La storia dello sci - parte II
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La storia dello sci - parte II
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna T rimestrale di A lpinismo e C ultura A lpina e v r i D tenti N°28 - PRIMAVERA 2014 - EURO 5 Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale 70% DCB-Sondrio Speciali La storia dello sci in Valtellina - parte II: dagli anni '60 ad oggi Avventure Il Grand Tour della Valtellina Idee e novità Geocaching Mietta Talanti Una vita sugli sci Valchiavenna Sopra Campodolcino c'era un piccolo lago... Valmalenco Con gli sci al monte del Forno (m 3214) Alta Valtellina Cascata di Isolaccia o cima della Manzina? Versante Orobico Le marmitte del Serio Valmàsino Pizzo del Ferro Orientale (m 3199) Valtellinesi nel Mondo Mustang, regno proibito Natura Il Pizzaràgn, professione VI grado. L'arte della fotografia L'iperfocale Inoltre Ricette, poesie, foto dei lettori, giochi, libri ... La storia dello sci - parte II VALCHIAVENNA - BASSA VALTELLINA - VAL MÀSINO - ALPI RETICHE E OROBIE - VALMALENCO - ALTA VALTELLINA 1 LE MONTAGNE DIVERTENTI Editoriale Luisa Bonesio Perché paesaggio? A partire degli anni Sessanta del secolo scorso, l’equilibrio ambientale e paesaggistico di lunga durata che si era creato nel continente alpino, espressione variegata di culture che avevano saputo interpretare la sfida di un abitare esposto a molte difficoltà mediante l’elaborazione di una sofisticata intelligenza ecologica e paesaggistica, conosce un progressivo e pericoloso degrado. Già agli inizi del Novecento nelle Alpi e Prealpi erano iniziate forme talora invasive di industrializzazione – si pensi ai distretti lanieri della val d’Agno e del Biellese – e capillarmente la colonizzazione dell’industria idroelettrica, con la costruzione di una rete di prelievo dell’energia a favore dei centri urbani e delle industrie di pianura, destinata con i suoi manufatti più titanici e invasivi (i bacini e le dighe) a distruggere e riplasmare ampie porzioni di territori montani incontaminati o di antiche culture, in cui il ricorso alla trasfigurazione architettonica “in stile” degli edifici delle centrali aveva estetizzato l’impatto strutturale del linguaggio tecnicoindustriale sul paesaggio preesistente, in un racconto talora visionario o ironico della nuova epoca che era giunta a prendere possesso, anche da questo punto di vista, delle montagne. Il regno delle valli e delle vette, in un giro piuttosto rapido di tempo, subisce l’abbassamento da luogo numinoso del sublime a piattaforma di rifornimento energetico delle pianure. Tuttavia non c’è dubbio che, almeno nelle parti più pubbliche e visibili, le centrali, inserite spesso in paesaggi di rilevante spessore culturale e antropico, si sia verificato spesso uno sforzo di eccellenza progettuale, qualità estetica, oculatezza dell’inserzione paesaggistica, che possono essere legittimamente considerati come una narrazione risarcitiva e rassicurante della nuova potenza tecnica. Vale la pena di notare che la pronta accettazione di questi elementi di distruzione e riconfigurazione artificiale dei paesaggi, naturali e antropici, si è verificata (e perdura) anche per i giganteschi invasi artificiali che hanno letteralmente stravolto i connotati di moltissime valli d’altura, la cui minacciosità intrinseca, esplicita ostensione del pericolo crescente connaturato alla volontà di potenza della In copertina: fioritura di Soldanella presso i laghi di Forbesana in val Viola (11 giugno 2013, foto Giacomo Meneghello www.clickalps.com). Ultima di copertina: escursionisti su tappeto di crochi all'alpe Granda (7 aprile 2011, foto Roberto Ganassa). La frase, suggerita da Eraldo Meraldi, fu incisa da un pastore semianalfabeta nell’anno 1895 su una pietra infissa nel terreno ad una cinquantina di metri di dislivello sotto la larga sommità del monte Ravaianda nell’Appennino tosco-emiliano. A sx: la monumentale diga ad arco gravità di Frera, costruita tra il 1953 e il 1959, origina il lago Belviso dalla capacità di 50 milioni di metri cubi (22 giugno 2013, foto Beno). 2 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Editoriale 3 tecnica moderna, finisce per costituire una forma di attrazione turistica (oppure, oggi, spazio di pratiche ricreative e sportive - corsa, mountain bike, escursionismo, tuffi, ecc.). Contestualmente, con il cosiddetto boom economico le montagne conoscono anche un mutamento nella percezione dei propri luoghi da parte degli abitanti, che, a partire dall’incontro con il mondo urbano propiziato dal turismo e dalla presenza di maestranze addette alla creazione e alla gestione degli impianti industriali, oltre che dai nascenti mezzi di comunicazione di massa, cominciano a considerare inadeguate e arretrate le forme di vita e di relazione con il territorio intrattenute tradizionalmente. È in quegli anni che fiorisce la corsa dei paesi e delle stazioni turistiche a dotarsi di condomini, palazzi a molti piani, a riconfigurare l’assetto antico degli insediamenti secondo il modello urbano e le esigenze della motorizzazione, abbandonando le forme e i materiali tradizionali dell’edilizia a favore degli standard già mondializzati. E insieme, nel patetico e autolesionistico scimmiottamento di linguaggi costruttivi e pianificatori importati e stridenti, arriva anche la nuova mentalità del profitto rapido, legato a un’idea precocemente massificata di turismo e di espansione edilizia di pessima qualità, con l’abbandono, dovuto anche a sentimenti di vergogna per un passato di fatiche e sobrietà, di quell’etica collettiva che era manifestazione di consapevolezza riguardo le condizioni per vivere in armonia e lungimiranza in territori dalle sfide severe. Anche se questa dinamica di degrado oggettivo e progrediente dei luoghi delle montagne italiane conosce qualche rara eccezione come l'Alto Adige dovuta a circostanze particolari, i suoi effetti non hanno cessato di incrementarsi fino ad oggi, fino a smarrire – in molti casi forse definitivamente – il genius loci, l’identità, comportando parallelamente una progressiva dissoluzione delle comunità. Si tratta di una attiva corresponsabilità degli abitanti nella riduzione dei propri luoghi di vita, dei paesaggi mirabili frutto di sapienza secolare, in nonluoghi anonimi, informi e distonici. È in questo contesto critico che fanno la loro comparsa, negli ultimi anni, fenomeni minoritari di presa di coscienza del disastro – ambientale, paesaggistico, identitario, sociale e anche economico – non certo ancora arrestato, nella scia dell’epocale cambio di paradigma nel rapportarsi ai territori costituito dalla Convenzione europea del Paesaggio (2000), espressione a sua volta di un incontro tra un’esigenza manifestata dalle comunità locali europee (di non subire più trasformazioni territoriali decise senza di loro e la progressiva perdita 4 LE MONTAGNE DIVERTENTI Bormio in una cartolina d'inizio '900: un paese in armonia con le montagne in cui è inserito (archivio Maurizio Cittarini). Bormio ai giorni nostri, esempio di consumo del territorio (11 giugno 2013, foto Giacomo Meneghello - www.clickalps.com). L'Aprica a inizio '900 (archivio Maurizio Cittarini). L'Aprica nel 2005. Un tempo gioiello tra le montagne valtellinesi, è ora simbolo della devastatazione arrecata dall'edilizia selvaggia (foto Franco Benetti). Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI di qualità, espressività e rimuneratività dei paesaggi, avviati a una fatale omologazione) e il ripensamento del concetto di paesaggio prodotto dalla comunità scientifica, come luogo di vita delle popolazioni ed espressione della loro identità. Per queste due divergenti visioni e progetti del destino dei territori non si danno pari opportunità di comunicazione, proposta e azione; e nemmeno, almeno inizialmente, di ascolto. La dissimmetria delle forze deriva dalla sproporzione che esiste tra una percezione irriflessa e abitudinaria, vissuta spesso come una sorta di ovvietà o di destino ineluttabile, e una visione inedita, critica, un rovesciamento di prospettiva che deve bucare una spessa coltre di presunte evidenze. Un elemento estremamente importante, in questa divaricazione che spesso sembra incomponibile, è rappresentato dalla scarsa disponibilità della classe politica e dei poteri economici forti, sia per ovvi motivi di difesa di interessi particolari, sia per un certo grado di disinformazione e impreparazione culturale. È solo sotto una spinta importante e in grado di mobilitare parti significative dell’opinione pubblica che talora questa contesa sul significato dell’abitare e il destino dei luoghi riesce a trovare uno spazio di rappresentazione e di esplicitazione dei rispettivi presupposti, obiettivi, capacità di argomentazione e di mobilitazione etica e affettiva in un confronto la cui posta in gioco è una durevole qualità di vita della popolazione e il cui indice più immediato e attendibile è rappresentato dalla qualità dei paesaggi di cui è responsabile. Non bisogna infine dimenticare che l’indispensabile coscienza di luogo della comunità deriva da processi di ri-apprendimento del linguaggio paesaggistico e dei saperi tradizionali e contestuali: occorre innanzitutto uno sforzo per colmare quell’insufficienza culturale (ed etica) complessiva che ha portato all’inconsapevolezza e alla deresponsabilizzazione, rendendoci inermi verso lo sterminio dei più preziosi beni comuni, il paesaggio e l’identità. Anche in Valtellina ci sono segni – per ora minoritari – di una nuova consapevolezza circa diritti e doveri nei confronti del paesaggio: uno straordinario e irriproducibile bene comune, naturale e storico, in cui si rispecchiano le sfide dell’identità di un territorio che troppo a lungo si è mostrato inconsapevole di sé. Editoriale 5 O LE MONTAGNE DIVERTENTI S I peciali tinerari d’alpinismo I tinerari d’escursionismo R ubriche Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369 Editore Direttore Responsabile Enrico Benedetti I Beno Redazione Alessandra Morgillo Beno Gioia Zenoni Giorgio Orsucci Roberto Moiola 12 Realizzazione grafica Revisore di bozze Mario Pagni Responsabile della cartografia Matteo Gianatti 58 ValMàsino Pizzo del Ferro Orientale (m 3199) 88 Valchiavenna Un lago sopra Campodolcino 110 Valtellinesi nel mondo Mustang, regno proibito R Beno e Giorgio Orsucci La storia dello sci in Valtellina Parte II: dagli anni '60 ad oggi Alessandra Morgillo, Andrea Besseghini, Angela Iemoli, Beno, Daniele Moncecchi, Dario Fanoni, Dicle, Enrico Minotti, Eraldo Meraldi, Fabio Pusterla, Flavio Casello, Francesco Vaninetti, Franco Benetti, Giacomo Meneghello, Gioia Zenoni, Giorgio Bianchi, Giorgio Orsucci, Giovanni Rovedatti, Giovanni Scherini, Kim Sommerschield, Luca Passarelli, Luciano Bruseghini, Luisa Angelici, Luisa Bonesio, Marco Scuffi, Mario Pagni, Marino Amonini, Matteo Tarabini, Maurizio Cittarini, Maurizio Torri, Nicola Giana, Nicola Giugni, Raffaele Occhi, Renzo Benedetti, Roberto Basso, Roberto Moiola, Roberto Ganassa, Simone Panizza, Stefano Caldera, Vittorio Vaninetti A Hanno collaborato a questo numero: 33 Antonio Boscacci La nascita dello scialpinismo moderno 70 Valmalenco Monte del Forno (m 3214) 97 Piateda Le marmitte del Serio 118 Natura Pizzaràgn, professione VI grado Avis Comunale Sondrio, Franco Monteforte, Giacomo e Adriano Trabucchi, Mietta Talanti, la Tipografia Bonazzi, gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e gli sponsor che credono in noi e in questo progetto... e tutti quelli che abbiamo dimenticato di citare. Pubblicità e distribuzione [email protected] tel. 0342 380151 / 0342 380138 M Si ringraziano inoltre 37 Stampa Bonazzi Grafica -via Francia, 1 -23100 Sondrio Per ricevere la nostra newsletter: Mietta Talanti Una vita sugli sci 79 Approfondimenti Alpe Vazzeda Superiore 102 Approfondimenti Vino in cambio di demantoide 122 Fotografia L'iperfocale registra il tuo indirizzo email su www.lemontagnedivertenti.com Abbonamenti per l’Italia annuale (4 numeri della rivista): costo € 22 da versarsi sul c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50 intestato a: Beno di Benedetti Enrico via Panoramica 549/A 23020 Montagna (SO) nella causale specificare: nome, cognome, indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti” fatto il bonifico è necessario registrare il proprio abbonamento su - www.lemontagnedivertenti.com - oppure telefonare al 0342 380151 (basta lasciare i dati in segreteria). 44 Il Grand Tour della Valtellina 127 Le foto dei lettori 136 Giochi O [email protected] www.lemontagnedivertenti.com M Contatti, informazioni e merchandising Arretrati [email protected] - € 6 cad. Numeri esauriti: PDF scaricabili dal sito della rivista Prossimo numero S 21 giugno 2014 54 Geocaching Divertirsi andando in montagna Primavera 2014 82 Alta Valtellina Cima della Manzina (m 3318) LE MONTAGNE DIVERTENTI 104 Alta Valtellina Pravadina e la stretta del Diavolo 138 Le ricette della nonna Fiori di robinia Sommario 7 Localizzazione luoghi Zillis Zillis Wergenstein Bergün Parsonz Sufers Ausserferrera 3062 2115 Mulegns 3279 3378 Cresta St. Moritz Maloja 88 Passo del Maloja 1815 Pizzo Stella Pizzo Quadro 3013 3183 Mera Pizzo Galleggione 3107 CHIAVENNA Prata Camportaccio 2459 3032 Cevo Bùglio Caspano Ardenno Dubino Mantello Mello Traona Dazio Sirta MORBEGNO Caiolo Tartano Geròla Bellàno Taceno Pescegallo Pizzo dei Tre Signori 2554 Introbio Lierna Ornica LE MONTAGNE DIVERTENTI Barzio Foppolo Carona Mezzoldo Cùsio Piazzatorre Valtorta Pasturo Monte Cadelle 2483 Passo San Marco 1985 Cassiglio Olmo al Brembo T. V enin a Premana Albosaggia Pizzo Campaggio 2503 Le Prese Boirolo Ponte in Valt. 97 Grosotto Brusio Monte Masuccio 2816 44 TIRANO Bianzone Teglio Tresenda Arigna Carona Aprica Còrteno Gromo Primavera 2014 Vilminore Colere Villa Pizzo Camino 2492 Vione Concarena 2549 Ponte di Legno Passo del Tonale 1883 Edolo Adamello 3554 Monte Carè Alto 3462 Berzo Saviore Valle Capo di Ponte Làveno LE MONTAGNE DIVERTENTI della Valtellina (Simone Panizza, Andrea Besseghini e Daniele Moncecchi) 58 Val Màsino Pizzo del Ferro Orientale (m 3199) (Beno) 70Valmalenco Monte del Forno (3214) (Luciano Bruseghini) 82 Alta Valtellina Cima della Manzina (m 3318) (Giacomo Meneghello) 88Valchiavenna 97Orobie Monte Fumo 3418 Garda Paisco Notte con la bruna Palü dal Fen e läj de la Marsciüra (Marco Scuffi) Sonico Palone del Torsolazzo 2670 Schilpario Pezzo Pezzo Incudine Monno Malonno Pizzo di Coca Monte Torena 2911 3050 Monte Sellero 2743 Pizzo di Redorta Loveno 3039 Monte Gleno Pizzo del Diavolo 2883 Valbondione di Tenda Passo del Vivione 2914 1828 Gandellino Vezza d'Oglio Passo dell'Aprica Pizzo di Rodes 100 Corno corno dei Tre Signori 3359 Punta di Pietra Rossa Monte Tonale 3212 2694 Monte Serottini 2967 Cortenedolo Punta San Matteo 3678 Passo di Gavia 2618 Fumero 43 Tovo Lovero Sernio Sondalo Mazzo 43Grosio Santa Caterina Le Prese Adda Chiuro Adda Monte Confinale 3370 Cepina Grosio 2829 Branzi Roncorbello 3323 3136 SONDRIO Tresivio 42 T. Livrio Albaredo Tremenico Bellagio 8 Colorina Talamona Bema Torre di S. Maria Postalesio Berbenno Castione Pizzo Scalino Vetta di Ron T. Mallero 2845 Verceia Delébio Rògolo Còsio Regolédo Dervio 3114 Poschiavo Lanzada Caspoggio Chiesa in Valmalenco Malghera Monte Cevedale 3769 82 frana di val Pola Eita San Carlo Gran Zebrù 3851 San Antonio BORMIO Valdisotto Cima di Saoseo 3263 T. Fo ntana Cima del Desenigo Sasso Nero 2917 Primolo Bagni 3678 di Màsino Pizzo Ligoncio San Martino Corni Bruciati Monte Legnone 2610 Lago di Como Monte Disgrazia T. Caldenno Còlico Dongo ra T. Code Novate Mezzola Lago di Mezzola 3378 58 o T. Màsin Montemezzo Livo Gera Dosso d. Liro Lario Somaggia Chiareggio Cima di Castello La Rösa i od Lag chiavo Pos Pizzo Martello 3308 San Cassiano San Pietro Samòlaco Era 70 Bondo Villa di Chiavenna Pizzo Badile Cima Piazzi 3439 4050 Passo del Muretto 2562 Vicosoprano Passo del Bernina 2323 Oga Carnevale 1898 44 Grand Tour Ortles 3905 Bagni di Bormio Premadio T. Roasco Gordona Soglio Castasegna Prosto Mese Piz Palù Pizzo Bernina 3906 Casaccia Isolaccia Arnoga Forcola di Livigno 2315 Sils T. La nte rna Fraciscio Passo dello Stelvio 2757 Valdidentro 104 Passo del Foscagno 2291 Solda Solda Giogo di Santa Maria 2503 Trepalle Pianazzo Campodolcino 1816 Piz Languard 3268 Silvaplana Juf Lag 3180 hi d i Ca nca no Pontresina Julierpass Bivio Lago d i Lei Madesimo Livigno 3057 Mera 3209 Cima la Casina Samedan Piz Nair 3392 Pizzo d'Emet Isola Sur 42Sondrio Stelvio Stelvio San Maria Lago del Gallo Piz Piatta Montespluga 3159 Inn Montechiaro Montechiaro Müstair Piz d'Err Piz Grisch Innerferrera Passo dello Spluga Zuoz Albulapass 2312 Julia Curtegns 1864 Piz Quattervals 3418 Reno Splügen Medels Pizzo Tambò Piz Kesch Cunter Andeer e itinerari Le marmitte del Serio (Nicola Giana) 104Alta Valtellina Cascata del crap de Scègn (Eraldo Meraldi) Monte Re di Castello 2889 Niardo Niardo © Beno 2013 2011 - riproduzione vietata Localizzazione di luoghi e itinerari 9 L e g e n d a Schede sintetiche e tempistiche Ogni itinerario è corredato da una scheda sintetica in cui vengono riassunte le caratteristiche principali del percorso, tra cui dislivello, tempo di percorrenza e difficoltà. A fianco trovate una breve e divertente spiegazione dei 7 gradi della “scala Beno” con cui viene valutato l'impegno complessivo richiesto dalla gita. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse capacità. Sotto la voce "dettagli", invece, viene espressa la difficoltà tecnica secondo la scala alpinistica convenzionale, corredata da una breve spiegazione. Si comincia a doversi proteggere dal freddo e dai ferocissimi ermellini, ma per fortuna il tratto su neve è poco ripido. Occorre estrema abilità per riuscire a perdersi. Itinerario invernale adatto a chi si è appena trasferito in Valtellina da un'isola tropicale e ha visto il ghiaccio solo nei cocktail. Lo spazzaneve per te non ha più misteri e ti senti pronto a nuove esperienze lontane dagli impianti di risalita. Le tempistiche, indicate nel testo descrittivo, sono progressive, cioè indicano il tempo necessario1 per raggiungere la località partendo dall'ultimo riferimento crono-geografico2. Le schede sintetiche sono affiancate da un box grafico che, esprimendo una valutazione su bellezza, pericolosità e fatica, vi permetterà a colpo d’occhio di scegliere l’itinerario a voi più consono. 1 - Se non emergono difficoltà tecniche, la velocità ipotizzata è di 350 metri di dislivello all'ora, oppure 3 km orari su itinerario pianeggiante. 2 - "[...] fino alla sella Ligoncino (m 2770, ore 2:15). [...] raggiungo la punta della Sfinge (m 2805, ore 0:30)" indica che per raggiungere la Sfinge occorrono 30 minuti partendo dal precedente riferimento crono-geografico, che in questo caso era, qualche riga prima, la sella Ligoncino. Per facilitare l'individuazione dei riferimenti crono-geografici, questi sono tutti formattati in grassetto. BELLEZZA PERICOLOSITÀ Quasi meglio il centro commerciale Carino Bello Anche per uomini larva Nulla di preoccupante Impegnativo Basta stare un po’ attenti Assolutamente fantastico FATICA 10 Assolutamente sicuro Un massacro LE MONTAGNE DIVERTENTI Sai sciare o sei un manico con le ciaspole, non hai paura del dislivello o di brevi tratti ripidi, ma, se vieni portato al pronto soccorso, preferiresti avere al capezzale l'abominevole uomo delle nevi che tua suocera inferocita perché perderai giorni di lavoro! Richiesta discreta tecnica alpinistica Pericoloso (si consiglia una guida) ORE DI PERCORRENZA DISLIVELLO IN SALITA meno di 5 ore meno di 800 metri dalle 5 alle 10 ore dagli 800 ai 1500 metri dalle 10 alle 15 ore dai 1500 ai 2500 metri oltre le 15 ore oltre i 2500 metri È richiesta una buona conoscenza dell’ambiente alpino, discreta capacità di arrampicare e muoversi su terreno gelato, gamba sicura su ogni tipo di neve e pendio. È consigliabile una guida. Montagna divertente, itinerario molto lungo e ricco di insidie di varia specie. È facile perdersi, incengiarsi o prender notte per contrattempo. Nei momenti di massima tensione arriverai addirittura a sperare di poter presto ascoltare i rimproveri di tua suocera al pronto soccorso. Primavera 2014 Il tuo sogno è farti lanciar giù dalla nord del Disgrazia incatenato a una slitta, ma non trovi nessuno che ha il coraggio di darti la spinta e così cerchi alternative. La storia dello sci in Valtellina parte II: dagli anni '60 ad oggi Raffaele Occhi Acquerello di Kim Sommerschield (www.sommerschield.it). La storia dello sci Speciali LA FEBBRE DELL’ORO BIANCO Costruzione della funivia Chiesa Valmalenco-alpe Palù (1964, archivio Funivia al Bernina). Il primo skilift a Madesimo (1946, archivio Aldo Scaramellini). Nuove piste di sci sul Vallecetta (1962, foto Rocca). Prima seggiovia a Bormio (anno 1947, collezione Luigi De Bernardi). Skilift all'Aprica (anni '50, foto Agostino Corvi). Anni '70, esercitazione di soccorso sugli sci (foto archivio Duilio Strambini). La mitica pista Dosso dei Galli a Caspoggio durante il trofeo Vanoni nel 1969 (foto Benini). La mitica pista Dosso Galli durante il trofeo Vanoni nel 1969 (foto Benini). 14 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 Lo sci, col tempo, andò differenziandosi in diversi settori, distinti convenzionalmente in sci alpino (la discesa) e sci nordico (il fondo e il salto), cui si aggiunsero poi lo sci alpinismo, lo snow-board, lo sci estremo… Il filone principale, che ha riguardato un numero sempre crescente di persone fino a diventare fenomeno di massa, è di gran lunga quello dello sci alpino. Come scriveva già nel 1942 Ettore Castiglioni nella sua Guida sciistica delle Dolomiti, «ciò che interessa lo sciatore è la discesa: tutto il resto della gita non ha per lui alcuna attrattiva; si accinge alla salita con quel fatalismo rassegnato, proprio di chi è conscio della dura necessità che per poter scendere bisogna prima salire. L’alpinista, per abolire la discesa, ha inventato le calate a corda doppia; lo sciatore, più moderno e più signore, per abolire la salita ha inventato le funivie, le slittovie, le sciovie… e ogni altra sorta di vie». Anche in alcune località della Valtellina, già a partire dalla fine degli anni ’40, e poi durante i primi anni ’50, vi fu un certo sviluppo di impianti di risalita, un po’ primordiali se vogliamo e non propriamente rispondenti agli attuali requisiti di sicurezza, di fatto adattando e perfezionando la tecnologia delle teleferiche già utilizzate dai boscaioli per il trasporto del legname o dai soldati durante la grande guerra per i rifornimenti al fronte; a Madesimo, ad esempio, era entrato in funzione nel 1946 uno skilift, allora il più lungo d’Europa, mentre a Bormio nel 1947 era stata realizzata una “aerosciovia”, il tutto con tralicci in legno un po’ traballanti sotto la tensione delle funi. Ma fu a partire dagli anni ’60 che si scatenò la “febbre dell’oro bianco” anche in Valtellina; le stazioni di sci, sebbene non omogeneamente diffuse nell’intero ambito provinciale (vuoi per ragioni storiche che di conformazione fisica del territorio), fecero un salto di qualità, con un’offerta in termini di impianti, attrezzature e ricettività che, unitamente ad un’adeguata réclame, le fece entrare nel circuito turistico nazionale e internazionale. LE MONTAGNE DIVERTENTI Nel contempo, la sempre maggior diffusione dello sci si portò appresso un grande miglioramento tecnico delle attrezzature, frutto di studio, sperimentazione e investimenti di mercato. Sono ormai un vecchio ricordo gli sci degli anni ’50-’60 (rigorosamente in legno di frassino o hickory con soletta verniciata e lamine avvitate), quando per definirne la lunghezza dovevi alzare il braccio e toccarne la punta col palmo della mano; così come sono ormai pezzi da museo i vecchi attacchi Kandahar a leva o i “formaggini” Marker, e quelle lunghe cinghie di cuoio avvolte e strette intorno al collo dello scarpone. Il nuovo “oro bianco”, dopo l’acqua degli impianti idroelettrici, è ora la neve; e lo sci diventa così una quota rilevante dell’intera attività turistica sulle Alpi. Una volta si aspettava la neve per poter trasportare il fieno con le slitte dai maggenghi al fondovalle; oggi si aspetta la neve – e quando non c’è la si produce artificialmente – per aprire gli impianti e avviare la stagione sciistica. Ma in fin dei conti, si chiedeva il grande alpinista e musicologo Massimo Mila, «qual è la ragione della superiorità dello sci, e in genere della montagna invernale ed estiva, sulle altre attività sportive? Una semplicissima: lo sci si pratica in seno alla natura». LE LOCALITÀ SCIISTICHE In provincia di Sondrio, lo sviluppo delle stazioni sciistiche rappresentò la naturale evoluzione di un percorso di valorizzazione turistica cominciato ai primi del ‘900, sfruttando le peculiarità delle singole zone. Anche oggi, così come in passato, un ruolo preponderante nello sci lo gioca l’alta Valtellina con i comprensori di Bormio, Santa Caterina e Livigno; allo stesso tempo, hanno cercato e cercano di non restare indietro la Valchiavenna con Madesimo e Campodolcino, la Valmalenco e l’Aprica, mentre più timidamente si sono affacciate alla ribalta, chi prima chi dopo, Teglio con Prato Valentino e la val Gerola con Pescegallo. Se da un lato lo sviluppo del turismo invernale legato principalmente allo sci di discesa, e solo marginalmente alle altre discipline, ha costituito un grosso fattore di crescita economica diretta e indiretta, dall’altro – come ha ben sottolineato il professor Alberto Quadrio Curzio, che di sci se ne intende – «non ha trovato ancora una sua identità precisa, un equilibrio tra l’esigenza di reddito che consuma risorse e quella di conservazione dell’ambiente naturale e urbano. In vari casi l’equilibrio è già stato alterato ed il recupero sarà difficilissimo...». Bisogna dunque puntare sulla qualità, superare la monocultura dello sci; «e per qualità non si intende solo sci e impianti di risalita, che pure sono essenziali, perché il turista deve essere attirato e trattenuto anche con la montagna, l’agricoltura, l’artigianato, l’arredo urbano, lo stile». E proprio nel guardare avanti cogliendone gli aspetti positivi, passiamo in rassegna le principali località sciistiche, con i loro impianti e le loro piste, il loro contesto ambientale e i loro campioni, che hanno dato e danno lustro allo sport valtellinese. Avviciniamoci a questi luoghi educatamente, come si conviene agli ospiti, vivendo senza frenesia e con intelligenza il piacere della montagna invernale “in seno alla natura”. MADESIMO, IL CANALONE DEL GROPPERA La tradizione sciistica di Madesimo, il centro turistico più rinomato della Valchiavenna, risale a vecchia data. Non è un caso che proprio sulla strada per arrivarci, in quel di Chiavenna, già nel 1905 fosse sorta la fabbrica di “sci alpini, bastoni da sci in castagno e bambù, racchette da neve” Persenico (poi ceduta nel 1968 alla Spalding e oggi faticosamente riavviata col marchio Blossom); una fabbrica che nei suoi anni migliori, prima della crisi, vide impiegati ben 660 operai con la vendita di 40000 paia di sci in un anno! Reso celebre da Giosuè Carducci che vi passava le vacanze estive, e poi da Zeno Colò che vi diresse la locale scuola di sci (sorta nel 1938 su iniziativa di Mario Bernasconi, tessera n. 1 dei maestri di sci italiani), Madesimo sviluppò le sue piste da sci sulle pendici del pizzo Groppera, che, dagli anni '60 ad oggi 15 La storia dello sci Speciali Sciatori a Caspoggio alle prese con la prima rudimentale manovia. Sullo sfondo da sx: il Corno di Braccia, il passo Ventina, il pizzo Rachele e il monte Disgrazia (foto Fernando Fanoni, 5 gennaio 1964). 1 -Un collegamento funiviario di ben 14 km con la val di Lei era stato realizzato alla fine degli anni ’50 per la costruzione dell’omonima diga nel bacino del Reno: consisteva in una teleferica per passeggeri e un’altra per i materiali che da Campodolcino raggiungevano il cantiere attraverso il passo di Angeloga, immortalate sulla pellicola da Ermanno Olmi nel documentario Un metro lungo cinque. Sciatori in paziente attesa per utilizzare uno degli impianti dell'Aprica (inizio anni '60, foto Fernando Fanoni). 16 LE MONTAGNE DIVERTENTI raggiunto nel 1964 da una funivia (naturale sviluppo della Campodolcino-Motta, promossa da don Luigi Re nel 1954), permise il collegamento sciistico con la val di Lei1. Verso Madesimo, invece, scendeva la famosa pista del “canalone”, immortalata da Dino Buzzati sulle pagine del Corriere della Sera nel 1965. Su quella pista per moltissimi anni si svolse il “Gigantissimo del canalone”, gara dedicata allo scrittore bellunese, mille metri di dislivello e cinque chilometri di sviluppo nella quale ebbero a cimentarsi nomi celebri dello sci quali Kristian Ghedina e Lara Magoni, oltre alle campionesse di casa Giovanna Gianera, Laura e Betty Biavaschi. Di gare, oltre al “Gigantissimo”, Madesimo ne organizzò tante, con una particolare attenzione per quelle dedicate ai giovani, come i “Giochi invernali dei bimbi”, tenutisi per la prima volta nel 1966 su iniziativa del Circolo Sciatori Madesimo, e successivamente ribattezzati “Jugend Cup”: una gara internazionale che nel corso degli anni ha coinvolto migliaia di ragazzi delle nazioni dell’arco alpino, fra i quali non va dimenticato Pirmin Zurbriggen che lì conquistò il suo primo successo internazionale. Nel parlare di sci in Valchiavenna, non si può non ricordare la figura del madesimino Italo Pedroncelli che gareggiò con la squadra nazionale azzurra per ben tredici stagioni, conseguendo molte vittorie in gare nazionali e internazionali, prima di assumere il ruolo di allenatore, tecnico e maestro di sci. Oggi Madesimo, che negli ultimi anni ha rinnovato buona parte degli impianti, è ritornata una stazione d’avanguardia grazie anche alla funicolare sotterranea realizzata nel 1996, lo “Sky Express”, che da Campodolcino conduce in pochi minuti a Motta. Da lì non c’è che l’imbarazzo della scelta tra moderni impianti e percorsi per tutti i gusti. Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Chi preferisce invece lo sci di fondo, può cimentarsi con le piste di Campodolcino e di Fraciscio, o quelle un po’ più varie ma più impegnative di Motta. VALMALENCO, I “TOPOLINI” DI ROLLY MARCHI «Incominciamo con un po’ di salame, proprio di Caspoggio, il mio paese, i Pegorari vengono tutti da lì. Lei sa dov’è Caspoggio, dottore? – Veramente no, risposi con un po’ di imbarazzo». Così il colloquio in una trattoria milanese tra un vecchio valtellinese e il protagonista del romanzo di Rolly Marchi, Le mani dure. Ebbene, quand’anche all’epoca di quei fatti Rolly Marchi non conoscesse Caspoggio, negli anni a venire si rifece alla grande; forse proprio da quel salame, accompagnato dal clima familiare della trattoria, nacque il suo legame affettivo con quel paese della Valmalenco, che lo portò dapprima a fondarvi nel 1963 lo Sci Club Topolino – trampolino di lancio di giovani talenti valligiani guidati da Bruno Angelini e dal giovane Mario Cotelli – e poi a diventarne cittadino onorario. Insieme allo Sci Club Topolino balzò alla ribalta anche il nome di Caspoggio; e fu proprio un Pegorari, Ilario, a tener alto il nome della sua terra imponendosi in una serie di competizioni sciistiche a livello nazionale e internazionale, vincitore tra l’altro di dieci discese di Coppa del Mondo e primo italiano a conquistare la Coppa Europa. Ricordiamo pure, fra gli atleti malenchi, Matteo Nana, tre volte campione italiano in gigante e slalom. Se fu Caspoggio a dare il via allo sviluppo sciistico della valle, con la realizzazione di una prima seggiovia nel 1957 e di un secondo tronco fino a Piazzo Cavalli nei primi anni ’60, a servizio di piste da sci che ospitarono gare nazionali ed internazionali, fu Chiesa a seguirne di lì a poco, e ben più in grande, le orme. Dopo l’inaugurazione nel 1965 della funivia Al Bernina, che con un gran balzo di 1100 m porta dal fondovalle alla splendida conca del lago Palù (pure raggiungibile in seggiovia da San Giuseppe), dopo la riqualificazione dei diversi impianti a partire dalla fine degli anni ’90, compresa la sostituzione della vecchia funivia con la modernissima “Snow Eagle” che con la sua cabina da 160 posti è la più grande d’Europa, Chiesa Valmalenco è andata sempre più affermandosi come stazione sciistica (grazie alla relativa vicinanza con Sondrio), anche a scapito dell’apripista Caspoggio che ha oggi chiuso i battenti. Non mancano infine le piste da fondo, sia sul fondovalle di Lanzada che nella conca del lago Palù, così come a San Giuseppe o nell’incantevole piana di Chiareggio. APRICA, LA “TASSA SULLA PIGRIZIA” Un tempo, al Palabione, si saliva faticosamente, sci in spalla o con le pelli di foca, per poi godersi la meritata discesa (quasi sempre una sola), fin giù alla piana dell’Aprica. Fu negli anni ’50 e ’60 (dopo una prima seggiovia pioniera del 1947) che anche lì arrivarono funivie, skilift e seggiovie, così che anche i più pigri, affrancati dalla fatica della salita, si lanciarono nel nuovo sport, su e giù a sazietà. Questi impianti, però, stentavano a smaltire le code, e così il professor Credaro, con sottile ironia, sottintese che fosse per gli sciatori «una specie di giusta tassa sulla pigrizia il freddo che prendono mentre aspettano il turno». Oggi ormai, con impianti completamente rinnovati (Palabione, Baradello e Magnolta) e abbigliamento termico d’avanguardia, le code non ci sono più, il freddo non lo si sente, e la tassa sulla pigrizia la si paga semmai in altro modo, ad esempio con l’affollamento delle piste. L’Aprica, che fu tra le stazioni sciistiche capostipite insieme a Bormio e a Madesimo, vide inizialmente convivere insieme allo sci alpino anche lo sci nordico, con il trofeo Valligiani o i campionati italiani di fondo che per ben tre volte negli anni ’50 si disputarono sulle sue piste; poi, dopo la prima edizione nel 1957 del trofeo Vanoni (che successivamente si tenne per ben 19 edizioni un po’ in tutte dagli anni '60 ad oggi 17 La storia dello sci Speciali L'attrezzatura da sci dei primi anni '60. Le piste non erano battute dal gatto delle nevi ma a scaletta e spesso piene di dossi e irregolarità (foto Fernando Fanoni - tratta dal volume Antonio Boscacci (a cura di), Cinquant'anni di fotografie in Valtellina. Dall'archivio Fernando Fanoni, CAI Valtellinese, Sondrio 1992). le località della provincia), l’Aprica si votò quasi interamente alla discesa, dapprima ospitando i campionati italiani assoluti di sci alpino nel 1960, seguiti da quelli del 1974 sulle piste del Palabione e del Baradello (dove nel frattempo era stata costruita una nuova cabinovia), poi mettendosi in luce a livello internazionale con Coppa Europa e Coppa del Mondo femminili, Coppa Europa maschile e World Series. L’Aprica è stata inoltre la prima località in Lombardia a ospitare la Coppa del Mondo di sci alpino femminile nel 1976 e maschile nel 1981. Su quelle piste crebbero, nel vivaio di giovani dello Sci Club Aprica (nato nel 1927), atleti di spicco come Umberto Corvi negli anni ’60 e Ivano Corvi negli anni ’80, seguiti nel decennio successivo da Erika Della Moretta e Max Polatti. L’Aprica, che a suo tempo aveva messo da parte lo sci di fondo (anche perché ormai l’ampia sella di valico era stata quasi completamente occupata da case e alberghi), lo ha recentemente riscoperto, proponendo agli appassionati le piste di pian Gembro e Trivigno sul versante solatio della valle di fronte al Palabione. TEGLIO, L’IMBARAZZO DELLA SCELTA Il professor Credaro, andando alla spigola per la Rezia minore2, giunto in quel di Teglio scrisse: «Se mi domandaste perché si va a Teglio, vi risponderei senza esitare: per vedere in un panorama maestoso tre quarti della Valtellina dalla "torre de li beli miri" oppure per mangiare i pizzoccheri. Ma se poi ancora mi chiedeste quale prevalga delle due attrattive, sarei molto imbarazzato a rispondere. A complicare le cose hanno fatto poi a Teglio una grande funivia che porta in alto verso il Combolo e apre a quella che era fino a ieri una villeggiatura di media quota anche le possibilità dell’alta montagna». Quella funivia, che inseriva anche la possibilità dello sci nell’imbarazzo dell’ipotetica scelta, era stata realizzata nel 1961 quando Teglio, non Discesa dal Masucco, nel comprensorio sciistico di Oga - San Colombano - Isolaccia (25 gennaio 2014, foto Giacomo Meneghello). 