Cent`anni

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Cent`anni
1906-2006
Cent’anni
di ferrovia in val Venosta
Saluto
Cari amici della ferrovia!
A
dire il vero il centenario della Ferrovia della Val Venosta è un appuntamento di valenza europea. Ricordiamo che l’idea di questo treno
nasce nell’ambito di un grande progetto ferroviario destinato a collegare l’Inghilterra e l’India. Anche se quest’ultimo non è mai stato portato
a termine, possiamo comunque dire che la riattivazione della linea Merano
– Malles si è rivelata un pieno successo nel trasporto pubblico locale.
Il fascino della ferrovia si è conservato fino ad oggi, e siamo lieti che il treno
sia apprezzato ugualmente dai pendolari e dai turisti. Ora sarà nostra premura per i prossimi anni ottimizzare l’integrazione dei servizi su ferro e
gomma affinché sia garantita una valida alternativa all’auto privata.
La presente pubblicazione rispecchia la grande passione dell’autore per la
Ferrovia della Val Venosta: Sebastian Marseiler vi accompagnerà ad una
brillante scoperta di aneddoti e di dettagli interessanti attorno alla Merano
– Malles.
Auguriamo buona lettura.
Dott. Luis Durnwalder
Presidente della Provincia
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Dott.Thomas Widmann
Assessore al Turismo ed alla
Mobilità
Un colpo di fortuna
Un colpo di fortuna
C
i troviamo davanti alla stazione di Merano. Facciata in
Jugendstil, vecchio buon
tempo imperialregio. Nell’atrio dall’alto soffitto, che una volta fungeva
da locale d’ accoglienza e di transito,
non più facchini in livrea, non più
dame distinte in tenuta di viaggio,
come nel 1906. Impera ormai la moda casual. Ma è rimasta la vitalità.
Stiamo per salire sul treno moderno
per Malles. Con noi, sul treno, gli
stessi accompagnatori d’ un secolo:
brevi splendori e cronica penuria di
quattrini, gli „eterni“ orari del collegamento, l’eterna domanda sul come andrà a finire e i sermoni della
domenica dei politici. Ma un’ accompagnatrice ci sfavilla in modo
particolare: la gioia che il treno della
val Venosta continui a rullare di
nuovo, con un successo come non
mai fino ad ora. E il successo ha molti padri, dunque onore a chi merita
onore: senza il costante intervento
dei sostenitori della ferrovia in val
Venosta, lungo il tracciato ci sarebbe stato un gran traffico di torpedoni, e gli areali delle stazioni sarebbero caduti in preda della speculazione edilizia. Si attribuisca pertanto il
dovuto rispetto ai responsabili della
gestione politica: più d’ uno percorse la via di Damasco, da Saulo a Paolo, trasformandosi da deciso oppositore in acceso sostenitore. Per gran
tempo ritenuta estinta, la ferrovia
della val Venosta oggi è vitale come
non mai, e può essere portata come
esempio. In casi fortunati, sono proprio i figli del bisogno a svilupparsi
nel migliore dei modi.
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Lungimiranza
Lungimiranza
La val Venosta si trova sulla via verso l’ Oriente.
I
n principio c’ era un naso con un
gran fiuto commerciale. Il banchiere Giorgio Giacomo Levi era
tutt’ altro che soddisfatto della situazione economica della sua Venezia. La città ed i commerci barcollavano: un asse di raccordo verso occidente avrebbe apportato nuovo
respiro, da quando i Lloyds austriaci
avevano cambiato le rotte ai carichi
in partenza dai porti di Trieste e di
Venezia per il Levante. Gli interessi
commerciali di Levi combaciavano
con l'idea di un progetto per una linea verso passo Resia – giaggià: il
palcoscenico del mondo. E dietro Levi la potenza dei Rothschild. Levi fece anticamera a Vienna, ma fece fiasco. Oltre a ciò, il progetto ebbe a rivelarsi in seguito come una sorta di
parto mentale cartaceo, senza che ci
fosse neanche un alito di consapevolezza delle difficoltà tecniche. Cor6
reva l’anno 1830. Quindici anni più
tardi, la visione. I signori sedevano
al tavolo della conferenza, tutti chini sulle carte. Ed ecco il loro sguardo
spaziare più lontano: dall’ Inghilterra, via verso Levante, attraversando
il vecchio continente. I signori, lassù
a Londra, cercavano la via postale
più diretta dalla madrepatria dell’
impero d’ Albione verso la ricca colonia della Corona, cioè l’ India. E la via
più diretta passava per Calais, Stoccarda, Bregenz, Arlberg, Resia, Venezia e Trieste, e la Palestina. L’ enorme
visione voleva significare: Bregenz –
Resia – Costantinopoli – Bagdad –
Bombay.Toccava anche passare per
la val Venosta, una valle di poveracci, costretti ogni anno a mandare, a
piedi, i bambini fino in Svevia, per
avere un paio di porzioni di polenta
in più nella loro scarsa ciotola. Ma
dai voli pindarici d’ Albione non sca-
Lungimiranza
turí un bel niente. Dal 1895, Adolf
Guyer Zeller, lo svizzero pioniere della ferrovia, famoso costruttore della
linea della Jungfrau, si batteva per
la realizzazione dell’„Orient Express
dell’Engadina“, che, valicando il
passo del Forno, sarebbe dovuto
passare, anche questo, in val Venosta. C’era da fare i conti con i raccordi con le aree del grande commercio
con cui la Svizzera orientale non era
intenzionata a recidere il cordone
ombelicale. Con stupefacente comunità d’intenti, tutti quanti eran
d’accordo sul progetto, superando
ogni animosità di carattere nazionalistico, che sempre scuoteva il vecchio Tirolo, sia dalla parte tedesca
che da quella trentino-italiana, nella speranza finale che la linea procedesse, lungo la Valsugana , fino a Venezia. Oltre a questo, anche le città
di Bolzano e di Merano insistevano
con tutte le forze: Bolzano, per
estendere alla Svizzera orientale le
esportazioni di vino e di frutta, e
Merano, nella speranza di collegare
la propria fama di città termale al
paradiso dei ricchi di Sankt Moritz.
Al giorno d’oggi, tutto ciò passerebbe sotto la definizione di sfruttamento degli effetti sinergici. Ma
Vienna si rifiutava: il concetto è sbagliato e troppo caro.
Molto più promettente si rivela l’iniziativa della banca di Bolzano
Schwarz e Figli, che faceva assai migliori affari con la linea a scartamento ridotto Mori-Arco-Riva.Tuttavia, una linea a scartamento nor-
male a tracciato più difficoltoso non
si sarebbe potuta realizzare senza
un contributo da parte dello Stato.
L’„assessore“ regioimperiale se ne
sta parlando a Vienna, il ministro se
ne giocherella tra il sì ed il no, la linea di collegamento tra Landeck e
Merano all’ inizio non è neanche da
discutere, ma, almeno, si può pensare al collegamento tra Merano e
Malles. Certo, se la regione e gli interessati avessero diviso le spese nel
modo giusto. L’atteggiamento è il
solito, tipicamente ancora dell’ Austria d’ altri tempi, gingillarsi su
quello che sarà: intanto iniziare e
stare a vedere che cosa sarà poi. Già
qualche cosa, adesso la ferrovia sarebbe dovuta arrivare fino a Malles,
e questo, almeno indirettamente,
poteva significare che, in qualche
futuro, la ferrovia si sarebbe spinta,
attraverso il passo Resia, fino a Landeck. La popolazione della val Venosta la ferrovia la vuole a tutti i costi,
e la „gente“ preme con decisione,
come quando s’ era trattato dell’ inizio del tratto Merano-Malles già nel
1896. Nel 1891, a Lasa, più di 200 rappresentanti della popolazione della
valle si riunirono, per fondare un comitato di azione: la val Venosta ha
bisogno d’ una ferrovia! Ci si immagini una cosa del genere: non soltanto che 200 persone si siano riunite in un villaggio di contadini,
ma che si prefiggessero persino un
traguardo, quando, di norma, se in
val Venosta si riuniscono 10 persone, si può parlare di 20 opinioni diverse! Tanto di cappello.
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Malles e (non) più in là
Zweispaltig
Malles e (non) più in là
E
, dopo tutto questo avanti e
indietro, finalmente s’arriva
alla decisione per la tratta
Merano-Malles. L’ ufficio statale per
le ferrovie locali a Vienna si assume
la progettazione, stabilendo il tracciato definitivo della ferrovia della
val Venosta. I primi studi appaiono
nel 1896, e viene presentato un preventivo di spesa come base di discussione politica.
La consueta taccagneria viennese
promette un milione di fiorini, a
condizione che vi sia compresa anche la ferrovia fra Bolzano e Merano.
Con un’ offerta d’ anticipo, il comune di Bolzano era entrato nel mucchio con un piccolo capitale. Il 16
giugno 1901, finalmente arrivano le
ultime firme per garantire il capitale stanziato, e il 7 luglio 1903 la società per azioni della ferrovia della
val Venosta ottiene la concessione.
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La stazione di Merano nel 1906 (sopra).
Costruzione del ponte di Covelano, prima
dell’ accesso a Silandro.
