Cent`anni
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Cent`anni
1906-2006 Cent’anni di ferrovia in val Venosta Saluto Cari amici della ferrovia! A dire il vero il centenario della Ferrovia della Val Venosta è un appuntamento di valenza europea. Ricordiamo che l’idea di questo treno nasce nell’ambito di un grande progetto ferroviario destinato a collegare l’Inghilterra e l’India. Anche se quest’ultimo non è mai stato portato a termine, possiamo comunque dire che la riattivazione della linea Merano – Malles si è rivelata un pieno successo nel trasporto pubblico locale. Il fascino della ferrovia si è conservato fino ad oggi, e siamo lieti che il treno sia apprezzato ugualmente dai pendolari e dai turisti. Ora sarà nostra premura per i prossimi anni ottimizzare l’integrazione dei servizi su ferro e gomma affinché sia garantita una valida alternativa all’auto privata. La presente pubblicazione rispecchia la grande passione dell’autore per la Ferrovia della Val Venosta: Sebastian Marseiler vi accompagnerà ad una brillante scoperta di aneddoti e di dettagli interessanti attorno alla Merano – Malles. Auguriamo buona lettura. Dott. Luis Durnwalder Presidente della Provincia 4 Dott.Thomas Widmann Assessore al Turismo ed alla Mobilità Un colpo di fortuna Un colpo di fortuna C i troviamo davanti alla stazione di Merano. Facciata in Jugendstil, vecchio buon tempo imperialregio. Nell’atrio dall’alto soffitto, che una volta fungeva da locale d’ accoglienza e di transito, non più facchini in livrea, non più dame distinte in tenuta di viaggio, come nel 1906. Impera ormai la moda casual. Ma è rimasta la vitalità. Stiamo per salire sul treno moderno per Malles. Con noi, sul treno, gli stessi accompagnatori d’ un secolo: brevi splendori e cronica penuria di quattrini, gli „eterni“ orari del collegamento, l’eterna domanda sul come andrà a finire e i sermoni della domenica dei politici. Ma un’ accompagnatrice ci sfavilla in modo particolare: la gioia che il treno della val Venosta continui a rullare di nuovo, con un successo come non mai fino ad ora. E il successo ha molti padri, dunque onore a chi merita onore: senza il costante intervento dei sostenitori della ferrovia in val Venosta, lungo il tracciato ci sarebbe stato un gran traffico di torpedoni, e gli areali delle stazioni sarebbero caduti in preda della speculazione edilizia. Si attribuisca pertanto il dovuto rispetto ai responsabili della gestione politica: più d’ uno percorse la via di Damasco, da Saulo a Paolo, trasformandosi da deciso oppositore in acceso sostenitore. Per gran tempo ritenuta estinta, la ferrovia della val Venosta oggi è vitale come non mai, e può essere portata come esempio. In casi fortunati, sono proprio i figli del bisogno a svilupparsi nel migliore dei modi. 5 Lungimiranza Lungimiranza La val Venosta si trova sulla via verso l’ Oriente. I n principio c’ era un naso con un gran fiuto commerciale. Il banchiere Giorgio Giacomo Levi era tutt’ altro che soddisfatto della situazione economica della sua Venezia. La città ed i commerci barcollavano: un asse di raccordo verso occidente avrebbe apportato nuovo respiro, da quando i Lloyds austriaci avevano cambiato le rotte ai carichi in partenza dai porti di Trieste e di Venezia per il Levante. Gli interessi commerciali di Levi combaciavano con l'idea di un progetto per una linea verso passo Resia – giaggià: il palcoscenico del mondo. E dietro Levi la potenza dei Rothschild. Levi fece anticamera a Vienna, ma fece fiasco. Oltre a ciò, il progetto ebbe a rivelarsi in seguito come una sorta di parto mentale cartaceo, senza che ci fosse neanche un alito di consapevolezza delle difficoltà tecniche. Cor6 reva l’anno 1830. Quindici anni più tardi, la visione. I signori sedevano al tavolo della conferenza, tutti chini sulle carte. Ed ecco il loro sguardo spaziare più lontano: dall’ Inghilterra, via verso Levante, attraversando il vecchio continente. I signori, lassù a Londra, cercavano la via postale più diretta dalla madrepatria dell’ impero d’ Albione verso la ricca colonia della Corona, cioè l’ India. E la via più diretta passava per Calais, Stoccarda, Bregenz, Arlberg, Resia, Venezia e Trieste, e la Palestina. L’ enorme visione voleva significare: Bregenz – Resia – Costantinopoli – Bagdad – Bombay.Toccava anche passare per la val Venosta, una valle di poveracci, costretti ogni anno a mandare, a piedi, i bambini fino in Svevia, per avere un paio di porzioni di polenta in più nella loro scarsa ciotola. Ma dai voli pindarici d’ Albione non sca- Lungimiranza turí un bel niente. Dal 1895, Adolf Guyer Zeller, lo svizzero pioniere della ferrovia, famoso costruttore della linea della Jungfrau, si batteva per la realizzazione dell’„Orient Express dell’Engadina“, che, valicando il passo del Forno, sarebbe dovuto passare, anche questo, in val Venosta. C’era da fare i conti con i raccordi con le aree del grande commercio con cui la Svizzera orientale non era intenzionata a recidere il cordone ombelicale. Con stupefacente comunità d’intenti, tutti quanti eran d’accordo sul progetto, superando ogni animosità di carattere nazionalistico, che sempre scuoteva il vecchio Tirolo, sia dalla parte tedesca che da quella trentino-italiana, nella speranza finale che la linea procedesse, lungo la Valsugana , fino a Venezia. Oltre a questo, anche le città di Bolzano e di Merano insistevano con tutte le forze: Bolzano, per estendere alla Svizzera orientale le esportazioni di vino e di frutta, e Merano, nella speranza di collegare la propria fama di città termale al paradiso dei ricchi di Sankt Moritz. Al giorno d’oggi, tutto ciò passerebbe sotto la definizione di sfruttamento degli effetti sinergici. Ma Vienna si rifiutava: il concetto è sbagliato e troppo caro. Molto più promettente si rivela l’iniziativa della banca di Bolzano Schwarz e Figli, che faceva assai migliori affari con la linea a scartamento ridotto Mori-Arco-Riva.Tuttavia, una linea a scartamento nor- male a tracciato più difficoltoso non si sarebbe potuta realizzare senza un contributo da parte dello Stato. L’„assessore“ regioimperiale se ne sta parlando a Vienna, il ministro se ne giocherella tra il sì ed il no, la linea di collegamento tra Landeck e Merano all’ inizio non è neanche da discutere, ma, almeno, si può pensare al collegamento tra Merano e Malles. Certo, se la regione e gli interessati avessero diviso le spese nel modo giusto. L’atteggiamento è il solito, tipicamente ancora dell’ Austria d’ altri tempi, gingillarsi su quello che sarà: intanto iniziare e stare a vedere che cosa sarà poi. Già qualche cosa, adesso la ferrovia sarebbe dovuta arrivare fino a Malles, e questo, almeno indirettamente, poteva significare che, in qualche futuro, la ferrovia si sarebbe spinta, attraverso il passo Resia, fino a Landeck. La popolazione della val Venosta la ferrovia la vuole a tutti i costi, e la „gente“ preme con decisione, come quando s’ era trattato dell’ inizio del tratto Merano-Malles già nel 1896. Nel 1891, a Lasa, più di 200 rappresentanti della popolazione della valle si riunirono, per fondare un comitato di azione: la val Venosta ha bisogno d’ una ferrovia! Ci si immagini una cosa del genere: non soltanto che 200 persone si siano riunite in un villaggio di contadini, ma che si prefiggessero persino un traguardo, quando, di norma, se in val Venosta si riuniscono 10 persone, si può parlare di 20 opinioni diverse! Tanto di cappello. 7 Malles e (non) più in là Zweispaltig Malles e (non) più in là E , dopo tutto questo avanti e indietro, finalmente s’arriva alla decisione per la tratta Merano-Malles. L’ ufficio statale per le ferrovie locali a Vienna si assume la progettazione, stabilendo il tracciato definitivo della ferrovia della val Venosta. I primi studi appaiono nel 1896, e viene presentato un preventivo di spesa come base di discussione politica. La consueta taccagneria viennese promette un milione di fiorini, a condizione che vi sia compresa anche la ferrovia fra Bolzano e Merano. Con un’ offerta d’ anticipo, il comune di Bolzano era entrato nel mucchio con un piccolo capitale. Il 16 giugno 1901, finalmente arrivano le ultime firme per garantire il capitale stanziato, e il 7 luglio 1903 la società per azioni della ferrovia della val Venosta ottiene la concessione. 