18 LE MONTAGNE DIVERTENTI Le piste della Costaccia a Livigno (5 marzo 2013, foto Giacomo Meneghello). 2 -Bruno Credaro, Rezia minore, Banca Piccolo Credito Valtellinese, 1961 Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI volendo esser tagliata fuori dai benefici del turismo invernale rispetto alle più importanti località della provincia, lanciò l’area sciistica di Prato Valentino; insieme ad uno skilift, restò in esercizio fino agli anni ’80, quando vennero entrambi sostituiti da più moderni impianti che salgono fino a m 2340 sulle pendici del monte Brione. Rimasti poi chiusi per sette anni, gli impianti sono stati riaperti nella stagione invernale 20122013. Certo, l’esposizione a sud può comportare problemi di innevamento delle piste, ma per contro permette di sciare sempre al sole su un versante panoramico senza pari. Se dunque dovessimo fare una scelta? Meglio un mix da assaporare a fondo e senza frenesia: prima una bella sciata a Prato Valentino, poi un buon piatto di pizzoccheri e infine una visita al paese di Teglio “città slow” con i suoi palazzi, la sua storia, i suoi panorami. BORMIO, MONTAGNE TERRIBILI PIENE SEMPRE DI NEVE «In testa alla Valtolina è la montagna di Bormi. Terribili piene sempre di neve; qui nasce ermellini». Già Leonardo da Vinci, nel Codice atlantico, evocava dunque per Bormio neve ed ermellini; “ermellini” che ritroviamo nell’omonima pista tra la Rocca e il Ciuk sulle pendici del Vallecetta, dove si svilupparono i primi impianti di sci del Bormiese. Risale al 1947 la prima seggiovia da Bormio al Ciuk, anzi “aerosciovia a seggiolini” com’era chiamata, un impianto piuttosto artigianale con piloni in legno un po’ traballanti, assemblato da un artigiano di Valfurva. L’ammorsamento dei seggiolini alla fune lasciava un po’ a desiderare, al punto che – come ricordava il dottor Rovaris – «tante volte i seggiolini scivolavano indietro e bisognava mettere avanti i piedi per fermarli ed evitare che ti venissero addosso». Un incidente mortale, nonché successivi scarrucolamenti della fune in sede di verifiche ministeriali portarono alla chiusura dell’impianto. «L’avvenire di Bormio come stazione invernale è legato all’attuazione della funivia», aveva preconizzato già anni addietro l’ingegner Lombardini, professore di matematica di tanti bormini. E la funivia BormioCiuk venne finalmente realizzata nel 1955, seguita nel 1961 dalla seggiovia Ciuk-La Rocca e dagli skilift Valbella, Laghetti e Zio Gen. Nei primi anni ’60 fu fondata la prima scuola nazionale di sci diretta da Gino Seghi; contemporaneamente, dalle ceneri dello Ski Club Bormiese sorto nel 1920, riprese vita lo Sci Club Bormio, che diede una carica di entusiasmo giovanile – per usare le parole di Rolly Marchi – a «quei tremendi maglioncini rossi che si vedono sfrecciare come bolidi sulle piste della Praimont, dei Laghetti, degli Ermellini, della Rocca, del Ciuk e quante altre ce ne sono, a capofitto fino a Bormio». E fra quei “tremendi maglioncini rossi” che si affermarono poi sulle nevi, vogliamo ricordare almeno il nome di Bruno Confortola detto “Ciondolino”, vincitore di un gran numero di gare fra cui il Trofeo Topolino 1965 nella categoria ragazzi. Le tante vittorie non gli fecero però montare la testa: «prima lo studio – affermò – e poi lo sci, oggi sciare è bello ma si deve studiare per l’avvenire». Divenne medico, senza tradire la passione per lo sci; ma a tradirlo fu invece proprio lo sci, quando una slavina nel vallone del Vallecetta se lo portò via ancora giovane. Lo Sci Club Bormio era agonismo, certo, ma anche divertimento. Trasferimenti in pullman sui luoghi delle gare (alle prime curve echeggiava sempre la richiesta “sachét!” per i più deboli di stomaco), una volta addirittura accompagnati dalla banda civica; quantunque poi la sera non sempre si fosse ligi alle raccomandazioni degli accompagnatori, fra le porte il giorno dopo tutti davano il meglio di sé. E visto che si parla dello Sci Club, vogliamo qui ricordare un’avventura accaduta al suo storico segretario, Piermarino Pedranzini. Era andato a sciare d’estate allo Stelvio, e aveva raggiunto il Cristallo con gli sci. Scendendo poi lungo la cresta verso il Sasso Rotondo, a un certo punto una cornice di neve su cui si era trovato inavvertitamente a passare, dagli anni '60 ad oggi 19 La storia dello sci Speciali Sopra le nuvole risalendo verso Bormio 3000 (30 gennaio 2012, foto Giacomo Meneghello). aveva ceduto sotto il suo peso, e lui era precipitato per una cinquantina di metri verso la val Zebrù, fermandosi a testa in giù grazie agli sci incastratisi in un canalino roccioso. Il suo primo pensiero, dopo aver realizzato di esser vivo ed incolume, andò ai suoi sci nuovi di zecca; e quando dall’alto gli calarono finalmente una corda per trarlo in salvo, prima fece recuperare gli sci, poi se stesso. Dal Sasso Rotondo, come nulla fosse accaduto, calzò nuovamente gli sci e ritornò allo Stelvio. Oggi Bormio, con un gran numero di impianti di risalita e una varietà di piste per tutti i gusti che vanno dai m 3000 della cima Bianca fino ai m 1200 del paese passando per Bormio 2000 (la gran parte in comune di Valdisotto), è una tra le più rinomate località sciistiche delle Alpi. Le sue piste, che fin da lunga data hanno ospitato competizioni internazionali come il trofeo Giacinto Sertorelli, hanno visto crescere sciatori di successo come i fratelli Aldo e Stefano Anzi, figli del Nani del Ciuk, Fernando e Renato Antonioli e, in anni più recenti, Franco e Luigi Colturi, Danilo Sbardellotto e Roberta Berbenni. Non si può infine dimenticare la figura genuina e carismatica di Oreste Peccedi, per lunghi anni allenatore della squadra nazionale di sci; «rispettare tutti, non temere nessuno»: con questo suo motto di saggezza montanara portò la “valanga azzurra” ai mille successi che conosciamo. Altre manifestazioni sciistiche di primissimo piano si sono tenute a Bormio negli ultimi decenni: le World Series nel 1977 e nel 1982, poi i Campionati del Mondo di sci alpino nel 1985 (in occasione dei quali venne realizzata la pista Stelvio), e l’edizione degli stessi del 2005 accompagnati da costosissimi investimenti, molti dei quali quantomeno discutibili e poco rispettosi del territorio. Lo skilift di Plaghera a Santa Caterina Valfurva (6 febbraio 2013, foto Giacomo Meneghello) SANTA CATERINA, UN ANGOLO DI PARADISO IN VALTELLINA? Gli impianti di Madesimo (19 febbraio 2011, foto Francesco Vaninetti). 20 LE MONTAGNE DIVERTENTI Gli impianti di Prato Valentivo corrono sulle solatie pendici meridionali del monte Brione (25 gennaio 2014, foto Beno). Primavera 2014 “Saures Wasser, künstlicher Schnee” – “acqua ferruginosa, neve artificiale” LE MONTAGNE DIVERTENTI – è il titolo delle pagine dedicate a Santa Caterina Valfurva da Ursula Bauer e Jürg Frischknecht, giornalisti di Zurigo, nel loro volume del 1997 Veltliner Fussreisen (A piedi in Valtellina). All’acqua forta della fonte, ricchezza di ieri, Santa Caterina (come altre località) ha voltato le spalle; alla neve invece, ricchezza (ma anche ubriacatura) di oggi, ha più che spalancato le porte, lanciandosi totalmente nello sviluppo del turismo invernale. La slittovia di Plaghera che ritroviamo in qualche vecchia cartolina è ormai preistoria rispetto agli impianti che man mano ne hanno preso il posto, da quelli dei primi anni ’60 della Società Montagne di Valfurva che raggiungevano Plaghera e successivamente la cresta del Sobretta, fino a quelli completamente rinnovati per le gare femminili dei Campionati del Mondo di sci alpino del 2005 (già ospitati nel 1985). Oggi una cabinovia in due tronchi ti porta rapidamente da Santa Caterina a Plaghera, e da lì alla valle dell’Alpe inondata di sole, offrendo una serie di piste e numerosi altri impianti un po’ per tutti i gusti. Su quelle piste si sono fatti le ossa – sulle orme vittoriose dei Compagnoni e Confortola che li hanno preceduti – i nuovi campioni forbaschi che si misero in luce in competizioni nazionali ed internazionali: Giuseppe Compagnoni e Tino Pietrogiovanna a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, seguiti negli anni ’80 e ’90 dalle stelle di Pietro Vitalini e soprattutto di Deborah Compagnoni. Quest’ultima, che ancora sedicenne nel 1987 aveva vinto i mondiali juniores di slalom gigante, chiuse la carriera con ben 6 medaglie d’oro tra Olimpiadi e Campionati del Mondo, oltre a 16 vittorie in Coppa del Mondo. Santa Caterina, non solo discesa. Vi è anche una bellissima pista da fondo che si snoda alle falde del Sobretta e del Tresero, ha ospitato i Campionati del Mondo di sci nordico del 1985, oltre a numerose gare di Coppa del Mondo; è lì che, sotto la guida di Benito Moriconi, si allenava Manuela Di Centa. Ma com’è Santa Caterina oggi? Intervistata da Franco Brevini, poco prima dei Mondiali 2005, Deborah Compagnoni affermava: “Il mio sogno è un paese senz’auto, una piccola Zermatt della Valtellina”. Chi va a sciare ricerca certamente l’ebbrezza sportiva, ma anche la bellezza dei luoghi e del paesaggio, un ambiente accogliente. Purtroppo, con le ferite inferte dagli ultimi mondiali e da una scarsa sensibilità ambientale (basti pensare a quel biglietto da visita costituito dall'inconcluso parcheggio multipiano e dall’impianto di teleriscaldamento sulla riva del Frodolfo all’ingresso del paese), la distanza da Zermatt si fa sempre più grande. Ma, forse, la rotta può essere almeno in parte corretta. E allora, perché non sperare che Santa Caterina torni ad essere – senza rinunciare ai benefici del turismo ma valorizzando in modo intelligente le risorse del luogo – quello che era considerato un tempo “un coin de paradis en Valteline” (un angolo di paradiso in Valtellina)? dagli anni '60 ad oggi 21 La storia dello sci Speciali OGA E ISOLACCIA, SULLE SPALLE DI SAN COLOMBANO Se è vero che San Colombano, da patrono dei motociclisti qual è, d’estate guarda con benevolenza giù dalla montagna cui ha dato il nome verso le due ruote che sfrecciano sulle strade di Livigno o dello Stelvio, è altrettanto vero che d’inverno – sarà per il colore della colomba che porta sulla spalla, candida come la neve – guarda giù con pari benevolenza verso gli sciatori che scodinzolano sulle piste di Oga o di Isolaccia. Un tempo, quando non c’erano che le pelli di foca, erano pochi quelli che salivano a raggiungere la cima o anche solo la chiesetta di San Colombano, per poi tuffarsi giù in val Lia verso Isolaccia. In seguito, quasi satelliti di Bormio 2000, sono sorti i primi impianti – gli skilift delle Motte e del Forte d’Oga – grazie ai quali ti potevi godere il sole fin dal primo mattino su piste un po’ meno affollate. Ma il San Colombano, dopo un po’, ha voluto affrancarsi dalla tutela di Bormio e così, con il rinnovo/ampliamento degli impianti di Oga in Valdisotto sul versante orientale e la realizzazione di quelli di Isolaccia in Valdidentro sul versante settentrionale, seggiovie e skilift tra loro collegati che salgono fini ai m 2550 del dosso le Pone, ha preso vita il comprensorio sciistico del San Colombano. Sciare lassù, soprattutto quando ti affacci sulla val Lia ad ammirare la nord della cima Piazzi, è un po’ come volare sulle ali della colomba bianca di San Colombano. A differenza di Oga, Isolaccia offre anche splendide piste da fondo, che si snodano nel fondovalle, costeggiano il Viola fra gli ontani, salgono fino alle Motte, per poi far ritorno attraverso boschi di abeti: vere piste da sogno dove si sono svolte numerose competizioni nazionali e internazionali. Notte di luna piena sulle piste di Pescegallo (10 gennaio 2012, foto Roberto Ganassa). Il Livrio e le piste da sci dello Stelvio (31 ottobre 2011, foto Giacomo Meneghello). LIVIGNO, OLTRE LO SPARTIACQUE Il freeride è l'ultima moda dello sci. Viene praticato utilizzando sci molto larghi e scendendo su tracciati di neve fresca dopo aver effettuato la salita sfruttando perlopiù gli impianti. In fotografia la guida alpina Giuliano Bordoni a Santa Caterina Valfurva (28 dicembre 2013, foto G.Meneghello). Potrebbe sembrare strano che lo sviluppo di Livigno quale stazione sciistica sia arrivato tardi rispetto ad altre località, ma non bisogna dimenticare l’isolamento in cui si trovava un tempo quell’alta valle (ragione della 22 LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 zona franca extradoganale), le cui acque non scendono verso l’Adriatico ma se ne vanno invece ben più lontano, ad alimentare addirittura il mar Nero. La strada di collegamento con Bormio fu costruita nel 1914; ma fu solo dal 1952 che divenne transitabile anche d’inverno. Rotto l’isolamento, già l’anno successivo Livigno realizzò il suo primo impianto di risalita, promosso dal Comitato Gare Livigno riadattando una struttura installata in precedenza a Montespluga. Non fu che l’inizio; con la costituzione della Livitur, nel dicembre del 1959 entrarono in funzione i due tronchi dello skilift Mottolino; nel contempo, su iniziativa di Ludovico Cusini e Stefano Sertorelli, nasceva la prima scuola di sci. Una pietra miliare nello sviluppo turistico e sciistico della valle fu l’apertura nel 1968 del tunnel della Drossa, al termine dei lavori della diga di Punt dal Gall, frutto di una visione lungimirante del sindaco Gianvittorio Vittadini; Livigno aprì le sue porte verso i paesi del centro Europa, così da poter essere agevolmente raggiunta anche d’inverno da frotte di stranieri. La neve generalmente a Livigno non manca, tant’è che il suo nome sembra derivi da labineus, “luogo soggetto a smottamenti e scorrimenti di neve”: toponimo sicuramente appropriato, se pensiamo all’inverno del 1951, quando a seguito di eccezionali nevicate una terribile valanga travolse le case del Doss facendo 7 vittime. Oggi sono state realizzate molte opere a difesa dalle valanghe, e quindi la neve è solo una benedizione per lo sci. Sci di discesa, certamente, con una trentina di modernissimi impianti (telecabine, seggiovie e skilift) e piste distribuiti sia sul monte della Neve sopra il passo d’Eira che sulla vetta Blesaccia, fino a m 2800, ma anche sci di fondo nel lunghissimo corridoio del fondovalle, percorso ogni anno a dicembre dalla Sgambeda, maratona internazionale F.I.S. di gran fondo: 42 km in stile libero. Livigno ha sfornato sciatrici e sciatori di grande livello come Daniela Zini, Giorgio Rocca (undici vittorie in Coppa del Mondo) e la fondista Marianna Longa. Nel 1975, inoltre, Livigno ha ospitato l’ottava Universiade invernale. PESCEGALLO, LE NEVI DEL BITTO Un tempo, in val Gerola, si cavava il ferro dalla montagna, poi si è incanalata l’acqua nelle condotte idroelettriche e ha cominciato a far capolino il turismo. Il Bitto lo si produceva da sempre, così come da sempre cadeva abbondante la neve. Proprio grazie a quest’ultima, alla bellezza dei luoghi e alla intraprendenza di alcune persone, nei primi anni ’60 si è sviluppata la piccola stazione sciistica di Pescegallo: una seggiovia e uno skilift (recentemente rimodernati), che permettono di salire fin nei pressi della bocchetta di Salmurano sui confini con la Bergamasca. Certo si tratta di un piccolo comprensorio che non può di sicuro competere con altre ben più note località sciistiche valtellinesi; per contro, la sua vicinanza con Morbegno ed il suo carattere semplice lo rendono attraente a chi cerca un luogo tranquillo in un contesto più raccolto e familiare. Sulle piste di Pescegallo, dove ogni anno si svolge il “Granprix Valgerola” di slalom gigante, sono cresciute le sorelle Elena e Irene Curtoni, entrate a far parte della squadra nazionale italiana di sci. Poco prima di Pescegallo, nella piana di Fenile, vi è invece una pista da fondo che corre lungo il torrente Bitto. Se allo sci si abbina una buona fetta di Bitto, di quello originale prodotto localmente (riconosciuto “Presidio Slow Food”), e si completa magari la giornata con un tuffo nell’ecomuseo della val Gerola e una visita alla camera picta di Sacco con l’affresco dell’homo salvadego, allora sarà certamente una giornata spesa bene. SCIARE D’ESTATE Neve, non solo d’inverno. Coi tanti ghiacciai che la natura ci ha regalato, sarebbe stato strano che nessuno pensasse di andarcisi a divertire anche d’estate con gli sci, prolungando così artificialmente la stagione invernale. Ed ecco che già degli anni ’30 si è cominciato a sciare d’estate allo Stelvio, sui ghiacciai del Livrio e del Cristallo; poi, a partire dagli anni ’50 sono sorti impianti e scuole di sci, una addirittura fregiatasi del titolo di dagli anni '60 ad oggi 23 La storia dello sci Speciali Giorgio Gemmi e Giuseppe Cederna: tandem su sci da fondo alla pista della Castellina a Sondrio (1985, foto archivio Giorgio Gemmi). “università dello sci”, nella cui struttura ricettiva Giuliana Pirovano Boerchio usava riservare una stanza espressamente per Dino Buzzati. Ancor oggi lo Stelvio, la più grande stazione di sci estivo d’Europa, è un richiamo per gli appassionati della neve ad ogni costo così come per le squadre agonistiche delle varie nazioni che quassù vengono ad allenarsi; e vi è addirittura una pista da fondo, che riporta alla mente la famosa “Staffetta dello Stelvio”. Ma si sciava, e si è sciato fino ad anni recenti, anche sul ghiacciaio del Cevedale, alla Casati, così come sotto il Bernina sul ghiacciaio di Scerscen, dove negli anni ’60 erano stati realizzati una strada sterrata di collegamento col fondovalle a San Giuseppe, un albergo-rifugio e uno skilift, il tutto abbandonato a inizio anni '903. INVITO ALLO SCI ALPINISMO Attrezzatura storica: a sx sci finlandesi da trattare con la pece per renderli scorrevoli e a dx gli Spalding a doppio attacco (foto G. Gemmi). Gara notturna di fondo ad inseguimento presso la pista della Castellina a Sondrio (dicembre 1985, foto Massimo Rossettini). 24 LE MONTAGNE DIVERTENTI STORIE DI FONDO (di Giorgio Gemmi) - Nel 1985 l’allora sindaco di Sondrio Alberto Frizziero e alcuni appassionati fondisti dei CAI avevano voluto realizzare, anche grazie alle abbondanti nevicate, un anello di fondo in località Castelletto dell’Adda sfruttando il tracciato di cross già esistente. Furono acquistate attrezzature per la neve artificiale e per tracciare i binari ma poi, arenatosi il progetto, sono state dimenticate nel deposito delle scuole in via Vanoni e mai più sfruttate. Tornando al 1985, si era vista una grande partecipazione e tanto entusiasmo attorno alla nuova pista di fondo del capoluogo. A Carnevale io e il mio amico Giuseppe Cederna abbiamo montato su un paio di sci costruiti a Gordona due coppie di attacchi e in quella guisa abbiamo girato in tandem sull’anello. Serviva grande coordinazione! L’idea, devo ammetterlo, era stata proprio di Giuseppe, atleta e appassionato di fondo scomparso il 31 marzo del 2001 cadendo in un crepaccio del Morteratsch. Tanti se lo ricordano per la simpatia, l’empatia, la continua voglia di crescere, il comunicare le esperienze, insegnare agli altri le cose che apprendeva. Io lo avevo conosciuto intorno agli anni '80 quando lavorava nel negozio "Omniasport" in via Vittorio Veneto a Sondrio; in seguito ci siamo ritrovati assieme sull’anello tracciato a Caiolo nella zona dove adesso c’è l’avio-superficie. Era una domenica del 1982 e si correva il famoso “Trofeo Morelli”. Entrambi ci eravamo iscritti sapendo di arrivare ultimi, ma per noi era bello partecipare gomito a gomito con i campioni. A una paio di chilometri dal traguardo eravamo insieme e Giuseppe, stremato, voleva ritirarsi; allora ho aperto il mio marsupio e ho estratto due cubetti di bresaola : «Prendine un po’ e vedrai che arriviamo a tagliare il traguardo!». E così fu. Da allora è iniziata una bella amicizia. Nelle sere d'inverno si andava a far fondo sulla nuova tangenziale di Sondrio, non ancora aperta al traffico, oppure, dopo le forti nevicate che capitavano nel capoluogo, si facevano due o tre ore di sciata in giro per la città! Giuseppe aveva anche stretto una forte amicizia con gli atleti della nazionale di sci di fondo e, grazie anche al commissario tecnico Vanoi, li invitava a partecipare alla gara di skiroll Sondrio – Triangia – Ligari. C’erano tutti i fondisti più importanti dell’epoca; ricordo che nell’ultima edizione era presente l’ex campione olimpionico Johann Mühlegg al quale cercavamo di insegnare il nostro dialetto. Ecco perché mi fa piacere ricordare di essere stato insieme a Giuseppe su quel paio di sci larghi 4 cm a divertirci e far divertire: per noi era sempre Carnevale, come quando andavamo in maschera in Engadina e facevamo piangere dal ridere le guardie di frontiera svizzere! Primavera 2014 Oltre alla discesa su piste spesso affollate dove magari nemmeno ti guardi intorno, preso dalla frenesia di sfruttare al massimo il giornaliero, oltre al fondo su anelli più o meno vari ma comunque sempre predisposti dalla mano dell’uomo, cos’altro ti può offrire lo sci? «È augurabile – scriveva Massimo Mila nel 1960 – che almeno qualcuno fra i baldi giovanotti che la domenica sfrecciano più o meno sicuri sulle piste battute e servite da mezzi meccanici di risalita, provi un bel giorno il desiderio di vedere che cosa c’è oltre quelle solite montagnole, e, modificato un poco il proprio equipaggiamento, fissate sotto gli sci le pelli di foca, cominci a inoltrarsi con le proprie forze nel magico scenario della montagna invernale. A risalire le valli dal mutevole paesaggio, facendo uso della propria intelligenza (o istinto?) per cercarsi i passaggi migliori. A buttarsi giù dall’altra parte di un colle per un lenzuolo immacolato, dove le code degli sci sollevano nuvole di neve polverosa a ogni curva ». Se lo sci di discesa, legato all’affrancamento dal lavoro della salita, può essere in un certo senso paragonato ad un prodotto industriale, è bello immaginare lo sci alpinismo come un prodotto artigianale, stretta3 - Vedi: Eliana e Nemo Canetta, Rifugio Entova Scerscen, LMD n.25 Estate 2013, pagg. 80-83 LE MONTAGNE DIVERTENTI mente legato alla creatività, sensibilità e curiosità di chi lo pratica. Certo, è necessaria un po’ più di preparazione, è richiesto un po’ più di sacrificio, ma la scoperta di itinerari fra i boschi, nelle valli, sulle cime lontani dall’affollamento delle piste, l’immergersi nella natura senza frenesia gustandosi ogni momento della giornata, saranno tali da appagare profondamente i suoi adepti: “glielo si legge negli occhi, nell’espressione del volto, nel colorito, nel modo di comportarsi, e tra loro infatti si riconoscono subito, come se fossero membri di una felice confraternita segreta”. Chi volesse accogliere l’invito di Mila, fra le montagne della Valtellina non ha che l’imbarazzo della scelta: pressoché dovunque vi sono itinerari ormai classici per lo sci alpinismo – in Valchiavenna, sulle Orobie, nel gruppo del Bernina o in quello dell’Ortles e nel Livignasco – proposti ed illustrati in una serie di guide (Dal Sempione allo Stelvio del CDA di Torino, la serie di Antonio Boscacci, le Orobie di Sugliani e addirittura il tedesco Skitouren Atlas), o se ne possono inventare di nuovi, magari partendo dalle stazioni sciistiche passate in rassegna. Lo sci alpinismo in Valtellina ebbe un notevole sviluppo soprattutto dagli anni ’70, grazie ai numerosi corsi e gite sociali organizzati dalle diverse sezioni del CAI; l’esperienza di una prima scuola promossa dalla Società Alpinistica Rezia nel 1969 venne ripresa dalla Sezione Valtellinese nel 1974, col primo corso di sci alpinismo diretto da Celso Ortelli, proseguito negli anni successivi sotto la guida di nomi illustri come Carlo Pedroni, Tullio Speckenhauser e Gianpietro Scherini, per non citarne che alcuni. In quegli anni Antonio Boscacci si rivelò grande trascinatore e promotore della disciplina, anche grazie alle sue guide, divenute presto testi sacri per chi pratica l'attività. Lo sci alpinismo si è poi sviluppato anche a livello agonistico con i rally, come quelli del Bernina e dell’OrtlesCevedale degli anni ’60 e successivi, e quelli più recenti della val Tartano, delle Orobie e dello Scalino. Mentre le competizioni di allora erano caratterizzate da prove di regolarità in salita e tempi cronometrati solo in discesa, inframmezzati da costruzione di igloo e discese con barelle d’emergenza, a partire dagli anni ’90 si è passati ad una maggior specializzazione e a un agonismo sempre più spinto (anche a seguito dell’evoluzione delle attrezzature), con gare di “Ski Alp” di livello internazionale come l’Alta Valtellina Ski Race, la Valtellina Orobie, la Valtartano Ski Alp e la Stralunata dell’Aprica. Dagli atleti di allora – fra i quali ci piace ricordare Giovanni Majori e Maurizio Zappa di Bormio che nel 1968, appena quattordicenni, sbaragliarono squadre ben più qualificate al rally della capanna Mautino –, passando per Adriano Greco e Fabio Meraldi, Graziano Boscacci e Ivan Murada della Polisportiva Albosaggia, si è giunti ai campioni di oggi... SCI RIPIDO Certamente lo sci ripido è una di quelle discipline che non arriverà mai a conoscere uno sviluppo di massa, specialmente per i grandi rischi che si corrono nel praticarla e la difficile preparazione fisica e psicologica che devono sostenere gli adepti. In Valtellina la branchia più pericolosa dello sci ripido, lo sci estremo, trova la sua massima espressione nell'attività svolta da Giancarlo Lenatti, il Bianco. Il Bianco, scrive Mario Sertori4, dopo aver setacciato come un cercatore d’oro ogni anfratto del Bernina alla volta di canali e pareti da domare con le assi ai piedi, scopre le pepite più scintillanti sulla montagna di casa, il monte Disgrazia: nel 1979 compie la prima discesa con gli sci della via degli Inglesi, poi alza ancora il tiro (o meglio l’inclinazione) e dopo numerose altre discese e un terrificante infortunio, realizza nel luglio del 1986 la linea mozzafiato della nord: un capolavoro al cardiopalma mai eguagliato5. Sull'eco di queste imprese, altri sciatori valtellinesi si sono cimentati con entusiasmo in discese ardite. L'ultima dell'elenco è la vertiginosa parete NE del Roseg vinta assi ai piedi da Bruno Mottini (2013). 4 - Beno e Mario Sertori, Le discese estreme del Bianco, LMD n.25 Estate 2010, pagg. 21-23 5 - 700 metri di parete ghiacciata con pendenze fino a 65° nella strozzatura centrale. dagli anni '60 ad oggi 25 La storia dello sci Speciali Adriano Greco e Giovanni Majori al trofeo Folgore del 1979. La gara del trofeo Folgore si svolge tuttora a Bormio e prevede che gli atleti siano legati in cordata. Si saliva nel bosco fuoripista e si scendeva in pista con arrivo alla vecchia funivia facendo anche il salto della strada per Piatta (non c'era ancora il sovrapasso)(foto archivio A. Greco). Fabio Meraldi (sx) e Adriano Greco (dx) alla prova di Coppa Europa di Mouveran in Svizzera (1994, foto archivio Adriano Greco). Sul ghiacciaio del pizzo Scalino durante il celebre rally del pizzo Scalino (inizio anni '90, foto archivio Nicola Giana). 1992, il ripido canale che dalla cima delle Pozze scende a Clevio, in val di Rezzalo (foto archivio Mario e Caterina Da Prada). 26 LE MONTAGNE DIVERTENTI In cima al monte Trela in una gita del corso di scialpinismo del CAI Valtellinese. Sulla dx è Camillo Della Vedova, forte alpinista e storico istruttore dei corsi della sezione (1991, foto Mauro Della Maddalena - archivio Nicola Giana). 1987: sci e attacchi di vent'anni fa (foto archivio M. e C. Da Prada). Primavera 2014 Foto di gruppo allo slalom gigante all'alpe San Giacomo ad Albosaggia organizzato dal CAI di Sondrio. La gara, che si è tenuta regolarmente tutti gli anni tra il '60 e il '70, era tracciata con pali di nocciolo. I partecipanti salivano a scaletta o sci in spalla (1969-70, foto archivio Cino Ortelli). Incidenti di percorso (primavera 1989, foto archivio M. e C. Da Prada). Piateda Alta. Ritrovo di scialpisnisti per una gita sulle Orobie quando non era cosa rara riuscire a partire sci ai piedi già da bassa quota (inverno 1986, foto archivio Nicola Giana). Il Bianco sulla parete N del Disgrazia: la più grande impresa di sci ripido sulle nostre montagne (4 luglio 1986, foto archivio G. Lenatti). Luisa Angelici all'uscita del canalone NO del pizzo di Coca si appresta a diventare la prima donna ad averlo sceso con gli sci (25 maggio 1986, foto Antonio Boscacci). LE MONTAGNE DIVERTENTI dagli anni '60 ad oggi 27 Speciali Francesca Martinelli e Roberta Pedranzini (a dx) (foto archivio Maurizio Torri). Lorenzo Holzknecht e Guido Giacomelli (a dx) (3 aprile 2011, foto archivio Maurizio Torri). Scialpinismo: gare e protagonisti Maurizio Torri o scialpinismo agonistico nella nostra L provincia è una disciplina dalla grande tradizione. Passato dalla formula rally a quella attuale di vera e propria gara, ha visto nel ruolo di traghettatori verso l’era moderna veri e propri campionissimi. Ci riferiamo a personaggi del calibro di Adriano Greco, Fabio Meraldi e “Chicco” Pedrini prima, Ivan Murada e Graziano Boscacci poi. Grazie alle loro gesta e ai loro successi, un numero sempre maggiore di proseliti è stato contagiato da questa passione. Numeri e livello, quindi, che nell’ultimo decennio hanno portato risultati agonistici importanti. Se gli agonisti tesserati in provincia sono circa 400, gli appassionati proprio non si contano. Ma non è tutto rose e fiori. 28 LE MONTAGNE DIVERTENTI A livello di gare, un tempo avevamo manifestazioni top che per vari motivi non sono più tali. Altro tasto dolente è il settore femminile che, declinando in ambito locale una problematica che affligge l’intero movimento, ci vede faticare nel trovare ricambi generazionali a due stratosferiche campionesse come Francesca Martinelli e Roberta Pedranzini. LE GARE Da sempre ottimamente organizzate e proposte su scenari da favola, l’Alta Valtellina Ski Race o la Valtellina Orobie erano famose in tutto il mondo tanto da essere state scelte in passato come tappa di Coppa del Mondo. Anzi, i feedback di atleti, tecnici e appassionati, le qualificavano sempre tra le migliori per livello organizzativo, spettacolarità di tracciati e calore del pubblico. Se la prima è sparita da ormai diversi anni, la seconda sta facendo i conti con budget gestionali sempre più tirati che contrastano con richieste federali che impongono standard mediatici e di investimento sempre più elevati. Ciò nonostante la grande passione dei bosàc' riesce a sopperire a tali gap proponendo ogni anno una competizione dalle discese mozzafiato. Una competizione che vale la pena di correre. A contorno di quelle che di fatto erano le punte di diamante del panorama scialpinistico provinciale, seguono manifestazioni, forse meno prestigiose, ma altrettanto bene organizzate come la Valtartano Ski Alp, la gara della val di Rezzalo e quella del pizzo Scalino. Se i circuiti vertical o locali come quello dell’Alta Valtellina risultano eccellenti per avvicinare i neofiti, la Stralunata dell’Aprica è un fiore all’occhiello che tutti ci invidiano. IL SETTORE GIOVANILE In ogni sport il ricambio generazionale è importante al fine di garantire Primavera 2014 continuità di risultati. Beh, in questo campo gli sci club della provincia stanno svolgendo un lavoro encomiabile. Alle spalle di uno squadrone come lo Sci Club Alta Valtellina, seguono a ruota Sondalo, Albosaggia, Tartano e Lanzada con un’attenzione ai ragazzi che li sta ripagando a suon di risultati. Prova ne sono le convocazioni agli ultimi campionati europei che hanno visto vestire la tutina azzurra ai nostri Luca Faifer, Nicolò Canclini, Pietro Canclini, Giulia Compagnoni e Giulia Murada. VALTELLINESI NELLA LEGGENDA Martinelli e Pedranzini Viso sorridente, fisico atletico, impiegata l’una, casalinga l’altra. Da una simile descrizione sembrerebbero le classiche ragazze della porta accanto; invece sono le indiscusse regine dello scialpinismo mondiale. Nate a Bormio e praticamente cresciute con gli sci ai piedi, Roberta Pedranzini e Francesca Martinelli in pochissimo tempo hanno vinto di tutto e di più. Azzardando un paragone calcistico, potremmo addirittura LE MONTAGNE DIVERTENTI dire che, nell’ambiente, hanno più tifosi della Juventus. In pochi anni di competizioni internazionali, vantano infatti un palmares irripetibile con diversi titoli mondiali, successi di coppa e record imbattibili a grandi classiche come Sellaronda, Pierra Menta, Tour du Rutor e Mezzalama. Un’unica competizione per loro è tabù: la Patrouille de Glaciers. Ma al di là dei risultati raggiunti, queste due campionesse sono l’emblema di questo sport. Con il loro sincronismo in gara rappresentano al meglio quello che vuol dire correre in coppia: sono due amiche con una sintonia incredibile. Tra loro un semplice sguardo vale più di mille parole. Giacomelli e Holzknecht A prima vista si direbbe che sono l’uno l’opposto dell’altro, e quindi una coppia male assortita. Un po’ alla Boscacci e Murada tanto per intenderci. Mai però farsi ingannare dalle apparenze. Insieme, infatti, hanno saputo dare spettacolo su palcoscenici di prim’ordine quali Pierra Menta e Adamello Ski raid. Insieme hanno dimostrando come il talento e la classe cristallina del primo, uniti alla razionalità e alla costanza del secondo, possano essere l’arma in più per potere vincere una super classica. Ora che il primo, alle prese con un annoso problema al ginocchio, è da troppo tempo lontano dalle gare che contano, il secondo si trova costretto a trovarsi un partner diverso a seconda degli appuntamenti. La speranza di tutti noi è però di rivedere questi due gladiatori battagliare fianco a fianco. Boscacci e Antonioli Il presente e futuro dello skialp sondriese è tutto qui, nel sorriso, nella semplicità e nella bravura di questi due ragazzi. Talenti di una grandezza quasi imbarazzante, sono entrati a fare parte del Cs Esercito di Courmayeur diventando professionisti a tutti gli effetti. Due alpini, due campioni, due appassionati di skialp, ma soprattutto due grandi amici. Miky e Robert sono la migliore cartolina e il migliore spot che questo sport possa avere. In un ambiente dove molto si parla di speranze olimpiche, beh la nostra è quella di vederli rappresentare l’Italia su un palcoscenico mondiale come quello a cinque cerchi. dagli anni '60 ad oggi 29 La storia dello sci Speciali 30 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI dagli anni '60 ad oggi 31 Speciali Antonio Boscacci la nascita dello scialpinismo moderno testi Luisa Angelici - foto archivio Antonio Boscacci “A tutti i miei amici a quelli che non lo sono più e a quelli che lo diventeranno” C on questa dedica si apre la guida di scialpinismo di Antonio Boscacci, Sci alpinismo nelle Orobie valtellinesi1, Bissoni editore, Sondrio 1982, stampato dalla tipografia Mevio Washington, la prima guida in assoluto di scialpinismo della nostra provincia: 50 itinerari e una trentina di varianti in tutte le valli delle Orobie, dalla val Lesina alla val Belviso. Non so se allora Antonio avrebbe immaginato che alcuni degli itinerari da lui descritti sarebbero diventati così classici da attirare ogni domenica pullman, dico, pullman di sciatori alpinisti. Mi riferisco a quelli della val Tartano o della val Gerola che vantano processioni domenicali da venerdì santo. Di certo Antonio alzerebbe le spalle, sosteneva che tutti devono avere la libertà di andare dove vogliono, in montagna, ma di certo lui si terrebbe lontano dagli affollamenti e andrebbe a cercare qualche posticino un po’ più appartato e nascosto. E sfogliando la sua guida delle Orobie del 1982 e quella successiva del 1991 si nota che di itinerari insoliti Val Lunga di Tartano (sullo sfondo l'alpe Arale), una delle celebri gite di gruppo organizzate da Antonio Boscacci: Angela, Giovanni, Paola, Cristina, Bruno, Daniela, Mirella, Cristina,LE Edo, Dario, Fritz, Fiorella (1979). 