
indicazioni terapeutiche:
Tumori resecabili
• Resezione ampia (+ radioterapia postoperatoria se alto grado)
• Resezione marginale + radioterapia post-operatoria
• Associazioni chemioradioterapiche in studi clinici.
6.3 Malattia avanzata plurirecidiva e metastatica
Tumori non resecabili - sarcomatosi peritoneali e recidive
Per i pazienti con una lesione non resecabile possono essere prese in considerazione più opzioni terapeutiche in base all’età ed alle condizioni generali: chemioterapia e radioterapia da sole o associate, chirurgia palliativa e
di “debulking”, terapie di supporto ed anche la semplice osservazione se il
paziente è asintomatico. Nei sarcomi recidivi, solo in trials clinici controllati,
si può eseguire la chemio ipertermia intraperitoneale.
Pagina
6.4 Follow-up dei sarcomi delle parti molli
di qualsiasi sede
Follow up nei sarcomi dei tessuti molli di qualunque sede
Non esistono dati conclusivi sull’efficacia del follow up nei sarcomi dei tessuti molli, follow up che va comunque individualizzato in base alla categoria
di rischio e che deve essere volto anche alla diagnosi di eventuali effetti tardivi legati ai trattamenti antineoplastici effettuati.
Il rischio di ricaduta è generalmente più alto nei primi 2-3 anni nei sarcomi
dei tessuti molli di alto grado mentre sembra più prolungato nel tempo nelle
forme di basso grado.
Nei pazienti con neoplasie di basso grado vi è consenso nel raccomandare
controlli ogni 4-6 mesi fino al 5° anno e successivamente ogni 12 mesi fino
a 10 anni.
Nei pazienti con neoplasie di alto grado vi è consenso nel raccomandare
controlli ogni 3 mesi per 2 anni, ogni 4-6 mesi fino al 5° anno e successivamente annualmente.
Per il controllo della sede primitiva si raccomanda di integrare alla visita clinica l’effettuazione di una ecografia e/o di una TC o RMN.
Per diagnosticare eventuali metastasi polmonari, la radiografia del torace
può essere appropriata ma da integrare con esame TC in caso di dubbio diagnostico. Nel caso del sito polmonare, alcune Istituzioni consigliano invece,
soprattutto nelle forme di alto grado, una TC torace ogni 3 mesi allo scopo
di evidenziare precocemente una eventuale ripresa di malattia eventualmente suscettibile di chirurgia.
6.5 Percorso psicologico
I sarcomi dei tessuti molli possono impattare la sfera psicologica, affettiva,
familiare e sessuale del paziente che si confronta con una malattia che minaccia la vita e con gli esiti funzionali e sociali dei trattamenti oncologici. Gli
aspetti psicologici sono da tenere maggiormente in considerazione dal momento che questa neoplasia colpisce in modo consistente la popolazione
giovanile, in una fase del ciclo vitale in cui non è ancora completa la costruzione dell’identità personale. L’impatto della malattia e dei trattamenti su
aree significative della fase del ciclo vitale quali la fertilità, la sessualità, l’immagine corporea, la qualità della vita, il ruolo nella famiglia e nella società,
può rendere difficoltoso questo passaggio evolutivo e minacciare la costruzione della progettualità adulta.
Gli studi sui lungo sopravviventi evidenziano, anche molti anni dopo la fine
dei trattamenti attivi, livelli di distress psicologico (20%) legati al danneggiamento funzionale, al lavoro, alla vita di coppia, al funzionamento sessuale
e riproduttivo, alla paura, sia nei pazienti che nei familiari, della ripresa di
malattia.
Si raccomanda, in particolare nei pazienti giovani, uno screening del distress
psicologico fin dall’inizio della messa a punto del piano di trattamento al fine
di offrire, in ambiente ospedaliero e a domicilio, un supporto psicologico al
paziente ed ai familiari che ne abbisognano. Tale supporto deve essere fornito da uno psicologo inserito nel Gruppo interdisciplinare di cura, adeguatamente formato nel campo delle problematiche personali, familiari e sociali
del paziente con sarcoma. (Raccomandazione B)
L’obiettivo del supporto psicologico è quello di favorire l’adattamento alla
malattia e la compliance all’iter terapeutico, la progettualità a lungo termine
nei giovani, la migliore qualità di vita.
L’obiettivo del supporto psicologico al familiare è quello di facilitare la strutturazione di un contesto emozionale e comunicativo in grado di favorire
l’adattamento del paziente ed il contenimento del distress psicologico nei
familiari.