Finalmente si poteva cominciare. La
vecchia stazione di Merano si sarebbe dovuta spostare ad ovest, come
previsto, e soltanto dopo ci si rese
conto che la stessa era più spaziosa
e più elegante. Lo scavo della galleria verso la Tel ebbe inizio il 2 dicembre 1903. Il tracciato si rivelò tecnicamente assai colmo di problemi, dal
punto di vista tecnico, in quanto la
Malles e (non) più in là
tratta fra Lagundo e la Tel doveva
superare una consistente depressione altimetrica con una curva ad esse
attraverso Marlengo. Non per nulla
la stazione di Tel venne dotata d’ un
serbatoio d’ acqua a torre, per dissetare le locomotive assetate dalla defatigante salita. E, come di consuetudine della vecchia Austria, il solito
episodio grottesco: il 4 maggio, per
la perforazione della seconda galleria della Tel, ecco presentarsi ben tre
minatori: l’ approvazione definitiva
per i lavori, da parte di Vienna, sarebbe arrivata soltanto in novembre. I lavoratori addetti arrivarono
da tutte le contrade imperialregie,
portandosi appresso un’ imperante
reciproca incomprensione linguistica, una sorta di babilonia acuita dalle tensioni nazionalistiche. Ed in
questa congerie di operai scaraventati li da ogni parte dell’ Impero,
ogni tanto ci scappava quasi il morto per futili motivi, volavano i cazzotti e si poteva intravedere, in piccolo, quello che, nella grande politica, avrebbe portato alla catastrofe
finale. Si arrivò a una rissa violenta
dall’ oste dello „Schupferwirt“, a Silandro, operai italiani e tedeschi dovevano lavorare in comparti separati, perchè non si prendessero a legnate. Ogni volta si doveva
chiamare un parroco croato da Merano, per confessare, a Pasqua, i muratori croati. Sulle pendici della
montagna di Tarces, gli operai prendevano a calci i reperti archeologici,
che cedevano ai privati in cambio
d’un fiasco di vino o d’una borsa di
Costruzione della tratta Merano-Malles
(1904) fu completata nel tempo record di
due anni e mezzo.
Malles, 1 luglio 1906, ore 13 e 15: arrivo del
treno con gli ospiti d’ onore.
tabacco, ancor prima che i reperti
stessi potessero essere messi al sicuro da persone competenti.Tuttavia,
il tracciato completo di 60,4 chilometri potè essere portato a termine
nel corso del significativo periodo di
due anni e mezzo, sotto la direzione
dei lavori del cavaliere von Chabert.
La stazione di Malles sorse a valle
del centro del paese, in un’ area libera; già c’ era l’ intenzione di proseguire, con la ferrovia della val Venosta, in direzione di passo Resia.
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Si festeggia e si banchetta!
Si festeggia e si banchetta!
E
d ecco il 1 luglio 1906. Stazione di Merano, 7,40 antimeridiane. Animazione al massimo: con due locomotive tutte addobbate ed undici vagoni per
passeggeri ecco partire bande musicali ed associazioni, che devono accogliere il treno inaugurale a Malles. Evidentemente i meranesi non
riconoscono eccessive doti di accoFranziska Kaserer
di Silandro fa una
riverenza di fronte
all’ arciduca Eugenio (sopra).
Mezza Silandro è
accorsa marciando alla parata d’
onore per la nuova stazione.
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glimento alla gente dell’ alta val Venosta e di Malles. Stazione di Merano, ore 9. Nella stazione, addobbata
a festa, compaiono gli ospiti d’ onore, in uniforme di gala gli uni, in abito da cerimonia gli altri. La locomotiva è addobbata a festa. C’ è la crema della società e, primo fra tutti,
l’arciduca Eugenio. Al suono della
musica dei Kaiserjäger il treno
Si festeggia e si banchetta!
straordinario, con il vagone di corte
dell’ alto personaggio si mette in
marcia. Il treno ferma a tutte le stazioni, si formano parate d’ onore, si
tengono discorsi cerimoniosi. (E nel
2005 che cosa sarebbe successo?). A
Silandro quattro ragazzuole biancovestite, infiocchettate a dovere, recitano una poesiola per l’ arciduca;
una di loro, in seguito, racconterà
dell’ episodio per tutta la vita. Finalmente a Malles, alle 13 e un quarto:
cerimonia inaugurale e buffet freddo. L’ arciduca non ha molto tempo,
tuttavia una compagnia di fucilieri
di Laudes, in marcia a ranghi completi, riesce ad esprimere il desiderio di avere fucili nuovi. Sua Eccellenza si profonde in promesse
d’ogni genere... e prosegue verso
Innsbruck, attraverso passo Resia, in
automobile, gli ospiti della cerimonia ritornano a Merano, per recarsi
al banchetto al Kurhaus. Sulla carta
del menu, sotto un disegno raffigurante la nuova stazione di Merano,
spicca un motto significativo:„Ban-
chetto per la festa inaugurale del
primo tronco della ferrovia della val
Venosta“. Sull’ argomento pronuncia un discorso sua Eccellenza Derschatta, ministro dei trasporti. E’
chiaro che i lavori proseguiranno.
Applausi scroscianti. Lunedi, 2 luglio
1906, stazione di Merano, ore 7,40.
La locomotiva sta sotto pressione.
Tra un minuto partirà. Si ritorna alla
quotidianità. La ferrovia farà il proprio dovere?
„Battesimo“ della nuova ferrovia impartito dal presidente della Provincia Luis
Durnwalder; a destra l’ assessore provinciale Thomas Widmann (sopra).
Parata d’ onore a Silandro (2005): cent’
anni fa si stava più dritti.
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Intermezzo architettonico
Intermezzo architettonico
L’ architettura della Stazione
A
nche il fatto che si possa vivere con i sensi la storia della
ferrovia attraverso l’ ammirazione di come si presentino le storiche stazioni lungo l’ intero percorso
contribuisce al fascino della nuova
„vecchia“ Merano-Malles. Proprio
dal destino di queste costruzioni si
manifesta una particolarità della
val Venosta: la mancanza di mezzi
che consentano di adattare, secondo il gusto delle generazioni a venire, le „vecchie“ costruzioni. Questo
vale, e mi si scusi per il paragone irrispettoso, per le chiesette romaniche della valle, come per l’architettura delle stazioni venostane. Architettura che, sovente mascherata e
ritoccata, negli ultimi tempi languiva, degradata e triste, nel contesto
paesaggistico. Che fare? Inizialmente – cosi! – l’ amministrazione provinciale non ebbe il vezzo di metterla sotto tutela ma, alla fine, si fece
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sorprendere dalle caratteristiche
monumentali. I progetti edilizi sono
conservati presso l’archivio di stato
a Vienna, con la data del 1904, e recano timbro e firma di Konstantin,
cavaliere von Chabert, imperialregio
ingegnere del ministero dei trasporti, e direttore dei lavori della ferrovia
della val Venosta. I progetti dell’epoca del fondatore si orientavano verso l’ architettura abitativa di livello,
facente capo al cosiddetto „Heimatstil“, non privo di alcuni elementi
dello Jugendstil, pur essendo concepiti per essere destinati a stazioni.
Seguono la progettazione di norma
della direzione dei lavori ferroviari
delle ferrovie dello stato austriache:
edifici d’ accoglienza in muratura ad
intonaco, tetti spioventi, travature a
timpano e verande anteriori in legno. Vennero realizzate due tipologie di costruzioni a modalità seriale:
ad un piano (Lagundo, Marlengo,
Intermezzo architettonico
Naturno, Castelbello, Coldrano, Oris
e Malles) e a due piani, comprensivi
di abitazioni, come alla Tel, a
Stava/val Senales, a Laces, a Silandro, a Lasa e a Sluderno/Glorenza. La
variante più rappresentiva, con sale
di accoglienza più ampie, e una veranda più dignitosa, venne realizzata a Spondigna, dal momento che,
da qui, partiva il turismo d’ alto livello verso il gruppo dell’ Ortles, entrato a far parte della moda a quei
tempi. Uguale, come nel caso degli
elementi architettonici, anche il colore della verniciatura delle tavole
in legno delle coperture: rosso e verde. La stazione della ferrovia della
val Venosta, simpatici uccelli del
paradiso della cura dei monumenti,
furono il primo esempio „ferroviario“ di tutela dei monumenti da
parte della provincia di Bolzano. Per
questo la ferrovia della val Venosta,
grazie alla perfetta conservazione e
all’ unitarietà della sua storica architettura, può venire considerata
un’ opera d’ arte complessiva concordante, unica in tutta l’ Europa.
Nostalgia in un atto che ha scadenze di mezz’ ora.
Un classico: prima e dopo. Le stazioni, restaurate in modo esemplare, costituiscono un
modello da tutela dei monumenti, e sono in attesa di una nuova destinazione.
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A tutto vapore nei debiti!
A tutto vapore nei debiti!
„L
a val Venosta è nata soltanto nel 1906, grazie alla
strada ferrata! Dobbiamo
render grazie a Dio che sia arrivato il
treno. La ferrovia ha portato il progresso nella valle“. Questo giudizio
della signora Anna Peer, nell’anno
1912, nuora di quel leggendario pioniere del turismo che era Josef Peer,
il quale aveva concesso la disponibilità dell’amministrazione ferroviaria tra Oris e Spondigna per la realizzazione del tracciato. In compenso si ebbe un pacchetto azionario, le
cui cedole non poté mai riscuotere.
Ma di questo più avanti. Erano di
proprietà della ferrovia sei nuove locomotive della ditta Kraus di Linz, a
cui si aggiungevano due vagoni postali e tre carri merci, oltre a due vagoni passeggeri di prima, e cinque
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di terza classe. Per il trasporto merci
erano stati ordinati tredici carri
aperti. La linea era percorsa da quattro treni al giorno che impiegavano
rispettivamente 2 ore e 40 minuti e
2 ore e 20 minuti per coprire il percorso a monte e quello a valle. Un biglietto di corsa semplice di terza
classe costava 3 corone e 10, uno di
andata e ritorno 4 e 60. I viaggiatori
di prima spendevano 6 corone e 90
per una corsa semplice, e 10 e 30 per
l’ andata e ritorno. Gli affari dell’ albergatore Peer, a Spondigna, andavano a gonfie vele, il suo ristorante
della stazione, un grazioso padiglione in Jugendstil, era ben frequentato, e non di rado qualche treno speciale faceva tappa a Spondigna. Il
nuovo insediamento era noto come
„porta d’ ingresso“ nel gruppo del-
A tutto vapore nei debiti!
l’Ortles. Li era cominciata un’ epoca
nuova già da dieci anni; nel 1893
aveva aperto i battenti il lussuoso
Grand Hotel Solda, e tre anni dopo il
Grand Hotel Trafoi. Dotati di tutti i
crismi della civilizzazione, fino alla
camera oscura e all’ impianto elettrico autonomo, erano veri e propri
castelli incantati, nello sfondo incantato delle Alpi, che potrebbe offrire le stesse cose delle località turistiche engadinesi d’alto bordo in
Svizzera.Tanto per dirne una, anche
noi abbiamo e sappiamo tutto ciò
che avete voi Svizzeri! Anima ed infaticabile promotore di questo sviluppo era il dottor Theodor Christomannos, acceso sostenitore, tra l’ altro, della ferrovia della val Venosta.