8 La stazione di Merano nel 1906 (sopra). Costruzione del ponte di Covelano, prima dell’ accesso a Silandro. Finalmente si poteva cominciare. La vecchia stazione di Merano si sarebbe dovuta spostare ad ovest, come previsto, e soltanto dopo ci si rese conto che la stessa era più spaziosa e più elegante. Lo scavo della galleria verso la Tel ebbe inizio il 2 dicembre 1903. Il tracciato si rivelò tecnicamente assai colmo di problemi, dal punto di vista tecnico, in quanto la Malles e (non) più in là tratta fra Lagundo e la Tel doveva superare una consistente depressione altimetrica con una curva ad esse attraverso Marlengo. Non per nulla la stazione di Tel venne dotata d’ un serbatoio d’ acqua a torre, per dissetare le locomotive assetate dalla defatigante salita. E, come di consuetudine della vecchia Austria, il solito episodio grottesco: il 4 maggio, per la perforazione della seconda galleria della Tel, ecco presentarsi ben tre minatori: l’ approvazione definitiva per i lavori, da parte di Vienna, sarebbe arrivata soltanto in novembre. I lavoratori addetti arrivarono da tutte le contrade imperialregie, portandosi appresso un’ imperante reciproca incomprensione linguistica, una sorta di babilonia acuita dalle tensioni nazionalistiche. Ed in questa congerie di operai scaraventati li da ogni parte dell’ Impero, ogni tanto ci scappava quasi il morto per futili motivi, volavano i cazzotti e si poteva intravedere, in piccolo, quello che, nella grande politica, avrebbe portato alla catastrofe finale. Si arrivò a una rissa violenta dall’ oste dello „Schupferwirt“, a Silandro, operai italiani e tedeschi dovevano lavorare in comparti separati, perchè non si prendessero a legnate. Ogni volta si doveva chiamare un parroco croato da Merano, per confessare, a Pasqua, i muratori croati. Sulle pendici della montagna di Tarces, gli operai prendevano a calci i reperti archeologici, che cedevano ai privati in cambio d’un fiasco di vino o d’una borsa di Costruzione della tratta Merano-Malles (1904) fu completata nel tempo record di due anni e mezzo. Malles, 1 luglio 1906, ore 13 e 15: arrivo del treno con gli ospiti d’ onore. tabacco, ancor prima che i reperti stessi potessero essere messi al sicuro da persone competenti.Tuttavia, il tracciato completo di 60,4 chilometri potè essere portato a termine nel corso del significativo periodo di due anni e mezzo, sotto la direzione dei lavori del cavaliere von Chabert. La stazione di Malles sorse a valle del centro del paese, in un’ area libera; già c’ era l’ intenzione di proseguire, con la ferrovia della val Venosta, in direzione di passo Resia. 9 Si festeggia e si banchetta! Si festeggia e si banchetta! E d ecco il 1 luglio 1906. Stazione di Merano, 7,40 antimeridiane. Animazione al massimo: con due locomotive tutte addobbate ed undici vagoni per passeggeri ecco partire bande musicali ed associazioni, che devono accogliere il treno inaugurale a Malles. Evidentemente i meranesi non riconoscono eccessive doti di accoFranziska Kaserer di Silandro fa una riverenza di fronte all’ arciduca Eugenio (sopra). Mezza Silandro è accorsa marciando alla parata d’ onore per la nuova stazione. 10 glimento alla gente dell’ alta val Venosta e di Malles. Stazione di Merano, ore 9. Nella stazione, addobbata a festa, compaiono gli ospiti d’ onore, in uniforme di gala gli uni, in abito da cerimonia gli altri. La locomotiva è addobbata a festa. C’ è la crema della società e, primo fra tutti, l’arciduca Eugenio. Al suono della musica dei Kaiserjäger il treno Si festeggia e si banchetta! straordinario, con il vagone di corte dell’ alto personaggio si mette in marcia. Il treno ferma a tutte le stazioni, si formano parate d’ onore, si tengono discorsi cerimoniosi. (E nel 2005 che cosa sarebbe successo?). A Silandro quattro ragazzuole biancovestite, infiocchettate a dovere, recitano una poesiola per l’ arciduca; una di loro, in seguito, racconterà dell’ episodio per tutta la vita. Finalmente a Malles, alle 13 e un quarto: cerimonia inaugurale e buffet freddo. L’ arciduca non ha molto tempo, tuttavia una compagnia di fucilieri di Laudes, in marcia a ranghi completi, riesce ad esprimere il desiderio di avere fucili nuovi. Sua Eccellenza si profonde in promesse d’ogni genere... e prosegue verso Innsbruck, attraverso passo Resia, in automobile, gli ospiti della cerimonia ritornano a Merano, per recarsi al banchetto al Kurhaus. Sulla carta del menu, sotto un disegno raffigurante la nuova stazione di Merano, spicca un motto significativo:„Ban- chetto per la festa inaugurale del primo tronco della ferrovia della val Venosta“. Sull’ argomento pronuncia un discorso sua Eccellenza Derschatta, ministro dei trasporti. E’ chiaro che i lavori proseguiranno. Applausi scroscianti. Lunedi, 2 luglio 1906, stazione di Merano, ore 7,40. La locomotiva sta sotto pressione. Tra un minuto partirà. Si ritorna alla quotidianità. La ferrovia farà il proprio dovere? „Battesimo“ della nuova ferrovia impartito dal presidente della Provincia Luis Durnwalder; a destra l’ assessore provinciale Thomas Widmann (sopra). Parata d’ onore a Silandro (2005): cent’ anni fa si stava più dritti. 11 Intermezzo architettonico Intermezzo architettonico L’ architettura della Stazione A nche il fatto che si possa vivere con i sensi la storia della ferrovia attraverso l’ ammirazione di come si presentino le storiche stazioni lungo l’ intero percorso contribuisce al fascino della nuova „vecchia“ Merano-Malles. Proprio dal destino di queste costruzioni si manifesta una particolarità della val Venosta: la mancanza di mezzi che consentano di adattare, secondo il gusto delle generazioni a venire, le „vecchie“ costruzioni. Questo vale, e mi si scusi per il paragone irrispettoso, per le chiesette romaniche della valle, come per l’architettura delle stazioni venostane. Architettura che, sovente mascherata e ritoccata, negli ultimi tempi languiva, degradata e triste, nel contesto paesaggistico. Che fare? Inizialmente – cosi! – l’ amministrazione provinciale non ebbe il vezzo di metterla sotto tutela ma, alla fine, si fece 12 sorprendere dalle caratteristiche monumentali. I progetti edilizi sono conservati presso l’archivio di stato a Vienna, con la data del 1904, e recano timbro e firma di Konstantin, cavaliere von Chabert, imperialregio ingegnere del ministero dei trasporti, e direttore dei lavori della ferrovia della val Venosta. I progetti dell’epoca del fondatore si orientavano verso l’ architettura abitativa di livello, facente capo al cosiddetto „Heimatstil“, non privo di alcuni elementi dello Jugendstil, pur essendo concepiti per essere destinati a stazioni. Seguono la progettazione di norma della direzione dei lavori ferroviari delle ferrovie dello stato austriache: edifici d’ accoglienza in muratura ad intonaco, tetti spioventi, travature a timpano e verande anteriori in legno. Vennero realizzate due tipologie di costruzioni a modalità seriale: ad un piano (Lagundo, Marlengo, Intermezzo architettonico Naturno, Castelbello, Coldrano, Oris e Malles) e a due piani, comprensivi di abitazioni, come alla Tel, a Stava/val Senales, a Laces, a Silandro, a Lasa e a Sluderno/Glorenza. La variante più rappresentiva, con sale di accoglienza più ampie, e una veranda più dignitosa, venne realizzata a Spondigna, dal momento che, da qui, partiva il turismo d’ alto livello verso il gruppo dell’ Ortles, entrato a far parte della moda a quei tempi. Uguale, come nel caso degli elementi architettonici, anche il colore della verniciatura delle tavole in legno delle coperture: rosso e verde. La stazione della ferrovia della val Venosta, simpatici uccelli del paradiso della cura dei monumenti, furono il primo esempio „ferroviario“ di tutela dei monumenti da parte della provincia di Bolzano. Per questo la ferrovia della val Venosta, grazie alla perfetta conservazione e all’ unitarietà della sua storica architettura, può venire considerata un’ opera d’ arte complessiva concordante, unica in tutta l’ Europa. Nostalgia in un atto che ha scadenze di mezz’ ora. Un classico: prima e dopo. Le stazioni, restaurate in modo esemplare, costituiscono un modello da tutela dei monumenti, e sono in attesa di una nuova destinazione. 13 A tutto vapore nei debiti! A tutto vapore nei debiti! „L a val Venosta è nata soltanto nel 1906, grazie alla strada ferrata! Dobbiamo render grazie a Dio che sia arrivato il treno. La ferrovia ha portato il progresso nella valle“. Questo giudizio della signora Anna Peer, nell’anno 1912, nuora di quel leggendario pioniere del turismo che era Josef Peer, il quale aveva concesso la disponibilità dell’amministrazione ferroviaria tra Oris e Spondigna per la realizzazione del tracciato. In compenso si ebbe un pacchetto azionario, le cui cedole non poté mai riscuotere. Ma di questo più avanti. Erano di proprietà della ferrovia sei nuove locomotive della ditta Kraus di Linz, a cui si aggiungevano due vagoni postali e tre carri merci, oltre a due vagoni passeggeri di prima, e cinque 14 di terza classe. Per il trasporto merci erano stati ordinati tredici carri aperti. La linea era percorsa da quattro treni al giorno che impiegavano rispettivamente 2 ore e 40 minuti e 2 ore e 20 minuti per coprire il percorso a monte e quello a valle. Un biglietto di corsa semplice di terza classe costava 3 corone e 10, uno di andata e ritorno 4 e 60. I viaggiatori di prima spendevano 6 corone e 90 per una corsa semplice, e 10 e 30 per l’ andata e ritorno. Gli affari dell’ albergatore Peer, a Spondigna, andavano a gonfie vele, il suo ristorante della stazione, un grazioso padiglione in Jugendstil, era ben frequentato, e non di rado qualche treno speciale faceva tappa a Spondigna. Il nuovo insediamento era noto come „porta d’ ingresso“ nel gruppo del- A tutto vapore nei debiti! l’Ortles. Li era cominciata un’ epoca nuova già da dieci anni; nel 1893 aveva aperto i battenti il lussuoso Grand Hotel Solda, e tre anni dopo il Grand Hotel Trafoi. Dotati di tutti i crismi della civilizzazione, fino alla camera oscura e all’ impianto elettrico autonomo, erano veri e propri castelli incantati, nello sfondo incantato