216
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up
della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli
In questi pazienti particolare attenzione va data alla comunicazione ed alla
condivisione delle scelte terapeutiche. Una comunicazione adeguata e corretta deve essere modulata sul singolo paziente, in relazione alla sua cultura
ed al suo stato psicologico, e deve fornire informazioni chiare, sollecite e
complete sulla malattia, le procedure diagnostiche, le opzioni terapeutiche e
le loro conseguenze ed un giudizio ponderato sulle aspettative e sulla qualità della vita.
La presenza di abilità comunicative negli operatori permette ai pazienti una
decisione informata specie quando la scelta riguarda strategie chirurgiche ad
uguale impatto sulla qualità della vita e sugli outcome funzionali o strategie
terapeutiche di non comprovata efficacia nelle forme avanzate. Il coinvolgimento del paziente nelle decisioni determina minori livelli di distress psicologico, maggiore compliance all’iter terapeutico e maggiore soddisfazione
per la cura ricevuta.
Si raccomandano training sulle abilità comunicative agli operatori sanitari.
(Raccomandazione B).
7. GIST (Gastrointestinal Stromal Tumor)
7.1 Caratteri generali, istologici
e di biologia molecolare
I tumori stromali gastrointestinali (GISTs) rappresentano neoplasie mesenchimali che interessano, prevalentemente (i tumori che non hanno alcun
punto di contatto con il tratto gastrointestinale sono chiamati “tumori stromali extragastrointestinali” ed interessano, di solito, l’omento, il mesentere
o il retroperitoneo), il tratto gastrointestinale e che presentano una differenziazione verso le cellule interstiziali di Cajal.
La loro incidenza è di circa 15 casi/100,000/anno.
Lo stomaco e il piccolo intestino sono le sede anatomiche più frequentemente interessate.
I GIST rappresentano una distinta entità sia dal punto di vista morfologico
ed immunoistochimico che dal punto di vista molecolare e il suo riconoscimento ha importanti implicazioni terapeutiche.
La diagnosi si basa sulla morfologia associata alla positività immunoistochimca per KIT e/o DOG1. In presenza di casi KIT negativi l’analisi molecolare dei geni di KIT/PDGRFA può essere utile per confermare la diagnosi.
L’analisi molecolare di entrambi i geni è, in ogni caso, raccomandata dato che
lo stato molecolare fornisce importanti informazioni prognostiche e predittive
di risposta alla terapia. I patologi svolgono, inoltre, un ruolo chiave nella valutazione del rischio biologico di aggressività della neoplasia che è, attualmente, basato sulla sede anatomica, sulla dimensione del tumore e
sull’attività mitotica.
Dal punto di vista macroscopico, i GIST si presentano, di solito come masse
ben circoscritte, riccamente vascolarizzate, aderenti alla parete dello stomaco o dell’intestino.
Al taglio, appaiono di colorito biancastro e possono mostrare aree di emorragia, di degenerazione cistica e/o di necrosi.
Al microscopio ottico si riconoscono tre sottotipi principali di GIST.
GIST a cellule fusate, che costituiscono circa il 70% dei casi, costituiti da
cellule con citoplasma debolmente eosinofilo, nuclei ovoidali e bordi cellulari
indistinti organizzate in strutture sinciziali o in fasci.
GIST con morfologia epitelioide, che costituiscono circa il 20% dei casi, composti da cellule rotondeggianti con citoplasma eosinofilo o chiaro organizzate
in nidi o cordoni solidi. Infine, circa il 10% dei GIST, presentano una morfologia di tipo misto presentando sia una componente a cellule fusate che epitelioide. Dal punto di vista immunoistochimico KIT si è dimostrato un
“marker” specifico e sensibile dei GIST essendo espresso da circa il 95% di
tali neoplasie.
La maggior parte dei GIST mostrano una colorazione intensa e diffusa del citoplasma spesso associata ad una colorazione puntiforme (dot-like) il cosiddetto “Golgi pattern”.
Pagina
L’estensione e il tipo di colorazione per KIT non è correlata con il tipo di mutazione di KIT e non ha impatto sulla risposta all’imatinib, tuttavia, i GIST che
presentano una debole, focale positività a KIT e quelli totalmente negativi risultano, più frequentemente, essere di tipo “wild type” o con mutazioni di
PDGRFA.
Circa il 4-5% dei GIST sono negativi per KIT.
Questi, di solito, interessano lo stomaco e presentano una morfologia di tipo
epitelioide o mista.