E quando, nell’ anno stesso dell’inaugurazione, una locomotiva de-
ragliò per lo smottamento del terrapieno sul quale poggiavano i binari,
Opuscolo pubblicitario di Trafoi. Ci si attende un rilancio turistico grazie alla ferrovia.
Spondigna, con i suoi quattro binari, era la stazione più grande, oltre che la porta della
zona dell’ Ortles, appena diventata di moda.
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A tutto vapore nei debiti!
Il visionario
Il dott. Theodor Christomannos proveniva da
una famiglia assai facoltosa d’ origine greca.
Da ragazzo, trattenendosi in villeggiatura a Bolzano con la madre, ebbe a innamorarsi talmente del paesaggio sudtirolese, da non potersene
più allontanare per tutta la vita. Christomannos
era un personaggio di notevole ambiguità, un
miscuglio unico di leone della società, di
imprenditore lungimirante, di brillante organizzatore, controcorrente, apostolo sociale,
sportivo irruente e avventuroso. Era sua l’idea del concetto della catena di grandi alberghi „Associazione degli alberghi alpini in Tirolo“, a cui diede vita investendo del proprio
e dei capitali di finanziatori privati, insieme con il suo socio, l’impresario edile viennese
Otto Schmid. Egli sapeva dove fosse la porticina di servizio giusta per entrare nell’alta
società della capitale, come convincere il ministro per la costruzione della strada delle
Dolomiti, come poter raggranellare i fondi per la costruzione dei rifugi del club alpino, in
particolare nel gruppo dell’ Ortles. I sontuosi complessi dei Grand Hotels di Solda, Trafoi e passo Carezza stabilirono criteri anche in campo architettonico, se l’architettura
voleva inserirsi in modo elegante e misurato nel contesto del paesaggio. In questi alberghi di lusso, immersi nella grandiosità del paesaggio montano, si incontravano aristocratici russi e lords inglesi, si banchettava in „galadinners“ nella sala da pranzo, sotto
un soffitto a volta di legno, come in una cattedrale, ed anche questi alberghi erano una
sorta di cattedrali del savoir vivre più raffinato. Per collegare la stazione di Spondigna
con il Grand Hotel Trafoi in maniera confortevole e moderna, Christomannos immaginò
una „linea tranviaria senza binari“ con alimentazione elettrica aerea e vagoni muniti di
pantografo. Nello stesso anno dell’apertura, Christomannos diede alla luce il libro „La
ferrovia della val Venosta Merano-Malles“, nel quale parla della bellezza del viaggio,
con parole che mai come adesso suonano attuali: „Una serie ininterrotta di quadri paesaggistici d’incantevole bellezza rapisce lo sguardo, offrendo ai viaggiatori da Merano
a Malles ancora ed ancora, in continua cangiante mutevolezza, sempre nuovi maestosi
scenari. Dai lussureggianti giardini di Merano, esposti a sud, fino alla malinconica poesia delle altitudini e delle distese dei ghiacciai dell’ alta val Venosta. Un viaggio in treno breve, ma splendido, che si può annoverare fra i più belli dell’intero continente“. In
una sua visione futuristica, anno domini 1906, se ne sogna di „raccolti di frutta straordinariamente opimi, di impianti idroelettrici grandiosi, di città rifiorenti, di enormi complessi alberghieri, di ville lussuose, di treni veloci ed infumogeni che vi arrivino, in un
paesaggio fiorito“. Ma tutto ciò rimase soltanto una visione: a Christomannos fu risparmiata l’esperienza della catastrofe della prima guerra mondiale. Il 30 gennaio del 1911
mori, cinquantaseienne, di polmonite nella sua villa di Maia Alta a Merano.
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A tutto vapore nei debiti!
i „nemici“ della ferrovia ebbero nuovo respiro, molti ebbero timore di
questi „cavalli d’ acciaio sbuffanti
vapore“, come un parroco di villaggio che, in modo sinistro si augurava
che il treno restasse bloccato ancora
più giù della Tel, e più d’ uno temeva
che la marmaglia potesse invadere
la valle per corromperne i devoti villaggi. I fedeli di Covelano erano
giunti persino a far celebrare una
messa solenne, nella speranza d’ impedire l’arrivo del treno. Nonostante
ogni ostilità di malaugurio, la ferrovia avrebbe provocato un’ atmosfera di operosità nella valle, e questo
succede ancora adesso.
Per la crema della società europea
viaggiava il treno speciale da Merano alla „val Senales“, dove alla noblesse venivan serviti, nel locale della stazione, caffè e dolciumi eccellenti. A Sluderno eran li ad aspettare
mezzi di collegamento per portare
gli ospiti alla cittadina di Glorenza
ed in val Monastero. A Malles i turisti invernali si servivano del collegamento per San Valentino alla Muta,
a patto che non rimanessero vittime
d’ un ritardo ferroviario (proprio cosí i tempi non cambiano mai!).Inoltre, sui treni speciali invernali vigeva uno sconto del 33%. Ed anche il
settore economico traeva vantaggio
dalla nuova ferrovia, come il marmo
di Lasa, che potè venir caricato e trasportato, la frutta da tavola venostana venne esportata, incartata come si deve, nel mondo intero, ed in
breve tempo si costituirono, in mol-
te località, consorzi ortofrutticoli. E
persino le delicate albicocche della
val Venosta, dall’ ineguagliabile aroma, trovarono, attraverso la ferrovia, la propria destinazione sulle tavole degli alberghi di Merano e di
Bolzano. E, dopo i grandi mercati del
bestiame, i cosiddetti treni del mercato trasportarono un gran numero
di capi di bestiame. Nel 1908 un certo Ilarius Rizzi di Laces acquistò 110
capi di animali adulti e 43 vitelli, per
spedirseli in Ungheria con il treno.
Ma una cosa: con i lavori di prosecuzione non si volle, proprio non si volle andare avanti, sia per l’ aggancio
con Landeck che, ancor meno, con il
collegamento con Sankt Moritz, che,
proprio in quel momento, a Merano
premeva moltissimo. La ferrovia della val Venosta era un vicolo cieco,
che, nel 1913, aveva accumulato un
deficit significativo annuale di un
milione di corone, a causa d’ uno
smottamento del terreno dell’ anno
precedente, avvenuto nella galleria
di San Giuseppe, al cui risanamento
s’ era dovuto provvedere. La stampa
riportava qualche volta lamentele e
– come potrebbe del resto essere diverso in val Venosta – notizie curiose. Ci si faceva gioco dello scadente
confort dei vagoni di terza classe,
„che potrebbero essere adatti alla
Galizia“, e in un articoletto marginale della „Meraner Zeitung“, che
un viaggiatore si sarebbe infilato
nel treno attraverso un finestrino.
Anche a quel tempo esisteva un
gran numero di „portoghesi“!
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Rombar di cannoni e non
più „galadinners“
Rombar di cannoni e non più
„galadinners“.
E
d ecco il 28 luglio del 1914.
L’Austria-Ungheria, con la dichiarazione di guerra del vegliardo imperatore, al richiamo dei
„suoi popoli“, l’ eccitazione era
grande, in quei villaggi della
val Venosta, metà delle comunità se ne correvano alle stazioni al clangore delle
bande musicali, dove i giovani consegnavano i propri strumenti nelle mani
degli anziani, per accatastarsi nei treni sovraccarichi. Si cantava e si
trincava; ma il fischiare
e lo sbuffare della locomotiva superarono in
breve l’ orgasmica sicurezza di vittoria („a natale ritorneremo a casa!“), diventando un lugubre segnale di una certa inevitabile
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sconfitta. Quando, nell’ anno successivo, l’ Italia dichiarò guerra all’ impero austroungarico, nelle stazioni
venostane non risuonavano più
marce trionfali, e soltanto uomini
d’una certa età e giovanetti
imberbi salivano silenti sul
treno che li avrebbe portati
a Spondigna, per vomitarseli poi sui fronti gelati del
passo di Resia e del massiccio dell’ Ortles. All’ hotel
Cervo dell’ esercente
Peer s’ erano acquartierati gli ufficiali, mentre
nel leggiadro padiglione
in Jugendstil non sedevano ormai più i turisti festaioli. A meno d’ un tiro
di schioppo da lí era sorto un grumo
di baracche, lazzaretto, farmacia,
deposito e stallaggio. In breve: la fer-
Rombar di cannoni e non
più „galadinners“
rovia della val Venosta divenne ben
presto la linea d’ urgenza per i rifornimenti del fronte dell’ Ortles: cannoni, granate e soldati provenienti
da ogni angolo dell’ impero austroungarico, che scendevano dal
treno a Coldrano e a Spondigna. Fra
loro un Robert Musil, geniale autore
dell’„Uomo senza qualità“. Oltre ad
un Arnolt Bronnen, che negli anni
venti aveva condiviso con Bertolt
Brecht l’ appartenenza al teatro tedesco d’ avanguardia. Qualche personalità di spicco viaggiava in prima classe, per farsi un’ idea del più
alto fronte del conflitto sull’ Ortles, e
persino il famoso Sven Hedin non
volle perdersi l’ opportunità di farsi
un quadro personale delle condizioni di vita quotidiana dei soldati, che
dovevano sopportare i disagi della
quotidianità della guerra in caverne
scavate nel ghiaccio e in baracche
aggrappate alle pendici montane
nel gelo polare. Alla quotidianità
della guerra appartenevano anche i
pochi momenti nei quali le armi tacevano, lassù in prima linea, ci si conosceva talvolta, fra tirolesi e italiani, ancora dai tempi della pace, magari dall’ epoca della costruzione
della ferrovia, e ci si salutava da un
lato all’ altro della terra di nessuno
del fronte. Un paio di volte la madre
del fuciliere Fritz Florineth di Lasa,
s’era recata a Merano in treno, per
comperare le pipe di porcellana con
l’ immagine dei kaiser Francesco
Giuseppe e Guglielmo, cosa che il
suo Fritz le aveva pregato di fare.
