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IL GIORNALE ITALIANO DI RADIOLOGIA MEDICA Società Italiana di Radiologia Medica Direttore Responsabile Andrea Giovagnoni Radiologia Generale e Pediatrica Università Politecnica delle Marche, Ancona e-mail: [email protected] Vice Direttori Carlo Catalano, Roma Francesco Sardanelli, Milano Assistente Editoriale Antonio Pinto, Napoli Ufficio Relazioni Internazionali Giuseppe Guglielmi, Foggia Comitato Editoriale Comitato Scientifico Editoriale Tommaso Pirronti, Roma Vittorio Miele, Roma Palmino Sacco, Siena Patrizia Garribba, Bari Gianpaolo Carrafiello, Varese Roberto Grassi, Napoli Rita Golfieri, Bologna Cardioradiologia F. De Cobelli, Milano Mezzi di Contrasto V. David, Roma Radiologia Senologica P. Panizza, Milano Diagnostica per immagini in Oncologia A. D’Errico Gallipoli, Napoli Neuroradiologia M. Muto, Napoli Radiologia Toracica R. Polverosi, Venezia Radiologia Addominale Radiologia Uro-Genitale M. Scialpi, Perugia Ecografia L. Derchi, Genova Etica e Radiologia Forense A. Cazzulani, Milano Fisica Medica, Radiobiologia e Sicurezza F. Schillirò, Napoli Gestione delle Risorse ed Economia Sanitaria in Radiologia A. Orlacchio, Roma Segreteria SIRM Via della Signora, 2 20122 Milano, Italy Tel.: +39-02-76006094176006124 Fax:+39-02-76006108 e-mail:[email protected] R. Di Mizio, Penne Radiologia Informatica E. Neri, Pisa Radiologia Muscolo-Scheletrica E. A. Genovese, Cagliari Radiologia Odontostomatologica e Capo-collo G.C. Ettorre, Catania Radiologia Pediatrica C. Fonda, Firenze Radiologia Vascolare e Interventistica F. Florio, Foggia Radiologia d’urgenza M. Scaglione, Londra, UK Risonanza Magnetica R. Manfredi, Verona Tomografia Computerizzata F. Musante, Alessandria IL GIORNALE ITALIANO DI RADIOLOGIA MEDICA OBIETTIVI Il Giornale Italiano di Radiologia Medica è la seconda, nuova rivista ufficiale della Società Italiana di Radiologia Medica (SIRM) completamente in italiano inviata in forma cartacea ai Soci SIRM. La rivista nasce con l’intento di rappresentare un nuovo e pratico strumento di comunicazione dei risultati e degli sviluppi della ricerca clinica e di base nel campo della Radiologia e di aggiornamento professionale volto allo sviluppo culturale e professionale dei radiologi italiani. La rivista accoglie contributi di imaging diagnostico, tecniche interventistiche, Radioterapia, Medicina Nucleare, Radiobiologia e Fisica Sanitaria. Un Comitato Editoriale costituito secondo le regole dello Statuto SIRM, provvederà alla selezione dei contributi pubblicati sotto forma di articoli originali, articoli di revisione, editoriali, casistica clinica e casi quiz, di articoli brevi di tecnica e metodologia, lettere al Direttore e articoli tradotti dalla versione in lingua inglese de “la Radiologia Medica” organo ufficiale della SIRM. Le caratteristiche della nuova rivista, renderanno la pubblicazione indispensabile per i radiologi e specialisti dell’area radiologica completando l’offerta editoriale della SIRM; Il Giornale Italiano di Radiologia Medica si pone come un giornale di facile consultazione dove verranno privilegiati gli aspetti educazionali e le problematiche cliniche pratiche e di più grande impatto professionale. COPYRIGHT Norme per gli Autori Il Giornale Italiano di Radiologia Medica pubblica articoli (Review Article, Pictorial Essay, Case Report) scritti in lingua italiana. I lavori devono essere originali. Gli articoli devono essere inviati all’attenzione dell’Editor-in-Chief, Professor Andrea Giovagnoni (e-mail: [email protected]) esclusivamente in formato elettronico redatti in formato word, tramite e-mail. Si raccomanda che il testo non superi le 16 cartelle dattiloscritte con spaziatura doppia per ciascun Review Article, non superi le 12 cartelle dattiloscritte con spaziatura doppia per ciascun Pictorial Essay e non superi le 7 cartelle dattiloscritte con spaziatura doppia per ciascun Case Report. Il numero degli autori non deve essere eccessivo. Gli articoli strutturati come Review Article oppure come Pictorial Essay hanno un piano di esposizione libero, ma devono includere (sempre in lingua italiana) Abstract, Parole Chiave e Introduzione. Gli articoli strutturati come Case Report prevedono il seguente piano di esposizione: Abstract, Parole Chiave, Introduzione, Descrizione del caso e Discussione. Ogni articolo deve essere provvisto di un foglio di frontespizio sul quale devono essere riportati: il titolo dell’articolo, i nomi (per esteso) degli autori, le denominazioni dei reparti di appartenenza degli autori, il nome, l’indirizzo, il numero telefonico, fax e indirizzo e-mail dell’autore corrispondente, nonché ogni altra indicazione che si desidera venga stampata in nota alla prima pagina. Nel testo, nelle tabelle e nelle figure si devono usare solo le unità e i simboli internazionali. Le illustrazioni (compresi grafici e tabelle) devono essere inviate come allegati separati. Le illustrazioni devono essere inviate in formato TIFF o JPEG (non power-point) con risoluzione di 300x300 dpi e dimensioni non superiori a 12 x 12 cm. Ogni illustrazione (compresi grafici e tabelle) deve essere corredata dalla relativa didascalia riportata nel documento del testo dell’articolo dopo la bibliografia. La bibliografia, che deve comprendere i soli autori citati nel testo, va riportata nel testo in ordine di citazione, e numerata. Per ogni voce bibliografica si devono indicare i cognomi e le iniziali dei nomi degli autori, l’anno di pubblicazione, il titolo originale dell’articolo, il riferimento abbreviato della Rivista con i numeri del volume, della prima e dell’ultima pagina in cifre arabe. Esempio: 13) Pattamapaspong N, Srisuwan T, Sivasomboon C et al (2013) Accuracy of radiography, computed tomography and magnetic resonance imaging in diagnosing foreign bodies in the foot. Radiol med 118: 303-310. Nel caso di capitoli di libri o di trattati si devono indicare: a) i nomi degli autori e il titolo del capitolo, b) il nome degli autori e il titolo del libro, c) l’Editore, il luogo, l’anno di pubblicazione ed i numeri della prima e dell’ultima pagina. Esempio: Reuter SR: Vascular anatomy. In: Redman HC, Cho KJ (eds) Gastrointestinal angiography, WB Saunders, Philadelphia, 1986, pag. 32-79. Non verranno presi in considerazione gli articoli presentati in modo non uniforme alle presenti norme. Direttore Responsabile Andrea Giovagnoni, Ancona, Italia Produzione Editoriale Sara Ripesi Errebi Grafiche Ripesi srl Via del Lavoro, 23 60015 Falconara Marittima (An) Tel:. +39 - 071 918400 Fax: +39 - 071 918511 e-mail: [email protected] Responsabile per le pubblicità Segreteria SIRM (Cristina Nardi) Via della Signora 2, 20122 Milano, Italia Tel:. +39-02-76006094 / 76006124 Fax: +39-02-76006108 e-mail: [email protected] Editore SIRM - Via della Signora, 2 20122 Milano, Italy Grafica e Stampa Errebi Grafiche Ripesi srl Via del Lavoro, 23 60015 Falconara Marittima (An) Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Milano al N. 3 dell’8/1/2014 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale 70% CN AN Pubblicazione bimestrale Marzo-Aprile 2014 Anno 1 - Numero 2 ISSN 2283-8376 Segretario Amministrativo L. BRUNESE Scienze per la Salute, Università degli Studi del Molise 86100 Campobasso (CB) e-mail: [email protected] Direttore de “La Radiologia Medica” A. GIOVAGNONI Istituto di Radiologia, Università Politecnica Marche Ospedali Riuniti “Torrette-Lancisi-Salesi”; 60100 Ancona (AN) Tel.: 071/5964076, e-mail: [email protected] Società Italiana di Radiologia Medica - SIRM CONSIGLIO DIRETTIVO Presidente C. FALETTI Dipartimento di Diagnostica per Immagini, Ospedale C.T.O. 10126 Torino (TO), Tel.: 011/6933732 e-mail: [email protected] Presidente eletto C. MASCIOCCHI Diagnostica per Immagini, Ospedale S. Salvatore di Coppito 67100 L’Aquila (AQ) TeI.: 0862/414258, e-mail: [email protected] Consiglieri e Vice-Presidenti N. GANDOLFO Dipartimento Diagnostica per Immagini ASL 3 Genovese-Regione Liguria, SC Radiologia Villa Scassi Via Onofrio Scassi 1, 16125 Genova, Tel.: 010/8492651 e-mail: [email protected] R. GRASSI Dipartimento di Internistica Clinica e Sperimentale Magrassi-Lanzara - DAS di Radiologia, Radioterapia, Medicina Nucleare e Urgenza Il Università di Medicina e Chirurgia Azienda Ospedaliera Universitaria 80138 Napoli (NA), Tel.: 081/5665203 e-mail: [email protected] Consiglieri L. BAROZZI Radiologia, Policlinico S.Orsola-Malpighi, Bologna (BO) e-mail: [email protected] M. A. CALVISI Radiologia, Azienda Usi N° 3, Ospedale S. Francesco 08100 Nuoro (NU), Tel.: 0784/240356 e-mail: [email protected] G. CARRAFIELLO Cattedra di Radiologia, Università dell’Insubria Varese 21100 Varese (VA), Tel.: 0332/278770, e-mail: [email protected] A. P. GARRIBBA Radiologia, Dipartimento di Medicina Diagnostica, ASL BA/4 P.O.”Di Venere”, 70100 Bari (BA), Tel.: 050/5015245 e-mail: [email protected] A. GIOVAGNONI Istituto di Radiologia, Università Politecnica Marche Ospedali Riuniti “Torrette-Lancisi-Salesi”; 60100 Ancona (AN) Tel.: 071/5964076, e-mail: [email protected] l. MENCHI Radiologia Diagnostica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi Firenze (FI), Tel.: 055/794111 e-mail: [email protected] M. MIDIRI Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Legale Università degli Studi di Palermo, 90143 Palermo (PA) Tel.: 091/6552309, e-mail: [email protected] B. PERIN Presidio Ospedaliero di Este, 35042 Este (PD) Tel: 042/9618128, e-mail: [email protected] T. PIRRONTI Dipartimento di Bioimmagini eScienze Radiologiche, Istituto di Radiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore 00168 Roma (RM), TeI.: 06/3015 4394-6054-4557-3274 e-mail: [email protected] C. ZUIANI Radiologia, Università di Udine, 331 00 Udine (UD) e-mail: [email protected] Presidente SNR F. VIMERCATI Dipartimento dei Servizi, P.O. Macedonio Melloni A.O. Fatebenefratelli ed Oftalmico, 20100 Milano (MI) TeI.: 02/63633204, e-mail: [email protected] Direttore de “II Radiologo” C. BIBBOLINO Dip. Diagnostica, Servizi e Ricerca Clinica Ist. Naz. per le Malattie Infettive ”L. Spallanzani” 00100 Roma (RM), TeI.: 06/55170285 e-mail: [email protected] Direttore del sito web P. SACCO Radiologia Universitaria, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, 53100 Siena (SI) Tel.: 0577/585702, e-mail: [email protected] Delegato per le Attività Informatiche G. BENEA Radiologia Clinica Diagnostica ed Interventistica Azienda USL di Ferrara,44023 Lagosanto (FE) TeI.: 053/3723311, e-mail: [email protected] Coordinatore Collegio dei Dirigenti Radiologi Ospedalieri C. PRIVITERA U.O.C.di Radiologia, Ospedale Vittorio Emanuele Az. Ospedaliero Universitaria ”Policlinico Vittorio Emanuele” 95100 Catania (CT), TeI. 095/7435299 e-mail: [email protected] Coordinatore ECM V. MIELE U.O. Diagnostica per Immagini nel DEA e per le Urgenze Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini, 00100 Roma TeI.: 06/58703051, e-mail: [email protected] Presidente Congresso Nazionale C. BARTOLOZZI Radiologia Diagnostica e Interventistica Università di Pisa, Azienda Ospedaliero - Universitaria Pisana Ospedale Cisanello, 56100 Pisa (PI), Tel.: 050/995551 e-mail: [email protected] Segretario alla Presidenza A. BORRÉ Radiologia Diagnostica, Ospedale M. Adelaide Azienda Ospedaliera CTO, 10126 Torino (TO) Tel.: 011/6937311 e-mail: [email protected] SEZIONI DI STUDIO E PRESIDENTI Cardioradiologia F. DE COBELLI Radiologia, IRCCS Ospedale San Raffaele, 20132 Milano (MI) TeI.: 02126436107, e-mail: [email protected] Diagnostica per Immagini in Oncologia A. D’ERRICO GALLIPOLI U.O. Diagnostica per Immagini, Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori Fondazione Senatore Pascale, 80131 Napoli (NA) TeI.: 081/5903576, e-mail: [email protected] Ecografia L. DERCHI DISSAL - Radiologia, Università di Genova, 16122 Genova (GE) TeI.: 010/3537233, e-mail: [email protected] Etica e Radiologia Forense A. CAZZULANI Servizi Diagnostici eTerapeutici, Azienda Ospedaliera G. Salvini 20024 Garbagnate M.se (MI), Tel.: 02/994302435 e-mail: [email protected] Gestione Risorse ed Economia Sanitaria in Radiologia A. ORLACCHIO Dip.di Diagnostica per Immagini, Imaging Molecolare Radiologia Interventistica e Radioterapia Policlinico Universitario Tor Vergata, 00133 Roma (RM) Tel.: 06/20902400, e-mail: [email protected] Mezzi di Contrasto V. DAVID Diagnostica per Immagini e Radioterapia, Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, 00189 Roma (RM), Tel.: 06/33775285, e-mail: [email protected] Neuroradiologia M. MUTO Diagnostica per Immagini, AORN Cardarelli, 80122 Napoli (NA) Tel.: 081/7473838, e-mail: [email protected] Radiologia Addominale Gastroenterologica R. DI MIZIO Servizio di Radiologia, ASL Pescara Presidio Ospedaliero San Massimo-Penne, 65017 Penne (PE) Tel.: 085/8276306, e-mail: [email protected] Radiologia d’Urgenza ed Emergenza M. SCAGLIONE Dipartimento di Diagnostica per Immagini Presidio Ospedaliero Pineta Grande, 81030 Castel Volturno (CE) TeI.: 082/3854196, e-mail: [email protected] Radiologia Informatica E. NERI UO Radiodiagnostica l Universitaria, Dipartimento di Ricerca Translazionale e Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia Divisione di Radiologia Diagnostica e Interventistica Università di Pisa, 56100 Pisa (PI), Tel.: 050/997313 e-mail: [email protected] Radiologia Muscolo-Scheletrica E. A. GENOVESE Radiologia, Università dell’lnsubria Ospedale di Circolo - Fondazione Macchi, 21100 Varese (VA) Tel.: 0332/393465, e-mail: [email protected] Radiologia Odontostomatologica e Capo-collo G. ETTORRE U.O.Radiodiagnostica e Radioterapia, Az. Osp. Univ. Policlinico Vittorio Emanuele, 95123 Catania (CT) Tel.: 095/3782360, e-mail: [email protected] Radiologia Pediatrica C. FONDA Diagnostica per Immagini A.O.U. Meyer Ospedale Pediatrico, 50139 Firenze (FI) Tel.: 055/5662986, e-mail: [email protected] Radiologia Toracica R. POLVEROSI O.U. Radiologia, Azienda ASL 10 - Veneto Orientale 30027 San Donà di Piave (VE) Tel.: 042/1227605 e-mail: [email protected] Radiologia Uro-Genitale M. SCIALPI Sezione di Radiologia Diagnostica ed Interventistica del Dipartimento di Scienze Chirurgiche Radiologiche e Odontoiatriche, Università di Perugia Ospedale S. Maria della Misericordia, 06153 Perugia (PG) Tel.: 075/5783507, e-mail: [email protected] Radiologia Vascolare e Interventistica F. FLORIO Diagnostica per Immagini, IRCCS-Casa Sollievo della Sofferenza, 71013 San Giovanni Rotondo (FG) TeI.: 0882/410570, e-mail: [email protected] Radioprotezione e Radiobiologia F. SCHILLlRÒ Dipartimento Magrassi-Lanzara, Seconda Università degli Studi di Napoli, 80128 Napoli (NA) Tel.: 081/5665204 e-mail: [email protected] Risonanza Magnetica R. MANFREDI Radiologia, Università di Verona, Policlinico G.B. Rossi 37134 Verona (VR), Tel.: 045/8124301 e-mail: [email protected] Senologia P. PANIZZA Radiologia Diagnostica l, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, 20133 Milano (MI) Tel.: 02/26432529, e-mail: [email protected] Tomografia Computerizzata F. MUSANTE Dipartimento dei Servizi Ospedalieri, Azienda Ospedaliera SS. Antonio e Biagio e C. Arrigo, 15100 Alessandria (AL) Tel.: 0131/206350, e-mail: [email protected] 1 2 1 2 1 2 1 2 3 4 3 4 3 4 3 4 Radiologia - Neuroradiologia 2014 “72 casi da discutere e 7 conferenze” SIRM AINR SIRM Puglia Auditorium Ospedale “SS. Annunziata” Taranto 11-12-13 giugno 2014 36 Crediti ECM Per informazioni Tel. 099.4585664-463 Fax 099.4585455 [email protected] [email protected], www.agirin.it Radiologia - Neuroradiologia 2014 “72 casi da discutere e 7 conferenze” Mercoledì 11 giugno 08:00 Registrazione 08:30-09:00 Presentazione del Corso M. Resta (TA), C.Andreula, (BA) 09:00-13:00 I Sessione: Encefalo, Testa-Collo 09:00-10:00 La Conferenza M. Resta (TA), M. Donatelli (TA) 10:00-13:00 Casi Clinico-Radiologici A. Beltramello (VR), F. Caranci (NA), G. Ettorre (CT) 13:00-15:00 Colazione di lavoro 15:00-19:00 I Sessione: Colonna e Midollo Spinale 15:00-16:00 La Conferenza C. Andreula (BA) 16:00-17:00 Casi Clinico-Radiologici S.Cirillo (NA), G.Sirabella (NA) 17:00-19:00 II Sessione: Neuro Pediatria 17:00-18:00 La Conferenza A. Rossi (GE) 18:00-19:00 Casi Clinico-Radiologici A. D’Amico (NA), A. Rossi (GE) Quest’anno non ho colpe per le “elucubrazioni numeriche”, quest’anno il responsabile è Mino Andreula e proverò, nelle brevi righe che seguono a spiegarne il motivo. Nella realtà cambia poco rispetto all’esperimento dell’anno scorso. L’idea di un corso con la sola presentazione di casi complessi, o comunque insoliti od originali, giunti a soluzione clinica o istologica, pare sia stata gradita. Ci siamo, credo, reciprocamente anche divertiti. Molti di voi ci hanno però chiesto di prevedere almeno una lezione introduttiva per sessione. Non potevamo che accogliere questo suggerimento, ma abbiamo pensato di “rivisitarlo” a modo nostro. Abbiamo chiesto a 7 relatori di esperienza nota e consolidata di preparare una vera e propria “conferenza”, come si usava un tempo senza diapositive o al massimo qualche diapositiva da usare come “scaletta”. Una lezione magistrale per inquadrare le problematiche maggiori e contestualizzare l’argomento della sessione alla realtà attuale. E poi i casi, varrà sempre la regola dei 20 minuti…allo scadere di questo tempo, rigidamente segnato da un counter, il moderatore della sessione avrà il potere di abbassare il microfono e cambiare musica. Libera scelta a chi presenta di mostrare anche casi flash di 5 o 10 minuti, pertanto i casi presentati potranno essere anche più di 72, ma sicuramente non meno di questo numero. Sono previste due sessioni al giorno, una al mattino ed una pomeridiana, tranne la mattina del secondo giorno quando abbiamo voluto tenere uno spazio per la neuro-pediatria. La scelta dei relatori, soprattutto per le conferenze, risponde a criteri del tutto personali, miei e di Mino Andreula, di cui ci assumiamo ogni responsabilità ma l’esperienza dei corsi passati ci rassicura. Chiediamo scusa ai tanti personaggi delle discipline radiologica e neuroradiologica il cui nome a tutto diritto avrebbe dovuto comparire nella faculty, ma la struttura stessa dei nostri corsi, con un’ora intera per ciascuna presentazione “strangola” i tempi. Quanto al 72, i numeri magici 7 e 2, il 7 ± 2, hanno a che fare con l’alchimia, la religione, la filosofia, la psicologia…ne parleremo, anzi, ve ne parlerà Mino Andreula, il grande affabulatore, io non sono che la sua spalla, una spalla “appesantita”, come lui ama esprimersi in RM, da più di 30 anni di esaltanti discussioni fra di noi, e non solo scientifiche. Maurizio Resta Giovedì 12 giugno 09:00-13:00 I Sessione: Torace e Cuore 09:00-10:00 La Conferenza L. Brunese (CB) 10.00-13:00 Casi Clinico-Radiologici V. Buffa (RM), A. Vallone (RM), V. Miele (RM) 13:00-15:00 Colazione di lavoro 15:00-19:00 II Sessione: Addome e Pelvi 15:00-16:00 La Conferenza G. Angelelli (BA) 16:00-19:00 Casi Clinico-Radiologici A. Reginelli (NA), M. Scaglione (Castel Volturno), S. Cappabianca (NA) Venerdì 13 giugno 09:00-13:00 I Sessione: Muscolo-Scheletrico 09:00-10:00 La Conferenza C. Faletti, (TO), C. Masciocchi (AQ) 10:00-13:00 Casi Clinico Radiologici L. Macarini (FG), A. De Marchi (TO), A. Conchiglia (AQ), M. Zappia (CB) 13:00-15:00 Colazione di lavoro 15:00-19:00 II Sessione: Imaging Vascolare 15:00-16:00 La Conferenza N. Burdi (TA) 16:00-19:00 Casi Clinico-Radiologici T. Popolizio (S.G. Rotondo), F. Quinto (BT), MC. Resta (TA), G. Lucente (TA), D. Monaco (TA) 19:00-19:30 Consegna del questionario e chiusura dei lavori RELATORI C. Andreula, G. Angelelli, A. Beltramello, L. Brunese, V. Buffa, N. Burdi, S. Cappabianca, F. Caranci, S. Cirillo, A. Conchiglia, A. D’Amico, A. De Marchi, M. Donatelli, G. Ettorre, C. Faletti, G. Lucente, L. Macarini, C. Masciocchi, V. Miele, D. Monaco, T. Popolizio, F. Quinto, A. Reginelli, M. Resta, MC. Resta, A. Rossi, M. Scaglione, G. Sirabella, A. Vallone, M. Zappia Sponsor Ufficiali ISO 9001:2008 certificato n°'a1 9175.AGIR Abbott Vascular, ab medica, Bayer, Bracco, Boston Scientific, Codman Johnson & Johnson, Covidien, CrossMed, GMC Biomedica, General Electric Healthcare, ImpleMed Italia, Meditalia, Philips, Siemens, Stryker, Tecnosp, Terumo, Toshiba. IL GIORNALE ITALIANO DI RADIOLOGIA MEDICA VOLUME 1 - NUMERO 2 MARZO-APRILE 2014 LETTERA DEL DIRETTORE 167 I perché di un nuovo Giornale A. Giovagnoni EDITORIALE 169 Il Radiologo e la medicina umana A. E. Cardinale ESTRATTI DA “LA RADIOLOGIA MEDICA” 172 Abstracts de “La Radiologia Medica”, Volume 119, Issue 3, March 2014 177 Abstracts de “La Radiologia Medica”, Volume 119, Issue 4, April 2014 LAVORI ORIGINALI CARDIORADIOLOGIA 182 Cardio-tc con apparecchiatura a 256 strati ottimizzazione della tecnica e valutazione dosimetrica M. Belgrano, P. Bregant, M. Fute Djoguela, W. Toscano, E. Marchese, M. A. Cova 190 Utilità della Risonanza Magnetica Cardiaca (RMC) nella valutazione del coinvolgimento del ventricolo destro (VD) in pazienti con infarto miocardico (IM) N. Galea, M. Francone, I. Carbone, D. Cannata, F. Vullo, R. Galea, L. Agati, F. Fedele, C. Catalano RADIOLOGIA SENOLOGICA 198 Confronto tra metodiche nella valutazione dei volumi delle lesioni maligne mammarie: l’ecografiavolumetrica3Dpuòessereutile? P. Clauser, V. Londero, G. Como, R. Girometti, M. Bazzocchi, C. Zuiani GESTIONE DELLE RISORSE ED ECONOMIA SANITARIA IN RADIOLOGIA 206 TC-PETinpazientioncologici:analisideicostinonsanitarinellavalutazionecosto-beneficio A. Orlacchio, A. M. Ciarrapico, O. Schillaci, F. Chegai, D. Tosti, F. D’Alba, M. Guazzaroni, G. Simonetti 214 Associazione dello stress da lavoro con depressione e ansia nei medici radiologi N. Magnavita, A. Fileni RADIOLOGIA ADDOMINALE 222 Studio comparativo tra ablazione percutanea laser e a radiofrequenza in pazienti conHCCunifocaledidimensioni≤a4cm A. Orlacchio, F. Bolacchi, F. Chegai, A. Bergamini, E. Costanzo, C. Del Giudice, M. Angelico, G. Simonetti 232 Risonanza Magnetica con Acido Gadoxetico nella valutazione dell’Epatocarcinoma e dei noduli ipointensi nella fase epatobiliare E. Iannicelli, M. Di Pietropaolo, M. Marignani, C. Briani, G. F. Federici, G. Delle Fave, V. David RADIOLOGIA VASCOLARE E INTERVENTISTICA 243 “Termoablazione con radiofrequenze (RFA) delle metastasi (MTS) epatiche da carcinoma mammario (CM): un’arma in più nel trattamento multimodale della malattia avanzata” A. Veltri, C. Gazzera, M. Barrera, M. Busso, F. Solitro, C. Filippini, I. Garetto RADIOLOGIA TORACICA 250 Pattern TC ad alta risoluzione tipico e atipico nella sarcoidosi polmonare: relazione con l’evoluzione clinica e la risposta alla terapia R. Polverosi, R. Russo, A. Coran, C. Giraudo, A. Battista, C. Agostini, F. Pomerri NEURORADIOLOGIA 260 Spazi di Virchow-Robin dilatati e Sclerosi Multipla: studio con Risonanza Magnetica 3T R. Conforti, M. Cirillo, P. P. Saturnino, A. Gallo, M. R. Sacco, A. Negro, A. Paccone, G. Caiazzo, A. Bisecco, S. Bonavita, S. Cirillo INSERTO “100 ANNI DELLA RIVISTA” 267 Appunti di radiumterapia (statistica e tecnica) M. A. Bioglio CONTRIBUTO DELLA SEZIONE DI RADIOLOGIA VASCOLARE E INTERVENTISTICA 276 La Radiologia Interventistica è morta: viva la Radiologia Interventistica! Luci ed ombre, certezze e speranze della Radiologia Interventistica Italiana F. Florio 278 Risultati dell’indagine conoscitiva sull’attività di Radiologia Interventistica in Italia: Censimento 2013 F. Florio, R. Cioni, R. Golfieri, R. Niola, M. Rossi 291 Consensus Conference: PTA-stent carotideo R. Iezzi, N. Burdi, G. Carrafiello, A. Cotroneo, A. Doriguzzi Breatta, F. Fanelli, A. Fileni, R. Gandini, L. Inglese, R. Niola M. Pastore Trossello, F. Pilato, M. Puglioli, F. Salvatore, V. Villari, F. Florio 302 Consensus Conference: il trattamento dell’epatocarcinoma R. Golfieri, U. Cillo, R. Cioni, A. Doriguzzi Breatta, F. Farinati, M. Grosso, F. Orsi, A. Rampoldi, C. Spreafico, F. Trevisani, A. Veltri 310 Consensus Conference: Traumi Pelvici R. Corso, A. R. Cotroneo, B. Gallo, P. Fonio, S. Magnone, R. Niola, E. Pampana, A. Rampoldi, L. Rizzi, D. Rossato 318 Consensus Conference: trattamento delle metastasi epatiche da neoplasie del colon G. Masi, A. Veltri, V. Mazzaferro, C. Battiston, A. Marchianò, C. Aliberti, I. Bargellini, E. Giampalma 328 Trattamento endovascolare dell’aneurisma cerebrale mediante stenting adiversionediflusso:esperienzaunicentrica W. Lauriola, V. Strizzi, M: Falcone, G. Ciccarese, F. Briganti, F. Florio ERRATA CORRIGE - RADIOLOGIA TORACICA 336 Malattie granulomatose diffuse del polmone. Approccio combinato patologico-HRCT G. Dalpiaz, M. Cirillo, A. Cancellieri, G. Stasi Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1: 167-168 LETTERA DEL DIRETTORE I perché di un nuovo Giornale A. Giovagnoni Direttore Responsabile Quando nasce un nuovo giornale sorge prepotente una domanda che molti si sono fatti e che per primo mi sono posto: era proprio necessario? Era proprio necessario interrompere dopo cento anni la pubblicazione di una rivista come “la Radiologia Medica” che è stata per un secolo bandiera scientifica e culturale della nostra Società e con la quale generazioni di Radiologi italiani si sono cimentati e hanno mosso i loro primi “passi” nella difficile e spesso travagliata avventura nel mondo scientifico? E ancora: era proprio necessaria una “Radiologia Medica” pubblicata in Inglese solo on-line con il titolo in italiano e una rivista in italiano con un nuovo nome “Il Giornale Italiano di Radiologia Medica” tutto questo nel corso di una crisi economica e per certi versi istituzionale che non lascia spazio a criticabili o volatili iniziative? Questa lettera nasce dall’esigenza di rendere partecipi i Soci SIRM di alcune delle motivazioni più rilevanti che sono state alla base della difficile decisione che il Comitato Editoriale e il Consiglio Direttivo (CD) hanno assunto, nell’interesse della Società. Andiamo per ordine. La rivista societaria” La Radiologia Medica” è stata fino al dicembre del 2013 pubblicata in doppia lingua italiano e inglese nella doppia veste, cartacea e on-line edita dalla Springer che ne curava il posizionamento editoriale nei principali circuiti delle banche dati internazionali con il riconoscimento conseguente di un Impac Factor (IF) . La Rivista veniva distribuita ai soli Soci SIRM gratuitamente sia nella versione cartacea, con relativa spedizione domiciliare, che nella versione on-line attraverso il sito WEB della SIRM; il costo dell’abbonamento, della spedizione postale e quello della gestione del sito WEB e il link con Springer era compreso nella quota di iscrizione annuale alla SIRM. Il nuovo Direttore, il Comitato Editoriale e tutto il CD si sono trovati all’inizio dello scorso anno di fronte a questioni molto complesse di tipo economico-finanziario ed editoriale che imponevano decisioni operative non più derogabili. Il testo in inglese della Rivista assicurava la visibilità internazionale ma costringeva ad un lavoro di traduzione e editing con consulenti di “madrelingua” a costi preoccupanti. I crescenti costi per la stampa della versione cartacea e per la spedizione postale si contrapponevano alle significative contrazioni dei proventi delle pubblicità da parte degli sponsor “storici”. La rivista cartacea veniva distribuita unicamente ai soci SIRM non esistendo possibilità di abbonamento per non Soci in Italia e all’estero; la Springer peraltro si assicurava la distribu- zione della rivista attraverso i circuiti on-line nel complesso meccanismo degli abbonamenti “a pacchetto” della vasta produzione della casa Editrice senza che SIRM potesse controllare o beneficiare dell’operazione. L’esigenza di mantenere un alto IF garantito come è noto da un alto indice di citazione dei singoli articoli, rendeva necessario l’esclusione di contributi magari poco “scientifici” o poco originali in un panorama internazionale, ma di sicuro interesse per la attività professionale del radiologo italiano : ne hanno fatto le spese molti lavori di revisione di casistica, di case report o prettamente educazionali che sono stati a malincuore rigettati perché immolati nel nome del IF. Ci si trovava di fronte a un doloroso bivio: accettare lavori di grande “appeal” scientifico per mantenere indici bibliometrici interessanti o privilegiare l’originale mission della Rivista nata e cresciuta come organo scientifico- educazionale societario? L’utilizzo di “maglie” larghe per l’accettazione di lavori avrebbe comportato due ripercussioni immediate: la drastica caduta del IF e l’allungamento a livelli insopportabili, dei tempi di pubblicazione causa l’enorme numero di lavori accettati; al gennaio 2013 La radiologia Medica disponeva di circa 150 lavori accettati e in attesa di pubblicazione . Nella più rosea delle ipotesi i tempi conseguenti fra invio e pubblicazione dei lavori si sarebbe attestato a circa 20 mesi. La spinta ad uscire da questo cunicolo era ormai inevitabile: dare il giusto riconoscimento all’enorme numero di contributi scientifici dei Soci, salvaguardando e valorizzando l’immenso valore culturale e scientifico che tali esperienze rappresentano, insieme alla necessità di ridurre i tempi di pubblicazione dei lavori originali mantenendo un apprezzabile IF. La tempesta era all’orizzonte e da modesto ma accorto marinaio ho spinto per un approdo sicuro: edizione nella sola lingua inglese per “la Radiologia Medica” on “line”, per assicurare il mantenimento e se possibile, l’aumento dell’IF (basterà un piccolo aumento dell’IF per far salire la rivista al II quartile nel ranking internazionale) abbattendo i costi di gestione dell’editing “madrelingua” e per stimolare gli Autori italiani al confronto e alla vetrina scientifica internazionale. “La Radiologia Medica” si presenta ora con una veste più moderna, non appesantita da una doppia colonna/lingua, con costi di gestione ridotti vista la riduzione delle pagine (eliminazione del testo in italiano) con cadenza mensile (non più gli otto numeri annuali) e con la reale possibilità di ridurre i tempi di pubblicazione a livelli competitivi che speriamo di assestare entro il 2014 a 6 mesi. 168 La realizzazione di due numeri monografici/anno con Guest Editors di chiara fama, su argomenti di grande attualità, garantirà un’ ulteriore occasione di grande visibilità per la rivista e per la radiologia italiana. Il titolo in italiano rimasto nella sua originale formulazione, garantisce da un lato il mantenimento del livello di IF ad oggi raggiunto e dall’altro perpetua nel nome, l’identità di una Società forte di una tradizione più che centenaria. La nuova rivista cartacea “il Giornale Italiano di Radiologia Medica” sostituisce, a domicilio del Socio, la storica rivista; la drastica riduzione dei costi di stampa frutto di una attenta valutazione comparativa prezzo-qualità su scala nazionale ha permesso di mantenere inalterata la gratuità del Giornale per i Soci. E’ in corso di realizzazione uno “spazio” dedicato nel sito web SIRM atto a raccogliere la versione elettronica della Rivista e funzionare da collettore per i nuovi contributi inviati al Comitato Editoriale. La rivista nata con lo scopo di superare le criticità sopra esposte è ora in grado di pubblicare articoli scientifici dei Soci di grande interesse generale, senza la pressione esercitata dal IF ma anche articoli pratici , a risvolto professionale-educazionale il cui primo obiettivo è quello di soddisfare le diverse esigenze pratiche dei radiologi italiani. La veste tipografica moderna da ampio spazio alle immagini con una struttura editoriale nuova dove le varie tipologie di contributi ( pictorial essay, Case Report , consensus conference, linee guida, lettere, editoriali ecc.) , trovano pari dignità e spazio. In particolare in questo numero fra gli altri, vengono pubblicati alcuni articoli proposti dalla Sezione di Studio di Radiologia Vascolare e Interventistica che per prima ha raccolto l’invito del Comitato Editoriale, con grande impegno e professionalità, a collaborare per la piena riuscita di questa nuova iniziativa SIRM. Altre Sezioni di Studio sono state invitate ad utilizzare questo nuovo strumento societario non mostrando tuttavia, ancora la stessa sensibilità e reattività dei colleghi interventisti. Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1: 167-168 La nuova rivista nell’anno del Centenario de “La Radiologia Medica” accoglierà ancora un articolo “storico” ( si è partiti dal numero 1 del 1914 saltando di decennio in decennio) in quanto convinti della importanza della conoscenza del nostro glorioso passato. Nel prossimo numero verrà dato spazio ai contributi presentati al Convegno Nazionale SIRM di Firenze con la pubblicazione prima dei Corsi monografici e di seguito, dei migliori Posters scientifici ed educazionali: la strada per la realizzazione di un giornale che ricalchi il più blasonato Radiographics è ormai aperta. In un momento difficile, di grande crisi economica e di valori la SIRM ha scommesso su se stessa investendo in un progetto che espande l’offerta editoriale nella convinzione che la diffusione della cultura e delle conoscenze siano la migliore garanzia per la sopravvivenza e lo sviluppo della disciplina. La Radiologia Medica e Il Giornale Italiano di Radiologia Medica costituiscono oggi una realtà editoriale che vede la SIRM all’avanguardia in Europa fra le Società Scientifiche nazionali da tutti invidiata. Nuove idee in campo, nuove energie attraverso una razionalizzazione delle risorse e un lavoro corale di grande efficacia sarà la ricetta per dare forza alle nuove sfide per un futuro migliore; sta ora a tutti noi, ai singoli Soci, alle strutture istituzionali come Gruppi Regionali e Sezioni di Studio, far crescere e migliorare quello che con fatica ma grande determinazione è stato dal Comitato Editoriale e dal CD SIRM fin qui realizzato . La strada è lunga e noi solo all’inizio; il percorso difficile, faticoso, ma sicuramente stimolante: una sfida quotidiana che tutti stanno interpretando con il massimo della determinazione. Spesso ci viene spontaneo ripensare ad una frase attribuita ad un grande della musica (H. Von Karajan): … coloro che hanno raggiunto tutti i propri obiettivi, probabilmente li avevano impostati troppo bassi”….. .. speriamo di non aver esagerato. A. GIOVAGNONI - Direttore Radiologia Pediatrica e Specialistica - Università Politecnica Marche - Az. Ospedali Riuniti “Torrette - Lancisi - Salesi” - 60100 Ancona e.mail: [email protected] - Tel.: +39 071 5964076 169 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:169-171 EDITORIALE Il Radiologo e la medicina umana AdelfioElioCardinale Vice-Presidente del Consiglio Superiore di Sanità – Professore emerito di Scienze delle Immagini - Università di Palermo Da sempre la comunità radiologica italiana – dagli antichi maestri ai grandi presidenti del nostro sodalizio scientifico-professionale – si è battuta con vigore per affermare la figura del medico radiologo, come asse portante dei percorsi diagnostici e terapeutici, per non far declinare la nostra professione nella palude di una figura ancillare dei vari clinici e specialisti. Oggi la medicina è caratterizzata da uno sbilanciamento della componente tecnologica ed economico-finanziaria ( per non dire ragionieristica) rispetto alla componente antropologica dell’ “arte lunga”, ricordando la bella definizione della medicina da parte di Ippocrate. Questo fenomeno connota anche l’attività del radiologo. Gli strepitosi progressi della nostra disciplina - con un caleidoscopio di immagini, grafiche, tecniche e metodiche terapeutiche – hanno trasformato in pochi anni l’antica radiologia. Lo studio dell’uomo con i raggi X dava un’immagine morta delle strutture corporee. Le nuove tecnologie permettono di carpire il soffio della vita, ricordando l’affabulatrice espressione di Pietro Cignolini. La posta è sempre più alta. Siamo all’inizio di un nuovo Rinascimento. Oggi gli uomini di scienza, con il loro disegno teorico e dottrinario, fanno tornare alla mente l’affermazione che Ferdinando Cospi fece su Galeno nel 1677: «Dio di notomista lo fece diventare teologo» . Anche la radiologia contemporanea, quasi sempre, è intesa e praticata come professione veloce e intensa: ritmi frenetici, con impiego di tecnologie in serie, come una catena di montaggio; ordini secchi e concitati di medici e personale sanitario; barelle che passano veloci; ambulanze a sirene spiegate; una frenetica serie di azioni, operando, intubando, somministrando, iniettando. Nella radiologia la relazione tra lo specialista e il malato diviene asimmetrica, non solo in termini fisici ma anche intellettuali. Il rapporto si è molto diradato sino quasi a scomparire. Gli spettacolari successi possono suscitare nel radiologo l’«hybris», l’orgoglio smisurato che scatena l’ira degli dei. E’ necessaria una rivisitazione della nostra professione, nell’ambito più generale della medicina, ricordando il filosofo positivista Auguste Comte, il quale affermava che non si conosce una scienza senza cognizione della sua storia. Zakharin, cattedratico, internista, medico alla corte dello Zar e Maestro di Anton Cechov, propugnava il concetto che “pensare da medico” significa individualizzare ogni singolo caso: non esiste la malattia ma il malato, di cui bisogna conoscere, oltre ai sintomi, la storia, l’ambiente di vita e di lavoro, e di cui bisogna penetrare la sofferenza emotiva, oltre che fisica. Il medico che si arma nella professione di curiosità e di interesse per il prossimo non deve temere la complessità del suo compito, deve amarla. Una complessità da sempre presente nel dolore del suo paziente, ma oggi come mai svelata da mille indicatori, da lenti di ingrandimento sofisticate, incisa da mani robotiche, enumerata e codificata da cartelle digitali. Una complessità velata da un’entropia di informazioni cui al momento nessun altro esperto, se non la mente del medico, può porre ordine. Nel cuore, comunque, v’è l’obiettivo di “recare sollievo” e di “migliorare qualità e aspettative di vita” del suo paziente. Il medico utilizzerà l’approccio euristico per osservare e intuire il metodo scientifico, per formulare l’ipotesi diagnostica e contraddirla senza pregiudizi con l’acquisizione di nuove evidenze. Utilizzerà, infine, ogni strumento diagnostico vagliandone appropiatezza e accuratezza, senza mai scambiare il mezzo per il fine. Nel tempo attuale riscontriamo una sanità frazionata e tecnocratica. Negli ultimi decenni la medicina è evoluta in organizzazioni sempre più complesse. Nel nostro Paese, oltre a medici e chirurghi, esistono 29 professioni sanitarie, 64 tra specializzazioni e discipline di perfezionamento, onerose catene gestionali e amministrative. La ricerca scientifica biomedica ha raggiunto straordinari traguardi di sviluppo tecnico, chimico-fisico, elettronico, nano-sperimentale. L’epoca del post-umano, con una vera e propria medicalizzazione dell’esistenza. Il corpo considerato, in maniera riduzionistica, un assemblaggio di meccanismi che si possono riparare, ove il complesso spirituale dell’uomo viene spesso considerato menzogna o eccedenza. L’uomo non è solo un ammasso di molecole. Occorre ricomporre i saperi e ricondurre il malato da numero a individuo, con una maggiore percezione dei bisogni dei pazienti. E’ necessario riposizionare la persona al centro della relazione di cura, con un recupero autentico delle antichissime radici umanistiche della medicina, fondate su rispetto, ascolto, spirito critico, speranza, solidarietà. Qual è l’essenza della medicina? Una pratica basata su scienze ed esercitata in un mondo di valori. Una professione che ha come centro e finalità un essere sociale dotato di ragione e coscienza. La medicina – nei suoi canoni classici guaritrice, curativa, preventiva, riabilitativa – resta una scienza “debole”, che non possiede algoritmi certi, come quelli necessari 170 per risolvere un’equazione. Il medico molte volte decide in condizioni probabilistiche. Il rapporto medico-paziente, da tempo immemorabile, è saldato da un legame prevalentemente umano, che non presenta solo fondamenta scientifiche, ma è basato sulla “religio medici”, cioè la religione medica del dovere, inerente sia alla sacralità dell’uomo che all’etica caritativa verso il soggetto debole. Tale rapporto complesso verso l’essere vivente nella sua totalità – con funzioni pedagogiche e di tutela – si sintetizza nella pietas, vale a dire attenzione alle sofferenze del paziente, con una comprensione partecipe dei suoi patimenti, anche attraverso la pratica. Quest’alleanza plurimillenaria si è rotta per tre motivazioni ascrivibili al medico, al malato, all’irrompere crescente e tumultuoso della tecnologia e al moloch della produttività e del pareggio dei bilanci nella sanità pubblica. Purtroppo oggi la medicina si annoda facendo perno sulle sindromi morbose e non sul soggetto infermo. Ne consegue un’attenzione crescente alla fisiopatologia della malattia e un deteriore allontanamento dalla realtà antropologica dell’uomo sofferente. Il paziente non è più organismo complesso e unitario, ma somma di organi o apparati. Oggi non c’è più tempo e patrimonio mentale per un’arte medica ove esperienza, colloquio e rapporto diretto siano fondamentali per una riappropriazione da protagonista della professione medica. Una medicina arida e distante, rinchiusa in una presupponente torre dottrinale, sorda ai valori umani, perciò condannata a non sapere nulla del mondo e della vita. Il malato, trattato come un numero o una cosa – a causa dell’eccesso di specializzazione, spersonalizzazione, burocrazia – diviene sempre più ostile e cova un rancore vendicativo verso quella che considera una lobby ingorda. A ciò si aggiunge che il cittadino e i suoi familiari richiedono non solo l’obbligazione di mezzi ma l’obbligazione di risultato, vale a dire la guarigione sempre e comunque. Nell’attuale “ società terapeutica” – rileva George Steiner – si è rimossa l’idea della morte, rimasta dominante per millenni. L’ultimo atto della vita viene nascosto e le persone hanno perso il senso di una fine. Da qui l’emergere di una sempre maggiore responsabilità da parte dei medici, che devono acquisire nuove abilità di comunicatori e scrupolosi mediatori tra i linguaggi scientifici e i diversi registri della comunicazione sociale, che il filosofo e sociologo Habermas sin dagli anni Ottanta efficacemente definì “agire comunicativo”, non solo descrittivo ma efficace costruttore di nuove realtà e relazioni sociali. Si è trascurata l’analisi delle carenze nella capacità di relazione del medico con il paziente. Non di rado i medici sono indifferenti alla sofferenza; ne consegue la necessità di migliorare la formazione etica, psicologica e comportamentale di chi opera in campo sanitario. E’ questo non solo compito ma dovere delle istituzioni preposte, delle facoltà mediche, degli ordini professionali, per inculcare e trasmettere l’etica grigia del dovere quotidiano, senza riflettori, palcoscenici e riconoscimenti. Rispetto del paziente: tema culturale che sta a monte di ogni prassi, sul quale bisogna intervenire soprattutto nei giovani. L’Organizzazione mondiale della sanità auspica, ormai da tempo, un approccio al malato centrato su una visione globale del bisogno di cura che, oltre agli aspetti strettamente medico-clinici, prenda in considerazione le esigenze psicolo- Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:169-171 giche, relazionali e spirituali della persona malata. Il passaggio epistemiologico dal modello biomedico (disease-centered) al modello centrato sulle tre dimensioni distinte e interrelate disease-illness-sickness, che considera olisticamente il paziente come persona in un contesto, richiede una formazione adeguata, sia teorica sia esperienziale, affinchè possa realizzarsi quel rapporto medico-paziente, basato su una comunicazione efficace, che è considerato il cardine del sistema-salute in quanto elemento fondante, imprescindibile della cura. Oggi, da più parti si auspica una medicina, come “arte” fondata su un forte rapporto etico-socio-antropologico con il malato, attraverso varie espressioni: medicina umana, narrativa, condivisa, dell’ascolto, con una sempre migliore comunicazione medico-paziente. Gli attuali metodi di formazione del medico, rappresentano sempre un progresso? I corsi di studio risvegliano – specie nelle nuove generazioni – l’attenzione verso il mondo della sofferenza, costruendo un professionista sapiente e generoso, sensibile alla sofferenza altrui in forza di una reciproca plurimillenaria alleanza con il malato? Dopo decenni di esperienza da docente e preside universitario qualche dubbio appare lecito. Le disfunzioni che spesso degenerano in quella che viene definita “malasanità” sono in gran parte collegate ad una serie di fattori connotati trasversalmente da una subsidenza dell’etica. In estrema sintesi la salute come profitto. Ne deriva anche la “Medicina Difensiva”, con danni al malato e alti costi per la comunità, valutati pari a circa il 10 per cento dell’intero stanziamento per la sanità italiana. Una somma enorme: circa 13 miliardi di euro, secondo una recente analisi dell’Istat. Emerge la necessità di nuovi metodi e contenuti formativi, per i quali occorrono equilibrio e sintesi tra esigenze diverse. Una valida medicina – etica, equa, solidale – ha una stretta interrelazione con lo stato sociale e il bene comune: una costruzione sulla quale si incardina il diritto all’eguaglianza sociale, all’omogeneità territoriale, al paritario accesso ai servizi. La sapienza umanistica, senza la quale non si spiega l’origine e lo sviluppo delle scienze moderne, resta l’orizzonte irrinunciabile. In questo contesto è il dolore a interrogarci, costringendoci a collocare in una giusta prospettiva i progressi scientifici e quindi a riflettere sui limiti del nostro agire, su ciò che dipende da noi e ciò che non possiamo mutare senza alterare un nostro giusto rapporto con la realtà. Il mantenimento della prossimità medico-malato costituisce un vincolo, percepito dall’accudito come espressione di affetto e protezione. Si può ricondurre a cinque linee fondamentali l’innovazione del processo formativo medico-chirurgico: insegnamento centrato sullo studente, formazione clinica incardinata sul malato, “medical humanities” (o scienze spirituali, come preferiscono alcuni), saperi integrati, cultura pedagogica dei docenti. La medicina, con tutte le sue diramazioni, costituisce un insieme organico, vero e proprio cuore pulsante delle scienze umane. Per evitare il naufragio nelle lande desolate della tecnocrazia, le scienze umane (etica, bioetica, deontologia, filosofia, diritto, antropologia, sociologia, filosofia della scienza, biopolitica, biodiritti, storia della medicina, in parte confluenti nella “science policy”, espressione anglossassone solo par- 171 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:169-171 zialmente tradotta in “politica della scienza”) devono essere abbinate a una prassi più consentanea alla dignità e alle esigenze del malato. Non una professione fondata su numeri, tabelle, formule, logaritmi, grafiche, ma una somma di competenze che dischiudono una background knowledge articolata e complessa. E’ necessaria una rivalutazione culturale, disciplinare e accademica della storia della medicina, come testimoniato anche da interpellanze parlamentari. La sua progressiva scomparsa dai piani di studio delle Facoltà priva gli studenti di quegli stimoli culturali, etici e deontologici, che da sempre caratterizzano la formazione e la professione medica. Le scienze umane sono il “respiro della mente”: permettono una formazione slegata dall’impiego delle macchine, con la capacità - per lo sperimentatore e lo scienziato – di comprendere i valori spirituali e, quindi, di autoconoscersi. L’uomo amico e ricercatore della sapienza. Per contro gran parte dei medici contemporanei – e i giovani in particolare – ritengono che la storia della medicina, o della scienza più in generale, sia una immota contemplazione del passato, con nostalgie basate su vecchie e logore zimarre concettuali. La ricorrenza appena trascorsa del primo centenario della fondazione del nostro sodalizio scientifico e quella in atto de “La Radiologia Medica” consentono un momento di riflessione. Un plauso va dato agli organi di governo della Sirm e ai direttori delle nostre riviste ufficiali per averla celebrata con convegni, manifestazioni, conferenze e ristampa di articoli storici. Evidenziare i momenti più importanti della Radiologia, significa accendere una scintilla di memoria. L’evoluzione storica rappresenta un patrimonio necessario a una migliore conoscenza delle idee scientifiche. Un occhio sul passato che illumina il presente, ricostruendo i lenti mutamenti e i bruschi cambiamenti della disciplina. Lo sviluppo non è una marcia lineare ma un percorso sinuoso e irregolare. Il passato come fonte di spiegazioni e illuminazioni. In estrema sintesi la storia riassume origini, evoluzioni, conquiste, travagli, sconfitte, riprese e avanzamenti della scienza medica o delle specifiche discipline. Questo perché i futuri professionisti della sanità assumano sin d’ora piena consapevolezza che medicina è scienza basata sui valori umani: ogni professionista, sia esso medico o infermiere o tecnico della sanità, deve possedere la competenza indispensabile per esercitare correttamente la propria professione, ma anche l’umanità di chi ha scelto come propria missione quella di concorrere a risolvere i problemi di salute della persona malata. Si stimolerà quindi sempre negli studenti lo svilupparsi o il potenziarsi di una cultura umanistica perché è da essa che in buona parte discende quel peculiare sentimento che, come s’è detto, deve sempre abbinarsi all’abilità professionale. A questo progetto sta lavorando un gruppo di accademici, studiosi, esperti, religiosi, politici. Una sinergia tra buona politica e buona sanità. Nel quadro della sostenibilità finanziaria, bisogna chiaramente indicare che al centro del sistema sanitario non c’è il pareggio del bilancio, ma la produzione di salute per l’uomo. Il funzionamento delle aziende è il mezzo, la tutela della salute il fine. Un vero e proprio manifesto per la vera medicina, che si ritrova pienamente nelle parole del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura: “Sta crescendo la consapevolezza che la malattia e il dolore sono un tema globale e simbolico, non soltanto fisiologico. L’accompagnamento umano, psicologico, affettivo e spirituale è tutt’altro che secondario. C’è bisogno di tornare a una concezione umanistica della medicina”. Principi che valgono anche per i medici di morale laica. Occorre un reagente morale, un lavoro pedagogico tenace. Il mestiere del medico – faticoso, difficile, angosciante – deve tornare ad essere arte della cura, sempre condotta tra scienza e valori umani. Bisogna che non si disperda il patrimonio di saperi e professionalità che i medici italiani hanno accumulato, per non sdrucire la trama e l’ordito del patto plurimillenario tra medico e malato. Per la Radiologia, scienza quanto mai intrisa di tecnologia, bisognerebbe esser capaci di delineare un orizzonte, nel quale possano conciliarsi la tradizione degli studi e le spinte centrifughe sempre più forti cui essa è sottoposta. Queste spinte – in accordo con Gianni Guastella – provengono da un lato dalla rapida evoluzione della società, che si arricchisce sempre più di elementi esterni, destinati a ridisegnare le coordinate delle nostre tradizioni culturali; dall’altro dalla globalizzazione e dall’inedito scenario comunicativo che si è aperto grazie alle nuove tecnologie dell’informazione. La Rete, capace di interconnettere un numero prima impensabile di fonti e di agenzie del sapere, ci ha improvvisamente catapultati in un contesto comunicativo assai più vasto e ricco di quello a cui eravamo abituati. Il capitale umano digitale diviene sfida ai consueti processi educativi, con l’obiettivo di una rinnovata formazione capace di intrecciare i contenuti disciplinari perenni, con il loro dischiudersi alle mutate finalità conoscitive e professionali. Il simbolo dell’arte medica è il caduceo, vale a dire il bastone alato con attorcigliati simmetricamente due serpenti, che rappresentano conoscenza e saggezza. Il significato è che per applicare la conoscenza c’è bisogno di saggezza. Chi edifica questa medicina sapienziale cura il male e sconfigge l’inverno dello spirito. A. E. CARDINALE - Vice-Presidente del Consiglio Superiore di Sanità - Professore emerito di Scienze delle Immagini - Università di Palermo Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:172-176 ESTRATTI DA “LA RADIOLOGIA MEDICA” xxx Abstracts de “La Radiologia Medica”, Volume 119, Issue 3, March 2014 M. Guazzaroni, A. Spinelli, I. Coco, C. Del Giudice V. Girardi, G. Simonetti F. Paparo, M. Revelli, A. Semprini, D. Camellino A. Garlaschi, M. A. Cimmino, G. A. Rollandi, A. Leone Value of strain-ratio on thyroid real-time sonoelastography Seronegative spondyloarthropathies: what radiologists should Know Radiol med (2014) 119:149–155 DOI 10.1007/s11547-013-0320-9 Radiol med (2014) 119:156–163 DOI 10.1007/s11547-013-0316-5 Abstract Abstract Purpose. The aim of this study was to determine the accuracy of elastosonography in the differential diagnosis of thyroid nodules using a qualitative [evaluation of the stiffness score (SS)] and quantitative assessment [evaluation of the strain ratio (SR)]. Inflammatory involvement of the spine and sacroiliac joints is the most peculiar feature of seronegative spondyloarthropathies (SpA), which include ankylosing spondylitis, psoriatic arthritis, reactive arthritis (Reiter’s syndrome), enteropathic spondylitis (related to inflammatory bowel diseases) and undifferentiated spondyloarthropathies. SAPHO syndrome may also be considered a SpA, but there is no clear agreement in this respect. Imaging, along with clinical and laboratory evaluation, is an important tool to reach a correct diagnosis and to provide a precise grading of disease progression, influencing both clinical management and therapy. Conventional radiography, which is often the first-step imaging modality in SpA, does not allow an early diagnosis. Computed tomography (CT) demonstrates with a very high spatial resolution the tiny structural alterations of cortical and spongy bone before they become evident on plain film radiographs. Magnetic resonance imaging (MRI) is the only modality that provides demonstration of bone marrow oedema, which reflects vasodilatation and inflammatory hyperaemia. The primary aim of this review article was to examine the involvement of the spine and sacroiliac joints in SpA using a multimodal radiological approach (radiography, CT, MRI), providing a practical guide for the differential diagnosis of these conditions. Materials and methods. In our single-centre retrospective study, 368 patients were enroled between December 2010 and March 2012 (134 men, 234 women, mean age 56.1 ± 14.2) with a diagnosis of thyroid nodules, who underwent conventional ultrasonographic and elastosonographic evaluation. The SS and SR were assessed and the results were expressed in terms of sensitivity, specificity, positive predictive value (PPV) and negative predictive value (NPV). The nodules were subjected to needle aspiration. Results. Forty-four nodules were malignant (TIR > 3) and 324 benign on cytological analysis. Considering a cutoff of SS >2, we had 91 % sensitivity, 68 % specificity, 27 % PPV and 98 % NPV. Considering a cut-off of SR > 3.28, we had 81.8 % sensitivity, 82.7 % specificity, 39.1 % PPV and 97.1 % NP. Conclusions. The SR calculation did not provide additional data to the SS, which remains the elastosonography benchmark. It will be necessary to validate these preliminary data by larger prospective randomised trials. 173 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:172-176 A. Splendiani, F. Ferrari, A. Barile, C. Masciocchi M. Gallucci Lei Yan, Yong-Dong Li, Yue-Hua Li, Ming-Hua Li Jun-Gong Zhao, Shi-Wen Chen Occult neural foraminal stenosis caused by association between disc degeneration and facet joint osteoarthritis: demonstration with dedicated upright MRI system Outcomes of antiplatelet therapy for haemorrhage patients after thrombolysis: a prospective study based on susceptibility-weighted imaging Radiol med (2014) 119:164–174 DOI 10.1007/s11547-013-0330-7 Radiol med (2014) 119:175–182 DOI 10.1007/s11547-013-0328-1 Abstract Abstract Purpose. The aim of our study was to evaluate the presenceof dynamic foraminal stenosis using a new low-field dedicated magnetic resonance (MR) unit with a balancing system that allows images to be acquired both in the recumbent and upright position. Imaging of lumbar spine with the patient in a supine, nonweight-bearing position is likely to misrepresent the degree and potential risk of spinal stenosis. Purpose. The authors evaluated the effect of susceptibility-weighted imaging (SWI) for antiplatelet therapy on post-thrombolysis microbleeds (MB). Materials and methods. In the period between September 2008 and May 2011, we selected 630 symptomatic patients aged 40–65 years (mean age 56) who underwent conventional MR in clinostatic position. The study only included selected patients (total 160) who underwent clinostatic and orthostatic evaluation using a dedicated MR system (Gscan). The biomechanical parameters were also considered. Changes in the dimension of the neural foramina were compared using the presence of disc and facet degeneration by statistical analysis. Results. Stenosis of the intervertebral foramen was never found in the presence of normal intervertebral discs either in the presence or in the absence of facet disease, in either clinostatic or orthostatic position. Sixty-one stenotic levels were detected which were visualised exclusively in scans obtained under weight-bearing conditions. We named this dynamic condition ‘‘occult stenosis’’. In all of these cases, disc disease was associated with facet pathology. Conclusion. Our data show that the association between disc pathology and facet osteoarthrosis can cause occult foraminal stenosis. Strategies to image the spine under physiological load conditions may improve the clinical diagnosis of radicular pain. Materials and methods. A total of 146 patients without symptomatic intracranial haemorrhage on computed tomography after thrombolysis were allocated to two groups: group A (n = 72) received antiplatelets 24 h after recombinant tissue plasminogen activator, regardless of SWI-detected haemorrhage; group B (n = 74) received antiplatelets for patients without SWI-visualised haemorrhage. Results. Haemorrhage was detected by SWI in 22 and 28 patients in groups A and B, respectively. The difference in mean NIHSS (National Institutes of Health Stroke Scale) score in group A between baseline and 6, 24 h, 7, 14 days was -1.6, -1.7, -3.6, -5.9, respectively; in group B, the difference in mean NIHSS score between baseline and 6, 24 h, 7, 14 days was -2.6, -3.3, -5.4, -8.7, respectively. The difference between groups in reduction of mean NIHSS score from baseline was 1.0 (p<0.001) at 6 h, 1.6 (p<0.001) at 24 h, 1.8 (p = 0.001) at 7 days and 2.8 (p<0.001) at 14 days. NIHSS scores at 7, 14 days and modified Rankin scale at 90 days were significantly lower in haemorrhage patients in groups B than in A, whereas the hospital stay was shorter and the rate of favourable outcome at 90 days was higher. Conclusion. Our results indicated that SWI was an effective approach for the guidance of antiplatelet therapy in post-thrombolysis MB. 174 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:172-176 C. Ferro, E. Andorno, A. Guastavino, U. G. Rossi S. Seitun, G. Bovio, U. Valente M. Torella, P. De Franciscis, C. Russo, P. Gallo, A. Grimaldi, D. Ambrosio, N. Colacurci, M. T. Schettino Endovascular treatment with primary stenting of inferior cava vein torsion following orthotopic liver transplantation with modified piggyback technique Stress urinary incontinence: usefulness of perineal ultrasound Radiol med (2014) 119:189–194 DOI 10.1007/s11547-013-0317-4 Radiol med (2014) 119:183–188 DOI 10.1007/s11547-013-0325-4 Abstract Abstract Purpose. This study was undertaken to evaluate primary stenting in patients with inferior vena cava torsion after orthotopic liver transplantation performed with modified piggyback technique. Materials and methods. From November 2003 to October 2010, six patients developed clinical, laboratory and imaging findings suggestive of caval stenosis, after a mean period of 21 days from an orthotopic liver transplantation performed with modified piggyback technique. Vena cavography showed stenosis due to torsion of the inferior vena cava at the anastomoses and a significant caval venous pressure gradient. All patients were treated with primary stenting followed by in-stent angioplasty in three cases. Results. In all patients, the stents were successfully positioned at the caval anastomosis and the venous gradient pressure fell from a mean value of 10 to 2 mmHg. Signs and symptoms resolved in all six patients. One patient died 3 months after stent placement due to biliary complications. No evidence of recurrence or complications was noted during the follow-up (mean 49 months). Conclusions. Primary stenting of inferior vena cava stenosis due to torsion of the anastomoses in patients receiving orthotopic liver transplantation with modified piggyback technique is a safe, effective and durable treatment. Purpose. Perineal ultrasound provides the most sensitive assessment of the degree of urethralmobility bymeasuring the pubo-urethral distance and angle. To evaluate whether these indices may be determinants of success in prosthetic surgery for stress urinary incontinence, we conducted a retrospective study of patients treated with tension-free vaginal tape-obturator (TVT-O) surgery and assessed, by measuring the pubourethral distance and angle after TVT-O, whether there was any quantitative difference between the mean values measured in the group of cured patients and uncured patients. Materials and methods. We selected 51 patients who underwent TVT-O and evaluated the failure rate by means of urogynaecological assessment. We also measured, using perineal ultrasound, the mean values of the pubo-urethral distance and angle between the two groups of patients. Results. We recorded a difference in the average pubourethral distance of 3 mm ± 1.2 at rest and 2.7 mm ± 1.2 under stress and a difference in the average pubo-urethral angle of 13° ± 6.3° at rest and 8° ± 6.3° under stress between the two groups. Conclusions. We obtained higher mean values of pubourethral distance and angle in uncured patients compared to those found in the group of cured patients. 175 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:172-176 D. Greto, L. Livi, C. Saieva, P. Bonomo, I. Meattini, M. Loi, L. Di Brina, G. Beltrami, D. Campanacci, G. Scoccianti, R. Capanna, M. Mangoni, F. Paiar A. Franchi, G. Biti A. Fiorentino, M. Cozzolino, R. Caivano, P. Pedicini C. Oliviero, C. Chiumento, S. Clemente, V. Fusco Neoadjuvant treatment of soft tissue sarcoma Head and neck intensity modulated radiotherapy parotid glands: time of re-planning Radiol med (2014) 119:195–200 DOI 10.1007/s11547-013-0331-6 Radiol med (2014) 119:201–207 DOI 10.1007/s11547-013-0326-3 Abstract Abstract Purpose. The aim of this study was to evaluate disease-free survival (DFS), overall survival and toxicity of patients who underwent preoperative therapy for soft tissue sarcoma. Purpose. To investigate the correct time point for replanning by evaluating dosimetric changes in the parotid glands (PGs) during intensity-modulated radiotherapy (IMRT) in head and neck cancer patients. Materials and methods. The data of 38 consecutive patients affected by soft tissue sarcoma were retrospectively analysed. Six (15.8 %) patients were treated only with neoadjuvant radiotherapy, and 32 (84.2 %) with neoadjuvant chemo-radiation therapy. Surgery was performed within 4–6 weeks after the completion of neoadjuvant treatment. Materials and methods. Patients with head and neck cancer treated with IMRT were enrolled. During treatment all patients underwent cone-beam computed tomography (CBCT) scans to verify the set-up. CBCT scans at treatment days 10, 15, 20 and 25 were used to transfer the original plan (CBCTplan I, II, III, IV, respectively) using rigid registration between the two. The PGs were retrospectively contoured and evaluated with the dose–volume histogram. The mean dose, the dose to 50 % of volume, and the percentage of volume receiving 30 and 50 Gy were evaluated for each PG. The Wilcoxon sign ranked test was used to evaluate the effects of dosimetric variations and values <0.05 were taken to be significant. Results. Median follow-up was 4.9 years (range 1–13.7 years). All patients received preoperative external beam radiotherapy (RT). Most patients (84.2 %) underwent neoadjuvant chemotherapy treatment associated with radiotherapy. After neoadjuvant treatment, the majority of patients underwent wide excision (32 out of 38) and five patients had marginal surgery; only one patient underwent amputation. Local recurrence was observed in only two patients (5.2 %). Fourteen (36.8 %) patients experienced metastatic relapse. At the time of our analysis 13 patients (34.2 %) had died due to metastatic spread of the disease. In our series, DFS in relation to distant metastases (DM) showed a significant result for lower limb involvement (p = 0.038) and marginal excision (p = 0.024), both predictors of a worse DFS, histology was statistically significant although it was not possible to evaluate the risk for specific histology due to the small number of events in the different subtypes. Conclusions. The results obtained from our study are encouraging with regard to the feasibility and efficacy of preoperative RT in the treatment of soft tissue sarcoma in view of the results obtained in terms of local control, limb sparing and safety. Results. From February to June 2011, ten patients were enrolled and five IMRT plans were evaluated for each patient. All the dosimetric parameters increased throughout the treatment course. However, this increase was statistically significant at treatment days 10 and 15 (CBCTplan I, II; p = 0.02, p = 0.03, respectively). Conclusion. CBCT is a feasible method to assess the dosimetric changes in the PGs. Our data showed that checking the PG volume and dose could be indicated during the third week of treatment. 