Vi sono altri anticorpi monoclonali comunemente espressi dai GIST che, tuttavia risultano meno sensibili e specifici.
Il CD34, ad esempio, è espresso in circa l’80% dei GIST gastrici, nel 50% di
quelli del piccolo intestine e, nel 95% of GISTs dell’esofago e del retto.
Recentemente sono emersi anticorpi alternativi per la diagnosi dei GIST .
Un “marker” molto promettente sembra essere il DOG1 che, in base ai più
recenti studi, appare mostrare maggiore sensibilità e specificità rispetto a
KIT e CD34 risultando positivo anche nei GIST che non presentano mutazioni
di KIT e/o PDGRFA.
A dispetto della disponibilità di questi “markers” immunoistochimici una
parte dei GIST restano sempre una difficile sfida diagnostica.
In tutti questi casi è opportuna l’analisi molecolare dei geni di KIT/PDGRFA
che oltre ad avere, in certi casi, un valore diagnostico hanno anche un valore prognostico e predittivo della risposta alla terapia.
Le mutazioni di KIT possono interessare l’esone 11 (65% dei casi), l’esone
9 (9% dei casi) e gli esoni 13 e 17 (2% circa dei casi).
Le mutazioni di PDGRFA sono identificate in circa l’8% dei GIST e possono
interessare l’esone 18 o l’esone 14 (circa 6-7% dei casi) o l’esone 12 (- 1%
dei casi).
Recentemente, nel 7-13% dei GIST “wild type”, sono state identificate mutazioni dell’esone 15 V600E di BRAF.
Le principali diagnosi differenziali dei GIST a cellule fusate sono I leiomiomi/leiomiosarcomi, la fibromatosi desmoide, i tumori miofibroblastici infiammatori, gli schwannomi, i polipi fibroidi infiammatori e i tumori fibrosi
solitari.
Le diagnosi differenziali dei GIST a cellule epitetelioidi includono i carcinomi
neuroendocrini, i tumori gnomici, i melanomi, i leiomiosarcomi epitelioidi, i
tumori maligni delle guaine nervose periferiche epitelioidi e i sarcomi a cellule chiare.
Per quanto riguarda la stratificazione del rischio nei GIST sono usate quella
di Fletcher e colleghi del 2002 che è basata sulla dimensione del tumore e
sull’attività mitotica (per 50 HPF) essendo i “cut-offs” una dimensione di 5
cm e un numero di mitosi di 5 per 50HPF.
Nel 2006 Miettinen e colleghi hanno dimostrato che anche la sede anatomica
217
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
del tumore è importante per poter predire il comportamento biologico della
neoplasia e da allora la sede è inclusa come un parametro addizionale nelle
classi di rischio dei GIST.
Malattia localizzata
Trattamento adiuvante
La chirurgia non sempre rappresenta un trattamento curativo nei tumori stromali gastrointestinali (GIST) ed approssimativamente il 50% dei pazienti resecati svilupperà successivamente una recidiva locale o metastasi a distanza,
con un rischio massimo nei primi due anni dall’intervento.
Nel 2002 l’American College of Surgeons Oncology Group (ACOSOG) ha avviato un trial randomizzato e controllato (ACOSOG Z9001), in cui 713 pazienti
con GIST operati di almeno 3 cm, postivi alla determinazione immunoistochimica di KIT venivano randomizzati a riceve Imatinib 400 mg/die o placebo per un anno.
I risultati di tale studio hanno evidenziato come il trattamento adiuvante con
imatinib si associ ad un incremento statisticamente significativo della sopravvivenza libera da malattia rispetto al placebo (98% vs 83% ad 1 anno;
P<0.0001).
Inoltre, benché lo studio non fosse stato disegnato per studiare il subset di
pazienti che potessero beneficiare del trattamento, un analisi per sottogruppi
ha dimostrato come l’incremento della sopravvivenza libera da malattia fosse
particolarmente significativo per i GIST ad alto rischio, con diametro massimo
> 6 cm (96% vs 67-86%).
Attualmente, tuttavia, sono disponibili esclusivamente i risultati a breve termine mentre non si dispone dei dati relativi ad un follow-up più prolungato
ed all’eventuale impatto sulla sopravvivenza globale. Inoltre, i risultati dello
studio presentato non sono dirimenti per quanto riguarda la durata ottimale
del trattamento con imatinib adiuvante, che necessita pertanto di essere definita.