Perché i fucilieri della riserva si ritrovavano pur sempre con i soldati
svizzeri sul colle dello Stelvio, sulla
Punta delle Tre Lingue, e, di norma,
Un mostro tra i ghiacci eterni
ed un kaiser dimenticato
A quota 3276 sul livello del mare, sotto il Cevedale, come tre giganteschi insetti crepati, se ne giacciono intorno, in modo surreale, tre cannoni. Catturati sull’ Isonzo nel 1917,
erano stati trasportati in treno fino a Coldrano. Dal momento che gli animali da soma
erano stati macellati per mancanza di viveri, soldati denutriti e prigionieri russi morenti di fame trascinarono questo peso di 12 tonnellate lungo un percorso di 35 chilometri,
centimetro per centimetro, e per un dislivello di 2500 metri, fin lassù, per portarli sopra
una scogliera, per sistemarli in mezzo al corpo devastato dei grandi seracchi del ghiacciaio. E lí sono rimasti fino adesso, tanto da dare il nome alla località: „Ai Tre Cannoni“.
A volte il ghiacciaio rivomita qualche cannone più piccolo, proveniente dalle industrie
della lontana Pilsen, portato fino a questo fronte dal treno, e qui dimenticato. Ma pure
qualcun altro venne dimenticato: già, soprattutto lui, Sua Maestà, il kaiser Francesco
Giuseppe. Il busto che lo ritraeva era stato commissionato a Lasa nel 1916; quando fu
portato a termine non c’ era più traccia della vecchia Austria, nè del vecchio imperatore. E fu cosi che il monarca di marmo perse – proprio in senso letterale – la coincidenza, in quanto era stato messo a dormire in un ovile.
19
Rombar di cannoni e non
più „galadinners“
praticavano commerci e scambi d’ogni genere. Una delle merci più appetite dagli svizzeri erano le pipe di
porcellana con i ritratti dei due imperatori.
Coldrano, all’ inizio della val Martello, era il punto di partenza per il
maggiore rifornimento per il fronte
del Cevedale. Il trasporto che ne proseguiva, di armi e munizioni, proseguiva, con un carico su cavalli, ma
quando la penuria di provviste, nel
proseguir della guerra, si fece sempre più tragica, si cominciò a macellare gli animali da soma, che vennero sostituiti da prigionieri di guerra
russi. Nel corso della prosecuzione
del conflitto, i progetti di allungamento della tratta da Landeck a
Malles ridivennero attuali tanto
che, poco prima della fine della
guerra, venne installato a Landeck
20
un nuovo cantiere, che non portò
tuttavia a nuovi risultati.L’ Austria
venne persino obbligata, dal trattato di pace, a portare a termine tale
progetto dopo il 1919, ma tutto ciò si
estinse in breve tempo. Ma a quali
grandi risultati avrebbe potuto portare questo prolungamento? In senso più pacifico: nel 1916, la ditta
Zuegg, a Laces, si era cimentata con
la preparazione della marmellata
per l’ esercito, marmellata che sarebbe dovuta arrivare nelle gabelle
dei soldati attraverso la ferrovia. In
più: dopo la fine della guerra, a Prato non c’ era più „neanche un mestolo di farina“, come appunto riportavano testimoni dell’ epoca. Era
l’ amministrazione militare italiana
che aveva provveduto a ordinare e
distribuire un vagone di farina da
polenta.
Tempi nuovi
S
ubito dopo la fine della prima
guerra mondiale, l’ esercito
italiano prese in consegna la
linea ferroviaria Merano-Malles, per
cederla poi alle„Ferrovie dello stato“
italiane. Un aspetto curioso della vicenda era che il consiglio d’ amministrazione e la direzione della ferrovia della val Venosta spa continuava, come prima, ad aver sede nell’
elegante primo distretto di Vienna.
Soltanto nel 1923, in seguito a un accordo tra i due Paesi, l’ Italia si assicurò il diritto di trasferire in territorio italiano la sede amministrativa
delle società ferroviarie austriache
precedenti. Prima, però erano da
contattare proprietari privilegiati e
fiduciari, incombenza, questa, che
richiese una serie prolungata di
trattative. Cosi, a titolo d’ esempio,
soltanto nel 1929 la società della ferrovia Bolzano-Merano venne depennata dai registri della camera di
commercio di Vienna, per essere inserita nello stesso anno, sotto il nome di Ferrovia Bolzano-Merano spa
nel registro della camera di commercio di Bolzano. Per quanto riguarda la spa della ferrovia della val
Venosta, ancora adesso la situazione burocratica non è del tutto chiarita, tanto da poter dare spunto a ricerche sulla documentazione storica relativa alla ferrovia stessa, che si
rivela piuttosto scarsa nel periodo
fra le due guerre mondiali.
Poco dopo la fine del conflitto, la ferrovia trovò maggiore respiro: le vecchie vaporiere dell’ Austria di un
tempo vennero sostituite dall’ ente
Ferrovie dello stato con macchine di
potenza doppia, realizzate secondo i
criteri tecnici dell’ americana „Consolidation“ Baldwin di Filadelfia. I
treni per passeggeri erano i proletari „Centoporte“, proprio secondo la
regola: leggeri, di peso contenuto,
capienti ed economici.
E ancora una volta la ferrovia della
val Venosta risubiva una concezione
militare. I neoconquistati „sacri con21
Tempi nuovi
fini della Patria“ dovevano essere
difesi. Già nel 1922, a Silandro fu
dislocato un reparto staccato del
battaglione degli alpini „Edolo“. A
Malles e a Glorenza sorsero caserme per unità della „Guardia di
frontiera“. Quando, nella caserma
di Silandro, vennero acquartierati
soldati dell’ artiglieria di montagna, abbondavano anche i muli, sacrosanti protagonisti dell’ esercito
italiano, di cui facevano parte integrante. S’ immaginino le bestem-
mie che accompagnavano il caricamento di questi leggendariamente
ostinati animali! Quando, nei dintorni di Malles, vennero realizzate
le opere militari in galleria, i treni
merci erano adibiti al trasporto di
migliaia di tonnellate di cemento:
la parola d’ ordine di Mussolini della „nazione murata“ doveva diventare realtà, costasse quel che costasse, e giù tonnellate di carbone
anche sui treni merci della val Venosta.
„La stecca lunga“
La „stecca“ è la serie di giorni chè separano i „naioni“ dall’ „alba“. Elemento caratteristico della ferrovia della val Venosta e dei suoi utenti erano i giovani di leva, provenienti dalle regioni del nord dell’ Italia, che prestavano servizio come alpini a Silandro, Glorenza e Malles, presso il „battaglione Edolo“ e il „battaglione Tirano“. Spesso, specialmente la sera della domenica, l’ ultimo treno da Merano a Malles trasportava quasi
esclusivamente giovani soldati, per riportarli alla fine di qualche licenza ai loro corpi di
appartenenza. I discorsi vertevano su due argomenti: la „morosa“ e la „stecca“, la lista
appunto dei giorni che mancavano all’ „alba“. „Quanto all’ alba“? quanti giorni fino all’
ultimo appello del mattino? A Laces ci si fermava generalmente più a lungo, perchè in
quella stazione s’ incrociavano i treni. E di questo viveva il leggendario „buffet“ della stazione. Il più delle volte si davano ritrovo anche i macchinisti delle locomotive. I viaggiatori incalliti lo sapevano: fintanto che il macchinista si trattiene nel buffet, si può bere in
santa pace. I macchinisti dell’ ultima corsa, di norma, restavano più a lungo, proprio per
permettere ai viaggiatori scesi dal treno di berne un altro come si deve. Un’ occasione
che specialmente i giovani naioni non si lasciavano certo scappare, per mandare giù la
malinconia. E, per sentimentalismo, a Malles e a Glorenza il gatto e la volpe si auguravano la buona notte, non c’ era altro da fare. Girava l’ aneddoto, che i giovani soldati in
libera uscita serale si sedessero nella piazza principale di Glorenza e chiamassero le
mucche che tornavano dal pascolo – in mancanza di meglio – con nomi femminili: ecco
che viene la Rosina, la Lilli, la Giovanna ... che belle.
Quando, nel corso di una riorganizzazione del ministero della difesa, negli anni ottanta le caserme vennero abbandonate, indipendentemente da ciò, anche la ferrovia della
val Venosta, come gli alpini, che non venivano più, registrò una flessione, e la linea,
ormai abbandonata provocò nella valle la fine di un’ era.
22
Compendio storico
G
ià nel 1830 il banchiere veneziano G.G. Levi pensa ad
una linea di collegamento
per Venezia, che proseguisse verso
ovest per passo Resia. Nel 1845, a
Londra si pensa a una linea diretta
Calais-Trieste, sempre attraverso
passo Resia e la val Venosta. Nel
1895 il sogno dell’„Orient Express
Engadina“ comincia ad assumere
forma concreta. Nel 1891 compare il
primo progetto propedeutico Merano-Malles-Monastero mentre un
altro progetto prevede la tratta
Merano-Landeck. Vienna decide
per la „tratta parziale“ Merano
Malles. Nel 1903 si assegna la concessione alla Ferrovia della val Venosta spa.
Il 2 dicembre 1903 ecco il primo colpo di piccone per la galleria della
Tel. La ferrovia a scartamento nor-
male, lunga 60 chilometri, viene
costruita al tempo record di due
anni e mezzo. Merano ottiene una
nuova stazione, e Malles una piattaforma rotante per il cambio delle
vaporiere.