176 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:172-176 G. Acri, B. Testagrossa, F. Causa, M. G. Tripepi, G. Vermiglio, R. Novario, L. Pozzi, G. Quadrelli Evaluation of occupational exposure in magnetic resonance sites Radiol med (2014) 119:208–213 DOI 10.1007/s11547-013-0324-5 Abstract Purpose. In an attempt to evaluate the exposure level of magnetic resonance imaging (MRI) workers to static magnetic fields, the isotropic magnetic flux density values were integrated over time to produce the cumulative exposure. To protect occupational staff a further precautionary step is proposed by introducing a weighting function incorporating the limits imposed by the Italian legislation. The results obtained should be reported, at the end of each working day, on a special dose card, in order to record each worker’s exposure to the static magnetic field. Moreover, this dose card could be an important tool if long-term effects occur because it provides a complete history of the occupational exposure in an MRI site. Materials and methods. To conduct measurements, three Hall-sensor probes were used. The consistency of experimental data, tools and methodologies used was evaluated by performing the Kruskal–Wallis test. Finally, the weighted magnitude of the magnetic flux density was integrated over time to obtain global exposure. Results. Measurements were performed on different MRI scanners ranging from 0.25 up to 3.0 T. The results obtained were compared with the 200 mT. h, which represents the upper limit of the Italian regulation. In no case was the 200 mT. h per day exposure exceeded: however, when the strength of the magnetic field was >200 mT the weighted function overestimated the exposure, so that it represents a highly precautionary measure taking into account possible acute and long-term effects. In addition, from the data recorded during patient positioning operations by MRI staff the dB/dt curve was obtained. Conclusions. The areas obtained from the integral of the weighted static magnetic field strength over time can be indicative of the global exposure of the occupational staff. These values should be reported on a special dose card that could be considered as an important tool if long-term effects occur because it provides a complete history of the occupational exposure in an MRI site. 177 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:177-181 xxx ESTRATTI DA “LA RADIOLOGIA MEDICA” Abstracts de “La Radiologia Medica”, Volume 119, Issue 4, April 2014 G. Salvaggio, A. Furlan, F. Agnello, G. Cabibbo, D. Marin L. Giannitrapani, C. Genco, M. Midiri, R. Lagalla, G. Brancatelli Hepatocellular carcinoma enhancement on contrast-enhanced CT and MR imaging: response assessment after treatment with sorafenib: preliminary results Radiol med (2014) 119:215–221 DOI 10.1007/s11547-013-0332-5 Abstract Purpose. This study was undertaken to compare response evaluation criteria in solid tumours (RECIST) 1.1 and modified RECIST (mRECIST) in patients with unresectable hepatocellular carcinoma (HCC) on sorafenib, and to describe HCC enhancement changes before and after sorafenib treatment. Methods and materials. Seventeen patients (12 men, 5 women; mean age 69 years; age range 58–79 years) were included. Tumour response was assessed according to RECIST and mRECIST. Two readers placed a region of interest (ROI) within each target lesion, on the portion showing enhancement during the arterial phase. The lesion attenuation values measured within the ROIs on computed tomography or the signal intensity measured on magnetic resonance imaging, during the unenhanced phase, hepatic arterial phase and venous phase were recorded. Changes in arterial and venous contrast enhancement before and after treatment were compared among the mRECIST groups using Mann–Whitney U test. Results. Agreement between mRECIST and RECIST was good (Cohen’s k coefficient, 0.791). Patients with partial response had a greater decrease in arterial enhancement (-79.8 %) than did patients with stable disease (SD) (-24.8 %; p = 0.011) or progressive disease (PD) (-32.9 %; p = 0.034). No statistically significant difference in arterial enhancement variation was found among patients with SD and PD. No statistically significant difference in venous enhancementwas found among themRECIST groups. Conclusions. mRECIST showed a more favourable response compared to RECIST 1.1 in patients with unresectable HCC receiving sorafenib. T. V. Bartolotta, A. Taibbi, G. Brancatelli, D. Matranga M. Tumbarello, M. Midiri, R. Lagalla Imaging findings of hepatic focal nodular hyperplasia in men and women: aretheyreallydifferent? Radiol med (2014) 119:222–230 DOI 10.1007/s11547-013-0333-4 Abstract Purpose. This study was undertaken to compare the imaging findings of focal nodular hyperplasia (FNH) in men and women, as seen on multidetector computed tomography (MDCT), magnetic resonance imaging (MRI) and contrast-enhanced ultrasound (CEUS). Materials and methods. Two radiologists reviewed 195 imaging studies (17 MDCT, 81 MRI and 97 CEUS examinations) pertaining to 111 FNHs (mean size 3 cm) in 91 patients (mean age 39 years). For each lesion, the readers assessed size, location, echogenicity, attenuation, or signal intensity in comparison with adjacent liver parenchyma on both unenhanced and postcontrast images. Results. Eighty-nine FNHs (mean size 3.1 cm) were observed in 73 women (mean age 37.9 years) and 22 FNHs (mean size 2.7 cm) in 18 men (mean age 41.2 years). No statistically significant differences were found between men and women in terms of age, FNH lesions per patient (1.22 and 1.21, respectively), size, baseline and enhancement pattern on MRI, CEUS and MDCT (p<0.05). A central scar in FNHs was depicted in 4/18 (22.2 %) men and 16/63 (25.4 %) women on MRI (p<0.05), and in 1/2 (50 %) men and 7/15 (46.7 %) women on MDCT (p<0.05), whereas a spoke-wheel pattern, central scar, and/or feeding vessel were seen in 5/17 (29.4 %) men and 22/80 (27.5 %) women on CEUS (p<0.05). Conclusions. Our results did not show any differences in imaging features, age of occurrence and size of FNH between men and women. 178 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:177-181 Hye-Suk Park, Ye-Seul Kim, Ok-Seob Park Sang-Tae Kim, Chang-Woo Jeon, Hee-Joung Kim P. Clauser, V. Londero, G. Como, R. Girometti, M. Bazzocchi, C. Zuiani Effective DQE (eDQE) and dose to optimize radiographic technical parameters: a survey of pediatric chest X-ray examinations in Korea Comparison between different imaging techniques in the evaluation of malignant breastlesions:can3Dultrasoundbeuseful? Radiol med (2014) 119:231–239 DOI 10.1007/s11547-013-0337-0 Radiol med (2014) 119:240–248 DOI 10.1007/s11547-013-0338-z Abstract Abstract Objective. The purpose of this study was to investigate the effect of various technical parameters for dose optimization in pediatric chest radiological examinations by evaluating effective dose and effective detective quantum efficiency (eDQE). Purpose. This study was done to assess the feasibility of three-dimensional ultrasonography (3D-US) for volume calculation of solid breast lesions. Materials and methods. For tube voltages ranging from 40 to 90 kV in 10 kV increments at the focus-to-detector distance (FDD) of 100, 110, 120, 150, 180 cm, the eDQE was evaluated at same effective dose. Results. The eDQE was considerably higher without the use of the grid on equivalent effective dose. This indicates that the reduction of scatter radiation did not compensate for the loss of absorbed effective photons in the grid. The eDQE increased with increasing FDD because of the greater effective modulation transfer function (eMTF) with lower focal spot blurring. However, most of the major hospitals in Korea employed a short FDD of 100 cm with the grid. The entrance surface air kerma values for the hospitals of this survey exceeded the Korean reference level of 100 µGy. Conclusions. The different reference levels might be appropriate for the same examination conducted on children of different ages. Also, it is necessary to refine the technical parameters to perform pediatric chest examinations. Materials and methods The volumes of 36 malignant lesions were measured using conventional 2D-US, 3D-US and magnetic resonance imaging (MRI) and compared with that obtained with histology (standard of reference). With 2D Ultrasouns, volume was estimated by measuring three diameters and calculating volume with the mathematical formula for spheres. With 3D-US, stored images were retrieved and boundaries of masses were manually outlined; volume calculation was performed with VOCAL software. For MRI, volume measurements were obtained with special software for 3D reconstructions, after each lesion had been manually outlined. Histology measured the three main diameters and the volume was estimated using the mathematical formula for spheres. Interclass correlation coefficient (ICC) and Bland–Altman plots were used to assess agreement between the volumes measured. Results ICC indicated that a good level of concordance was identified between 3D-US and histology (0.79). According to the Bland–Altman analysis, limits of agreement of mean differences of the volumes measured with the three imaging modalities were comparable with histology: - 2 -:- 1.5 cm3 for 3D-US; -2.3 -:- 1.3 cm3 for 2DUS and -2.2 -:- 1.6 cm3 for MRI. Conclusions 3D-US is a reliable method for the volumetric assessment of breast lesions. 3D-US is able to provide valuable information for the preoperative evaluation of lesions. 179 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:177-181 M. Belgrano, P. Bregant, M. Fute Djoguela, W. Toscano E. Marchese, M. A. Cova M. Bandirali, L. M. Sconfienza, A. Aliprandi, G. Di Leo D. Marchelli, F. M. Ulivieri, F. Sardanelli 256-slice CT coronary angiography: in vivo dosimetry and technique optimization In vivo differences among scan modes in bone mineral density measurement at dual-energy X-ray absorptiometry Radiol med (2014) 119:249–256 DOI 10.1007/s11547-013-0334-3 Radiol med (2014) 119:257–260 DOI 10.1007/s11547-013-0342-3 Abstract Abstract Purpose. This study was undertaken to compare the different acquisition protocols available in a last-generation multislice computed tomography scanner used for cardiovascular studies, with particular attention to dosimetric aspects. Materials and methods. Our study compared prospective and retrospective electrocardiographic-gating techniques for cardiac imaging. For each patient, we performed in vivo dose measurements, using Gafchromic film. We compared the effective dose values estimated from the experimental measurements and the dose data reported on the CT console. Image quality was also assessed. Results. Prospective acquisition allows for major dose savings compared to retrospective acquisition (mean effective dose, 4.5 mSv with prospective acquisition versus 27.5 mSv with retrospective acquisition). The agreement between the experimental and software-based dose estimates was excellent and showed below 10 % of variation of the measured dose. Conclusion. In patients with regular rhythm and a heart rate lower than 75 bpm, the prospective acquisition technique ensures adequate diagnostic results and allows for significant patient dose savings. Purpose. Our aim was to estimate the in vivo reproducibility of bone mineral density (BMD) at dual-energy X-ray absorptiometry (DXA) and to compare fast array, array, and high-definition scan modes. Materials and methods. A total of 378 patients (38 males and 340 females; mean age 63 ± 9 years) underwent DXA using a QDR-Discovery A densitometer (Hologic). Considering the three scan modes on lumbar spine and right femur, six independent groups of 30 patients were examined twice (for a total of 180 patients). Least significant change (LSC) and smallest detectable difference (SDD) were calculated. The remaining 198 patients underwent three scans of the lumbar spine (n = 92) or of the right femur (n = 106), one for each scan mode. The student t test and Bland–Altman analysis used were. Scan times were recorded and radiation dose was estimated using the ICRP60 method. Results. Intra-scan mode reproducibility was 98–99 %, corresponding to an LSC of 1.49–2.08 %. The SDD was 0.018– 0.023 g/cm2 (lumbar spine) and 0.017–0.019 g/cm2 (right femur). All comparisons among scan modes were statistically significant (p<0.001) but lower than SDDs, i.e. not clinically relevant. Considering lumbar spine and the right femur, scan times were 50 and 38 s for fast array, 98 and 74 s for array, and 195 and 148 s for high definition, respectively; radiation doses were 6.7 and 4.7 mSv for fast array, and 13.3 and 9.3 mSv for both array and high definition, respectively. Conclusion. Since all BMD differences were lower than the SSDs, the three scan modes can be considered interchangeable. As a consequence, although the absolute reduction in time and radiation dose is relatively low, when BMD measurement is the aim of DXA, fast array can be generally preferred. 180 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:177-181 A. M. Ierardi, C. Floridi, F. Fontana, E. Duka, A. Pinto M. Petrillo, E. Kehagias, D. Tsetis, L. Brunese, G. Carrafiello Hui Li, Laura Diaz, Daniel Lee, Lei Cui, Xin Liang Yingsheng Cheng Transcatheter embolisation of iatrogenic renal vascular injuries In vivo imaging of T cells loaded with gold nanoparticles: a pilot study Radiol med (2014) 119:261–268 DOI 10.1007/s11547-013-0343-2 Radiol med (2014) 119:269–276 DOI 10.1007/s11547-013-0335-2 Abstract Abstract Purpose. The aim of our study was to review our experience and long-term follow-up in the treatment of iatrogenic renal vascular injuries using transcatheter embolisation. Purpose. Malignant tumours develop strategies to avoid immune recognition and elimination by T cells, even in individuals with a fully functioning immune system. To explore the treatment approach of adoptive immunotherapy, we exploited T cells loaded with radiolabelled gold nanoparticles (AuNPs) to track T cells in vivo. Materials and methods. Our retrospective analysis of cases collected in two interventional centres consists of a total of 21 patients who underwent renal arterial embolisation (RAE) for iatrogenic arterial kidney bleeding. Biopsy (n = 4), percutaneous nephrolithotomy (n = 4), nephron-sparing surgery (n = 4), guidewire-induced arterial perforation during coronary angiography or renal stenting (n = 3), percutaneous nephrostomy (n = 3), renal endopyelotomy/pyeloplasty (n = 2) and surgical nephrectomy were the iatrogenic causes. Seven patients presented with haemodynamic instability requiring blood transfusion (33.3 %), the remaining were haemodynamically stable (66.7 %). Diagnostic renal angiography revealed 9 actively bleeding vessels, 6 pseudoaneurysms, 4 arteriovenous fistulas and 1 arterio-calyceal fistula. In one patient selective renal arteriography was negative probably because the bleeding observed at CT angiography was self-limited. Twenty-one embolisation procedures were performed in 20 patients; one patient required a second embolisation 3 h after the first one. Embolisation was performed with microcoils, polyvinyl alcohol particles, embospheres, spongostan emulsion and vascular plug. Results. The technical success rate was 100 %. The overall clinical success rate was 95 %. Apart from a patient who died due to disseminated intravascular coagulation, no major complications requiring intensive care treatment were encountered during or after the procedures. No patient required emergency surgery or subsequent surgical treatment. No statistically significant differences in eGFR or renal function stage appeared after RAE. Conclusions. Percutaneous treatment can be proposed as a first-line treatment in iatrogenic renal arterial injuries, resulting in a safe and effective procedure. Materials and methods. Surface-modified AuNPs were radiolabelled with 111In or 64Cu. They were then transferred into T cells via electroporation. To evaluate the effectiveness of this process, T cells loaded with 111In-radiolabelled AuNPs were injected directly into the right lung of nude mice for in vivo imaging by micro-SPECT/CT. T cells loaded with 64 Cu-radiolabelled AuNPs were then injected into the tail vein of nude mice and imaged by micro-PET/CT. Results. High uptake signals were observed in the right lung following the direct injection of T cells containing 111In-labelled AuNPs. Imaging showed a marked difference in the dynamic biodistribution of T cells containing 64Cu-labelled AuNPs when compared with 64Cu-labelled AuNPs alone. Conclusions. This study demonstrated the feasibility of the in vivo imaging of T cells loaded with radiolabelled AuNPs. 181 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:177-181 R. Orecchia, V. Vitolo, M. R. Fiore, P. Fossati, A. Iannalfi B. Vischioni, A. Srivastava, J. Tuan, M. Ciocca, S. Molinelli, A. Mirandola, G. Vilches, A. Mairani, B. Tagaste, M. Riboldi, G. Fontana, G. Baroni, S. Rossi, M. Krengli Proton beam radiotherapy: report of the first ten patients treated at the ‘‘Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica (CNAO)’’ for skull base and spine tumours Radiol med (2014) 119:277–282 DOI 10.1007/s11547-013-0345-0 Abstract Purpose. The Italian National Centre for Oncological Hadrontherapy (Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica, CNAO), equipped with a proton and ion synchrotron, started clinical activity in September 2011. The clinical and technical characteristics of the first ten proton beam radiotherapy treatments are reported. Materials and methods. Ten patients, six males and four females (age range 27–73 years, median 55.5), were treated with proton beam radiotherapy. After one to two surgical procedures, seven patients received a histological diagnosis of chordoma (of the skull base in three cases, the cervical spine in one case and the sacrum in three cases) and three of low-grade chondrosarcoma (skull base). Prescribed doses were 74 GyE for chordoma and 70 GyE for chondrosarcoma at 2 GyE/fraction delivered 5 days per week. Results. Treatment was well tolerated without toxicityrelated interruptions. The maximal acute toxicity was grade 2, with oropharyngeal mucositis, nausea and vomiting for the skull base tumours, and grade 2 dermatitis for the sacral tumours. After 6–12 months of follow-up, no patient developed tumour progression. Conclusions. The analysis of the first ten patients treated with proton therapy at CNAO showed that this treatment was feasible and safe. Currently, patient accrual into these as well as other approved protocols is continuing, and a longer follow-up period is needed to assess tumour control and late toxicity. A. Orlacchio, A. M. Ciarrapico, O. Schillaci, F. Chegai D. Tosti, F. D’Alba, M. Guazzaroni, G. Simonetti PET–CT in oncological patients: analysis of informal care costsin cost–benefit assessment Radiol med (2014) 119:283–289 DOI 10.1007/s11547-013-0340-5 Abstract Purpose. The authors analysed the impact of nonmedical costs (travel, loss of productivity) in an economic analysis of PET–CT (positron-emission tomography–computed tomography) performed with standard contrast-enhanced CT protocols (CECT). Materials and methods. From October to November 2009, a total of 100 patients referred to our institute were administered a questionnaire to evaluate the nonmedical costs of PET–CT. In addition, the medical costs (equipment maintenance and depreciation, consumables and staff) related to PET–CT performed with CECT and PET–CT with low-dose nonenhanced CT and separate CECT were also estimated. Results. The medical costs were 919.3 euro for PET–CT with separate CECT, and 801.3 euro for PET–CT with CECT. Therefore, savings of approximately 13 % are possible. Moreover, savings in nonmedical costs can be achieved by reducing the number of hospital visits required by patients undergoing diagnostic imaging. Conclusions. Nonmedical costs heavily affect patients’ finances as well as having an indirect impact on national health expenditure. Our results show that PET–CT performed with standard dose CECT in a single session provides benefits in terms of both medical and nonmedical costs. Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:182-189 xxx CARDIORADIOLOGIA Cardio-tc con apparecchiatura a 256 strati ottimizzazione della tecnica e valutazione dosimetrica M. Belgrano1, P. Bregant2, M. Fute Djoguela1, W. Toscano1, E. Marchese1, M. A. Cova1 1 UCO di Radiologia, Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e della Salute, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Trieste Ospedale di Cattinara, strada di Fiume 447, Trieste, Italia, e-mail: [email protected] 2 S.C. Fisica Sanitaria, Ospedale Maggiore, Azienda Ospedaliero-Universitaria “Ospedali Riuniti” di Trieste, strada di Fiume 447, Trieste, Italia Indirizzo Autore: M. Belgrano, Tel./Fax: +39-040-3994967, e-mail: [email protected] Ricevuto: 24 Aprile 2012 / Accettato: 24 Gennaio 2013 Riassunto Obiettivo. confrontare i diversi protocolli di scansione disponibili su un tomografo multistrato di ultima generazione per lo studio del cuore e delle arterie, considerando in particolare gli aspetti dosimetrici. Materiali e Metodi. si sono confrontate le tecniche prospettica e retrospettiva per l’indagine cardiaca. Per ciascun paziente sono state effettuate misure di dose in vivo, mediante pellicole gafcromiche. Si sono confrontati i valori di dose efficace stimati dalle misure sperimentali e dagli indicatori di dose riportati sulla consolle. E’ stata valutata la qualità delle immagini seguendo il sistema di classificazione della American Heart Association. Risultati. la tecnica di acquisizione prospettica garantisce un significativo risparmio di dose al paziente rispetto alla tecnica retrospettiva (Valore medio della Dose Efficace: 4.5 mSv con tecnica prospettica e 27.5 mSv con tecnica retrospettiva). L’accordo tra le stime di dose sperimentali e mediante software è ottimo e contenuto entro il 10% della dose misurata. Conclusioni. nei pazienti con battito cardiaco regolare e frequenza fino a 75 bpm, la tecnica di acquisizione prospettica garantisce un adeguato risultato diagnostico e consente un significativo risparmio di dose al paziente . Parole chiave tomografia computerizzata multistrato, angio-TC, dosimetria, pellicole gafcromiche Introduzione L’angiografia coronarica mediante tomografia computerizzata multistrato (AC-TCMS) costituisce una delle maggiori innovazioni in campo medico diagnostico degli ultimi dieci anni [1]. Fin dalla sua introduzione in ambito clinico nel 1998, la diagnostica per immagini del cuore e delle arterie coronarie ha rappresentato uno dei campi di maggior interesse della TC multistrato (TCMS) [2, 3]. Malgrado le rilevanti implicazioni epidemiologiche ed economico-sanitarie della cardiopatia ischemica [4], lo studio dell’albero coronarico con metodiche di tipo non invasivo è stato per molti decenni un problema di difficile soluzione per limiti tecnici intrinseci, rimanendo dominio quasi esclusivo della coronarografia selettiva, procedura gravata da una non trascurabile mortalità e morbilità [5-7]. L’elevata risoluzione spaziale e temporale ottenibile soprattutto con gli apparecchi TCMS a 16, 32, 40 e 64 canali e la possibilità di ottenere un’adeguata cardiosincronizzazione ha consentito di superare almeno in parte tali limitazioni, dando luogo ad una rivoluzione nella gestione del paziente coronaropatico [8, 9]. I numerosi studi clinici pubblicati in questi ultimi anni hanno ormai ampiamente dimostrato come la TCMS rappresenti una metodica dalla elevata accuratezza diagnostica sia per quanto riguarda la valutazione delle stenosi coronariche sia per il follow-up della pervietà dei by-pass aorto-coronarici [10-17]. Le maggiori limitazioni della TCMS dipendono da limiti di risoluzione della metodica e pertanto, come sottolineato da Achenbach nel 2004, la chiave per ottenere prestazioni diagnostiche sempre più accurate è l’incremento della risoluzione sia spaziale sia temporale [18]. I rapidi avanzamenti tecnologici della TCMS hanno infatti incrementato l’accuratezza diagnostica dell’imaging non invasivo delle arterie coronarie migliorando la qualità dell’immagine sia dal punto di vista della risoluzione spaziale sia temporale. Il sempre più largo impiego dell’AC-TCMS ha enfatizzato la necessità di un controllo sulla dose al paziente durante queste procedure. Fin dai primi anni del suo sviluppo il problema della dose di radiazioni ha condizionato lo sviluppo della metodica [19, 20] risultando uno dei suoi principali problemi. Tutt’ora la dose di radiazioni rappresenta la maggiore critica che viene rivolta alla metodica. Le forti perplessità in questo senso hanno spinto le case produttrici allo sviluppo di apparecchiature non solo dotate di maggior copertura lungo l’asse Z, ma anche capaci di contenere la dose al paziente in modo sempre più efficace. La revisione della letteratura, si basa principalmente su esperienze effettuate con apparecchiature a 64 strati ed evidenzia come sia oggi possibile effettuare un’indagine di AC-TCMS somministrando una dose efficace pari ad 1-7 mSv in media, a seconda della complessità e della compliance delle popolazioni di pazienti che vengono arruolate per l’indagine [21, 22]; con apparecchiature di nuova generazione (con numero 183 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:182-189 di strati maggiore di 64) è possibile effettuare indagini con dose efficace uguale o inferiore ad 1 mSv [22-24] Lo scopo di questo lavoro è valutare gli aspetti dosimetrici dell’AC-TCMS con apparecchiatura a 256 strati tramite misure in vivo sul paziente con strisce di pellicole GAFCROMICH posizionate sulla cute e confrontarli con quelli calcolati dal software dello scanner. Materiali e metodi Nel periodo compreso tra novembre 2010 e maggio 2011, sono stati arruolati un totale di 41 pazienti - 29 di sesso maschile, 12 di sesso femminile, con età media di 63 anni (range 34 – 89 anni) - sottoposti ad angio-TC coronarica mediante TCMS (AC-TCMS) con apparecchiatura TCMS a 256 strati (Brillance iCT, Philips Healthcare, Eindoven; Olanda). I pazienti presentavano un BMI medio di 26.7 Kg/m2 (range: 17,5–36 Kg/m2) ed una frequenza cardiaca media di 66.9 bpm (range: 50-95 bpm), e sono stati sottoposti ad AC-TCMS per differenti indicazioni cliniche (Tabella 1). Tabella 1 Caratteristiche dei pazienti ed indicazioni cliniche Indicazioni cliniche Valutazione aorta toracica 10 (22%) Coronaropatia nota e sospetta coronaropatia 8 (18%) Valutazione atrio sinistro e vene polmonari 7 (16%) Angina stabile od instabile 6 (14%) Pazienti con indicazioni chirurgiche 6 (14%) Pazienti asintomatici con molteplici fattori di rischio 4 (9%) Pregresso bypass 1 (2%) Intervento programmato di PTCA 1 (2%) Pregresso posizionamento di Stent 1 (2%) Preparazione del paziente Tutti i pazienti sottoposti all’indagine hanno ricevuto b-bloccanti ad emivita breve (100 mg di esmololo, Brevibloc - Baxter Inc. - New Jersey USA) quando la frequenza cardiaca pre-esame è risultata superiore a 75 bpm; in virtù della breve emivita del farmaco utilizzato la somministrazione è avvenuta immediatamente prima della scansione angiografica; Inoltre è stata valutata la capacità di mantenere un’apnea sufficiente per il periodo di acquisizione del volume di dati, in media pari a 4 – 12 secondi. In assenza di controindicazioni, pochi minuti prima della scansione è stato somministrato del nitrato sublinguale (0,6-1,2 mg di nitroglicerina, Natispray - Theofarma srl - Salimbene - Italia). Protocolli di scansione Per alcuni pazienti (16), quando richiesto dal clinico inviante, è stata eseguita una fase pre-contrastografica mirata alla quantificazione del calcio coronarico. La quantità di calcio a livello delle pareti delle arterie coronarie è stata valutata mediante tecnica Ca-score seguendo il protocollo di Agaston. Durante la fase contrastografica il mezzo di contrasto (MdC) organo-iodato ad alta concentrazione (Iomeprolo 400mgI/ml - Iomeron 400 - Bracco - Italia) è stato somministrato per via endovenosa attraverso una vena antecubitale del braccio destro, mediante un’agocannula da 18 gauge; è stato iniettato con un flusso di 4-6 ml/s un volume totale di MdC (VT) calcolato con la seguente formula: VT = flusso x (tempo di attesa + tempo di scansione) + (10 cc) La differenza di flusso è condizionata dalla disponibilità di un valido accesso periferico. La somministrazione del MdC è stata poi seguita da un bolo di soluzione fisiologica di 40 ml con lo stesso flusso, utilizzando un iniettore automatico Stellant a doppia testa (Medrad, Indianola, USA). La scansione è stata sincronizzata al bolo di contrasto mediante protocollo di triggering Bolus Tracking fornito dall’apparecchiatura che prevede il posizionamento di una ROI in aorta discendente ed un valore soglia regolato in 100 HU sopra il valore basale. Le indagini sono state acquisite mediante protocollo di triggering cardiaco prospettico (che esegue acquisizioni assiali centrate generalmente al 78% dell’intervallo R-R), o retrospettivo (basato su un’acquisizione elicoidale con ricostruzione retrospettiva delle immagini isocardiofasiche), a seconda delle differenti esigenze cliniche e della frequenza cardiaca dopo la somministrazione del beta-bloccante. I parametri di scansione dei protocolli d’esame sono riassunti nella Tabella 2. Valutazione dosimetrica Per ciascun paziente, oltre a registrare i valori di CTDI e DLP della consolle, sono state effettuate misure di dose in vivo mediante l’impiego di speciali pellicole autosviluppanti, commercialmente note come Gafcromich XR-QA, che si anneriscono durante l’esposizione. Queste pellicole tagliate a strisce larghe circa 1 cm e protette da pellicola di plastica per evitare il contatto con la cute, sono state posizionate sul paziente per tutta la durata dell’esame a livello sternale, lungo la linea ascellare media a destra e a sinistra e nello spazio interscapolare. Le strisce appoggiate sul torace erano lunghe circa 24 cm, le altre 10 cm. Le pellicole sono calibrate in modo da ottenere la dose in funzione del loro livello di annerimento che si ricava acquisendo un’immagine delle pellicole con uno scanner. La funzione utilizzata è la seguente: Dose = 1/a (1/(x-c) – b) dove x indica il livello di grigio, ed a, b e c sono parametri della funzione (a = 1,17E-06, b = 3,31E-05, c = 6994) Con questa metodica è stato possibile ricavare il profilo di dose lungo l’asse Z a livello della cute e stimare un indicatore dosimetrico sperimentale, definito INDS, utilizzato al posto del valore del CTDIvol [25] per il calcolo del DLP. Per ciascun esame sono state effettuate due stime di dose efficace, indicate rispettivamente come DEPhilips e DEsper, ottenute moltiplicando il DLP per il fattore di normalizzazione EDLP (mSv mGy-1 cm-1), pari a 0.017 per il distretto toracico. Per stimare DEPhilips è stato utilizzato il valore del DLP totale dell’esame dichiarato sul report dosimetrico prodotto dalla macchina. Per calcolare DEsper,il valore del DLP è stato ottenuto come prodotto tra l’indicatore dosimetrico sperimentale INDS e il range di scansione. 