32 MONTAGNE DIVERTENTI 1 -Trovate questo e altri titoli di Antonio Boscacci su www.lemontagnedivertenti.com Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI e poco frequentati, anche oggi, ce ne sono davvero tanti. L’avventura di Antonio con gli sci è cominciata nel 1967, anno più, anno meno. Gli amici che allora lo accompagnavano ricordano ancora adesso le gite rocambolesche, fatte di notti passate sotto le stelle o in qualche baita puzzolente, di discese più lunghe delle salite per via delle attrezzature, veri e propri reperti archeologici, e per la scarsissima se non inesistente tecnica degli sciatori. Poi sono venuti gli anni ’80 e ’90 che hanno portato indubbi miglioramenti tecnologici. Antonio diceva che nella sua vita era stato perseguitato dalla curiosità. Curiosità di andare a vedere là dove altri non erano ancora andati a vedere, di scendere con gli sci in posti dove nessuno era mai stato, di aprire delle vie che altri non avevano ancora immaginato di poter fare. La sua curiosità e il piacere dell’avventura erano poi accompagnati da un gusto speciale per la sistematicità e l’analisi che lo portavano a percorrere le valli, le vallecole, le creste e le cime con grande meticolosità fino a che tutto il possibile non era stato fatto. E questo anche nello scialpinismo. Antonio aveva un senso raro per la neve, per la scelta dell’itinerario e della traccia di salita. Aveva intuito, preparazione, determinazione e fantasia e metteva tutto questo a disposizione degli amici. Vorrei concludere regalandovi queste parole che Antonio ha scritto per la guida di Scialpinismo in Valmalenco2: “Lo scialpinismo è un’arte, una scoperta, un sogno che deve essere vissuto con dolcezza, affinché il rapporto con la neve non si trasformi in aggressività. Se girandosi a guardare le proprie scie ci si accorgerà che un pezzo di quel mondo è entrato dentro a occupare una parte, anche piccola del nostro essere, allora il vivere diventerà meno difficile.” 2 - Guide scialpinistiche di Antonio Boscacci: Scialpinismo nelle Orobie Valtellinesi, Sondrio1982 Sci alpinismo in Valmalenco, ValMàsino, Valchiavenna, Zanichelli, Bologna 1983 Sci alpinismo in Alta Valtellina, Il Gabbiano, Cremnago, 1986 Orobie valtellinesi, un parco naturale per lo sci alpinismo, Albatros, Valmadrera 1991 Scialpinismo in Valtellina e Valchiavenna, Lyasis, Sondrio 1996 dagli anni '60 ad oggi 33 La storia dello sci Speciali Batute tratte dalle interviste che Beno ha fatto ad Antonio Boscacci per Radio TSN nei mesi di febbraio, marzo e aprile 2010 riguardo allo scialpinismo praticato in Valtellina dagli anni '60 ai primi anni '80. che avevano un altro inconveniente. Dovendo fissare questi laccetti con dei chiodi ribattini, dove c’era il ribattino che teneva tutta questa roba, la pelle si sfregava al punto tale che in pochissimo tempo si rovinava. Antonio - A proposito di scialpinismo avrei un sacco di aneddoti da raccontare. Un volta, andare al Meriggio, parlo di quando non c’era ancora la strada che va a Campelli, era una impresa non indifferente. Quel giorno, poteva essere una Domenica del 1967 o del 1968, io e un amico siamo partiti da Sondrio con la moto e con gli sci sulle spalle. Al Centro di Albosaggia abbiamo messo gli sci e siamo saliti a Campelli. Ricordo che ci siamo fermati a dormire in un baitocolo incredibile. Il giorno dopo ci siamo rimessi in cammino per raggiungere il Meriggio. Fino a quel punto tutto bene cioè, abbastanza bene. Quando siano arrivati sulla cima abbiamo tolto le pelli di foca che si usavano allora; la nostra idea era, dopo aver mangiato qualcosa, di scendere. Subito ci siamo resi conto che sotto gli sci si era formato uno zoccolo gigantesco che ci impediva di muoverci anche solo di un centimetro. Dimenticavo di dire che in quegli anni si usavano sci di legno e senza lamine! Come si può immaginare scendere è stato più difficile che salire. Praticamente ci abbiamo messo lo stesso tempo che avevamo impiegato in salita! Beno – Quando avete cominciato ad usare le pelli adesive? Beno - Come era la vostra prima attrezzatura? Antonio - A dir poco rudimentale. I primi sci da scialpinismo che ho usato erano sci militari, quelli usati dagli alpini. Anche gli attacchi risalivano alla guerra, quindi erano sci e attacchi militari. Il fondo dello sci era di legno, chiaramente senza nessun tipo di lamina di ferro sugli spigoli. Il piede non si muoveva come negli sci di scialpinismo di adesso. Per poter camminare con lo scarpone bloccato, avevamo adottato questa tecnica: lo scarpone era slacciato e lasciato molto largo. In questo 34 LE MONTAGNE DIVERTENTI Antonio – Verso la fine degli anni ’70, intendo intorno al 1977-1978. È stata indubbiamente una grande rivoluzione che ci ha semplificato la vita. All’inizio c’è stato il problema della colla. In ogni gita di scialpinismo c’era sempre qualcuno a cui si staccavano le pelli di foca. Non so se le colle non erano resistenti come quelle attuali o se, semplicemente gli sci alpinisti di allora, miei amici, pensavano che la colla durasse in eterno. Propendo per questo secondo motivo. Beno – A proposito degli scarponi? Pizzo Meriggio (1981). Da sx: Bruno Fanoni, Roberto Boscacci, Mirella Ghezzi, Giuliano Amonini. modo il piede poteva muoversi dentro lo scarpone e consentire allo sciatore alpinista di fare il passo. Quindi il movimento di avanzamento era dovuto al movimento del piede dentro allo scarpone che rimaneva rigidamente fissato allo sci. Beno – In che modo fissavate lo scarpone allo sci? Antonio – Lo scarpone si fissava allo sci normalmente con un pezzo di fil di ferro. Era il modo migliore perché non dava i problemi delle viti che in qualsiasi momento potevano uscire. Per anni sono andato in giro con un sacchetto di tela grigio contenente un bel pezzo di filo di ferro, un cacciavite, delle viti, cioè tutto ciò che poteva essere necessario per fare dei buchi dentro lo sci di legno e permetterci in qualche modo di continuare la salita e soprattutto di scendere. Beno – Quando sei passato ad un’attrezzatura migliore? Antonio – sono passato ad una attrezzatura migliore dopo una discesa dalla Corna di Mara. Quel giorno, ricordo, che siamo saliti in cima alla Corna di Mara. Già la salita era stata una cosa abbastanza lunga senza la strada che c’è oggi. Il bello però, doveva ancora venire. Quando abbiamo cominciato a scendere abbiamo capito subito che le cose sarebbero andate per le lunghe e infatti siamo arrivati alle Cavalline, dove adesso c’è il rifugio Gugiatti-Sartorelli, che erano già le due. Non si poteva che scendere mettendo gli sci diritti verso valle perché la neve nel frattempo era diventata una neve fangosa. Parto diritto sulla massima pendenza, faccio 50 Primavera 2014 metri in questa neve dove affondavo fino al ginocchio, mi impunto, faccio una piroetta e mi ritrovo 3 o 4 metri sotto, la testa nella neve, senza le calze e senza gli scarponi che erano rimasti solidamente attaccati agli sci. Da lì è cominciata la mia ricerca di un paio di sci e di un paio di attacchi che almeno lasciassero libero il tallone. Quando, più tardi, ho cominciato ad usare attacchi che permettevano di alzare un pochino il tacco dietro, tre o quattro centimetri, non di più, mi sono reso conto di aver fatto un bel passo avanti. Bisogna aspettare gli inizi degli anni ottanta per vedere importanti novità nel campo dello sci alpinismo. Mi riferisco alle ganasce, comparse in quegli anni, che tenevano la punta dello scarpone; niente a che vedere con gli attacchi di sicurezza o attacchini, arrivati negli anni ’90, ma sicuramente LE MONTAGNE DIVERTENTI una grande novità. Beno - Volevo chiederti: quando sono arrivate le pelli di foca? Antonio – Quando io ho cominciato a fare scialpinismo nella seconda metà degli anni ’60 si usavano le pelli di foca che usavano gli alpini. Quindi le pelli di foca militari sono state le prime pelli di foca ad arrivare nella nostra provincia e ad essere utilizzate. Le pelli si fissavano agli sci con dei laccetti; il guaio dei laccetti era che in salita, dopo tre o quattro volte al massimo si rompevano perché la lamina sfregava sui laccetti in continuazione. Ecco allora la necessità di avere sempre con sé del filo di ferro. Poi però, avendo capito questo, i militari avevano introdotto dei laccetti di metallo leggeri che erano molto più resistenti di quelli di prima, ma Antonio – Allora, quando ho cominciato, si usavano scarponi di cuoio da montagna che, non avendo una punta rigida, tendevano a uscire dal puntale con molta facilità, come si può ben immaginare. Per ovviare a questo inconveniente si ricorreva al solito filo di ferro, delle cui virtù ho già ampiamente parlato e che in questo caso serviva a fissare la punta dello scarpone allo sci. Beno – Si può immaginare che gli sci, in discesa, fossero piuttosto ballerini... Antonio – Dunque lo scialpinismo era fatto di salita, non si considerava neanche la discesa. Oggi uno che fa scialpinismo dice, faccio un po’ di fatica a salire, ma poi quando scendo… che bella sciata! Allora succedeva il contrario. Beno – Si saliva divertendosi con l’angoscia di dover scendere? Antonio – Ecco l’angoscia cominciava quando cominciava la discesa, perché oltre a tutti i problemi legati agli attacchi, agli sci e agli scarponi c’era il problema che nessuno sapeva sciare. dagli anni '60 ad oggi 35 Speciali Mietta Talanti una vita sugli sci Raffaele Occhi Ruttico gomme Dal 1967 ti aiuta a guidare sicuro PNEUMATICI PER AUTOVETTURA, MOTO, AUTOCARRI E AGRICOLTURA TAGLIANDI, MECCANICA, AMMORTIZZATORI E FRENI MOLLE E KIT SPORTIVI, DISTANZIALI E CERCHI IN LEGA RIPARAZIONE GOMME E CERCHI BILANCIATURA E CONVERGENZA ASSISTENZA SUL POSTO OFFICINA MOBILE CONVENZIONI CON LE MAGGIORI FLOTTE D’AUTONOLEGGIO Montagna in Valtellina (SO) fine tangenziale direzione Bormio tel 0342/215328 fax 0342/518609 e-mail [email protected] www.rutticogomme.191.it 36 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Mietta Talanti, ha 94 anni e abita a Carolo, frazione di Ponte in Valtellina. Ha sciato dal 1932 al 1997 (22 dagli febbraio 2014, anni '60foto ad Beno). oggi 37 La storia dello sci Speciali arguzia tutta toscana con cui mi intrattiene L’ affabilmente nella sua bella casa di Carolo, sembrerebbe quasi nascondere le sue origini valtellinesi. Mietta è nata a Castelnuovo Val di Cecina, vicino a Larderello (dove suo nonno Talanti aveva realizzato i primi impianti di sfruttamento dei soffioni boraciferi), e fino alla laurea in chimica, discussa sotto i bombardamenti del 1944, ha vissuto a Firenze. Tutte le vacanze, però, usava passarle a Sondrio dai nonni Buzzi; ed il legame con la terra d’origine materna è diventato nel tempo così forte che alla fine vi ha trovato lavoro come insegnante e vi si è poi accasata. Il nonno Camillo, uno dei tanti Buzzi, era fratello di Cechìn il direttore dell’ospedale di Sondrio, di Filippo il mastro di posta, e di Rinaldo il proprietario dell’albergo dei Forni; la nonna Noemi, invece, era sorella di Bruno Sala, che con Alfredo Corti aveva fatto la prima della direttissima al Bernina per il canalone sud. Con tali ascendenti, anche Mietta non poteva che essere quella persona straordinaria, e diciamo anche un po’ originale, che è. Lo sci è sempre stato la grande passione della sua vita; abbiamo fatto una lunga chiacchierata, e rievocando le sue nevi l’ho vista illuminarsi. Ne è scaturita questa sorta di intervista, riportata con pochi ritocchi e qualche arrangiamento nello stile fresco e immediato del racconto orale. Q uando hai cominciato a sciare? Pur vivendo a Firenze la prima sciata l’ho fatta allo Stelvio nel 1932, a 12 anni, con gli sci che mi aveva regalato lo zio Rinaldo, fratello del nonno. Erano gli sci di un ufficiale austro-ungarico, bottino di guerra che gli alpini avevano dato allo zio su ai Forni. Erano dei begli sci, neanche troppo lunghi, che andavano bene 38 LE MONTAGNE DIVERTENTI dappertutto. Non appena finivano le scuole si pigliava il treno per Sondrio dove si passava tutta l’estate dai nonni. E appena potevo andavo a sciare allo Stelvio. D’inverno invece, da Firenze si andava all’Abetone col pullman. La voglia di sciare era tanta, ci si alzava anche alle 3 o alle 4. Di neve quanta all’Abetone non ne ho mai più vista da nessuna parte; si capisce come mai vi siano cresciuti campioni come Zeno Colò o Celina Seghi! Le poche volte che ci si fermava a dormire, era proprio nell’albergo della Celina. In quegli anni ero una delle poche ragazze che andavano a sciare, c’era poca gente; lo sci non era ancora uno sport di massa e le piste non erano affollate come adesso. Certo che di fatica ne ho fatta tanta anch’io, perché prima che ci fossero gli impianti si saliva a piedi o con le pelli di foca e poi, una volta arrivati in cima, ci si lanciava giù, di solito una sola discesa, perché eravamo stanchi abbastanza. Gli sci dello zio Rinaldo li ho usati fino al 1940, poi sono andati persi durante la guerra, forse qualcuno ne avrà fatto legna da ardere. Quando però ho cominciato a sciare parecchio è stato dal 1944, dopo che mi sono insediata definitivamente in Valtellina. E fino al 1997, quando avevo 77 anni, non ho mai smesso di sciare, sempre col mio Renzo [Vairetti], sfruttando al massimo il tempo libero, un po’ in tutte le località dell’arco alpino, dalle Dolomiti al monte Bianco. Perfino in viaggio di nozze siamo andati a sciare! C hi ti ha inculcato la passione per lo sci? La prima ad avermi trasmesso la passione per lo sci fu sicuramente mia mamma Giulia [Buzzi], che era una gran sportiva. Ho in mente una sua vecchia foto che la ritrae tutta bardata sugli sci nel 1916, due lunghissimi bastoncini di bambù che le arrivavano alle spalle e un curioso abbigliamento; una signorina, allora, non poteva mica mettere degli scarponi come gli uomini, e allora aveva degli scarponcini un po’ più chiusi, credo avessero anche un po’ di tacco, poi pantaloni Palù (anni '80, archivio Mietta Talanti). alla zuava con gran sbuffi e calze nere di cotone fatte a mano, una ridicola giacca da uomo a doppiopetto con quattro bottoni e in testa un cappello Borsalino con tesa e nastro, trattenuto sotto il mento da un elastico. Se trovassi quella fotografia, troppo bella! Credo sia stata una delle prime ragazze valtellinesi a mettere gli sci. Le aveva insegnato a sciare un fratello della mia nonna Noemi, lo zio Bruno Sala, che era iscritto al CAI e aveva fatto anche delle prime ascensioni. Lui abitava a Bergamo, dove era direttore della Società del Gres, e aveva una figlia proprio negata per lo sport. A quei tempi le ragazze di buona famiglia erano un po’ sbiadite perché al massimo facevano ricamo, imparavano un po’ di francese e qualche nota di pianoforte, portavano un ombrellino per ripararsi dal sole, così quando mia mamma arrivò a Bergamo a insegnare educazione fisica lo zio, grande sciatore, fu entusiasta di questa bella ragazza piena di salute e la introdusse allo sci sulle piste di Schilpario. Quindi è stata la mamma, insieme allo zio Bruno, a trasmettermi la passione; i Buzzi, invece, non erano portati per lo sci. C hi ti ha insegnato a sciare? Quando ho cominciato a sciare non c’erano maestri di sci, ci si arrangiava, si acquisiva unicamente l’equilibrio e Primavera 2014 un po’ di coraggio, quelle doti che poi ho potuto perfezionare quando sono tornata in Valtellina nel 1944. A quel punto sì, avevo 24 anni, ho avuto un vero maestro, Bruno Angelini, quello della squadra nazionale di sci, ed è stato un vero insegnamento. Si andava all’Aprica, allora l’unico posto vicino dove c’era un impianto di risalita, o qualche volta a Ponte di Legno con un camion, seduti sul cassone coperto da un telone: ti puoi immaginare il freddo che si pativa, all’arrivo eravamo come dei baccalà, ma avevamo talmente voglia di sciare… Se uno non è appassionato dice che siamo dei cretini, a prendere quel freddo, e poi su, e giù, su, e giù... non può capire quanto è bello sciare. Quando si è acquisita abbastanza tecnica da dare quella sicurezza per cui non si ha più paura, sciare è come volare, è proprio come volare, bellissimo! Mi ricordo che una volta agli inizi di novembre c’era già neve sciabile all’Aprica, e avevo incontrato l’Angelini appena tornato dall’Austria che mi dice: “Adesso le insegno il nuovo stile austriaco”. E così credo di essere stata una delle prime ad aver imparato la tecnica di Toni Sailer, l’altobasso. Veramente credo di aver dato tutte le mie energie per lo sci. Ma a parte l’Angelini, devo dire che ho cominciato a sciare veramente bene quando ho conosciuto il mio Renzo e ci siamo fidanzati. Lui durante la guerra era scappato in Svizzera, ed era stato internato fra i civili a Mürren proprio sotto la Jungfrau, dove tra gli altri c’erano anche Zeno Colò, Roberto Lacedelli e altri sciatori. Per guadagnare qualcosa facevano servizio sulle piste andando a raccattare coi toboga quelli che si facevano male. Così, sciando sempre con Zeno Colò e con altri maestri di sci, anche il mio Renzo era diventato bravissimo, e quindi andando a sciare con lui avevo sempre da imparare. L’altro mio maestro è stato lo Stefano Sertorelli, che anche lui era stato internato in Svizzera a Mürren. Quando sono tornati in Italia, il Renzo l’aveva invitato qualche giorno qui a Ponte ed erano andati per asparagi selvatici; io l’ho conosciuto in quell’occasione. Siamo sempre stati LE MONTAGNE DIVERTENTI molto legati, lui ci ospitava spesso a casa sua a Bormio, poi lui veniva a trovarci a Ponte. Era bello andare in giro con lo Stefano, aveva sempre tante cose interessanti da raccontarti e organizzava le cose alla perfezione. Con lui s’andava a sciare quasi sempre a Santa Caterina, non è che amasse tanto Bormio, non so perché. Lo Stefano l’ho poi conosciuto ancor di più grazie ai Quadrio Curzio, ai quali lui era molto unito, e a cui pure io ero molto affezionata; infatti il Pericle, la Mariangiola, il Giovanni e l’Alberto erano stati miei scolari a Sondrio al liceo, e quando sono andati all’università siamo rimasti legati, tanto che qualche volta sono stata loro ospite nella villa di Bormio. Una volta con la Mariangiola e lo Stefano abbiamo fatto una settimana su al Livrio, in settembre. Il rifugio era già chiuso, ma ci avevano dato le chiavi; non c’era ancora la funivia e allora su a piedi dallo Stelvio. Si sciava dalla mattina alla sera. Mi ricordo che una volta eravamo andati fino al Cristallo, da dove si vedeva giù la val Zebrù; io ero ferma da una parte, la Mariangiola e lo Stefano da un’altra, quando lo Stefano mi urla: “Non si muova, non si muova!” Ero con gli sci proprio su una cornice di neve a sbalzo, e mi sono presa uno spavento! Mi ricordo che in quell’occasione, proprio sulla cresta, ho visto delle pernici bianche che erano una meraviglia. Lo Stefano era bravo, ti insegnava veramente bene, anche se mi ricordo che quando sbagliavi ti tirava di quelle racchettate nel sedere… A lle Tre Cime di Lavaredo Ti ho mai raccontato di quando sono andata alle Tre Cime di Lavaredo? È stato un giro bellissimo, che ti fa capire quant’era la mia passione per lo sci. Quando eravamo ancora fidanzati, il mio Renzo era militare al Brennero. Io l’avevo raggiunto per sciare con lui, quando gli diedero l’ordine di fare un sopralluogo al rifugio Longeres sotto le Tre Cime per organizzare un campo invernale. Insieme a lui, che era sottotenente, c’era il tenente Daz. Il Renzo mi fa: – Devo andare al rifugio Longeres col tenente. – Oh, gli rispondo, vengo anch’io con voi! Ti puoi immaginare, io sola con due uomini, partire a piedi da Sesto Pusteria e su, sci in spalla, sprofondando nella neve. Quando siamo arrivati in vista delle Tre Cime ho detto: – Renzo, io non ce la faccio più; allora lui ha tirato fuori dalla tasca un cioccolatino, me l’ha dato e con quello sono arrivata fino al rifugio. Faceva un gran freddo, abbiamo mangiato in qualche maniera; dopo, visto che c’era una bella luna, quei due disgraziati non si sono messi in mente di fare una sciata notturna? Io naturalmente non mi sono tirata indietro, e fino a mezzanotte su e giù per i pendii fuori dal rifugio. Al mattino, dopo una notte di gelo, siamo partiti per Cortina d’Ampezzo. Al lago di Misurina abbiamo visto un sacco di skilift a abbiamo voluto provarli tutti. Poi abbiamo iniziato la salita verso il passo Tre Croci, e cammina cammina, al passo non s’arrivava mai, quando ci siamo accorti che era almeno 300 metri sotto di noi. E allora giù con gli sci fino a Cortina. Siamo entrati in un bar, e ci siamo addormentati tutti e tre sul banco da tanto eravamo stanchi! E il viaggio di nozze con gli sci? Io e il Renzo ci siamo sposati nel 1950, una cerimonia molto semplice con pochi parenti, e in viaggio di nozze siamo andati a Cervinia a sciare, tutti i giorni su è giù dal Plateau Rosa. Dopo un po’, per non spendere lì tutti i nostri soldi, siamo passati a Courmayeur, era metà marzo e in fondovalle non c’era più molta neve, allora siamo saliti con la funivia al rifugio Torino. Eravamo soli io e il Renzo, e c’era un vento tremendo che faceva oscillare la cabina ora di qua ora di là, con le rocce vicine e certi uccellacci neri che ci giravano intorno. – Guarda, ho pensato, sono già pronti a mangiarci… ho preso una di quelle paure che non ho neanche guardato il panorama. A Courmayeur dopo un po’ ci siamo detti: ora cosa facciamo? E siamo partiti per andare in riviera a vedere la Milano-Sanremo. Puoi immaginarti, noi due vestiti da sci, valige in mano e sci in spalla in riva Mietta Talanti 39 La storia dello sci Speciali al mare a Sanremo! C’erano tutti gli addobbi lungo la strada, e allora ci siamo piazzati lì per veder passare i ciclisti, ma non arrivava nessuno. Abbiamo chiesto: – Ma quando passano? – Mi spiace, sono già passati ieri! A quel punto abbiamo preso il treno per Milano, dove abbiamo fatto il conto dei pochi soldi che ci erano rimasti, e abbiamo detto: cominciamo a comprare il biglietto per Sondrio, almeno quello ce l’abbiamo. Poi, siamo a Milano, vuoi non andare a teatro? A quel punto ci rimaneva ben poco, e per alloggiare ci siamo dovuti accontentare di una pensioncina lontana dalla stazione. Un posto da spavento, donne nude che giravano nei corridoi, lenzuola così sporche che siamo andati a letto vestiti. Al mattino il mio Renzo è corso in farmacia a comprare una bottiglia d’alcol, ci siamo disinfettati tutti e poi, via, sci in spalla e valige in mano, in giro per Milano, a piedi fino alla stazione. Pensa che quando siamo arrivati a Sondrio son dovuta andare dalla mia mamma a farmi dare i soldi per prendere il treno fino a Ponte! Capisci cosa vuol dire la passione per lo sci? Mi sembra proprio di essere stata una pioniera. D ove sciavi in Valtellina? In Valtellina ho sciato un po’ dappertutto, a Madesimo e Pescegallo, a Caspoggio e al Palù, perfino ai Campei sopra Albosaggia dove per un paio d’anni restò in funzione uno skilift con una bella pista; poi a Prato Valentino e all’Aprica, a Bormio, Livigno, Santa Caterina… Qualche volta ho fatto anche un po’ di fondo, nella valle di Poschiavo, a Santa Caterina o a Pian Gembro, però preferivo la discesa, il fondo non è che mi entusiasmasse. Appena sentivamo “odore” di nuovi impianti, io e il Renzo ci precipitavamo a provarli. Una volta, quando il Renzo lavorava alla diga di Frera, era appena stata costruita la seggiovia del Palabione, e visto che lo conoscevano ci avevano lasciati salire prima ancora che venisse collaudata; ma i seggiolini erano stati pitturati di minio e così, non ancora completamente asciutti, ci avevano lasciato i 40 LE MONTAGNE DIVERTENTI pantaloni e le giacche a vento a strisce arancioni, facendo oltretutto vedere che eravamo saliti come clandestini! L’Aprica però non mi piaceva tanto; era comodo arrivarci, ma era un posto freddo, senza sole, con le piste talmente strette che non riuscivi a combinare niente; in un punto, poi, doveva esserci sotto una sorgente, così diventava una lastra di ghiaccio. Mi ricordo che all’Aprica ho fatto la mia prima gara, ero agitatissima e mi dicevo: – Come farò? Come farò? E allora, da cretina, non mi sono presa dei tranquillanti? È stata comica, scendevo e dormivo; alcuni sui bordi della pista mi incitavano ma vedevano che ero come in trance, credo mi abbiano fatto anche un filmato… La seconda gara l’ho fatta a Santa Caterina, era uno slalom gigante e ho preso la coppa. Anche lì faceva freddo, come all’Aprica, però era più luminoso. E poi non mi sono mai piaciute le piste di Saint Moritz, erano tenute male, piene di gobbe; in confronto noi le piste le teniamo benissimo, lo dicono sempre tutti che le piste italiane sono le più belle. Il Palù invece, bisogna proprio dirlo, era un gran bel posto, un paradiso di sole con tante belle piste. Una volta però mi sono presa un bello spavento. Ero riuscita a portare su anche mio fratello, che non sapeva sciare, almeno per fargli vedere il posto. Poi abbiamo preso l’ovovia che porta al monte Motta. Ad un certo punto l’ovovia si è scarrucolata e ci siamo fermati esattamente nel punto in cui si vede giù Lanzada; ma il guaio è che mio fratello soffriva di vertigini! E la cabina che dondolava col vento, e lui che continuava a lamentarsi con gli occhi chiusi, e fumava una sigaretta via l’altra dalla paura: siamo rimasti così almeno mezz’ora, ma poi sono finalmente riusciti a liberarci. Per andare a sciare partivamo in macchina, guidavo sempre io perché il Renzo, che era un omone grande e grosso, era un distrattone. Quando lui era in giro per il mondo nei cantieri, allora venivano con me mio figlio Popi e un suo amico. La mia macchina, non mi ricordo se era una Topolino o una Cinquecento, era talmente vecchia che aveva addirittura un buco nel pianale da cui entrava la neve, ma il peggio è che il freno non funzionava! Finché s’era in salita, va bene, ma in discesa... mettevo dietro l’amico del Popi, un bestione grande a grosso, col freno a mano fra le gambe, e quando dicevo: – Frena! allora lui tirava la leva. Non mi è mai successo niente, te lo racconto tranquillamente, ma ero proprio un’incosciente, vedi cosa non facevo pur di andare a sciare! Che le mie macchine avessero problemi ai freni, chissà perché, era la regola. Dopo la Cinquecento avevo preso un “maggiolino” Volkswagen, mi ricordo ancora la targa SO 40826, eravamo andati a sciare allo Stelvio d’estate, io, il Renzo, il Popi e il suo amico; al ritorno, alla prima discesa il pedale del freno era andato a vuoto. E adesso, ho pensato, cosa facciamo? Lasciamo qui la macchina e torniamo a piedi? Il “maggiolino” aveva una seconda con un freno motore che era una meraviglia, e così ce l’abbiamo fatta a scendere a Bormio e a tornare a casa; l’unica preoccupazione è stata dopo Tirano, con un camion davanti che se frenava di colpo gli arrivavamo addosso, e pregavo il Signore che facesse qualcosa… e deve avermi ascoltato, visto che dopo un po’ il camion ha svoltato a destra, lasciandoci la strada libera! Come vedi, anch’io ne combinavo delle belle. Ho guidato più di cinquant’anni, anche con quelle macchine senza freni, ma non ho mai avuto il minimo incidente. Ero un po’ incosciente, ma mi è sempre andata bene. E sugli sci ti è mai successo niente? Solo un paio di volte mi sono davvero spaventata sugli sci. La prima a Bormio, scendevo dal Duemila e sono caduta; ho iniziato a scivolare all’indietro e a testa in giù senza riuscire a fermarmi e senza sapere dove sarei andata a finire, potevo andare a sbattere contro un sasso e fare la fine di Schumacher. Un’altra volta, a Selva Val Gardena sono finita fuori pista in neve fresca a testa in giù. Cercavo di rialzarmi, ma non ci riuscivo assolutamente perché non trovavo alcun appoggio per sollevarmi; guarda che è tremendo, mi sembrava di soffocare, Primavera 2014 ero sola in mezzo a un bosco e mi son detta: qui ci lascio la pelle, e invece ce l’ho fatta! Gravi incidenti per fortuna non ne ho mai avuti, anche se mi sono fatta male un paio di volte. La prima, pensa tu, ero ferma sugli sci, mi hanno chiamata e girandomi mi sono strappata un tendine. La seconda, invece, ero a Caspoggio. Dopo una curva, d’improvviso, mi sono trovata davanti un bambino con uno di quegli aggeggi di plastica che mettono sotto il sedere per scivolare, e per non investirlo mi sono buttata di lato; una racchetta mi è entrata nel fianco, e devo essermi rotta una costola. Mi faceva male, ma non sono mica andata dal medico, mi dicevo: – È un male di salute, e così la costola dev’essersi saldata da sola, tant’è che ancora adesso la sento che sporge… L’unico errore che ho fatto nella mia vita di sciatrice è che ho sempre sciato senza occhiali da sole, così mi sono rovinata la vista; mi ricordo una volta di ritorno dallo Stelvio che avevo gli occhi tutti gonfi, sciare allo Stelvio senza occhiali era davvero da incoscienti. Del resto, io sono sempre stata un po’ incosciente... Sulle montagne dello Stelvio (anni '60, archivio Mietta Talanti). Q uando hai sciato l’ultima volta? L’ultima sciata l’ho fatta a Prato Valentino, nel 1997, quando avevo 77 anni. È stato bello. Eravamo io e il Renzo, non c’era nessuno perché era un giorno feriale, e anche perché il posto non era molto conosciuto, aveva una pista troppo corta che non facevi in tempo a salire che eri già di nuovo in fondo. Il Renzo aveva preso male il piattello dello skilift ed era caduto. L’unica persona che c’era, abbiamo scoperto dopo che era un maestro di sci, nel vederci doveva aver pensato: ma che imbranati questi due, il vecchietto che cade addirittura sullo skilift. Come faranno poi a scendere, sono degli incoscienti, e allora ci aveva seguiti. All’inizio della discesa ci dice: – Io vado avanti, voi seguitemi e vedrete che va tutto bene. Ma quando poi ci ha visti sciare ha dovuto ricredersi, e alla fine ci ha fatto i complimenti. LE MONTAGNE DIVERTENTI Caspoggio (1970, archivio Mietta Talanti). L'ultima sciata a Prato Valentino (1997, archivio Mietta Talanti). Mietta Talanti 41 Speciali Sondrio - carnevale 1898 Grosio: La notte con la Bruna S Sai dirci in che zona della città di 1898 Il sta sfilando il carnevale dell'anno ritratto nell'immagine sopra? più veloce dalle ore personalizzato La Sondrio 21:00 del 2 aprile 2014 riceverà uno zaino tecnico Le Montagne Divertenti. soluzione va data con argomentazioni adeguate. Scrivi la tua risposta su www.lemontagnedivertenti.com/concorsi/ 42 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 abato 26 aprile 2014, presso il Campo Fiera di Grosio, a partire dalle ore 18, sarà possibile partecipare all’evento zootecnico-folkloristico dell’anno: “La notte con la Bruna”. Tutte le mucche brune del mandamento di Tirano sfileranno sotto le stelle del cielo di Grosio e daranno vita ad una serata di divertimento, di cucina tipica e di tanta buona musica. La tradizionale manifestazione, da sempre organizzata dall’Associazione Provinciale Allevatori di Sondrio, quest’anno viene presentata in una veste completamente nuova e molto più coinvolgente. Protagonisti dell’evento saranno naturalmente i giovani allevatori con le loro mucche, ma anche il gruppo musicale “I Fiati di Grosio”, nel costume tipico grosino, i cuochi volontari della Pro Loco, gli Alpini e i cavalieri di Grosio. Una grande festa che sarà apprezzata dai tutti coloro che amano la cultura e la tradizione contadina, che sentono profondamente il legame col passato. Il connubio tra il mondo zootecnico, rappresentato dagli allevatori, e LE MONTAGNE DIVERTENTI le numerose associazioni presenti alla manifestazione, servirà ad