Il 1 luglio 1906 la ferrovia della val
Venosta Merano-Malles viene festosamente inaugurata alla presenza dell’ arciduca Eugenio.
La ferrovia della val Venosta porta
lo sperato sviluppo economico. Bestiame, marmo e frutta possono
1903
1901
Accordo per il
finanziamento
della tratta
Merano-Malles.
1900
1906
1. 7. Festosa inauguraNasce la Ferrovia
della val Venosta spa. zione della ferrovia della
val Venosta.
2.12. Primo colpo di
piccone alla galleria
della Tel.
1912 Costoso risanamento della galleria di San
Giuseppe.
essere trasportati in treno a prezzi
convenienti. Per i mercati del bestiame si allestiscono trasporti con carri
bestiame. Il trasporto passeggeri
viene incrementato grazie allo sviluppo del turismo. Ma la tratta ferroviaria rimane un vicolo cieco.
Con l’ entrata in guerra dell’ Italia,
nel 1915, contro l’ Austria-Ungheria,
la ferrovia diventa una strategicamente importante linea di rifornimento per il fronte dell’ Ortles. Il collegamento ferroviario Landeck-Malles torna d’ attualità. Ma la fine del
conflitto, nel 1918, significa comunque uno stop alla prosecuzione dei
lavori.
A Partire dal novembre 1918 l’ amministrazione militare italiana assume la gestione della ferrovia della
val Venosta, per cederla poi alle Fer-
rovie dello stato. Nel 1930 a Merano
e a Malles le piattaforme rotanti per
il ricambio dei mezzi vengono ingrandite. La ferrovia continua ad
avere importanza strategica. Nell’inverno 1936/37 sulla linea Merano-Malles fa la sua prima comparsa
la littorina, locomotore delle Ferrovie dello stato. Nel 1975 la vecchia littorina va in pensione. I treni merci
trasportano molta frutta, mentre in
direzione di Malles viaggiano tonnellate di cemento per la costruzione di opere militari.
1915
fino a 1918 La ferrovia è la più strategicamente importante linea di rifornimento per il fronte dell’ Ortles.
Nov. 1918 L’ esercito italiano assume
la gestione della ferrovia della val
Venosta.
1925
1930
Costruzione della piattaforma rotante a Malles.
D
al 1961 comincia a correr voce di una soppressione della
linea Merano-Malles; dirigenti delle Ferrovie dello stato parlano di „ramo secco“. Si eseguono
studi economici, comunque i treni
merci vengono del tutto soppressi.
Intanto la ferrovia, negli anni sessanta, aveva trasportato vagoni di
frutta e tonnellate di marmo di La-
sa. Dal 1987 il traffico ferroviario è
soltanto più sporadico, e nel 1991
viene eliminato definitivamente.
Si mobilitano i fautori della ferrovia.
Nel 1993 viene firmato un protocollo
di cessione provvisorio tra la provincia autonoma e le Ferrovie dello stato. Nel 1998/99 si sottoscrivono i
protocolli di consegna tra le Ferrovie
dello stato, il ministero delle finanze
e i rappresentanti della provincia di
Bolzano. A seguito di ciò, la tratta
Merano-Malles viene radicalmente
rinnovata, con binari a saldatura
corrente e una centrale operativa a
Merano, per l’ azionamento degli
scambi, dei passaggi a livello e della
segnaletica.
1961
1991
1936
Prime voci di soppressione.
Prima introduzione
invernale della littorina.
1975 La vecchia Littorina
"va in pensione".
Soppressione
definitiva del traffico ferroviario
Merano-Malles.
1950
Già nelle prime tre settimane la
ferrovia superò ogni record, con
75.000 passeggeri. Popolarità e costante successo della nuova ferrovia della val Venosta perdurano a
tutt’ oggi. Nel’ aprile 2006, l’ assessore provinciale Thomas Widmann
poté congratularsi con la milionesima passeggera.
N
ella nuova ferrovia vennero investiti 116 milioni di
euro. Per il materiale rotabile la scelta cadde sul locomotore
Diesel-elettrico GTW 2/6 della
Stadler Altenrhein spa. Il 5 maggio
2005 la ferrovia rientrò in servizio
tra i festeggiamenti d’ occasione.
1993
Protocollo di cessione provvisorio tra Ferrovie dello stato e
provincia autonoma.
1998/99 Cessione ufficiale alla
provincia di Bolzano.
2005
5. 5. Festeggiamenti per la
riapertura del servizio.
12. 4. 2006 La signora Petra
Stieger è la milionesima passeggera.
2006
Una strada verso il mondo
Una strada verso il mondo
Q
uando, negli anni ottanta,
i treni della val Venosta
erano ormai agli sgoccioli,
l’ orario ferroviario riportava ancora, nel fine settimana, una corsa
(diretta?) di coincidenza tra Spondigna e Venezia, ed un’ altra tra
Spondigna e Vienna e Spondigna e
Monaco, ormai soltanto l’ ombra
del significato d’ un tempo, e comunque ancor sempre dimostrazione della sopravvivenza d’ una
strada verso il mondo. Le stazioni:
luoghi di congedo senza troppe
chiacchiere o paroloni, congedi
dettati dalla necessità o da istanze
remote.
nazione. Una sorta di piccolo ambiente cuscinetto, e l’ odore era ben
diverso, ed al fortore del fumo, dei
giacconi di lana di pecora, di pesanti calzettoni di lana e di stallatico – giaggià! – si mescolava l’odore
di pastasciutta e di condimenti
esotici e, sospesi fra l’ imbarazzo e l’
Congedi: la guerra d’Abissinia, la
seconda guerra mondiale. Ritorno
dalla guerra e dalla prigionia, gli
ultimi nel 1955; sempre, peró, più
congedi che ritorni.
La stazione come terra di nessuno.
Non più qui, ma nemmeno a desti27
Il „signor capostazione“ Hans Parschalk,
nel 1957, alla stazione di Spondigna.
attesa, si stava li in piedi nella sala
d’ attesa di seconda classe, tenendo
il biglietto nella mano umidiccia, o
lo si utilizzava per togliersi il nero
delle unghie. Erano di cartone ben
solido, i biglietti a quei tempi. Forse
si doveva partire per Merano o per
Bolzano, andata e ritorno, da ragazzi
magari soltanto andata verso un
posto lontano per „studiare“, da
prete, naturalmente. Impressionante il gesticolare del capostazione intorno alle manovelle antidiluviane
per chiudere i passaggi a livello,
estranea persino la ghiaia tutta
messa li per benino tra la veranda e i
binari, le aiole fiorite tutte curate, i
binari luccicanti, la cui vibrazione
annunciava l’ arrivo della littorina.
Momenti nella terra di nessuno del
tempo, finchè, accompagnata dal
puzzo del diesel, inesorabile si veniva profilando la nuova realtà. Salire
sulla littorina era sempre un atto di
faticaccia: prima bisognava spingervi su i bagagli, poi arrancare per i
gradini scoscesi (l’ ultima littorina,
ancora contrassegnata dal cartello
„Merano-Malles“, che oggi se ne sta
ad arrugginire nel museo ferroviario di Trieste, è infarcita di „Gesùggiuseppemaria“ – sospiri di corpulente venostane durante le operazioni di salita e di discesa).
Insomma, si stava seduti sul marrone dei sedili della littorina, i ragazzini forse avevano nostalgia di casa,
con un groppo alla gola. Frammezzo
a quell’ odore sconosciuto, aggrappandosi all’ odore pecorescamente
fidato del giaccone di lana mentre,
da Silandro in poi, viaggiatori e pa28
norama cominciavano a diventare
più „fini“. Ed, alla stazione di Merano, si cominciava a capire: il mondo
ha un altro odore, sarebbe stato necessario lasciarsi alle spalle un mucchio di cose, bisognava proseguire
più a lungo. Questo lo pensavano
anche i numerosi giovani venostani
che andavano a Trento alla visita di
leva, che intanto affogavano la propria insicurezza nel vino e nella
grappa. E questo ancora di più, se
venivano destinati al servizio militare nell’ Italia del sud od in Sicilia. Il
viaggio in treno era sempre una via
verso il mondo, da cui si sarebbe tornati cambiati.
E perché no: anche un viaggio di
nozze è una via verso il mondo. In
questo caso, lassù in montagna, ci si
era alzati al più tardi alle quattro
del mattino, si era rimasti in attesa
della sposa o dello sposo, per arran-
Il modello successore della littorina, l’ ALn
668.
care poi fino in paese, alla chiesa. Il
matrimonio avveniva senza tante
cerimonie, celebrato da un parroco
borbottante, costretto agli straordinari ancor prima della messa del
Una strada verso il mondo
mattino. Quindi il pranzo di nozze
all’ osteria, davanti un piatto di pasta in brodo con würstel, insieme
con genitori e testimoni, con una
breve capatina del parroco per le
congratulazioni, ma ancor di più per
la torta offerta dall’ ostessa. Poi via
verso la stazione, Merano andata e
ritorno, due biglietti. Forse, in treno,
il controllore avrebbe avuto una
particolare comprensione per la
coppietta fresca di nozze che se ne
stava li a sedere, con le scarpe chiodate e l’ abito da festa, con le guance
arrossate, e si sarebbe complimentato, facendo un’ eccezione per la
prima classe, con i sedili verdi, tutti
tappezzati di velluto e peccaminosamente morbidi: auguri e figli
maschi.
C’ era da pensare anche questo:
bambini o bambine di nove o dieci
anni spediti lontano, con un piccolo
cartellino di cartone appeso al collo,
con la laconica scritta:„devo andare
a Verona“ da una lontana conoscente, ufficialmente per „imparare el
taiàn“, in realtà per lavori domestici
gratuiti, per risparmiare un posto
alla povera tavola. Molto più allegro
andarsene d’ estate alla volta delle
grandi colonie estive a Jesolo od a
Cesenatico: si trattava per lo più di
figli di ferrovieri, ai quali era concesso di viaggiare, tra la cordiale invidia dei coetanei costretti a rimanersene a casa, per aiutare i genitori
nel lavoro dei campi.