Sono attualmente in corso due studi, il cui arruolamento è già concluso, volti
a determinare la durata ottimale del trattamento adiuvante con imatinib.
Il primo studio, condotto dall’EORTC (EORTC 62024), è uno studio randomizzato multicentrico di fase III dove pazienti affetti da GIST localizzati, resecati,
a rischio intermedio ed elevato sono stati randomizzati a ricevere imatinib
400 mg/die per 2 anni dopo la chirurgia oppure avviati a solo follow-up.
L’end-point primario è la determinazione dell’impatto sulla sopravvivenza
globale.
Il secondo, condotto dallo Scandinavian Sarcoma Group (SSG/AIO trial), prevede una randomizzazione ad 1 o 3 anni di trattamento post-operatorio con
imtinib 400 mg/die. I risultati di tali studi saranno essenziale nella definizione della durata del trattamento.
L’indicazione ad un trattamento adiuvante con imatinib deve essere posta in
seguito alla predizione del rischio di ripresa di malattia, ottenuta sulla base
di dimensione, indice mitotico e sede di insorgenza della malattia.
I GIST ad insorgenza dallo stomaco presentano una prognosi generalmente
più favorevole rispetto a quelli ad insorgenza intestinale. GIST gastrici con un
diametro inferiore o uguale a 10 cm e con meno di 5 mitosi/50 HPF presentano un basso rischio di sviluppare metastasi a distanza, mentre quelli con
più di 5 mitosi/50 HPF e con un diametro maggiore di 5 cm devono essere
considerati ad alto rischio.
Al contrario, i GIST ad insorgenza dal piccolo intestino con un diametro maggiore di 5 cm, indipendentemente dall’indice mitotico, presentano un rischio
almeno moderato per lo sviluppo di metastasi mentre i GIST intestinali con
più di 5 mitosi/50 HPF devono essere considerati ad alto rischio. I GIST intestinali con un diametro inferiore o uguale a 5 cm e con meno di 5 mitosi/50
HPF sono da considerarsi a basso rischio.
Infine, nel porre indicazione ad un trattamento adiuvante è necessario tenere in considerazione lo stato mutazionale della malattia.
L’identificazione all’analisi mutazionale di mutazioni non sensibili all’imatinib
(quale, ad esempio, la mutazione D842V a carico dell’esone 18 del gene
PDGFRA) rappresenta un criterio di esclusione dal trattamento adiuvante, in
quanto determinerebbe la sola esposizione del paziente agli effetti collaterali secondari all’utilizzo dell’imatinib.
In conclusione, il trattamento adiuvante con imatinib può oggi essere proposto, previa adeguata informazione del paziente, nei casi di GIST radicalmente operati, con un rischio di ripresa di malattia moderato o alto,
portatori di mutazioni sensibili (LIVELLO DI EVIDENZA A).
Tale trattamento, ad oggi, andrebbe proposto per la durata di almeno un
anno. Un eventualmente proseguimento del trattamento adiuvante in situazioni a rischio di ripresa particolarmente elevato non è attualmente
supportato da evidenze e dovrebbe essere estesamente discusso e condiviso con il paziente.
Trattamento neoadiuvante
Una resezione radicale al momento della diagnosi è possibile in circa 85%
dei GIST, benché in alcuni casi richieda il ricorso ad interventi ampiamenti demolitivi.
Inoltre, specifiche localizzazioni di malattia, quali quelle a livello dell’esofago, del duodeno o del retto, possono rendere l’approccio chirurgico diffi-
Tabella 1. Predizione del rischio per dimensione, indice mitotico e sede
Parametri tumorali
Indice mitotico
≤ 5/50 HPF
> 5/50 HPF
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up
della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
Rischio di ripresa di malattia (%)
Dimensioni
Stomaco
Duodeno
Digiuno/Ileo
Retto
≤ 2 cm
Nessuno (0%)
Nessuno (0%)
Nessuno (0%)
Nessuno (0%)
> 2 ≤ 5 cm
Molto basso (1.9%)
Basso (4.3%)
Basso (8.3%)
Basso (8.5%)
> 5 ≤ 10 cm
Basso (3.6%)
Moderato (24%)
Dati insufficienti
Dati insufficienti
> 10 cm
Moderato (10%)
Alto (52%)
Alto (34%)
Alto (57%)
≤ 2 cm
Nessuno
Alto
Dati insufficienti
Alto (54%)
> 2 ≤ 5 cm
Moderato (16%)
Alto (73%)
Alto (50%)
Alto (52%)
> 5 ≤ 10 cm
Alto (55%)
Alto (75%)
Dati insufficienti
Dati insufficienti
> 10 cm
Alto (86%)
Alto (90%)
Alto (86%)
Alto (71%)
Pagina
218
coltoso, aumentando il rischio di una rottura intraoperatoria della massa con
conseguente disseminazione peritoneale: in questi casi, un trattamento sistemico pre-operatorio potrebbe contribuire a rendere l’intervento più agevole e meno rischioso.