184 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:182-189 Tabella 2 Parametri di scansione e ricostruzione; impiego mezzo di contrastro Parametri Retrospettivo Prospettico 128x2 / 96 x 2 128x2 0,625 0,625 100 - 120 80 – 120 mAs 800 115 - 200 Pitch 0,17-0,18 - 270 270 4 - 12 4 - 12 0,8 - 0,9 0,8 - 0,9 250 250 CB/XCB CB/XCB Detailed cardiac Detailed cardiac Scansione Detettori Collimazione (mm) Tensione (kV) Tempo di rotazione (msec) Tempo di scansione (sec) Ricostruzione Spessore dello strato FOV (mm) Filtro di convoluzione (kernel) Risoluzione temporale Mezzo di contrasto Tecnica di sincronizzazione Bolus tracking Bolus tracking Aorta discendente Aorta discendente 60 - 100 60 - 100 Velocità di flusso (ml/s) 4-6 4-6 Concentrazione (mgI/ml) 400 400 Antecubitale destro Antecubitale destro ROI Volume (ml) Accesso venoso Risultati Dei 41 pazienti inizialmente arruolati, 5 pazienti sono stati esclusi dallo studio per problemi tecnici legati sia al sistema di lettura delle pellicole, sia ad anomalie del software che produce il report dosimetrico del tomografo. La popolazione eleggibile per lo studio si è ridotta quindi a 36 pazienti (24 maschi e 12 femmine). In base alle esigenze diagnostiche e alle caratteristiche fisiche del paziente, gli esami sono stati eseguiti utilizzando 5 diverse modalità di acquisizione: come evidenziato in Tabella 3, il 42% (15/36) dei pazienti è stato investigato con il protocollo prospettico (solo prospettico o prospettico con Ca-score), il 50% (18/36) con protocollo retrospettivo (distinto a sua volta in solo retrospettivo e retrospettivo con Ca-score), riservato principalmente ad indagini volte allo studio di pazienti con frequenza cardiaca elevata (> 75 bpm), in presenza di frequenti extrasistole o quando fosse richiesto lo studio di tutto il torace (indicazioni ad intervento cardiochirurgico o controllo di bypass in mammaria). In un limitato numero di casi (3/36) il paziente è stato sottoposto a doppia indagine, a causa del risultato non diagnostico dell’esame eseguito con protocollo prospettico a causa della presenza di extrasistole che hanno comportato la presenza di artefatti da movimento; in questi casi il protocollo retrospettivo permette una più sicura gestione delle extrasistole, soprattutto in considerazione della necessità di una seconda somministrazione di MdC, che è stata eseguita dopo aver verificato che la dose totale di mezzo di contrasto fosse compatibile con la funzionalità renale del Paziente. In tali casi si è optato per l’esecuzione di una seconda scansione con tecnica retrospettiva, in quanto fornisce maggiori garanzie di successo (per la possibilità di eseguire post processing), anche considerando l’impossibilità di somministrare ulteriore mezzo di contrasto. La dose registrata in corso di tali indagini, ovviamente maggiore della media in ragione della doppia scansione, è stata comunque conteggiata come dose di un singolo esame, in quanto si è considerato come la ripetizione di un indagine possa essere un evento fisiologico nella pratica clinica. Il BMI medio e la frequenza media per i pazienti sottoposti al protocollo prospettico è risultato essere rispettivamente pari a 26,3 ± 3,3 Kg/m2 e 67,1 ± 11,9 bpm, mentre per il protocollo retrospettivo pari a 27,08 ± 3,96 Kg/m2 e 66,7 ± 7,7 bpm. La DEPhilips media stimata utilizzando i dati registrati sulla consolle di acquisizione è stata pari a 2,6 mSv (range 1,1 ÷ 7,8 mSv) in caso di protocollo prospettico semplice e pari a 5,7 mSv (range 4,7 ÷ 8,2 mSv) in caso di protocollo prospettico associato al Ca-score; per il protocollo retrospettivo la DEPhilips media è risultata pari a 27 mSv (range 14,2 ÷ 56,4 mSv) in caso di protocollo retrospettivo semplice e pari a 17,4 mSv (range 10,3 ÷ 23,5 mSv) in caso di protocollo retrospettivo associato al Ca-score (Figura 1). La DEsper ottenuta a partire dalla dosimetria in vivo è risultata pari a 3 mSv (range 1,1 ÷ 9,8 mSv) in caso di protocollo pro- 185 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:182-189 spettico semplice, 5,9 mSv ( range 3,4 ÷ 10,5 mSv) in caso di protocollo prospettico associato al Ca-score, 31,7 mSv (range 15,7 ÷ 73,8 mSv) in caso di protocollo retrospettivo semplice e 17.1 mSv (range 8,5 ÷ 24,6 mSv) in caso di protocollo retrospettivo associato al Ca-score. I dati sono sinteticamente riportati nella Tabella 3. Nella Tabella 4 sono evidenziati i valori dosimetrici delle indagini suddivise per tensione applicata al tubo radiogeno. L’analisi delle pellicole gafchromiche ha consentito di tracciare dei profili di dose che descrivono i valori dosimetrici registrati dalla pellicola punto per ogni punto lungo l’asse Z; tali profili presentano caratteristiche peculiari a seconda che le pellicole siano state esposte ad in corso di un’indagine eseguita con tecnica prospettica assiale (figura 2), o retrospettiva spirale (Figura 3). Discussione Attualmente la letteratura basata sull’utilizzo di apparecchiature a 64 strati dimostra come la metodica AC-TMS comporti una dose di radiazioni necessaria all’esecuzione dell’indagine non trascurabile [22, 26, 27] e come si osservi una riduzione della performance diagnostica quando la frequenza cardiaca è irregolare e/o elevata (>65 bpm)[27-30]. L’apparecchiatura a 256 strati su cui è stato eseguito il nostro studio consente, in virtù della sua elevata risoluzione temporale,, di eseguire indagini di cardio-TC con tecnica prospettica anche in pazienti con frequenza cardiaca elevata, difficilmente valutabili con apparecchiature di precedente generazione. Tale tecnica consente un significativo risparmio di dose rispetto alla tradizionale tecnica di acquisizione con Tabella 3 Confronto tra i valori delle Dosi efficaci medie stimate a partire dagli indicatori dosimetrici sperimentali e riportati sulla consolle Protocollo DEPhilips Media DEsper Media Prospettico 2.6 mSv 3.0 mSv Prospettico con Ca-Score 5.7 mSv 5.9 mSv Retrospettivo 27.0 mSv 31.7 mSv Retrospettivo con Ca-Score 17.4 mSv 17.1 mSv Prospettico+Retrospettivo con Ca-Score 16.1 mSv 18.0 mSv Tabella 4 Caratteristiche dosimetriche degli esami suddivise per tensione del tubo radiogeno Numero pazienti (%) TECNICA ASSIALE (+ Ca-score*) TECNICA SPIRALE (+Ca-score*) TECNICA ASSIALE + SPIRALE (+ Ca-score) DE= Dose Efficace DE media consolle DE media sperimentale 80 kV 5 (14%) 1,6 1,8 100 kV 1 (3%) 2,4 2,2 120kV 1 (8*) (25%) 7,8 (5,7*) 9,8 (5,5*) 80 kV - - - 100kV 2 (1*) (8%) 16,6 (10,3*) 20,1 (8,5*) 120kV 11 (4*) (42%) 28,9 (19,2*) 33,8 (19,2*) 120 kV 3 (8%) 25,3 27,6 186 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:182-189 Fig. 1 Confronto tra i valori di Dose Efficace media in funzione del protocollo utilizzato. Fig. 2 (A) Picchi di dose a livello delle curve dosimetriche dovuti alla sovrapposizione dei pacchetti ed al Bolus Tracking, (B) pattern complesso della curva dosimetrica di una scansione assiale con acquisizione di 4 slab, l’ultimo dei quali è compreso solo parzialmente sul grafico in quanto esteso oltre la pellicola gafcromica. (In questo Paziente è stato acquisito tutto il distretto toracico in relazione al quesito clinico di studio delle coronarie e dell’aorta toracica). Fig. 3 Differente spaziatura fra i picchi dosimetrici nelle scansioni spirali, spiegabile con il sovrapporsi delle dosi delle singole rotazioni. ricostruzione retrospettiva delle immagini. I nostri risultati confermano le potenzialità di questa tecnica. La dose efficace media per gli esami eseguiti con le acquisizioni assiali è risultata inferiore di più dell’80% rispetto alla dose efficace media stimata per gli esami ottenuti con tecnica spirale (Figura 1). Il risparmio di dose è evidente, anche se è necessario precisare che il valore medio della dose efficace stimata per il gruppo di pazienti indagati con la modalità retrospettiva è particolarmente elevato a causa del range di scansione medio particolarmente ampio (valore medio pari a 30.6 cm per gli esami senza Ca-score e 19.1 cm per gli esami con Ca-score). In più casi infatti, per indagare problemi specifici dei pazienti sono Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:182-189 stati selezionati distretti più ampi della sola regione cardiaca in quanto nella pratica clinica è spesso necessario indagare oltre al distretto coronarico anche l’aorta toracica o il decorso dei bypass confezionati isolando la mammaria interna. Se si rinormalizza la dose efficace ipotizzando un range di scansione tipico di un esame cardiaco (circa 16 cm) si stima un valore di DEsper media pari a 15.1 mSv, del tutto sovrapponibile rispetto a quanto riportato in letteratura (14-18 mSv) [31] [32, 33]. Da ciò si può evincere come nelle scansioni spirali con gating retrospettivo l’avvento delle apparecchiature di nuova generazione (successiva ai 64 strati) non abbiano determinato una consistente riduzione della dose [22]. Anche stimando il risparmio di dose con tecnica prospettica rispetto al valore di dose rinormalizzato, il risultato rimane comunque considerevole (pari a circa il 70%). 187 La qualità complessiva dell’esame eseguito con acquisizione assiale è risultata più che soddisfacente, confermando che non sempre è necessario utilizzare il protocollo standard di acquisizione con ricostruzione retrospettiva delle immagini. Una delle maggiori critiche all’AC-TMS da parte del mondo cardiologico è basata sul fatto che la dose al paziente è superiore a quella necessaria per effettuare una coronarografia convenzionale diagnostica (CAG); tale problematica risulta pertanto superata qualora sia possibile adottare la tecnica prospettica, caratterizzata da una bassa dose. Bisogna comunque considerare che si tratta di un’indagine puramente diagnostica, e ciò obbliga il clinico ad una attenta selezione del Paziente che deve avere una elevata probabilità pre-test di assenza di patologia [32, 34]. I fattori discriminanti per selezionare il protocollo di acquisi- Fig 4 Ricostruzioni cMPR del circolo coronarico destro e sinistro. RCA: coronaria destra; PDA: coronaria discendente posteriore; LAD: coronaria discendente anteriore con piccola placca mista al terzo medio-prossimale; CX: coronaria circonflessa. 188 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:182-189 zione sono la regolarità del tracciato ECG e la frequenza cardiaca, che non dovrebbe superare la soglia dei 75 bpm con la nostra apparecchiatura. Il controllo della frequenza cardiaca costituisce pertanto un elemento fondamentale del protocollo di esecuzione della AC-TMS [35], senza la quale i vantaggi offerti dalle macchine più performanti non possono essere adeguatamente sfruttati ed i risultati non saranno quelli attesi. È quindi essenziale la gestione farmacologica dei pazienti [36, 37] mediante la somministrazione di farmaci beta-bloccanti. Se si differenziano le indagini in base alla tensione del tubo impostata, si apprezza un importante risparmio di dose con le indagini eseguite a bassa tensione (80 - 100 kV) rispetto a quelle acquisite ad alto kilovoltaggio (120 kV). Il valore medio della variazioni percentuali tra DEsper e DEPhilips, inferiore al 10%, indica che le stime di dose efficace ottenute rispettivamente utilizzando le misure di dose in-vivo e gli indicatori dosimetrici riportati sulla consolle sono in ottimo accordo, considerando che l’incertezza della misura mediante pellicole Gafcromich è dell’ordine del 10-12%. È pertanto da considerarsi affidabile il report dosimetrico fornito dal software del sistema. L’analisi dei profili di dose a livello della cute ricavati dalla scansione della pellicola posizionata sullo sterno, lunga circa 24 cm, è risultata fondamentale per approfondire i principi metodologici delle due tecniche. Le scansioni assiali prevedono l’esecuzione di una serie di pacchetti che sono sovrapposti per alcuni mm, al fine di consentire al software dello scanner di fondere le immagini in un unico dataset; questa sovrapposizione è bene evidente nelle curve dosimetriche come un picco di dose lungo l’asse Z e ampio alcuni mm, con valori circa doppi rispetto alla dose media del plateau (Figura 2); una tipica scansione del solo distretto cardiaco richiede l’esecuzione di due – tre slab a seconda della conformazione del cuore; quando si acquisisce l’intero distretto toracico sono necessari tipicamente 4 – 5 slab. Dal profilo di dose è possibile ricavare anche le informazioni relative alla posizione del bolus tracking, che si colloca solitamente all’estremo craniale dell’area di scansione quando si studia solo il distretto cardiaco, ed all’interno (solitamente al centro) della curva quando si studia tutto il torace (Figura 3). Il contributo del bolus tracking alla dose è molto variabile; il report dosimetrico riportato in figura 5 evidenzia come il valore del DLP del tracker possa arrivare a un valore pari al 25% del DLP della scansione angiografica, oltretutto senza produr- re immagini (per un contributo assoluto di circa 0.16 mSv). Ciò sembra dipendere dalla durata temporale della scansione del tracker, legata a sua volta al differente tempo di circolo del Paziente in esame, che comporta una dose maggiore in Pazienti con funzione di pompa ridotta. Questa osservazione ha consentito di ottimizzare il protocollo di indagine, allungando la cadenza delle scansioni del tracker (modificato da 1 scansione/0.5 s a 1 scansione/s) e permettendo di ridurre la dose al Paziente. Conclusioni Lo studio ha verificato l’affidabilità del report dosimetrico generato dal software dell’apparecchiatura. Il contributo fornito dalla nuova generazione di scanner, come quello in dotazione nel nostro Istituto, si comprende valutando le dosi ottenute nelle scansioni con tecnica assiale, molto più basse rispetto alle scansioni spirali. Lo scanner in uso presso il nostro Istituto, dotato di una risoluzione temporale di 135 ms consente di indagare in sicurezza con tecnica prospettica Pazienti con frequenza cardiaca fino a 75 bpm, permettendo quindi un consistente risparmio di dose. L’uso del beta-bloccante appare quindi necessario non solo per il miglioramento della qualità dell’indagine, ma anche per estendere l’acquisizione prospettica a bassa dose ad una maggior quota di Pazienti. Nei Pazienti per i quali sia necessario eseguire un’acquisizione spirale risulta utile l’esecuzione di una scansione diretta a bassa dose (Ca-score) al fine di limitare quanto più possibile l’estensione della scansione spirale ad elevata dose. Nelle scansioni assiali, per le quali la scansione del bolus tracker costituisce una frazione consistente della dose totale è opportuno ridurre la cadenza del tracker. L’utilizzo di basse tensioni si rivela estremamente efficace nel ridurre la dose al Paziente, con il limite della costituzione fisica (con BMI > 28 non si possono utilizzare basse tensioni per l’eccessivo rumore di immagine); si rende pertanto necessario utilizzare bassi valori di kV quando possibile. Il medico Radiologo deve essere a conoscenza delle tecniche di acquisizione dell’indagine AC-TMS mediante protocolli a risparmio di dose in modo da limitare l’esposizione del paziente e proporre il protocollo di scansione più adeguato in base all’indicazione clinica. Per citare questo articolo: Belgrano M, Bregant P, Fute Djoguela M, Toscano W, Marchese E, Cova MA (2014) 256-slice CT coronary angiography: in vivo dosimetry and technique optimization. Radiol med 119(4):249-256 La Radiologia Medica http://link.springer.com/journal/11547 BIBLIOGRAFIA 1. Cademartiri F, Runza G, Belgrano M et al (2005) Introduction to coronary imaging with 64-slice computed tomography. Radiol Med 110:16-41 2. Ohnesorge B, Flohr T, Becker C et al (2000) Cardiac imaging by means of electrocardiographically gated multisection spiral CT: initial experience. Radiology 217:564-571 3. Passariello R, De Santis M (2001) Coronary artery disease. Update and prospects of radiologic imaging with CT and MR. Radiol Med 101:411-423 4. Yusuf S, Reddy S, Ounpuu S et al (2001) Global burden of cardiovascular diseases: part I: general considerations, the epidemiologic transition, risk factors, and impact of urbanization. Circulation 104:27462753 5. Achenbach S US, Baum U et al (2000) Noninvasive coronary angiography by retrospectively ECG-gated multislice 189 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:182-189 spiral CT. Circulation 102:2823-2828 6. 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Galea, Tel.: +39-328-2231647, Fax: +39-06-490243, E-mail: [email protected] Ricevuto: 25 Luglio 2012 / Accettato: 11 Gennaio 2012 Riassunto Introduzione Obiettivo. Scopo del lavoro è stato valutare con Risonanza Magnetica Cardiaca (RMC) la prevalenza di interessamento del ventricolo destro (VD) in una popolazione di pazienti con infarto miocardico rispetto a quella evidenziata da manifestazioni cliniche e criteri elettrocardiografici ed ecocardiografici. L’infarto miocardico (IM) acuto del ventricolo destro (VD) si riscontra in circa la metà dei casi di infarto della parete inferiore ventricolare sinistra, nel 40% degli IM anteriori [2] e solamente nel 3% dei casi è presente come entità clinica isolata [1]. Dal punto di vista prognostico l’interessamento destro ha un significativo impatto negativo in termini di mortalità intraospedaliera (incremento del 28% nel caso di IM inferiori [3]) e comporta un rischio da due a tre volte maggiore di complicazioni maggiori quali shock cardiogeno, eventi aritmici potenzialmente fatali (p. es. fibrillazione ventricolare o blocco atrio-ventricolare completo) o di complicanze meccaniche, come rottura del setto interventricolare, rottura di cuore, tamponamento cardiaco [2, 4-6]. Inoltre, gli effetti emodinamici di una disfunzione acuta del ventricolo destro si traducono in riduzione del ritorno venoso sinistro e con ulteriore riduzione nella gittata cardiaca in una già compromessa contrattilità ventricolare sinistra [4, 7]. Un riconoscimento precoce dell’estensione del danno ischemico al VD ha quindi un ruolo importante nel determinare la prognosi e predisporre una strategia di trattamento più appropriata [8-9], non sovrapponibile agli IM sinistri, mirata alla ottimizzazione del precarico ventricolare [4] ed alla sincronizzazione atrioventricolare, con abbondante infusione di liquidi e somministrazione di farmaci inotropi come la dobutamina [10][10]. Nella pratica clinica, la diagnosi di IM del VD è clinicamente formulata sulla base di segni obiettivi, elettrocardiografici ed ecocardiografici, tuttavia tali criteri presentano dei limiti e l’entità rimane spesso misconosciuta [11, 12]. Il ventricolo destro è, infatti, tecnicamente mal esplorabile dal punto di vista ecocardiografico per la mancanza di un’adeguata finestra acustica e presenta una particolare conformazione anatomica per la quale anomalie della motilità regionale del VD possono essere di difficile interpretazione [12]. I segni elettrocardiografici, tipicamente sulle derivazioni V1, V2, V3R e V4R, sono presenti solo quando coinvolta la parete inferiore e possono essere transitori o “mascherati” dalle alterazioni dovute all’IM acuto ventricolare sinistro; inoltre le derivazioni precordiali destre non vengono utilizzate routinariamente. Materiali e metodi. 97 pazienti consecutivi ammessi alla nostra istituzione per infarto miocardico acuto sono stati sottoposti ad uno studio standard di RMC entro 5 giorni dall’evento. La presenza nel miocardio ventricolare destro di edema e di late enhancement è stata posta a confronto con la localizzazione dell’infarto (anteriore e inferiore), con i rilievi clinico-strumentali e con i reperti di RMC (volumi ventricolari, area a rischio, estensione dell’infarto). L’analisi statistica è stata eseguita utilizzando il test t di Student per campioni indipendenti e la K statistica. Risultati. Tra i 97 pazienti inclusi nello studio, la diagnosi di infarto del VD è stata posta in 12,14 e 24 casi rispettivamente mediante dati clinici, ECG ed ecocardiografici. La RMC ha dimostrato la presenza di edema miocardico e late enhancement del VD rispettivamente in 48 e 32 pazienti. Il VD è stato interessato dall’ischemia nel 46% dei pazienti con IM inferiore (15/32) e nel 30% dei pazienti con IM anteriore (17/56), correlandosi ad un peggioramento della performance ventricolare sia destra che sinistra (p: 0.001-0.05). Conclusioni. Il ventricolo destro è frequentemente coinvolto dall’infarto miocardico, associandosi a una peggiore compromissione funzionale di entrambi i ventricoli e ad una peggiore prognosi. Questo rilievo, spesso sottostimato dai tradizionali test cardiologici, è ben rivelato dalla RMC con potenziale impatto clinico-terapeutico. Parole chiave Risonanza Magnetica Cardiaca; Ventricolo Destro; Cardiopatia ischemica; Infarto miocardico acuto della parete anteriore; Infarto miocardico acuto della parete inferiore 191 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:190-197 L’ottimale visualizzazione del ventricolo destro, rilevando accuratamente i contorni dell’area ischemica e dell’area a rischio, eleva la Risonanza Magnetica Cardiaca (RMC) a metodica d’elezione nell’evidenziare l’estensione del danno miocardico, ma anche nella stima della compromissione funzionale conseguente all’evento ischemico [13]. Lo scopo del nostro studio è stato valutare retrospettivamente l’incidenza dell’interessamento del ventricolo destro in pazienti con infarto miocardico acuto (IM) utilizzando come metodica di riferimento la RMC e confrontando i risultati con i rilievi clinico-strumentali. Materiali e metodi Popolazione di Studio Nel periodo compreso tra Aprile 2007 e Novembre 2011, 97 pazienti consecutivi con infarto miocardico acuto e sopraslivellamento ST (STEMI) trattati successivamente mediante rivascolarizzazione sono stati sottoposti a RMC. I criteri di inclusione sono stati: 1) Dolore precordiale suggestivo per ischemia miocardica con durata superiore ai 30 minuti e valori elevati dei marcatori di danno miocardico (troponine I o T, CK-MB) trattato entro le 12 ore dall’insorgenza mediante angioplastica coronarica; 2) Sopraslivellamento del tratto ST >0.1mV (0.1mm) in almeno due derivazioni contigue sul tracciato elettrocardiografico. I criteri di esclusione sono stati: pregressa cardiopatia ischemica o rivascolarizzazione coronarica, shock cardiogeno, insufficienza renale (creatinina plasmatica >2 mg/dl), controindicazioni all’esame RM e qualsiasi condizione clinica nota che potrebbe compromettere la funzione ventricolare destra, incluse patologie croniche polmonari sia ostruttive che interstiziali, ipertensione polmonare primitiva, cardiopatie congenite e valvulopatie severe. Tutti i pazienti hanno fornito il proprio consenso informato prima di entrare a far parte dello studio in oggetto. Diagnosi cardiologica di Infarto del Ventricolo Destro Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad un completo inquadramento clinico cardiologico mediante: informazioni clinico-anamnestiche, esame obiettivo, esame ecocardiografico ed esame elettrocardiografico standard a 12 derivazioni, con l’eventuale aggiunta, nei casi di sospetto clinico-ecocardiografico di coinvolgimento del VD, delle derivazioni precordiali destre. In base all’obiettività clinica, come segni suggestivi per infarto miocardico destro è stata considerata la contemporanea presenza della triade: ipotensione arteriosa (pressione sanguigna sistolica <90mmHg), suono chiaro polmonare all’auscultazione e turgore delle giugulari o segno di Kussmaul [14]. Sulla base del tracciato ECG l’infarto è stato definito come anteriore se evidenziato sulle derivate comprese tra V1 e V4, inferiore se sulle derivate II, III e aVF. La diagnosi ECG di infarto miocardico del ventricolo destro è stata definita nei casi di sopraslivellamento superiore a 1mm nelle derivate V1 o V4R entro le 12h dall’insorgenza dei sintomi. All’esame ecocardiografico, eseguito con apparecchio dedicato (Acuson Sequoia, Siemens, Erlangen, Germania) le camere ventricolari sono state valutate secondo proiezioni standard apicale e parasternale. Il sospetto ecocardiografico di coinvolgimento ischemico del ventricolo destro è stato posto se presente almeno uno dei seguenti segni: anomalie di contrattilità della parete libera del ventricolo destro (ipocinesi, acinesi o discinesi), dilatazione ventricolare, riduzione della cinesi ventricolare globale o movimento anomalo (sbandieramento) del setto interventricolare [15]. Risonanza Magnetica Cardiaca Gli esami di RMC sono stati eseguiti entro 5 giorni dall’ingresso in ospedale utilizzando un magnete superconduttivo da 1.5 T (Avanto, Siemens, Erlangen, Germania) con bobina di superficie a multicanale tipo Phased Array posizionata sul torace del paziente dopo l’applicazione di elettrodi amagnetici in posizione standard. Tutti i pazienti sono stati esaminati in apnea, utilizzando sequenze cardiosincronizzate secondo il protocollo standard riportato di seguito: - Sequenze Black Blood Short Tau Inversion Recovery (STIR) T2 pesate acquisite su asse corto (basale, medio-ventricolare e apicale), cardiosincronizzate (T2 con TR = 2 RR, TE 80 ms, flip angle 90°, Spessore strato: 8mm) per rilevare l’edema miocardico. - Sequenze cine balanced- Steady State Free Precession (b-SSFP) acquisite su asse corto secondo piani contigui coprendo l’intero volume ventricolare e su asse lungo verticale ed orizzontale, cardiosincronizzate retrospettivamente (Spessore strato: 8mm, TR 3,7ms, TE 1,85 ms, flip angle 50°, 25 fasi di 0,7 s ciascuna, risoluzione spaziale di 1,2x1,8 mm) finalizzate allo studio della funzione bi-ventricolare. - Sequenze Inversion Recovery Gradient Echo T1 pesate (IRCE; TFE TR 50ms, TE 1,65 ms, flip angle 15°, preimpulso di inversione in media di 250 ms, Spessore strato: 8mm) con tecnica Late Enhancement con un ritardo di 10–15 min dopo la somministrazione endovenosa di mezzo di contrasto paramagnetico per via endovenosa (0,1 mmol/ kg Gd-BOPTA, Multihance, Bracco, Milano, Italia), ottimizzando il tempo di inversione con il miocardio normale (compreso all’incirca tra 220 e 300 ms), mirate allo studio della vitalità miocardica. Analisi delle immagini di Risonanza Magnetica L’analisi delle immagini è stata effettuata in consenso da due radiologi con esperienza in RMC di 7 (M.F.) e 8 (I.C) anni, in cieco rispetto alle indagini cliniche, strumentali e laboratoristiche. Per ogni esame RM le immagini sono state valutate semiquantitativamente utilizzando delle regioni di interesse come riportato di seguito. - L’edema miocardico (EM) e il Late Enhancement (LE) sono stati valutati rispettivamente sulle immagini STIR e IRCE su piani orientati secondo l’asse corto. Sulla base di quanto riportato in letteratura, l’EM è stato definito come un incremento del segnale del tessuto miocardico patologico di almeno 2 deviazioni standard rispetto all’intensità di segnale del miocardio remoto sano; analogamente per il LE è stato considerato un incremento del segnale di almeno 4 DS [16]. 192 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:190-197 Tabella 1 Interessamento ischemico del ventricolo destro in corso di Infarto Miocardico acuto: Confronto tra dati clinici, ECG, ecocardiografia e Risonanza Magnetica. LE-VD+/- = Presenza/assenza di late enhancement del ventricolo destro EM-VD+/- = Presenza/assenza di edema miocardico del ventricolo destro. Risonanza Magnetica Cardiaca LE-VD+ LE-VD- k (LE+/-) EM-VD+ EM-VD- k (EM+/-) Triade clinica presente assente 9 23 3 62 0,29 10 38 2 47 0, 17 Segni ECG presenti assenti 12 20 2 63 0,40 12 36 2 47 0,24 Segni Ecocardiografici presenti assenti 17 13 7 60 0,42 20 28 4 45 0,33 - Per ogni esame, le aree di LE e EM del VS sono state contornate manualmente con software dedicato e quantificate in termini di massa e di % (massa miocardio lesionato/massa miocardica) di area ischemica e area a rischio; - La presenza di LE ventricolare destro (LE-VD) è stata identificata quando presente un incremento di segnale a carico della porzione di miocardio ventricolare destro contiguo all’area di LE del VS; analogo criterio è stato utilizzato per valutare l’edema del VD, come precedentemente riportato [13]; - La valutazione della cinesi parietale segmentaria è stata eseguita sulle sequenze cineRM per il VS secondo lo schema di segmentazione dell’American Heart Association a 17 segmenti e per il VD secondo la classificazione di Isner in 12 segmenti (4 basali, 4 medioventricolari e 4 apicali) [17]. - Riproponendo la valutazione semiquantitativa proposta nel lavoro di Masci e coll [13], ad ogni segmento è stato attribuito un punteggio da 1 a 5: 1:normale, 2:moderata ipocinesia, 3:severa ipocinesia, 4:acinesia, 5:discinesia. La somma dei punteggi di tutti i segmenti diviso per il numero di segmenti costituisce il Wall Motion Score Index (WMSI) - I volumi ventricolari sinistro e destro (Volume telediastolico o EDV, Volume telesistolico o ESV, Frazione di eiezione o FE, Massa miocardica del VS) sono stati misurati sulle sequenze cine-RM con un software dedicato (syngo Argus, Leonardo, Siemens Medical Solutions, Erlangen, Germania) tracciando manualmente i contorni endocardici ed epicardici in telediastole ed in telesistole. - Sulla base della prevalente disposizione regionale dell’area di LE nel miocardio ventricolare sinistro seguendo il modello di segmentazione dell’American Heart ssociation, gli infarti sono stati classificati in anteriori, inferiori e laterali. Analisi Statistica I valori continui sono stati riportati come valore medio ± DS mentre i valori discreti sono stati espressi come frequenza e percentuale e confrontati rispettivamente con il test della t di Student per campioni indipendenti. La concordanza tra test è stata misurata con il metodo della Kappa. L’analisi statistica è stata eseguita con un software dedicato (SPSS 11.0 per Windows, SPSS, Chicago, Illinois). Risultati Esami cardiologici 9 pazienti su 97 (9%) hanno manifestato contemporaneamente i tre segni clinici di coinvolgimento ischemico del ventricolo destro. All’esame ECG, circa 37 pazienti (38%) mostravano segni di infarto inferiore mentre 59 pazienti (61%) infarto anteriore. Tra 26/97 pazienti in cui sono state acquisite le derivazioni destre, 14 hanno mostrato un sopraslivellamento ST nella derivazione V4 destra (in 13 casi era associato ad un sopraslivellamento del tratto ST in DII, DIII e/o aVF). L’esame ecocardiografico ha evidenziato in 24 casi una alterazione della funzione ventricolare destra, in particolare in 18 casi una ipocontrattilità di almeno un segmento (parete libera, parete inferiore o apice), in 17 casi una dilatazione della camera ventricolare destra e in 10 casi una discinesia del setto interventricolare (Tabella 1). Risonanza Magnetica L’esame di RMC ha confermato in 95/97 casi la presenza di un’area di LE nel contesto del miocardio ventricolare sinistro, nei restanti 2 pazienti con diagnosi di IM anteriore si configurava un quadro morfologico caratterizzato dalla presenza di edema tissutale nel territorio di distribuzione della lesione culprit (iperintensità in T2-STIR) in assenza di segni di LE [18]. Il 58% dei pazienti mostrava IM anteriore (56/97), inferiore nel 33% dei casi (32/97) e laterale nel 9% (9/97). Il LE-VD destro è stato osservato in 32/97 pazienti (33%) e si associava in 17/56 (30%) casi ad IM anteriore (Fig. 1) ed in 15/32 (46%) ad IM inferiore (Fig. 2). EM-VD è stata osservato in 48 pazienti (49%), in particolare nel 48% (27/56) dei pazienti con IM anteriore e nel 56% (21/32) dei pazienti con IM inferiore. La presenza di edema isolato ventricolare destro è stata riscontrata nel 16% (Fig. 3) dei casi. Analisi volumetrica e funzionale del ventricolo destro I dati relativi ai volumi ventricolari ed al WMSI sono riportati nelle Tabelle 2 e 3. 