avvicinare il produttore al consumatore. Presso l’area fiera sarà allestita una mostra-mercato con i prodotti tipici ed artigianali del settore agroalimentare. Sarà possibile assistere alla mungitura e alla lavorazione del latte da parte di due maestri casari. Non mancheranno spazi ricreativi per i più piccini e un’area dedicata alla cultura grosina. La manifestazione è patrocinata dall’Amministrazione Comunale di Grosio e sostenuta da numerosi enti locali, nonché da sponsor privati. I visitatori riceveranno il catalogo della mostra bovina che contiene un testo turistico-culturale dedicato agli abitanti di Grosio scritto da Angela Iemoli. NOTE DI ANGELA IEMOLI, PERITO AGRARIO Il settore dell’allevamento e dell’agricoltura nel corso della storia ha sempre dimostrato di essere il pilastro più solido di un sistema economicoproduttivo, l’ossigeno in grado di far ripartire un’economia in grave crisi come è quella che stiamo vivendo. Forse anche oggi è da lì che si può ripartire, dando credito alle imprese familiari, auspicando un ritorno alla terra, inteso come cura del territorio, valorizzazione delle attività che ad essa sono legate: l’allevamento e l’agricoltura. Ho voluto dare un contributo al catalogo della Mostra, raccontando la bellezza di Grosio e del suo territorio. E l’ho fatto, sia documentandomi, sia ascoltando le testimonianze e i racconti di alcune persone che ho conosciuto. Vorrei che il testo fosse letto come un tributo a Grosio e alla sua gente. Mia intenzione era di raccontare ciò che si prova respirando l'aria della val Grosina, odorando il fieno raccolto ai piedi delle pendici del Mortirolo, assaporando un curnàt ancora caldo intriso nel latte appena munto, ascoltando il suono alto delle campane della chiesa di San Giuseppe, stringendo le mani forti, rugose e tremanti di una donna che fu ragazza in val Grosina, poi madre tra monte e paese e ora nonna nella Grosio di oggi. Eventi 43 Rubriche Il Grand Tour della Valtellina Testi e foto Simone Panizza, Andrea Besseghini e Daniele Moncecchi Al passo di Campagneda con alcuni familiari, compagni di viaggio durante l’ultima tappa (23 luglio 2013). L'idea Daniele – Era una noiosa mattina autunnale. Ero rinchiuso dentro la scuola da ormai due mesi e la stagione delle camminate in montagna, nonostante il sole ancora caldo, era finita con la prima neve. Ma rimaneva intatta la voglia di vagar per le montagne, che mi induceva a pensare a quali cime mi sarebbe piaciuto salire fra primavera ed estate, a quali passeggiate avrei voluto organizzare con i miei amici e i miei familiari, pensando anche ai luoghi dove ero già stato e a quelli che ancora non conoscevo… 44 LE MONTAGNE DIVERTENTI Come un fulmine, ecco un'idea: un trekking lungo i confini della Valtellina! Dimenticati i progetti di vette e mete singole, ho preso un foglio per scrivere un possibile tracciato. Ma da dove partire? Quasi subito ho pensato alla basilica della Madonna di Tirano, perché abbastanza vicina a casa, perché l’Alta Valle era la zona che avremmo trovato più familiare e perché una preghierina alla partenza forse ci avrebbe aiutato. Quindi, una volta decisi la partenza e il senso di percorrenza, ho iniziato a pensare alle valli, ai paesi, ai passi e ai rifugi che avremmo incontrato, rimanendo il più vicino possibile ai confini della valle. In men che non si dica avevo riempito un foglio intero di appunti. “Driiiiin!”, per quel giorno la scuola era finita. Mi sono incamminato come sempre verso il treno, ma con la testa da tutt’altra parte. Una volta raggiunti gli abituali compagni di viaggio ho raccontato in ogni minimo particolare ciò a cui avevo pensato quella mattina. L’entuPrimavera 2014 siasmo che ho visto anche in loro mi ha convinto ancora di più. Assieme all’entusiasmo però hanno cominciato ad arrivare i dubbi e i problemi, ma per qualche settimana non ho detto più niente ad altri, anche se il pensiero si era fissato nella mente. La prima, fondamentale, questione da risolvere era: con chi andare? Ho pensato a lungo a qualcuno che avrebbe potuto accettare una simile proposta, qualcuno con cui sarei andato sicuramente d’accordo e che poteva già avere una certa esperienza in montagna. Ma chi avrebbe mai accettato? LE MONTAGNE DIVERTENTI La proposta Puscio – L'idea è stata del Moncecchi. La proposta è arrivata così, come per gioco, come un’avventura da fare in futuro, da grandi, da esperti. Invece, col passare delle settimane ho capito che non stava scherzando. Non sapevo ancora se il progetto fosse veramente fattibile, da organizzare e da portare a termine, ma accettai di partecipare. Informai i miei genitori riguardo l’idea di passare una ventina di giorni in montagna. Mi aspettavo una risposta "da genitore": e se vi fate male? Ma andate da soli? Non potete farlo fra qualche anno? Con mio stupore si dimostrarono da subito d’accordo e disposti a collaborare. Cominciammo a trovarci per decidere il percorso, la durata e cosa portare. Ad ogni incontro avevamo con noi nuovi consigli e critiche ricevuti da conoscenti e amici e apportavamo le dovute modifiche al programma. Per ogni problema che risolvevamo ne spuntava uno nuovo, ma l’organizzazione diventava sempre più completa. L’idea si stava trasformando in realtà. Guardando le tappe, chilometri e dislivelli non mi sentivo del tutto pronto, Il Grand Tour della Valtellina 45 Avventure Rubriche Daniele, Andrea e Simone alla basilica della Madonna di Tirano, punto di partenza e di arrivo del loro trekking (7 luglio 2013). né fisicamente né mentalmente. I "se" e i "ma" si son fatti sentire più volte nella mia testa, ma ormai non potevo (né volevo) tornare indietro. Simone – La scorsa estate, dopo quasi un anno di attesa, il nostro sogno si è avverato. Ero consapevole della sua portata e delle difficoltà che avrei e che avremmo potuto trovare, ma ci ho creduto fin dal primo momento. I mesi che hanno preceduto la partenza sono stati piuttosto faticosi, a causa dell’imminente maturità e anche un po' per la grande voglia di affrontare questa avventura. Ma il giorno della partenza tutta la tensione accumulata è svanita in un batter d’occhio e si è trasformata in pura adrenalina. Ci siamo incamminati senza sapere realmente tutto quello che ci aspettava. Daniele aveva studiato il percorso alla perfezione, ma per noi una buona parte dell'itinerario risultava sconosciuto: cosa assolutamente gradita, perché ci 46 LE MONTAGNE DIVERTENTI permetteva di vivere ogni momento con più meraviglia ed emozione. Nei primi giorni il fisico ha retto molto bene, nonostante gli sforzi prolungati, ma via via che le giornate passavano, anche se l’allenamento cresceva, le tappe diventavano sempre più provanti. Allo stesso tempo però, arrivati a sera e ripensando al tragitto percorso durante il giorno, la soddisfazione era sempre maggiore. La cosa importante era tenere la mente libera e allontanare le sensazioni di stanchezza. La preparazione Daniele – Alle porte della primavera avevamo già delineato l'impianto generale del trekking e stabilito la squadra: Simone Panizza, 19 anni di Bianzone, Andrea Besseghini (detto Puscio), 18 anni di Grosio, e io, Daniele Moncecchi, 18 anni di Tresenda. La tecnica del convincimento con largo anticipo (detta anche assillamento) iniziava a dare i suoi frutti e con l’arrivo della primavera abbiamo cominciato a trovarci per definire i dettagli di viaggio. Alcuni pomeriggi a Sondrio dopo la scuola e altre sere a Tirano, nella sede del CAI, senza contare i discorsi sul treno e a scuola, che volgevano sempre allo stesso argomento. Un prezioso aiuto nella fase organizzativa ci è stato dato da Luca Panizza, il papà di Simone, che durante le serate passate a Tirano ci ha sostenuto con numerosi consigli, aiutandoci a risolvere gli interrogativi su cibo, vestiti, attrezzatura, soldi necessari e periodo migliore. Il problema cibo era stato risolto organizzando delle scorte di barrette energetiche, pane secco, bresaola, grana, salami e molte altre cose che ci sarebbero state portate in alcuni punti lungo il tragitto. Le colazioni e le cene, ad eccezione di un paio, che avremmo passato nei bivacchi, le avremmo consumate nei rifugi. Primavera 2014 In alto: il Disgrazia e l’alta val di Mello ancora innevata visti dal passo Cameraccio. In centro: Daniele e Simone sospesi su puff d'erba nei pressi del pian del Lach in val Grosina (8 luglio 2013). In basso: attraversamento della statale nei pressi di Dubino (18 luglio 2013). In alto: sul ripido canale che conduce al Cameraccio, lungo il sentiero Roma (20 luglio 2013). In centro: mondi capovolti in val Codera (19 luglio 2013). In basso: su un balcone panoramico verso il bivacco Linge (11 luglio 2013). Anche per i vestiti avevamo previsto alcuni punti in cui avremmo potuto recuperare indumenti puliti e lasciare quelli sporchi. Avevamo deciso di portare con noi non più di 400 euro, che ci sarebbero serviti per comprare rifornimenti e per pagare i rifugi. Infine, l’ultimo ma il più semplice dei problemi, era quello del periodo. Non avevamo fissato una precisa data, ma saremmo partiti al termine degli esami di maturità di Simone, quindi all’inizio di luglio. L’idea iniziale di percorrere l'intero confine della Valtellina era svanita col passare del tempo. Avrebbe richiesto troppo tempo e data la nostra totale inesperienza in camminate di più di tre giorni abbiamo scelto di ridurre il percorso e di eliminare alcune tappe: certo, questo ha minato la completezza del nostro tour, ma ci ha permesso di arrivare in forze sino alla fine del trekking. LE MONTAGNE DIVERTENTI Il percorso L'idea originaria era stata quella di seguire il più strettamente possibile il confine della provincia di Sondrio, circumnavigando tutta la Valtellina e la Valchiavenna. Alla fine abbiamo dovuto ridurre il percorso alla sola Valtellina: in estrema sintesi, dalla Madonna di Tirano abbiamo risalito l’Alta Valle, quindi percorso interamente le Orobie, per toccare il lago di Como e ritornare attraverso le Retiche. 420 chilometri di sviluppo e 23000 metri di dislivello, conclusi in 17 giorni. In alto: veduta del canale dal passo del Barbacan (19 luglio 2013). In centro: salita verso il passo di Valsecca immersi nella nebbia (16 luglio 2013). In basso: giunto al rifugio Bosio, Puscio non sente più le gambe (21 luglio 2013). Gli incontri Daniele – Durante questo trekking, e in particolare nei rifugi, abbiamo avuto la fortuna di incontrare molte persone con cui passare delle bellissime serate. Già le prime tappe sono state allietate dai racconti delle esperienze vissute tra i monti di alcune persone, come quelle del mitico Nicolino (papà di Puscio) e del grandissimo atleta Adriano Greco, incontrato al rifugio Valgoi, da lui gestito. La quinta tappa ci ha riservato delle bellissime sorprese come gli incontri al rifugio Berni con un simpaticissimo motociclista inglese e con i rifugisti. L’incontro che più ci ha arricchito è stato quello più inaspettato: il nostro programma prevedeva di fermarsi al bivacco Linge, ma valutata la situazione del nevaio al passo di Pietra Rossa Il Grand Tour della Valtellina 47 Avventure Rubriche Andrea, Daniele e Simone in compagnia presso il rifugio Baroni al Brunone (15 luglio 2013). (sarebbe stato difficile affrontare il nevaio ghiacciato la mattina successiva) ci è sembrato più opportuno continuare fino al bivacco Occhi in val Grande. Dopo più di 25 chilometri, ormai in vista del bivacco, quando la nostra mente assaporava già una tranquilla serata di riposo, ci siamo accorti che nei pressi del bivacco c’erano moltissimi bambini. Le nostre speranze cominciavano a svanire e sono scomparse definitivamente alla notizia che anche loro si sarebbero fermati per la notte. Per fortuna le nostre preoccupazioni si sono trasformate nella gioia di una serata in compagnia, tanto bella che abbiamo provato molto dispiacere nel salutare tutti i bambini la mattina successiva. La settima tappa l’abbiamo condivisa con mia sorella Elisabetta che ci ha raggiunti al rifugio Antonioli la mattina presto. A Trivigno ci hanno accolto i genitori di Simone con un abbondantissimo pranzo, seguito da un pomeriggio di relax con alcuni familiari e amici, tra cui il nonno di Simone, William. E durante la tappa successiva siamo stati accompagnati per un buon tratto da Carlotta, un’amica di Grosio. Le serate sulle Orobie ci hanno riservato altrettante sorprese ed emozioni, partendo dalla grande ospitalità e generosità dei rifugisti del Curò. Il giorno seguente, al rifugio Brunone, abbiamo conosciuto i giovani gestori e una 48 LE MONTAGNE DIVERTENTI Andrea, Daniele e Simone con i gestori del rifugio Curò, in alta val Seriana (14 luglio 2013) simpatica coppia di olandesi con cui abbiamo condiviso cena, serata e molte risate. Un ringraziamento va anche al gestore del rifugio Salmurano in val Gerola, che dopo una mattinata sotto l’acqua, 25 chilometri di cammino e un paio d'ore perse tra rocce e rododendri, ci ha accolto con grandi cerimonie nel suo rifugio, ci ha prenotato dei posti al rifugio Trona Soliva e ci ha indicato la strada per raggiungerlo. Per uno di quegli strani giochi del destino, alla guida della macchina che l'indomani si è fermata per lasciarci passare quando abbiamo dovuto attraversare la statale nei pressi di Delebio c'era di nuovo il gestore del rifugio Salmurano! Tornati sul versante retico le sorprese non sono finite: a seguito di alcune difficoltà lungo il sentiero Roma siamo dovuti scendere a valle fino a Cataeggio, dove un gruppo di animatori di Grosio, che erano lì per preparare un campo estivo con l’oratorio, ci hanno accolto calorosamente regalandoci una serata indimenticabile. Infine, in vari punti, ci hanno scortati i nostri amici e familiari, per rifornirci del necessario e per tenerci compagnia in questa avventura. E così la noia non ci ha mai raggiunti: anche quando eravamo soli e il percorso era un po' monotono sapevamo sempre come tenerci compagnia a vicenda. Come sulla decauville di Cancano, tutta a curve e senza nemmeno un metro di salita o discesa… Le torri di Fraele non si avvicinavano più! Per passare il tempo abbiamo iniziato prima a fischiare e canticchiare, e poi a cantare a gran voce canzoni di ogni genere; dei ciclisti che ci sorpassavano ci accorgevamo sempre troppo tardi, e regalavamo loro uno splendido concerto. I problemi Puscio - Il rischio più rilevante, nei primi giorni di trekking, era quella di sovraccaricare le proprie gambe e prendersi dolorosi crampi. Era un’ipotesi possibile dato che non avevamo mai fatto trekking così lunghi e, pur essendo baldi giovani, eravamo consapevoli di non avere a disposizione energie infinite. Da subito abbiamo tenuto un passo tranquillo, evitando fatiche inutili. Più volte poi abbiamo incontrato neve lungo il percorso: meglio allora procedere con cautela sperando di non trovare ostacoli e stando attenti a non farci male, oppure allungare (anche di molto) il percorso sprecando tempo e energie? Quando si presentavano questi bivi ci fermavamo, ne approfittavamo per mangiare qualcosa, consultavamo la cartina e prendevamo una decisione. Sono stati tanti i minuti passati ad ascoltare, come nei cartoni animati, Primavera 2014 La buona compagnia di un gruppo bambini incontrato presso il bivacco Saverio Occhi in val Grande (10 luglio 2013). Una serata con i ragazzi di Grosio a Cataeggio (20 luglio 2013). Tappa km D+ D- Tempo Itinerario 1 20.5 2100 900 7:00 Madonna di Tirano – Baruffini – rifugio Schiazzera – passo Schiazzera – Gasperini 2 23.5 1800 1200 9:00 Gasperini – Malghera – passo di Vermolera – passo Dosdè – rifugio Valgoi 3 24.5 100 1000 4:30 rifugio Valgoi – Arnoga – decauville Cancano – Isolaccia – Bormio 4 14.0 900 200 3:30 Bormio – San Nicolò – ponte dei Sospiri – Santa Caterina 5 25.5 2000 1700 7:00 Santa Caterina – rifugio Berni – passo di Gavia – bivacco Linge – passo di Pietra Rossa – bivacco Occhi 6 16.5 600 800 4:30 bivacco Occhi – val Bighera – passo monte Pagano – rifugio Antonioli 7 15.5 400 450 3:30 rifugio Antonioli – Guspessa – Tredicesima – Trivigno 8 36.0 1700 1550 10:00 Trivigno – monte Belvedere – Aprica – diga di Ganda – lago Belviso – passo Pila – rifugio Curò 9 16.0 1600 1200 7:30 rifugio Curò – passo del Corno – rifugio Coca – sentiero basso – rifugio Brunone 10 27.5 1500 1800 8:00 rifugio Brunone – passo di val Secca – lago del Diavolo – rifugio Longo – val Sambuzza – passo della Croce – lago delle Trote – rifugio Dordona 11 32.0 1700 1900 11:00 rifugio Dordona – passo dei Lupi – passo di Tartano – forcella Rossa – passo della Porta – passo San Marco – passo di Verrobbio – il Forcellino – lago di Pescegallo – rifugio Salmurano – lago di Trona – rifugio Trona Soliva 12 33.0 800 2500 10:00 rifugio Trona Soliva – Laveggiolo – alpe Stavello – casera di Olano – alpe Tagliata – Delebio – Sorico 13 25.0 2500 200 9:00 Sorico – Novate Mezzola – Codera – rifugio Brasca – passo del Barbacan – rifugio Gianetti 14 37.0 1500 2900 12:00 rifugio Gianetti – passo del Camerozzo – passo del Qualido – passo d’Averta – rifugio Allievi – passo di Val Torrone – passo del Cameraccio – val di Mello – San Martino – Cataeggio 15 22.0 2000 1300 7:00 Cataeggio – Preda Rossa – passo di Scermendone – passo di Caldenno – rifugio Bosio 16 23.0 1400 1200 5:30 rifugio Bosio – alpe Lago – Chiesa in Valmalenco – Caspoggio – rifugio Cristina 17 28.0 400 2200 7:00 rifugio Cristina – p. di Campagneda – Selva – lago di Poschiavo – Madonna di Tirano LE MONTAGNE DIVERTENTI Il Grand Tour della Valtellina 49 Più di 30 anni di esperienza al servizio dei clienti Avventure Rubriche Protezione Rischi In contemplazione al passo di Vermolera in val Grosina (8 luglio 2013). Persone e Famiglie Mezzi di Trasporto Abitazione Salute Tempo Libero Previdenza Investimento Tutela Giudiziaria Imprese ed Attività Professionali Mezzi di Trasporto Lavoro - Attività Trasporti Cauzioni Sicurezza Previdenza Tutela Giudiziaria CASSONI ASSICURAZIONI 50 Via C. Alessi, 11/13 - Sondrio Tel. 0342 514646 - Fax 0342 219731 [email protected] LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 l’angioletto e il diavoletto sulle nostre spalle, spostando lo sguardo dalla cartina agli occhi degli altri, sperando di trovare la soluzione migliore. Mi viene in mente la tappa sul sentiero Roma. Partiti dal rifugio Gianetti di buonora, siamo arrivati senza particolari problemi al rifugio Allievi valicando i passi Camerozzo, Qualido e Averta. A questo punto mancavano il passo Torrone e i due passi più alti di tutto il sentiero Roma. Dopo aver chiesto informazioni al gestore del rifugio siamo ripartiti. Abbiamo superato il primo valico e, oltrepassato il bivacco Manzi, ci si è parato davanti agli occhi uno spettacolo da cartolina: il Passo Camerozzo completamente innevato. Tutt’intorno, come di guardia, montagne le cui cime erano coperte da uno strato di nuvole che parevano impigliate nelle guglie di roccia. Tornati alla realtà ci siamo resi conto che da quel punto in avanti il cammino sarebbe stato tutt’altro che rilassante. Con molta calma e prudenza siamo arrivati in cima al passo. Il ripido nevaio e un po’ di arrampicata avevano prosciugato energie e concentrazione, necessari per LE MONTAGNE DIVERTENTI proseguire verso la bocchetta Roma. Dopo un breve confronto abbiamo deciso di scendere a valle percorrendo il primo sentiero disponibile. Infine siamo arrivati a San Martino sani e salvi (ginocchia in pappa a parte). In questo e in tanti altri casi ce la siamo sempre cavata con solo qualche graffio e qualche vescica. È stato il risultato del compromesso tra quello che avremmo voluto fare e quello che il nostro fisico e la nostra esperienza ci avrebbero permesso; ma è stato soprattutto il risultato del viaggiare insieme, come in una catena la cui forza sta nell'ascoltare l’anello più debole. Cosa rimane... Puscio - Sicuramente un gran mal di piedi, ma dopo una settimana era già passato tutto. Sono altre le cose che ti porti via da un’esperienza simile. Gioia, gratificazione, paura, delusione, entusiasmo e tanti altri sentimenti continuavano ad alternarsi in base ai successi e agli inconvenienti. Ogni giorno arrivavamo in un posto diverso e, oltre ai paesaggi, cambiavano anche le persone. Uomini e donne, vecchi e ragazzi, amanti e non della montagna, che parlavano dialetti e lingue diverse. Attraverso i loro racconti era come visitare posti mai visti, conoscere persone mai incontrate. Rimane anche un silenzio diverso, naturale, rilassante, che aiuta ad ascoltarsi di più. La montagna ti pone di fronte alle tue paure e ai tuoi limiti. Puoi ignorarli, schivarli; oppure puoi cercare di superarli. In entrambi i casi impari qualcosa di più su te stesso e capisci quali sono i tuoi limiti, mentali e fisici. Nel migliore dei casi riesci anche a spostarli un po' più in là. Ma la cosa più importante che mi porto via è una conferma: che andare in montagna mi piace un sacco. E son certo che in queste righe non abbiamo raccontato la fine di un’avventura, ma l’inizio della prossima. Simone – Le persone che abbiamo incontrato sono state fantastiche e ospitali, ma la cosa che più mi ha Il Grand Tour della Valtellina 51 Rubriche Passaggio sul versante bresciano in corrispondenza del passo di Gavia (11 luglio 2013). L’assenza di bandierine bianco-rosse rende l'orientamento più complicato (18 luglio 2013). Partenza della penultima tappa dal rifugio Bosio (22 luglio 2013). colpito è l’ammirazione che hanno dimostrato nei nostri confronti. I moltissimi complimenti che abbiamo ricevuto sono stati il nostro carburante per l’intero giro, prima ancora dei panini e delle barrette energetiche. Rimane poi un senso nuovo di libertà. Libertà dalla monotonia della vita di tutti i giorni, dalla confusione, dalle preoccupazioni, dagli impegni, dalla tecnologia. La maggior parte dei miei coetanei mi chiedeva perché avevo scelto una “vacanza” di questo tipo, lontano dal “divertimento” delle discoteche e dai propri amici. La motivazione è scaturita proprio da questa esigenza di libertà. È stato anche un modo per riflettere e approfondire amicizie già splendide. Ho imparato che la fiducia è fondamentale per intraprendere qualsiasi esperienza. Il più grande insegnamento che mi è rimasto è però quello che bisogna saper rinunciare, sapere fermarsi di fronte a ostacoli troppo difficili e aver l’umiltà di tornare indietro. Questo trekking è stata un’esperien- 52 LE MONTAGNE DIVERTENTI Al cospetto del Disgrazia nei pressi del passo di Caldenno (21 luglio 2013). za unica; abbiamo dovuto fare molti sacrifici, ma le emozioni che abbiamo provato, la gente che abbiamo conosciuto e i meravigliosi posti che abbiamo scoperto rimarranno fra i nostri ricordi di sempre. Daniele – Rimane molto, moltissimo, ed è impossibile far stare tutto in queste righe. Le prime cose che mi vengono in mente ripensando a questi diciassette giorni sono l’entusiasmo della partenza e l’emozione dell’arrivo. Dal nostro ritorno, ogni volta che passo sotto la Basilica di Madonna mi vengono i brividi pensando al momento in cui, da Campocologno, abbiamo visto in lontananza il campanile, e ricordando la corsa finale incontro a tanti amici che ci hanno accolto con abbracci all’arrivo. L’organizzazione aveva funzionato, ma soprattutto avevano funzionato le nostre gambe e la nostra testa. Per questo è rimasta anche una maggiore fiducia in noi stessi e una più grande determinazione. Si è rafforzata poi la convinzione di quanto sono belle e varie le nostre montagne, dai ghiacci dell’Alta Valle fino alle pareti della Val Màsino, dai colori di un lago Nero ghiacciato alla maestosità del lago di Como, dalla tranquillità di un ruscello all’impetuosità delle cascate del Serio. Luoghi raggiungibili in mezz’ora dalle nostre case sembravano il paradiso. Sono rimaste molte foto per non far sbiadire i ricordi, un paio di scarpe consumate per ricordare la fatica di ogni passo, uno zaino deformato dal peso, un enorme quantità di cose imparate e un sentimento di gratitudine verso tutte le persone che abbiamo incontrato, che ci hanno sostenuto, che hanno creduto in noi e che ci hanno fatto amare ancor di più la montagna. Daniele, Andrea e Simone alla basilica della Madonna di Tirano, di ritorno dal loro trekking ad anello attorno a tutta la Valtellina (23 luglio 2013). Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il Grand Tour della Valtellina 53 Nuove attività Rubriche Divertirsi andando in montagna: IL GEOCACHING Dario Fanoni e Giorgio Bianchi Forse non tutti sanno che... il Geocaching è una moderna versione della caccia al tesoro che si basa sull’utilizzo di un ricevitore GPS per nascondere o cercare i "tesori". Nato nel 2000 in America, il gioco è oggi diffuso in tutto il mondo e appassiona grandi e piccoli. GPS e Geocaching: vite parallele • Geocaching e GPS sono strettamente connessi, sicché val la pena di ripercorrerne le due storie come fossero delle moderne Vite parallele. Il sistema di posizionamento globale (in inglese: Global Positioning System, abbreviato GPS) è un sistema di posizionamento e navigazione satellitare civile che, attraverso una rete dedicata di satelliti artificiali in orbita, fornisce a un terminale mobile o ricevitore GPS le relative coordinate geografiche, in ogni condizione meteorologica e in qualunque luogo sulla Terra. Il sistema GPS venne realizzato dal dipartimento della difesa statunitense (1973) per scopi militari; bisognerà aspettare il 1991 perché il sistema sia aperto agli usi civili, ma con un’intenzionale limitazione della precisione a 100–150 metri. Tale limitazione fu eliminata il 2 maggio 2000, mettendo così a disposizione di tutti la precisione attuale, che può arrivare fino a 3 metri. Proprio l'indomani di questa decisione, il 3 maggio 2000, un appassionato della tecnologia GPS, Dave Ulmer, decise di nascondere in un bosco sulle colline attorno a Portland un contenitore, allo scopo di provare la precisione del suo ricevitore GPS: all'interno vi ripose alcuni libri, videocassette e un block notes con una penna, poi registrò le coordinate del nascondiglio (N 45° 17.460, W 122° 24.800). Infine inviò le coordinate del nascondiglio a un newsgroup con la spiegazione della logica di questo suo gioco: nascondere un conteni- Hide... Crea un nuovo cache! 1. L'attività di hide inizia con la creazione di un cache: si tratta in genere di un contenitore (di dimensioni variabili fra 1 e 30 centrimetri o oltre) contenente log book, possibilmente una matita o biro ed eventuali oggetti premio. 54 LE MONTAGNE DIVERTENTI tore (denominato inizialmente stash) con block notes e qualche oggetto e condividerne le coordinate con i frequentatori del newsgroup, con l’invito a localizzare con il proprio ricevitore GPS il contenitore nascosto, firmare il block notes, possibilmente scambiare uno degli oggetti presenti con un altro e condividere la propria esperienza con gli altri utenti del newsgroup. Il 6 maggio 2000, Mike Teague trovò il contenitore e firmò il block notes (log book). Entusiasta dell'idea, sempre sullo stesso newsgroup, annunciò la creazione di una pagina web dove raccogliere le informazioni sugli stash e sui ritrovamenti. L'idea fu talmente apprezzata che in pochi giorni i frequentatori del gruppo iniziarono a creare nuovi stash negli Stati Uniti; dopo neanche un mese il gioco sbarcò in Australia e a seguire in molti altri stati del mondo. Nel frattempo la denominazione del contenitore venne cambiata da stash a cache e il nome del gioco diventò Geocaching. Nel mese di luglio, Jeremy Irish, uno sviluppatore di siti web, scoprì per caso la pagina di Mike Teague durante una ricerca sulla tecnologia GPS. L’idea piacque molto a Jeremy che per scoprire un contenitore nascosto nei suoi dintorni comprò un ricevitore GPS e iniziò la sua prima caccia già la settimana successiva. Dopo aver sperimentato l’emozione del ritrovamento del suo primo cache, Irish decise di aprire il sito dedicato a questa attività - www.geocaching.com - utilizzando le proprie conoscenze professionali per migliorare il sistema di ricerca dei cache e la standardizzazione delle relative informazioni. Il nuovo sito fu completato e annunciato alla comunità il 2 settembre 2000. A quella data il sito conteneva le informazioni di appena 75 cache nascosti nel mondo. Grazie a internet, al passaparola e all'informazione mezzo stampa, l’idea si evolvese rapidamente e si diffuse anche fuori dagli Stati Uniti, fino ad arrivare alla situazione odierna che conta più di 2 milioni di cache nascosti in tutto il mondo e oltre 6 milioni di appassionati giocatori: i geocacher. 2. Il cache può presentarsi all'osservatore in maniera più o meno evidente: in genere il cache, in montagna, viene nascosto fra dei sassi o in un anfratto roccioso, ma i giocatori più appassionati si divertono a creare dei sofisticati nascondigli: qui per esempio il cache è stato celato all'interno di un tronchetto d'albero. Primavera 2014 Come partecipare al geocaching • A seguito della grande diffusione di questo gioco, furono sviluppati altri siti simili all’originale www.geocaching.com, che è comunque rimasto di gran lunga il più utilizzato sia per il numero elevato e sempre crescente di iscritti e di cache registrati, sia perché ben strutturato, disponibile interamente in versione italiana e regolarmente aggiornato e controllato. Le informazioni che seguono si riferiscono quindi all’utilizzo del sito www.geocaching.com. Partecipare è molto semplice; le due anime del gioco sono: • la creazione di nuovi cache (hide); • la ricerca di cache già esistenti (seek). Per quanto riguarda la prima, ogni geocacher iscritto può nascondere uno o più cache e renderli disponibili sul sito, seguendo i requisiti per la pubblicazione di Geocache e le linee Guida descritte nel sito stesso. La pubblicazione viene autorizzata da un verificatore (reviewer) che controlla esattezza e completezza delle informazioni fornite e il rispetto delle linee guida. Per cercare un cache esistente è invece sufficiente: • accedere al sito ed effettuare l’iscrizione gratuita come utente base. Con tale iscrizione si può cominciare il gioco senza particolari limitazioni. Nel sito si trova anche una guida completa al geocaching (link: http://www.geocaching.com/guide/default.aspx) a cui 3. Una volta preparato il cache, il giocatore deve piazzarlo in un luogo a sua scelta (che sia in città, al mare o in montagna). Occorre avere con sé un dispositivo GPS, per segnare con precisione le coordinate del nascondiglio; è utile, ma non obbligatorio, fotografare il punto esatto del nascondiglio e utilizzare la foto come spoiler per chi vorrà venire a cercare il cache. Nell'immagine a lato, il luogo del nascondiglio di un cache sul monte Spondascia, di fronte al pizzo Scalino. LE MONTAGNE DIVERTENTI si rimanda per una descrizione dettagliata del funzionamento del gioco; • aprire la pagina “Gioca/Nascondi” e poi “Cerca un cache” per individuare i tesori nascosti nell’area di interesse, utilizzando uno dei parametri richiesti dalla maschera proposta, in particolare nel campo “Indirizzo”; molto comoda anche la funzione "Visualizza mappa dei geocache", che permette di visualizzare tutti i cache direttamente sull'atlante; • selezionare il cache di interesse tra quelli elencati nella lista, cliccare sul nome per aprirne la descrizione e copiare o scaricare con l’apposita funzione le coordinate sul proprio ricevitore GPS (oggi molti smartphone e tablet hanno un GPS incorporato); • acquisire le informazioni per il ritrovamento, gli indizi aggiuntivi e le foto spoiler (di norma rappresentano la zona dove è nascosto il cache); • spostarsi nel luogo dove è nascosto il cache e iniziare la ricerca dopo aver attivato la specifica funzione sul proprio ricevitore GPS; • una volta trovato fisicamente il cache si appone il proprio nome identificativo (insieme a data/ora di ritrovamento) sul log book per poi tornare a riporre il cache nella esatta posizione del ritrovamento. Tramite Internet si apre poi la pagina del cache ritrovato, si clicca sull’icona “Logga una nuova visita” e si procede alla segnalazione dell’avvenuto ritrovamento. In tal modo chi lo ha nascosto (owner) viene informato del ritrovamento tramite email e la propria lista 4. Non rimane che rendere "pubblico" il nuovo cache, schedandolo sul sito ufficiale di questa attività: sarà sufficiente darne un nome, specificarne coordinate, dimensioni, difficoltà di ritrovamento e di accesso, caricare eventuali foto dell'ambiente circostante e del luogo esatto del nascondiglio (spoiler). Geocaching 55 Nuove attività Rubriche di cache scoperti viene aggiornata. Nel caso non si riesca a trovare il cache dopo un’accurata ricerca, è utile segnalarlo ugualmente, ma selezionando l’opzione “Didn’t find it”. Tipi di cache e contenuto • Non ci sono limiti alle dimensioni e alla forma dei cache (per esempio, quanto a dimensioni, si parte da bussolotti di pochi centimetri per arrivare a contenitori grandi come scatoloni!). È importante però che contengano, come minimo, un log book per la registrazione del ritrovamento, con biro o matita laddove lo spazio lo consente. In genere i cache contengo oggetti lasciati da chi li ha nascosti e da chi li ha trovati successivamente. È possibile “scambiare” uno o più oggetti, cioè prelevarli e sostituirli, di norma con altri di uguale o maggior valore. Va sottolineato che il Geocaching non mette in campo una competizione che premia chi per primo raggiunge il cache (sì, talvolta è previsto un riconoscimento per il ftf, che sta per firts to find, ma non è la norma): al contrario, fra i giocatori nasce un senso di comunità e di vicinanza, che si concretizza nel piacere di leggere nel log book le tracce dei giocatori che li hanno preceduti. Ciascun cache è caratterizzato da stelline (da 1 a 5) che misurano: • dimensione fisica del contenitore, da micro a grande; • difficoltà, cioè complessità del ritrovamento; • valutazione del terreno. I cache sono spesso nascosti nei ...and Seek! Cerca un cache già esistente! 