Requisiti della pubblicità

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Requisiti della pubblicità
Requisiti della pubblicità
Il nuovo Codice del Consumo ha dedicato un’intera sezione alla
regolamentazione della pubblicità, stabilendo i limiti entro i
quali un messaggio pubblicitario possa considerarsi lecito e
le sanzioni relative alla violazione di tali limiti.
Il Codice offre una definizione di pubblicità molto ampia, che
comprende “qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in
qualsiasi modo, nell’esercizio di un’ attività commerciale,
industriale, artigianale o professionale allo scopo di
promuovere la vendita di beni mobili o immobili, la
costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di
essi oppure la prestazione di opere o di servizi” (art. 20).
Pertanto, oltre alla pubblicità “tradizionale” (diffusa a
mezzo televisione, radio e stampa, debbono ritenersi rientrare
in tale definizione – e quindi sottostare alla normativa in
esame – i nuovi mezzi pubblicitari diffusi dalla rete
telematica, quali banner, e-mail, eccetera.
Affinché sia lecita, la pubblicità deve essere palese,
veritiera e corretta.
Ciò significa che la pubblicità deve essere chiaramente
riconoscibile come tale ed è vietato qualsiasi tipo di
messaggio pubblicitario subliminale o occulto.
Deve essere veritiera e non ingannevole, ovvero presentare il
prodotto per quello che è, evitando di dare informazioni non
vere: è considerata ingannevole la pubblicità che, riguardando
prodotti suscettibili di porre in pericolo la salute e la
sicurezza dei consumatori, ometta di darne notizia.
Deve, infine, essere corretta, ovvero presentata il modo tale
da non nuocere agli altri imprenditori concorrenti.
L’articolo 22 del codice del consumo traccia inoltre i limiti
entro i quali è ammessa la pubblicità comparativa, molto
diffusa, ad esempio, tra gli operatori telefonici. La
comparazione è lecita se: non è ingannevole; confronta beni o
servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli
stessi obiettivi; confronta oggettivamente una o più
caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e
rappresentative, di tali beni e servizi; non ingenera
confusione sul mercato fra l’operatore pubblicitario ed un
concorrente; non causa discredito o denigrazione di altri
marchi, beni, servizi o attività concorrenti; non trae
indebitamente vantaggio dalla notorietà di altri marchi o
prodotti concorrenti.
Particolare attenzione viene poi prestata per le televendite,
diventate tristemente famose alla cronaca più recente.
Al riguardo, l’art. 29 prescrive che “le televendite devono
evitare ogni forma di sfruttamento della superstizione, della
credulità o della paura, non devono contenere scene di
violenza fisica o morale o tali da offendere il gusto e la
sensibilità dei consumatori per indecenza, volgarità o
ripugnanza”.
Per i trasgressori, sono previste l’inibitoria alla diffusione
della pubblicità e sanzioni amministrative fino a Euro
100.000,00, salvo che il fatto non integri gli estremi di un
reato, caso in cui si applicheranno le relative norme di
diritto penale.
Articolo pubblicato su QN-Economia – Il Giorno, La Nazione, Il
Resto del Carlino
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