Negli anni trenta le giovani sudtirolesi erano particolarmente richieste
Hans Dietl, partenza da Silandro nel 1943 (?)
come domestiche presso famiglie
italiane facoltose nelle grandi città:
sono sane, sanno lavorare e c’ è da
fidarsi. E cosi se ne uscivano dalla
val Venosta con il batticuore e con la
testa piena di consigli dei genitori,
con l’ animo colmo di giovanile
curiosità ed anche – perché no – con
un pizzico di voglia di agire. Le conoscenze della lingua italiana si riducevano al minimo, come minimo era
il bagaglio che si portavano appresso, grezzo il modo d’ esprimersi,
come il cuoio grossolano delle scarpe che portavano ai piedi, fabbricate dal calzolaio del paese. Al loro
ritorno a casa calzeranno scarpine
eleganti, e le loro maniere saranno
leziosette, come la pelle ben conciata delle loro calzature.
29
Una strada verso il mondo
Un capitolo triste nella storia del
Sudtirolo fu quello delle opzioni del
1939, perché si trattava di scegliere
se conservare la cittadinanza italiana o se optare per quella tedesca ed
andarsene. A cominciare dal 1940,
partirono interi treni carichi di optanti. Nel racconto d’ una testimone
vissuta in quel periodo sappiamo
quanto segue:„Poi siamo partiti,
mezzo treno è occupato, alcuni hanno ben gridato „heil Hitler“, ma io
credo di aver avuto ben altri problemi. Naturalmente qualcuno ha anche pianto ...“. Si potevano portare
con sé effetti personali e perfino
mobilia, comunque gli emigranti
venostani non avevano un granché
da caricare, senza contare che le ferrovie dello stato erano già terribilmente sovraccariche. Non pochi di
questi optanti venostani fecero ritorno nel 1945, non più con il treno,
ma di nascosto ed a piedi, valicando
passo Resia (chiuso).
Una via verso il mondo, e una via
importante: a partire dagli anni sessanta, il sistema scolastico in Alto
Adige venne ampliato: alunni ed
alunne, intere generazioni, ora facevano i pendolari, dapprima in dire-
„L’ aria della città ti può affrancare“
„Cercasi ragazza tedesca“: le ragazze sudtirolesi erano molto richieste presso famiglie italiane benestanti come ragazze tuttofare, cuoche, bambinaie, domestiche per coppie sole
d’una certa età, governanti. Dalla ragazza si pretendeva che fosse sana, brava, buona, onesta, autonoma, fidata, pulita, spedita, discreta e cattolica. Le ragazze sudtirolesi avevano
fama di essere pulite, diligenti, fidate e discrete. A ciò poi veniva aggiunta una migliore
educazione scolastica italiana, a quell’ epoca in Alto Adige il tasso d’ analfabetismo era
pressochè nullo. Le ragioni che spingevano ad accettare un lavoro in una città lontana e
sconosciuta erano svariate, a volte era l’indigenza economica dei genitori a casa, a volte
la scarsa considerazione della gente del villaggio nei confronti delle ragazze madri, a volte anche la voglia delle giovani stesse di evadere dall’angusto panorama che loro poteva
offrire il contesto che le circondava, e di scrollarsi di dosso quella società patriarcale in cui
vivevano. Già soltanto il viaggio in treno era un’esperienza incisiva, durante il quale non di
rado chiedevano al conducente persino dove mai si trovasse il posto che volevano raggiungere, dopo una vana ricerca sulla carta geografica. Non avevano un granchè nel borsellino, al momento della partenza, qualche lira per i francobolli (per scrivere subito a casa),
e forse un paio di calze di ricambio. Anche lasciare il treno alla stazione, al ritorno, non era
facile: la donna era diventata diversa, aveva perso le caratteristiche della montanara, portava i capelli corti e si comportava come una cittadina. Che cosa avrebbero detto i genitori, e che cosa la gente del villaggio?
30
Una strada verso il mondo
zione di Merano, più tardi verso Silandro, e più tardi ancora verso Malles. Questi giovani virgulti portavano colore sul marrone „vomiticchiato“della littorina, passava il suo
tempo a fare i compiti lungo il breve
percorso, davano gli ultimi ritocchi
ai „bigliettini“, giocavano a carte, o
si rincantucciavano in qualche an-
golo tranquillo, con la mano nella
mano. Proprio cosi: nella littorina
nacquero unioni e amicizie per tutta la vita, e, qualche volta, quei vecchi e consunti sedili della buona
vecchia littorina si trasformarono
persino per qualcuno, in seguito, in
posti di potere e di peso economico.
Una leggenda chiamata Littorina
Già lo stesso nome ricorda l’„era“ fascista,
comunque, nel linguaggio d’ ogni giorno dei
venostani significa, per cosi dire, un mezzo
di trasporto non più propriamente moderno,
che arranca lentamente e senza dare troppo
fiducia lungo il percorso. Littorina deriva da
„Littorio“, la scure fascista, che, all’epoca,
diede il nome alla città di Littoria, l’ odierna
Latina. Si pretende che il duce in persona abbia provato a guidare questo mezzo da Roma
a Littoria, in occasione del viaggio inaugurale, nell’anno 1933. Ed alla vecchia signora, negli
anni sessanta e settanta, non si voleva più riconoscere che, all’ esposizione universale di
New York del 1940 fosse stata una stella. La descrizione tecnica suona ALn autolocomotrice leggera a nafta, più semplicemente locomotrice Diesel. Fu costruita fra il 1933 ed il
1956 da Fiat, Breda ed OM, ed ai suoi tempi veniva compresa nel novero dell’ avanguardia
tecnica. Durante la seconda guerra mondiale i motori della littorina vennero smontati, per
essere rimontati in mezzi da trasporto militare. Nel 1946 le vecchie e spesso scassate littorine d’ anteguerra vennero rimesse in condizione di funzionare di nuovo con motori Diesel nuovi; l’anno successivo il deposito di Merano ne ebbe quattro esemplari. La prima
apparizione sulla tratta Merano-Malles risale all’ inverno 1936/37, l’ultima al 1989, in una
versione già più nuova, già in uso fin dal 1975. Questo modello più nuovo di ALn 668, in più
d’ una versione incontrò anche un successo di esportazione: nel triennio 1979-81, ad esempio, le ferrovie dello stato svedesi ne ebbero diversi esemplari. Vecchi macchinisti continuarono a tributare rispetto alla vecchia dama e alle sue qualità tecniche, e sempre ancora la littorina era in grado di coprire la distanza fra Merano e Malles in un’ ora e 31 minuti, comprese le 15 fermate intermedie. E partiva in orario: in val Venosta i ragazzi intenti al
pascolo potevano regolare l’orologio al suo passaggio, se soltanto l’avessero avuto. La littorina, sia nel viaggio di andata che in quello di ritorno, glielo sostituiva.
31
Con il macchinista sul
treno merci
Con il macchinista sul treno merci
D
ue ore prima della partenza, nel deposito di Merano
la vaporiera era già „sotto
pressione“ mentre il fuoco veniva
pian piano vivificato dal fuochista
con il secchio del carbone, Il macchinista stesso, nel frattempo, occupava il proprio tempo a riempire d’ olio
i giunti. Il tender trasportava sei
tonnellate di carbone, e il serbatoio
conteneva 12 metri cubi d’ acqua:
giusto il quantitativo necessario ad
arrivare fino a Laces. Dal momento
della partenza da Merano la parola
d’ ordine era continuare ad alimentare e dare acqua sufficiente a che la
pressione interna si mantenesse sui
12 kg/cm2, necessaria a sviluppare la
potenza che ci voleva per superare
senza problemi la pendenza del 28%
tra Lagundo e Marlengo. A volte capitava, nella galleria fra Marlengo e
32
la Tel, le ruote sdrucciolassero sui binari bagnati, e allora il macchinista
faceva scorrere della sabbia davanti
alle ruote; alle volte i binari eran coperti di foglie di castagno bagnate, e
le ruote giravano a vuoto. La neve
non era un problema: si provvedeva
semplicemente a montare uno
spartineve. A Laces bisognava aggiungere acqua e, mentre il serbatoio si riempiva, c’ era tempo per
una scappata al buffet, accompagnata da un coro di saluti. Le fermate erano anche un’ occasione gradita per scambiare due chiacchiere
con qualche conoscente, sia per i ferrovieri che per i passeggeri, per
scambiarsi qualche leccornia locale,
per consegnare, in primavera, le
piantine di pomodori promesse, di
basilico o di fiori. I ferrovieri trattavano bene il conducente, tra loro c’e-
Con il macchinista sul
treno merci
rano anche sudtirolesi, spesso e volentieri girava qualche tacca di
speck, per evitare qualche chiacchiera spiacevole davanti ai superiori.
Prendendosela comoda, restava ancor sempre il tempo per salutare la
gente delle stazioncine. Per quanto
riguarda il resto, quello del macchinista non era un lavoro da definirsi
sano. Specialmente d’ inverno c’ era
da vedersela brutta: sul petto sempre troppo caldo e sulla schiena
sempre troppo freddo. Anche i trasporti con fermate fra una stazione
e l’ altra venivano contrattati per vie
„informali“: un gregge di pecore da
Lasa ad Oris? Non c’ è problema, bastava rivolgersi nel posto giusto ed
era fatta! Dopo due ore e mezza ecco
Malles. Li si girava la locomotiva. (Il
fuoco doveva restare per due settimane, prima di spegnersi, perché la
macchina potesse essere controllata
come si deve). A Malles bisognava
pernottare, ma il macchinista non
doveva portarsi appresso le lenzuola: a Malles c’ era uno spartano dormitorio, un locale riscaldato a legna
con letti rifatti ogni giorno, se tutto
andava bene. Macchinisti che percorrevano anche altre linee, trovavano quella della val Venosta, ogni volta, come una sorta di „tratta casalinga a conduzione familiare“, dove
tutto era possibile e dove gli orologi
segnavano ore diverse.