193 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:190-197 Fig. 1 Uomo di 56 anni con infarto miocardico acuto anteriore (5° giorno dopo l’evento ischemico) per occlusione prossimale della arteria discendente anteriore. Le immagini STIR pesate in T2 (a,c) e le immagini IRCE pesate in T1 (b,d) mostrano una estesa area di edema miocardico a livello del setto interventricolare e della parete libera del ventricolo destro (freccia bianca), cui corrisponde area di potenziamento transmurale nelle immagini di late enhancement (freccia bianca). Si associa un diffuso ispessimento e potenziamento dei foglietti pericardici (punte di frecce bianche) per processo flogistico postinfartuale (pericardite post-infartuale epistenocardica). Il pazienti con LE-VD hanno mostrato un significativo aumento in termini di volume telediastolico e telesistolico del VS (p= 0.006 e 0.002), con riduzione di frazione di eiezione del VS (p=0.009) e maggiore estensione dell’area ischemica e dell’area a rischio (rispettivamente p=0.007 e p=0.001), come mostrato nella Tabella 2. La presenza di EM-VD è risultata associata ad un incremento di EDV e ESV del VS (p= 0.008 e p=0.03), con una riduzione della FE (p=0.05). Nel sottogruppo con IM inferiore il coinvolgimento del VD è stato più frequente rispetto al sottogruppo con IM anteriore sia in termini di LE (46% vs 30%) che di EM (59% vs 48%). mostrato EM-VD e 9 LE-VD con evidenza in particolare di un caso di coinvolgimento ventricolare destro caratterizzato dalla sola positività delle immagini STIR. Confronto tra ECG vs RMC 12 pazienti con sopraslivellamento ST nella derivazione V4 destra mostravano un coinvolgimento ischemico del ventricolo destro sia all’ecocardiografia che alla RMC. Mentre circa il 62% (20/32) dei pazienti con LE-VD non mostravano segni elettrocardiografici compatibili con infarto ventricolare destro. Confronto tra dati clinici, ECG e ecocardio vs RMC Il confronto tra numero di pazienti con diagnosi di IM del VD sulla base dei diversi criteri clinico-strumentali e dei segni RMC è mostrato nella Tabella 1. Dei 12 pazienti che presentavano segni clinici di infarto del ventricolo destro, 10 hanno Confronto ecocardio vs RMC L’esame ecocardiografico ha individuato 17 pazienti con LEVD e 20 pazienti con EM-VD, mentre in 7 e 4 casi le alterazioni cinetiche riscontrate all’ecografia non hanno avuto una 194 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:190-197 Fig. 2 Uomo di 63 anni con infarto miocardico acuto inferiore per occlusione distale dell’arteria coronaria destra. L’immagine STIR pesata in T2 (a) e l’immagine IRCE pesata in T1 (b) acquisite in asse corto mostrano la presenza di un’ampia area ischemica a livello dei segmenti infero-settale ed inferiore del ventricolo sinistro con tipica estensione dell’area di edema miocardico (freccia nera) e di late enhancement (freccia bianca) alla parete inferiore del ventricolo destro. Tabella 2 Risultati di Risonanza Magnetica Cardiaca in una pazienti con Infarto Miocardico: confronto dei volumi ventricolari rispetto alla presenza di edema miocardico e late enhancement del ventricolo destro. LE-VD+/- = Presenza/assenza di Late enhancement del ventricolo destro; EM-VD+/- = Presenza/assenza di edema miocardico del ventricolo destro; EDV = Volume telediastolico; ESV = Volume telesistolico; FE = Frazione d’eiezione; AI = Area d’infarto o di late enhancement (% rispetto alla massa miocardica); AAR = Area a rischio (% rispetto alla massa miocardica). WMSI-VD = Wall motion score index del ventricolo destro Risonanza Magnetica Cardiaca Tot LE-VD+ LE- VD- EM-VD+ EM-VD- 97 32 65 48 49 EDV-VS (mL) 139,1 ± 54,5 151,3± 45,5 133,1 ± 52,3 0,006 147,6 ± 47,5 130,8 ± 48,2 0,008 ESV-VS (mL) 70,7 ± 57,4 82,8 ± 55,6 64,7 ± 55,6 0,002 78,8 ± 35,6 62,8 ± 39,2 0,003 FE-VS (mL) 48,3 ± 20,2 43,7 ± 20,5 50,6 ±19,6 0,009 46,6 ± 19,2 52,0 ± 21,4 0,05 AI-VS (%) 17,9 ± 28,9 22,9 ± 30,9 15,4 ± 22 0,007 20,4 ± 26,5 15,4 ± 21,9 0,008 AAR-VS (%) 25,6 ± 36,6 33,2 ± 46,1 21,9 ± 28,4 0,001 31,3 ± 40,5 20,1 ± 26,0 0,001 EDV-VD (mL) 133,5 ± 58,9 145,7 ± 46,2 127,6 ± 62 0,001 137,9 ± 51,2 129,3 ± 57,7 0,008 ESV-VD (mL) 67,7 ± 43,8 74,1 ± 40 64,6 ± 42,7 0,031 72,8 ± 43,6 62,7 ± 44,4 0,02 FE-VD (mL) 49,9 ± 21,4 46,3 ± 22,9 51,8 ± 19,6 0,015 47,8 ± 23,6 52,0 ± 18 0,037 WMSI-VD 1,39 ± 0,6 1,67 ± 0,5 1,25 ± 0,5 0,001 1,58 ± 0,5 1,2 ± 0,4 0,001 No Pazienti corrispettiva area di LE o EM. Nel sottogruppo di pazienti con IM inferiore l’ECG e l’ecocardiografia mostravano coinvolgimento del ventricolo destro in 12/15 casi (80%); solo in 5 casi con infarto anteriore e LE-VD si sono rilevate alterazioni ecocardiografiche. Discussione Il nostro studio, in accordo con quanto riportato in letteratura [13, 19-22] conferma la capacità della RMC di individuare un p (LE + /-) p (EM + /-) interessamento ischemico del miocardio ventricolare destro, anche nei casi in cui le indagini cliniche e strumentali di primo livello non ne abbiano posto il sospetto. In particolare, considerando la RMC come metodica di riferimento, i nostri dati confermano una bassa sensibilità dei segni clinici, ECG ed ecocardiografici nel dimostrare IMVD (rispettivamente 28%, 37%, e 56%), in particolare se si considerano i soli IM anteriori. La RMC, analogamente a quanto ampiamente dimostrato per il VS, consente infatti la diretta visualizzazione sia dell’edema miocardico che dell’area di necrosi, a differenza delle metodi- Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:190-197 195 Fig 3 Uomo di 47 anni con infarto miocardico acuto anteriore per occlusione prossimale del ramo discendente anteriore dell’arteria coronaria sinistra. (a-d) Le immagini STIR evidenziano un’ampia area di edema che coinvolge il setto interventricolare, la parete anteriore del VS e la parete libera del VD, sia a livello medio-basale che apicale (frecce bianche). (e-f) Le immagini ottenute con tecnica di late enhancement mostrano un fronte ischemico limitato ai segmenti antero-settali e anteriori del VS. Il risparmio della parete libera (punta di freccia bianca) e dei segmenti apicali (freccia nera) del VD conferma una maggiore resistenza del miocardio ventricolare destro all’insulto ischemico. Tabella 3 Risultati di Risonanza Magnetica Cardiaca: confronto dei volumi ventricolari e della frazione d’eiezione del ventricolo destro e sinistro, dell’area ischemica e dell’area a rischio rispetto alla localizzazione degli infarti e alla presenza di edema miocardico (EM) e late enhancement (LE) del ventricolo destro LE-VD+/- = Presenza/assenza di Late enhancement del ventricolo destro; EM-VD+/- = Presenza/assenza di edema miocardico del ventricolo destro; EDV = Volume telediastolico, ESV = Volume telesistolico, FE = Frazione d’eiezione, Mass = Massa miocardica; AI = Area d’infarto o di late enhancement (% rispetto alla massa miocardica); AAR = Area a rischio (% rispetto alla massa miocardica). che tradizionali, che invece possono solo rilevare solo indici indiretti del danno miocitario come alterazioni della conduttività elettrica o anomalie di contrattilità e che di conseguenza possono non rilevare piccoli infarti destri o sottostimare i casi di IM anteriore [21]. Alcune peculiarità anatomiche, tuttavia, rendono il miocardio del VD più difficile da studiare rispetto a quello sinistro anche con la RMC: in particolare lo spessore parietale è molto più sottile; la posizione retrosternale più vicina alla bobina ricevente determina spesso un maggiore segnale con una falsa iperintensità delle strutture; spesso il miocardio necrotico è mal distinguibile dall’iperintensità del grasso epicardico adiacente (artefatti da volume parziale). Infine, nello studio del LE il tempo di inversione mirato all’abbattimento del segnale del miocardio sano può essere diverso tra il miocardio ventricolare sinistro e destro, determinando artefatti o richiedendo una doppia acquisizione per ogni piano di scansione con un considerevole prolungamento della durata dell’esame [2223]. Per ovviare a queste difficoltà molti autori consigliano di utilizzare sequenze ad alta risoluzione spaziale e strato sottile, l’implementazione di sequenze di LE con soppressione del segnale del tessuto adiposo e considerano come miocardio patologico solo quello in continuità con segmenti miocardici ventricolari sinistri affetti da edema o LE. In uno studio di Kumar et al. [19], tra i 37 casi di IMA inferiore sottoposti ad indagini clinico-strumentali e RM, il 57% 196 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:190-197 (21/37) mostravano LE del VD, mentre solo il 19%, 35% e 16% presentavano rispettivamente segni di IM del VD all’esame obiettivo, all’ECG sulla derivata V4R e all’ecocardiografia. Nella nostra popolazione, il ventricolo destro presentava un interessamento ischemico (LE-VD) nel 46% dei casi di IM inferiori e nel 30% degli IM anteriori, discostandosi in parte dai valori riportati nel lavoro di Jensen et al. [21], rispettivamente del 47% e del 65%. Il coinvolgimento destro in IM anteriore potrebbe essere condizionato dalla presenza di varianti anatomiche relative all’arteria discendente anteriore con irrorazione della parete libera e della regione parapicale destra da rami interventricolari anteriori particolarmente lunghi estesi oltre l’apice o in alternativa dall’origine del ramo del fascio moderatore dall’arteria discendente anteriore distale [13]. Questa potenziale variabilità anatomica potrebbe essere pertanto la causa della difformità della nostra popolazione di studio rispetto al lavoro di Jensen et al. [21] per i valori riguardanti gli IM anteriori. Sebbene in letteratura esistano già lavori in cui è stata valutata la presenza di LE del VD in pazienti infartuati, la valutazione dell’edema miocardico del VD è scarsamente riportata. Nella nostra popolazione è stata riscontrata una frequenza non trascurabile di EM del VD sia negli infarti inferiori (59%) che in quelli anteriori (48 %), significativamente più alta rispetto alla frequenza di LE-VD, presente rispettivamente nel 46% e nel 30% dei pazienti. Si avvalora, quindi, la tesi di una maggiore resistenza del miocardio ventricolare destro all’insulto ischemico rispetto al miocardio del VS, il quale a parità di durata di ischemia mostra una maggiore predisposizione al danno necrotico nel contesto dell’area “a rischio” (98% dei pazienti hanno presentato LE del VS). Come affermato da Goldstein, infatti, il termine “infarto del VD” è in una certa misura un termine improprio, in quanto spesso la disfunzione ischemica acuta del VD è rappresentato da miocardio vitale, a differenza di quanto accade per il VS [4]. Molteplici ragioni contribuiscono alla maggiore resistenza all’ischemia del VD: le diverse condizioni di carico grazie alla minore resistenza del circolo polmonare, lo spessore miocardico che determina una minore domanda d’ossigeno e la maggiore riserva d’ossigeno [4]. Inoltre la doppia afferenza arteriosa della parete libera del VD da parte di rami della discendente anteriore e da rami conali della coronaria destra consente un pronto rifornimento collaterale in caso di occlusione vasale [13, 26]. Nella maggior parte dei casi, piccole aree ischemiche non si tramutano in significative alterazioni della cinesi ventricolare destra, la quale viene compensata dalla sistole atriale e dalla contrazione del setto interventricolare. I nostri risultati confermano come la presenza sia di LE che di EM nel VD sia associato ad un peggioramento della performance del VS, anche qualora si considerino i singoli sottogruppi (IMA anteriore e inferiore). I limiti del nostro studio sono rappresentati dalla dimensione campionaria, contenuta se si vogliono considerare i sottogruppi, e l’eterogeneità dei pazienti studiati, in considerazione della dimensione della zona infartuata e del tipo di trattamento attuato (riperfusione farmacologica versus endovascolare, il tempo trascorso tra l’insorgenza dei sintomi e l’instaurazione della terapia, tipo di terapia medica somministrata). Un altro limite è l’assenza del follow-up o di un monitoraggio clinico della popolazione di studio che avrebbe potuto fornire informazioni prognostiche, ma che è stato deciso di non inserire nei risultati sia per il limitato tempo osservazionale intercorso sia perché oggetto di altri lavori recentemente pubblicati [14, 19, 24, 25]. Conclusioni Nella nostra casistica il LE del VD è stato evidenziato nel 25% dei pazienti con IM acuto e alla luce dei molti lavori che dimostrano come questo dato influenzi negativamente la prognosi del paziente [19, 24, 25] appare evidente che esso sia un reperto clinico non trascurabile. In quest’ottica, la valutazione mirata sia della cinetica regionale e globale ventricolare destra che della contestuale presenza di EM e LE appare indispensabile nell’analisi con cardio-RM del paziente con IM acuto. Talie rilievo dovrebbe quindi, a nostro giudizio, essere routinariamente menzionato nel referto radiologico, sia per la rilevante frequenza che per il potenziale impatto clinico-terapeutico. Per citare questo articolo: Galea N, Francone M, Carbone I, Cannata D, Vullo F, Galea R, Agati L, Fedele F, Catalano C (2013) Utility of cardiac magnetic resonance (CMR) in the evaluation of right ventricular (RV) involvement in patients with myocardial infarction (MI). Radiol med [Epub ahead of publication]; DOI: 10.1007/s11547-013-0341-4 La Radiologia Medica http://link.springer.com/journal/11547 BIBLIOGRAFIA 1. Kinch, J.W. and T.J. Ryan, Right ventricular infarction. N Engl J Med, 1994. 330(17): p. 1211-7. 2. Hamon, M., et al., Prognostic impact of right ventricular involvement in patients with acute myocardial infarction: meta-analysis. Crit Care Med, 2008. 36(7): p. 2023-33. 3. Wong, C.K., et al., Prognostic value of lead V1 ST elevation during acute inferior myocardial infarction. Circulation, 2010. 122(5): p. 463-9. Cardiol, 2001. 37(1): p. 37-43. 4. Goldstein, J.A., Pathophysiology and management of right heart ischemia. J Am Coll Cardiol, 2002. 40(5): p. 84153. 6. Zehender, M., et al., Right ventricular infarction as an independent predictor of prognosis after acute inferior myocardial infarction. N Engl J Med, 1993. 328(14): p. 981-8. 5. 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Valutare l’utilità dell’ecografia-3D nel calcolo del volume di lesioni mammarie. Materiali e metodi. I volumi di 36 lesioni maligne sono stati misurati con ecografia-2D, ecografia-3D, RMM ed esame istologico. All’ecografia-2D sono stati misurati i 3 diametri della lesione e il volume è stato calcolato con la formula per il volume della sfera. Con l’ecografia-3D sono state acquisite le immagini volumetriche e si è tracciato manualmente il contorno della massa. Il volume è stato ottenuto mediante il software VOCAL. In RMM i volumi sono stati calcolati con un software per ricostruzioni 3D. L’esame istologico (standard di riferimento) ha misurato i 3 diametri maggiori della lesione e il volume è stato calcolato con la formula per il volume della sfera. L’accordo tra i dati è stato valutato con il coefficiente di correlazione interclasse (ICC) e l’analisi di Bland&Altman. Risultati. L’ICC ha evidenziato buona concordanza tra ecografia 3D ed esame istologico (0,79). L’analisi di Bland&Altman ha trovato limiti di accordo sovrapponibili tra imaging e istologia: -2÷1,5 mm3 per l’ecografia-3D; -2,3÷1,3 mm3 per l’ecografia-2D e -2,2÷1,6 mm3 per l’RMM. Conclusioni. L’ecografia-3D è un metodo utile per la valutazione volumetrica delle lesioni mammarie, che permette di ottenere informazioni significative per la valutazione dimensionale pre-operatoria. Parole chiave Ecografia volumetrica 3D, Tumiore mammario, Ecografia mammaria, RM mammaria Introduzione L’ecografia mammaria 2D (2D-US) è una metodica accurata, disponibile, non invasiva ed economica, frequentemente utilizzata nello studio della patologia mammaria in particolare a completamento diagnostico della mammografia, nelle mammelle dense e nella diagnosi differenziale di lesioni palpabili o di reperti mammografici sospetti [1,2]. Si tratta, però, di un esame fortemente operatore dipendente, la cui qualità è legata alle capacità ed alle conoscenze del medico, e con scarsa possibilità di standardizzazione dei dati documentati [1]. Quando venga identificata ecograficamente una lesione occupante spazio, il suo volume può essere stimato utilizzando la formula per il calcolo del volume di una sfera, sulla base della media dei tre diametri ortogonali della lesione (antero-posteriore AP, latero-laterale LL, cranio-caudale CC), che può essere peraltro un’approssimazione qualora la lesione presenti morfologia irregolare. L’ecografia 3D (3D-US) sta assumendo un ruolo di sempre maggior rilievo nella pratica clinica, anche nello studio della patologia mammaria [3,4]. L’analisi 3D comincia con l’acquisizione del volume statico della lesione e dei tessuti circostanti. I dati raccolti rappresentano una scansione dell’area di interesse, comprendente la lesione target ed il tessuto circostante. Le immagini possono essere archiviate nonché visualizzate e rielaborate in un secondo momento. La possibilità di salvare una serie di immagini della formazione in studio, e non un singolo fotogramma, rende l’esame di più facile rivalutazione e meno operatore-dipendente. La formazione può essere successivamente misurata tracciandone i contorni in maniera manuale, automatica o semiautomatica e, in base a queste rielaborazioni, è possibile calcolarne i volumi con software specifici (per es.: VOCAL, Visual Organ Computer-Aided Analysis) [5]. Ad oggi l’eccessivo ingombro delle sonde 3D con matrice quadrata o circolare non ne facilita un impiego routinario nella pratica clinica senologica e pertanto l’ecografia 2D rimane insostituibile per l’iniziale riconoscimento della lesione. La Risonanza Magnetica Mammaria (RMM) è un’ottima metodica per la diagnosi, la stadiazione e la descrizione a fini chirurgici dell’estensione della patologia mammaria [6]. Essa permette un’accurata misurazione del volume delle lesioni, sia nel setting pre-operatorio sia nel follow-up delle pazienti sottoposte a chemioterapia neoadiuvante; alcuni studi hanno però sottolineato come la RMM possa sottostimare i reali volumi, soprattutto in presenza di lesioni di piccole dimensioni, e sovrastimarli in caso di lesioni di grandi dimensioni [7,8]. 199 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:198-205 Il calcolo preciso dei volumi delle lesioni mammarie con l’ecografia 3D potrebbe risultare particolarmente utile in vari setting clinici, per esempio nella valutazione pre-operatoria di lesioni maligne o nel follow up delle lesioni benigne o probabilmente benigne (ACR BIRADS 2 e 3 [9]). Lo scopo dello studio è stato valutare l’affidabilità della 3DUS nel calcolo del volume delle lesioni solide maligne della mammella, rispetto alle misurazioni ottenute con 2D-US e con RMM, utilizzando come standard di riferimento le misure della formazione eseguite dall’anatomo-patologo sul pezzo operatorio. Materiali e metodi Pazienti In un periodo compreso tra luglio e settembre 2010, abbiamo selezionato consecutivamente tutte le pazienti che presentavano lesioni mammarie con imaging ecografico sospetto (ACR BI-RADS US 4 e 5 [9]) e sottoposte a 14G core-needle-biopsy con diagnosi istologica di malignità. Tutte le donne hanno espresso il loro consenso informato e lo studio ha ottenuto l’approvazione del board di valutazione. Abbiamo analizzato 36 formazioni, riscontrate in 34 donne di età compresa tra i 39 e gli 89 anni (media 60). Tutte le lesioni incluse nello studio presentavano un corrispettivo di mass-like enhancement all’indagine RMM, eseguita dopo il prelievo bioptico in 27 noduli (75.0%) e prima del prelievo bioptico in 9 casi (25.0%). In queste 9 donne la biopsia è stata eseguita sulla base di reperti sospetti alla RMM. Le immagini con sonda 3D sono state raccolte in 26 casi (72.0%) prima della procedura bioptica e nei restanti 10 (28.0%) al momento del posizionamento del repere per la localizzazione pre-operatoria, circa 1 mese dopo la biopsia. L’analisi istologica dei frustoli bioptici ha rivelato 28 carcinomi duttali infiltranti (CDI) (9 digrado I, 15 di grado II e 4 di grado III, uno dei quali con estesa componente intraduttale), 1 carcinoma duttale in situ (CDIS) ad alto grado, 2 carcinomi duttali infiltranti di grado II con associata componente lobulare, 2 carcinomi lobulari infiltranti (CLI) di grado II, 2 carcinomi mucinosi (uno di grado I e l’altro di grado II), ed 1 carcinoma papillifero, repeti confermati anche all’esame istologico del pezzo operatorio (23 quadrantectomie e 13 mastectomie). Indagini Strumentali Ecografia Tutte le Pazienti sono state sottoposte a ecografia 2D, eseguita da un medico in formazione in radiologia senologica e da una specialista radiologa esperta in patologia mammaria, allo scopo di localizzare, caratterizzare la lesione e misurarne i tre diametri ortogonali (antero-posteriore, latero-laterale e cranio-caudale). L’esame è stato eseguito con ecografo Logiq E9 (GE Healthcare, Milwaukee, USA) dotato di sonda lineare a matrice ML6-15-MHZ. In seguito, prima della procedura bioptica o al momento del posizionamento del repere, un medico in formazione in radiologia senologica ha eseguito l’acquisizione dell’immagine volumetrica con lo stesso ecografo mediante sonda volumetrica elettromeccanica 3D-4D RSP, 6-16MHZ, a matrice quadrata che, posizionata al di sopra della lesione, effettua automaticamente la scansione nell’area di interesse selezionata. Tale sonda è in grado di acquisire immagini 3D su un’area con massimo diametro di 4 cm; lesioni che superino tale dimensioni non risultano correttamente valutabili. Risonanza Magnetica Mammaria La Risonanza Magnetica è stata eseguita con un magnete a 1,5 T (Magnetom Avanto, Siemens Medical System, Erlangen, Germany) con una bobina dedicata, bilaterale, multicanale, con la paziente in posizione prona. Le immagini T1 sono state acquisite sul piano assiale con sequenze 3D FLASH e parametri: TR/TE=9/4,7 ms; flip angle 25°; matrice 512x512; campo di vista 340x340 mm; spessore di sezione 2 mm; tempo di acquisizione 80 s. Il mezzo di contrasto utilizzato è stato Gadobenato Dimeglumina 0,5 M (Multihance, Bracco, Milano, Italia) somministrato ev a bolo automatico alla dose di 0,1 ml/kg di peso corporeo alla velocità di iniezione di 2 ml/sec, seguito da bolo di 20 ml di soluzione fisiologica. Una serie di immagini dinamiche sono state acquisite prima dell’iniezione del mezzo di contrasto e 5 volte dopo la somministrazione. Al termine dell’esame le immagini sono state sottoposte a post-processing con sottrazione delle immagini pre-contrasto alle immagini post-contrasto, ricostruzioni multiplanari (MPR) e maximum intensity projection (MIP). Le curve della variazione dell’intensità di segnale nel tempo sono state ricostruite posizionando una regione di interesse (ROI) sull’area sospetta. Sono state acquisite immagini STIR T2-pesate coi seguenti parametri: TR/TE=5930/73 ms; TI=150 ms; flip angle 150°; matrice 384x230; spessore 3 mm; campo di vista 320x320; distance factor 0,6; medie 1; oversampling 7, tempo di acquisizione 239 s. Misurazione dei volumi con 3D-US I volumi delle lesioni sono stati calcolati alla fine della seduta dal medesimo medico in formazione in radiologia senologica che ha eseguito l’acquisizione 3D-4D, utilizzando il software VOCAL (Virtual Organ Computer-Aided Analysis, 4D View; GE Healthcare, Kretztechnik, Zipf, Austria). Sui 3 piani disponibili per la visione dell’immagine (assiale, A, sagittale, B e coronale, C) abbiamo scelto il primo per tracciare i contorni delle lesioni. Lo strumento ruota l’immagine di 360° utilizzando intervalli variabili di rotazione, scelti dall’operatore. In questo caso si è optato per intervalli di 30° e i contorni della lesione sono stati tracciati su ciascuna delle 6 immagini visualizzate. Alla fine del processo, l’apparecchio è in grado di calcolare automaticamente il volume e di eseguire una ricostruzione Surface Rendering della lesione (Figura 1). Misurazione dei volumi con la Risonanza Magnetica Mammaria I volumi sono stati calcolati utilizzando un software dedicato per la ricostruzione 3D (Vitrea 2-Vital Images, Plymouth, Minnesota, USA). Lo stesso medico in formazione in radiologia senologica che ha eseguito il calcolo dei volumi a partire dall’acquisizione volumetrica con sonda 3D, ha tracciato in ogni piano assiale i contorni della lesione, utilizzando la prima acquisizione delle immagini con mezzo di contrasto sottratte. 200 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:198-205 Le lesioni prese in considerazione sono descritte in Tabella 1 utilizzando range, media e deviazione standard. Una volta misurati i volumi di ciascuna lesione mediante eco- grafia 2D, ecografia 3D, Risonanza Magnetica ed esame istologico, sono stati calcolati range, media e deviazione standard (DS) per i dati ottenuti (Tabella 2). Il test di Student non ha mostrato differenze statisticamente significative tra il diametro massimo delle lesioni misurato dalla RMM e quello misurato dall’Anatomo Patologo (p>0.05), mentre ha mostrato una differenza significativa tra quest’ultimo e la misurazione eseguita con ecografia 2D (p<0.05). La media dei volumi misurati con le tre metodiche di imaging appare minore rispetto a quella evidenziata dall’esame istologico. L’applicazione del Test di Student non ha comunque evidenziato differenze statisticamente significative tra i volumi calcolati con le metodiche di imaging e l’esame del pezzo operatorio (p>0.05) (esempio di un caso in Figura 2). Abbiamo valutato la concordanza fra i volumi misurati con l’ecografia 3D e le altre metodiche di imaging utilizzando il coefficiente di correlazione interclasse (ICC): i valori hanno mostrato una buona concordanza fra 3D-US e 2D-US (0.85) e tra 3D-US e RMM (0.82). Anche la concordanza tra le tre metodiche di imaging e l’esame istologico è risultata buona, rispettivamente: 0.79 per 3D-US, 0.82 per 2D-US e 0.79 per RMM. L’ecografia 3D ha leggermente sovrastimato 16 delle 20 lesioni con volume <1cm3, mentre ha sottostimato 12 delle 16 con volume ≥1 cm3. La RMM ha invece sottostimato le reali dimensioni delle lesioni in 19 casi su 36 (52.7%), sovrastimando 13 su 36 lesioni (36.1%), indipendentemente dalle dimensioni. Nei restanti 4 casi (11.2%) i volumi misurati alla RMM e calcolati in base ai dati dell’esame istologico erano coincidenti. Il calcolo dell’ICC ha mostrato come la concordanza tra 3D-US ed esame istologico sia stata migliore nel gruppo di lesioni con volume ≥1 cm3 (ICC = 0.84). All’analisi di Bland&Altman la differenza media e i limiti di accordo al 95% tra 3D-US e 2D-US sono risultati pari a -0.22 cm3 (limiti da 0.72 a -1.17 cm3) (Figura 3) e tra 3D-US e RMM pari a 0.02 cm3 (da 1.26 a -1.21 cm3) (Figura 4). La comparazione con l’esame istologico ha mostrato valori di a b Calcolo dei volumi in base ai tre diametri Il volume delle lesioni in base ai tre diametri misurati con la sonda lineare 2D (AP-LL-CC) ed ai tre diametri indicati dall’anatomo-patologo è stato calcolato usando la formula per il calcolo del volume della sfera (V=4/3πr3), con r pari alla media dei tre diametri misurati. Analisi statistica I calcoli sono stati eseguiti utilizzando il software MedCalc per Windows v. 9.1.0.1 e un foglio di lavoro Microsoft Excel 2003 (Microsoft Corporation, Redmond, WA). Per valutare preliminarmente la sovrapponibilità dei dati valori ottenuti da imaging ed esame istologico è stato applicato il Test di Student sul diametro massimo misurato mediante ecografia 2D, Risonanza Magnetica ed esame istologico. Il medesimo test è stato poi usato per cercare un’eventuale differenza significativa tra i volumi calcolati all’imaging ed all’esame istologico. Si è valutata la concordanza tra i volumi calcolati tra ecografia 3D e 2D, tra ecografia 3D e RMM e tra queste metodiche e l’anatomia patologica mediante il Coefficiente di Correlazione Interclasse (ICC). Si è valutato l’ICC anche dividendo le lesioni in due gruppi a seconda presentassero volume <1 cm3 o ≥1 cm3 alla valutazione anatomo-patologica. Infine si è utilizzata l’analisi di Bland&Altman per valutare la diversa accuratezza delle metodiche nel calcolo dei volumi rispetto all’esame istologico [10]. Risultati Fig. 1 Immagine acquisita con la sonda volumetrica di una formazione solida con aspetto sospetto, risultata un carcinoma duttale infiltrante di grado 3 all’esame istologico (a). L’immagine viene visualizzata mediante Multiplanar Reformatting su 3 piani: assiale e longitudinale, ottenibili anche con la sonda 2D, e ricostruita sul piano coronale. Dopo aver tracciato i contorni della lesione l’ecografo, mediante un software dedicato (VOCAL, Virtual Organ Computer Aided Diagnosis) calcola il volume selezionato e lo rappresenta con modalità Surface Rendering (b). 201 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:198-205 a c b d Fig. 2 a) L’ecografia mostra una formazione ipoecogena a margini sfumati con aspetto sospetto, risultata un carcinoma duttale infiltrante di grado 2. I suoi diametri antero-posteriore, latero-laterale e cranio-caudale sono stati misurati nelle immagini ottenute con sonda 2D. b) L’immagine della lesione è stata acquisita con sonda volumetrica 3D-4D prima della procedura bioptica. Dopo tracciati manualmente i contorni dell’area di interesse, il software VOCAL è in grado di calcolarne il volume. c) L’immagine di RMM ottenuta dalla prima acquisizione dopo iniezione di mezzo di contrasto mostra area di disomogeneo, intenso e precoce enhancement, con margini prevalentemente sfumati e aspetto sospetto. d) Volume calcolato sulle immagini di RMM mediante un software dedicato (Vitrea 2-Vital Images, Plymouth, Minnesota, USA), tracciando i contorni della lesione su tutte le sezioni acquisite. Il volume misurato con ecografia 2D è risultato minore rispetto a ecografia volumetrica e RMM (2,2 cm3 rispetto a 3,1 cm3 e 3,3 cm3). L’esame istologico ha confermato le misure date da ecografia 3D e RMM (3 cm3). 