delle Alpi, che potrebbe offrire le stesse cose delle località turistiche engadinesi d’alto bordo in Svizzera.Tanto per dirne una, anche noi abbiamo e sappiamo tutto ciò che avete voi Svizzeri! Anima ed infaticabile promotore di questo sviluppo era il dottor Theodor Christomannos, acceso sostenitore, tra l’ altro, della ferrovia della val Venosta. E quando, nell’ anno stesso dell’inaugurazione, una locomotiva de- ragliò per lo smottamento del terrapieno sul quale poggiavano i binari, Opuscolo pubblicitario di Trafoi. Ci si attende un rilancio turistico grazie alla ferrovia. Spondigna, con i suoi quattro binari, era la stazione più grande, oltre che la porta della zona dell’ Ortles, appena diventata di moda. 15 A tutto vapore nei debiti! Il visionario Il dott. Theodor Christomannos proveniva da una famiglia assai facoltosa d’ origine greca. Da ragazzo, trattenendosi in villeggiatura a Bolzano con la madre, ebbe a innamorarsi talmente del paesaggio sudtirolese, da non potersene più allontanare per tutta la vita. Christomannos era un personaggio di notevole ambiguità, un miscuglio unico di leone della società, di imprenditore lungimirante, di brillante organizzatore, controcorrente, apostolo sociale, sportivo irruente e avventuroso. Era sua l’idea del concetto della catena di grandi alberghi „Associazione degli alberghi alpini in Tirolo“, a cui diede vita investendo del proprio e dei capitali di finanziatori privati, insieme con il suo socio, l’impresario edile viennese Otto Schmid. Egli sapeva dove fosse la porticina di servizio giusta per entrare nell’alta società della capitale, come convincere il ministro per la costruzione della strada delle Dolomiti, come poter raggranellare i fondi per la costruzione dei rifugi del club alpino, in particolare nel gruppo dell’ Ortles. I sontuosi complessi dei Grand Hotels di Solda, Trafoi e passo Carezza stabilirono criteri anche in campo architettonico, se l’architettura voleva inserirsi in modo elegante e misurato nel contesto del paesaggio. In questi alberghi di lusso, immersi nella grandiosità del paesaggio montano, si incontravano aristocratici russi e lords inglesi, si banchettava in „galadinners“ nella sala da pranzo, sotto un soffitto a volta di legno, come in una cattedrale, ed anche questi alberghi erano una sorta di cattedrali del savoir vivre più raffinato. Per collegare la stazione di Spondigna con il Grand Hotel Trafoi in maniera confortevole e moderna, Christomannos immaginò una „linea tranviaria senza binari“ con alimentazione elettrica aerea e vagoni muniti di pantografo. Nello stesso anno dell’apertura, Christomannos diede alla luce il libro „La ferrovia della val Venosta Merano-Malles“, nel quale parla della bellezza del viaggio, con parole che mai come adesso suonano attuali: „Una serie ininterrotta di quadri paesaggistici d’incantevole bellezza rapisce lo sguardo, offrendo ai viaggiatori da Merano a Malles ancora ed ancora, in continua cangiante mutevolezza, sempre nuovi maestosi scenari. Dai lussureggianti giardini di Merano, esposti a sud, fino alla malinconica poesia delle altitudini e delle distese dei ghiacciai dell’ alta val Venosta. Un viaggio in treno breve, ma splendido, che si può annoverare fra i più belli dell’intero continente“. In una sua visione futuristica, anno domini 1906, se ne sogna di „raccolti di frutta straordinariamente opimi, di impianti idroelettrici grandiosi, di città rifiorenti, di enormi complessi alberghieri, di ville lussuose, di treni veloci ed infumogeni che vi arrivino, in un paesaggio fiorito“. Ma tutto ciò rimase soltanto una visione: a Christomannos fu risparmiata l’esperienza della catastrofe della prima guerra mondiale. Il 30 gennaio del 1911 mori, cinquantaseienne, di polmonite nella sua villa di Maia Alta a Merano. 16 A tutto vapore nei debiti! i „nemici“ della ferrovia ebbero nuovo respiro, molti ebbero timore di questi „cavalli d’ acciaio sbuffanti vapore“, come un parroco di villaggio che, in modo sinistro si augurava che il treno restasse bloccato ancora più giù della Tel, e più d’ uno temeva che la marmaglia potesse invadere la valle per corromperne i devoti villaggi. I fedeli di Covelano erano giunti persino a far celebrare una messa solenne, nella speranza d’ impedire l’arrivo del treno. Nonostante ogni ostilità di malaugurio, la ferrovia avrebbe provocato un’ atmosfera di operosità nella valle, e questo succede ancora adesso. Per la crema della società europea viaggiava il treno speciale da Merano alla „val Senales“, dove alla noblesse venivan serviti, nel locale della stazione, caffè e dolciumi eccellenti. A Sluderno eran li ad aspettare mezzi di collegamento per portare gli ospiti alla cittadina di Glorenza ed in val Monastero. A Malles i turisti invernali si servivano del collegamento per San Valentino alla Muta, a patto che non rimanessero vittime d’ un ritardo ferroviario (proprio cosí i tempi non cambiano mai!).Inoltre, sui treni speciali invernali vigeva uno sconto del 33%. Ed anche il settore economico traeva vantaggio dalla nuova ferrovia, come il marmo di Lasa, che potè venir caricato e trasportato, la frutta da tavola venostana venne esportata, incartata come si deve, nel mondo intero, ed in breve tempo si costituirono, in mol- te località, consorzi ortofrutticoli. E persino le delicate albicocche della val Venosta, dall’ ineguagliabile aroma, trovarono, attraverso la ferrovia, la propria destinazione sulle tavole degli alberghi di Merano e di Bolzano. E, dopo i grandi mercati del bestiame, i cosiddetti treni del mercato trasportarono un gran numero di capi di bestiame. Nel 1908 un certo Ilarius Rizzi di Laces acquistò 110 capi di animali adulti e 43 vitelli, per spedirseli in Ungheria con il treno. Ma una cosa: con i lavori di prosecuzione non si volle, proprio non si volle andare avanti, sia per l’ aggancio con Landeck che, ancor meno, con il collegamento con Sankt Moritz, che, proprio in quel momento, a Merano premeva moltissimo. La ferrovia della val Venosta era un vicolo cieco, che, nel 1913, aveva accumulato un deficit significativo annuale di un milione di corone, a causa d’ uno smottamento del terreno dell’ anno precedente, avvenuto nella galleria di San Giuseppe, al cui risanamento s’ era dovuto provvedere. La stampa riportava qualche volta lamentele e – come potrebbe del resto essere diverso in val Venosta – notizie curiose. Ci si faceva gioco dello scadente confort dei vagoni di terza classe, „che potrebbero essere adatti alla Galizia“, e in un articoletto marginale della „Meraner Zeitung“, che un viaggiatore si sarebbe infilato nel treno attraverso un finestrino. Anche a quel tempo esisteva un gran numero di „portoghesi“! 17 Rombar di cannoni e non più „galadinners“ Rombar di cannoni e non più „galadinners“. E d ecco il 28 luglio del 1914. L’Austria-Ungheria, con la dichiarazione di guerra del vegliardo imperatore, al richiamo dei „suoi popoli“, l’ eccitazione era grande, in quei villaggi della val Venosta, metà delle comunità se ne correvano alle stazioni al clangore delle bande musicali, dove i giovani consegnavano i propri strumenti nelle mani degli anziani, per accatastarsi nei treni sovraccarichi. Si cantava e si trincava; ma il fischiare e lo sbuffare della locomotiva superarono in breve l’ orgasmica sicurezza di vittoria („a natale ritorneremo a casa!“), diventando un lugubre segnale di una certa inevitabile 18 sconfitta. Quando, nell’ anno successivo, l’ Italia dichiarò guerra all’ impero austroungarico, nelle stazioni venostane non risuonavano più marce trionfali, e soltanto uomini d’una certa età e giovanetti imberbi salivano silenti sul treno che li avrebbe portati a Spondigna, per vomitarseli poi sui fronti gelati del passo di Resia e del massiccio dell’ Ortles. All’ hotel Cervo dell’ esercente Peer s’ erano acquartierati gli ufficiali, mentre nel leggiadro padiglione in Jugendstil non sedevano ormai più i turisti festaioli. A meno d’ un tiro di schioppo da lí era sorto un grumo di baracche, lazzaretto, farmacia, deposito e stallaggio. In breve: la fer- Rombar di cannoni e non più „galadinners“ rovia della val Venosta divenne ben presto la linea d’ urgenza per i rifornimenti del fronte dell’ Ortles: cannoni, granate e soldati provenienti da ogni angolo dell’ impero austroungarico, che scendevano dal treno a Coldrano e a Spondigna. Fra loro un Robert Musil, geniale autore dell’„Uomo senza qualità“. Oltre ad un Arnolt Bronnen, che negli anni venti aveva condiviso con Bertolt Brecht l’ appartenenza al teatro tedesco d’ avanguardia. Qualche personalità di spicco viaggiava in prima classe, per farsi un’ idea del più alto fronte del conflitto sull’ Ortles, e persino il famoso Sven Hedin non volle perdersi l’ opportunità di farsi un quadro personale delle condizioni di vita quotidiana dei soldati, che dovevano sopportare i disagi della quotidianità della guerra in caverne scavate nel ghiaccio e in baracche aggrappate alle pendici montane nel gelo polare. Alla quotidianità della guerra appartenevano anche i pochi momenti nei quali le armi tacevano, lassù in prima linea, ci si conosceva talvolta, fra tirolesi e italiani, ancora dai tempi della pace, magari dall’ epoca della costruzione