Incidenti? Spondigna era la „stazione nera“. Una contadina con una
bambina per mano vuol traversare
il passaggio a livello con le sbarre
Anni 40: Adolf Gitterle sigilla un vagone
di albicocche alla stazione di Castelbello.
Treni merci con materiale deperibile avevano la precedenza.
abbassate, correndo sui binari, vede
arrivarre il treno e, nel panico, le
sfugge la mano della bambina, morta all’ istante. Od ancora: il macchinista vede una bambina piccola in
mezzo ai binari, suona e frena come
un pazzo, la bambina salta via e soltanto allora si accorge che, sui binari, giaceva il fratellino più piccolo.
Nonostante quella frenata disperata, era rimasto ferito gravemente a
una mano e a un piedino. Un passante di buon cuore lo prese fra le
braccia, corse fino alla strada e fermò la prima macchina di passaggio.
La vittima, ormai adulta, si presentò
al macchinista, perché voleva vedere
33
Con il macchinista sul
treno merci
chi gli avesse salvato la vita. Od ancora: mucche che se ne trottano sui
binari, un ubriaco che traversa i binari a sbarre abbassate, operai che
non sentono arrivare il treno a causa del rumore dei martelli pneumatici. Disgrazie che sopravvivono nella coscienza collettiva della popolazione, e che riemergono negli incubi
notturni del macchinista, da gran
tempo in pensione.
decine di migliaia di croci di marmo
bianco immacolato partirono dalla
stazione di Lasa per i soldati americani caduti nella seconda guerra
mondiale. Per anni ai Prati di Spondigna si estendeva un poligono di
esercitazione per carri armati – quei
mastodontici „Patton“ del Savoia
Cavalleria venivano portati in treno
merci fino a Spondigna dalla caserma di Maia Bassa a Merano.
Che cosa si trasportava per lo più?
Mele & Mele. Ancora oggi i prodotti
del raccolto vengono calcolati a vagoni. E poi c’ erano da mandar via
con urgenza le deperibili albicocche
di Lasa e di Castelbello, in vagoni a
molte piombature, i „treni raccomandati“, equiparati ai treni speciali, che avevano la precedenza persino sui treni passeggeri. Già sul fare del mattino questa merce
deteriorabile faceva bella mostra di
sé ai mercati generali di Monaco.
Una „merce raccomandata“, un carico d’ importanza, godeva di tutto
un altro trattamento. Quelle confezioni di burro della latteria di Burgusio, già benedette fin dalla partenza, e non a caso c’ è un convento
nei pressi, venivan caricate sul treno, a Malles, nel pomeriggio, per potersene proseguire da Bolzano, con
il treno della notte, alla volta di Roma, per poter essersene poi ritirate
alla stazione Termini, con tutta discrezione, per potersene effondere il
virgineo profumo dei monti sulle
devote tavole per le colazioni vaticane. Negli anni cinquanta, per mesi,
Nei racconti dei macchinisti ormai
andati in pensione risplendono gli
ineguagliabili giochi di colore del
sorgere e del calare del sole, c’ è l’ entusiasmo di quelle esperienze naturali, degli astori, schierati immobili
sui fili del telegrafo, che si alzavano
in volo soltanto all’ ultimo istante,
di caprioli, di cervi, di volpi che non
si lasciavano certo turbare la pace
dal treno.Tempi passati: se in futuro
in val Venosta ci sarà ancora un trasporto merci sta scritto nelle stelle.
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Con il macchinista sul
treno merci
Little Italy
In diversi luoghi della val
Venosta sorgono, costruite
ancora ai tempi della vecchia Austria, le „case dei
ferrovieri“,con i cordoni in
bugnato rustico agli angoli
e intorno alla nicchia della
„Madonnina“, posta a
metà altezza dell’edificio
con la sua lanternina. Eran
posti di esotica extraterritorialità. Abitate in prevalenza da italiani, le case
hanno dato luogo ad una
piccola Italia in mezzo ad
un contesto contadino
tedesco. All’inizio dell’estate le signore se ne sciamavano fuori, cercando la
via dei pollai dei contadini,
e masticavano in tedesco
maccheronico: „Gàlo galeti?“ Erano uscite vantaggiose, quelle delle signore,
che sapevano che la popolazione contadina praticamente non mangiava carne
di pollo. E ben presto si diffondeva, per tutti i dintorni
delle case il profumo, peccaminosamente gradevole,
del pollo al forno. I ragazzi
del villaggio, che spesso si
intrattenevano in risse selvagge con i figli dei ferrovieri italiani, si trasformavano d’ incanto in amici per
sempre, se per caso veni-
vano invitati all’assaggio:
amici, ciò vuol dire, fino
alla prossima scazzottata.
Ma parliamo del profumo:
nell’orto crescevano piante
esotiche come il basilico,
l’origano, il rosmarino, c’erano pomodori grandi come
il pugno d’un uomo, più che
abbastanza, per qualche
contadina, per chiedere
alla signora „taiàna“ un
paio di piantine, o per
scambiare vino veneto con
speck: giardino ed orto
sono i diplomatici migliori.
Per il resto, nel villaggio, si
convivacchiava in qualche
modo; il giorno del Krampus, per pura sicurezza,
ragazzi italiani non se ne
vedevano in giro in tutto il
paese, Gesù bambino arrivava in ritardo sotto le
vesti della Befana, a scuola
i bambini italiani portavano
il grembiulino, e i canti,
durante la messa domenicale in italiano, suonavano
come quelli di canzonettisti
in visita. Ancora più esotici,
agli occhi dei „nativi“, erano quelli „delle casette della ferrovia“ dislocate lontano, abitate dagli addetti ai
passaggi a livello, per aprire e chiudere le sbarre.
Molti di loro se ne stavano
li a far la calza per mesi,
con grossa lana grezza, su
commissione di contadine
che li ripagavano con prodotti naturali. Una domanda fatta a posteriori: che
genere di vita era mai questo? Buttati li dalle vecchie
province italiane, costretti
a vivere in un doppio isolamento, separati linguisticamente e come posto di
lavoro, in qualche punto
della tratta nella terra di
nessuno, dove spesso
mancavano persino la corrente e l’acqua potabile?
Attraverso il telefono di
servizio si riusciva a mantenere contatti reciproci, si
coltivavano amicizie, qualche volta si faceva da
padrino o da madrina per i
figli dei colleghi. Tuttavia,
in caso di trasferimento, ci
si portava via qualche
cosa, come ricordo vivo
della val Venosta: ginepro
e velo da sposa.
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Agonia
Agonia
L
a strisciante agonia della ferrovia della val Venosta si prolungò per trent’ anni, già nel
lontano 1961 circolavano voci di tacitazione, in primis attraverso la politica a voce sussurrata. Con il pretesto di uno studio economico preparato più tardi, dal 1987 non vennero
più stanziati fondi da mettere a disposizione.La linea, adesso, per la direzione delle ferrovie dello stato, costituiva soltanto un „ramo secco“, e
già in precedenza s’ eran venuti a
sommare fattori negativi: gestione
fallimentare delle ferrovie dello stato, direzione raffazzonata ed inerte,
orari e frequenze tutt’ altro che attraenti, ritardi, e chi più ne ha più ne
metta. L’ ALn 668, il modello che aveva sostituito la vecchia littorina, per
alcuni tratti viaggiava ancora su binari risalenti al lontano 1905, cosa
che determinava fastidiosi problemi
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Un fermacarri segnala l’ inesorabile blocco dell’ areale ferroviario, e i binari si trasformarono in piccoli biotopi.
di velocità, a cui si aggiungeva l’eterno problema della galleria di San
Giuseppe. Per farla breve, la tratta di
60 chilometri veniva coperta in ben
due ore, e anche più. Si conducevano anche sporadiche ricerche in
campo economico, che però si scontravano con la sordità dei dirigenti
Agonia
delle ferrovie dello stato, le quali, da
ferrovie dello stato erano diventate
„frenerie“ dello stato. Un decreto
ministeriale imponeva alle ferrovie
di offrire linee di autobus in sostituzione di quelle dei treni: orari ferroviari relativi alle coincidenze fra treni e autobus non furono realizzati,
ed era quindi inevitabile la sensazione generale che la ferrovia sarebbe stata strangolata. Un giorno prima dell’ inizio delle scuole, nell’ anno scolastico 1990/91, arrivò un
laconico telegramma della direzione delle ferrovie di Verona, che comunicava la cessazione definitiva
del traffico ferroviario.Tra il 1987 e
l’89, la vecchia littorina, almeno d’estate, prestava spesso servizio settimanale con corse speciali per i turisti. In seguito si sviluppò l’ azione
„Locomotivati in val Venosta“, con la
vecchia e sempre buona vaporiera
740/E, che abbiamo già incontrato:
gli attivisti, in questo modo, cercavano indirettamente d’ impedire lo
smontaggio dei binari. Nell autunno del 1992, inequivocabile, alla stazione di Merano fu installato un fermacarri sui binari della tratta: basta
con le partenze sulla linea.
Ed ecco allora il bimbo non amato, di
cui nessuno voleva assumersi la paternità, nella terra di nessuno tra lo
stato e la provincia, in quanto, ai
sensi d’ una norma d’ applicazione
dello statuto di autonomia, le ferrovie locali di cui lo stato si era disfatto dovevano passare alla provincia
nel cui territorio erano dislocate.
La stazione abbandonata di Spondigna.
Non si conosce il futuro della tratta ferroviaria, nè quello della stazione abbandonata.
Una base giuridica a favore del
mantenimento. Come si sarebbero
comportati i politici responsabili?
Le posizioni a favore, all’ inizio, erano poche e – nei casi migliori – derise – se non osteggiate. Ripresa del
traffico? Non è fattibile, troppo costosa! Le stazioni: situate scomodamente fuori dei centri abitati. Una
botte senza fondo, non è da prendersi in considerazione. E, soprattutto: spreco di pubblico denaro!