202 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:198-205 Fig. 3 Rappresentazione grafica dell’analisi di Bland&Altman applicata nel confronto della misura dei volumi tra ecografia 2D ed ecografia 3D Fig. 4 Rappresentazione grafica dell’analisi di Bland&Altman applicata nel confronto della misura dei volumi tra ecografia 3D e Risonanza Magnetica Mammaria. Fig. 5 Rappresentazione grafica dell’analisi di Bland&Altman applicata nel confronto della misura dei volumi tra ecografia 2D ed esame del pezzo operatorio. Fig. 6 Rappresentazione grafica dell’analisi di Bland&Altman applicata nel confronto della misura dei volumi tra ecografia 3D ed esame del pezzo operatorio. differenza media pari a -0.5 cm3 (limiti da 1.3 a -2.3 cm3) nel confronto con 2D-US (Figura 5); -0.3 cm3 (da 1.5 a -2.0 cm3) nel confronto con 3D-US (Figura 6); -0.3 cm3 (da 1.6 a -2.2 cm3) nel confronto con RMM (Figura 7). La scansione volumetrica delle lesioni ha richiesto dai 3 ai 6 secondi, a seconda delle dimensioni della formazione e di conseguenza dell’area in esame. La rielaborazione delle immagini per il calcolo del volume da parte di un singolo operatore ha richiesto dai 2 ai 4 minuti circa, a seconda delle dimensioni e delle caratteristiche morfologiche della lesione. Discussione Fig. 7 Rappresentazione grafica dell’analisi di Bland&Altman applicata nel confronto della misura dei volumi tra RMM ed esame del pezzo operatorio. L’ecografia 2D, per la sua praticità e semplicità d’uso, risulta indagine insostituibile per il riconoscimento e la caratterizzazione di lesioni non palpabili e palpabili della mammella. Una volta identificata la lesione, tramite la sonda 3D è pos- 203 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:198-205 a b c d Fig. 8 a) L’ecografia mostra una formazione ipoecogena. All’esame istologico la diagnosi è stata carcinoma duttale infiltrante di grado 2. b) La visualizzazione sui 3 piani evidenzia meglio i contorni irregolari della formazione e la distorsione dei tessuti circostanti. c), d) In questo caso il volume calcolato coi tre metodi è risultato sovrapponibile a quello misurato all’istologia del pezzo operatorio (2D-US = 1,2 cm3; 3D-US = 1,05 cm3; RMM = 0,87 cm3; esame istologico = 0,9 cm3). sibile ottenerne l’acquisizione volumetrica, comprendente la lesione stessa e una piccola porzione di tessuto mammario circostante. Questa può essere eseguita mediante sonda ecografica lineare che effettua una scansione dell’area di interesse, associata o meno a dei sistemi guida (rispettivamente Tracked Freehand Systems o Untracked Freehand Systems), raccogliendo immagini 2D da cui vengono ricostruite le immagini volumetriche [4]. In alternativa si utilizza una sonda a matrice 2D, quadrata o circolare (Two-dimensional Arrays), che viene mantenuta ferma mentre effettua automaticamente una scansione dell’area di interesse generando un’informazione 3D in tempo reale [4], come nel nostro studio. Le immagini acquisite possono essere presentate sullo schermo tramite Surface Rendering (rappresentazione di volumi circoscritti con aspetto 3D), Multiplanar Reformatting (rappresentazione dei tre piani perpendicolari tra loro, con possibilità di muoversi all’interno del volume acquisito) o Volume Rendering [4]. Una volta memorizzate, le immagini dell’acquisizione volumetrica possono essere riutilizzate, pertanto rivalutate e rielaborate a posteriori (anche da parte di più operatori), contrariamente a quello che succede con l’ecografia 2D: l’ecografia 3D risulta così una metodica meno operatore-dipendente. Inoltre l’immagine 3D permette una buona analisi delle caratteristiche morfostrutturali e dimensionali della lesione, ed assicura il riconoscimento di pattern di imaging caratteristici [11-14]. Alcuni studi hanno confrontato sensibilità, specificità, valori predittivi ed accuratezza diagnostica dell’ecografia 3D rispetto a quella 2D nella diagnosi differenziale tra formazioni solide benigne e maligne della mammella, dimostrando che l’ecografia 3D non incrementerebbe l’accuratezza diagnostica. Ciò [14] avrebbe riscontrato un’elevata concordanza tra i vari operatori nel definire la benignità o la malignità delle lesioni, configurando l’eventualità che la 3D-US migliori la confiden- 204 za diagnostica e la riproducibilità. Più di uno studio ha inoltre sottolineato l’utilità del piano coronale (C), perpendicolare ai due visualizzabili con l’ecografia-2D, in quanto permette di ottenere maggiori informazioni sul coinvolgimento dei tessuti circostanti e valutare meglio le spicule neoplastiche [11-13], anche se finora non si è potuto valutare quanto questo parametro possa pesare sull’incremento dell’accuratezza diagnostica (si veda un esempio in Figura 8). Vari studi hanno sottolineato i limiti del calcolo del volume di organi o fantocci eseguito in 2D sulla base dei 3 diametri, poiché tale valutazione tenderebbe a sottostimare le reali dimensioni dell’oggetto [15,16]. Anche nel nostro studio abbiamo evidenziato come tra il diametro massimo misurato all’ecografia 2D e quello misurato all’esame istologico vi si stata una differenza statisticamente significativa, e l’ecografia abbia teso a sottostimare la reale dimensione delle lesioni. Inoltre la stima matematica del volume è caratterizzata da una minore riproducibilità sia intra- che inter-operatore. Vari autori hanno già evidenziato come la riproducibilità nella misurazione dei volumi, sia migliore utilizzando una sonda volumetrica, con valori di concordanza inter-operatore vicina al 100%, per esempio nello studio della tiroide o delle lesioni focali epatiche [17-19]. E’ stato anche proposto l’uso di questa metodica per la misurazione dei volumi renali in persone sane ed in pazienti con alterazioni della funzionalità, e sono stati trovati risultati rilevanti per quanto riguarda accuratezza, riproducibilità e correlazione con metodiche come la TC [15,16]. I limiti segnalati risultano maggiormente evidenti in caso di formazioni o organi a morfologia e margini irregolari [17,18], aspetto questo caratteristico delle lesioni maligne della mammella [11]. L’acquisizione dell’immagine 3D della lesione richiede pochi secondi (3-6 s), e incrementa la durata dell’esame ecografico di circa 1 minuto, necessario soprattutto all’attivazione della sonda volumetrica e all’identificazione della lesione. Tale operazione richiede una breve curva di apprendimento da parte dell’operatore, che deve acquisire familiarità con una rappresentazione dell’immagine lievemente differente rispetto a quella della sonda 2D. La misurazione volumetrica può essere fatta anche a posteriori in modo differito da parte di altri operatori, così come la valutazione morfologica della lesione e dei tessuti circostanti, e richiede una quantità di tempo relativamente ridotta (al massimo 4 minuti per le formazioni di maggior diametro e con i contorni meno definiti). Il software VOCAL utilizzato nel nostro studio ha già dimostrato di avere elevata accuratezza nella volumetria di lesioni con forma irregolare, soprattutto quando viene utilizzata l’opzione manuale per tracciare i contorni piuttosto che quella automatica [5], così come già riportato. La sua affidabilità cresce con il numero di piani usati per descrivere i margini dell’area di interesse, ma questo determina un parallelo aumento del tempo necessario all’analisi. In base ad uno studio di Pang del 2006 [20] ed alla nostra esperienza abbiamo deciso di utilizzare un angolo di 30° che appare un buon compromesso, in quanto facile da utilizzare, privo di significative differenze rispetto alle misurazioni eseguite a 6°, 9° e 15°, ma con un discreto risparmio di tempo rispetto a queste ultime. E’ già ampiamente dimostrata la superiorità della RMM nell’ottenere informazioni riguardo alle caratteristiche ed all’estensione delle lesioni; per questa ragione abbiamo deciso di prendere in considerazione anche i volumi Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:198-205 calcolati con questa metodica [7,8,21], anche se il nostro standard di riferimento sono state le dimensioni della lesione nel pezzo operatorio analizzato dall’anatomo-patologo. Nella revisione della letteratura abbiamo trovato un unico articolo [22] in cui gli autori abbiano preso in considerazione i volumi di formazioni mammarie benigne o maligne misurate con 2D-US, metodica 3D e mammografia, evidenziando una buona correlazione. Non siamo a conoscenza di studi che abbiano valutato la sovrapponibilità fra 2D-US, 3D-US, RMM ed esame istologico nella misurazione dei volumi delle lesioni mammarie. Lo studio della volumetria delle lesioni mammarie con RMM ha già dimostrato buona accuratezza e riproducibilità [21,23]. La RMM ha però la tendenza a sottostimare le lesioni di piccole dimensioni e sovrastimare le formazioni di maggior diametro [21]: nella nostra casistica abbiamo evidenziato come la RMM abbia la tendenza a sottostimare i reali volumi delle lesioni, indipendentemente dal loro volume calcolato in base all’esame istologico. La Risonanza Magnetica ha infatti sottostimato i valori rispetto all’esame istologico in 19 casi su 36 (52.3%) e sovrastimato in 13 su 36 lesioni (36.1%). Il Coefficiente di Correlazione Interclasse (ICC) ha mostrato una buona concordanza tra i valori dei volumi misurati con le varie metodiche di imaging, sovrapponibili sia tra ecografia 3D e 2D che tra 3D-US e RMM. Analogamente, anche la concordanza con l’esame istologico è apparsa soddisfacente sia per l’ecografia 2D e volumetrica che per la RMM. In particolare, la 3D-US ha mostrato un buon coefficiente di correlazione, sovrapponibile a quello riscontrato con la RMM, considerata standard di riferimento tra le metodiche di imaging per la corretta valutazione dell’estensione di malattia. Questa correlazione non è sempre stata sottolineata in letteratura: nello studio di Londero et al [7] l’ecografia ha sottostimato il diametro del tumore durante il follow up delle pazienti in chemioterapia neoadiuvante, mentre la RMM ha mostrato miglior correlazione con l’anatomia patologica, assieme ad una lieve tendenza alla sovrastima della lesione. La particolare situazione e le modificazioni anatomo-patologiche indotte dalla chemioterapia neoadivuante potrebbero determinare una limitata capacità diagnostica dell’ecografia nel riconoscere le modificazioni post-terapia, in particolare rispetto alla RMM che permette di visualizzare il contrast-enhancement solo nella parte vascolarizzata della neoplasia. I limiti di accordo al 95% calcolati con l’analisi di Bland&Altman tra l’imaging e l’esame istologico sono risultati sovrapponibili per tutte e tre le metodiche, evidenziando come l’ecografia 3D possa essere perlomeno sovrapponibile alle altre metodiche di imaging nella valutazione delle dimensioni delle lesioni maligne. Ulteriore campo di applicazione suggerito dalla letteratura potrebbe essere l’utilizzo delle sonde 3D durante le procedure bioptiche: le immagini ottenute permetterebbero di valutare in maniera più precisa la posizione dell’ago rispetto alla lesione e quindi migliorare l’accuratezza nel sampling tissutale riducendo il numero di frustoli bioptici necessari alla diagnosi istologica [24,25]. Inoltre è già stata analizzata l’opportunità, attraverso i volumi acquisiti in 3D-US di utilizzare l’applicazione del CAD (Computer-Aided Diagnosis) alle immagini ottenute con sonde 3D allo scopo di aumentare la sensibilità e la specificità nel riconoscimento delle lesioni, soprattutto quelle classificate come BI-RADS 3 [26]. 205 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:198-205 Conclusioni In base alla nostra iniziale esperienza, l’ecografia 3D appare un metodo affidabile, pratico e accurato perlomeno quanto 2D-US e RMM per misurare i volumi delle lesioni maligne della mammella. Essa risulta di rapida e facile utilizzazione e permette di memorizzare immagini volumetriche che possono essere rielaborate e più facilmente analizzate o rivalutate anche in un secondo momento e da più operatori. Per citare questo articolo: Clauser P, Londero V, Como G, Girometti R, Bazzocchi M, Zuiani C (2014) Comparison between different imaging techniques in the evaluation of malignant breast lesions: can 3D ultrasound be useful?. Radiol med 119(4):240-248 La Radiologia Medica http://link.springer.com/journal/11547 BIBLIOGRAFIA 1. Zonderland HM, Coerkamp EG, Hermans J, et al (1999) Diagnosis of breast cancer: contribution of US as an adjunct to mammography. Radiology 213:413-422. 2. Kolb TM, Lichy J, Newhouse JH (1998) Occult cancer in women with dense breasts: detection with screening US-diagnostic yield and tumor characteristics. Radiology 207:191199. 3. Weismann CF, Datz L (2007) Diagnostic algorithm: how to make use of new 2D, 3D and 4D ultrasound technologies in breast imaging. Eur J Radiol 64:250-257. 4. Downey DB, Fenster A, Williams JC (2000) Clinical utility of Threedimensional US. 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Simonetti1 1 Dipartimento di Diagnostica ed Imaging Molecolare, Radiologia Interventistica, Medicina Nucleare e Radioterapia Ospedale Universitario “Tor Vergata”, Viale Oxford 81, 00133 Roma, Italia 2 Dipartimento di Sanità Pubblica, “Tor Vergata”, Roma, Italia 3 Unità di Innovazione, Sviluppo, Pianificazione Strategica e Controllo di Gestione, Policlinico Universitario “Tor Vergata”, Roma, Italia Indirizzo Autore: A. Orlacchio, Tel.: +39-06-20902400-2382, Fax: +39-06-20902404, e-mail: [email protected] Ricevuto: 13 Giugno 2012 / Accettato: 25 Febbraio 2013 Riassunto Introduzione Scopo. Analizzare quanto incidono i costi non sanitari (trasporto, perdita di produttività) nell’esecuzione della PET-TC, utilizzando protocolli TC standard con somministrazione di mezzo di contrasto (ceTC, contrast enhanced TC) . In oncologia moderna lo studio combinato mediante tomografia ad emissione di positroni (PET, positron emission tomography) e tomografia computerizzata (TC, tomografia computerizzata), PET-TC, riveste un ruolo cardine per la diagnosi, la stadiazione ed il controllo dopo terapia dei pazienti affetti da patologia neoplastica 1-4. Attualmente nei diversi centri vengono utilizzati due differenti protocolli per lo studio TC combinato con lo studio PET. Nel primo viene utilizzata la TC, con basse dosi di radiazioni e senza mezzo di contrasto (mdc), per la correzione dell’attenuazione e la localizzazione anatomica; nel secondo la TC viene impiegata con protocolli standard e con la somministrazione di mdc (ceTC, contrast enhanced TC), endovenosa o per os, in modo da ottenere immagini diagnostiche di elevata qualità e quindi rendere l’esame “completamente diagnostico”. Numerosi studi hanno evidenziato, infatti, l’incremento del valore diagnostico che deriva dallo studio combinato PET-TC. Lardinois et al. sono stati i primi a segnalare tale vantaggio della PET-TC sulle altre tecniche per la stadiazione secondo il sistema TNM 5. Studi recenti hanno dimostrato che la PET-TC risulta la metodica di Imaging migliore per quanto riguarda la stadiazione del tumore, superiore alla PET da sola e alle indagini PET e TC eseguite separatamente 6. Combinando le informazioni diagnostiche morfo-strutturali e di vascolarizzazione con quelle metaboliche, la PET-TC aumenta l’accuratezza diagnostica nella stadiazione e nella ri-stadiazione del tumore del polmone, del tratto gastrointestinale, della mammella, del rene, del tratto genitourinario, del melanoma, della testa-collo e dei linfomi 7-9. Kanzaki et a.l sono stati i primi a valutare, in maniera retrospettiva, l’efficacia dello studio combinato PET-TC come esame routinario nei pazienti in follow-up per carcinoma del polmone non a piccole cellule, trattati con scopo curativo e non palliativo. I loro risultati evidenziano come la PET-TC abbia fornito una Materiali e Metodi. Dall’ottobre al novembre 2010, 100 pazienti afferenti al nostro Istituto sono stati sottoposti ad un questionario per valutare l’ammontare dei costi non sanitari. E’ stata effettuata, inoltre, una stima dei costi sanitari (ammortamento dell’apparecchiatura, materiali di consumo e personale) derivanti dall’esecuzione della PET-TC utilizzando ceTC e la PET-TC con basse dosi di radiazioni e una ceTC eseguite in tempi separati. Risultati. I costi derivanti dall’esecuzione dell’esame PETTC e ceTC separatamente ammontano a 919,33 euro, mentre quelli per l’esecuzione dell’esame PET-TC utilizzando ceTC ammontano a 801,3 euro. É quindi possibile ottenere un risparmio del 13%. Inoltre la possibilità di accedere una sola volta nella struttura ospedaliera per l’esecuzione dell’esame diagnostico consente un risparmio in termini di costi non sanitari. Conclusioni. I costi diretti non Sanitari incidono notevolmente sulla spesa che il Paziente e, indirettamente, il Sistema Sanitario Nazionale devono affrontare. L’esecuzione della TC diagnostica contestualmente alla PET comporta dei vantaggi in termini di costi diretti sanitari e non sanitari. Parole chiave: tomografia computerizzata; tomografia emissione positroni; costo-beneficio, PET-TC; fusione immagini. 207 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1: 206-213 diagnosi corretta di recidiva di malattia in 34/35 pazienti e classificato correttamente come veri negativi 198/206 pazienti. Gli autori ritengono quindi che la PET-TC possa essere l’unico esame diagnostico necessario in pazienti in follow-up per carcinoma del polmone non a piccole cellule, sempre però in associazione con la RM Encefalo 10. Sempre nell’ambito della patologia neoplastica polmonare, Keidar et al hanno evidenziato, in uno studio prospettico, come il solo esame PET-TC determini un cambiamento delle strategie terapeutiche nel 29% dei casi, rendendo inoltre più specifica e sensibile la stadiazione e la ristadiazione dei pazienti 11. Hyun Hoon Chung et al. hanno valutato la capacità della gestione integrata PET-TC in pazienti con sospetta recidiva di cancro della cervice. Secondo gli autori, l’esame combinato PET-TC modifica il management clinico nel 23.1% delle pazienti, aumentando la sensibilità e la specificità diagnostica nei casi dubbi di recidiva da carcinoma della cervice al solo esame PET. La diagnosi precoce di recidiva consente inoltre di effettuare trattamenti terapeutici curativi nella maggior parte dei casi, limitando quindi gli interventi palliativi. In tal modo, oltre ad ottenere una migliore gestione clinico-radiologica delle pazienti, la PET-TC ha anche un notevole impatto sulla sopravvivenza libera da malattia12. Nel nostro Centro, essendo in essere una stretta collaborazione tra Radiologi e Medici di Medicina Nucleare, disponendo della tecnologia adeguata, quando non contro-indicato, l’esame PET-TC viene eseguito con l’effettuazione di una ceTC. Tale modalità di acquisizione dell’esame PET-TC viene condotta per migliorare il valore dell’esame diagnostico e per enfatizzare il concetto del “one-stop-shop”, di recente introduzione nella medicina moderna. La possibilità di effettuare la stadiazione TNM con un singolo esame consente di ottenere tempestivamente una diagnosi completa e di ridurre il tempo necessario al paziente per sottoporsi ad esami diagnostici separatamente 13. Inoltre, in un periodo di difficoltà economica generale, la valutazione delle risorse economiche e del loro impiego è alla base di una efficace ed efficiente gestione economico-sanitaria. Esistono, infatti, differenti tipi di costi che possono essere valutati in ambito economico-sanitario: i) costi diretti, costituiti dalle spese relative alle attività di prevenzione, di diagnosi e cura dei pazienti; ii) costi indiretti, meglio conosciuti come costi non sanitari, che il paziente e/o i familiari dello stesso devono affrontare per ricevere l’assistenza (costi relativi al trasporto, costi in termini di perdita di produttività). La perdita di produttività non deve essere registrata solo per i dati relativi al paziente che esegue l’esame, ma anche per chi lo accompagna. Di conseguenza, la scelta di inclusione, parziale o totale, delle diverse categorie nelle valutazioni economiche dipende dalla prospettiva da cui viene condotta l’analisi. Il Servizio Sanitario Nazionale prende in considerazione solo i costi diretti sanitari, mentre i fruitori del Servizio (i pazienti) devono farsi carico di tutte le categorie di costo, sia diretto che indiretto. La revisione della letteratura evidenzia tuttavia come, anche negli studi che adottano una prospettiva sociale, spesso non sia inclusa la stima della perdita di produttività, nonostante questa costituisca mediamente la metà del costo totale di una patologia. Le ragioni sono da collegarsi alle problematiche metodologi- che e alle difficoltà oggettive di quantificazione di tali costi, nonché alle differenti posizioni assunte dalle linee guida in materia di valutazione economica delle prestazioni sanitarie emanate in diversi Paesi. Scopo del nostro studio è quello di analizzare in che misura incidono i costi non sanitari nell’esecuzione della PET-TC effettuando contemporaneamente una ceTC. Materiali e metodi Costi sanitari degli esami Per calcolare il costo degli esami della ceTC, della PET-TC e dell’esame PET-TC utilizzando la ceTC abbiamo considerato l’ammortamento dei singoli macchinari, i materiali di consumo (18F-FDG e mezzo di contrasto) ed il costo del personale addetto, medico e non medico. Per calcolare l’ammortamento e stato considerato il costo di acquisto delle apparecchiature, diviso tale costo per l’utilizzo orario annuale, ottenendo così il costo al minuto che, moltiplicato per la durata dell’esame, dà la quota di ammortamento delle apparecchiature imputabile ad ogni esame. Tali dati sono stati ricavati dalla contabilità della nostra struttura ospedaliera. Per quanto riguarda il costo del personale, siamo partiti dalle retribuzioni contrattuali annuali ed abbiamo diviso tale retribuzione per il numero di ore di lavoro previsto, quindi per il numero di minuti, ottenendo il costo al minuto. Abbiamo, quindi, moltiplicato tale costo per la durata dell’esame ottenendo così il costo delle varie figure professionali imputabile ad ogni esame. Per calcolare la durata dell’esame e dell’utilizzo del personale medico sono stati utilizzati i dati riportati nel documento della Società Italiana di Radiologia Medica (SIRM) sull’appropriatezza prestazionale quali-quantitativa in Diagnostica per Immagini 14. Costi non sanitari dell’esame combinato PET-TC con ceTC La nostra indagine è stata effettuata a campione in maniera random su una serie di 100 pazienti che tra ottobre e novembre 2010 si sono recati al nostro Centro. Per uniformare la popolazione di studio sono stati inclusi solo pazienti oncologici che effettuavano l’esame per motivi di staging, re-staging e follow-up. Sono stati invece esclusi i pazienti che effettuavano l’esame con indicazione neurologica (malattie neurodegenerative). I pazienti sono stati sottoposti ad un questionario, per valutare l’ammontare dei costi non sanitari che incidono sull’esecuzione dell’esame PET-TC utilizzando la ceTC. Tale questionario è stato fornito con lo scopo di valutare le spese inerenti al trasporto di ogni singolo paziente, e ai costi in termini di perdita di produttività del singolo. Le domande comprese nel questionario riguardavano la condizione lavorativa del paziente al momento del questionario ed il tipo di lavoro svolto, la distanza dal domicilio al nostro Centro, il mezzo di trasporto (pubblico o privato) con il quale si era raggiunto il Centro stesso. In caso di mezzo di trasporto privato, doveva essere indicata la tipologia dello stesso (modello e cilindrata). 208 Inoltre, per valutare i costi relativi all’informal care, è stato richiesto di indicare se il paziente fosse accompagnato e il tipo di lavoro svolto dall’accompagnatore. La tipologia di professione è stata richiesta per individuare un valore medio della giornata lavorativa di ogni singolo paziente. Per valutare l’ammontare dei costi relativi al trasporto, nel caso il paziente usufruisse di mezzo pubblico, tale costo è stato approssimato al costo del biglietto indicato nel questionario. Nel caso il paziente avesse usufruito di un mezzo proprio, sono state utilizzate le tabelle ACI, che riportano il costo per kilometri (Km) per cilindrata corrispondente. Moltiplicando il costo per Km per i Km percorsi abbiamo quindi ottenuto il costo di trasporto. Analisi statistica È stata effettuata una statistica descrittiva generale, considerando sesso, età, stato lavorativo del paziente, eventuale presenza di accompagnatore e relativa occupazione. Per la valutazione statistica i risultati ottenuti, espressi come media±deviazione standard e percentuale sono stati ottenuti mediante Software Microsoft Windows Office Excel2000. Risultati Costi sanitari degli esami Per calcolare in maniera idonea i costi derivanti dai diversi tipi di esame diagnostico, abbiamo evidenziato che l’esecuzione del solo esame TC prevede l’utilizzo della sala TC per almeno 20’. Inoltre, il personale medico viene impiegato per 30’, il personale tecnico per 30’, il personale infermieristico per 20’ ed il personale ausiliario per 15’ (Tabella 1). Nella tabella 2 sono riportati i costi relativi al personale sanitario e non, compreso il personale di segreteria, che ammontano a 57,47 euro. Per quanto riguarda, invece, i costi delle apparecchiature e dei materiali di consumo, questi ammontano a 116 euro. A tali costi vanno aggiunti altri costi generali dell’Azienda pari a 73,55 euro. I costi relativi al solo esame TC ammontano a 247,02 euro. L’esecuzione dell’esame PET-TC è prevede l’utilizzo di un medico per 90’, del personale tecnico per 40’, del personale infermieristico per 25’ e del personale ausiliario per 15’ (Tabella 1). I costi relativi al personale sanitario e non, compresi quelli di segreteria ammontano quindi a 113,23 euro. I costi delle apparecchiature e dei materiali di consumo ammontano a 424,6 euro. A tali costi vano aggiunti costi generali dell’Azienda pari a 134,5. Per l’esecuzione dell’esame PET-TC è necessaria quindi una spesa pari a 672,3. La spesa dell’esame PET -TC e della ceTC eseguita in tempi separati ammonta a 919,3 euro (Tabella 2). Effettuando l’esame PET-TC utilizzando una ceTC, è necessario l’utilizzo di due medici (radiologo e medico nucleare) per 90’, del personale tecnico per 45’, del personale infermieristico per 30’ e del personale ausiliario per 15’. I costi relativi al personale sanitario e non, compresi quelli di segreteria ammontano quindi a 192,25 euro. I costi delle apparecchiature e dei materiali di consumo ammontano a 474,62 euro. A tali costi vano aggiunti costi generali dell’Azienda pari a 134,5 euro. Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:206-213 Per l’esecuzione dell’esame PET-TC utilizzando una ceTC è necessaria quindi una spesa pari a 801,3 euro (Tabella 2). Effettuando quindi una ceTC durante la PET-TC vi è un risparmio del 13% rispetto all’esecuzione di una c.eTC ed una PET-TC eseguite in tempi diversi (Tabelle 1-2). Partendo dall’ipotesi di almeno pari efficacia dell’esame PETTC con una ceTC rispetto ad un esame PET-TC con ceTC in tempi diversi, l’esecuzione del solo esame PET-TC con c.eTC comporta ovviamente un risparmio per il SSN e per i pazienti limitando i costi effettivi complessivi. Costi non sanitari degli esami Cento pazienti afferenti al nostro centro sono stati inclusi nel nostro studio. L’età dei pazienti era in media di 56,40816±16,99717 (range 18-87). Nessun paziente ha rifiutato la somministrazione del questionario. I questionari sono stati compilati nella maniera corretta ed i dati sono stati quindi registrati correttamente nel 100% dei casi. Dalla nostra analisi è risultato che, al momento dell’indagine, 35/100 pazienti erano in condizioni lavorative attive, 51/100 pensionati, 3/100 disoccupati, 4/100 studenti e 7/100 non attivi (Tabella 3). Ogni paziente per recarsi presso il nostro centro ha effettuato in media 67,4 km, impiegando per il solo viaggio, tra andata e ritorno, in media 186’. L’ammontare in denaro della perdita di produttività è stato stimato su una giornata lavorativa intera, in relazione alla durata del viaggio effettuato per raggiungere il nostro centro ed in relazione alla durata complessiva (circa 3h) per l’effettuazione dell’esame. I costi complessivi di trasporto relativi al campione prescelto risultano quindi pari a 3050 euro, con un costo medio a persona di circa 30,5 euro. Per calcolare il costo di una giornata lavorativa abbiamo preso in considerazione una settimana lavorativa di 40 ore ed un monte ore giornaliero pari a 8 ore. L’ammontare della giornata lavorativa è stato calcolato in accordo con i dati EUROSTAT-ISTAT, che indicano uno stipendio medio per impiegati nel settore dell’industria di 22.701 euro anno, per il settore del commercio-trasporti-ristorazione di 24.843 euro anno, per il settore assicurazioni, ricerca e servizi di 27.134 euro anno e per il settore privato di 23.406 euro anno. Per una giornata lavorativa di 8 ore la perdita di produttività ammonta quindi a 102,16 euro (range 94,58-113,05) (Tabella 4). Per quanto riguarda l’eventuale presenza di un accompagnatore, abbiamo constatato che la maggior parte dei pazienti risultava accompagnata nel giorno dell’esame. Dei 35 pazienti lavoratori, 23 risultavano accompagnati da persone attive in senso lavorativo e 2 da persone pensionate. Dei 3 pazienti disoccupati, 1 risultava accompagnato da una persona attiva in senso lavorativo. Tutti e 4 gli studenti risultavano accompagnati, di cui 3 da persone attive. Dei 7 pazienti non attivi lavorativamente, 6 risultavano accompagnati da persone attive. Dei 51 pazienti pensionati, 46 risultavano accompagnati: 16 da persone pensionate, 30 da persone attive. Si evince quindi che 80 pazienti erano effettivamente accompagnati da un familiare o da un conoscente. Pertanto, nella valutazione dell’informal care, abbiamo individuato negli 80 accompagnatori, 57 lavoratori attivi, 1 studente e 23 pensionati (Tabella3). Per quanto concerne le perdite di produttività queste vengono calcolate per pazienti e 209 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:206-213 Tabella 1 Tempi derivanti dall’esecuzione degli esami ceTC, PET-TC e PET-TC con ceTC per ogni singolo operatore IMPIEGO PERSONALE (MINUTI) TC PET-TC PET-CT + c.eCT Medico 40’ 90’ 90’ + 90’ Tecnico 30’ 40’ 45’ Infermiere 20’ 25’ 30’ Ausiliario 15’ 15’ 15’ PET-TC PET-CT + c.eCT Tabella 2 Costi sanitari derivanti dall’esecuzione degli esami ceTC, PET-TC e PET-TC con ceTC COSTI SANITARI (€) c.eTC Medico 25,16 75,47 150,94 Tecnico 11,32 15,09 17,01 Infermiere 6,71 8,39 10,02 Ausiliario 3,62 3,624 3,62 Ammortamento Apparecchiature 51 198,6 198,62 Materiali di consumo 65 226 276 Spese di segreteria 6,4 10,66 10,66 73,55 134,48 134,48 247,02 672,314 801,3 Costi fissi Tot. Tot. accompagnatori in condizioni lavorative effettuando la stima del reddito giornaliero a cui “si rinuncia” per recarsi presso il Centro o per effettuare l’esame o per accompagnare colui che si sottopone all’esame. Le giornate di lavoro perse dai pazienti risultano quindi pari a 35 mentre quelle degli accompagnatori pari a 57, per un totale di 92 giornate. Se si usa come valore medio della produttività giornaliera la cifra di 102,16 euro, le perdite di produttività relative al campione di 100 pazienti risulta pari a 9.398,72 euro. Sommando quindi i costi derivanti dalla perdita di produttività ed dalle spese per il viaggio, possiamo dedurre che i costi non sanitari ammontano a 12.448,72 euro, con una spesa, di natura non sanitaria, a carico di ogni paziente di 124,48 euro (Tabella 5). Prendendo, quindi, in considerazione sia le spese sanitarie che non sanitarie, per i 100 pazienti inclusi nel nostro studio, c’è tata una spesa complessiva di 92.578,00 euro. Dalla nostra valutazione emerge che il 13,5 % di tale spesa risulta completamente a carico del paziente e dei suoi familiari. 