della ferrovia, e ci si salutava da un lato all’ altro della terra di nessuno del fronte. Un paio di volte la madre del fuciliere Fritz Florineth di Lasa, s’era recata a Merano in treno, per comperare le pipe di porcellana con l’ immagine dei kaiser Francesco Giuseppe e Guglielmo, cosa che il suo Fritz le aveva pregato di fare. Perché i fucilieri della riserva si ritrovavano pur sempre con i soldati svizzeri sul colle dello Stelvio, sulla Punta delle Tre Lingue, e, di norma, Un mostro tra i ghiacci eterni ed un kaiser dimenticato A quota 3276 sul livello del mare, sotto il Cevedale, come tre giganteschi insetti crepati, se ne giacciono intorno, in modo surreale, tre cannoni. Catturati sull’ Isonzo nel 1917, erano stati trasportati in treno fino a Coldrano. Dal momento che gli animali da soma erano stati macellati per mancanza di viveri, soldati denutriti e prigionieri russi morenti di fame trascinarono questo peso di 12 tonnellate lungo un percorso di 35 chilometri, centimetro per centimetro, e per un dislivello di 2500 metri, fin lassù, per portarli sopra una scogliera, per sistemarli in mezzo al corpo devastato dei grandi seracchi del ghiacciaio. E lí sono rimasti fino adesso, tanto da dare il nome alla località: „Ai Tre Cannoni“. A volte il ghiacciaio rivomita qualche cannone più piccolo, proveniente dalle industrie della lontana Pilsen, portato fino a questo fronte dal treno, e qui dimenticato. Ma pure qualcun altro venne dimenticato: già, soprattutto lui, Sua Maestà, il kaiser Francesco Giuseppe. Il busto che lo ritraeva era stato commissionato a Lasa nel 1916; quando fu portato a termine non c’ era più traccia della vecchia Austria, nè del vecchio imperatore. E fu cosi che il monarca di marmo perse – proprio in senso letterale – la coincidenza, in quanto era stato messo a dormire in un ovile. 19 Rombar di cannoni e non più „galadinners“ praticavano commerci e scambi d’ogni genere. Una delle merci più appetite dagli svizzeri erano le pipe di porcellana con i ritratti dei due imperatori. Coldrano, all’ inizio della val Martello, era il punto di partenza per il maggiore rifornimento per il fronte del Cevedale. Il trasporto che ne proseguiva, di armi e munizioni, proseguiva, con un carico su cavalli, ma quando la penuria di provviste, nel proseguir della guerra, si fece sempre più tragica, si cominciò a macellare gli animali da soma, che vennero sostituiti da prigionieri di guerra russi. Nel corso della prosecuzione del conflitto, i progetti di allungamento della tratta da Landeck a Malles ridivennero attuali tanto che, poco prima della fine della guerra, venne installato a Landeck 20 un nuovo cantiere, che non portò tuttavia a nuovi risultati.L’ Austria venne persino obbligata, dal trattato di pace, a portare a termine tale progetto dopo il 1919, ma tutto ciò si estinse in breve tempo. Ma a quali grandi risultati avrebbe potuto portare questo prolungamento? In senso più pacifico: nel 1916, la ditta Zuegg, a Laces, si era cimentata con la preparazione della marmellata per l’ esercito, marmellata che sarebbe dovuta arrivare nelle gabelle dei soldati attraverso la ferrovia. In più: dopo la fine della guerra, a Prato non c’ era più „neanche un mestolo di farina“, come appunto riportavano testimoni dell’ epoca. Era l’ amministrazione militare italiana che aveva provveduto a ordinare e distribuire un vagone di farina da polenta. Tempi nuovi S ubito dopo la fine della prima guerra mondiale, l’ esercito italiano prese in consegna la linea ferroviaria Merano-Malles, per cederla poi alle„Ferrovie dello stato“ italiane. Un aspetto curioso della vicenda era che il consiglio d’ amministrazione e la direzione della ferrovia della val Venosta spa continuava, come prima, ad aver sede nell’ elegante primo distretto di Vienna. Soltanto nel 1923, in seguito a un accordo tra i due Paesi, l’ Italia si assicurò il diritto di trasferire in territorio italiano la sede amministrativa delle società ferroviarie austriache precedenti. Prima, però erano da contattare proprietari privilegiati e fiduciari, incombenza, questa, che richiese una serie prolungata di trattative. Cosi, a titolo d’ esempio, soltanto nel 1929 la società della ferrovia Bolzano-Merano venne depennata dai registri della camera di commercio di Vienna, per essere inserita nello stesso anno, sotto il nome di Ferrovia Bolzano-Merano spa nel registro della camera di commercio di Bolzano. Per quanto riguarda la spa della ferrovia della val Venosta, ancora adesso la situazione burocratica non è del tutto chiarita, tanto da poter dare spunto a ricerche sulla documentazione storica relativa alla ferrovia stessa, che si rivela piuttosto scarsa nel periodo fra le due guerre mondiali. Poco dopo la fine del conflitto, la ferrovia trovò maggiore respiro: le vecchie vaporiere dell’ Austria di un tempo vennero sostituite dall’ ente Ferrovie dello stato con macchine di potenza doppia, realizzate secondo i criteri tecnici dell’ americana „Consolidation“ Baldwin di Filadelfia. I treni per passeggeri erano i proletari „Centoporte“, proprio secondo la regola: leggeri, di peso contenuto, capienti ed economici. E ancora una volta la ferrovia della val Venosta risubiva una concezione militare. I neoconquistati „sacri con21 Tempi nuovi fini della Patria“ dovevano essere difesi. Già nel 1922, a Silandro fu dislocato un reparto staccato del battaglione degli alpini „Edolo“. A Malles e a Glorenza sorsero caserme per unità della „Guardia di frontiera“. Quando, nella caserma di Silandro, vennero acquartierati soldati dell’ artiglieria di montagna, abbondavano anche i muli, sacrosanti protagonisti dell’ esercito italiano, di cui facevano parte integrante. S’ immaginino le bestem- mie che accompagnavano il caricamento di questi leggendariamente ostinati animali! Quando, nei dintorni di Malles, vennero realizzate le opere militari in galleria, i treni merci erano adibiti al trasporto di migliaia di tonnellate di cemento: la parola d’ ordine di Mussolini della „nazione murata“ doveva diventare realtà, costasse quel che costasse, e giù tonnellate di carbone anche sui treni merci della val Venosta. „La stecca lunga“ La „stecca“ è la serie di giorni chè separano i „naioni“ dall’ „alba“. Elemento caratteristico della ferrovia della val Venosta e dei suoi utenti erano i giovani di leva, provenienti dalle regioni del nord dell’ Italia, che prestavano servizio come alpini a Silandro, Glorenza e Malles, presso il „battaglione Edolo“ e il „battaglione Tirano“. Spesso, specialmente la sera della domenica, l’ ultimo treno da Merano a Malles trasportava quasi esclusivamente giovani soldati, per riportarli alla fine di qualche licenza ai loro corpi di appartenenza. I discorsi vertevano su due argomenti: la „morosa“ e la „stecca“, la lista appunto dei giorni che mancavano all’ „alba“. „Quanto all’ alba“? quanti giorni fino all’ ultimo appello del mattino? A Laces ci si fermava generalmente più a lungo, perchè in quella stazione s’ incrociavano i treni. E di questo viveva il leggendario „buffet“ della stazione. Il più delle volte si davano ritrovo anche i macchinisti delle locomotive. I viaggiatori incalliti lo sapevano: fintanto che il macchinista si trattiene nel buffet, si può bere in santa pace. I macchinisti dell’ ultima corsa, di norma, restavano più a lungo, proprio per permettere ai viaggiatori scesi dal treno di berne un altro come si deve. Un’ occasione che specialmente i giovani naioni non si lasciavano certo scappare, per mandare giù la malinconia. E, per sentimentalismo, a Malles e a Glorenza il gatto e la volpe si auguravano la buona notte, non c’ era altro da fare. Girava l’ aneddoto, che i giovani soldati in libera uscita serale si sedessero nella piazza principale di Glorenza e chiamassero le mucche che tornavano dal pascolo – in mancanza di meglio – con nomi femminili: ecco che viene la Rosina, la Lilli, la Giovanna ... che belle. Quando, nel corso di una riorganizzazione del ministero della difesa, negli anni ottanta le caserme vennero abbandonate, indipendentemente da ciò, anche la ferrovia della val Venosta, come gli alpini, che non venivano più, registrò una flessione, e la linea, ormai abbandonata provocò nella valle la fine di un’ era. 22 Compendio storico G ià nel 1830 il banchiere veneziano G.G. Levi pensa ad una linea di collegamento per Venezia, che proseguisse verso ovest per passo Resia. Nel 1845, a Londra si pensa a una linea diretta Calais-Trieste, sempre attraverso passo Resia e la val Venosta. Nel 1895 il sogno dell’„Orient Express Engadina“ comincia ad assumere forma concreta. Nel 1891 compare il primo progetto propedeutico Merano-Malles-Monastero mentre un altro progetto prevede la tratta Merano-Landeck. Vienna decide per la „tratta parziale“ Merano Malles. Nel 1903 si assegna la concessione alla Ferrovia della val Venosta spa. Il 2 dicembre 1903 ecco il primo colpo di piccone per la galleria della Tel. La ferrovia a scartamento nor- male, lunga 60 chilometri, viene costruita al tempo record di due anni e mezzo. Merano ottiene una nuova stazione, e Malles una piattaforma rotante per il cambio delle vaporiere. Il 1 luglio 1906 la ferrovia della val Venosta Merano-Malles viene festosamente inaugurata alla presenza dell’ arciduca Eugenio. La ferrovia della val Venosta porta lo sperato sviluppo economico. Bestiame, marmo e frutta possono 1903 1901 Accordo per il finanziamento della tratta Merano-Malles. 