L’efficacia ed il profilo di tollerabilità dell’imatinib nel setting neoadiuvante è
stato valutato in due studi randomizzati di fase II.
Nel RTOG 0132/ACRIN 6665 trial sono stati arruolati 52 pazienti affetti da
GIST localizzati (30) o metastatici operabili (22). Ad entrambi in gruppi è stato
somministrato imatinib 600 mg/die per 8-12 settimane prima della chirurgia.
Nel primo gruppo, al termine del trattamento, è stato ottenuto un 7% di risposte parziale e un 83% di stabilità; nel secondo gruppo, 4.5% risposte
parziali e 91% stabilità.
L’incidenza di complicanze post-operatorie non è risultata significativamente
maggiore.
Un secondo studio di fase II, condotto da McAuliff et al nel 2009, ha randomizzato 19 pazienti affetti da GIST localizzato a ricevere 3,5 o 7 giorni imatinib preoperatorio (600 mg/die).
Il tasso di risposte, valutato con (18)FDG-PET e TC, è risultato del 69% e del
71% rispettivamente ed il trattamento pre-operatorio è apparso ben tollerato.
I risultati di tali trial hanno contribuito a definire la fattibilità del trattamento
neoadiuvante con imatinib, provando la buona tollerabilità e l’assenza di un
incremento significativo di complicanze post operatorie. Tuttavia, il beneficio
in termini di sopravvivenza non può essere definito, in quanto tutti i pazienti
in entrambi gli studi hanno successivamente ricevuto 2 anni di trattamento
post-operatorio con imatinib.
Pertanto, sulla base delle evidenze ad oggi disponibili in letteratura, anche
in assenza di dati diretti di efficacia, il trattamento neoadiuvante con imatinib può essere proposto a quei pazienti affetti da GIST localizzati nei
quali una significativa risposta della neoplasia al trattamento pre-operatorio possa consentire una chirurgia radicale meno demolitiva e possa ridurre il rischio di una rottura intraoperatoria della massa con successiva
disseminazione peritoneale (LIVELLO DI EVIDENZA A).
E’ tuttavia necessario concordare la scelta insieme al paziente, informandolo dell’assenza di risultati attualmente disponibili circa l’impatto
del trattamento neoadiuvante sulla sopravvivenza libera da malattia e globale.
7.2 Terapia della malattia operabile
Sono rari < 40 anni, rarissimi in età pediatrica con una mediana di età alla
diagnosi di 55 anni e una leggera predominanza per il sesso maschile.
Il sintomo più frequente è il sanguinamento dal tratto gastrointestinale tuttavia una cospicua percentuale di pazienti affetti da GIST è asintomatica o
paucisintomatica.
Sintomi
Incidenza
Dolori addominali
20-50%
Sanguinamento
50%
Ostruzione
10-30%
Asintomatici
20%
La maggior parte dei GIST accumula fortemente FDG e pertanto la PET è uno
strumento molto sensibile sia dal punto di vista di stadi azione (malattia metastatica occulta) che da quello clinico (risposta al trattamento) più precoce
Pagina
di quella dimostrabile alla TC (C IV).
La chirurgia è il trattamento di scelta per i GIST e la valutazione della resecabilità di un GIST deve essere compiuta da un chirurgo esperto in questo
campo (B III).
Valutazione preoperatoria
Tutti i tumori devono essere valutati prima dell’intervento da un gruppo multidisciplinare (C IV). Deve essere considerata l’inclusione in studi clinici di
trattamento neoadiuvante o adiuvante in tutti i casi.
Una TC torace addome e pelvi deve esere eseguita in tutti i pazienti prima
dell’intervento (B III).
L’esame eco endoscopico (EUS) può essere utile e deve quindi venire considerato per i tumori di piccole dimensioni <2cm (B III).
Questi tumori hanno spesso una larga componente necrotica e eseguire di
routine biopsie percutanee anche nei casi considerati operabili corre il rischio di provocare una disseminazione intraperitoneale del tumore rendendo
così una situazione potenzialmente curabile col solo atto chirurgico in una
ben più grave dal punto di vista prognostico (C IV).