919,33 801,3 Discussione Gli obiettivi dell’Imaging oncologico sono il rilevamento e la localizzazione delle lesioni, compreso il rapporto con le strutture anatomiche adiacenti e i vasi, la caratterizzazione delle lesioni, la corretta stadiazione e la valutazione della risposta al trattamento. Alcuni di questi obiettivi richiedono tecniche d’Imaging morfologico, mentre altre tecniche di Imaging molecolare. La TC permette di ottenere informazioni circa l’esatta localizzazione anatomica del tessuto tumorale individuato e fornisce un dato sulla sua vascolarizzazione, grazie all’utilizzo del mezzo di contrasto organo-iodato. D’altra parte, l’uso della PET con traccianti specifici per la misura del metabolismo cellulare tumorale permette di valutare il grado di aggressività del tumore, la presenza e distribuzione delle metastasi a distanza, l’effetto di trattamenti chemio e/o radioterapici sulla vitalità del tumore e la diagnosi 210 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:206-213 Tabella 3 Descrizione della popolazione di studio CARATTERISTICA DELLA POPOLAZIONE DI STUDIO Sesso (m/f) 64/46 Anni (età) media ± DS 56,4 ± 16,99 Stato lavorativo Lavoratore attivo 35 Pensionato 51 Disoccupato 3 Studente 4 Non lavoratore 7 Accompagnatore (si/no) 80/20 Stato lavorativo dell’accompagnatore Lavoratore attivo 57 Pensionato 22 Disoccupato - Studente 1 Non lavoratore - Tabella 4 Stipendio medio annuale e stipendio medio giornaliero per ogni settore di attività (Dati EUROSTAT-ISTAT) SETTORE DI IMPIEGO STIPENDI MEDIO ANNUALE (€) GIORNATA LAVORATIVA (€) Settore Industria 22701 94,58 Settore Commercio - Trasporti - Ristorazione 24843 103,51 Settore Assicurazioni - Ricerca - Servizi 27134 113,05 Settore Privato 23406 98 24521 ± 1956 102,16 ± 8,15 media ± DS differenziale tra recidiva tumorale e necrosi da terapia radiante. In questo modo è possibile ottenere un inquadramento clinico ed una stadiazione più precisa limitando il numero di procedure diagnostiche invasive. I principali limiti della PET sono rappresentati dalla scarsa rappresentazione anatomica delle strutture, che rende difficile l’individuazione delle lesioni, in particolare quelle di piccole dimensioni, oppure l’accumulo fisiologico del tracciante in organi e tessuti normali quali cervello, muscoli, ghiandole salivari, tiroide, miocardio, tratto gastrointestinale e urinario; pertanto, risulta difficoltosa l’interpretazione delle immagini laddove la lesione neoplastica sia localizzata all’interno di or- gani con fisiologico accumulo di FDG. D’altra parte, si può rilevare la mancata captazione in tumori a bassa attività metabolica (tumori neuroendocrini, carcinoma bronchiolo-alveolare) così come l’ipercaptazione in patologie non maligne, che possono essere neoplasie benigne o lesioni infiammatorie. È, pertanto, ormai riconosciuto che la FDG-PET e la TC sono due metodiche complementari, e che l’impiego combinato delle stesse è indispensabile nella pratica clinica oncologica. All’unione delle due tecnologie si è arrivati a fronte della necessità di ridurre il rumore durante la correzione per l’attenuazione rendendola allo stesso tempo più rapida, con una riduzione dei tempi di acquisizione del 20-30%, e migliorando la 211 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:206-213 Tabella 5 Costi non sanitari totali riferiti al campione di 100 pazienti presi in esame COSTI NON SANITARI Perdita di produttività Paziente (€) Perdita di produttività accompagnatore (€) Costi trasporto (€) 3575 5823 3050 qualità dell’immagine ottenuta. Inoltre, la fusione delle immagini morfologiche ad alta risoluzione della TC con quelle PET aiuta la localizzazione spaziale delle immagini funzionali, per esempio, per identificare il sito anatomico ove è visibile una zona di elevato uptake corrispondente a un tumore; così come la TC può fornire informazioni che completano il quadro clinico, ad esempio le dimensioni di un tumore e visualizzazione di piccole lesioni altrimenti non visibili alla PET. Allo stesso tempo, le informazione TC possono essere utilizzate per la correzione delle limitazioni della PET, come per il calcolo del SUV (Standardized Uptake Value) o per la correzione dell’effetto di volume parziale. Pochi autori hanno indagato la validità e l’efficacia dell’esecuzione dell’esame combinato PET-TC effettuando una TC diagnostica in un unico momento. Pfannemberg et al. 15 in uno studio retrospettivo condotto su 214 pazienti oncologici riportano come lo studio combinato PET-TC con la ceTC apporti considerevoli informazioni aggiuntive rispetto al solo esame PET-TC senza TC diagnostica. L’esecuzione della ceTC durante l’esame combinato PET-TC ha consentito, secondo gli autori, di aumentare la sensibilità dell’esame PET-TC individuando nel 17% dei pazienti lesioni negative al solo esame PET-TC e di localizzare correttamente il 39% delle lesioni in siti sospetti, soprattutto in pazienti con patologia neoplastica dell’apparato gastro-enterico. Gli stessi autori 16, analizzando i risultati ottenuti in soli pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule, hanno riscontrato che l’esecuzione della TC diagnostica durante l’esame PET non influenza solo la stadiazione della neoplasia, ma è anche necessaria nei pazienti che devono effettuare radioterapia conformazionale o trattamenti chirurgici non convenzionali. Anche Soyka et al. 17 definiscono la PET-TC con TC diagnostica come esame di prima istanza da dover effettuare in pazienti che devono essere ristudiati per recidiva da tumore del colon-retto. Inoltre, nella valutazione della risposta al trattamento chemioterapico in pazienti con linfoma di Hodgkin, Orlacchio et al 18 hanno evidenziato l’importanza dell’integrazione dell’esame PET con la ceTC, soprattutto in presenza di captazioni sottodiaframmatiche intra e retroperitoneali o in sede laterocervicale. Infatti, secondo gli autori, l’utilizzo del mdc consente di discriminare chiaramente tra formazioni linfonodali e fisiologici accumuli del 18F-FDG in corrispondenza dell’apparato urinario ed intestinale, o dell’accumulo in sede vascolare. Sempre secondo gli autori, la valutazione post-contrastografica è inoltre imprescindibile nella stadiazione delle patologie linfomatose con interessamento di organi extranodali, poiché in tale evenienza la sola PET/TCms basale non sempre riesce a documentare l’esistenza di malattia con lesioni focali Totale (€) 12448 soprattutto di dimensioni sub-centimetriche. Da queste considerazioni si evince come i due esami siano l’uno di supporto all’altro e come siano significativi i vantaggi che scaturiscono dal loro utilizzo integrato. Pertanto, nei centri di Diagnostica per Immagini che dispongono della tecnologia adeguata, è opportuno effettuare una TC diagnostica durante l’esecuzione di una PET-TC, sia per l’indubbio valore diagnostico dell’esame combinato, sia per ridurre la dose di radiazioni ionizzanti a cui è esposto il paziente. Infatti, per l’esecuzione di una PET-TC il paziente è esposto ad una dose di radiazioni pari a circa 14.5 mSv (9.6-29.8 mSv) 19. Se si esegue una TC diagnostica in un secondo momento, a tale carico espositivo devono essere aggiunti circa 12mSv20 derivanti dall’esecuzione di tale esame. Si può quindi ipotizzare che, eseguendo una ceTC vi possa essere una riduzione di circa il 50% della dose di radiazioni ionizzanti a cui è esposto il paziente nel caso venga effettuato l’esame PET-TC con ceTC. Oltre ai benefici in termini di sensibilità e specificità diagnostica, si ottiene anche una cospicua riduzione dei tempi per effettuare una diagnosi corretta con una riduzione dei costi, sanitari e non sanitari, derivanti dall’esecuzione dell’esame in un unico momento. Infatti il ritardo della diagnosi, dovuto anche al più lungo intervallo temporale per l’esecuzione degli esami in tempi successivi, comporta l’ampliamento dei tempi per le scelte terapeutiche, con svantaggi clinici ed economici non quantificabili. In base alla nostra esperienza, non è stato evidenziato un aumento delle liste d’attesa per l’esecuzione dell’esame PETTC con una ceTC, rispetto ad un esame PET-TC senza ceTC. La durata è infatti la stessa per i differenti esami (circa 90’) e la possibilità che ne deriva dal poter effettuare un esame TC diagnostico nello stesso momento, consente una riduzione delle liste TC giornaliere. Tale situazione risulta vantaggiosa anche per il paziente che non deve accedere in una struttura ospedaliera una seconda volta per effettuare una TC diagnostica. Ciò può comportare una riduzione dei tempi necessari per ottenere una diagnosi completa ed un risparmio sia in termini di costi sanitari sia in termini di giornate lavorative e quindi di costi non sanitari. Scopo di questo studio è stato quello infatti di valutare l’ammontare dei costi derivanti dall’esecuzione dell’esame PETTC con TC diagnostica, sia in termini di costi sanitari che non sanitari. Gli studi sulle valutazioni economiche in Sanità sono spesso effettuati in maniera retrospettiva. Pertanto, tali valutazioni risultano carenti e poco precise poiché vengono valutati solo i costi diretti di natura sanitaria e non vengono prese in considerazioni specifiche informazioni del singolo paziente21. Tuttavia, anche se per il SSN le spese completamente a cari- 212 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:206-213 co del paziente risultano invisibili, in un periodo di difficoltà economica, è necessaria un’analisi dettagliata delle spese derivanti dall’esecuzione di una prestazione sanitaria, di qualsiasi natura essa sia22. Per quanto concerne i costi sanitari, dalla nostra valutazione emerge chiaramente che il costo dell’esame combinato PETTC risulta inferiore alla somma dei costi dei due esami TC e TC-PET separatamente. Il nostro studio mostra l’importanza di registrare i costi di natura non sanitaria e dell’informal care nell’ambito delle valutazioni economiche in ambito sanitario. Le spese in termini di perdita di produttività, sia del paziente che dell’accompagnatore, rappresentano una cospicua parte delle spese totali. Infatti, i nostri risultati evidenziano che l’ammontare di tali costi rappresenta il 13,5 % dei costi derivanti dall’esecuzione dell’esame. In base alle nostre conoscenze non ci sono studi che correlano i costi non sanitari nell’esecuzione dell’esame PET-TC e TC. Studi simili sono state effettuati da Fazio et al. 23 nella valutazione economica dei trattamenti radioterapici con ipofrazionamento di dose. Gli autori, hanno evidenziato che con l’ipofrazionamento, il risparmio di sedute può essere ipotizzato come “risparmio di giornate lavorative”. Di conseguenza si otterrebbe una riduzione dei costi non sanitari e nella caso in cui il paziente sia accompagnato, anche dell’informal care. Da tale valutazione si può dedurre che ridurre il numero di accessi per eseguire l’esame in un unico tempo risulta necessario per ridurre i costi effettivi, sia sanitari che non. L’esecuzione della PET-TC con ceTC, in luogo della PET-TC e della ceTC in tempi diversi, oltre a ridurre i costi diretti sanitari, porta ad una riduzione significativa dei costi derivanti da spese di natura non sanitaria e dall’informal care. La nostra esperienza enfatizza la necessità di risorse dedicate per effettuare l’analisi dei costi e la necessità di una stretta interazione tra i ricercatori clinici ed economici, con riunioni periodiche di aggiornamento per la valutazione dei costi dei diversi esami proposti. Per quanto concerne i costi, il costo dell’esame combinato PET-TC con ceTC risulta inferiore alla somma dei costi dei due esami ceTC e PET-TC eseguiti separatamente. Inoltre, per quanto concerne i costi non sanitari rappresentati dai costi di trasporto e dalle perdite di produttività per i pazienti, l’esame PET-TC con c.eTC potrebbe consentire spese inferiori rispetto alla somma degli esami c.eTC e PET-TC eseguiti in tempi successivi. Tali valutazioni possono essere allargate anche ad altre metodiche diagnostiche. Il recente sviluppo della PET-MRI (position emission tomography – magnetic resonance imaging) ha infatti aperto nuove possibilità nell’ambito dell’imaging oncologico24, tuttavia è sempre opportuno analizzarne i diversi aspetti. I vantaggi pratici ed i potenziali benefici clinici derivanti dall’utilizzo della PET-MRI, dovrebbero essere controbilanciati dai costi (sanitari e non) derivanti dall’esecuzione dell’esame. Pertanto sarebbe opportuno, anche in questo caso, effettuare una MRI che non sia utile solo per la correzione dell’attenuazione e per la localizzazione anatomica, ma che abbia una validità diagnostica. Conclusioni L’esecuzione dell’esame PET-TC con ceTC è auspicabile nei centri che dispongono delle tecnologie adeguate, sia per l’elevata sensibilità e specificità dell’esame, sia per la possibilità di ridurre il carico espositivo di radiazione ionizzanti a cui è esposto il paziente. Inoltre i risultati del nostro lavoro permettono di affermare che i costi diretti non sanitari risultano rilevanti e quindi l’esecuzione in un unico momento dell’esame combinato PET-TC con ceTC, piuttosto che in tempi diversi, risulta assolutamente efficiente e apporta notevoli vantaggi in termini di costo-benificio per il singolo paziente, poiché permette di non raddoppiare i costi relativi al trasporto e alle perdita di produttività. Inoltre, bisogna anche tenere presente che, per centri diagnostici che ospitano macchinari sofisticati come la PET-TC, il bacino di utenza non si limita a coloro che vivono in zone limitrofe ma anche in aree lontane. Per citare questo articolo: Orlacchio A, Ciarrapico AM, Schillaci O, Chegai F, Tosti D, D’Alba F, Guazzaroni M, Simonetti G (2014) PET–CT in oncological patients: analysis of informal care costs in cost–benefit assessment. Radiol med 119(4):283-289 La Radiologia Medica http://link.springer.com/journal/11547 BIBLIOGRAFIA 1. Coleman RE, Delbeke D, Guiberteau MJ et al (2005) Concurrent PET/ CT with an integrated imaging system: intersociety dialogue from the joint working group of the American College of Radiology, the Society of Nuclear Medicine, and the Society of Computed Body Tomography and Magnetic Resonance. J Nucl Med;46:1225-39 3. Townsend DW, Carney JP, Yap JT et al (2004) PET/CT today and tomorrow. J Nucl Med;45 Suppl 1:4S-14S 2. 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Tel.: +39-347-3300367, Fax: +39-06-61909399, e-mail [email protected]; [email protected] Ricevuto: 3 Settembre 2012 / Accettato: 31 Gennaio 2013 Riassunto Introduzione Obiettivo. L’attività professionale del radiologo o del radioterapista può esporre a rilevanti fattori di rischio psicosociale, così che taluni lavoratori possono trovarsi in condizioni di distress. Scopo di questo lavoro è studiare la relazione tra lo stress lavorativo e la presenza di sintomi di ansia, depressione e malessere psicologico e valutare quale sia il rischio di disturbi psichici nei radiologi che si trovano in condizioni di distress lavorativo. L’attività del radiologo e del radioterapista espone a rilevanti fattori di rischio professionale, di ordine strutturale, come il sovraccarico lavorativo o le difficoltà organizzative [1], di natura “compassionale”, legato alla sofferenza dei pazienti [2], o derivante da denunce per malpratica o da preoccupazioni per gli errori commessi [3]. Nel confronto con altre categorie di medici, i radiologi riportano i più alti livelli di stress da lavoro [4]. “Distress” è un termine eterogeneo e definito in modo impreciso che si riferisce alla soggettiva risposta sfavorevole e spiacevole allo stress. Data la definizione vaga, la prevalenza dei lavoratori con distress varia entro limiti molto ampi, dal 5% al 50% nei vari studi [5]. Quando il distress raggiunge rilevanza clinica, si definisce disturbo correlato allo stress (stress-related disorder, SRD). Questo termine comprende una serie di condizioni cliniche come la neurastenia, il disturbo dell’adattamento, il burnout, l’ansia e la depressione, che corrispondono a diagnosi psichiatriche riconosciute nel DSM-IV (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali). Collettivamente intesi, gli SRD rappresentano una quota rilevante dei problemi di salute mentale nei luoghi di lavoro. La prevalenza di questi disturbi è elevata; in Europa si stima che la prevalenza dei disturbi dell’umore nell’arco della vita di lavoro sia del 14,0% e quella dell’ansia del 13,6%, mentre la prevalenza nell’ultimo anno è, rispettivamente, del 4,2% e del 6% [6]. Il distress e i disturbi mentali da esso indotti sono molto importanti ai fini dello svolgimento dell’attività professionale. I medici che si trovano a lavorare in condizioni di “alto strain” presentano una maggiore quota di sintomi depressivi [7]. La depressione, il distress e i disturbi del sonno concorrono ad aumentare la frequenza degli errori medici [8]. Sia nei paesi occidentali che in quelli orientali la percentuale di medici con disturbi depressivi è molto alta, anche se i casi gravi sono relativamente pochi [9]. I giovani sono maggiormente a rischio [10]. Tuttavia, i medici tendono a non richiedere aiuto per i propri problemi di distress e ad automedicarsi; ciò può aumentare la pericolosità dei disturbi mentali. Si è osservato che la pressione determinata dai fattori psicosociali, come le eccessive richieste lavorative e la bassa discrezionalità, ridu- Metodi. 654 radiologi hanno risposto all’invito di compilare un questionario per la valutazione dello stress da lavoro e delle patologie correlate: il General Health Questionnaire e le scale di Ansia e Depressione di Goldberg. Risultati. I punteggi delle scale di ansia, depressione e malessere psicologico nei radiologi aumentano al crescere dello sforzo lavorativo estrinseco (effort) e di quello intrinseco (overcommitment), mentre il controllo sul lavoro (control) ed il sostegno sociale (support) hanno un effetto protettivo. I radiologi che avvertono una discrepanza tra lo sforzo lavorativo e le ricompense ricevute hanno un marcato aumento del rischio di ansia (OR 14,14 IC95% 9,15-21,86), di depressione (OR 7,00 IC95% 4,76-10,30) e di disturbi psichici (OR 3,95 IC95% 2,62-9,57). Anche i radiologi che avvertono richieste eccessive in rapporto alla loro capacità di controllo hanno un aumentato rischio di essere ansiosi (OR 2,98, IC95% 2,054,31), depressi (OR 1,73; IC95% 1,21-2,48) e di soffrire di disturbi psichici (OR 2,26 IC95% 1,48-3,45) rispetto ai radiologi che non si trovano in condizione di “distress”. Conclusioni. La radiologia ha compiuto progressi tecnici eccezionali ed ha un ruolo insostituibile nella sanità pubblica; deve ora realizzare un sostanziale miglioramento delle condizioni di benessere mentale dei medici radiologi, nell’interesse non solo dei lavoratori, ma anche dei pazienti e della qualità delle cure cui questi hanno diritto. Parole chiave stress da lavoro, radiologi, depressione, ansia, distress, Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:214-221 cono il legame affettivo con la propria attività ed aumentano l’intenzione di lasciare il lavoro [11]. La diagnosi di SRD è di particolare importanza per tre motivi. A livello macro, il monitoraggio epidemiologico può indicare l’andamento del fenomeno e indirizzare scelte di strategia preventiva. In Italia, ad esempio, si è deciso di rendere obbligatoria per tutti i datori di lavoro la valutazione del rischio stress negli ambienti di lavoro e la predisposizione di opportune misure di prevenzione nei casi in cui ciò è necessario [12]. A livello di azienda, l’identificazione di uno o più casi di SRD correlati al lavoro può stimolare o potenziare azioni preventive. A livello individuale il medico del lavoro può esprimere specifiche indicazioni (prescrizioni) transitorie o permanenti, per favorire il rientro al lavoro o migliorare la qualità della vita di lavoro. Per valutare le conseguenze negative per la salute mentale dei lavoratori derivanti dall’esposizione a fattori di rischio psicosociale sono state sviluppate alcune teorie. Le più influenti sono quella del modello demand-control-support (DCS) di Karasek [13] e quella del modello effort-reward imbalance (ERI) di Siegrist [14]. Entrambe postulano che il distress sia conseguente ad uno squilibrio, tra richieste di lavoro e controllo sul lavoro nel modello di Karasek, tra sforzo e risultato nel modello di Siegrist. Scopo di questo studio è valutare se esiste una associazione tra la condizione di “distress” nei medici radiologi e la presenza di SRD: ansia, depressione, malessere psicologico. Metodo Nel corso di un Congresso Nazionale della Società Italiana di Radiologia Medica i radiologi sono stati invitati a compilare un questionario, comprendente tra l’altro una sezione per la valutazione dello stress da lavoro ed una per la valutazione delle sue conseguenze. L’indagine è stata autorizzata dal Comitato Etico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Sono state raccolte 654 risposte complete. I questionari erano anonimi e, per garantire la non identificabilità dei rispondenti, i dati socio-demografici erano limitati a: genere, classe di età, tipo di struttura nella quale si lavora (pubblica o privata), anzianità lavorativa, ruolo gerarchico. L’indagine sulla percezione di stress da lavoro si è giovata del questionario demand-control-support (DCS) di Karasek [13] e del questionario effort-reward imbalance (ERI) di Siegrist [14], entrambi nella versione italiana [15]. Le caratteristiche dei questionari sono state illustrate dettagliatamente in un precedente lavoro su questa rivista [16]. Il questionario di Karasek fornisce i punteggi relativi alle scale “demand”, corrispondente alle richieste psicofisiche del lavoro; “control”, indicativa della discrezionalità nello svolgimento delle attività lavorative; “support”, il sostegno sociale fornito da superiori e colleghi. La tensione lavorativa (job strain) può essere definita come la proporzione di lavoratori che presentano contemporaneamente un alto carico psicologico di lavoro (“demand” a valori superiori alla mediana) ed un basso “control” (valori al di sotto della mediana). Alternativamente, essa può essere calcolata come rapporto pesato di “demand” e “control” ed è quindi una variabile continua. In questo studio abbiamo applicato entrambi questi metodi. Il questionario di Siegrist fornisce una scala di “effort” (sforzo psicologico richiesto dal lavoro, o “stress estrinseco”), una scala di “overcommitment” 215 (impegno eccessivo nel lavoro, o “stress intrinseco”) ed una scala di reward (ricompense ricevute per il lavoro fatto). Il rapporto pesato tra effort e reward fornisce una misura continua (effort-reward imbalance, ERI). I soggetti che hanno un punteggio superiore all’unità sono considerati stressati perché soggettivamente percepiscono una discrepanza tra sforzi e risultati. Le conseguenze del distress sono state valutate con il General Health Questionnaire (GHQ12) e con le scale di ansia e depressione di Goldberg, entrambi nella versione italiana [1718]. Il GHQ [19] indica la probabilità di soffrire di disturbi psichici nel breve periodo. Si compone di 12 domande, per ciascuna delle quali sono previste quattro risposte; nel presente studio si è adottata la tradizionale modalità di correzione binaria, in base alla quale le prime due risposte danno 0 punti e le altre risposte 1 punto. Con questo metodo il punteggio finale è compreso tra 0 e 12. Il cut-off, cioè il livello oltre il quale aumenta significativamente il rischio di soffrire di una patologia psichica, è fissato a 2 punti perché si tratta del livello che dà migliore sensibilità e specificità [20]; quindi da tre punti in su il soggetto potrebbe essere un “caso”. Occorre ricordare che il concetto di “caseness” in psichiatria sociale ha solo valore epidemiologico e non corrisponde ad una diagnosi psichiatrica, ma ad una probabilità. L’affidabilità del GHQ12 in questo studio è elevata (alfa=0,90). L’altro indicatore di SRD da noi usato è il questionario A/D di Goldberg. Questo semplice strumento, ideato per aiutare i medici di medicina generale nella diagnosi di sospetta patologia psichiatrica, è composto da due scale di 9 domande a risposta binaria (no/si). Il punteggio finale è dato dalla somma delle risposte affermative. La “caseness”, definita come probabilità superiore al 50% che la diagnosi sia confermata dallo specialista, corrisponde ad un punteggio pari a 6 o più punti nella scala di ansia, a 3 o più punti nella scala di depressione [21]. La probabilità di essere un caso cresce rapidamente all’aumentare del punteggio. In questo studio abbiamo scelto un cut-off pari a 4 per la scala di depressione, al fine di ridurre la percentuale di “falsi positivi”. Nel presente lavoro l’alfa di Cronbach (affidabilità) del questionario è risultato pari a 0,82 per la scala di ansietà, 0,79 per quella di depressione. Il primo quesito al quale volevamo rispondere è se c’è una relazione tra il distress occupazionale e il livello dei disturbi psichici. Abbiamo usato quindi la regressione lineare multipla gerarchica. Per ciascuna delle tre misure di interesse (ansietà, depressione, malessere psicologico) abbiamo costruito una equazione in cui tale variabile era posta come dipendente. Come variabili indipendenti nel primo modello abbiamo posto le variabili socio-demografiche (età, genere, settore pubblico o privato, anni di lavoro, ruolo). Nel secondo e terzo modello, abbiamo aggiunto a queste le variabili indicative dello stress da lavoro, inserendo separatamente le variabili di Karasek (demand, control, support) e di Siegrist (effort, reward, overcommitment). Nel modello finale, abbiamo inserito contemporaneamente tutte le variabili relative allo stress e quelle socio-demografiche come predittori di ciascuna delle variabili di effetto (ansia, depressione, malessere psichico). Il grado di associazione tra le variabili è indicato dal coefficiente di correlazione standardizzato (β). La capacità di ciascuna equazione di interpretare correttamente la variabilità del fenomeno studiato è indicata dal coefficiente di determinazione corretto (R2). 216 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:214-221 Il secondo quesito era di sapere quale è il rischio di soffrire di disturbi psichici per un radiologo che si trovi in condizione di distress. Abbiamo quindi usato la regressione logistica binaria, ponendo come variabile dipendente lo stato di ansia, di depressione o di malessere psicologico (“caseness”) definito come sopra indicato. Come variabile indipendente abbiamo inserito, separatamente, lo stato di distress valutato come “job strain” (soggetto che è esposto ad elevata demand e basso control) e quello valutato come “effort-reward imbalance” (soggetti con valore di ERI>1), lo stato di isolamento sociale (“support” inferiore alla mediana) e quello di eccessivo coinvolgimento nel lavoro (“overcommitment” superiore alla mediana). Il valore così ottenuto (“crudo” o non aggiustato) è stato successivamente corretto aggiungendo all’equazione le variabili indicative del genere, dell’età, dell’anzianità lavorativa, del tipo di struttura nella quale si lavora e del ruolo gerarchico. Sono stati così calcolati gli odds ratio (OR) e i loro intervalli di confidenza al 95% (IC95%). Risultati Le caratteristiche della popolazione esaminata sono riportate nella Tab. 1. I valori medi delle variabili indicative di stress da lavoro e di quelle che indicano i disturbi mentali sono riportati nella Tab. 2. Tra i radiologi che hanno risposto al nostro questionario i probabili casi di ansia (punteggio della scala A di Goldberg superiore a 5) sono 286 (43,7%); quelli di depressione (scala D superiore a 3) 287 (43,9%) e quelli di malessere psicologico (GHQ>2) 140 (21,4%). L’analisi di regressione lineare (Tab. 3) consente di valutare quanto il valore di ciascuna delle misure di patologia psichiatrica possa essere predetto sulla base dei dati socio-demografici e del livello di stress da lavoro. Alcune variabili socio-demografiche risultano significativamente associate con i punteggi di ansia, depressione e disturbi psichici, ma nel loro insieme i fattori socio-demografici descrivono una frazione modesta della variabilità dei problemi psichici (coefficienti di determinazione R2 compresi tra il 3% e il 7%). In particolare, il genere influenza in modo molto significativo i punteggi di ansia, depressione e malessere psicologico, che sono sempre più alti nel genere femminile che in quello maschile; l’associazione si conferma molto significativa per tutti i disturbi indagati anche dopo inserimento di tutte le variabili predittive stress-relate. L’età si associa positivamente alla depressione, ma negativamente conil malessere psichico acuto misurato dal GHQ12, e tale relazione resta significativa anche nel modello più complesso. Anche il ruolo gerarchico ha un ruolo protettivo per il malessere psicologico (β=-0,132 nel modello completo). Inserendo nelle equazioni di regressione lineare semplice le grandezze del modello DCS, , la percentuale di varianza spie- Tabella 1 Caratteristiche della popolazione n Popolazione osservata % 654 Maschi 456 69,7 Femmine 198 30,3 607 92,8 47 7,2 Direttore di struttura complessa/Libero prof. 151 23,1 Direttore di struttura semplice 102 15,6 Dirigente medico 401 61,3 <45 219 33,5 46-50 180 27,5 51-55 154 23,5 >55 101 15,4 106 16,2 6-10 60 9,2 11-15 109 16,7 16-20 121 18,5 21-25 68 10,4 26-30 142 21,7 48 7,3 Tipo di impiego Settore pubblico Settore Privato Ruolo Età Anzianità lavorativa <5 >31 217 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:214-221 Tabella 2 Valori medi e deviazione standard delle scale di stress correlate al lavoro e delle scale di ansia, depressione e malessere psicologico. Minimo Massimo Media Deviazione std. Modello DCS Domanda (range 5-20) 7 20 16,14 2,163 Controllo (range 6-24) 10 22 17,54 2,594 Sostegno (range 6-24) 7 24 18,01 3,882 0,44 2,40 1,138 0,282 6 25 15,41 4,625 Ricompensa (range 11-55) 18 55 41,02 8,642 Sovraimpegno (range 6-30) 6 30 14,49 6,467 0,25 3,06 0,918 0,517 Ansia (range 0-9) 0 9 4,92 2,791 Depressione (range 0-9) 0 9 3,31 2,457 Malessere psicologico (range 0-12) 0 10 1,68 2,604 Job strain Modello ERI Sforzo (range 6-30) E/R Imbalance Disturbi stress-relati gata sale significativamente, fino a un ottavo/ un sesto della varianza totale (coefficienti di R2 compresi tra 0,125 per il malessere psicologico e 0,171 per la depressione). Il carico psicologico del lavoro è significativamente associato con l’ansia (β= 0,143), con la depressione (β= 0,157) e con il malessere psichico (β= 0,094). La discrezionalità o capacità di controllo sul lavoro si associa linearmente in modo negativo con ansia (β= -0,269), depressione (β= -0,239) e disturbi psichici (β= -0,141). Infine anche il sostegno sociale è negativamente associato alle tre misure di patologia (β pari a -0,092 per l’ansia, -0,169 per la depressione e -0,127 per i disturbi psichici). Ponendo tra le variabili indipendenti, al posto delle variabili del modello DCS, quelle del modello ERI (Modello III della Tab. 3) i coefficienti di determinazione migliorano significativamente, spiegando da un quarto a quasi la metà della varianza totale (0,436 per l’ansia, 0,404 per la depressione, 0,234 per il malessere psichico). Lo sforzo estrinseco necessario per lavorare si associa in modo molto significativo con l’ansia (β= 0,211) e la depressione (β= 0,247); lo sforzo intrinseco (overcommitment) è associato in modo molto significativo con l’ansia (β= 0,436), la depressione (β= 0,400) ed i disturbi psichici (β= 0,391). Il modello più complesso, nel quale sono inserite tutte le variabili di stress da lavoro oltre ai fattori psicosociali (Modello IV di Tab. 3) indica che il punteggio di ansia dipende linearmente da un elevato sforzo estrinseco (β = 0,164) ed intrinseco (β = 0,448) sul lavoro, oltre che da basso controllo (β= -0,145), basso sostegno sociale (β= -0,096) e scarsi riconoscimenti (β= -0,100). La depressione è linearmente associata in modo positivo allo sforzo estrinseco (β= 0,223), e a quello intrinseco (β= 0,408) e in modo negativo al controllo sul lavoro (β= -0,132). Il punteggio di malessere psichico si associa linearmente con l’eccessivo coinvolgimento nel lavoro, o stress intrinseco (β= 0,397) e con basso controllo sul lavoro (β= -0,091). Mediante regressione logistica abbiamo valutato il rischio di presentare una delle condizioni patologiche in esame in funzione del superamento dei livelli soglia delle misure di stress da lavoro (Tab. 4). I soggetti che risultano in condizione di “distress” secondo il modello DCS, cioè che presentano contemporaneamente un alto livello dicarico psicofisico ed un basso livello di discrezionalità hanno un rischio quasi triplicato di essere ansiosi (OR 2,98, IC95% 2,05-4,31) rispetto ai radiologi che non si trovano in queste condizioni. I soggetti con alto carico e scarso controllo hanno anche un rischio circa raddoppiato di essere depressi (OR 1,73; IC95% 1,21-2,48) e di soffrire di disturbi psichici (OR 2,26 IC95% 1,48-3,45). Anche i radiologi che subiscono una condizione di “distress” secondo il modello ERI (rapporto pesato tra sforzo e ricompensa superiore a 1) hanno un marcato aumento del rischio di ansia (OR 14,14 IC95% 9,15-21,86), di depressione (OR 7,00 IC95% 4,76-10,30) e di disturbi psichici (OR 3,95 IC95% 2,62-9,57). Tali valori sono corretti tenendo conto dei fattori sociodemografici. La condizione di isolamento sociale sul lavoro è significativamente associata, nei modelli corretti per le variabili sociodemografiche, sia alla presenza di ansia (OR 1,49 IC95% 1,07-2,06) che di depressione (OR 2,86 IC95% 2,03-4,01). L’eccessivo impegno sul lavoro, o stress intrinseco, si associa in modo molto significativo a tutte le condizioni psicopatologiche indagate, determinando un significativo aumento del rischio di ansia (OR 9,82 IC95% 6,77-14,24), di depressione (OR 5,38 IC95% 3,78-7,59) e di disturbi psichici (OR 4,33, IC95% 2,80-6,89). Discussione Il nostro studio indica che l’elevato stress occupazionale al quale possono essere esposti i medici radiologi si associa con malessere psichico, ansia e depressione. Entrambi i modelli di stress da lavoro da noi usati si associano in modo molto significativo con la presenza di disturbi psichici, anche se il modello ERI sembra più efficiente di quello DCS nel predire la patologia psichica. 