1900 1906 1. 7. Festosa inauguraNasce la Ferrovia della val Venosta spa. zione della ferrovia della val Venosta. 2.12. Primo colpo di piccone alla galleria della Tel. 1912 Costoso risanamento della galleria di San Giuseppe. essere trasportati in treno a prezzi convenienti. Per i mercati del bestiame si allestiscono trasporti con carri bestiame. Il trasporto passeggeri viene incrementato grazie allo sviluppo del turismo. Ma la tratta ferroviaria rimane un vicolo cieco. Con l’ entrata in guerra dell’ Italia, nel 1915, contro l’ Austria-Ungheria, la ferrovia diventa una strategicamente importante linea di rifornimento per il fronte dell’ Ortles. Il collegamento ferroviario Landeck-Malles torna d’ attualità. Ma la fine del conflitto, nel 1918, significa comunque uno stop alla prosecuzione dei lavori. A Partire dal novembre 1918 l’ amministrazione militare italiana assume la gestione della ferrovia della val Venosta, per cederla poi alle Fer- rovie dello stato. Nel 1930 a Merano e a Malles le piattaforme rotanti per il ricambio dei mezzi vengono ingrandite. La ferrovia continua ad avere importanza strategica. Nell’inverno 1936/37 sulla linea Merano-Malles fa la sua prima comparsa la littorina, locomotore delle Ferrovie dello stato. Nel 1975 la vecchia littorina va in pensione. I treni merci trasportano molta frutta, mentre in direzione di Malles viaggiano tonnellate di cemento per la costruzione di opere militari. 1915 fino a 1918 La ferrovia è la più strategicamente importante linea di rifornimento per il fronte dell’ Ortles. Nov. 1918 L’ esercito italiano assume la gestione della ferrovia della val Venosta. 1925 1930 Costruzione della piattaforma rotante a Malles. D al 1961 comincia a correr voce di una soppressione della linea Merano-Malles; dirigenti delle Ferrovie dello stato parlano di „ramo secco“. Si eseguono studi economici, comunque i treni merci vengono del tutto soppressi. Intanto la ferrovia, negli anni sessanta, aveva trasportato vagoni di frutta e tonnellate di marmo di La- sa. Dal 1987 il traffico ferroviario è soltanto più sporadico, e nel 1991 viene eliminato definitivamente. Si mobilitano i fautori della ferrovia. Nel 1993 viene firmato un protocollo di cessione provvisorio tra la provincia autonoma e le Ferrovie dello stato. Nel 1998/99 si sottoscrivono i protocolli di consegna tra le Ferrovie dello stato, il ministero delle finanze e i rappresentanti della provincia di Bolzano. A seguito di ciò, la tratta Merano-Malles viene radicalmente rinnovata, con binari a saldatura corrente e una centrale operativa a Merano, per l’ azionamento degli scambi, dei passaggi a livello e della segnaletica. 1961 1991 1936 Prime voci di soppressione. Prima introduzione invernale della littorina. 1975 La vecchia Littorina "va in pensione". Soppressione definitiva del traffico ferroviario Merano-Malles. 1950 Già nelle prime tre settimane la ferrovia superò ogni record, con 75.000 passeggeri. Popolarità e costante successo della nuova ferrovia della val Venosta perdurano a tutt’ oggi. Nel’ aprile 2006, l’ assessore provinciale Thomas Widmann poté congratularsi con la milionesima passeggera. N ella nuova ferrovia vennero investiti 116 milioni di euro. Per il materiale rotabile la scelta cadde sul locomotore Diesel-elettrico GTW 2/6 della Stadler Altenrhein spa. Il 5 maggio 2005 la ferrovia rientrò in servizio tra i festeggiamenti d’ occasione. 1993 Protocollo di cessione provvisorio tra Ferrovie dello stato e provincia autonoma. 1998/99 Cessione ufficiale alla provincia di Bolzano. 2005 5. 5. Festeggiamenti per la riapertura del servizio. 12. 4. 2006 La signora Petra Stieger è la milionesima passeggera. 2006 Una strada verso il mondo Una strada verso il mondo Q uando, negli anni ottanta, i treni della val Venosta erano ormai agli sgoccioli, l’ orario ferroviario riportava ancora, nel fine settimana, una corsa (diretta?) di coincidenza tra Spondigna e Venezia, ed un’ altra tra Spondigna e Vienna e Spondigna e Monaco, ormai soltanto l’ ombra del significato d’ un tempo, e comunque ancor sempre dimostrazione della sopravvivenza d’ una strada verso il mondo. Le stazioni: luoghi di congedo senza troppe chiacchiere o paroloni, congedi dettati dalla necessità o da istanze remote. nazione. Una sorta di piccolo ambiente cuscinetto, e l’ odore era ben diverso, ed al fortore del fumo, dei giacconi di lana di pecora, di pesanti calzettoni di lana e di stallatico – giaggià! – si mescolava l’odore di pastasciutta e di condimenti esotici e, sospesi fra l’ imbarazzo e l’ Congedi: la guerra d’Abissinia, la seconda guerra mondiale. Ritorno dalla guerra e dalla prigionia, gli ultimi nel 1955; sempre, peró, più congedi che ritorni. La stazione come terra di nessuno. Non più qui, ma nemmeno a desti27 Il „signor capostazione“ Hans Parschalk, nel 1957, alla stazione di Spondigna. attesa, si stava li in piedi nella sala d’ attesa di seconda classe, tenendo il biglietto nella mano umidiccia, o lo si utilizzava per togliersi il nero delle unghie. Erano di cartone ben solido, i biglietti a quei tempi. Forse si doveva partire per Merano o per Bolzano, andata e ritorno, da ragazzi magari soltanto andata verso un posto lontano per „studiare“, da prete, naturalmente. Impressionante il gesticolare del capostazione intorno alle manovelle antidiluviane per chiudere i passaggi a livello, estranea persino la ghiaia tutta messa li per benino tra la veranda e i binari, le aiole fiorite tutte curate, i binari luccicanti, la cui vibrazione annunciava l’ arrivo della littorina. Momenti nella terra di nessuno del tempo, finchè, accompagnata dal puzzo del diesel, inesorabile si veniva profilando la nuova realtà. Salire sulla littorina era sempre un atto di faticaccia: prima bisognava spingervi su i bagagli, poi arrancare per i gradini scoscesi (l’ ultima littorina, ancora contrassegnata dal cartello „Merano-Malles“, che oggi se ne sta ad arrugginire nel museo ferroviario di Trieste, è infarcita di „Gesùggiuseppemaria“ – sospiri di corpulente venostane durante le operazioni di salita e di discesa). Insomma, si stava seduti sul marrone dei sedili della littorina, i ragazzini forse avevano nostalgia di casa, con un groppo alla gola. Frammezzo a quell’ odore sconosciuto, aggrappandosi all’ odore pecorescamente fidato del giaccone di lana mentre, da Silandro in poi, viaggiatori e pa28 norama cominciavano a diventare più „fini“. Ed, alla stazione di Merano, si cominciava a capire: il mondo ha un altro odore, sarebbe stato necessario lasciarsi alle spalle un mucchio di cose, bisognava proseguire più a lungo. Questo lo pensavano anche i numerosi giovani venostani che andavano a Trento alla visita di leva, che intanto affogavano la propria insicurezza nel vino e nella grappa. E questo ancora di più, se venivano destinati al servizio militare nell’ Italia del sud od in Sicilia. Il viaggio in treno era sempre una via verso il mondo, da cui si sarebbe tornati cambiati. E perché no: anche un viaggio di nozze è una via verso il mondo. In questo caso, lassù in montagna, ci si era alzati al più tardi alle quattro del mattino, si era rimasti in attesa della sposa o dello sposo, per arran- Il modello successore della littorina, l’ ALn 668. care poi fino in paese, alla chiesa. Il matrimonio avveniva senza tante cerimonie, celebrato da un parroco borbottante, costretto agli straordinari ancor prima della messa del Una strada verso il mondo mattino. Quindi il pranzo di nozze all’ osteria, davanti un piatto di pasta in brodo con würstel, insieme con genitori e testimoni, con una breve capatina del parroco per le congratulazioni, ma ancor di più per la torta offerta dall’ ostessa. Poi via verso la stazione, Merano andata e ritorno, due biglietti. Forse, in treno, il controllore avrebbe avuto una particolare comprensione per la coppietta fresca di nozze che se ne stava li a sedere, con le scarpe chiodate e l’ abito da festa, con le guance arrossate, e si sarebbe complimentato, facendo un’ eccezione per la prima classe, con i sedili verdi, tutti tappezzati di velluto e peccaminosamente morbidi: auguri e figli maschi. C’ era da pensare anche questo: bambini o bambine di nove o dieci anni spediti lontano, con un piccolo cartellino di cartone appeso al collo, con la laconica scritta:„devo andare a Verona“ da una lontana conoscente, ufficialmente per „imparare el taiàn“, in realtà per lavori domestici gratuiti, per risparmiare un posto alla povera tavola. Molto più allegro andarsene d’ estate alla volta delle grandi colonie estive a Jesolo od a Cesenatico: si trattava per lo più di figli di ferrovieri, ai quali era concesso di viaggiare, tra la cordiale invidia dei coetanei costretti a rimanersene a casa, per aiutare i genitori nel lavoro dei campi. Negli anni trenta le giovani sudtirolesi erano particolarmente richieste Hans Dietl, partenza da Silandro nel 1943 (?) come domestiche presso famiglie italiane facoltose nelle grandi città: sono sane, sanno lavorare e c’ è da fidarsi. E cosi se ne uscivano dalla val Venosta con il batticuore e con la testa piena di consigli dei genitori, con l’ animo colmo di giovanile curiosità ed anche – perché no – con un pizzico di voglia di agire. Le conoscenze della lingua italiana si riducevano al minimo, come minimo era il bagaglio che si portavano appresso, grezzo il modo d’ esprimersi, come il cuoio grossolano delle scarpe che portavano ai piedi, fabbricate dal calzolaio del paese. Al loro ritorno a casa calzeranno scarpine eleganti, e le loro maniere saranno leziosette, come la pelle ben conciata delle loro calzature. 