Qualora il tumore sia considerato non resecabile ovvero qualora la mortalità
e/o morbidità dell’atto chirurgico previsto sia troppo elevata il trattamento con
Imatinib è appropriato (B III)con dose di attacco a 400 mg/die (A Ib).
Principi chirurgici
Una ampia resezione monoblocco con margini micro e macroscopicamente
indenni (R0) deve essere eseguita (BIII)La preservazione della funzione d’organo deve essere rispettata ma non a discapito di una resezione R0.
La linfectomia estesa non è generalmente indicata in quanto questi tumori
raramente metastatizzano ai linfonodi mentre possono dare metastasi al fegato e ai polmoni (B III).
Alcuni GIST possono esere rimossi per via laparoscopica.
Qualora organi adiacenti siano compromessi la resezione deve essere monoblocco e l’input preoperatorio di altre specialità chirurgiche può essere
vantaggioso prima di iniziare una tale resezione.
La resezione endoscopica non è al momento raccomandata (BIII).
Tutti i pazienti dopo la resezione devono essere discussi alla riunione multidisciplinare e una strategia di trattamento e di follow-up deve essere delineata a secondo del rischio del singolo paziente.
L’intervento chirurgico deve essere condotto da un chirurgo oncologo esperto
nella chirurgia dell’organo dal quale il tumore sembra trarre origine. Il fine primario dell’intervento chirurgico è la resezione R0 evitando la rottura dello
stesso (resezione monoblocco).
E importante che durante le manovre di isolamento le manipolazioni della
neoplasia siano ridotte al minimo in quanto questi tumori sono fragili e la
rottura del tumore significa l’insemenzamento di cellule tumorali sia nella
cavità peritoneale che successivamente al fegato. Un margine di resezione
di 2 cm è considerato adeguato.
La preservazione della funzione dell’organo affetto deve essere sempre tentata ma non a discapito della resezione R0. Qualora vi sia la necessità di
asportare altri organi (rene, fegato ecc) e il chirurgo non sia esperto in questo tipo di chirurgia è consigliabile chiedere la consulenza di un chirurgo
esperto in queste aree. Le biopsie percutanee radiologicamente guidate sono
da evitare per la possibile rottura della capsula e la quindi sicura fuoriuscita
di materiale dal sito in quanto spesso questi tumori sono ampiamente necrotici.
Un approccio laparoscopico a piccole lesioni (<5 cm) può essere fattibile
mentre la resezione endoscopica non è appropriata anche per GIST di piccole dimensioni.
219
RETE ONCOLOGICA DEL LAZIO
Criteri di appropriatezza clinica ed organizzativa nella diagnosi, terapia e follow-up
della neoplasia dei sarcomi e delle parti molli
Criteri di appropriatezza diagnostico-terapeutici
7.3 Terapia localmente avanzata o sedi complesse
Chirurgia dopo trattamento neoadiuvante di tumori inizialmente non
resecabili
L’intervento chirurgico deve essere considerato in quei pazienti inizialmente
valutati come inoperabili e quindi inviati al trattamento con imatinib qualora
il trattamento farmacologico abbia ridotto la massa e/o le metastasi al punto
di resecabilità chirurgica.
Occasionalmente questi tumori si possono presentare con un occlusione intestinale o con un sanguinamento massivo in questi casi lo scopo principale
dell’atto chirurgico è quello di salvare la vita del paziente. In questi casi e si
può eseguire una resezione in due tempi il cui primo tempo con il compito
di fermare l’emorragia o risolvere l’ostruzione e il secondo tempo asportare
la malattia eventualemente rimasta al primo intervento (R2) dopo un adeguato recupero da parte del paziente.
Nei casi di m malattia inizialmente considerata inoperabile che dopo trattamento medico viene rivalutata come operabile può avere un razionale l’opzione chirurgica di salvataggio anche se questi dati sono scarsi e provengono
da studi retrospettivi quindi scientificamente poco attendibili. Per questo
l?EORTC ha aperto uno studio nel 2008 (EORTC 62063) per valutare il ruolo
della chirurgia nei pazienti responders al trattamento medico preoperatorio
Dopo che erano stati giudicati non operabili alla prima valutazione.
La sopravvivenza dei pazienti in progressione sotto terapia con Imatinib e
sottoposti comunque a resezione chirurgica è scarsissima e la chirurgia va
pertanto evitata in questi pazienti a meno che non si tratti di quei casi di cui
sopra in cui l’intervento (palliativo) viene eseguito per fermare una grave
emorragia o per risolvere una occlusione intestinale.