Perizie con indicazioni erano li ad
attendere: si sarebbe potuto asfaltare il tracciato della ferrovia, per farvi
viaggiare gli autobus, che dalle stazioni avrebbero direttamente raggiunto i centri abitati. Od ancora:
chiudere con asfalto, e ricavarne
una pista ciclabile. Oltre a ciò, gli
areali, a volte spaziosi, delle stazioni
stuzzicavano appetiti speculativi. A
tutto questo s’ aggiungeva inoltre la
complicata questione della proprietà di queste superfici.
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Luce in fondo alla galleria
Luce in fondo alla galleria
N
el 1993 venne adottato un
protocollo d’ intesa provvisorio fra la provicia autonoma e le ferrovie dello stato, che doveva dare inizio all’ accettazione
delle commesse per i lavori per la riapertura del traffico ferroviario.
L’anno precedente la SAD spa aveva
già avuto dalla provincia la concessione, per la durata di 9 anni, naturalmente con l’ incombenza di provvedere alle più adatte misure di risanamento e di modernizzazione
della linea. Qualche fautore della
ferrovia temeva che, in questa maniera, si desse libero sfogo a un doppio gioco, ancor più perché l’ inizio
della concessione dovette essere
rinviato. Associazioni in difesa della
natura e dell’ambiente si mobilitarono, in molti villaggi, sui muri delle
stazioni, dei sottopassaggi e delle
case apparve la scritta „niente treno
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niente voti“. Il comitato d’ iniziativa
„per la ferrovia della val Venosta“si
stabilì all’ interno del consorzio di
circoscrizione, ed un paio di politici
venostani (coraggiosi) si schierarono in favore di una nuova linea: accanto al sindaco dell’ epoca Wolfgang Platter, a Christian Klotz e più
tardi a Walter Weiss, in particolare
l’attuale consigliere provinciale
Richard Theiner. Fu pertanto un’
unica voce che, nella seduta decisiva
della commissione per la viabilità
della provincia, portò alla maggioranza i favorevoli alla rinascita della
linea. Quando poi, nel 1993, decadde
il termine dei 90 anni della concessione della ferrovia della val Venosta – gli immobili erano ancor sempre registrati nel libro fondiario a
nome della „Ferrovia della val Venosta spa“ – e pertanto passarono di
proprietà della Repubblica italiana,
Luce in fondo alla galleria
il ministro dei trasporti italiano ebbe le mani libere per intraprendere i
passi necessari per la cessione della
concessione alla provincia di Bolzano.Tre protocolli di successione vennero firmati il 7 luglio 1998 e il 3
marzo 1999, dai rappresentanti delle ferrovie dello stato, del ministero
delle finanze e dell’ assessorato provinciale al patrimonio. Gli scettici
comunque non ne furono ancora
convinti, tuttavia adesso bisognava
cominciare seriamente con il risanamento, anche perché il presidente della provincia si era apertamente dichiarato per la riapertura della
linea.
I sostenitori della ferrovia si mobilitano,
mentre molti abitanti rimangono scettici,
e la politica si defila.
Il capostazione Luis Perfler alla stazione di Coldrano, in occasione di una manifestazione in favore della conservazione della ferrovia della Val Venosta (1989).
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Lavoro diligente
Lavoro diligente
A
desso la cosa si faceva seria:
progettazione e lavori ebbero
inizio. Dal novembre 2003 il
consigliere provinciale Thomas Widman assunse la nuova carica e, sotto
di lui, la ferrovia venne ultimata e
riattivata. Dal momento che si lavorava con tanta diligenza, si spendano pure due parole. Su tre gallerie
esistenti, due dovevano essere risanate; il vecchio „bambino problematico“, cioè la galleria di San Giuseppe, ebbe una nuova volta in cemento armato – e i costi di risanamento
si rivelarono molto meno contenuti
di quanto preventivato all’ inizio.
Galleria Monte Giuseppe: nuovo rivestimento interno.
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Smontaggio del vecchio ponte di Silandro.
Vennero risanati anche tutti i ponti,
quelli d’acciaio vennero sostituiti
con ponti nuovi, mentre quelli storici, con le volte di pietra, furono rimessi in sesto. In alcuni punti erano
necessarie misure di armatura; degli 85 passaggi a livello, ne vennero
chiusi 54; in compenso si provvide
alla costruzione di 13 sottopassaggi;
le sbarre dei 31 passaggi a livello
vengono messe in azione dalla centrale operativa di Merano. I vecchi
binari, risalenti in alcuni tratti addirittura ai tempi del vecchio impero
(anno Domini 1905!) vennero sosti-
Lavoro diligente
tuiti da binari a saldatura corrente
su traversine ad Y.I binari saldati garantiscono una corsa confortevole:
chi non ricorda i sobbalzi del vecchio
treno? A Merano esiste la centrale
operativa elettronica che regola tutti gli scambi, passaggi a livello e segnali; Il sistema di manovra controlla automaticamente la velocità del
treno, ed è integrato da un sistema
ATP (Automatic Train Stop). In questo modo il treno può essere gestito
da un solo manovratore.Tutte le
stazioni vennero restaurate in collaborazione con l’ ufficio per la salvaguardia dei monumenti, e vennero
dotate di marciapiedi di altezza tale
da consentire di salire e di scendere
agevolmente. La storica rimessa di
Malles venne ingrandita con un prolungamento moderno, per consentire piccoli lavori di manutenzione e –
e come potrebbe essere altrimenti
nell’ assetata val Venosta? – per placare anche la sete del treno, cioé facendo rifornimento. Cosi abbiamo
riavuto la nostra stella: il nuovo
GTW 2/6 nella versione a piani ribassati con motrice Diesel articolata. Non prendiamo nemmeno in
considerazione i superbi 1.020 PS;
quando mai s’ era viaggiato alla ve-
Armamento con traversine in ferro ad „Y“.
locità massima die 140 all’ ora sul
tracciato della val Venosta? Le ampie finestre permettono una visione
panoramica del paesaggio venostano, cosi testardamente bello. Ma
perché mai ci stiamo tanto a dilungare? Saliamo, finalmente, e godiamoci il viaggio su una delle tratte
regionali più moderne e più belle
d’Europa. Come ebbe a dire il presidente della provincia in occasione
del viaggio inaugurale nel maggio
2005,„la ferrovia della val Venosta
costituisce un investimento economico e sociale, ma anche un investimento per esperienze indimenticabili“. Non fa una grinza. Auguri di
cuore per i cent’ anni di vita del treno della val Venosta!
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Gente in treno
Gente in treno
Un epilogo in immagini
M
a perché tante parole? Il
nuovo treno della val Venosta stantuffa. Si muove
(visto dall’ alto) come un bruco multicolore lungo la valle. Risente ancora, alle volte, di qualche crisi di crescenza o di carenza di spazio. Ma,
nonostante ciò, o forse proprio grazie a ciò, protetto come le pupille degli occhi, a cominciare dai tecnici
per finire al personale di pulizia. E
chi avrebbe mai potuto pensare ad
un successo del genere? L’ assessore
Il rovescio della popolarità: alle volte si
sta stretti!
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Centrale operativa di Merano. Da qui si
azionano a distanza gli scambi, le stazioni, i passaggi a livello e persino i treni.
Mani laboriose provvedono regolarmente alla pulizia del treno.
Gente in treno
provinciale alla mobilità ne può andare orgoglioso: si tratta di una concezione nuova, destinata ad entrare
nella storia ferroviaria. Ed anche i
passaggeri ne sono soddisfatti; ba-
sta leggere quanto sopra. Ed ecco i
passeggeri del mattino: un allegra,
multicolore piccola folla di scolari,
vivaci e rumorosi, che non lascia più,
tuttavia, alcuna traccia „pittorica“. E
La tecnologia più moderna in cabina di manovra. Questa locomotrice diesel-elettrica è
in grado di sviluppare un’ accelerazione di 1,05 m/s, e una potenza di 1.020 PS.
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Gente in treno
La ferrovia della val Venosta: investimento per il futuro per i creatori di domani.
Formula di successo:Treno & bici & cultura. Anche con Eventcard.
Non potrebbe esserci di meglio: via verso
l’ avventura con il treno!
Il numero dei viaggiatori cresce. Viaggiare in treno è piacevole.
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Gente in treno
glielo auguriamo di cuore: buona
fortuna al treno ed altrettanta al
(giovane) pubblico. Nelle ore di punta c’ è un pubblico più adulto – gente anche dell’ epoca della littorina –
stupito e soddisfatto di come possa
essere piacevole viaggiare in treno.
Ed ancora i pellegrini, gli sportivi, i
ciclisti, gli studiosi e – od anche – insieme tutti quanti: l’ occasione rende possibile ogni cosa. Ma non dobbiamo dimenticare i nostri vicini engadinesi. Un secolo fa, il colpaccio
d’un collegamento ferroviario in
grande stile non aveva avuto esito:
addio all’ oriente! Oggi è possibile
anche una scappatina a Merano, accordandosi per un collegamento tra
autobus e ferrovia da Zernez a Malles, e viceversa. Ma ancora adesso il
vecchio sogno di un collegamento
ferroviario non è del tutto estinto.
Eccola qui, la realtà: i venostani vogliono la ferrovia.Tutto qui.
Coincidenze immediate a Malles. C’ è un
traffico quotidiano di autobus da Malles
a Zernev (Grigioni) e ritorno. Chissà che
prima o poi non ci possa essere un collegamento diretto con la ferrovia retica.
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Impressum
Editore
Provincia Autonoma
di Bolzano – Alto Adige
Assessorato al Turismo ed alla Mobilità
Autore
Sebastian Marseiler
Traduzione
Giancarlo Mariani
Foto
Foto di copertina: Museo civico Merano,
Othmar Seehauser, Paolo Bramezza,
Marco Bruzzo, Sebastian Marseiler,
Carmen Müller
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Elaborazione grafica
Robert v. Aufschnaiter, kraftwork.
Stampa
Fotolito Longo, Bolzano
©2006 Provincia Autonoma di Bolzano –
Alto Adige