29 Una strada verso il mondo Un capitolo triste nella storia del Sudtirolo fu quello delle opzioni del 1939, perché si trattava di scegliere se conservare la cittadinanza italiana o se optare per quella tedesca ed andarsene. A cominciare dal 1940, partirono interi treni carichi di optanti. Nel racconto d’ una testimone vissuta in quel periodo sappiamo quanto segue:„Poi siamo partiti, mezzo treno è occupato, alcuni hanno ben gridato „heil Hitler“, ma io credo di aver avuto ben altri problemi. Naturalmente qualcuno ha anche pianto ...“. Si potevano portare con sé effetti personali e perfino mobilia, comunque gli emigranti venostani non avevano un granché da caricare, senza contare che le ferrovie dello stato erano già terribilmente sovraccariche. Non pochi di questi optanti venostani fecero ritorno nel 1945, non più con il treno, ma di nascosto ed a piedi, valicando passo Resia (chiuso). Una via verso il mondo, e una via importante: a partire dagli anni sessanta, il sistema scolastico in Alto Adige venne ampliato: alunni ed alunne, intere generazioni, ora facevano i pendolari, dapprima in dire- „L’ aria della città ti può affrancare“ „Cercasi ragazza tedesca“: le ragazze sudtirolesi erano molto richieste presso famiglie italiane benestanti come ragazze tuttofare, cuoche, bambinaie, domestiche per coppie sole d’una certa età, governanti. Dalla ragazza si pretendeva che fosse sana, brava, buona, onesta, autonoma, fidata, pulita, spedita, discreta e cattolica. Le ragazze sudtirolesi avevano fama di essere pulite, diligenti, fidate e discrete. A ciò poi veniva aggiunta una migliore educazione scolastica italiana, a quell’ epoca in Alto Adige il tasso d’ analfabetismo era pressochè nullo. Le ragioni che spingevano ad accettare un lavoro in una città lontana e sconosciuta erano svariate, a volte era l’indigenza economica dei genitori a casa, a volte la scarsa considerazione della gente del villaggio nei confronti delle ragazze madri, a volte anche la voglia delle giovani stesse di evadere dall’angusto panorama che loro poteva offrire il contesto che le circondava, e di scrollarsi di dosso quella società patriarcale in cui vivevano. Già soltanto il viaggio in treno era un’esperienza incisiva, durante il quale non di rado chiedevano al conducente persino dove mai si trovasse il posto che volevano raggiungere, dopo una vana ricerca sulla carta geografica. Non avevano un granchè nel borsellino, al momento della partenza, qualche lira per i francobolli (per scrivere subito a casa), e forse un paio di calze di ricambio. Anche lasciare il treno alla stazione, al ritorno, non era facile: la donna era diventata diversa, aveva perso le caratteristiche della montanara, portava i capelli corti e si comportava come una cittadina. Che cosa avrebbero detto i genitori, e che cosa la gente del villaggio? 30 Una strada verso il mondo zione di Merano, più tardi verso Silandro, e più tardi ancora verso Malles. Questi giovani virgulti portavano colore sul marrone „vomiticchiato“della littorina, passava il suo tempo a fare i compiti lungo il breve percorso, davano gli ultimi ritocchi ai „bigliettini“, giocavano a carte, o si rincantucciavano in qualche an- golo tranquillo, con la mano nella mano. Proprio cosi: nella littorina nacquero unioni e amicizie per tutta la vita, e, qualche volta, quei vecchi e consunti sedili della buona vecchia littorina si trasformarono persino per qualcuno, in seguito, in posti di potere e di peso economico. Una leggenda chiamata Littorina Già lo stesso nome ricorda l’„era“ fascista, comunque, nel linguaggio d’ ogni giorno dei venostani significa, per cosi dire, un mezzo di trasporto non più propriamente moderno, che arranca lentamente e senza dare troppo fiducia lungo il percorso. Littorina deriva da „Littorio“, la scure fascista, che, all’epoca, diede il nome alla città di Littoria, l’ odierna Latina. Si pretende che il duce in persona abbia provato a guidare questo mezzo da Roma a Littoria, in occasione del viaggio inaugurale, nell’anno 1933. Ed alla vecchia signora, negli anni sessanta e settanta, non si voleva più riconoscere che, all’ esposizione universale di New York del 1940 fosse stata una stella. La descrizione tecnica suona ALn autolocomotrice leggera a nafta, più semplicemente locomotrice Diesel. Fu costruita fra il 1933 ed il 1956 da Fiat, Breda ed OM, ed ai suoi tempi veniva compresa nel novero dell’ avanguardia tecnica. Durante la seconda guerra mondiale i motori della littorina vennero smontati, per essere rimontati in mezzi da trasporto militare. Nel 1946 le vecchie e spesso scassate littorine d’ anteguerra vennero rimesse in condizione di funzionare di nuovo con motori Diesel nuovi; l’anno successivo il deposito di Merano ne ebbe quattro esemplari. La prima apparizione sulla tratta Merano-Malles risale all’ inverno 1936/37, l’ultima al 1989, in una versione già più nuova, già in uso fin dal 1975. Questo modello più nuovo di ALn 668, in più d’ una versione incontrò anche un successo di esportazione: nel triennio 1979-81, ad esempio, le ferrovie dello stato svedesi ne ebbero diversi esemplari. Vecchi macchinisti continuarono a tributare rispetto alla vecchia dama e alle sue qualità tecniche, e sempre ancora la littorina era in grado di coprire la distanza fra Merano e Malles in un’ ora e 31 minuti, comprese le 15 fermate intermedie. E partiva in orario: in val Venosta i ragazzi intenti al pascolo potevano regolare l’orologio al suo passaggio, se soltanto l’avessero avuto. La littorina, sia nel viaggio di andata che in quello di ritorno, glielo sostituiva. 31 Con il macchinista sul treno merci Con il macchinista sul treno merci D ue ore prima della partenza, nel deposito di Merano la vaporiera era già „sotto pressione“ mentre il fuoco veniva pian piano vivificato dal fuochista con il secchio del carbone, Il macchinista stesso, nel frattempo, occupava il proprio tempo a riempire d’ olio i giunti. Il tender trasportava sei tonnellate di carbone, e il serbatoio conteneva 12 metri cubi d’ acqua: giusto il quantitativo necessario ad arrivare fino a Laces. Dal momento della partenza da Merano la parola d’ ordine era continuare ad alimentare e dare acqua sufficiente a che la pressione interna si mantenesse sui 12 kg/cm2, necessaria a sviluppare la potenza che ci voleva per superare senza problemi la pendenza del 28% tra Lagundo e Marlengo. A volte capitava, nella galleria fra Marlengo e 32 la Tel, le ruote sdrucciolassero sui binari bagnati, e allora il macchinista faceva scorrere della sabbia davanti alle ruote; alle volte i binari eran coperti di foglie di castagno bagnate, e le ruote giravano a vuoto. La neve non era un problema: si provvedeva semplicemente a montare uno spartineve. A Laces bisognava aggiungere acqua e, mentre il serbatoio si riempiva, c’ era tempo per una scappata al buffet, accompagnata da un coro di saluti. Le fermate erano anche un’ occasione gradita per scambiare due chiacchiere con qualche conoscente, sia per i ferrovieri che per i passeggeri, per scambiarsi qualche leccornia locale, per consegnare, in primavera, le piantine di pomodori promesse, di basilico o di fiori. I ferrovieri trattavano bene il conducente, tra loro c’e- Con il macchinista sul treno merci rano anche sudtirolesi, spesso e volentieri girava qualche tacca di speck, per evitare qualche chiacchiera spiacevole davanti ai superiori. Prendendosela comoda, restava ancor sempre il tempo per salutare la gente delle stazioncine. Per quanto riguarda il resto, quello del macchinista non era un lavoro da definirsi sano. Specialmente d’ inverno c’ era da vedersela brutta: sul petto sempre troppo caldo e sulla schiena sempre troppo freddo. Anche i trasporti con fermate fra una stazione e l’ altra venivano contrattati per vie „informali“: un gregge di pecore da Lasa ad Oris? Non c’ è problema, bastava rivolgersi nel posto giusto ed era fatta! Dopo due ore e mezza ecco Malles. Li si girava la locomotiva. (Il fuoco doveva restare per due settimane, prima di spegnersi, perché la macchina potesse essere controllata come si deve). A Malles bisognava pernottare, ma il macchinista non doveva portarsi appresso le lenzuola: a Malles c’ era uno spartano dormitorio, un locale riscaldato a legna con letti rifatti ogni giorno, se tutto andava bene. Macchinisti che percorrevano anche altre linee, trovavano quella della val Venosta, ogni volta, come una sorta di „tratta casalinga a conduzione familiare“, dove tutto era possibile e dove gli orologi segnavano ore diverse. Incidenti? Spondigna era la „stazione nera“. Una contadina con una bambina per mano vuol traversare il