7.4 Malattia localmente avanzata
inoperabile/malattia mestastatica
Prima linea di trattamento
I tumori gastrointestinali stromali (GIST) sono neoplasie altamente refrattarie ai trattamenti chemioterapici Il farmaco di riferimento per il trattamento
di prima linea dei GISTs in fase avanzata inoperabile o metastatica è imatinib mesilato che permette di ottenere un beneficio clinico in circa l’85% dei
pazienti con sopravvivenze mediane di oltre 5 anni rispetto ai 12-24 mesi dei
controlli storici trattati con sola chirurgia (LIVELLO DI EVIDENZA: A).
Imatinib è un inibitore multichinasico i cui target nei GIST sono c-Kit e PDGFR.
La potenzialità di risposta a imatinib è correlata allo stato mutazionale di
KIT. Pazienti con GIST che presentato la mutazione dell’esone 11 rispondono
meglio rispetto a quelli con la forma wild-type o con la mutazione D842V di
PDGFRA.
Quest’ultima mutazione si è dimostrata responsabile di una particolare resistenza alla target therapy in genere.
I principali studi randomizzati (USA-Canada e EuroAustraliano) e le recentissime metanalisi hanno portato alle seguenti evidenze:
• La dose convenzionale di Imatinib è di 400 mg/die ma in presenza della
mutazione dell’esone 9 di KIT il trattamento dovrebbe prevedere un dosaggio giornaliero di 800 mg.
LIVELLO DI EVIDENZA: A
• Imatinib induce raramente delle risposte complete (0-4%) mentre molto
più frequentemente sono osservate risposte parziali o risposte senza
componente dimensionale (risposte complete+risposte parziali+stazionarietà di malattia: 83,7%)
• Una PET effettuata precocemente rispetto all’inizio del trattamento con
Imatinib permette di predire la sensibilità all’inibitore tirosinchinasico
• Il trattamento va protratto indefinitivamente fino a progressione di ma-
Pagina
lattia e salvo tossicità non accettabile (particolare cura viene consigliata
riguardo la gestione degli effetti collaterali, la verifica della compliance
al trattamento e la presenza di fattori che possano alterare l’assorbimento ottimale del farmaco).
La sospensione del trattamento è generalmente associata a progressione di malattia.
LIVELLO DI EVIDENZA: A
• Circa il 15% dei pazienti presentano una resistenza primaria a imatinib.
La resistenza primaria è in genere associata all’assenza di mutazioni a
carico di KIT o a presenza di mutazioni a carico dell’esone 9
• Una resistenza secondaria, cosiddetta se insorge oltre i 6 mesi di trattamento con imatinib, può interessare tutte le sedi di malattia o solo singole sedi (o singoli punti della stessa sede) e colpisce oltre il 40% dei
pazienti responsivi ad un FU mediano di circa 2 anni. Questo tipo di resistenza si verifica in seguito all’acquisizione di mutazioni addizionali
nel dominio chinasico di KIT o a selezione di mutazioni imatinib-resistenti già presenti in una piccola percentuale di cellule di GIST non trattati.
anche in caso di progressione di malattia (eterogeneità delle mutazioni insorgenti nella malattia avanzata e diverse da metastasi a metastasi con presenza contemporanea di cloni resistenti e sensibili).
Qualora il paziente non possa essere inserito in trial clinici con nuovi farmaci, anche la reintroduzione di imatinib è stata associata ad evidenze di attività. Nei casi di progressione limitata (una singola lesione o parte di una
lesione), la chirurgia (come altre metodiche ablative) può essere presa in
considerazione e proposta al paziente in quanto può associarsi ad un aumento dell’intervallo libero da progressione.
Altro ruolo in via di definizione è quello della chirurgia su residuo in pazienti
in risposta o stazionari dopo 6-12 mesi di trattamento con IM, allo scopo di
prevenire la resistenza secondaria.
Alla luce delle evidenze del diverso outcome clinico dei pazienti in relazione
Seconda linea di trattamento ed oltre
In caso di progressione di malattia, primitiva o secondaria, se il paziente era
stato trattato con un dosaggio di 400 mg/die vi è consenso ad aumentare la
dose a 800 mg/die.
La modulazione della dose di imatinib mesilato da 400 a 800 mg/die, in caso
di progressione di malattia, permette un recupero del 30-40% dei pazienti
come dimostrato dallo studio europeo EORTC 62005 e dallo studio US Intergroup S0033 con una sopravvivenza mediana libera da progressione di circa
4 mesi.