1. Entra nel sito www.geocaching.com, vai su "Gioca" e clicca su "Visualizza mappa dei geocache"; esplora l'area di tuo interesse e clicca sui cache che ti potrebbero interessare per scoprirne i dettagli. Qui per esempio siamo in Valtellina e abbiamo cliccato su un cache nascosto nei pressi del Rifugio Ponti. buchi dei muri, in cavità della roccia e coperti di pietre, tra le radici degli alberi, ecc. Altre volte vengono camuffati in modo da renderli irriconoscibili ai passanti, ma individuabili dal geocacher attento. Turismo e Geocaching • I criteri con cui sono nascosti i geocache sono lasciati sempre alla libertà e alla fantasia di coloro che li nascondono, talvolta nei posti più impensati, in ambiente cittadino come in quello montano o di campagna. Se dovessimo trovare un elemento comune a tutti i cache, tuttavia, lo ravviseremmo nel tentativo di scegliere luoghi poco conosciuti e non soggetti al turismo di massa, ma ugualmente meritevoli di una visita, come chiesette di campagna, rovine di antichi castelli, luoghi di particolare interesse naturalistico, alpinistico e storico: una filosofia 2. Ci siamo convinti di voler andare a cercare il cache al rifugio Ponti; scarichiamo le coordinate GPS del nascondiglio e, per facilitarci un po' la ricerca, apriamo anche l'immagine di spoiler, nella quale una freccia rossa ci chiarisce dove sia nascosto il cache. La home page di www.geocaching.com, sito ufficiale dell'attività. 56 LE MONTAGNE DIVERTENTI di fondo del gioco, infatti, è quella di offrire ai geocacher la possibilità di visitare luoghi caratteristici, sovente conosciuti soltanto dai residenti. Turismo, escursionismo, orienteering e geocaching si coniugano perfettamente, tanto da essersi creato un vero e proprio turismo parallelo guidato dal geocaching; prima di partire per un viaggio o un’escursione in montagna, è semplice stilare una lista di cache che possono essere rinvenuti nei dintorni della propria meta, da visitare una volta giunti sul posto. Analogamente può capitare che la meta finale sia scelta dal geocacher proprio in funzione dei cache che, con la loro descrizione, suscitano un interesse particolare. I cache di montagna assumono un fascino particolare perché abbinano alla fatica della salita la soddisfazione del ritrovamento del tesoro, potendo così stimolare alla camminata anche le persone più pigre e specialmente i bambini, particolarmente attratti da questa coinvolgente attività. Sviluppo del geocaching in Valtellina • In Valtellina il gioco ha iniziato a diffondersi qualche anno fa e ormai i cache sparsi nel territorio superano il centinaio, distribuiti dalla Valchiavenna fino a Livigno. Si possono trovare cache in cima a montagne poco frequentate (come sul monte Spondascia in Valmalenco), lungo il sentiero Valtellina, in località di interesse architettonico (xenodochio di Santa Perpetua a Tirano), naturalistico (le piramidi di Postalesio), laghi alpini (Arcoglio e Lagazzuolo in Valmalenco) e tanti altri. La Valtellina è un luogo ideale per lo sviluppo di questo gioco, ricca com'è di bellezze culturali o naturalistiche relativamente poco note. In partico- 3. Siamo pronti per andare al rifugio Ponti a cercare il cache e a vedere cosa nasconde per noi. In questo caso la ricerca sembra molto semplice, ma in altri casi, come nell'esempio della foto (siamo a Berlino), il ritrovamento della scatolina può risultare particolarmente complesso. Una volta identificato il contenitore, si firma il log book, si ritira l'eventuale premio per la prima persona che ha raggiunto il cache, quindi si riposiziona il cache nel medesimo punto in cui lo si è trovato. lare, le montagne valtellinesi offrono una rete fittissima di escursioni e itinerari poco noti che potrebbero essere promossi incentivandone la fruizione da parte di escursionisti geocacher. er stimolare i lettori a partecipare a questo gioco, abbiamo nascosto un cache lungo il percorso descritto nell’articolo escursionistico che percorre i sentieri attorno alla cascata di Isolaccia (pag. 104). Il nome del cache è “Cascata al Crap de Scegn - L.M.D.” (codice GC4XDDB) e la descrizione, le caratte ristiche e le coordinate sono scaricabili dal sito www.geocaching.com. Al primo geocacher, regolarmente iscritto al sito, che troverà e loggherà il cache e registrerà il ritrovamento nel sito verrà inviata una fascetta de Le Montagne Divertenti all’indirizzo che dovrà comunicare via email a [email protected]. P 4. Una volta tornati a casa, si deve riaprire la pagina web del cache e "loggare" la propria visita a quel cache, per accentuare il senso di comunità fra i geocacher, incrementare il numero di cache trovati, ma anche e soprattutto per segnalare l'eventuale assenza del cache (didn't find it, "non l'ho trovato"). La mappa di tutti i cache su www.geocaching.com permette di farsi un'idea della diffusione del gioco nelle varie parti del mondo. Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Geocaching 57 Speciali ValMàsino Pizzo del Ferro Orientale (m 3199) Beno Sulla aerea cresta ENE del pizzo del Ferro Orientale (25 aprile 2013, foto 58 Ganassa LE MONTAGNE DIVERTENTI Roberto - www.clickalps.com). Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Pizzo del Ferro Orientale (m 3199) 59 Speciali Pizzo del Ferro Occ. (3267) Cima della Bondasca (3289) Torrione del Ferro (3234) Pizzi Gemelli (3225-3262) Pizzo del Ferro Orientale (3199) Passo del Ferro (3203) Colle Màsino (3062) Bivacco Molteni-Valsecchi uanto è bello sciare in val Màsino? Davvero un sacco. Ci sono vallate incredibili con decine di itinerari, isolamento Q garantito, sole, tanto sole, e pendii lunghi e molto estetici su cui far correre gli sci stando solo un po' attenti a non lasciarsi incantare troppo dalla grandiosità del paesaggio e finire a terra perchè non si è visto un ostacolo! Certo, qui non si scherza con le valanghe e serve pure un po' di allenamento dati i notevoli dislivelli e le tracce sempre da battere, ma non vi è la minima possibilità di rimanere delusi qualsiasi sia l'itinerario che si è scelto di percorrere. Per questo, quando a fine aprile sono al Centro della Montagna a montare una mostra fotografica in occasione del Melloblocco, continuo a guardare fuori dalla finestra verso la valle del Ferro e le sue cime. Una in particolare, il Ferro Orientale, con la caratteristica S che ne solca la parete S, sveglia in noi un'irrefrenabile voglia di sciare nel regno del granito. I 2300 metri di dislivello che ci separano dalla vetta sono l'unico ostacolo a frapporsi tra la mia proposta ed un sì immediato di Roby; Giovanni invece non esita ad aggregarsi. 60 All'ora blu la luceDIVERTENTI radente della Ganassa - www.clickalps.com). Pizzo del Ferro Orientale (m 3199) LE MONTAGNE luna piena riscalda la valle del Ferro (20 dicembre 2010, foto Roberto LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 61 ValMàsino Speciali Cima della Bondasca (3289) Torrione del Ferro (3234) Pizzo del Ferro Orientale (3199) Biv. Molteni - Valsecchi (2510) Casera dell'alpe del Ferro (2084) Casera del Ferro (1658) La valle del Ferro dalla Casa delle Guide al rientro dalla nostra gita. In rosso-giallo il tracciato di salita, in verde l'accesso alla vetta per il canale SSO, in arancione la variante di discesa che ci ha permesso di tenere gli sci fino a m 1800 (25 aprile 2013, foto Giovanni Rovedatti). BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ Partenza: San Martino Valmàsino (m 923). Itinerario automobilistico: da Morbegno seguire la SS 38 verso Sondrio. Attraversato il ponte sul Màsino, svoltare a sx all’altezza di Ardenno (5 km a E di Morbegno) e seguire la SP9 della val Màsino fino a San Martino. All’ingresso del paese la SP 9 piega a sx. Prendere invece a dx (negozio Fiorelli) la stretta strada che tra le case raggiunge prima il ponte sul Mello, poi il parcheggio gratuito nei pressi del centro sportivo. Se questo fosse pieno, si deve ricorrere a quello a pagamento all’ingresso del paese. Itinerario sintetico: San Martino (m 923) - ca di Rogni (m 1019) - casera del Ferro (m 1658) - pizzo del Ferro Orientale (m 3199). 62 LE MONTAGNE DIVERTENTI Tempo previsto: 6 ore e mezza per la salita. Attrezzatura richiesta: da scialpinismo o ciaspole, rampanti, kit antivalanga, piccozza e ramponi, corda (almeno 40 metri), 2-3 protezioni veloci e fettucce. Difficoltà/dislivello: 4+ su 6 / 2276 metri. Dettagli: OSA/PD il tratto finale ha pendenze fino a 45°. Per la vetta la via più comoda consiste nel risalire un ripido canaletto (55°) che deposita sul pendio sommitale (SO). Altra alternativa è la cresta E (AD: passi di III su misto). Mappe: - CNS n. 278 - Monte Disgrazia, 1:50000; Primavera 2014 25 APRILE 2013 Sono le 3 e mezza di mattina quando io, Roby e Giovanni lasciamo la macchina al campo sportivo di San Martino (m 923) e alla luce dei frontalini e della luna piena prendiamo il sentiero che sulla dx idrografica del torrente raggiunge la val di Mello. Gli zaini sono molto pesanti; niente cibo (l'ho dimenticato), ma piccozze, ramponi, attrezzatura foto e probabilmente qualche sasso messo di nascosto nel mio sacco dagli spiriti malvagi mi piegano la schiena in avanti. Con le LE MONTAGNE DIVERTENTI prime gocce di sudore che ci rigano la fronte saltiamo sulla strada per la val di Mello che presto si fa acciottolata. Superiamo ca di Rogni (m 1019, ore 0:20) e deviamo a sx (NNO) prima del ponticello sul torrente del Ferro. Seguiamo la pista che affianca il torrente e che poco oltre, quasi ai piedi della grandiosa e spumeggiante cascata del Ferro, si trasforma in sentiero e piega a sx (bolli biancorossi)1. La luna, già calante da qualche giorno, va a nascondersi dietro il monte Lobbia. Fa molto caldo, ma il cielo stellato ci assicura che in alto il manto nevoso è rigelato irraggiando calore verso la volta celeste. La salita è monotona nel fitto bosco di aghifoglie, finchè a m 1350 ci affacciamo a rumorose cascate che precipitano da alte placconate di granito. Il sentiero sfrutta l'orografica dx per aggirare il salto roccioso e ci porta sul grande ripiano ai piedi di un'ulteriore 1 - Qui si trova un'altra traccia (dx) che sale più diretta, ma è meno curata e presenta passaggi angusti, specie per chi ha gli sci sulle spalle! Pizzo del Ferro Orientale (m 3199) 63 ValMàsino In alto: i contrafforti orientali del Cavalcorto dalla valle del Ferro a circa m 1600 (16 gennaio 2010, foto Beno). A sx: sui pendii della valle del Ferro; sullo sfondo la punta Moraschini (25 aprile 2013, foto Roberto Ganassa). A dx: alla base della esse finale a circa m 2700 (25 aprile 2013, foto Beno). barra di granito, madre di altre imponenti cascate. Qui il sentiero attraversa vari rami del torrente2 e, quando mi sono già abbondantemente slozzato le scarpe, la neve pare ancora lontana. Raggiungiamo la casera del Ferro (m 1658, ore 2:30), raccolta a ridosso di un grosso masso. Si tratta di uno spartano ricovero di pastori e animali nei pressi del quale la teleferica proveniente dalla val di Mello ha il proprio capolinea. Sulla sx orografica saliamo 2 - Il primo, senza ponte, viene guadato grazie ad una striscia di sassi affioranti su cui è difficile stare in equilibrio con gli scarponi da sci ai piedi. 64 LE MONTAGNE DIVERTENTI alcuni tornanti, per riportarci al centro della valle proprio al di sopra del grande salto di rocce. ggi non c'è un filo d'aria; non come a febbraio dell'anno scorso, quando, spezzandola in due giorni, feci la medesima ascensione con Andrea. L'inverno era stato talmente avaro di neve che preferimmo le ciaspole agli sci. Partiti nel pomeriggio, il favonio, che soffiava caldo alle basse quote, ci permise di salire fino a m 1750 in calzoncini e maglietta, quota a cui si trasformò in un possente soffio ghiacciato che O Uno dei tratti più ripidi della S finale ci obbliga a levare gli sci e proseguire con picca e ramponi. Questa gita ha avuto molti settori da fare a piedi: all'inizio son serviti 1000 metri di dislivello e due ore e mezza per raggiungere la neve, poi si sono sommati passaggi ripidi e/o tecnici che hanno richiesto l'uso dei ramponi. Ma pensando alla discesa direi che ne è valsa la pena! (25 aprile 2013, foto Roberto Ganassa). rischiava di congelarci. Era buio e la bufera faceva brillare i cristalli di neve alla luce dei frontalini. Il fondo non teneva e ad ogni passo sfondavamo la crosta e finivamo a mollo nella neve. Una tortura! Raggiungere il bivacco Molteni, dove avevamo prenotato la suite imperiale per la notte, si era rivelato un'utopia, così come metterci addosso dei vestiti in mezzo a quella tormenta. Vagando a casaccio in tenuta da spiaggia, la fortuna ci portò alla casera dell’alpe del Ferro (m 2084). L'iniziale gioia venne presto sopraffatta Primavera 2014 dallo sconforto del constatare che era tutto chiuso, legnaia compresa. Che fare? Oramai la situazione era critica, quando mi ricordai di essere molto magro e salii sul tetto della baita per tuffarmi a candela dentro il camino, proprio come Babbo Natale. Strisciai nella fuliggine pregando di non rimanere incastrato, mentre Andrea era fuori che mi prendeva in giro. Io non potevo nemmeno rispondere alle sue battute perché se non avessi trattenuto il fiato mi sarei fatto una scorpacciata di polvere. Poi, dopo qualche contorcimento doloroso per LE MONTAGNE DIVERTENTI avanzare in quel foro angusto, toccai coi piedi il focolare e come Babbo Natale gridai: «Oh, oh, oh, oh... bimbi arrivano i doni!!!» Eravamo salvi; aprii una finestra e feci entrare anche Andrea nel provvidenziale ricovero notturno al riparo da Eolo. Nonostante quella disavventura, l'indomani giungemmo in vetta, ma con un tempo talmente da lupi che mi ripromisi di tornare sul Ferro Orientale per gustarmi il tanto celebrato panorama di vetta. a torniamo al 2013: prendiamo quota nel centro della M valle, spostandoci lentamente a dx (E). Il Ferro Orientale è davanti a noi che ci attende. Arriva l'alba che colora di rosa le Orobie. La neve è compatta e ruvida, tanto da lasciarmi camminare in scarpe da ginnastica fino a m 25003, dove il freddo ai piedi mi costringe a mettere l'attrezzatura da sci. Il Ferro Orientale è sopra di noi. La S nevosa che ne disegna il versante meridionale appare sempre più schiacciata man mano ci portiamo 3 - In queste condizioni si procede molto più velocemente a piedi che con le pelli. Pizzo del Ferro Orientale (m 3199) 65 ValMàsino Speciali ai suoi piedi. A m 2600, quando il bivacco Molteni occhieggia in basso a sx, ci affacciamo alla conca ai piedi del torrione del Ferro, attraversata la quale siamo alla base della S finale. Ci dirigiamo al colletto per salire il Ferro Orientale per la sua cresta E, dopo che non siamo riusciti a percorrere il canale che accede alla vetta da SO e il cui imbocco si raggiunge con la cengia nevosa che si vede sulla dx. Alle nostre spalle il paesaggio è sterminato: dalla val Màsino alle Alpi Orobie. (25 aprileLE2013, foto Roberto Ganassa). 66 MONTAGNE DIVERTENTI Siamo a m 2700 ca. e la questione si fa ripida, nonché a tratti gelata. Leviamo le assi e, armati di ramponi e piccozza ci issiamo sul pendio. Sfiga vuole che, nonostante le valanghe siano già scese, dopo i primi baci del sole la neve non è più portante e si seguita ad affondare. Giovanni ben presto si rompe le scatole e rimette gli sci. Io sono un po' cotto e non voglio affannarmi in giochi di equilibrio: preferisco rava- Primavera 2014 nare senza alcuno stile. Davanti a me neve e ghiaccio, alle mie spalle l'immenso panorama sulle cime della val Màsino e delle Orobie. In breve siamo al terzo e ultimo spezzone della S (45°), quello da E LE MONTAGNE DIVERTENTI a O. Il ghiaccio si alterna alla fuffa e richiede attenzione. Anche Giovanni leva gli sci e si attrezza. Dei fendenti di sole segnano la fine delle ostilità e ci proiettano nella splendida conca a S della cima (m 3050 ca.). Proviamo a percorrere il canalino diretto e ripidissimo che si imbocca sulla sx (O), reaggiungibile grazie a una cengia che inizia proprio ai piedi dei contrafforti sotto la vetta. Di qui Pizzo del Ferro Orientale (m 3199) 67 ValMàsino Speciali In alto: salendo al colle tra il pizzo del Ferro Orientale e la sua anticima E (25 aprile 2013, foto Giovanni Rovedatti). A sx: alla bocchetta tra il pizzo del Ferro Orientale e la sua anticima orientale (25 aprile 2013, foto Beno). A dx: in vetta al pizzo del Ferro Orientale, abbracciati dal freddo e dalle nuvole (26 febbraio 2012, foto Beno). son circa 80 metri con un tratto a 55° difficilmente proteggibile, poi seguirebbe la groppa meno ripida e molto larga che culmina con la vetta del pizzo del Ferro Orientale (m 3199, ore 3:30). Ma la neve oggi è troppo marcia e dobbiamo rinunciare all'itinerario che avevo collaudato l'anno scorso con Andrea. Cerchiamo un'alternativa e pieghiamo a dx (E) raggiungendo con un traverso l'evidente colletto sulla cresta E del Ferro Orientale (m 3150). Barcollanti cornici addobbano lo spartiacque. Il luogo è impreziosito da 68 LE MONTAGNE DIVERTENTI blocchi appoggiati sul ciglio di precipizi vertiginosi che lo rendono quantomai inquietante. La cresta E, che dovremo percorrere, è fatta di spuntoni e lame di roccia sporchi di neve e non è per nulla invitante4. Abbiamo 17 metri di corda, due fettucce e tre friend, per cui il numero di problemi che potremo affrontare è limitato. Due microtiri e siamo in cima alla prima torre. Iniziamo un tratto meno inclinato rivolto a S, ma servono 4 - E pensare che certi fantasiosi libri di scialpinismo danno questo tratto come semplice! A sx: nei pressi del colle, uno sguardo verso SE, dove i Corni Bruciati disegnano l'orizzonte (25 aprile 2013, foto Beno). A dx: gli sciatori in val Màsino sono dei fortunati puntini al cospetto di enormi torri di granito (25 aprile 2013, foto Beno). pochi metri per capire che stiamo compiendo un azzardo: se non dovessimo arrivare in vetta, con 17 metri di corda non riusciremmo più a scendere. a cima è appena lì, l'altimetro la dà a soli 25 metri, ma un insolito attacco di buon senso ci invita a non rischiare oltre. Inoltre il caldo sta inflaccidendo la neve e c'è il pericolo di non riuscire più a sciare. Pur con qualche difficoltà, siamo di nuovo alla sella. Giovanni è molto amareggiato per la mancata vetta, io molto sollevato per essere tutto L Primavera 2014 intero, Roby è molto gasato perchè ha fatto foto da paura mentre noi arrampicavamo. In questa mescolanza di umori, calziamo gli sci e salutiamo la cima della Bondasca, le Sciore e l'Albigna, volti della Bregaglia incorniciati dal ghiaccio e dalle rocce del colle. Pochi istanti e inizia il nostro nirvana. Sciare in ValMàsino è ogni volta un sogno che si avvera: nelle notti d'inverno, infatti, Morfeo mi accompagna sempre in posti del genere! Lo scatolotto rosso del bivacco Molteni è ora alle nostre spalle, in LE MONTAGNE DIVERTENTI breve le nostre scarpe da ginnastica - depositate all'alba sopra un sasso a m 2500 - sono sulle nostre spalle e, a m 1750, quando s'esaurisce anche l'ultima lingua nevosa sopra la casera del Ferro, pure dei segnacci rossi sono sulle mie spalle: non ho messo la crema solare! Giovanni, sciatore estremo, derapa scintillante sopra rododendri, sassi e chiazze d'erba. Io e Roby lo osserviamo ridendo, poi ci sediamo uno accanto all'altro e ci godiamo un riposino riscaldati dal sole dell'una. Quando alla nostra sx il torrente del Ferro viene rimpiazzato dal Mello, prepotentemente veniamo ributtati tra la gente. Centinaia di boulderisti, escursionisti o semplici curiosi in tenuta estiva occupano ogni prato della valle. La nostra attrezzatura desta scandalo. Se fossimo stati nudi avremmo provocato meno risate! Arrivati a San Martino (meno di 2 ore dal colle!), il Ferro Orientale troneggia sopra le nostre teste e ci permette, semplicemente indicandolo, di spiegare ai profani dov'è la festa a cui si va vestiti in questo modo. Pizzo del Ferro Orientale (m 3199) 69 Alpinismo con gli sci al Monte del Forno (m 3214) Luciano Bruseghini Il monte del Forno dai pressi di San Giuseppe (10 novembre 2011, foto Roberto Ganassa www.clickalps.com). 70 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte del Forno (3214) 71 Valmalenco Alpinismo Il monte del Forno dalle pendici meridionali del monte dell'Oro (28 novembre 2009, foto Beno). BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ Partenza: Chiareggio (m 1612) o San Giuseppe dell'Oro (m 2010) - Chiareggio (m 1600). Itinerario automobilistico: da Sondrio prendere Tempo previsto: 7 ore. Attrezzatura richiesta: da scialpinismo o (m 1400). la strada provinciale SP15 della Valmalenco. Arrivati a Chiesa (12 km) seguire il ramo occidentale della valle. Dopo diversi tornanti (5 km) si arriva a San Giuseppe. Se la strada è aperta e sgombra da neve proseguire in direzione di Chiareggio lungo la stretta carrareccia fino all'area di sosta ai bordi del torrente Mallero posta dopo il piccolo centro abitato (5 km). Itinerario sintetico: Chiareggio (m 1612) - alpe Vazzeda Inferiore (m 1830) - alpe Vazzeda Superiore (m 2030) - passo del Forno (m 2775) - monte del Forno (m 3214) - valle del Muretto (m 2500) - alpe ciaspole, kit antivalanga, piccozza e ramponi. Difficoltà/dislivello: 3 su 6 / 1822 metri. Dettagli: BSA+. Gli ultimi metri per la vetta vanno fatti a piedi per un ripido canalino, o per una paretina rocciosa attrezzata. Mappe: - CNS n. 278 - Monte Disgrazia, 1:50000; - Kompass n. 93 - Bernina, 1:50000. Il monte del Forno (m 3214) è la vetta dalla caratteristica forma piramidale che si erge all'estremità settentrionale dello spartiacque tra la valle del Muretto e la valle del Forno, al confine tra Italia e Svizzera, in posizione simmetrica all'altra piramide malenca, il pizzo Scalino, rispetto all'asse longitudinale della valle. La montagna è un museo di geologia: è costituita in gran parte da anfiboliti, rocce scure ricche di minerali di ferro e magnesio che ben si evidenziano nel tetraedro sommitale. Le strutture a pillows (cuscini) rinvenute rivelano che queste rocce sono state originate da lave basaltiche sottomarine raffreddate molto velocemente, quindi metamorfosate durante l’orogenesi alpina. Nonostante la grande estetica della cima, la scialpinistica al monte del Forno non è sicuramente una delle classiche della zona del Mallero: ciò è probabilmente dovuto alla lunghezza dell’itinerario e alla mancanza di strutture d’appoggio durante la salita. Dal versante svizzero, invece, sono molti gli sciatori che ogni anno ne raggiungono la vetta, appoggiandosi al provvidenziale rifugio del Forno, posto a m 2575 dell’omonima vallata. 72 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte del Forno (3214) 73 Alpinismo Monte del Forno (3214) Pizzo Muretto (3104) Passo del Forno (2775) Passo del Forno (2775) Dall'alto: Il monte del Forno dai ruderi dell'alpe Vazzeda Superiore (18 aprile 2013, foto Luciano Brusghini). Il monte del Forno e il passo del Forno dalla val Bona (18 aprile 2013, foto Luciano Bruseghini). La cupola sommitale del monte del Forno vista dal passo del Forno (18 aprile 2013, foto Luciano Bruseghini). Passo del Muretto (2562) Alpe Monterosso Superiore Alpe Vazzeda Superiore Valmalenco Alpe dell'Oro Alpe Monterosso Inferiore Alpe Vazzeda Inferiore Passo del Forno (2775) Il monte del Forno e i tracciati di salita (rosso) e discesa (blu) visti dalla val Ventina (13 gennaio 2014, foto Luciano Bruseghini). È un peccato che siano pochi i frequentatori del monte del Forno dal versante italiano, perché i pendii di questa montagna offrono fino a tarda primavera una neve splendida che permette entusiasmanti sciate anche a quote relativamente basse. La montagna deve il suo particolare toponimo ai forni costruiti alla sua base e sfruttati nel medioevo per l’estrazione del ferro. Capita ancora oggi di rinvenire scorie (loppa) di tale lavorazione. Essendo una meta tipicamente primaverile, l’itinerario ha solitamente inizio da Chiareggio (m 1612), nel comune di Chiesa Valmalenco. Se però la strada fosse ancora chiusa causa neve, si devono mettere in conto circa 5 chilometri in più lungo la rotabile innevata da San Giuseppe (m 1400) a Chiareggio. Lasciata l’auto nell'ampio parcheggio del ciàn del Löf, sull'idrografica sx del torrente Mallero, avanziamo con gli sci ai piedi in direzione 74 LE MONTAGNE DIVERTENTI O lungo la carrareccia che attraversa il pianoro alluvionale, seguendo le indicazioni per i rifugi TartaglioneCrispo e Del Grande-Camerini. Verso sx s'impone la testata della val Sissone, con le cime di Chiareggio (m 3204, m 3107, m 3094) al centro, il monte Pioda (m 3431), la parete nord del Disgrazia (m 3678) e il pizzo Ventina (m 3261) a sx. Attraversato il torrente che scende dalla valle del Muretto, un cartello ci segnala che dobbiamo abbandonare la comoda strada per Forbicina e imboccare sulla dx un sentiero che si innalza sul fianco della montagna. Il tracciato si snoda in un fitto bosco di aghifoglie, poi piega verso dx (NE) e, grazie a un ponticello, attraversiamo il torrente Vazzeda che precipita dall’ampio pianoro compreso fra la cima di Vazzeda (m 3301) e la cima di val Bona (m 3033). In breve sbuchiamo all’alpe Vazzeda Inferiore (m 1830, ore 0:40) che, fortunatamente, è ancora caricata nei mesi estivi, anche se parecchie baite appaiono completamente diroccate. Risaliamo (NO) il pendio sgombro dalla vegetazione lungo il lato idrografico sx del ruscello e accediamo a una zona ricoperta da rada vegetazione, abbastanza ripida, che vinciamo con molteplici inversioni. Un ultimo sforzo e superiamo anche il gradino roccioso che dà accesso all’alpe Vazzeda Superiore1 (m 2030, ore 0:30); purtroppo questo avamposto non viene più utilizzato e quasi tutti i tetti delle piccole baite sono collassati! D’ora in avanti l’inconfondibile sagoma del monte del Forno, che si erge a guardiano della val Bona, sarà il faro da seguire. Da qui il sentiero estivo prosegue verso Monte del Forno (3214) 1 - Su Luigi Brasca, Guido Silvestri, Romano Balabio, Alfredo Corti, Guida dei monti d’Italia. Alpi Retiche occidentali, CAI, Brescia 1911, Romano Balabio descrive così l’itinerario di salita al monte del Forno da Chiareggio. “…dall’alpe Vazzeda (inferiore), per sentiero, dirigendosi a nord, si tocca l’Alpe della Valle poi si segue la Val Bona sul fianco destro…” . Quindi, a quei tempi, l’alpe Vazzeda Superiore veniva identificata come alpe della Valle. Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI dx e si addentra subito in val Bona, ma in questo periodo è preferibile rimontare il dosso che sovrasta l’alpeggio e poi rientrare nella vallata più in alto. In questo modo si evita l’eventuale scaricamento di neve dallo scosceso fianco che delimita l’aspro imbocco della gola. Lasciati alle spalle i ruderi delle baite procediamo in direzione O, guidati anche da eventuali tracce di altri sciatori diretti al passo Vazzeda, fino ad abbandonare gli ultimi radi larici abbarbicati sul costone. Ora le tracce per il passo Vazzeda vanno verso sx, noi invece proseguiamo diritti fino alla sommità del dossone (m 2300 ca., ore 0:30). Da qui godiamo di un ottimo panorama: sulla sx impera la piramide calcarea della cima di Vazzeda (m 3301), sopra le nostre teste si erge la lama affilata dello spigolo Gervasutti che conduce alla cima di val Bona (m 3033), mentre a dx si affacciano sia il passo che il monte del Forno. Con un lungo traverso in leggera discesa imbocchiamo la solitaria val Bona. L’omonima cima ci sovrasta dall’alto e con il monte Rosso (m 3088) chiude la testata. Assai curiosi sono i colori: scuro quello della prima vetta, chiaro quello della seconda. Ciò è dovuto al fatto che proprio in questa zona vi è l’incontro di due differenti tipologie di rocce che provengono da fenomeni geologici diversi. Quella chiara appartiene al plutone del Màsino-Bregaglia (granito ricco di quarzo), quella scura alle ofioliti del monte del Forno (anfiboliti con ferro e magnesio). Proseguiamo a mezzacosta, senza toccare il fondovalle perché sarebbe inutile abbassarsi per poi risalire. Qui, Monte del Forno (3214) 75 Valmalenco Alpinismo essendo rivolta a N, la neve mantiene una buona consistenza e procediamo senza alcun problema. Raggiunta la parte terminale della vallata, rimontiamo il pendio sulla sx orografica perché è la zona più sicura e, dopo una piccola conca, alcune inversioni ci regalano il passo del Forno (m 2775, ore 1:30). Il versante svizzero è inciso da numerosi binari sciistici sia di salita che di discesa, ma stranamente non c’è nessuno in giro, probabilmente perché oggi è un giorno infrasettimanale. La capanna del Forno (m 2574) non è visibile, occultata da uno sperone roccioso, ma vi si accede facilmente in una mezz'oretta a piedi e in un attimo con le assi. Ben appariscente è invece il monte del Forno: sembra lì a portata di mano, che quasi lo si possa toccare con un dito, ma è un'illusione. Riprendiamo la marcia sfiancandoci sul versante svizzero dove un erto tratto con neve dura porta all’ampia e più agevole dorsale spartiacque. Guadagniamo quota superando diversi dossi fino alla base delle scure e ripide rocce della piramide sommitale (m 3050 ca., ore 0:45). Togliamo gli sci e calziamo i ramponi. Ad aiutarci nell’ascesa di questa bancata rocciosa ci sono diversi tratti di catena che sono libere dalla neve grazie alla forte pendenza e al colore scuro delle rocce che si riscaldano facilmente quando colpite dai raggi solari2. Superato questo ostacolo, siamo sulla rampa finale. Fatichiamo parecchio perché ogni due passi la neve cede e sprofondiamo fino alla cintura. Ma non demordiamo, ormai manca poco. In breve sbuchiamo sull’affilata cresta che ci conduce all’apogeo del monte del Forno (m 3214, ore 0:45). Sappiamo che c’è anche il libro di vetta, però non abbiamo voglia di scavare due metri di neve per poi magari nemmeno trovarlo! Il paesaggio è mozzafiato in ogni direzione. A N sfila tutta la valle del Muretto fino all’alta Engadina, a E in primo piano la Sassa di Fora e come sfondo il gruppo del Bernina, a S la paurosa parete N del monte Disgrazia abbracciato dalle L'ultima affilata cresta per la vetta del monte del Forno. Sullo sfondo da sx: punta Rosalba, cima del Duca e passo Ventina. In lontananza la catena delle Orobie da cui svettano, a dx, il pizzo di Coca e il Dente di Coca (18 foto Luciano Bruseghini). 76aprileLE2013, MONTAGNE DIVERTENTI 2 - Nel caso le catene fossero sommerse dalla neve, si può accedere all’ultimo tratto risalendo un canalino con piccozza e ramponi. Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte del Forno (3214) 77 Valmalenco Alpinismo A l p e Va z z e d a S u p e r i o r e Luciano Bruseghini La valle del Forno dal monte del Forno (18 aprile 2013, foto Luciano Bruseghini). selvagge valli Ventina e Sissone. Ma lo spettacolo più formidabile lo si ha verso O con la cartolina della valle del Forno, orlata da imponenti vette tra cui spiccano la squadrata cima di Castello e il pizzo Bacone. on vorremmo più abbandonare questa esaltante postazione, ma non ci attardiamo, sospinti dalla favolosa discesa che ci attende. Ricalchiamo lo stesso itinerario della salita fino a recuperare gli sci. Qui ci sono due alternative per rientrare a Chiareggio: seguire lo stesso percorso dell’andata, oppure imboccare la valle del Muretto. Noi ovviamente optiamo per quest’ultima variante, in modo da compiere un itinerario ad anello! Conquistiamo lo spartiacque tra Svizzera e Italia e appena avvistiamo un pendio abbordabile ci fiondiamo verso E, disegnando serpentine su neve primaverile fantastica. Bisogna prestare attenzione a non abbassarsi troppo lungo il ripido terreno invitante, perché termina con degli alti salti rocciosi. Così pieghiamo in diagonale verso sx (N), scollinando gradatamente e raggiungendo la valle del Muretto. Divoriamo la vallata oltrepassando alcune valanghe slittate dai costoni del monte dell’Oro, fino ad approdare alla strada che conduce a Chiareggio. Anche qui si ha una doppia L'anfiteatro che ospita l'alpe Vazzeda Superiore visto dal buchèl del Can (28 luglio 2009, foto Luciano Bruseghini). N 78 LE MONTAGNE DIVERTENTI U n pomeriggio di gennaio, mentre fuori nevica, vado a scambiare due chiacchiere con Vittorio Moroni (detto Murunìn) di Mossini, ultimo caricatore dell’alpe Vazzeda Superiore a trascorrervi su tutta l'estate. ul volume edito dalla Società Storica Valtellinese Inventario dei toponimi Valtellinesi e Valchiavennaschi - Chiesa in Valmalenco, quando si parla di alpe Vazzeda, viene segnalato che sulla mappa del 1816 vi erano 22 edifici (a metà del 900 erano 12) nella parte inferiore e 14 (10 a metà del secolo scorso) in quella superiore; questo ne faceva l’alpeggio più grande, per numero di costruzioni, di tutto il comune. Inoltre questo insediamento era già menzionato in documenti del 1544 con il termine Alpis de Lavazeda. Un bellissimo quadro raffigurante l’ambiziosa e travagliata parete nord del Disgrazia, ripresa dalla sua malga, fa bella mostra in soggiorno. Lo guarda spesso, ripensando ai bei momenti trascorsi in Valmalenco, dove verdi paesaggi sono raccolti nella cerchia di malòss e creste frastagliate, spesso coperti da pennacchi di nubi S 1934: dalla vetta del monte del Forno (foto Alfredo Corti - www.archiviocorti.it). scelta. Ci si può abbassare verso dx, seguendo il corso del torrente sino a toccare l’alpe Monte Rosso Inferiore (m 1946) e Vazzeda Inferiore per poi intercettare l’itinerario di salita. Oppure, opzione da noi adottata, procedere per la strada fino all’alpe dell’Oro (m 2010, ore 1:30), collo- cata su un dosso che domina la val Sissone e consente d'ammirare la parete nord del Disgrazia. Goduto il panorama, dall'alpe divalliamo lungo la carrareccia fino al cian del Löf dove ci aspetta l'auto (m 1612, ore 0:30). Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI turbolente. L’animo si intristisce: il tempo è volato via, sono rimasti solo i ricordi! «Sono nato nel 1927 a Mossini. A soli sette mesi sono stato portato all’alpe Vazzeda Superiore, caricata nei mesi estivi prima dai nonni, che abitavano a Gualtieri (frazione di Sondrio all’imbocco del ponte del Valdone, a pochi chilometri da Mossini), poi dai genitori. Infine ho ereditato io stesso i pascoli dell’alta Valmalenco. Eh sì, “ereditare” è la parola corretta perché si tratta di un alpeggio privato suddiviso fra varie famiglie. Dal 1927 al 1998 ho trascorso lì tutte le estati, ad eccezione del periodo di leva militare svolta a Brunico dove ho mostrato doti di buon alpinista, conquistando sia le Tre Cime di Lavaredo, sia l’Ortles. D’altronde per uno che ha scalato anche la cima Vazzeda, le vette dolomitiche non presentano certo grosse difficoltà! Quando iniziava la transumanza, partivo a piedi alle quattro di mattina da Gualtieri e al pomeriggio ero già sui pascoli di Vazzeda inferiore, dopo aver percorso una ventina di chilometri attraversando tutta la valle. In epoca più recente, invece, trasportavo il bestiame con un camion fino a Chiareggio e poi da lì, con santa pazienza, guidavo e sospingevo gli animali che arrancavano sugli angusti sentieri. Nei primi anni accudivo solo una decina di capi perché altre due famiglie di Ponchiera sfruttavano l’alpeggio, più tardi vennero sostituite da una di Albosaggia e una di Castione. Rimasto solo, le mucche superarono la ventina, più un paio di maiali nutriti con gli scarti della lavorazione del latte e qualche capretta. Oltre ai miei bovini, mi facevo carico di altri appartenenti ad allevatori di Faedo i quali mi affidavano anche i propri figli (localmente detti famei) perché dessero una mano nelle attività casearie o di pascolo. Pure i miei quattro figli (Agnese, Andrea, Angelo ed Enrico), quando erano giovani, mi seguivano negli alti pascoli e mi davano una mano nella conduzione dell’alpe. Invece mia moglie, Scilironi Elda, originaria di Gualtieri, trascorreva i mesi estivi a Mossini a lavorare la campagna e le vigne; solamente di tanto in tanto mi raggiungeva in baita. [Ridendo, Vittorio, dice che lo andava a trovare solo per sgridarlo!] Vittorio Moroni 79 Valmalenco Alpinismo Elda e Vittorio, l'ultimo che ha caricato per tutta l'estate l'alpe Vazzeda Superiore (30 gennaio 2014, foto Luciano Bruseghini). appuntamenti sul campo per migliorare la propria tecnica Workshop orkshop W fotografici fotografici by Enrico Minotti by Enrico Minotti info: www.facebook.com/enrico.minotti.1 80 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 Tutto il latte munto veniva lavorato sul posto, mentre il burro era portato a Chiareggio per essere venduto. Solitamente una volta alla settimana i ragazzi scendevano alla piccola frazione di Chiesa con i prodotti da smerciare e risalivano col pane e altri alimenti di prima necessità. A seconda delle annate avevo anche un cavallo o un asino per trasportare nell’ultimo tratto i carichi pesanti, tra cui il vino che io stesso torchiavo. Quando ero bambino, nel periodo della seconda guerra mondiale, il pane di segale veniva preparato in casa e cotto nel forno di Gualtieri. Portato in alpeggio, durava fino a un mese. Forse era la farina migliore e meno contaminata o piuttosto la fame che lo rendevano appetibile anche dopo trenta giorni! A seconda del tempo meteorologico, passavo in quota un periodo di durata variabile, dalla metà di giugno alla metà di settembre. In un’annata particolarmente mite vi rimasi fino al 24 di settembre. Trascorrevo le prime tre settimane all’alpe inferiore, poi un mese e mezzo in quella superiore, e infine altre tre settimane in basso. Nei pascoli alti gli animali brucavano liberamente, mentre in quello più sotto sfalciavo parte LE MONTAGNE DIVERTENTI dell’erba che accantonavo per i giorni antecedenti il rientro a Gualtieri. La mia baita non è situata nel nucleo centrale di Vazzeda superiore, ma è po’ più isolata, lungo il sentiero che conduce al passo del Forno1. Le mucche si spingevano anche al piano delle marmotte, circa duecento metri più su e non venivano mai ricoverate al chiuso. Toccava a me e ai miei aiutanti salire a mungerle, per poi portare il latte alla baita dove lo trasformavamo. C’è capitato diverse volte di dover provvedere alla mungitura sotto i fiocchi di neve che a quelle altitudini cadono anche nei mesi estivi. Nel 1987, durante l’alluvione che devastò la Valtellina, rimasi isolato a Vazzeda a causa dell’ingrossamento dei torrenti che abbatterono i ponti. Mio figlio Enrico, molto preoccupato, salì con l’elicottero per vedere come stavo. Appena atterrato, invece di ringraziarlo per l’oneroso interessamento, lo rimproverai aspramente perché il mezzo volante aveva spaventato il cavallo che imbizzarrito era fuggito scalciando a destra e a manca. Spesso incontravo e rifocillavo i 1 - Il libro dei toponimi riporta alla voce ca del murunìn: “la baita più settentrionale del gruppo di Vazzeda Alta, all’estremità N della ciana de Campiö, preso il sentiero alpe Vazzeda - alpe Monte Rosso Alto.” contrabbandieri che rientravano in Valmalenco attraverso i passi del Forno o del Muretto, ma io non ha mai praticato quest’attività. Solo durante gli anni di guerra, con l’amico Pedrolini Ulrico, detto Chicu, valicavo il Muretto e scendevo fino al Maloja per scambiare il burro con il sale necessario alla produzione del formaggio; lo scambio era molto vantaggioso perché in Italia un chilo di burro equivaleva a un chilo di sale, mentre in Svizzera ne valeva venticinque. Non sono mai stato nemmeno un cacciatore, a differenza dei miei vicini di alpeggio di Ponchiera: per me gli animali erano parte integrante di quel paesaggio che amavo tanto. [A quel ricordo gli occhi gli si riempiono di un umido luccichio]. Con gli abitanti della Valmalenco andavo molto d’accordo, se erano donne ancora di più!» Prima di lasciarci mi informa che il 16 gennaio scorso ha festeggiato sessant’anni di felice matrimonio con la moglie Elda, poi però mi saluta con una perla di saggezza: «Le donne sono la rovina dell’umanità: comandano e sgridano… anche se a volte servono!» Vittorio Moroni 81 Alpinismo con gli sci alla Cima della Manzina (m 3318) Giacomo Meneghello Verso la vetta arrotondata della cima della Manzina (29 dicembre 2012, foto Giacomo Meneghello - www.clickalps.com). 82 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Cima della Manzina (m 3318) 83 Alta Valtellina Alpinismo a scialpinistica alla cima della Manzina è una classica gita adatta a tutti che si svolge in ambiente di alta montagna. Può essere affrontata sia in inverno che in primavera, L quando l’apertura della strada per i Forni permette di accorciare l’avvicinamento e ridurre così il dislivello da superare. Per i più allenati è possibile concatenare il vicino e forse più celebre monte Confinale (m 3370) passando dal bivacco Del Piero. BELLEZZA Partenza: ristoro Stella Alpina (m 2061). Itinerario FATICA PERICOLOSITÀ automobilistico: da Bormio si segue la SP29 per Santa Caterina Valfurva (13 km). Giunti in paese, dopo meno di un km si incontra un bivio dove si prende a sx seguendo le indicazione per i Forni. Dopo 2,5 km circa si trova il ristoro Stella Alpina. In discesa dalla cima della Manzina - sullo sfondo il Gran Zebrù (29 dicembre 2012, foto Giacomo Meneghello). Q Itinerario sintetico: ristoro Stella Alpina (m 2061) - Pradaccio di Sotto (m 2175) - Pradaccio di Sopra (m 2298) - valle della Manzina - cima della Manzina (m 3318). Tempo previsto: 3 ore e mezza. Attrezzatura richiesta: da scialpinismo o ciaspole, kit antivalanga. Difficoltà/dislivello: 2.5 su 6 / oltre 1250 metri. Dettagli: BS. Gita in alta quota senza difficoltà alpinistiche. Mappe: - Kompass n.72 - Parco Nazionale dello Stelvio, 1:50000. L'ultimo tratto della salita alla cima della Manzina (29 dicembre 2012, foto Giacomo Meneghello ). 84 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 uest’anno la Manzina è stata la cima che ha battezzato il nostro anno sci alpinistico; infatti messi da parte i festeggiamenti del Capodanno - l'abbiamo salita il primo giorno del 2014 con le pelli dall’imbocco della strada dei Forni, che non viene sgombrata dalla neve fino all’apertura dei rifugi1. 2,5 km sopra Santa Caterina si trova, in località Campéc' da Fro, il ristoro Stella Alpina (m 2061). Di fronte all'edificio si diparte a sx (N) una stradina che costituisce l'inizio del tracciato estivo per il lago della Manzina e per il bivacco Del Piero. La seguiamo e immersi in un bosco di mughi prendiamo quota fino alle baite di Pradaccio di Sotto (m 2175). Gli edifici sono realizzati in muratura nella parte inferiore, dov'era generalmente il focolare, e con tronchi di legno incastrati nella parte superiore, creando uno spazio che serviva sia da soggiorno che da camera da letto2. Attraverso le radure pascolive raggiungiamo Pradaccio di Sopra (o Pradaccio dei Forni, m 2298). Insistiamo verso O fino a quando, in prossimità di un cartello, iniziamo a risalire la dorsale che divide la valle della Manzina dalla valle Pisella. Guadagniamo velocemente quota, rimontando con alcune inversioni il pendio, per poi entrare nell’ampia valle della Manzina (sx) e, a circa m 2650, traversiamo ulteriormente a sx. Il lago della Manzina riposa 1 - I rifugio vengono solitamente aperti a inizio marzo. 2 - Questa tipologia di edifici viene indicata con il termine cardén. LE MONTAGNE DIVERTENTI dall'altro lato della valle sotto una spessa coltre di neve, e con esso anche il drago che, come raccontava Antonio Boscacci, aveva continuato a emergere dalle acque e a spaventare i pastori finchè il bacio di una fanciulla non lo aveva trasformato in una creatura migliore. Il paesaggio è emozionante e contraddistinto dal sempre presente pizzo Tresero. In direzione opposta, separate da una larga sella ci sono le cime del Confinale (m 3370) e quella della Manzina (m 3318). Nella massima depressione tra le due è ubicato il bivacco Del Piero (m 3166). Riprendiamo la marcia verso N, alternando facili coste, ampi canali e tratti pianeggianti fino a giungere a un ampio pianoro (m 2850 circa) dove, verso sx (O) si svolge la vallata che Cima della Manzina (m 3318) 85 Alpinismo condurrebbe al monte Confinale. Noi invece insistiamo verso N e risaliamo i dolci pendii fino ai piedi della cima della Manzina, ormai ben visibile di fronte a noi. La rampa finale è piuttosto inclinata e costituisce l’unico tratto impegnativo di tutta l’escursione. La affrontiamo con attenzione per guadagnare la spalla meridionale del monte, su cui svolgiamo le ultime inversioni per arrivare in vetta (cima della Manzina, m 3318, ore 3:30). La discesa avviene seguendo la traccia di salita, in uno scenario incredibile di vette che decorano l'orizzonte, prime fra tutte le famose Tredici Cime, custodi del ghiacciaio dei Forni. In discesa dalla cima della Manzina, sullo sfondo il Tresero (29 dicembre 2012, foto Giacomo Meneghello - www.clickalps.com). 86 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Cima della Manzina (m 3318) 87 Escursionismo Sopra Campodolcino c'era una volta un piccolo lago Marco Scuffi La palü dal Fén in veste autunnale. Sullo sfondo il pizzo Tambò (26 ottobre 2013, foto Enrico Minotti). 88 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Palü dal Fén e läj de la Marsciüra 89 Valchiavenna Escursionismo ’era una volta un piccolo lago tra gli abitati di Gualdera e Mottala, nel comune di Campodolcino; quanto tempo fa non si sa con precisione, forse un secolo o poco più… C Il lago era associato ad uno specchio d’acqua minore che si trovava poco più in alto, nel bosco adiacente (il bosco delle Coste). I due specchi d’acqua facevano parte dello stesso sistema idrico, dipartendosi dallo stagno nel bosco un ruscello che andava ad alimentare il laghetto. Da quest’ultimo l’acqua defluiva lungo la val del Moladin fino a raggiungere l’abitato di Campodolcino, dove confluiva nel Liro. Rana temporaria alla palü dal Fén in primavera, durante la stagione degli amori. Le rane hanno fecondazione esterna, cioè il maschio feconda le uova mano a mano che la femmina le depone nell'acqua. Queste hanno forma sferoidale e sono trasparenti, con il piccolo embrione scuro visibile al centro. A dx quella che in gergo si definisce una "coppia allacciata"; si notano le maggiori dimensioni della femmina, dovute alla necessità di produrre le uova (18 aprile 2013, foto Marco Scuffi). Località Tri Tech, salendo verso Mottala. Sullo sfondo le Alpi Lepontine (26 luglio 2011, foto Marco Scuffi). C on il passare degli anni i due specchi d’acqua hanno subito un processo di interramento. Questo è il normale destino di ogni bacino ed è dovuto principalmente all’apporto dei sedimenti da parte dei corsi d’acqua che lo alimentano, unitamente al deposito di detrito organico (principalmente di natura vegetale). Un esempio eccellente a livello locale è il parziale interramento del Lario, il quale in tempi storici (circa duemila anni fa) raggiungeva con le sue sponde settentrionali il comune di Samolaco (il cui stesso toponimo indicherebbe la “sommità del lago” dell’epoca) e forse, in tempi protostorici, aveva un’estensione che poteva raggiungere l’altezza dell’asse Gordona-San Cassiano, considerando la morfologia del paesaggio. I due specchi d’acqua tra Mottala e Gualdera, decisamente più piccoli e 90 LE MONTAGNE DIVERTENTI posti in un contesto differente, devono aver subito il processo di interramento con una velocità maggiore: esistono nell’area alpina molte torbiere in formazione, che sono ciò che rimane di altrettanti laghetti, ormai completamente interrati. In particolare il laghetto principale sembra aver subito un brusco riempimento a causa di una valanga che tempo addietro sarebbe discesa dalle pendici del monte Calcagnolo, portando una gran quantità di materiale; lo stagno nel bosco invece non dovrebbe aver risentito dell’evento e si sarebbe riempito più gradualmente, per via della vegetazione. Il primo specchio d’acqua è chiamato localmente palü dal Fén (palude del fieno, nel dialetto locale), mentre quello nel bosco si chiama läj de la Marsciüra (con una traduzione un po’ incerta, laghetto marcescente). I due toponimi esprimono lo status che i corpi idrici avevano fino al 2011: una sorta di palude e uno stagno quasi completamente invaso dalla vegetazione. I toponimi, generalmente molto conservativi, esprimono il fatto che tale interramento è di vecchia data: ciò spinge a chiedersi quando i due corpi idrici presentassero il loro aspetto originario. el 2008 il comune di Campodolcino stese un progetto di massima per un ripristino ambientale dell’area, focalizzato sul recupero dello status originario dei laghetti, tramite la rimozione dei sedimenti che li avevano riempiti. Il progetto fu visionato dalla Regione, che suggerì di arricchirlo con una consulenza di tipo naturalistico; il comune si rivolse pertanto all’ERSAF, che ne commissionò il lavoro alla dottoressa forestale Rita Angelini. Il nuovo progetto, N Primavera 2014 approvato nel 2009, venne realizzato tra l’inverno del 2010 e la primavera del 2011. La scelta di operare d’inverno fu dettata dal fatto che durante questa stagione il regime idrico è ridotto e gli scavi sono quindi facilitati. La presenza di una falda alta nel terreno causò però qualche problema, perché la parte scavata durante il giorno si riempiva d’acqua durante la notte. Durante la fase di scavo emersero dei grossi tronchi di larice parzialmente carbonificati dai sedimenti che riempivano la palü dal Fén, che portarono gli esperti a concludere che il riempimento della palü dal Fén sia stato causato principalmente da un evento improvviso, identificato con una valanga discesa dal Calcagnolo. Alcuni campioni prelevati dai tronchi sono stati portati all’università di Pisa, dove una volta analizzati al radiocarbonio restituiranno l’età della valanga e quindi del lago che esisteva prima della palü, che da sempre gli abitanti del luogo ricordano. Il läj de la Marsciüra è stato lasciato inalterato, permettendo così l’osservazione di due fasi ambientali normalmente separate cronologicamente in uno spazio ridotto e risparmiando il bosco dalla presenza un po’ impattante delle macchine di scavo. In aggiunta al lavoro di ripristino della palü dal Fén e dei sentieri LE MONTAGNE DIVERTENTI nel bosco che la collegano col läj de la Marsciüra, sono state poste in area durante i lavori alcune strutture lignee destinate ai visitatori: un paio di passerelle, alcune panchine, un ponticello e una fontanella. Si è scelto di usare legno di larice non trattato per non alterare la chimica del luogo e si è tratta ispirazione per la loro realizzazione da lavori simili eseguiti con successo altrove sull’arco alpino. Le passerelle non sono eccessivamente impattanti e permettono al visitatore di avvicinarsi ai luoghi d’interesse, senza peraltro invaderli in maniera diretta. e aree umide rivestono una grande importanza naturalistica, costituendo importanti scrigni di biodiversità: sono molte infatti le specie vegetali e animali che traggono vantaggio da questo tipo di ambiente. Il ripristino della palü dal Fén a una condizione precedente il suo interramento ha permesso quindi la conservazione di un habitat importante, che ospita e attrae molti organismi, tra cui spiccano gli anfibi. Gli anfibi sono animali molto delicati, che stanno soffrendo una crisi biologica su scala globale ormai da alcuni decenni: la palü dal Fén costituisce quindi un’area strategica, per lo meno per la conservazione delle forme locali. l MUVIS (Museo della Via Spluga e Val San Giacomo) mi ha L I commissionato uno studio dell’area, per verificare le sue condizioni ambientali dopo il termine dei lavori condotti dall’ERSAF; lo studio è stato concepito come un monitoraggio della durata di un anno, a partire dalla primavera del 2011, volto a censire le principali forme presenti. Concentrandomi sulla specificità dell’habitat come area umida, ho condotto le mie osservazioni principalmente sulle forme tipicamente legate all’acqua, quindi gli anfibi tra i vertebrati, le pteridofite tra le piante, insetti e molluschi palustri tra gli invertebrati. Non ho mancato però di notare come l’area costituisca un centro attrattivo anche per altri animali meno tipicamente legati a questo ambiente, come uccelli e mammiferi, in un quadro totale di grande completezza. Durante le mie osservazioni ho avuto modo di notare che l’ambiente è in buone condizioni, dal momento che la sua ricolonizzazione da parte delle forme tipiche è proceduta su tempi molto rapidi dopo la rimozione dei sedimenti: nel giro di un paio di mesi, infatti, nelle aree circostanti la palü dal Fén è cresciuta una discreta popolazione di equiseti e le acque sono state subito raggiunte da rane e tritoni. Presso i sedimenti rimossi non sono quindi cresciute piante ruderali e infestanti, come spesso accade, ma ha trovato posto la vegetazione palustre Palü dal Fén e läj de la Marsciüra 91 Valchiavenna Escursionismo A sx: uova di Rana temporaria appena deposte, presso la palü dal Fén. Esse sono raccolte in ammassi. Al centro di ogni singolo uovo è visibile l'embrione, che ha forma sferoidale quando questo è stato appena deposto. A dx invece l'embrione si presenta ad uno stato di crescita più avanzato e si distinguono la testa, il corpo e la coda. Poco tempo dopo, assunta una forma più longilinea e definita, comincierà a compiere movimenti ritmici, sempre più frequenti, fino a divincolarsi completamente dalla gelatina che lo circonda, schiudendo così dall'uovo e diventando un girino (30 marzo e 17 aprile 2012, foto Marco Scuffi). consona a questo tipo di ambiente. Anche gli anfibi, che negli anni precedenti devono essere sopravvissuti alla meno peggio sfruttando raccolte di acqua minori, non hanno impiegato molto tempo per individuare e colonizzare il nuovo specchio d’acqua. Oltre agli organismi palustri sono presenti anche forme meno legate all’acqua che completano l’ecosistema circostante: pinete, lariceti e praterie, molte specie di uccelli e una discreta presenza di mammiferi. Tra i mammiferi si segnala la presenza di scoiattoli nei boschi che circondano tutta l’area; inoltre ci sono ungulati, come camosci e caprioli, che raggiungono occasionalmente la zona abbeverandosi presso il laghetto e frequentando i boschi di media quota. Sono presenti altre specie e l'elenco non è da considerarsi completo: ad esempio nelle vicinanze vivono volpi e per quanto riguarda i micromammiferi gli scoiattoli molto probabilmente non sono gli unici. Per gli uccelli il discorso si fa più ampio: normalmente questi vertebrati presentano una maggiore ricchezza di specie e rimane difficile censirle tutte, ma ad una prima e superficiale osservazione si segnala la presenza di cince (soprattutto cince more), fringuelli, codirossi (soprattutto codirossi spazzacamino), merli, cuculi (i quali pur difficilmente si fanno avvi- 92 LE MONTAGNE DIVERTENTI stare sono palesati dal loro inconfondibile canto), ballerine (soprattutto ballerine bianche) e ghiandaie. Non mancano gli uccelli rapaci: si possono occasionalmente avvistare dei falchi, che però non ho potuto identificare in maniera più precisa per la brevità delle osservazioni. Alle volte capita di individuare specie meno comuni: ad esempio accanto al merlo, il tordo più frequente, si possono incontrare altri rappresentanti della stessa famiglia, come il tordo bottaccio; altri uccelli ancora pur essendo solo di passaggio, possono talvolta sostare nell’area, come la bizzarra upupa. Pure in questo caso non si può parlare di una lista completa, che quasi sicuramente comprende molte altre specie, magari più rare ed elusive, che abitano l’area. Gli anfibi costituiscono la fauna più strettamente connessa con l’ecosistema della palü dal Fén e del läj de la Marsciüra. Questi animali sono ovipari e le loro uova sono prive di guscio, quindi devono essere deposte in acqua per evitare la disidratazione; esistono alcune specie ovovivipare, ma le larve sono sempre dotate di branchie e necessitano di un ambiente acquatico per sopravvivere. Crescendo sostituiscono le branchie con i polmoni e diventano animali terrestri, che però sono sempre legati ad ambienti umidi perché la loro pelle è priva di cheratina e si disidra- tano facilmente; inoltre la stessa pelle partecipa in maniera importante agli scambi gassosi della respirazione e va pertanto mantenuta umida. Gli anfibi presenti nell’area appartengono alle specie Rana temporaria e Mesotriton alpestris. Queste sono specie adattate all’ambiente montano e si possono trovare anche in aree di alta quota. Raggiungono gli specchi d’acqua in vista della riproduzione, in primavera. Alla palü dal Fén e al läj de la Marsciüra giungono per prime le rane, a marzo; qualche settimana dopo arrivano anche i tritoni. Entrambe le forme per raggiungere il lago risalgono il ruscello della val del Moladin, dove probabilmente trascorrono la restante parte del loro ciclo vitale, nella frescura del bosco e con l’umidità garantita dal torrentello. L’arrivo delle rane è certamente il più vistoso: gli animali giungono in massa occupando tutta la zona e riempiendo l’aria col suono rimbombante e grave del loro gracidio. I tritoni sono più piccoli, non saltano e non emettono vocalizzi, pertanto il loro arrivo è molto più dimesso; solo con un’osservazione attenta presso gli stagni li si può notare. Tanto le rane adulte quanto i tritoni si trattengono per poco tempo negli stagni e poi, finita la riproduzione, si dileguano, lasciando sul luogo le uova da cui schiuderanno Primavera 2014 A sx: il girino è dotato di un paio di occhi, di una bocca con due astucci cornei per magniare il detrito vegetale presente in acqua e di una coda che fornisce la propulsione nel nuoto. Andando poi incontro alla metamorfosi svilupperà prima gli arti posteriori, poi quelli anteriori e infine ritirerà la coda, sostituendo contestualmente le branchie coi polmoni e modificando l'intestino, da detritivoro a insettivoro, diventando così una rana neometamorfosata, come quella visibile a dx (7 giugno 2013 e 26 luglio 2012, foto Marco Scuffi). le larve, che permangono in acqua fino all’autunno: durante l’estate si può quindi osservare la metamorfosi delle larve e vedere le prime rane neometamorfosate. L’osservazione dello sviluppo dei tritoni è invece meno facile, perché i giovani tritoni non saltano e si nascondono facilmente nella vegetazione. È più facile osservare gli adulti che si radunano per la riproduzione: in questa fase del suo ciclo vitale M. alpestris muta la propria livrea, assumendo colori vivaci per l’occasione. Il maschio assume un tono azzurrato con marmorizzature più scure sulla schiena, una banda bianca puntinata di nero lungo i fianchi e sviluppa una cresta vertebrale gialla e nera. La femmina mantiene tonalità più spente sulla regione dorsale, ma in entrambi i sessi il ventre ha una ricca colorazione arancio: quest'ultima si nota facilmente quando l'animale emerge per respirare dal fondo della pozza su cui si mantiene solitamente. Sia i maschi che le femmine quando non sono nella stagione riproduttiva assu- mono un colorito molto più scuro, quasi nero, tranne che per la regione ventrale che rimane sempre arancio. I colori di Rana temporaria sono invece più mutevoli in quanto c’è una buona variabilità intraspecifica: il nome comune “rana rossa” con cui si indica questo animale non deve trarre in inganno; lo stesso nome del resto non è riferito solo a Rana temporaria, ma designa un intero insieme di specie di cui fa parte. In Rana temporaria ci sono sì individui dal colore rossastro, ma sono presenti anche individui La Rana temporaria adulta può raggiungere i 10 cm di lunghezza e si nutre d'invertebrati terrestri, tra cui predominano lombrichi, gasteropodi, insetti e aracnidi, oltre ad acquatici come larve d'insetti e molluschi. Trascorre i mesi più freddi nascosta nel terreno in uno stato di ibernazione. La durata della vita di Rana temporaria raggiunge i 6 - 8 anni (18 aprile 2013, foto Marco Scuffi). LE MONTAGNE DIVERTENTI Palü dal Fén e läj de la Marsciüra 93 Valchiavenna Escursionismo 15 0 10 9 2 8 3 7 4 65 5 A sx la rara lucertola Zootoca vivipara, a dx la felce Blechnum spicans alla palü dal Fén (7 giugno 2013 e 26 luglio 2012, foto Marco Scuffi). In rosso l'itinerario automobilistico, in verde quello escursionistico per visitare la palü dal Fén e il läj de la Marsciüra. BELLEZZA FATICA A sx Mesotriton alpestris (7 giugno 2013, foto Marco Scuffi), a dx il läj de la Marsciüra in abito invernale (13 dicembre 2011, foto Marco Scuffi). dai toni bruni, verdi e anche di color paglierino. Tutti sono accomunati però da chiazze scure triangolari sulla regione timpanica, oltre ad un’altra chiazza a forma di V sulla nuca. Sono presenti infine altre chiazze scure più piccole sparse su tutto il corpo e bande trasversali sulle zampe, sebbene questo sia un carattere condiviso con altre specie. Oltre agli anfibi è presente il rettile Zootoca vivipara: questa lucertola è piuttosto rara e legata alle aree umide negli ambienti di bassa quota; sull’arco alpino presenta popolazioni in grado di vivere ad alta quota e il suo adattamento all’ambiente montano potrebbe essere stato favorito dalla comparsa dell’ovoviviparità (a dispetto di quanto recita il nome specifico, non trattandosi di viviparità in senso stretto). Quello della palü dal Fén si presenta come un curioso caso intermedio, non essendo un ambiente di alta quota, ma un’area umida, come quelle che questo 94 LE MONTAGNE DIVERTENTI animale frequenta altrove. Come rilevato è una specie meno comune rispetto alle altre lucertole presenti localmente, pertanto aumenta il valore naturalistico di questo habitat. Completano il quadro altre specie tipiche degli ecosistemi delle aree umide, come insetti acquatici, quali i gerridi (che sfruttano la tensione superficiale dell’acqua, percorrendola con un movimento che ricorda il pattinaggio, alla ricerca delle loro prede, costituite perlopiù da altri insetti che cadono in acqua), le libellule (che come gli anfibi hanno larve acquatiche), gasteropodi acquatici e tra le piante le pteridofite (Equisetum fluviatile, felci e licopodi, che crescono nelle vicinanze e nel bosco). Tra le felci spicca Blechnum spicans, di cui cresce un esemplare vicino alla palü dal Fén: in attesa di ulteriori conferme, sembrerebbe infatti che a livello locale questa sia la stazione più settentrionale di questa pianta. Gli animali e le piante già presenti nell’area hanno trovato nella palü dal Fén un habitat molto favorevole, grazie ai lavori che hanno condotto al suo ripristino. L’ambiente è di facile accesso e permette anche a noi di poterli osservare più facilmente. Ciò deve essere fatto nel rispetto degli organismi presenti, al fine di non scacciarli o danneggiarli. L’ambiente infatti è in buone condizioni e potrà mantenersi tale sia con un approccio rispettoso da parte dei visitatori, che con operazioni di tutela da parte delle autorità competenti. È in progetto l’estensione del SIC della vicina val Zerta per portarlo a comprendere l’area descritta: le zone umide costituiscono infatti un ambiente prioritario per la convenzione dei SIC. Primavera 2014 PERICOLOSITÀ - Partenza: campo da calcio di Fraciscio (m 1301). Itinerario automobilistico: da Chiavenna - bosco delle Coste - Castèl - campo da calcio di Fraciscio (m 1301). seguire la SS36 dello Spluga in direzione del passo dello Spluga fino a Campodolcino (13,4 km). All'altezza della chiesa, prima del ponte sulla Rabbiosa, seguire l'indicazione per Fraciscio. Appena passato il ponte sul torrente Rabbiosa (2 km), prendere la stradina sulla dx che conduce in poco più di 100 metri al campo sportivo. Tempo previsto: 1 ora. Attrezzatura richiesta: nessuna. Difficoltà/dislivello: 1- su 6 / circa 150 metri. Dettagli: semplice passeggiata su strade e Itinerario sintetico: campo da calcio di Fraciscio (m 1301) - Tri Tecc - Mottala - palü dal Fén (m 1376) - läj de la Marsciüra (m 1407) - palü dal Fén (m 1376) Mappe: - Kompass n. 92 - Valchiavenna - Val Bregaglia, 1:50000. sentieri. U n breve anello escursionistico che ha come baricentro le case di Mottala consente di raggiungere la palü dal Fén e di visitare l'area di alto valore naturalistico posta di fronte a Fraciscio. Partiamo (0) dal campo da calcio di Fraciscio (m 1301), all'estremità S del paese, e, dopo aver costeggiato per 150 metri il torrente Rabbiosa sulla sua idrografica dx, lo attraversiamo grazie a un ponticello (1). Dopo il primo tratto il sentiero passa vicino alla strada per Mottala (2). Oltre una presa dell'acqua il sentiero diviene panoramico (3) con la località Tri Tecc in primo piano, Fraciscio in secondo piano e le Alpi Lepontine sullo sfondo che chiudono il versante dx della valle Spluga. Proseguendo troviamo un'area con altalena e panchine, quindi entriamo nel bosco raggiungendo la zona dell'Erba del Leo, un antico LE MONTAGNE DIVERTENTI pascolo ora rimboschito, dove poco distante dal sentiero si trovano alcuni grossi massi, probabilmente messi in loco da paleofrane risalenti alla fine dell'ultima glaciazione. Queste si pensa siano state originate dall'instabilità di versante dovuta allo scioglimento dei ghiacciai. Dopo una breve salita (4) raggiungiamo Mottala. I prati prendono il posto del bosco e brevemente ci ricolleghiamo alla strada (5), esattamente di fronte alla palü dal Fén (m 1376). Ci portiamo a N dell'acquitrino, dove intercettiamo il sentiero che sale al vicino läj de la Marsciüra (m 1407, ore 0:30). Ritornati alla palü dal Fén (5), prendiamo il sentiero verso NNO che passa a lato dell'area paludosa a valle del laghetto (6) e va a fiancheggiare dapprima il torrente della val del Moladìn1 (7), quindi la forra via via più profonda in cui questo si incassa (8). Lasciamo il torrente alla nostra sx e usciamo dal bosco (9) per arrivare al Castèl (10), dove ritroviamo la strada che da Campodolcino sale a Fraciscio. Seguendola verso dx in meno di 300 metri siamo nuovamente al campo sportivo. 1 - È chiamata così perchè una volta il torrente era sfruttato per alimentare un piccolo mulino a Campodolcino. Palü dal Fén e läj de la Marsciüra 95 Escursionismo Piateda: le marmitte del Serio Nicola Giana 96 Sezioni comunali della Provincia di Sondrio AVIS di Bormio 0342 902670 • AVIS di Caspoggio 0342 451954 • AVIS di Chiavenna 0343 67297 AVIS di Lanzada 0342 452633 • AVIS di Livigno 334 2886020 • AVIS di Morbegno 0342 610243 AVIS di Poggiridenti 0342 380292 • AVIS di Sondalo 0342 801098 • AVIS di Sondrio 800593000 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 Le marmitte del Serio (1 2011,DIVERTENTI foto Marino Amonini). LEgennaio MONTAGNE Le marmitte del Serio 97 Versante orobico Escursionismo BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ - Partenza: contrada Valbona a Piateda. Itinerario automobilistico: da Sondrio prendere la tangenziale in direzione Tirano. Oltrepassare la rotonda del Trippi e alla rotonda di Poggiridenti prendere la prima a destra per Piateda. Proseguire da Piateda Centro per Boffetto; giunti poco prima del ponte sull’Adda (ponte della Streppona), svoltare a destra per Piateda Alta. Dopo 300 metri prendere a sinistra la via Valbona. Alternativa all'auto: Valbona dista 7,5 km dalla stazione FS di Sondrio. Comodamente connessa al tracciato ciclopedonale del sentiero Valtellina, è raggiungibile sia in bicicletta (ore 0:30) sia a piedi (ore 1:30). Itinerario sintetico: Valbona (m 341) - chiesa di San Vittore (m 550) - Bettoli (m 704) - chiesa di Santa Croce passarella di quota Tempo previsto: 2 ore e mezza. Attrezzatura richiesta: nessuna. Difficoltà/dislivello: 1+ su 6 / circa 400 metri. Dettagli: E. Semplice passeggiata sentieri. E; consigliato l’uso dei bastoncini, specie se il terreno è umido o bagnato. Mappe: - Carta escursionistica Comunità Montana Valtellina di Sondrio, foglio 3, Le Valli Orobiche, 1:30000 Bibliografia consigliata: - Eliana e Nemo Canetta, Il versante Orobico. Dalla Val Fabiolo alla Val Malgina, CDA Vivalda, Torino 2005 - Guido Combi (a cura di), Alpi Orobie Valtellinesi. Montagne da conoscere, Fondazione Luigi Bomberdieri, Sondrio 2011 - Dario Benetti, Il sentiero delle marmitte della Valbona, Quaderni Valtellinesi, n. 102, 1° trimestre 2008 - All’ombra del Rodes, Biblioteca Civica di Piateda, 1° trimestre 1999 Betöi Castello degli Ambria San Vittore uella alle marmitte del torrente Serio è un'escursione molto interessante quanto insolita che si snoda nel basso versante orobico a monte della frazione Valbona Q nel comune di Piateda. L'esemplare percorso fuori porta permette di conoscere uno dei fenomeni originati dall’erosione combinata dei ghiacci e dell’acqua avvenuti durante l’ultima glaciazione. Uno sforzo ragionevole per apprezzare lo smisurato lavoro di abrasione delle colate glaciali in movimento unito alla persistente opera di modellazione dell’acqua di fusione che continua tuttora e che la fantasia popolare ha battezzato marmitte dei giganti quando poco o nulla si sapeva sulla loro formazione e la scienza era ancora distante dal darne una spiegazione razionale. Il toponimo Valbona1 lascia intendere che la località fosse ideale per farci un insediamento nonostante si trovasse a ridosso delle Orobie, esposta a N e quindi poco soleggiata, specie d’inverno. Effettivamente le vecchie case rurali, molte delle quali ristrutturate, le fontane e gli affreschi sui muri esterni degli edifici palesano l’importanza che dovette avere in passato come centro di raccordo per agricoltori e allevatori che sfruttavano la valle del Serio. Forse contribuirono alla scelta del luogo anche il microclima e il comportamento stagionale piuttosto regolare del torrente che ne consentiva lo sfruttamento delle acque per muovere mulini. ell’ampio parcheggio all’imbocco del ponte sul Serio è stata allestita dalla Comunità Montana Valtellina di Sondrio2 una bacheca con indicazioni su “Il Sentiero delle Marmitte”; qui ha inizio il percorso che, dopo aver attraversato il piccolo nucleo rurale, sale nel bosco per erti sentieri acciottolati, sino al recente passato abitualmente impiegato per raggiungere i maggenghi e gli alpeggi soprastanti. Il sentiero, marcato con bolli N Castellaccio Valbona Il tracciato dell'escursione che parte da Valbona e raggiunge Betöi (24 ottobre 2013, foto Marino Amonini). 