passaggio a livello con le sbarre Anni 40: Adolf Gitterle sigilla un vagone di albicocche alla stazione di Castelbello. Treni merci con materiale deperibile avevano la precedenza. abbassate, correndo sui binari, vede arrivarre il treno e, nel panico, le sfugge la mano della bambina, morta all’ istante. Od ancora: il macchinista vede una bambina piccola in mezzo ai binari, suona e frena come un pazzo, la bambina salta via e soltanto allora si accorge che, sui binari, giaceva il fratellino più piccolo. Nonostante quella frenata disperata, era rimasto ferito gravemente a una mano e a un piedino. Un passante di buon cuore lo prese fra le braccia, corse fino alla strada e fermò la prima macchina di passaggio. La vittima, ormai adulta, si presentò al macchinista, perché voleva vedere 33 Con il macchinista sul treno merci chi gli avesse salvato la vita. Od ancora: mucche che se ne trottano sui binari, un ubriaco che traversa i binari a sbarre abbassate, operai che non sentono arrivare il treno a causa del rumore dei martelli pneumatici. Disgrazie che sopravvivono nella coscienza collettiva della popolazione, e che riemergono negli incubi notturni del macchinista, da gran tempo in pensione. decine di migliaia di croci di marmo bianco immacolato partirono dalla stazione di Lasa per i soldati americani caduti nella seconda guerra mondiale. Per anni ai Prati di Spondigna si estendeva un poligono di esercitazione per carri armati – quei mastodontici „Patton“ del Savoia Cavalleria venivano portati in treno merci fino a Spondigna dalla caserma di Maia Bassa a Merano. Che cosa si trasportava per lo più? Mele & Mele. Ancora oggi i prodotti del raccolto vengono calcolati a vagoni. E poi c’ erano da mandar via con urgenza le deperibili albicocche di Lasa e di Castelbello, in vagoni a molte piombature, i „treni raccomandati“, equiparati ai treni speciali, che avevano la precedenza persino sui treni passeggeri. Già sul fare del mattino questa merce deteriorabile faceva bella mostra di sé ai mercati generali di Monaco. Una „merce raccomandata“, un carico d’ importanza, godeva di tutto un altro trattamento. Quelle confezioni di burro della latteria di Burgusio, già benedette fin dalla partenza, e non a caso c’ è un convento nei pressi, venivan caricate sul treno, a Malles, nel pomeriggio, per potersene proseguire da Bolzano, con il treno della notte, alla volta di Roma, per poter essersene poi ritirate alla stazione Termini, con tutta discrezione, per potersene effondere il virgineo profumo dei monti sulle devote tavole per le colazioni vaticane. Negli anni cinquanta, per mesi, Nei racconti dei macchinisti ormai andati in pensione risplendono gli ineguagliabili giochi di colore del sorgere e del calare del sole, c’ è l’ entusiasmo di quelle esperienze naturali, degli astori, schierati immobili sui fili del telegrafo, che si alzavano in volo soltanto all’ ultimo istante, di caprioli, di cervi, di volpi che non si lasciavano certo turbare la pace dal treno.Tempi passati: se in futuro in val Venosta ci sarà ancora un trasporto merci sta scritto nelle stelle. 34 Con il macchinista sul treno merci Little Italy In diversi luoghi della val Venosta sorgono, costruite ancora ai tempi della vecchia Austria, le „case dei ferrovieri“,con i cordoni in bugnato rustico agli angoli e intorno alla nicchia della „Madonnina“, posta a metà altezza dell’edificio con la sua lanternina. Eran posti di esotica extraterritorialità. Abitate in prevalenza da italiani, le case hanno dato luogo ad una piccola Italia in mezzo ad un contesto contadino tedesco. All’inizio dell’estate le signore se ne sciamavano fuori, cercando la via dei pollai dei contadini, e masticavano in tedesco maccheronico: „Gàlo galeti?“ Erano uscite vantaggiose, quelle delle signore, che sapevano che la popolazione contadina praticamente non mangiava carne di pollo. E ben presto si diffondeva, per tutti i dintorni delle case il profumo, peccaminosamente gradevole, del pollo al forno. I ragazzi del villaggio, che spesso si intrattenevano in risse selvagge con i figli dei ferrovieri italiani, si trasformavano d’ incanto in amici per sempre, se per caso veni- vano invitati all’assaggio: amici, ciò vuol dire, fino alla prossima scazzottata. Ma parliamo del profumo: nell’orto crescevano piante esotiche come il basilico, l’origano, il rosmarino, c’erano pomodori grandi come il pugno d’un uomo, più che abbastanza, per qualche contadina, per chiedere alla signora „taiàna“ un paio di piantine, o per scambiare vino veneto con speck: giardino ed orto sono i diplomatici migliori. Per il resto, nel villaggio, si convivacchiava in qualche modo; il giorno del Krampus, per pura sicurezza, ragazzi italiani non se ne vedevano in giro in tutto il paese, Gesù bambino arrivava in ritardo sotto le vesti della Befana, a scuola i bambini italiani portavano il grembiulino, e i canti, durante la messa domenicale in italiano, suonavano come quelli di canzonettisti in visita. Ancora più esotici, agli occhi dei „nativi“, erano quelli „delle casette della ferrovia“ dislocate lontano, abitate dagli addetti ai passaggi a livello, per aprire e chiudere le sbarre. Molti di loro se ne stavano li a far la calza per mesi, con grossa lana grezza, su commissione di contadine che li ripagavano con prodotti naturali. Una domanda fatta a posteriori: che genere di vita era mai questo? Buttati li dalle vecchie province italiane, costretti a vivere in un doppio isolamento, separati linguisticamente e come posto di lavoro, in qualche punto della tratta nella terra di nessuno, dove spesso mancavano persino la corrente e l’acqua potabile? Attraverso il telefono di servizio si riusciva a mantenere contatti reciproci, si coltivavano amicizie, qualche volta si faceva da padrino o da madrina per i figli dei colleghi. Tuttavia, in caso di trasferimento, ci si portava via qualche cosa, come ricordo vivo della val Venosta: ginepro e velo da sposa. 35 Agonia Agonia L a strisciante agonia della ferrovia della val Venosta si prolungò per trent’ anni, già nel lontano 1961 circolavano voci di tacitazione, in primis attraverso la politica a voce sussurrata. Con il pretesto di uno studio economico preparato più tardi, dal 1987 non vennero più stanziati fondi da mettere a disposizione.La linea, adesso, per la direzione delle ferrovie dello stato, costituiva soltanto un „ramo secco“, e già in precedenza s’ eran venuti a sommare fattori negativi: gestione fallimentare delle ferrovie dello stato, direzione raffazzonata ed inerte, orari e frequenze tutt’ altro che attraenti, ritardi, e chi più ne ha più ne metta. L’ ALn 668, il modello che aveva sostituito la vecchia littorina, per alcuni tratti viaggiava ancora su binari risalenti al lontano 1905, cosa che determinava fastidiosi problemi 36 Un fermacarri segnala l’ inesorabile blocco dell’ areale ferroviario, e i binari si trasformarono in piccoli biotopi. di velocità, a cui si aggiungeva l’eterno problema della galleria di San Giuseppe. Per farla breve, la tratta di 60 chilometri veniva coperta in ben due ore, e anche più. Si conducevano anche sporadiche ricerche in campo economico, che però si scontravano con la sordità dei dirigenti Agonia delle ferrovie dello stato, le quali, da ferrovie dello stato erano diventate „frenerie“ dello stato. Un decreto ministeriale imponeva alle ferrovie di offrire linee di autobus in sostituzione di quelle dei treni: orari ferroviari relativi alle coincidenze fra treni e autobus non furono realizzati, ed era quindi inevitabile la sensazione generale che la ferrovia sarebbe stata strangolata. Un giorno prima dell’ inizio delle scuole, nell’ anno scolastico 1990/91, arrivò un laconico telegramma della direzione delle ferrovie di Verona, che comunicava la cessazione definitiva del traffico ferroviario.Tra il 1987 e l’89, la vecchia littorina, almeno d’estate, prestava spesso servizio settimanale con corse speciali per i turisti. In seguito si sviluppò l’ azione „Locomotivati in val Venosta“, con la vecchia e sempre buona vaporiera 740/E, che abbiamo già incontrato: gli attivisti, in questo modo, cercavano indirettamente d’ impedire lo smontaggio dei binari. Nell autunno del 1992, inequivocabile, alla stazione di Merano fu installato un fermacarri sui binari della tratta: basta con le partenze sulla linea. Ed ecco allora il bimbo non amato, di cui nessuno voleva assumersi la paternità, nella terra di nessuno tra lo stato e la provincia, in quanto, ai sensi d’ una norma d’ applicazione dello statuto di autonomia, le ferrovie locali di cui lo stato si era disfatto dovevano passare alla provincia nel cui territorio erano dislocate. La stazione abbandonata di Spondigna. Non si conosce il futuro della tratta ferroviaria, nè quello della stazione abbandonata. Una base giuridica a favore del mantenimento. Come si sarebbero comportati i politici responsabili? Le posizioni a favore, all’ inizio, erano poche e – nei casi migliori – derise – se non osteggiate. Ripresa del traffico? Non è fattibile, troppo costosa! Le stazioni: situate scomodamente fuori dei centri abitati. Una botte senza fondo, non è da prendersi in considerazione. E, soprattutto: spreco di pubblico denaro! Perizie con indicazioni erano li ad attendere: si sarebbe potuto asfaltare il tracciato della ferrovia, per farvi viaggiare gli autobus, che dalle stazioni avrebbero direttamente raggiunto i centri abitati. Od ancora: chiudere con asfalto, e ricavarne una pista ciclabile. Oltre a ciò, gli areali, a volte spaziosi, delle stazioni stuzzicavano appetiti speculativi. A tutto questo s’ aggiungeva inoltre la complicata questione della proprietà di queste superfici. 