Se il paziente era già in trattamento con imatinib 800 mg/die per presenza
della mutazione a carico dell’esone 9, vi è indicazione ad effettuare un crossover a sunitinib.
LIVELLO DI EVIDENZA: A
In caso di ulteriore progressione di malattia in corso di Imatinib, vi è indicazione a passare al trattamento con Sunitinib. Sunitinib è attualmente approvato per l’uso in seconda linea di trattamento in pazienti resistenti o
intolleranti ad imatinib ed è anch’esso un inibitore delle tirosin-chinasi recettoriali tra le quali KIT, PDGFR-α e –β, VEGFR-1,-2 e-3, FLT3, CSF-1R e
RET.
Sunitinib ha dimostrato in studi preclinici attività antitumorale e antiangiogenetica diretta e in uno studio clinico randomizzato di fase III ha indotto un
beneficio clinico in termini di controllo di malattia e superiore sopravvivenza
rispetto al placebo.
Il genotipo del tumore ha una influenza significativa sulla possibilità di risposta a sunitinib in pazienti imatinib-resistenti essendo stata osservata,
oltre che in pazienti con mutazione dell’esone 11 di KIT, soprattutto in pazienti
con mutazione dell’esone 9 e nei pazienti con KIT wild-type. Sunitinib risulta,
inoltre, efficace in pazienti con mutazioni secondarie negli esoni 13 e 14 di
KIT mentre non sembra altrettanto efficace sui pazienti con mutazioni secondarie degli esoni 17 e 18.
La schedula di trattamento prevede un dosaggio di 50 mg/die per 4 settimane ogni 6 settimane.
Esistono evidenze pubblicate di efficacia ma miglior tollerabilità con una
schedula alternativa che prevede la somministrazione continuativa di sunitinib alla dose di 37,5 mg/die.
LIVELLO DI EVIDENZA: C
In assenza di studi clinici con nuovi farmaci viene, comunque, ribadita dai
maggiori esperti l’importanza della non interruzione del trattamento con TKIs
Tutti i pazienti con diagnosi confermata di sarcoma delle parti molli dovrebbero essere trattati da un Team Multidisciplinare dedicato ai sarcomi delle
parti molli. Il Team Multidisciplinare, per essere accreditato, dovrebbe prendersi cura di 100 nuovi pazienti/anno. Ciascun Team Multidisciplinare dovrebbe risiedere in un singolo ospedale o essere costituito da una serie di
ospedali geograficamente vicini che, insieme, costituiscono il centro di trattamento dei sarcomi. Il Team Multidisciplinare dovrebbe essere coordinato da
un clinico. L’expertise del Team dovrebbe comprendere i seguenti sarcomi:
• sarcomi ginecologici
• sarcomi del testa - collo
• sarcomi della parete toracica
• sarcomi del retroperitoneo e pelvi
• sarcomi del sistema nervoso centrale
• GIST
• sarcomi dell’età infantile
• sarcomi degli arti
• utilizzo della perfusione isolata di arto con TNF
Ogni Team multidisciplinare dovrebbe essere composto come riportato nella
220
alla presenza di determinate mutazioni (primarie e secondarie) che corrispondono ad una differente potenzialità di risposta agli inibitori tirosinchinasici attualmente approvati per l’uso, è fortemente raccomandata
l’esecuzione dell’analisi mutazionale allo scopo di individualizzare il trattamento e poterne trarre il miglior beneficio.
Follow up
Non vi è consenso sul tipo di follow up da condurre dopo un intervento chirurgico per asportazione di un GIST. E’ consigliabile effettuare un esame TC
o RMN dell’addome ogni 3 mesi per i primi 2-3 anni, ogni 6 fino al 5° anno
e quindi su base annuale dopo i 5 anni. La frequenza dei controlli va comunque definita sulla base del livello di rischio.
LIVELLO DI EVIDENZA: C
8. Criteri di appropriatezza e requisiti minimi
tabella 2, 3.
Ruolo del Team multidisciplinare dei sarcomi
Il Team multidisciplinare dovrebbe:
• avere dei meeting settimanali con tutti i membri
• assicurare che ogni piano di trattamento sia condiviso da tutti i membri
del team per i seguenti casi:
a) Pazienti con nuove diagnosi
b) Pazienti dopo resezione del tumore
c) Pazienti alla prima recidiva e/o metastasi
• assicurare c