1 - Negli anni 1917-1919 fu realizzata la centrale di Boffetto-Piateda da parte della società AFL Falck che utilizzava le acque dell’Adda derivate al Baghetto di Chiuro. Purtroppo il canale derivatore proprio a Valbona usciva allo scoperto deturpando pesantemente e tagliando di netto il piccolo nucleo rurale. Con l’alluvione del 1987, che danneggiò sia il canale derivatore, sia il bacino dissabbiatore, fecero seguito i lavori di ristrutturazione e la demolizione del ponte canale che mortificava l’abitato. Sono ancora visibili i due imbocchi nella montagna chiusi da pesanti inferiate. 2 - Nel 2008 la Comunità Montana Valtellina di Sondrio e il Comune di Piateda stipularono una convenzione per la gestione di servizi finalizzati alla valorizzazione del patrimonio agro-forestale comunale, cui fece seguito il progetto di “Riqualificazione in ottica multifunzionale del Sentiero delle Marmitte lungo il torrente Serio sopra la contrada Valbona in Comune di Piateda”. A oggi mancano ancora gli accessi e le protezioni ai vari punti panoramici e i pannelli didattico-illustrativi riguardo alle tematiche ambientali, storiche e naturalistiche peculiari della zona. 98 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il ponte sul Serio a Valbona, inizio dell'escursione (27 maggio 2011, foto Marino Amonini). bianco-rosso, è ben evidente e compie un anello che proprio qui ha la sua chiusura e che decidiamo di percorrere in senso orario (sx). Attraversato il ponte, proseghiamo diritti (E) sulla via acciottolata inoltrandoci tra le case di Valbona (m 341). Non passa inosservata la galleria lasciata dal canale derivatore, ora chiusa da una cancellata e adibita a ricovero di materiali e attrezzi. Alla fontana svoltiamo a sx dove il sentiero acciottolanto3 s'alza 3 -Il terreno scosceso ha reso indispensabile, contro l’erosione da calpestio e delle acque meteoriche, ammantare di ciottoli tutto il percorso. nel bosco ormai lasciato all’incuria. Uno spesso strato di foglie e humus ricopre la via attutendo i nostri passi. Concede una piacevole sensazione, tanto che pare di camminare sospesi, ma può trasformarsi in una insidia, specie in discesa dove diventa un affare da funamboli rimanere in piedi. Percorso l’ampio tornante destrorso da cui ci si affaccia su Piateda e sul corso dell’Adda, prendiamo velocemente quota verso S. I giovani castagni presto lasciano posto a roverelle, betulle e radi ginepri, mentre il nostro incedere resta sospeso tra il Le marmitte del Serio 99 Versante orobico Escursionismo Valbona dopo l'alluvione (luglio 1987, foto Marino Amonini). Valbona dopo l'alluvione (luglio 1987, foto Marino Amonini). fragore dell’Adda che scorre tra i massi nel fondovalle e l’affanno del respiro. A m 550 incontriamo la chiesa di San Vittore (ore 0:45)4 (bivio a sx e cartello giallo), isolata nella boscaglia, ora abbandonata e in stato di grave deterioramento, testimonia l’importanza baricentrica di quest’area 4 - “Nei pressi dell'Adda, dalla parte della matrice, sorge la chiesa vicecurata dedicata a Santa Caterina Martire: vi è il Battistero e vi si conserva decorosamente la SS. Eucaristia; si seppelliscono i morti e vi si amministrano i Sacramenti per mano del cappellano dell'arciprete di Tresivio, che ordinariamente risiede appunto a Boffetto […]. Poco discosto dal predetto villaggio, vi è l'altra chiesa di San Vittore: e poco dopo s'incontra l'altra chiesa di Santa Croce, ambedue appartenenti alla comunità di Boffetto”. Tratto dagli atti della visita del vescovo di Como Feliciano Ninguarda nel 1589. 100 LE MONTAGNE DIVERTENTI Le rovine di Betöi (26 dicembre 2006, foto Marino Amonini). nel sistema insediativo tradizionale, centro di raccolta dei fedeli sparsi nei maggenghi limitrofi. In corrispondenza del bivio per la chiesa, un sentiero s’inoltra verso il torrente dove si trovano i resti di un probabile ponte di pietra e oltre il quale nulla rimane nell’intrico delle piante divelte. La salita riprende incessante, con pochi tratti di respiro. Raggiunto il crinale dal quale si ode il fragore delle acque del Seriolo, poco avanti - a m 600 ca. - un sentiero entra sulla dx verso un ramo secondario del Serio ove si possono già vedere alcune cascate e relative pozze. Questa devia- zione è facoltativa, ma terminata la visita si consiglia di tornare sui propri passi senza lasciarsi ingannare dal sentiero che sale a fianco al torrente perché si perde nel bosco scosceso. Ripresa la via maestra, percorriamo un ultimo tratto ripido seguito da due curve profondamente incassate nel terreno sino al cartello indicante la deviazione per le marmitte. Il sentiero finalmente spiana e in breve avvistiamo l’antico nucleo di Bettoli (Betöi, m 704, ore 0:30). In totale abbandono da decenni, il bosco lo sta avvinghiando nella sua possente e inesorabile morsa. Dalla consistenza del nucleo capiamo che Primavera 2014 La demolizione del canale a Valbona (1993, foto Marino Amonini). doveva essere un centro abbastanza importante, sia per le dimensioni dei manufatti, sia per la presenza di un oratorio. Facendo attenzione che non ci crolli addosso quel poco che rimane, attraversiamo questo luogo desolato fino a scorgere i resti della chiesa di Santa Croce5. L’ambiente è molto suggestivo e nel tentare di descrivere le emozioni che si accendono rischieremmo di cadere nella retorica. Del resto qui si vedono applicati i discutibili precetti di John Ruskin6 il quale sosteneva, tra le altre cose, che i monumenti dovessero morire di morte naturale, in quanto avverso a ogni forma di intervento che andasse oltre la manutenzione non sostitutiva. Così la chiesa come l’adiacente contrada dei Betöi è da vari decenni in stato di totale abbandono, pericolosa per i rischi di crollo. Nella chiesa di Santa Croce, con le dovute cautele, merita osservare l’ordito delle pietre che compongono i resti della volta sopra l’altare e quella del locale ribassato a N, un vero capolavoro di posa. Interessante anche la pietra rettangolare che costituisce il piano d’altare con un foro quadrato centrale. Grazie al peso e alle notevoli dimensioni è ancora al suo posto, mentre l’elegante portale d’ingresso in beola verde ha subito la visita dei furfanti che l’hanno smurato, trafugandolo. 5 - Un doveroso riconoscimento ai gruppi di Protezione Civile e ANA di Piateda per gli interventi di manutenzione ai ponti, pulizia e sgombero delle piante schiantate sul sentiero e messa in sicurezza del tratto che attraversa i Betöi. 6 - John Ruskin (1819 – 1900): scrittore, pittore, poeta e critico d’arte britannico. LE MONTAGNE DIVERTENTI Le rovine di Santa Croce (6 giugno 2012, foto Marino Amonini). Prestando molta attenzione alle rocce lisciate che affiorano tutt’intorno e in presenza di umidità diventano molto scivolose, guidati dal fragore dell’acqua guadagniamo la soprastante passerella a scavalco del ramo principale del Serio (m 730, ore 0:10). E finalmente ecco comparire le mitiche marmitte dei Giganti. Se ne vedono alcune, in sequenza, ma da questo punto verso il basso si susseguono repentine, una più spettacolare dell’altra, di varie dimensioni e serrate in strette gole. Un vero prodigio della natura che si riscontra soprattutto in quei luoghi ove l’acqua ha scavato l’alveo su fondo roccioso non particolarmente duro. Una volta conosciuto il fenomeno e compreso il meccanismo di formazione è facile riscontrarle in molti posti, come quelle del torrente Caronno a Scais, del Cormor a Franscia, in val di Lemma, in val Bodengo, quelle in Arquino del Mallero). Ha inizio la discesa. Si offrono ora due possibilità: - una è di seguire il sentiero bollato che scostandosi parecchio dal torrente scende verso la val Sorda lungo una mulattiera selciata altrettanto ripida e insidiosa quanto quella di salita sino a immettersi su una sterrata che in breve raggiunge l’abitato di Casacce e continua sino a incontrare una cisterna dell’acquedotto dalle forme tondeggianti; - l’altra è quella di scendere costeggiando il lato orografico sx del Serio sino al ponticello di cemento a m 450 ca.; qui s’imbocca la sterrata sulla sx che in breve si ricollega al percorso precedente raggiungendo la cisterna (soluzione meno agevole7 ma al tempo stesso di maggior soddisfazione poiché consente di osservare la lunga sequenza di gole, scivoli, marmitte e giochi d’acqua8). Dalla cisterna si prende verso E (dx; evitare la traccia che dopo pochi metri scende ripida sulla sx) il vecchio sentiero che rapidamente riporta a Valbona (m 341, ore 1). Inaspettato, un affaccio tra le fronde consente di abbracciare l’intero nucleo poco prima di attraversare la passerella sul Serio. Spendiamo gli ultimi sguardi tra le strette vie acciottolate ove aggettano rampe, ballatoi e si mostrano piccole aie e portéc un tempo ricchi di vita, ora muti e spesso fatiscenti. Anche questo borgo ha subìto i tempi moderni che, risucchiando genti ed energie distanti da casa, gettano nell’oblio e alle ingiurie del tempo questi luoghi tipici di quella cultura contadina che con sapienza e rispetto sapeva convivere con l’ambiente. A noi che scriviamo rimane il conforto di aver esortato anche pochi lettori a riscoprire la bellezza di questo percorso salvandolo dal completo abbandono, consapevoli che la conoscenza è la miglior linfa per una vita di qualità. 7 - Per rincuorare i meno arditi confidiamo che durante le torride giornate di luglio i ragazzi si trovano a fare il bagno nelle marmitte traboccanti d’acqua cristallina e passano da una pozza all’altra inerpicandosi tra i massi o su per le sponde erbose a piedi nudi. 8 - La discesa avviene su terreno scosceso, scivoloso e senza un tracciato vero e proprio, quindi si consiglia solo a persone esperte o accompagnate da qualcuno che conosce i luoghi. Inoltre, gli affacci sulle gole non hanno protezioni, pertanto occorre altra prudenza Le marmitte del Serio 101 Versante orobico Escursionismo Approfondimenti La chiesa di San Vit tore e il castello degli Ambria Nicola Giana LA CHIESA DI SAN VITTORE La facciata è a capanna munita di finestrone centrale ad arco a tutto sesto. La struttura attuale è barocca, ma sotto l’intonaco fatiscente del portale emergono i possenti piedritti di epoca medioevale, segno di un probabile edificio più antico. Tre gradini immettono all’interno che è a navata unica ritmata in due campate con volte a crociera. Un tempo era impreziosita da affreschi di buona fattura e sopra l’altare era collocata una tela di Giovan Pietro Ligari raffigurante San Vittore poi traslata, restaurata e sistemata nella parrocchiale del SS. Crocifisso a Piateda. Il complesso comprende anche la sagrestia e un tozzo campanile a rasa pietra con monofora ad arco. Quest’ultimo era munito di una poderosa campana (diametro alla bocca 53 cm; peso stimato 100 kg) realizzata dai fonditori comaschi Antonio e Niccolò Comolli nel 1680. Fu collocata lo stesso anno mentre era parroco di Piateda Alta don Giuseppe Da Chiesa (1667-1686). «Verso la fine degli anni ’70 la campana venne calata su iniziativa del parroco don Enrico Sassella per mano dei parrocchiani Bruno Micheletti, Vittore Togni, Silvio Mascarini, l’allora giovanissimo Edoardo Micheletti e diversi altri volontari. Trasprstata a valle con l’ausilio di una slitta, sulla fontana della contrada Valbona, come un eco nostalgico, diede i suoi ultimi rintocchi. Depositata alla base della torre campanaria della chiesa del Santissimo Crocifisso in Piateda centro, rimase per oltre trent’anni nell’oblio. Il 31 luglio 2013, su autorizzazione del parroco Valerio Modenesi, la campana è stata esposta a Piateda Alta come pezzo d’onore nella mostra Rintocchi di eternità».1 Marino Amonini, esperto conoscitore di Piateda e di storie locali, ci ha raccontato: «Ricordi scolastici mi riportano agli anni ’50 quando a SanVittore 1 -Tratto da L nòs calendari 2014 edito da Comune e Biblioteca di Piateda).a 102 LE MONTAGNE DIVERTENTI La chiesa di San Vittore in rovina (1980 Giancarlo Noli - in basso 1999, foto Marino Amonini). A dx la campana della chiesa di San Vittore esposta a Piateda Alta (8 agosto 2013, fotoAmonini). I ruderi della baita in cui Antonio Boscacci ha indivuduato i resti del catello degli Ambria (13 marzo 1999, foto Marino Amonini). IL CASTELLO DEGLI AMBRIA I ruderi del castello degli Ambria: nel 1999 Antonio Boscacci, dopo insistenti ricerche, pubblicò l’articolo dal titolo Ritrovato dopo secoli il castello degli Ambria2. L’autore individuò nei ruderi di una baita distante un centi2 - ll Giornale di Valtellina e Valchiavenna, 16 gennaio 1999, pag. 3 si andava anche per la Festa degli Alberi; durante la salita lungo l’acciottolata e ben conservata mulattiera ascoltavamo autorità e insegnanti, quindi mettevamo a dimora le pianticelle imparando nel contempo a distinguere quelle spontanee del bosco circostante. Terminata la piantumazione, il premio di una veneziana gratificava la gita e ci metteva le ali per naio di metri a E della chiesa di San Vittore, su una morena quaternaria erosa dal torrente Paiosa a E, e dai torrenti Seriolo e Serio a O, il castrum novum degli Ambria. La pianta è quasi quadrata, con i lati N e S di m 6,70, mentre i due rimanenti misurano m 6,85. Una piccola feritoia sul lato N, chiusa dall’interno e i due cantonali che delimitano la facciata verso valle costituiti da grosse pietre lavorate a filo contribuirebbero ad avvalorare la tesi del Boscacci. Già altri appassionati erano giunti in precedenza alle medesime conclusioni, ma la questione pare ancora oggi non completamente chiarita. A questo punto non ci resta che invitare i lettori più volenterosi a continuare le ricerche. scendere a rompicollo fino a Valbona per il re-inquadramento prima del ritorno in aula. Fino agli anni ’60 - continua Amonini - erano celebrate la Santa Messa in occasione del 25 aprile e le Rogazioni - processioni per chiedere ai Santi protezioni per le anime, la campagna, gli animali e il clima». Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Le marmitte del Serio 103 Escursionismo Eraldo Meraldi 104 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Già dall’inizio del sentiero è possibile ammirare la cascata del rin de Scègn al Crap de Scègn, incastonata tra alberi maestosi e il cielo limpido sovrastante (13 febbraio 2014, foto Giacomo Meneghello). La cascata al crap de Scègn 105 Alta Valtellina Escursionismo Cime di Plator Sant'Antonio di Scianno <--Semogo Pedenosso--> Cascata al crap de Scègn punto panoramico Isolaccia Il tracciato della passeggiata alla cascata del crap de Scègn (20 febbraio 2014, foto Beno). Lungo questa escursione è stato nascosto il cache (vedi pag. 57). e devo pensare a una delle più belle meraviglie naturali che si trovano in Alta Valtellina, mi viene in mente subito la cascata del rin de Scègn al crap de Scègn. Alta quasi cento S metri vigila sul paese di Isolaccia nel comune di Valdidentro. 1 1 - Rio di Scianno su CTR. BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ - Partenza: piazza della chiesa di Isolaccia (m 1340). Itinerario automobilistico: Bormio seguire la strada SS301 del Foscagno fino a Isolaccia e parcheggiare in prossimità della chiesa nel centro del paese (9 km). Itinerario sintetico: piazza della chiesa di Isolaccia (m 1340) - punto panoramico (m 1490) chiesa dei Santi Martino e Urbano (m 1450) - piazza della chiesa di Isolaccia (m 1340). Tempo previsto: 2 ore e 15 minuti. Attrezzatura richiesta: nessuna. R ecentemente è stata sistemata una mulattiera che permette di portarsi al punto panoramico dove si può ammirare pienamente la maestosità di questa cascata che nebulizza le sue acque nell'aria e regala spesso stupendi arcobaleni. A completare lo scenario è la grande parete rocciosa che origina la cascata, con rocce calcaree stratificate i cui colori scivolano dal giallo al rosso e dal grigio al nero. 106 LE MONTAGNE DIVERTENTI La cascata del Rin de Scègn dal punto panoramico (13 febbraio 2014, foto Giacomo Meneghello). Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Difficoltà/dislivello: 2- su 6 / 360 metri in salita con uno sviluppo di quasi 6 km. Dettagli: EE. Semplice passeggiata su sentieri. Tratti esposti. È meglio non andare oltre il punto panoramico se c'è neve lungo le cenge. Mappe: - Kompass n.72 - Parco Nazionale dello Stelvio, 1:50000 Bibliografia consigliata: - Eliseo Martinelli, 100 escursioni in Valdidentro, Tipografia Compagnoni, Valdidentro 2012 La cascata del rin de Scègn al crap de Scègn è visitabile in tutte le stagioni: - in primavera quando il risveglio della natura rende l’ambiente più vivo e colorato e la cascata è più imponente; - in estate per rinfrescarsi un po' e combattere la calura; - in autunno, quando i colori del bosco si infiammano e le giornate limpide assicurano una vista più nitida; - d’inverno, quando tutto rallenta e anche l’acqua si ferma e va a formare un’imponente cascata ghiacciata effimera e spettacolare, mai salita integralmente nonostante i tentativi di forti cordate d'alpinisti. La cascata del rin de Scègn è a due passi dal paese e può diventare un vero e proprio rigeneratore d’energia: un salto d'acqua che affascina e non si scorda facilmente, tant'è che quando riprenderete il cammino il mondo vi sembrerà più bello! La cascata al crap de Scègn 107 Alta Valtellina Escursionismo L'imponente cascata del crap de Scègn d'autunno, ma con colori ancora estivi (2 ottobre 2012, foto Eraldo Meraldi). Isolaccia in una cartolina del 1930 (archivio Maurizio Cittarini). Isolaccia in una cartolina del 1920 (archivio Maurizio Cittarini). La fessura delle Streghe (13 febbraio 2014, foto Meneghello). ITINERARIO Dalla piazza della chiesa di Isolaccia (m 1340), seguire la strada per Livigno e passato il ponte sul rio di Scianno, proseguire fino a quando la strada scende leggermente. Quindi salire verso dx lungo la via Plomp e portarsi di nuovo ad un ponte sul rin de Scègn1. Prima di passare il ponte, salire una breve scaletta e costeggiare il torrente per poi seguire (qui è il cartello che segnala l'inizio del percorso) verso sx la vecchia mulattiera. Dopo una cinquantina di metri si arriva a un grande masso coperto in parte da muschi nella cui parte destra si nota quello che era un ricovero per animali. La mulattiera che va a sx porta alla baita di Spigolon. Il nostro itinerario sale invece verso dx, immerso in un bel bosco di abeti. Dopo tre tornanti la mulattiera si fa più ripida, ma non ci scoraggiamo consapevoli che lo spettacolo che ci apparirà dopo ci ricompenserà dello sforzo fatto. Dieci tornanti, tanti ne contiamo per giungere al punto panoramico sulla cascata (m 1490, ore 0:25). Continuiamo sulla mulattiera per altri sei tornanti fino alla base della parete rocciosa dove possiamo ammirare da un’altra angolazione la cascata. Sulla sx si inerpica un sentiero che sempre a tornanti, salendo una zona molto suggestiva, lambisce la parete rocciosa del crap 1 - Negli antichi documenti viene indicato come Xanno, ovvero sgabello, gradino di roccia. 108 LE MONTAGNE DIVERTENTI NEI MEANDRI DELLA ROCCIA de Scègn sulla sx, arrivando ad inserirsi sul vecchio tracciato che da Semogo porta a Pedenosso, passando da Sant’Antonio di Scianno. Noi prendiamo a dx e passimo sotto la falesia alta del crap de Scègn e, mantenendo sangue freddo nei pochi punti esposti, seguiamo l’ampia cengia inclinata che ci porta in breve alla stradina agrosilvopastorale che unisce Sant'Antonio di Scianno (m 1650) all’alpe Gattonino. Pieghiamo a dx e scendiamo brevemente al ponte sopra la cascata del rio Scianno e rientriamo a Isolaccia passando per Pedenosso dove è d’obbligo una visita alla chiesa parrocchiale dei Santi Martino e Urbano (m 1450, ore 1). Arroccata su uno sperone roccioso, risale al XII secolo. Edificata molto probabilmente su una antica struttura fortificata, singolare è l’imponente recinto murario che corre attorno e che sostiene l’intera struttura. Suggestive anche le sottili feritoie e la torre del campanile. All’interno si trovano parecchie tele settecentesche. Di rilievo lo splendido soffitto di legno intagliato a cassettoni, rivestimento tipico di molte chiese locali e risalente al 1680, e l’altare del Rosario finemente intagliato. Di qui seguiamo la strada fino a tornare alla piazza della chiesa (m 1340, ore 0:50). Fenomeni carsici e grosse fessurazioni hanno generato vari antri nella bancata rocciosa del crap de Scègn. In particolare nel settore orientale, esattamente a metà tra la cascata e la falesia d'arrampicata, si trova una grotta naturale che costituisce il punto d'accesso della fessura delle Streghe (sc'clapa de la sc'tria). Si tratta di una lunga spaccatura nella roccia, alta fino a 50 m, con un'entrata principale lunga più di 20 m sormontata da una finestra a circa 30 m di altezza e un ingresso posteriore a forma di caverna. I due fori sono collegati da un lungo camino con massi sospesi che, con attrezzatura adeguata, può essere attraversato1. L'origine del nome va cercata nella leggenda. Un tempo gli smottamenti erano molto frequenti e fino a una quarantina di anni fa venivano ancora attribuiti alle streghe. E infatti a Pedenosso una strega, certa Foghìn di Foscagno, con una fronda di conifera avrebbe innescato la frana di terra che ancor oggi è visibile nei pressi della contrada di Scalotta. La frana, rovinando a valle, avrebbe infine trascinato con sé la megera facendola finire nel buco che ne porta il nome. 1 - Descrizione tratta da Eliseo Martinelli, 100 escursioni in Valdidentro, Tipografia Compagnoni, Valdidentro 2012 Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Alfredo Martinelli2, invece, fa risalire le origini del toponimo al Seicento, quando un gruppo di zingari di passaggio si sbarazzò della vecchia matriarca decrepita gettandola nell’anfratto. Poco a occidente del crap de Scègn3 si trova invece il pianoro chiamato böc' del Diàul o plan de Pec', dominato da un grande masso che sovrasta una cavità che affonda nel terreno per una quindicina di metri. Si racconta di presenze inquietanti e fenomeni straordinari, coerentemente con l'immaginario comune che attribuisce in genere alle caverne oscurità e mistero, e le elegge ad accesso alle viscere della terra, regno del demonio. Nel XVII secolo, in particolare, si pensava che in quel luogo avvenissero balli orgiastici a cui prendevano parte il diavolo e le streghe, come testimoniano tanti incartamenti relaitivi ai processi per eresia e per magia conservati nell'archivio del Comune di Bormio.. A Isolaccia invece, riporta Eliseo Martinelli, il böc del Diàul è chiamato böc' del Tesoro, poichè era credenza che quel buco scendesse fino all'altezza del paese e sul fondo si trovasse un paiolo d'oro. Ma impossessarsene non sarebbe stato certo semplice, poichè era sorvegliato da Belzebù in persona. 2 - Alfredo Martinelli, L'erba della memoria, Sondrio 1964 3 - Fonte: Ilario Silvestri. La cascata al crap de Scègn 109 Rubriche Mustang Regno proibito Testi di Nicola Giugni e Luca Passarelli Kagbeni, la "porta del Mustang". Sullo sfondo, il Nilgiri (foto Roberto Basso). 110 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Mustang 111 Rubriche Valtellinesi nel mondo NUOVE STRADE L’aereoporto di Jomsom (m 2720), punto di partenza del trekking (foto Nicola Giugni). Proprietaria di una teahouse (foto Nicola Giugni). Trasporto pubblico a bordo di un trattore (foto Nicola Giugni). Studenti nel monastero tibetano di Tsarang, seconda città del Lo ed ex capitale (foto Nicola Giugni). La costruzione di nuove strade rischia di stravolgere i tracciati dei trekking della regione dell’Annapurna e di avere un impatto negativo sul delicato equilibrio fra uomo e ambiente, rimasto intatto per secoli. Come sempre, occorre raffrontare le istanze ecologiche con le concrete necessità delle popolazioni locali, che sperano di avere più agevoli collegamenti con scuole e ospedali e vedono nelle carrozzabili un'apertura ai commerci, sia in termini di vendita dei propri prodotti che di acquisto di beni per il consumo personale. Da un lato, quindi, c'è il desiderio delle popolazioni locali di una maggiore apertura al mondo e ai circuiti economici occidentalizzati; dall'altro c'è la necessità di conservare al meglio quell'ambiente naturale che è fonte, mediante il turismo che ha indotto, del benessere locale. Al momento della nostra visita, la strada che collega Beni, Jomsom e Muktinath, e che nel progetto integrale prevede il collegamento con il Tibet (Cina), era interrotta in più punti da frane e smottamenti; il grosso dei danni lo fanno i corsi d’acqua, in particolare il Kali Gandaki, le cui piene sono possenti e distruttive. Alla fine, come sempre, le regole le impone la natura. In cammino verso Ghami (ottobre 2005, foto Roberto Basso). "Last forbidden"… Davanti alla carta geografica del Mustang neppure Dawa - la nostra guida, nata ai piedi dell’Everest e abituata alle espressioni più monumentali della natura - riesce a trattenere un moto di ammirazione. L’ultima area proibita, l’antico regno himalayano del Mustang, nella cui capitale Lo Manthang siamo giunti dopo cinque giorni di cammino, è stato a lungo protetto dal turismo di massa, e il suo fascino deriva dalla inaccessibilità e dalla reputazione di ultimo baluardo della cultura tradizionale tibetana. Il trekking ha inizio a Jomsom (m 2720), base di atterraggio del volo da Pokhara, poche case poste all’inizio della valle scavata dal Kali Gandaki ("fiume nero", dal colore del limo trasportato dalla corrente), uno dei canyon più profondi e spettacolari del 112 LE MONTAGNE DIVERTENTI mondo. L’intensità della luce e la forza del vento sono caratteristiche peculiari di quest’area; ci accompagneranno durante i primi giorni del nostro viaggio verso N. Il percorso si sviluppa, sia nella fase iniziale che in alcuni tratti successivi, lungo la strada carrozzabile che dal 1999 collega il Nepal al Tibet, attraverso il passo Kora La, a m 4660 di altitudine. E superiori ai m 4000 sono alcuni dei valichi da noi superati (Chogo La, m 4325, il più alto), nella progressiva ascesa verso la capitale del Regno Proibito. La strada, appunto. Nel 1993 Tiziano Terzani, il celebre giornalistaviaggiatore (fu corrispondente da varie parti dell’Asia per Il Corriere della Sera e La Repubblica), paventava gli effetti negativi per il delicato equilibrio sia naturale che culturale di quest’area, giunta a noi miracolosamente intatta attraverso i secoli. Vent’anni dopo, il pericolo principale per questo territorio e per i suoi abitanti non sembra venire dalla Cina, il cui confine con il Mustang è chiuso da tempo, né dallo sporadico passaggio di qualche trattore di fabbricazione indiana, che - frane permettendo svolge servizi di utilità indiscussa per la popolazione locale. A preoccuparci maggiormente è il rinvenimento, anche nei lunghi tratti di sentiero distanti dalla carrozzabile, di rifiuti (bottiglie di plastica, lattine, carte di snack), abbandonati non solo dai circa 3000 turisti (erano poche centinaia agli inizi degli anni novanta) che ogni anno decidono di spingersi sin qui, ma anche dalla popolazione locale. Purtroppo Dawa ci descrive un quadro di sostanziale disinteresse del governo nepalese per l’avvio di un programma non solo di raccolta dei rifiuti, ma ancor prima di sensibilizzazione della popolazione al rispetto della natura circostante che, seppur imponente, vive di un equilibrio delicato, come ovunque (ai trekkers, invece, basterebbe imporre una cauzione aggiuntiva Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI RIFIUTI E FONTI ENERGETICHE ALTERNATIVE Uno dei problemi più seri del Nepal è la grande quantità di immondizia prodotta nelle zone montuose dai trekking e dalle spedizioni alpinistiche, aggravato dal fatto che anche gli abitanti dei villaggi usano un numero sempre maggiore di lattine, bottiglie e contenitori di plastica per le loro esigenze quotidiane. Si tratta di un problema globale e, sebbene in misura minore - per il suo isolamento e la limitata apertura al turismo -, il Mustang non fa eccezione. Lungo il percorso, ad esempio a Jomsom e a Kagbeni, esistono punti vendita di acqua potabile destinata agli escursionisti. Questi la possono conservare in taniche da trasportare con muli o cavalli. I punti vendita furono realizzati alcuni anni fa con i fondi provenienti dal progetto internazionale ACAP (Annapurna Conservation Area) e, al momento della nostra visita, facevano davvero pochi affari, per la netta preferenza data dagli escursionisti (noi compresi) all’acqua minerale in bottiglia. Occorrerebbe, quindi, affrontare il trekking in modo responsabile, cercando di utilizzare il minor quantitativo possibile di lattine e bottiglie di plastica e impegnandosi a riportarle a valle quando si è terminato il giro. Non diversamente da quel che si fa (o si dovrebbe fare) sulle nostre montagne. Lo stesso ACAP promuove corsi per i proprietari dei lodge e delle case da tè con l’obbiettivo di diffondere tecnologie alternative per la produzione di energia elettrica e acqua calda, in modo da ridurre l’uso di carburanti inquinanti (cherosene) e la deforestazione. In effetti, sui tetti di molte delle tea house da noi frequentate erano installati pannelli solari termici, in alcuni casi anche fotovoltaici, e lungo i corsi d’acqua in prossimità dei villaggi ci siamo imbattuti in alcuni minuscoli impianti idroelettrici, costituiti da una semplice turbina protetta da una casetta rustica. Fortuna vuole che, nei luoghi più remoti della Terra, il ricorso alle energie rinnovabili non è solo un atto di responsabilità e rispetto, ma anche il risultato di un calcolo di convenienza economica. Mustang 113 Rubriche Valtellinesi nel mondo photo by Ben Moon CORLATTI CLAUDIO IDRAULICO Sondrio 347.535.44.38 347.071.50.82 [email protected] Impianti sanitari Riscaldamento Condizionamento Pannelli solari Impianti gas Pompe di calore Caldaie a pellet e legna Sei un fan sfegatato? continuano sul web! #1 #2 #3 114 www.lemontagnedivertenti.com Dove puoi acquistare abbonamenti e numeri arretrati, consultare il database di tutti gli articoli, noleggiare una capra ad ore, scoprire chi siamo a-scuola-con-lmd.blogspot.it Dove puoi scoprire le altre attività legate a Le Montagne Divertenti: corsi di fotografia e di Photoshop, conferenze, manifestazioni lemontagnedivertenti-diario.blogspot.it Scalate e avventure inedite raccontate da Beno, Nicola, Giacomo e Pietro LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 Lavoro nei campi a Chusang (ottobre 2005, foto Roberto Basso). Vista dai tetti di Lo Manthang sul Thubchen Gompa ( ottobre 2005, foto Roberto Basso). di 500 dollari al prezzo del visto, per indurli a riportare a valle i propri rifiuti). Questi pensieri vengono allontanati, oltre che dal forte vento, dalla osservazione estatica di un paesaggio primordiale, la cui aridità e desolazione è dominata dall'alto dai grifoni dell’Himalaya, che nidificano tra le rocce, e dalle cime dell’Annapurna (a SE, tra le nuvole, fa capolino il Nilgiri, m 6940, imperturbabile come una divinità buddista); in basso il paesaggio è punteggiato da vere e proprie oasi: intorno a gruppi di abitazioni tradizionali, realizzate in terra battuta e mattoni di fango, si stendono campi gialli e rosa, di grano saraceno e orzo, a loro volta sovrastati da monasteri tibetani, color rosso e ocra, con i loro Gompa, templi dipinti a strisce verticali grigie, bianche e gialle. Un paesaggio che pare immutato dal Medioevo. È all'interno di questi villaggi che troviamo ospitalità lungo la salita nella valle del Kali Gandaki, pernottando in piccole e spartane “case da tè” nei cui orti si può campeggiare. Queste sono gestite da famiglie cordiali e ospitali. LE MONTAGNE DIVERTENTI In questi luoghi remoti il tempo scorre lento e sereno, sicché si ha tutto il tempo per osservare la vita locale, fatta di gesti semplici e antichi: la raccolta del bestiame dopo il pascolo, la filatura della lana, la preparazione degli alimenti, che rimandano alle nostre radici contadine. Da questo ambiente rurale di piccoli villaggi dall'economia primitiva si distanzia solo la capitale, Lo Manthang, che comunque raggiun- Chorten presso le rocce rosse di Dhakmar (ottobre 2005, foto Roberto Basso). ge le dimensioni, diciamo, di una Castione Andevenno (capannoni esclusi, ovvio!). La popolazione cittadina è molto vicina a quella tibetana, sotto il profilo etnico e culturale, ed ha un’economia piuttosto sofisticata, derivante dagli scambi commerciali intrattenuti per secoli con il Tibet (ora interrotti). Tutto il commercio del sale e della lana lungo il fiume Kali Gandaki passava infatti per Lo Manthang e ciò portava entrate economiche di un certo rilievo, che si traducevano poi nell’acquisto di terre, cavalli e armenti. Le case della capitale si sviluppano in genere su due piani e hanno una piccola corte centrale aperta; peculiari i tetti, decorati con legna, corna di pecora e di yak. Solo il palazzo reale ha quattro piani e sul tetto reca le più preziose corna di shu (una specie estinta, nota come cervo del sikkim), Mustang 115 Rubriche Chorten al passo di Syangmochen (ottobre 2005, foto Roberto Basso). Essiccazione dei cereali a Lo Manthang (ottobre 2005, foto Roberto Basso). Il palazzo reale di Lo Manthang (ottobre 2005, foto Roberto Basso). simbolo di distinzione signorile. Le case sono riscaldate con piccole stufe di pietra o ghisa, che scoppiettano come mitragliatrici quando sono alimentate a sterco essiccato di yak o di capra: la legna, infatti, viene utilizzata raramente e più volentieri lasciata sui tetti per ostentare la ricchezza della famiglia. Un po' come da noi avere il Mercedes parcheggiato davanti a casa. Tuttavia, anche a Lo Manthang, nelle parti più periferiche della città, assistiamo a scene ancestrali, che ci danno la sensazione di arretrare nel tempo, spettatori di un’esistenza che è stata anche quella dei nostri avi. Non sarà l’unico viaggio nel tempo che questo trekking ci regalerà. Nella semi-oscurità odorosa di incenso del Gompa di Thubchen veniamo sorpresi dall’ingresso di un gruppo di giovani festanti, che