37 Luce in fondo alla galleria Luce in fondo alla galleria N el 1993 venne adottato un protocollo d’ intesa provvisorio fra la provicia autonoma e le ferrovie dello stato, che doveva dare inizio all’ accettazione delle commesse per i lavori per la riapertura del traffico ferroviario. L’anno precedente la SAD spa aveva già avuto dalla provincia la concessione, per la durata di 9 anni, naturalmente con l’ incombenza di provvedere alle più adatte misure di risanamento e di modernizzazione della linea. Qualche fautore della ferrovia temeva che, in questa maniera, si desse libero sfogo a un doppio gioco, ancor più perché l’ inizio della concessione dovette essere rinviato. Associazioni in difesa della natura e dell’ambiente si mobilitarono, in molti villaggi, sui muri delle stazioni, dei sottopassaggi e delle case apparve la scritta „niente treno 38 niente voti“. Il comitato d’ iniziativa „per la ferrovia della val Venosta“si stabilì all’ interno del consorzio di circoscrizione, ed un paio di politici venostani (coraggiosi) si schierarono in favore di una nuova linea: accanto al sindaco dell’ epoca Wolfgang Platter, a Christian Klotz e più tardi a Walter Weiss, in particolare l’attuale consigliere provinciale Richard Theiner. Fu pertanto un’ unica voce che, nella seduta decisiva della commissione per la viabilità della provincia, portò alla maggioranza i favorevoli alla rinascita della linea. Quando poi, nel 1993, decadde il termine dei 90 anni della concessione della ferrovia della val Venosta – gli immobili erano ancor sempre registrati nel libro fondiario a nome della „Ferrovia della val Venosta spa“ – e pertanto passarono di proprietà della Repubblica italiana, Luce in fondo alla galleria il ministro dei trasporti italiano ebbe le mani libere per intraprendere i passi necessari per la cessione della concessione alla provincia di Bolzano.Tre protocolli di successione vennero firmati il 7 luglio 1998 e il 3 marzo 1999, dai rappresentanti delle ferrovie dello stato, del ministero delle finanze e dell’ assessorato provinciale al patrimonio. Gli scettici comunque non ne furono ancora convinti, tuttavia adesso bisognava cominciare seriamente con il risanamento, anche perché il presidente della provincia si era apertamente dichiarato per la riapertura della linea. I sostenitori della ferrovia si mobilitano, mentre molti abitanti rimangono scettici, e la politica si defila. Il capostazione Luis Perfler alla stazione di Coldrano, in occasione di una manifestazione in favore della conservazione della ferrovia della Val Venosta (1989). 39 Lavoro diligente Lavoro diligente A desso la cosa si faceva seria: progettazione e lavori ebbero inizio. Dal novembre 2003 il consigliere provinciale Thomas Widman assunse la nuova carica e, sotto di lui, la ferrovia venne ultimata e riattivata. Dal momento che si lavorava con tanta diligenza, si spendano pure due parole. Su tre gallerie esistenti, due dovevano essere risanate; il vecchio „bambino problematico“, cioè la galleria di San Giuseppe, ebbe una nuova volta in cemento armato – e i costi di risanamento si rivelarono molto meno contenuti di quanto preventivato all’ inizio. Galleria Monte Giuseppe: nuovo rivestimento interno. 40 Smontaggio del vecchio ponte di Silandro. Vennero risanati anche tutti i ponti, quelli d’acciaio vennero sostituiti con ponti nuovi, mentre quelli storici, con le volte di pietra, furono rimessi in sesto. In alcuni punti erano necessarie misure di armatura; degli 85 passaggi a livello, ne vennero chiusi 54; in compenso si provvide alla costruzione di 13 sottopassaggi; le sbarre dei 31 passaggi a livello vengono messe in azione dalla centrale operativa di Merano. I vecchi binari, risalenti in alcuni tratti addirittura ai tempi del vecchio impero (anno Domini 1905!) vennero sosti- Lavoro diligente tuiti da binari a saldatura corrente su traversine ad Y.I binari saldati garantiscono una corsa confortevole: chi non ricorda i sobbalzi del vecchio treno? A Merano esiste la centrale operativa elettronica che regola tutti gli scambi, passaggi a livello e segnali; Il sistema di manovra controlla automaticamente la velocità del treno, ed è integrato da un sistema ATP (Automatic Train Stop). In questo modo il treno può essere gestito da un solo manovratore.Tutte le stazioni vennero restaurate in collaborazione con l’ ufficio per la salvaguardia dei monumenti, e vennero dotate di marciapiedi di altezza tale da consentire di salire e di scendere agevolmente. La storica rimessa di Malles venne ingrandita con un prolungamento moderno, per consentire piccoli lavori di manutenzione e – e come potrebbe essere altrimenti nell’ assetata val Venosta? – per placare anche la sete del treno, cioé facendo rifornimento. Cosi abbiamo riavuto la nostra stella: il nuovo GTW 2/6 nella versione a piani ribassati con motrice Diesel articolata. Non prendiamo nemmeno in considerazione i superbi 1.020 PS; quando mai s’ era viaggiato alla ve- Armamento con traversine in ferro ad „Y“. locità massima die 140 all’ ora sul tracciato della val Venosta? Le ampie finestre permettono una visione panoramica del paesaggio venostano, cosi testardamente bello. Ma perché mai ci stiamo tanto a dilungare? Saliamo, finalmente, e godiamoci il viaggio su una delle tratte regionali più moderne e più belle d’Europa. Come ebbe a dire il presidente della provincia in occasione del viaggio inaugurale nel maggio 2005,„la ferrovia della val Venosta costituisce un investimento economico e sociale, ma anche un investimento per esperienze indimenticabili“. Non fa una grinza. Auguri di cuore per i cent’ anni di vita del treno della val Venosta! 41 Gente in treno Gente in treno Un epilogo in immagini M a perché tante parole? Il nuovo treno della val Venosta stantuffa. Si muove (visto dall’ alto) come un bruco multicolore lungo la valle. Risente ancora, alle volte, di qualche crisi di crescenza o di carenza di spazio. Ma, nonostante ciò, o forse proprio grazie a ciò, protetto come le pupille degli occhi, a cominciare dai tecnici per finire al personale di pulizia. E chi avrebbe mai potuto pensare ad un successo del genere? L’ assessore Il rovescio della popolarità: alle volte si sta stretti! 42 Centrale operativa di Merano. Da qui si azionano a distanza gli scambi, le stazioni, i passaggi a livello e persino i treni. Mani laboriose provvedono regolarmente alla pulizia del treno. Gente in treno provinciale alla mobilità ne può andare orgoglioso: si tratta di una concezione nuova, destinata ad entrare nella storia ferroviaria. Ed anche i passaggeri ne sono soddisfatti; ba- sta leggere quanto sopra. Ed ecco i passeggeri del mattino: un allegra, multicolore piccola folla di scolari, vivaci e rumorosi, che non lascia più, tuttavia, alcuna traccia „pittorica“. E La tecnologia più moderna in cabina di manovra. Questa locomotrice diesel-elettrica è in grado di sviluppare un’ accelerazione di 1,05 m/s, e una potenza di 1.020 PS. 43 Gente in treno La ferrovia della val Venosta: investimento per il futuro per i creatori di domani. Formula di successo:Treno & bici & cultura. Anche con Eventcard. Non potrebbe esserci di meglio: via verso l’ avventura con il treno! Il numero dei viaggiatori cresce. Viaggiare in treno è piacevole. 44 Gente in treno glielo auguriamo di cuore: buona fortuna al treno ed altrettanta al (giovane) pubblico. Nelle ore di punta c’ è un pubblico più adulto – gente anche dell’ epoca della littorina – stupito e soddisfatto di come possa essere piacevole viaggiare in treno. Ed ancora i pellegrini, gli sportivi, i ciclisti, gli studiosi e – od anche – insieme tutti quanti: l’ occasione rende possibile ogni cosa. Ma non dobbiamo dimenticare i nostri vicini engadinesi. Un secolo fa, il colpaccio d’un collegamento ferroviario in grande stile non aveva avuto esito: addio all’ oriente! Oggi è possibile anche una scappatina a Merano, accordandosi per un collegamento tra autobus e ferrovia da Zernez a Malles, e viceversa. Ma ancora adesso il vecchio sogno di un collegamento ferroviario non è del tutto estinto. Eccola qui, la realtà: i venostani vogliono la ferrovia.Tutto qui. Coincidenze immediate a Malles. C’ è un traffico quotidiano di autobus da Malles a Zernev (Grigioni) e ritorno. Chissà che prima o poi non ci possa essere un collegamento diretto con la ferrovia retica. 45 Impressum Editore Provincia Autonoma di Bolzano – Alto Adige Assessorato al Turismo ed alla Mobilità Autore Sebastian Marseiler Traduzione Giancarlo Mariani Foto Foto di copertina: Museo civico Merano, Othmar Seehauser, Paolo Bramezza, Marco Bruzzo, Sebastian Marseiler, Carmen Müller 46 Elaborazione grafica Robert v. Aufschnaiter, kraftwork. Stampa Fotolito Longo, Bolzano ©2006 Provincia Autonoma di Bolzano – Alto Adige