salgono su scale e impalcature dove stanno restaurando, alla luce di poche lampade, alcuni affreschi risalenti al XIV secolo, con qualche finanziamento straniero e sotto la guida di un ricercatore italiano, Luigi Fieni, non ancora quaranten- ne ma da oltre dieci anni impegnato in questo progetto. Scherziamo con Luigi, paragonando il suo lavoro, con questi giovani apprendisti, a quello di Cimabue con Giotto, e ci resta la sensazione di assistere ad un miracolo analogo. Man mano che viene eliminato lo sporco secolare, riprendono forma Buddha ieratici, mandala e divinità protettrici dall’aspetto terrificante, i cui colori straordinari rimandano a capolavori coevi conservati nelle nostre città d’arte. Rientrati nella nostra teahouse, distesi per un po’ di riposo, leggiamo questa frase nel libricino di racconti tibetani che ci sta accompagnando durante il viaggio: "Questa vita, piccola goccia di pioggia, scintilla che brilla un solo istante. Dunque non sprecate neppure un giorno, neppure una notte, per raggiungere il vostro fine". Ci sembra adeguata alla scelta fatta da Luigi e, in cuor nostro, ci auguriamo possa divenire anche la nostra dimensione. L’ultima sera a Lo Manthang è la nostra guida Dawa a farci un altro prezioso dono. Al termine della cena ci 116 LE MONTAGNE DIVERTENTI chiede se desideriamo visitare l’interno di un’abitazione tradizionale, mentre la famiglia è raccolta intorno al fuoco, al termine di una giornata di lavoro nei campi. La porta di ingresso è bassa, come anche il soffitto di travi annerite dal fumo. Dicono, non solo in Nepal, che le porte basse sono fatte per insegnare l’umiltà. La famiglia è accovacciata intorno a un piccolo tavolo. Il padre, alzando la testa da un piatto di polenta e dal bhat (pietanza tradizionale a base di lenticchie), sorride e acconsente a farci visitare il resto della casa, due stanze dove sono posti alcuni semplici giacigli e poco altro. Ancora una volta abbiamo la sensazione di trovarci a tu per tu con i nostri antenati, cosa che dovrebbe indurci a sentimenti di rispetto profondo. Ringraziamo, arretrando e unendo le mani, ma appena voltatici per uscire sbattiamo la fronte contro la bassa porta. Primavera 2014 SHERPA GOMPA Gli Sherpa (shar-wa, popolo dell’Est) sono una tribù buddista proveniente dal Tibet (XV sec), che ha mantenuto i propri usi e costumi tradizionali e parla una lingua non scritta derivante dal tibetano. Quasi tutti gli uomini prendono il nome dal giorno della settimana in cui sono nati (la nostra guida si chiamava Dawa - Lunedì - e il suo giovane aiutante era Nyima - Domenica). Diffusamente, anche se erroneamente, si usa la parola "sherpa" per indicare tutti i portatori del Nepal. Sin dalla metà del secolo scorso, ingaggiati per le prime spedizioni alpinistiche sull’Everest, gli Sherpa si distinsero per la loro estrema abilità e resistenza alla fatica sia come alpinisti che come portatori di alta quota (nella conquista dell’Everest del 1953 Sir Edmund Hillary venne accompagnato dallo Sherpa Tenzing Norgay e l’impresa venne attribuita, con pari dignità e merito, ad entrambi). Al giorno d’oggi il lavoro del portatore non gode del medesimo prestigio che aveva in passato: spesso viene svolto da contadini dei villaggi di montagna che cercano di guadagnare un po’ di denaro per arrotondare il loro salario, accettando di portare carichi molto pesanti. Questa situazione è spesso origine di disagio per i trekker più sensibili, che hanno la sensazione di sfruttare le condizioni di povertà della popolazione locale. In realtà ingaggiare un portatore è una scelta sensata sotto vari aspetti: anzitutto si contribuisce al sostentamento di un uomo, della sua famiglia e quindi del suo villaggio, spesso in difficoltà dal punto di vista economico; in secondo luogo si tratta di un’occupazione rispettabile, una delle migliori per molti nepalesi, attraverso la quale essi imparano i rudimenti di lingue straniere, che è un passo fondamentale per la propria promozione sociale ed economica. Infine, se solo il trekker si sforza di aprire un po’ la mente (e il cuore) scoprirà che si tratta di persone estremamente propense al dialogo, dotate di una visione del mondo serena e giocosa, dalle quali è possibile imparare molto, soprattutto dal punto di vista spirituale. I Gompa (templi) tibetani sono molto simili tra loro sia per conformazione che per i colori usati e, in genere, sorgono sul fianco di una collina in posizione molto panoramica, che evoca un senso di importanza religiosa e spiritualità. Al loro interno sono ornati di dipinti antichissimi e, se conservati, dai colori molto vivaci, raffiguranti il Buddha (spesso presente anche come statua), i santi Guru Rimpoche e Milarepa, la ruota della vita (mandala) e varie divinità guardiane, dai volti terrificanti. Sull’altare principale sono posate delle fotografie di personalità religiose importanti quali il Dalai Lama, insieme a ciotole d'acqua, lampade al burro e fiori. Per rispetto, chi entra deve sempre togliere le scarpe, soprattutto se si tratta di scarponi da trekking infangati… Il Guru Rimpoche ("nato dal loto") è venerato in Nepal e Tibet come il "secondo Buddha", per aver fondato il Buddismo tibetano (VII-VIII sec). In Nepal sono molti i luoghi dove, secondo la tradizione religiosa e popolare, il Guru è passato o ha vissuto, e lì sono stati eretti Gompa, chorten e monasteri, sicché il trekking in Mustang può essere vissuto come un vero e proprio pellegrinaggio. LE MONTAGNE DIVERTENTI YAK O NAK? Riguardo allo yak si tende a fare un po' di confusione. Di questi grandi bovini dal manto folto, presenti un po’ ovunque sulle montagne del Nepal, solo il maschio si chiama yak, mentre la femmina è denominata nak. A voler essere ancora più precisi, gran parte degli yak che si incontrano sono bestie ibride, più docili e gestibili, ottenute incrociando esemplari puri con mucche tibetane. Noi abbiamo provato il formaggio di yak (buonissimo, sembrava il nostro bitto!), ma molto probabilmente era stato fatto con il latte di una mucca tibetana. Mustang 117 Pizzaràgn Professione VI grado Picchio muraiolo cattura un Opilionide su una parete rocciosa all'alpe Gera in Valmalenco (22 luglio 2011). ➢ Speciali ➢ Il Picchio muraiolo cerca il cibo camminando velocemente sulle pareti di roccia e indagando buchi, crepe e anfratti (30 ottobre 2010, foto Stefano Caldera). Testi e foto Giovanni C. Scherini Il Picchio muraiolo (Tichodroma muraria) è tra le specie più amate del mondo naturale. Non v’è autore che non ne abbia scritto se non in termini entusiastici, ponendo questo uccello ai vertici della classifica dei belli. Già il naturalista svizzero Tschudi nel 1870 ne parlava come di uno degli uccelli alpini più splendidi in assoluto, accostandolo, in ragione delle sue sembianze e del suo volo, a un colibrì alpino. Il nome italiano sommariamente pone Tichodroma muraria tra i picchi, pur avendo con questi ultimi solo alcune affinità legate all’arrampicata; per il resto, a differenza dei picchi, la Tichodroma muraria non possiede una struttura ossea e cornea (cranio e becco) idonea alla percussione, né tantomeno una lingua appiccicosa talmente estroflettibile da doverla arrotolare a riposo lateralmente al cranio. L'epiteto "muraiolo" è dovuto agli avvistamenti invernali del volatile che avvengono su torri o muraglie; in realtà però l’ambiente di elezione sono le rupi e le pareti rocciose. Il nome scientifico, più appropriato, si compone del nome del genere, Tichodroma, che deriva dal greco téikhos (muro) e dromás (che corre celermente), nonché del nome proprio muraria (che appartiene ai muri). La specie è presente sui principali gruppi montuosi dell’Europa centromeridionale e Asia minore. In Italia è diffusa sull’arco alpino e su parte degli appennini sino agli Abruzzi, dove si manifesta perlopiù come specie sedentaria e nidificante, ma anche migratrice a corto raggio e svernante. In rapporto all’ambiente frequentato la specie è tra quelle a basso rischio di conservazione, in quanto un vero disturbo sulle pareti rocciose, il suo habitat, può essere causato solo occasionalmente da alpinisti ed escursionisti. In Lombardia si valuta la consistenza del Picchio muraiolo in 200-600 coppie: un intervallo abbastanza largo in considerazione alle difficoltà oggettive di un monitoraggio preciso. Per quanto riguarda la Provincia di Sondrio, De 118 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 Carlini1 nel 1888 dava notizia di alcune catture effettuate a Sondrio e precisamente in Gombaro, cioè lungo le pareti rocciose delle Cassandre del Mallero. Altri due individui a lui recapitati provenivano invece dalle valli del Bitto, dove non era raro. Nel 1890 Bruno Galli-Valerio2 lo indicava come poco comune intorno a Sondrio, dove si osservava sui campanili e sulle rupi, confermando la specie come frequente nelle valli del Bitto in estate; da ottobre, invece, veniva osservata sulle rupi di mezza montagna e anche sino a quelle affacciate sul fondovalle, rimanendo alle quote più basse sino al sopraggiungere della primavera. Nel 1940 il celebre ornitologo di Ponte in Valtellina Edgardo Moltoni lo qualificava come stanziale sui monti nel periodo riproduttivo, con normali spostamenti verso il basso in inverno sino ai dintorni di Sondrio, Ponte, Tirano e indicando altre località di presenza come la val Fontana, la zona sopra Baruffini, la val Codera. In seguito Moltoni ne segnalava la nidificazione nel Parco Nazionale dello Stelvio tra i m 1800-2400, con osservazioni estive alle Torri di Fraele, alla punta del Coston, in valle del Forno e invernali tra Sant'Antonio e Santa Caterina. Come nomi dialettali usati in provincia Moltoni indicava: rösa, beccaràgn, pizzaràgn, madonéta, rampeghìn di Alp, gratasàss ... nche dopo l’inizio del terzo millennio, di questo bell'animale non conosciamo molto di più rispetto ai nostri predecessori, poiché non sono mai state svolte indagini specifiche su questa specie che, al di là dei suoi meravigliosi cromatismi, non riveste al momento per la società alcun interesse quantificabile in termini economici. Le osservazioni recenti lo confermano presente ovunque in provincia tra i m 1000 e i m 2500 dove esistano pareti rocciose con fessure e cavità idonee alla nidificazione e a reperire ragni, lumache, larve, bruchi, farfalle e altri insetti. Il suo incontro casuale è comunque un evento poco frequente anche per A 1 - De Carlini A., Vertebrati della Valtellina, Atti Soc. It. Sc. Nat., Milano 1888 2 - Bruno Galli Valerio, Materiali per la Fauna dei Vertebrati, Valtellinesi. Stab. Tip. Quadrio, Sondrio 1890 LE MONTAGNE DIVERTENTI Picchio muraiolo 119 Fauna Speciali Posizione con ali semiaperte: Vedendolo così, fermato dalla fotografia sulla parete, si spiega come in dialetto prenda il nome di rösa; pare in effetti una splendida rosa rossa (16 luglio 2009). chi si muove spesso in montagna. Sulla scorta dei dati regionali si può valutare presente in provincia di Sondrio circa la metà della consistenza regionale, con 100-300 coppie nidificanti. A queste brevi notizie sul Picchio muraiolo circa la sua distribuzione sul territorio della provincia e sull’habitat frequentato, possiamo aggiungere alcune parole circa il suo comportamento. Anzitutto si tratta di un animale solitario al di fuori del periodo riproduttivo, vivendo in coppia solo durante le varie fasi della nidificazione. Lungo questo periodo il rapporto tra i partner sembra essere monogamico, il maschio difende il proprio territorio e si esibisce nei pressi delle femmina ostentando il sottogola nero e assumendo una posizione eretta, con il becco rivolto verso l’alto. Altra tipica abitudine è quella di aprire parzialmente le ali durante il movimento, un modo per mante- 120 LE MONTAGNE DIVERTENTI Le zampe del Picchio muraiolo appaiono sproporzionate rispetto alla grandezza del corpo (16 luglio 2009). nere il contatto visivo con il partner, mostrando la parte rossa delle ali ma soprattutto la parte esterna nera con macchie bianche. Il Picchio muraiolo spicca per le sue doti di instancabile arrampicatore. Osservando le fotografie si evince come le sue posizioni durante l’arrampicata si adeguino alle stesse leggi fisiche cui deve sottostare un alpinista, con la differenza che il picchio, in caso di errore, ha sempre le ali cui ricorrere e non è costretto come l'alpinista ad ancorarsi con corda e chiodi alla parete. Ovviamente questo uccello non arrampica per diletto, ma solo per necessità alimentari, perché è solo con una risalita passo passo delle rupi che può individuare nelle fessure più riposte le prede per sé, per la sua compagna durante la cova, e per nutrire i suoi piccoli dopo la schiusa. Diciamo anzitutto che il peso di questo piccolo passeriforme si aggira in entrambi i sessi circa sui 20 Picchio muraiolo in sosta e scomposizione della forze (16 luglio 2009). Adulto (a sinistra) dopo l'imbeccata (16 luglio 2009). Picchio muraiolo in progressione su parete (16 luglio 2009). grammi, con una lunghezza di circa 16 cm dalla punta del becco a quella della coda. Le zampe paiono altresì sproporzionate rispetto alla mole, con dita lunghissime, il pollice in particolare, prolungate da unghie vistose, ricurve, con punta acuminata. È come se, in proporzione, un uomo di 180 cm di altezza avesse un piede di circa 60 cm! Certo, la morfologia specializzata delle zampe è di per sé un indispensabile attrezzo di arrampicata, alla stessa stregua delle piccozze e dei ramponi utilizzati per risalire le cascate ghiacciate, ma anche le posizioni assunte dal corpo non sono un elemento trascurabile. Per osservare contemporaneamente l’allineamento delle zampe e individuare la direzione delle forze in questione, si è scelta una posizione di sosta, ma poi lo stesso discorso è trasferibile alla posizione assunta durante il movimento. Primavera 2014 Nella foto sopra si sono dapprima tracciate le due linee z e b (in giallo), sovrapponendole a quelle delle zampe (tarso). Già si vede che l’angolo tra le due linee è prossimo all’angolo retto. Se ora, semplificando, nel vertice si applica la forza P (peso=20 g), questa, per la regola fisica del parallelogramma, si scompone in un vettore B, e un vettore A, secondo le due direzioni indicate; la prima forza spinge sulla zampa inferiore [circa con 10 g di intensità], aumentando l’aderenza alla parete, la seconda spingerebbe verso il basso l’uccello, se non fosse controbilanciata dalla forza Z, che rappresenta la trazione che l’uccello deve esercitare con la zampa superiore per non cadere [ca. 17 g di trazione]. In realtà il problema è un po’ più complesso, perché la forza peso agisce sul baricentro ed entrano poi in gioco gli snodi delle anche ed il bacino, ma i risultati restano sostanzialmente gli stessi. LE MONTAGNE DIVERTENTI Durante la progressione, pur non vedendosi la zampa in posizione superiore, la testa ed il petto sono mantenuti aderenti alla parete, mentre la parte posteriore ne è notevolmente staccata, formando tra la linea corpo-becco e quella del tarso un angolo ancora prossimo ai 90°. I termini dialettali pizzaràgn o beccaràgn, non sono casuali in quanto il Picchio muraiolo mangia ragni in quantità, ma nella dieta entrano anche altri invertebrati, come farfalle diurne, bruchi e molluschi. Nella fotografia in alto, l’adulto, più a sinistra, ha appena dato l’imbeccata a uno dei piccoli, che peraltro invoca altro cibo, aprendo il becco ed emettendo dei sibili. Si tratta di un giovane ormai prossimo all’involo, quindi circa delle stesse dimensioni dell’adulto, ma distinguibile per il becco più corto e di solito meno ricurvo. Picchio muraiolo 121 Rubriche l'iperfocale L'arte della fotografia L' iperfocale è la distanza minima di messa a fuoco che permette di avere la profondità di campo dall'infinito alla metà della distanza iperfocale. Il suo valore dipende sia dalla focale dell'obiettivo che dall'apertura del diaframma. Effettuando la messa a fuoco sulla distanza iperfocale si ottiene perciò la massima profondità di campo possibile con quella data lunghezza focale e quel dato diaframma. a cura dell'agenzia fotografica Clickalps Per un professionista è fondamentale conoscere i valori dell’iperfocale, ma ciò potrebbe tornare utile anche alla maggior parte degli amatori. Il calcolo è basato su 3 fattori : 1) lunghezza focale dell’obbiettivo (F - misurata in mm) 2) diaframma (A - adimesionale) 3) circolo di confusione (C - vale 0,026 mm su sensori full frame e 0,015 mm su APS-C). La formula approssimata che restituisce il valore dell'iperfocale espressa in mm è la seguente: Dati EXIF Autore / Beno Data di scatto / 18 ottobre 2013 Ora di scatto / 10:22 Fotocamera / Pentax K5 Lunghezza focale / 18 mm Obiettivo / TAMRON 18-250 mm Di II Tempo di esposizione / 1/1600 s Apertura del diaframma / f/8 ISO / 200 Recensione Un tronco sopra il lago Palabione mi offre lo spunto per arrampicarmi su una roccia e da lì scattare con la tecnica dell'iperfocale. Sono a 1,35 metri esatti dalla base del tronco, ho messo a fuoco a 2,7 m, e il sensore restituisce un'immagine tutta a fuoco. Il tronco e le fronde gialle dei larici sono solo apparentemente il soggetto della foto; in realtà ne rappresentano le linee di lettura, proiettando lo sguardo dell'osservatore verso il lago e intiepidendo con colori caldi un quadro fatto di neve e acqua. Inoltre ho sfruttato un ramo per schermare il riflesso del sole nel lago che avrebbe altrimenti rovinato l'immagine. 122 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI L'arte della fotografia 123 Rubriche Prendiamo come esempio un obiettivo fisso 50 mm con diaframma a f/16. Nel caso di sensore full frame avremo: Da cui ne deduciamo che se mettiamo a fuoco a 6 metri, avremo la sensazione che sia tutto a fuoco da 3 metri all'infinito. Nel caso di sensore APS-C avremo: Da cui ne deduciamo che se mettiamo a fuoco a 10,4 metri, avremo la sensazione che sia tutto a fuoco da 5,2 metri all'infinito. Difficilmente al momento dello scatto ci si mette a fare calcoli, ma più semplicemente si consultano tabelle come quella in formato PDF che troviamo a quest’indirizzo: www.lmphotography.it/iperfocale.htm 124 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 Dati EXIF Dati EXIF Autore / Roberto Ganassa Data di scatto / 12 luglio 2013 Ora di scatto / 13:32 Fotocamera / Canon EOS 5D Lunghezza focale / 17 mm Obiettivo / EF 17-40 f/4 USM Tempo di esposizione / 1/125 s Apertura del diaframma / f/22 ISO / 200 Autore / Vittorio Vaninetti Data di scatto / 5 maggio 2013 Ora di scatto / 09:43 Fotocamera / Canon EOS 5D Lunghezza focale / 21 mm Obiettivo / Zeiss Distagon T* 2.8/21 ZE Tempo di esposizione / 1/50 s Apertura del diaframma / f/16 ISO / 200 Recensione Recensione Un rododendro in fiore nel vallone dello Scerscen in Valmalenco è l’occasione per utilizzare la tecnica dell’iperfocale. Mi trovo a circa 50 cm dai fiori più vicini a me, dunque con una focale di 17 mm, sensore full frame, e chiudendo il diaframma a f/22, la mia immagine è completamente a fuoco dal primo piano allo sfondo. Di certo non vado in giro con un grosso righello per misurare la distanza giusta ma il tutto è fatto a occhio, anche perchè se avessi scattavo alla distanza di 40 cm invece di 50 cm tenendo sempre la messa a fuoco sui fiori, avrei avuto un risultato buono: la teoria dice infatti che a f/22 sbagliando del 50% la distanza iperfocale si ha ancora uno sfocato sullo sfondo appena percettibile. È molto importante conoscere i periodi e i luoghi delle fioriture se non vogliamo fare più e più volte tanti chilometri a vuoto. Anche se il momento preciso può cambiare da un anno all’altro a secondo delle condizioni meteorologiche, sapevo bene che qui agli Andossi i Crocus nivea abbondano sempre appena la neve sparisce. Il fiore in quel giorno ha deciso di non aprirsi completamente a causa delle temperature ancora molto fresche. Adottando la tecnica dell’iperfocale con il mio obbiettivo 21 mm a f.16 (quando si vuole utilizzare l'iperfocale ed ottenere un buon effetto è opportuno chiudere il diaframma per aumentare la profondità di campo), sono riuscito ad ottenere una foto tutta a fuoco dalla distanza di 1 metro fino al lontano monte Bardan ancora innevato. LE MONTAGNE DIVERTENTI L'arte della fotografia 125 IL MIGLIOR FOTOGRAFO LE FOTO DEI LETTORI Rubriche Recensione (a cura di Roberto Ganassa) Il fotografo Nonostante questo scatto non richieda particolare tecnica, abbiamo voluto premiarlo perché si tratta di una foto di reportage che testimonia un evento eccezionale. Non siamo infatti in pieno inverno, ma questa immagine della val Tartano risale al 23 maggio 2013, quando un’intensa nevicata è scesa sotto i 1000 metri di altitudine. Ad un primo sguardo la stagione non è lampante, ma guardando con attenzione gli alberi piegati dalla neve si vede che questi sono in veste quasi estiva. Carichi di foglie che intrappolano la neve sulle fronde, molti di questi si sono spezzati. L’immagine è ben inquadrata e la traccia dell’auto (linea guida) ci porta a entrare nella foto per cercare cosa c’è dietro l’angolo. Mi chiamo Tripiciano Luigi e abito a Campo Tartano. Ho ormai 59 anni e sono in pensione dopo 43 anni di lavoro come responsabile di magazzino a Milano. Per 30 anni ho fatto tutti i giorni il pendolare da Campo Tartano a Milano, alzandomi alle 04:50 per prendere il treno delle 06:48 a Morbegno, per poi tornare alla sera col treno delle 18 ed essere a casa poco prima delle 21. Felicemente sposato, ho una figlia di 25 anni. Sono appassionato di meteorologia, tant'è che ho inventato un apparecchio che misura l'altezza della neve, presentato sui giornali valtellinesi e non, fino ad interessare la trasmissione "Ciao Darwin" condotta da Paolo Bonolis. Da qualche anno pratico la fotografia a livello amatoriale, hobby agevolato dall'abitare in un posto già di per sé molto panoramico. Fotocamera Lunghezza focale Tempo di esposizione Apertura del diaframma ISO Olympus C750 13mm 1/125 s f. 3.2 50 MANDA LE TUE FOTOGRAFIE Due sezioni dedicate ai nostri lettori: · una che premia il fotografo più bravo tra quelli che invieranno, con oggetto "miglior fotografo", i loro scatti inerenti i monti di Valtellina e Valchiavenna all'indirizzo email [email protected]. Una delle sue foto verrà pubblicata con recensione e scheda di presentazione del fotografo. Premio: abbonamento annuale alla rivista. · una che mostra chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo; le foto vanno inviate all'indirizzo email [email protected] e devono avere un soggetto umano, la rivista e uno scorcio del luogo. 126 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 Dolomiti - CAI Sondalo e CAI Valmalenco salutano dalla cima del monte Paterno, presso le rinomate Tre Cime di Lavaredo (8 settembre 2013). Valmalenco - Robi e Lori di Caspoggio sul pizzo Scalino (4 settembre 2013). LE MONTAGNE DIVERTENTI Orobie - Max e Olga in vetta al monte Cadelle in val Lunga (26 settembre 2013). Le foto dei lettori 127 LE FOTO DEI LETTORI Rubriche Le foto dei lettori Val Màsino Matteo Bonelli in solitaria sulla vetta del Badile (21 settembre 2013). Spagna - Il GVV a Cabo Ortegal, sulla costa nord-occidentale della Galizia (21 agosto 2013). Orobie - Pazzoidi si arrampicano sulla croce del Meriggio: Claudio e Tony (busàc), Paolo di Vercelli e Brix di Roma (17 agosto 2013). Islanda - Paolo, Matteo e Carlo alle pendici del ghiacciaio Kverkfjoll (12 agosto 2013). 128 LE MONTAGNE DIVERTENTI Milano Marittima - Le due sezioni di quinta della Scuola Primaria "A. Vido" di Tirano e la classe quinta della Scuola Primaria "C. Minerva" di Villa di Tirano durante l'indimenticabile "settimana blu" trascorsa al mare con i loro insegnanti (22 settembre 2013). Val Màsino - Sara, Simone, Flann e Yun: anche i quattrozampe leggono "Le Montagne Divertenti"! (20 ottobre 2013). Val Màsino - Renzo Guerra al bivacco Rusconi sotto la vetta del pizzo Badile (7 agosto 2013). Orobie - Gli amici e il gruppo di ViviOrobie in val Tartano (7 luglio 2013). Primavera 2014 LE MONTAGNE DIVERTENTI Valmalenco - Franca, Lucio e i loro amici davanti al caratteristico rifugio Alpini all'alpe Lagazzuolo (17 ottobre 2013). Le foto dei lettori 129 LE FOTO DEI LETTORI Rubriche Le foto dei lettori Valmalenco - Mauro, Giulia, Silvia ed Elisa di Montagna sul pizzo Scalino (4 settembre 2013). Sardegna - Il nutrito gruppo dei Country For Fun lancia tripudiosi saluti dalla grande isola (31 agosto 2013). Valmalenco - Stefano, Barbara e Laura in vetta al monte delle Forbici (25 settembre 2013). Toscana - Famiglia Bergomi e famiglia Parolini di Lanzada baciati dal sole dell'antica Etruria con "Le Montagne Divertenti" (7 settembre 2013). Birmania - Luciano Bruseghini mostra "Le Montagne Divertenti" a un ragazzo birmano (19 ottobre 2013). Birmania - Con "Le Montagne Divertenti" a piedi nudi davanti alla Shwedagon Paya (16 ottobre 2013). 130 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 Engadina - Fabrizio, Pio, Giovanna, Letizia al Corvatsh, nel cuore del Bernina (18 agosto 2013). Ticino - Mr Plajibo: stagione estiva da vachè a Bosco Gurin, in Vallemaggia (13 settembre 2013). Germania - Gianfranco e Pierangela mandano i loro saluti da Dresda (30 novembre 2013). Merano - Elena, Beppe, Caterina, Marco, Laura e le piccole Beatrice e Alice ai tradizionali mercatini natalizi e alla rivista (2 dicembre 2013). Valchiavenna - Ivo, Donata, Diego, Manuela, Isaia, Lisa, Matilde, Mario, Nella, Elena, Stefania, Mara, Stefano, Letizia, Maria, Loris, Nadia e Maria festeggiano il 40° compleanno di Ivo Oreggioni con la loro rivista preferita (settembre 2013). LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori 131 LE FOTO DEI LETTORI Rubriche Ponchiera - Gli atleti della Polisportiva di Albosaggia guidati da Beno nella staffetta Montagna-Ponchiera in occasione dell'inaugurazione della via dei terrazzamenti (26 ottobre 2013). Le foto dei lettori Valmalenco - Giorgio e Alessandro sulla vetta del pizzo Palù (11 luglio 2013). Isola d'Elba - Omar e Nicole sulla spiaggia di Cavoli (29 luglio 2011). Valmalenco - Marco, Francesco, Catia, Pietro, Monica, Cesare, Caterina, Marco, Rossana, Stefano e Cecilia nei pressi del lago d'Arcoglio, con il magnifico sfondo dei "giganti" malenchi (10 agosto 2013). Dolomiti - Il CAI di Chiavenna con "Le Montagne Divertenti" in val di Fassa (10 settembre 2013). Germania - Giorgio, Niccolò, Stefano e Matteo all'Oktoberfest di Monaco (29 settembre 2013). 132 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primavera 2014 Valmalenco - Alberto, Barbara e il nonno Umberto Tenzing Busi ai piedi della croce sul pizzo Scalino (16 agosto 2013).. Dolomiti - Andre, Betty e Corra portano "Le Montagne Divertenti" a scarpinare sui percorsi di guerra del monte Lagazuoi, in Alto Adige (22 settembre 2013). Cuba - Cristian, Yanet, Leidys, Beppe, Miriela, Yaciel, Yamile, Paola, Sabrina e Melanis a L'Havana (27 novembre 2013). LE MONTAGNE DIVERTENTI Grecia - Mauro e Cristina davanti all'Acropoli di Atene durante la loro vacanza alle isole greche (17 ottobre 2013). Svizzera - Da Kleine Sheidegg, sua maestà l'Eiger! Con Dario e Isabella (29 aprile 2013). Le foto dei lettori 133 LE FOTO DEI LETTORI Rubriche Isole Canarie - Due signori di Caspoggio portano al mare "Le Montagne Divertenti". Le foto dei lettori Hong Kong - Dario e Cristina davanti al colosso di quasi 500 metri durante la loro recente partecipazione alla "Vertical race" sul grattacielo ICC100 (30 novembre 2013). Isole Canarie - Roberta e Albina prima del safari sulle dune di Maspalomas sull'isola della Gran Canaria (10 novembre 2013). Austria - Luca, Gioele, Michele, Luca, Valter, Danilo, Jacopo e Piero nel viaggio su due ruote dallo Stelvio a Vienna, qui in sosta davanti al carcere di Mauthausen (17 luglio 2013). 134 LE MONTAGNE DIVERTENTI Egitto - Luca Magini porta Le Montagne Divertenti al Cairo (16 settembre 2009). Orobie - Roberto Guerra volge le spalle alle imponenti cascate del Serio (23 giugno 2013). Valmalenco - Marco e Ciago verso il passo degli Ometti. Ciago era a un tiro dall'obiettivo, ma ha dovuto rinunciarne la conquista per il freddo (4 settembre 2013). Primavera 2014 Namibia - Quelli del gruppo bancario Crevalcir posano per scatti "very hot" sulle dune del deserto del Namib (21 ottobre 2013). Alta Valtellina - Enzo, Marco, Chiara, Milena e la mascotte a quattro zampe Guidino al passo di val Viola (24 settembre 2012). Lourdes - Roberta, Valentina e Katja con il vescovo di Bratislava (28 settembre 2013). LE MONTAGNE DIVERTENTI Lourdes - Le bikers Katja, Valentina, Clara, Daniela e Roberta, insieme a Remo, Alberto, Fabrizio, Ugo ed Alex dello staff in occasione della scorsa edizione della Santiago in Rosa (28 settembre 2013). Le foto dei lettori 135 Rubriche soluzioni del n.27 Vincitori e Giochi vinti A B C D Öt tusegàm? La bacca non commestibile è la B: Phytolacca americana. Le altre bacche sono: A- le bacche degli “spacasass”, ovvero del bagolaro: si mangiano e sono dolciastre; C- sono i mirtilli (e spero li conoscano tutti); D- è l’uva e, se non troppo trattata, è commestibilissima! I vincitori, tutti racchiusi in un secondo, sono: 1- Sergio Proh di Mossini 2- Gianpiero Barola di ValMàsino 3- Simone Nonini di Sorico El ciüsè olt Considerando 4- Giuliano Curtoni di Cosio 5- Federica Lavelli di Cisano Bergamasco Hanno inoltre indovinato: Luca Gottifredi, Ivan Andreoli, Luca Draghi, Giuly Pedroli, Mario, Paolo Gorla, Marilisa Selvetti, Adriano Maffi, Johny, Marco Fanchetti, Federica Sassella, Giorgio, Enzo Pini, Irene Colombo, Egle di Torre, Vittorio, Marioberto, Simone, Luca, Martino, Serena, Aure, Liana Nobili, Franchino, Antonio Onesti, Silvana, Bruna Sarotti, Alessia, Michele Battoraro, Roberto Carna, Stefano. che la vetta del monte Legnone è nascosta delle nubi, qual'è la cima più alta visibile in questa fotografia scattata dalle pendici della corna di Mara? Il più veloce dalle ore 21:00 del 5 aprile 2014 riceverà uno zaino tecnico personalizzato Le Montagne Divertenti, il secondo un paio di bastoncini telescopici Skitrab. Il 3° classificato avrà un abbonamento annuale a Le Montagne Divertenti, il 4° e il 5° una berretta Skitrab. Scrivi la tua risposta su www.lemontagnedivertenti.com/concorsi/ Ma ch'el? Ma ch'el? L’oggetto misterioso, parte della collezione di Angelo Parolo, è una foratrice per il legno che, a seconda dei paesi prende il nome di: trivèla, talàdro, tenevèla, ürùbio, gròbul, tràpen, veròbi, vedrùggio … Serve per praticare fori nel legno, anche in travi squadrate come la preséf dove vengono legate le mucche. Cos'è e a cosa serve? Il più veloce dalle ore 21:00 del 3 aprile 2014 riceverà uno zaino tecnico personalizzato Le Montagne Divertenti, il secondo un paio di bastoncini telescopici Skitrab. Il 3° classificato avrà un abbonamento annuale a Le Montagne Divertenti, il 4° e il 5° una berretta Skitrab. Scrivi la tua risposta su www.lemontagnedivertenti.com/concorsi/ I vincitori, tutti racchiusi in meno di un secondo, sono: 1- Aurelio Besseghini di Grosio 2- Simone Nonini di Sorico 3- Marioberto 4- Mario 5- Irene Hanno inoltre indovinato: Ivan Andreoli, Martinozza, Luca, Giuliano, Marianna (e fin qui han risposto tutti alle 21:00.00!), Alessia Besseghini, Marilisa Selvetti, Sergio Proh, Vittorio, Andrea di Mondadizza, Federica Sassella, Sandro Passini, Marco Fanchetti (e fin qui entro le 21:00.01!), Bruna Sarotti, Luana, 136 LE MONTAGNE DIVERTENTI Cinzia Giordani, Antonietta Parolo, Mauro, Fabio, Stefano, Giorgio Enzo Pini, Sofia De Bernardi, Adriano Maffi, Guglielmo Salvetti, Stefano R, Sutti Silvio, Angelo Libera, Alessia, Sonia, Liana Nobili, Fermo, Stefano Foiadelli, Martino Dei Cas, Silvana, Ilario Rampoldi, Nicola, Francesco, Alex, Gabriella, Johny, Giovanni Nesa, Serena, Martino, Bonelli Luigi, Michele, Maria Gusmeroli, Danilo Pasini. Primavera 2014 abbiamo posticipato le date dei concorsi per permettere agli abbonati, vittime dei disservizi postali, di partecipare ai giochi. ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO VERRANNO RITENUTE NULLE LE MONTAGNE DIVERTENTI Giochi 137 Rubriche LE RICETTE DELLA NONNA Ricette coi fiori di robinia Beno In primavera fiorisce la robinia (o acacia), colorando di bianco i versanti e profumando i sentieri. Per queste ricette occorrono fiori coi petali ancora carnosi e trovarli non è certo difficile. Quando alle basse quote questi finiscono, basta alzarsi un po' per incontrare le nuove fioriture (la pianta prolifica fino oltre i m 1000). Evitate di lavare i fiori, se no perdono il profumo e i petali: perciò coglieteli in zone non polverose. I fiori sono lunghi circa 2 cm e simili a quelli dei piselli, sono riuniti in grappoli pendenti e facili da cogliere se ci si munisce di una forbice: basta stare attenti alle spine della pianta e ai pungiglioni di api e vespe che van ghiotte del polline. Risotto di robinia Ingredienti per 3 persone: • 6 pugni di riso • brodo di carne (1 litro) • 1 cipolla • qualche manciata di fiori di robinia • un bicchiere di vino bianco Tritate la cipolla e fatela soffriggere con olio e burro, quindi unite i fiori di robinia privi del picciolo. Quando sono appassiti, unite il riso e fate tostare. Sfumate con il vino bianco e unite pian piano il brodo mescolando con attenzione fino a far cuocere il risotto. Fiori di robinia fritti • • • • • • fiori di robinia appena colti farina tipo 0 birra acqua olio di semi di girasole sale Fare la pastella è la cosa più delicata. Iniziate con un etto di farina in un recipiente e versate 1/3 di bicchiere di birra e acqua (q.b.), mescolando fino a ottenere una pastella fluida, densa, ma non eccessivamente (in questo occorre farci l'occhio). Immergete il fiore nella pastella, quindi nell'olio bollente muovendolo leggermente; così i fiori non si incollano l'un l'altro e non si forma un blocco unico. Fate cuocere bene girando i fiori di tanto in tanto, poi scolateli con una schiumarola a rete larga e adagiateli su carta assorbente. Salate a piacere e servite. Data la quantità di fiori nei boschi e la bontà della frittura, è facile fare indigestione! 138 LE MONTAGNE DIVERTENTI Fioritura di robinia in val Venina (22 maggio 2011, foto G. Meneghello). Primavera 2014 Affido a questa pietra il mio ricordo. Su questi monti che furon la mia culla, pellegrinai. Poi il mondo. E ritornai a trovar la pace che lasciai. Da umile pastore quassù vissi. In questa quiete e nel suo dolce incanto. E a perenne memoria su questa pietra scrissi per i futuri nepoti il mio rimpianto. Busti Luigi, 1895 LE MONTAGNE DIVERTENTI 141