218 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:214-221 Tabella 3 Coefficienti di correlazione standardizzati (beta) tra le variabili socio-demografiche, le misure di stress e il punteggio di ansia, depressione e malessere psicologico. Regressione lineare gerarchica; coefficiente di determinazione corretto (R2) di ciascuna equazione. *p<0,05; **p<0,01; ***p<0,001 Ansia Modello I genere Modello II Modello III Modello IV 0,171*** 0,174*** 0,094** 0,092** -0,093* -0,018 -0,009 0,014 settore (pubblico/privato) 0,004 -0,018 0,007 -0,012 ruolo 0,009 -0,084 -0,002 -0,042 età domanda 0,143*** -0,007 controllo -0,269*** -0,145*** sostegno -0,092* -0,096* sforzo ricompensa sovraimpegno R2 0,040 0,156 0,211*** 0,164*** -0,063 -0,100* 0,436*** 0,448*** 0,436 0,452 Depressione genere 0,182*** 0,186*** 0,111*** 0,121*** età 0,003 0,080* 0,079* 0,086* settore (pubblico/privato) 0,025 0,003 0,033 0,014 ruolo 0,054 -0,041 0,047 0,008 domanda 0,157*** 0,009 controllo -0,239*** -0,132*** sostegno -0,169*** -0,057 sforzo ricompensa sovraimpegno R2 0,033 0,171 0,247*** 0,223*** -0,035 0,039 0,400*** 0,408*** 0,404 0.417 Disturbi psichiatrici genere età settore (pubblico/privato) ruolo 0,165*** 0,168*** 0,109** 0,117*** -0,216*** -0,168*** -0,165*** -0,159*** 0,033 0,019 0,024 0,012 -0,106* -0,166*** -0,106** -0,132** domanda 0,094* 0,027 controllo -0,141*** -0,091* sostegno -0,127*** -0,053 sforzo ricompensa sovraimpegno R2 0.071 0,125 0,024 0,002 -0,012 0,050 0,391*** 0,397*** 0,234 0,239 219 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:214-221 Tabella 4 Rischio relativo (odds ratios ORs e intervalli di confidenza al 95%, 95%CI) di presentare un problema psichico (ansia, depressione, malessere psichico) in corrispondenza delle condizioni di distress (job strain, discrepanza tra sforzi e risultato, isolamento sociale, eccessivo coinvolgimento). Regressione logistica. Valori grezzi e corretti per le variabili socio-demografiche (età, genere, anni di attività lavorativa, tipo di azienda, ruolo). Tipo di distress Ansioso Depresso Qualunque problema Non corretto OR (95%CI) Corretto OR (95%CI) Non corretto OR (95%CI) Corretto OR (95%CI) Non corretto OR (95%CI) Corretto OR (95%CI) Job strain (alto carico, basso controllo) 2,92 (2,06-4,14)*** 2,98 (2,05-4,31)*** 1,94 (1,38-2,73)*** 1,73 (1,21-2,48)** 2,15 (1,46-3,17)*** 2,26 (1,48-3,45)*** Isolamento sociale (Job strain + basso sostegno) 1,37 (1,01-1,87)* 1,49 (1,07-2,06)* 2,59 (1,88-3,58)*** 2,86 (2,03-4,01)*** 1,45 (0,99-2,13) 1,41 (0,95-2,11) Eccessiva discrepanza tra sforzo e risultato (ERI >1) 12,54 (8,23-18,91)*** 14,14 (9,15-21,86)*** 7,38 (5,07-10,75)*** 7,00 (4,76-10,30)*** 3,76 (2,55-5,54)*** 3,95 (2,62-5,97)*** Eccessivo coinvolgimento nel lavoro(High Overcommitment) 10,09 (7,01-14,53)*** 9,82 (6,77-14,24)*** 5,41 (3,86-7,58)*** 5,38 (3,78-7,59)*** 4,37 (2,84-6,23)*** 4,33 (2,80-6,89)*** *p<0,05; **p<0,01; ***p<0,001 Una quota molto significativa di coloro che hanno risposto all’indagine manifesta un probabile disagio psichico acuto (GHQ>2 140 casi, 21,4%). Ancora maggiore è la percentuale di quanti potrebbero soffrire di ansia (286 casi, 43,7%) o di depressione (287 casi, 43,9%). Pur considerando il possibile errore di primo tipo (falso positivo), si deve postulare che la prevalenza di disturbi psichici tra i radiologi non sia trascurabile e possa essere superiore ai valori descritti in altre popolazioni lavorative [6]. La depressione e gli altri disturbi psichici hanno un rilevante costo per la produttività sia in termini di assenteismo che di presenteismo [22-26]. Molto più rilevante è il fatto che tali condizioni aumentano gli errori e quindi il rischio per la salute e sicurezza di terzi, soprattutto in un settore così delicato come quello sanitario [27-29]. I risultati della nostra osservazione concordano con i dati della letteratura. Una recente meta-analisi degli studi sull’associazione tra stress e patologia psichica indica che le elevate domande psicosociali sul lavoro, la ridotta discrezionalità, il job strain, il ridotto sostegno sociale, la discrepanza tra sforzo e risultato predicono la comparsa di SRD [30]. Un’altra revisione di 14 studi longitudinali indica che il mancato sostegno sociale e il carico psicologico hanno la maggiore influenza sulla depressione [31]. I dati che emergono dal nostro studio devono essere interpretati con cautela, tenendo conto di quanto la soggettività possa avere distorto le osservazioni. Il carattere trasversale della ricerca non consente di inferire sulla direzionalità dei fenomeni osservati. E’ stato osservato che condizioni ambientali sfavorevoli possono contribuire all’esordio di alcuni disturbi psichiatrici, così come è vero il contrario, e cioè che la presenza di disturbi psichiatrici può peggiorare le condizioni lavorative [32]. Inoltre, taluni soggetti con problemi psichici potrebbero riportare in modo più sfavorevole le condizioni di lavoro; sono i soggetti che “si lamentano di tutto” [32]. E’ possibile anche il contrario, cioè che vi siano lavoratori che tendono a negare sia l’esistenza di problemi ambientali che di salute, sono coloro che “non si lamentano di niente” [33]. La contemporanea presenza di questi due tipi di lavoratori riduce l’affidabilità degli studi trasversali nei quali si chiede di auto-valutare sia le condizioni ambientali che quelle personali, causando un errore sistematico indicato come “common method variance”. Anche se negli ultimi anni sono stati messi a punto numerosi metodi alternativi (e più costosi della soggettività individuale), basati su misure obiettive, matrici, algoritmi ecc., nessuno di essi è del tutto privo di errore. Di conseguenza, gli studi trasversali conservano il proprio ruolo, che è quello di un primo passo nell’identificazione e valutazione di un fenomeno [33]. Nel nostro caso, inoltre, il fatto che tutti i soggetti intervistati fossero medici, ha verosimilmente aumentato l’obiettività delle risposte. Sulla base di quanto abbiamo osservato, riteniamo che l’attività professionale dei radiologi possa giovarsi di interventi di prevenzione primaria articolati su più livelli. Con riferimento al modello DCS i radiologi potrebbero giovarsi di programmi per il miglioramento della gestione dei carichi di lavoro, in particolare degli orari di lavoro, dei processi produttivi e del lavoro di gruppo, e di politiche aziendali per il potenziamento del sostegno sociale. In termini di modello ERI un approccio riorganizzativo dovrebbe includere una riduzione dello sforzo estrinseco, soprattutto nei soggetti più giovani o di recente assunzione, con una più corretta distribuzione dei carichi di lavoro, una riduzione dello straordinario e pause sufficienti, un aumento dei riconoscimenti anche immateriali per il lavoro svolto, tramite miglioramenti formativi, miglioramento delle capacità relazionali dei dirigenti, miglioramento delle prospettive di carriera. Appare soprattutto importante ridurre lo stress intrinseco che deriva dall’eccessivo impegno nel lavoro modificando, con un approccio individualizzato, l’atteggiamento di eccessiva focalizzazione sugli aspetti tecnici della professione ed insegnando ad introdurre fattori protettivi contro lo stress quali migliori stili di vita, attività ludiche e sportive. Questi compiti, ancorché largamente trascurati nel nostro paese, rientrano a pieno tra le misure generali di tutela 220 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:214-221 che la legge assegna al datore di lavoro e quindi alle aziende sanitarie pubbliche e private, che comprendono, oltre alla valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza (quindi anche del rischio stress da lavoro), la programmazione della prevenzione. La legge prevede che la prevenzione debba integrare in modo coerente le condizioni tecniche, i fattori ambientali e il rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro, consentendo la riduzione dei rischi “al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico” (D.Lgs. 81/08, Art. 15, comma a-d). La prevenzione secondaria deve essere basata sull’identificazione precoce dei sintomi da parte del Medico Competente e sull’intervento medico tempestivo, prima che le manifestazioni morbose possano determinare un danno per il lavoratore o per i pazienti. I medici sono particolarmente riluttanti a chiedere aiuto per problemi psichici, perché temono i danni (stigmatizzazione, discriminazione) che potrebbero derivare dalla mancata riservatezza. E’ importante pertanto adottare un atteggiamento proattivo, provvedendo al periodico screening dei problemi psichici durante le visite periodiche, mediante uno degli strumenti disponibili nel nostro paese per il controllo dello stress percepito o dei suoi effetti [34]. La prevenzione terziaria implica il corretto trattamento delle patologie; in questa fase è cruciale la collaborazione tra lo specialista psichiatra ed il medico del lavoro, per favorire la più pronta ripresa di una piena attività produttiva [35-37]. In conclusione, possiamo affermare che la diagnostica per immagini e la radioterapia, che hanno compiuto progressi tecnici eccezionali ed occupano un posto così rilevante tra le risorse sanitarie del paese, devono ora realizzare un sostanziale miglioramento delle condizioni di benessere mentale dei medici radiologi, nell’interesse non solo dei lavoratori, ma anche dei pazienti e della qualità delle cure cui questi hanno diritto. Per citare questo articolo: Magnavita N, Fileni A (2013) Association of work-related stress with depression and anxiety in radiologists. Radiol med [Epub ahead of publication]; DOI: 10.1007/s11547-013-0355-y La Radiologia Medica http://link.springer.com/journal/11547 BIBLIOGRAFIA 1. Magnavita N, Fileni A, Magnavita G, et al. (2008) Work stress in radiologists. A pilot study. Radiol Med 113: 329-346 2. Sehlen S, Vordermark D, Schäfer C, et al. 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Simonetti1 1 Dipartimento di Diagnostica per Immagini, Imaging Molecolare, Radiologia Interventistica e Radioterapia; Dipartimento di Medicina dei Sistemi; 3 Epatologia, Policlinico Universitario “Tor Vergata”, Viale Oxford 81, 00133 Roma, Italy 2 Indirizzo Autore: A. Orlacchio, Tel.: +39-06-20902400-2382, Fax: +39-06-20902404, e-mail: [email protected] Ricevuto: 18 Maggio 2012 / Accettato: 25 Febbraio 2013 Riassunto Obiettivi. Confrontare l’ablazione laser percutanea (PLA) e l’ablazione con radiofrequenza (RFA) nel trattamento dell’epatocarcinoma (HCC) unifocale ≤4 cm in pazienti cirrotici. Materiali e Metodi. 30 pazienti con HCC unifocale ≤4 cm sono stati assegnati in maniera randomizzata ad un trattamento: 15 pazienti sono stati trattati con PLA, utilizzando un sistema multi-fibra collegato a un generatore laser al neodymium-yttrium-aluminium-garnet; 15 pazienti sono stati trattati con RFA con un sistema ad uncini espandibili. Il tempo massimo di follow-up è stato 12 mesi. Risultati. È stata ottenuta una risposta completa nell’87% nel gruppo PLA e nel 93% nel gruppo RFA (p=ns). I tassi cumulativi della sopravvivenza libera da recidiva locale di malattia a 3-, 6- e 12-mesi sono risultati comparabili. Tuttavia, per lesioni ≥21 mm è stato riscontrato un tasso maggiore di recidive nel gruppo trattato con PLA (p=0,0081). La sindrome post-ablativa è stata riscontrata in 13 pazienti (PLA 1 vs RFA 12). La produzione di Tumor-Necrosis-Factor-α è risultata significativamente maggiore nei pazienti trattati con RFA (p<0,05). Conclusioni. La RFA è più efficace nel trattamento del HCC rispetto alla PLA per lesioni ≥21 mm. Tuttavia, anche in relazione alla scarsa insorgenza di complicanze, la PLA può essere considerata una valida opzione terapeutica per il trattamento di HCC ≤20 mm. Parole chiave Epatocarcinoma; cirrosi epatica; Ablazione Laser Percutanea; Ablazione con Radiofrequenza Introduzione L’epatocarcinoma (HCC, hepatocellular carcinoma) è la sesta neoplasia maligna per incidenza nel mondo [1], e rappresenta la terza causa globale di mortalità per cancro [2] provocando 600.000 morti/anno [2-3]. Nel mondo Occidentale oltre il 90% di HCC si sviluppano in pazienti con cirrosi epatica [4]. La resezione chirurgica è il trattamento di prima scelta, ma non è spesso praticabile per la localizzazione delle lesioni, il numero delle stesse e per il progressivo deterioramento della funzionalità epatica del paziente con cirrosi [5-6]. Attualmente il gold-standard terapeutico rimane il trapianto d’organo (LT, liver transplantation), di difficile attuazione però per la scarsa disponibilità degli organi [7]. Nel corso degli anni, numerose tecniche di ablazione loco regionale sono state sviluppate per il trattamento dei pazienti con noduli di HCC di dimensioni inferiori ai 4 cm non candidati all’intervento chirurgico. Queste tecniche includono l’iniezione percutanea di etanolo (PEI, percutaneous ethanol iniection), l’iniezione percutanea di acido acetico (PAI, percutaneous acid acetic iniection ), la termo-ablazione con microonde (MW, microwave ablation), la crio-ablazione, la termoablazione ad ultrasuoni focalizzati ad alta intensità (HIFU, high intensity focused ultrasound), la termo-ablazione con radiofrequenza (RFA, radiofrequency thermoablation) e l’ablazione laser percutanea (PLA, percutaneous laser ablation) [8]. Ad oggi la RFA è senza dubbio la tecnica più utilizzata e studiata [9]. Da una meta-analisi di studi prospettici randomizzati, la RFA dei tumori epatici ha mostrato maggiore efficacia rispetto alla PEI e per facilità di attuazione, sicurezza, applicabilità e per il buon rapporto costo-efficacia è la metodica più comunemente utilizzata tra le procedure termo-ablative [10]. Un’altra procedura termo-ablativa che negli ultimi anni ha subito un notevole sviluppo è la PLA [11-13]. Da quando è stata introdotta nella pratica clinica, questa tecnica è stata utilizzata con ottimi risultati nel trattamento delle neoplasie maligne epatiche. Per quanto riguarda affidabilità tecnica ed efficacia, nel trattamento dei pazienti affetti da HCC, la PLA può essere paragonata alla RFA [14]. In base alle nostre conoscenze pochi studi sono stati effettuati per confrontare e analizzare i risultati ottenuti mediante le due tecniche [15]. Scopo del nostro studio è quindi confrontare la PLA e la RFA in termini di risposta completa a 30 giorni, di tempo libero da recidiva locale di malattia, di complicanze quali l’insorgenza della sindrome post ablativa e di produzione post-procedurale di TNFα in pazienti cirrotici con HCC unifocale ≤ 4 cm. 223 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:222-231 Materiali e Metodi Pazienti Questo studio è stato approvato dal comitato etico della nostra istituzione. Dal 2009 al 2011 trenta pazienti (21 uomini e 9 donne) con cirrosi epatica e affetti da HCC, in maniera prospettica randomizzata, sono stati inseriti nel gruppo di studio. L’età dei pazienti era compresa tra 52-78 anni (media ± DS 72,43±5,66). Diciannove pazienti erano in classe A di Child-Pugh e 11 in classe B. I valori di α-feto proteina, registrati prima della procedura erano in media 561,67 ± 684 ng/ ml (range 25-1870) (Tab. 1). Tutti i pazienti del nostro studio sono stati selezionati nell’ambito del follow-up per cirrosi epatica e la scelta del trattamento ablativo percutaneo è stata proposta dopo valutazione con un team multi-disciplinare di Epatologi, Chirurghi e Radiologi Interventisti [16]. Sono stati selezionati i pazienti con un nodulo unico di HCC con diametro di dimensioni massime di 40 millimetri (mm). La diagnosi di HCC è stata effettuata in accordo con le linee guida dell’Associazione Europea per lo Studio del Fegato (EASL, European Association for the Study of Liver) [17] per la diagnosi di HCC in pazienti cirrotici. Criteri di esclusione sono stati l’appartenenza alla classe C di Child, una scarsa funzione coagulativa (quick test <50%, piastrine <40,000/µL) e la presenza di lesioni. Mediante software di randomizzazione a ciascun paziente è stato assegnato un tipo di trattamento. Entro due settimane dal trattamento, per valutare eventuali modifiche delle dimensioni del nodulo e/o la comparsa di nuove lesioni, tutti i pazienti hanno eseguito un esame dinamico TC (DTC) multislice (Light Speed 64 CT, GE Medical Systems, Milwakee, USA) con tecnica trifasica (30, 65 e 180 s) dopo somministrazione endovenosa in bolo di 125-175 ml di mezzo di contrasto (m.d.c.) organo-iodato 350 mgI/ml, in base al body mass index del paziente, mediante iniettore automatico alla velocità di 3-5 ml/s, seguita da somministrazione di soluzione fisiologica (20-30 ml). L’acquisizione dell’esame TC è stata ottenuta con i seguenti parametri: tempo di rotazione 0,6 s; spessore sezioni 2,5-5 mm con possibilità di effettuare retro-ricostruzioni fino a 0,6 mm; milliamperaggio (mA) automatico (min 300 mA, max 450 mA); 120 kV. Inoltre, per valutare l’approccio percutaneo più idoneo, tutti i pazienti sono stati sottoposti a ecografia epatica (IU22 Ultrasound system Philips Healthcare, Best, the Netherlands) con sonda convex da 3.5 MHz (C5-1 Philips Healthcare, Best, the Netherlands). Per lesioni iso-ecogene al parenchima epatico sano, o comunque scarsamente identificabili all’esame ecografico tradizionale, è stato effettuato una esame ecografico con mezzo di contrasto (CEUS, Contrast-Enhanced Ultrasound) con somministrazione di Sonovue (Bracco Spa. DIV), nelle quantità di 2,5 ml, somministrato in bolo (in 2-3 s), seguito dalla somministrazione di 10 ml di cloruro di sodio (0,9%) in soluzione iniettabile. Tutti i pazienti, prima di ogni trattamento, sono stati informati dei benefici e dei rischi relativi alle procedure, ed hanno firmato il consenso informato alla procedura. Procedure ablative I trattamenti percutanei sono stati effettuati da un unico Radiologo (A.O) con 25 anni di esperienza in procedure inter- ventistiche addominali. Durante la procedura è stato eseguito un continuo monitoraggio dei parametri vitali. Se necessaria è stata effettuata una sedazione cosciente con fentanyl o midazolam somministrati per via endovenosa, e la somministrazione del farmaco è stata modulata caso per caso. Nel sito d’ingresso l’anestesia locale è stata ottenuta mediante somministrazione di 10 ml di lidocaina 2%. Entrambe le procedure sono state eseguite sotto guida combinata ecografica e TC. Per lesioni iso-ecogene o mal evidenziabili con l’ecografia tradizionale, l’introduzione degli aghi è stata guidata anche mediante CEUS. Ablazione Laser Percutanea Per la PLA abbiamo utilizzato il sistema Echolaser XVG system composto da un ecografo MyLab7070XV-L (Esaote Biomedica, Italia) ed un generatore laser EchoLaser X4 (Esaote El.En., Firenze, Italia) il quale utilizza una fonte di luce al neodymium yttrium-aluminium-garnet, Nd-YAG con una lunghezza d’onda continua di 1,064 μm ± 10 nm. L’introduzione delle fibre all’interno della lesione è stata effettuata utilizzando la stessa metodologia descritta da Pacella et al [11]. Il numero di fibre, da 2 a 4, è stato scelta in relazione alle dimensioni e alla posizione delle lesioni. Per ottenere una corretta geometria di ablazione e una necrosi completa con un sufficiente margine di sicurezza, di almeno 5 mm, le fibre sono state posizionate in una configurazione quadrata con le punte ad una distanza reciproca di 1-1,5 cm. Mediante guida ecografica con sonda convex da 3.5-MHz (CA621; Esaote Biomedica, Italia), attraverso un unico punto d’ingresso, sono stati inseriti aghi tipo Chiba all’interno della lesione. Il loro corretto posizionamento è stato poi valutato con TC. Ciascun mandrino è stato estratto e sostituito da una fibra al quarzo di 300 μm, flessibile, a punta piatta, sterile e priva del rivestimento esterno nel tratto terminale. È stata impiegata una potenza di 5 W per fibra per un determinato intervallo temporale (min 7’–max 14‘). Tutti i trattamenti sono stati monitorati continuamente mediante ecografia. Terminato il trattamento, le fibre sono state retratte, con il laser acceso, in modo da evitare un eventuale seeding di cellule neoplastiche. Una TC in condizioni basali è stata effettuata alla fine di ogni trattamento. Ablazione con Radiofrequenza La RFA è stata realizzata impiegando il generatore RF 3000 (Boston Scientific Corporation, Natick, MA, USA) che fornisce una potenza massima di 200W. È stato utilizzato l’algoritmo standard del produttore che prevede l’inizio con 30-50 W e aumenti di 10 watt fino al massimo della potenza. Il livello massimo di potenza viene applicato fino al raggiungimento del roll-off (rapido aumento dell’impedenza tissutale e rapido declino della potenza erogata). Sono stati utilizzati aghi monopolari a ombrello espandibili del tipo LeVeen (Boston Scientific Corporation, Natick, MA, USA) da 15-17 Gauge con apertura degli uncini da 2 a 5 cm. La scelta della dimensione dell’ago è stata effettuata in relazione alle dimensioni della lesione da trattare e al margine di sicurezza che si voleva ottenere (di almeno 5 mm). L’introduzione dell’ago elettrodo è stata effettuata mediante guida ecografica (IU22 Ultrasound 224 system Philips Healthcare, Best, the Netherlands) con sonda convex da 3.5 MHz (C5-1 Philips Healthcare, Best, the Netherlands). La corretta posizione dell’ago elettrodo è stata valutata mediante TC. Alla fine del trattamento gli elettrodi sono stati estratti con la punta dell’ago calda per sterilizzare il percorso ed evitare il seeding cellulare. Una TC senza m.d.c. è stata effettuata alla fine di ogni trattamento. Valutazione efficacia dei trattamenti e follow-up L’efficacia del trattamento è stata valutata attraverso uno studio dinamico TC trifasico a 30 giorni dalla procedura. Le modalità di acquisizione delle immagini sono state le stesse descritte per la valutazione pre-procedurale. I volumi delle lesioni tumorali pretrattamento e della lesione ablativa sono stati calcolati utilizzando una console di ricostruzione TC (Advantage Workstation 4.3 GE Medical Systems, Milwakee, USA) mediante ricostruzioni volume rendering. I volumi sono stati selezionati mediante una segmentazione manuale utilizzando le immagini acquisite durante la fase di arteriosa, ove la massa tumorale era più facilmente visualizzabile. Successivamente la medesima fase è stata utilizzata per la valutazione del parenchima dopo termoablazione. Le immagini pre- e postprocedurali ottenute sono state successivamente fuse utilizzando il medesimo campo di vista e sei parametri di traslazione e rotazione nei tre piani di riformattazione, al fine renderle comparabili. La risposta al trattamento è stata valutata seguendo i criteri mRECIST [18]. Sulla base dei risultati TC, l’ablazione tumorale, e quindi la risposta al trattamento, sono state definite complete (CR, complete response) quando vi era la scomparsa di tutti i segni della lesione e nessun enhancement patologico era evidenziabile sui margini dell’area trattata. Nel caso di una distruzione parziale della lesione, con una riduzione di almeno 30% del volume della lesione bersaglio, l’ablazione tumorale è stata valutata come parziale o incompleta (PR, partial response). Nel caso di ablazione incompleta si è proceduto nell’arco delle 2 settimane successive all’effettuazione di un secondo trattamento. I pazienti che hanno mostrato una risposta completa sono entrati nel programma di follow-up, che prevedeva valutazione clinica e dosaggio dell’α-fetoproteina. Tutti i pazienti sono stati inoltre sottoposti all’esecuzione di una TC dinamica trifasica al 3°, al 6° e al 12° mese. I risultati a medio termine sono stati valutati in base alla progressione locale di malattia, intesa come presenza di enhancement in contiguità all’area ablata, e all’insorgenza di nuove lesioni a distanza. Complicanze Sono state valutate le complicanze intra-procedurali e post-procedurali secondo la classificazione della Società Internazionale di Radiologia (SIR, Society of Interventional Radiology) [19] distinguendole tra maggiori (eventi che determinano morbosità ed inabilità sostanziali, un incremento delle cure, il ricovero ospedaliero o una degenza più lunga) e minori. La presenza della “sindrome post-ablativa”, definibile come febbre, nausea, vomito, dolore localizzato in addome e riferito alla spalla, è stata indagata durante il le prime 48 h dal trattamento. Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:222-231 Valutazione della produzione del Tumor Necrosis Factor Alpha (TNFα) da parte delle cellule del sangue periferico Per ciascun trattamento i campioni di sangue sono stati prelevati 4 ore prima dell’inizio della procedura ablativa, a 24 ore e a 5 giorni dopo l’effettuazione della procedura. Il sangue è stato raccolto in provette sterili contenenti acido etilendiamminotetraacetico (EDTA, Ethylenediaminetetraacetic acid). Le cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC, periphereal blood mononuclear cells) sono state isolate subito dopo la raccolta del sangue mediante separazione con lymphoprep (Nycomed, Oslo, Norway). I PBMC sono stati coltivati ad una concentrazione pari a 2 × 106 per 18 h in presenza di 20 ng/ ml di phorbolo 12-miristato 13-acetato (PMA) e di 500 ng/ml ionomicina (IO) (Calbiochem-Novabiochem INTL, La Jolla CA). Dopo sessanta minuti dall’inizio della stimolazione con PMA e IO è stato aggiunto alla coltura 1 µg/ml di brefeldina A (Sigma Chemical Co. St. Louis, MO). Alla fine del periodo di incubazione, le cellule sono state raccolte e lavate in soluzione salina tamponata. Successivamente le cellule sono state risospese, ad una concentrazione pari a 2 × 105, in 20 µl di soluzione salina tamponata ed incubate per 15 minuti con il seguente anticorpo monoclonale: Cy-chromeTM-coniugato (Cy-chrome)-anti-CD14 (PharMingen, San Diego CA). Di seguito le cellule sono state lavate due volte in soluzione salina e fissate in paraformaldeide al 4%. Di seguito le cellule sono state risospese in 20 µl PBS contenete 0,1% saponina (Sigma Chemical Co. St. Louis, MO), 1% siero albumina bovina (Sigma) ed incubate per 20 minuti con anticorpo antimonoclonale PE (Phyco-Eritrinato) contro il TNFα (PharMinge). Quindi le cellule sono state lavate e risospese in soluzione salina tamponata e analizzate al citofluorimetro (FACScan flow cytometer, Becton Dickinson, Mountain View, USA). La produzione di TNFα è stata valutata calcolando la percentuale di cellule CD14+ TNFα+ rispetto al totale delle cellule CD14+. Cinque soggetti sani comparabili per età e per sesso con i due gruppi di pazienti sono stati arruolati come controlli. Analisi statistica Il test non parametrico di Mann Whitney ed il test esatto di Fischer sono stati utilizzati per confrontare i due gruppi di trattamento. La progressione locale di malattia è stata calcolata utilizzando il metodo di Kaplan-Mayer e le differenze tra i gruppi sono state analizzate tramite il log rank test. Un valore di P inferiore a 0.05 è stato considerato statisticamente significativo. Risultati Quindici pazienti sono stati trattati con PLA e 15 con RFA. I due sottogruppi di trattamento sono risultati omogenei per caratteristiche di base (Tab. 1) e per dimensioni dei noduli. Sono stati trattati 30 noduli di HCC, 1 singolo nodulo per paziente, con un diametro medio delle lesioni di 23,3±0,84 millimetri (range 12–38 mm) ed un volume medio di 8,8±8,5 ml. È stata osservata un’omogenea distribuzione nei segmenti epatici delle lesioni focali, con un coinvolgimento lievemente più frequente del IV e dell’VIII segmento. 13 dei 30 noduli erano localizzati vicino la capsula di Glisson. L’introduzione degli aghi è stata effettuata, a seconda della localizzazione 225 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:222-231 Tabella 1 Caratteristiche di base dei pazienti del nodulo da trattare, in dieci pazienti per via sottocostale ed in 20 pazienti per via intercostale. Nessuna procedura è stata interrotta e il successo tecnico è stato ottenuto nel 100% dei pazienti. Il volume ablato è risultato confrontabile tra le due tecniche (RFA vs PLA, 21±8,81 vs 22,7±10,8 p >0.005). Il controllo TC a 30 giorni effettuato dopo la prima procedura ablativa ha mostrato necrosi completa delle lesioni nel 66,7% dei noduli trattati con PLA (10/15) e nel 86,7% dei noduli trattati con RFA (13/15). I pazienti che a 30 giorni hanno mostrato una risposta parziale al trattamento (5 pazienti del gruppo PLA e 2 pazienti del gruppo RFA) sono stati ritrattati con la stessa tecnica iniziale. Dopo la seconda procedura è stata ottenuta una risposta completa (CR, complete response) in 3 dei 5 pazienti trattati con PLA e in 1 dei 2 pazienti trattati con RFA. È stato pertanto possibile ottenere un CR nell’87% delle lesioni trattate con PLA e nel 93% delle lesioni trattate con RFA ed un sufficiente margine di sicurezza è stato ottenuto in tutti questi pazienti. Per indurre necrosi tumorale completa sono state effettuate in media 1,38 sessioni di PLA e 1,21 sessioni di RFA per nodulo. Tutti i pazienti con CR, hanno presentato valori di α-fetoproteina nella norma dopo le procedure ablative. I 3 pazienti non trattati completamente, anche dopo il secondo trattamento, hanno effettuato un altro tipo di procedura (chemioembolizzazione). 27 pazienti sono quindi entrati nel programma di follow-up previsto per questo studio. Nessun paziente è deceduto durante i primi 12 mesi del follow-up. Sei pazienti trattati con PLA e 2 trattati con RFA hanno mostrato progressione locale di malattia, nessun paziente ha mostrato nuove lesioni. I tassi cumulativi della sopravvivenza libera da progressione locale di malattia a 3-, 6- e 12- mesi sono stati rispettivamente del 85%, 62% e 54% per il gruppo PLA, e del 92%, 86% e del 86% per il gruppo RFA (p=0.083) (Fig.1). Per verificare se vi fossero variabili in grado di influenzare i risultati ottenuti, i pazienti del gruppo di studio sono stati quindi stratificati, non in relazione al tipo di trattamento effettuato, ma in relazione alle dimensioni delle lesioni. Da tale valutazione, la dimensione dei noduli è risultata un parametro fondamentale per la ripresa di malattia a distanza di tempo. Infatti, differenze statisticamente significative sono state infatti riscontrate nei risul- tati ottenuti trattando noduli con diametro massimo d ≤20 mm vs d ≥21 mm. I tassi di sopravvivenza libera da progressione locale di malattia calcolati a 12 mesi sono risultati più alti per i pazienti con noduli con diametro d ≤20 rispetto ai pazienti con noduli con diametro d ≥21 mm (p=0.023) (Fig.2). Inoltre, stratificando per tipo di trattamento le lesioni trattate con diametro di dimensioni ≥21 mm, un tasso più alto di recidive è stato riscontrato nel gruppo di pazienti trattati con PLA rispetto a quello di pazienti trattati con RFA (p=0,0081) (fig. 3). In figura 4, 5 e 6 sono rappresentati dei casi tipici di ablazione PLA e RFA. Entrambe le tecniche sono risultate sicure, non si sono verificate complicanze maggiori e nessun paziente del gruppo di studio è deceduto in seguito al trattamento. Sono state osservate complicanze minori in 2 pazienti trattati con PLA e in 8 pazienti sottoposti a RFA (Tab. 2). In particolare questi pazienti hanno presentato versamento pleurico (1 PLA vs 4 RFA), raccolta periepatica asintomatica (1 PLA vs 3 RFA) ed ematoma sub capsulare (1 RFA). Tali pazienti, valutati con esami clinico-laboratoristici e strumentali a brevi intervalli di tempo, hanno mostrato risoluzione spontanea delle complicanze minori insorte. La sindrome postablativa è stata riscontrata in 13 pazienti (1 PLA vs 12 RFA), manifestandosi con febbre, brividi, e con dolore localizzato in addome. Tutti i pazienti hanno riferito un diverso grado di malessere generale nei giorni successivi alla procedura. Valutazione produzione TNF alfa Nessuna differenza statisticamente significativa è stata evidenziata tra il gruppo di controllo e i pazienti del gruppo PLA e RFA prima dell’effettuazione della procedura ablativa (33% ± 16 vs 43% ± 22, p≥0,05) e tra i due gruppi di trattamento PLA e RFA, (44% ± 13 vs 41% ± 14, p≥0,05). A 24h dall’effettuazione della procedura una differenza statisticamente significativa è stata riscontrata tra i controlli e il gruppo di pazienti RFA ma non tra il gruppo di controllo e i pazienti trattati con PLA (33% ± 16 vs 82% ± 23, p<0,003; 33% ± 16 vs 41% ± 23 p≥0,05 ). Il confronto a 5 giorni ha mostrato un ritorno ai valori pretrattamento, in assenza di differenze statisticamente significative tra il gruppo PLA e il gruppo RFA (42% ± 17 vs 45% ± 18, p≥0,05). Fig. 1 Curve di sopravvivenza libera da progressione locale di malattia in relazione al tipo di trattamento. 226 Fig. 2 Curve di sopravvivenza libera da progressione locale di malattia in relazione alle dimensioni del tumore. Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:222-231 Fig. 3 Curve di sopravvivenza libera da progressione locale di malattia in relazione al trattamento, stratificate per le dimensioni del tumore: diametro ≥ 21 mm. Fig. 4 Donna di 74 anni affetta da epatite cronica HBV correlata con nodulo HCC localizzato a livello del VI segmento epatico trattato mediante ablazione percutanea laser. Studio TC pre-procedurale: immagine assiale (A) ed immagine volume rendering (B) che mostrano le dimensioni (20 millimetri) e localizzazione del nodulo (freccia nera). Studio TC post-procedurale a 6 mesi di follow-up: (C) immagini assiali che confermano il successo del trattamento (freccia nera) ed immagine volume rendering (D) che evidenzia le dimensione dell’area di parenchima tumorale ablata posta a confronto con le dimensioni volume rendering dell’esame pre-procedurale. Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:222-231 227 Fig. 5 Donna di 69 anni affetto da epatite cronica HCV correlata con nodulo HCC localizzato a livello del VII segmento epatico trattato mediante ablazione percutanea laser. Studio TC pre-procedurale: immagine assiale (A) ed immagine volume rendering (B) che mostrano le dimensioni (24 millimetri) e localizzazione del nodulo (freccia nera). Studio TC a 30 giorni: (C) immagine assiale che conferma il successo del trattamento ed immagine volume rendering che evidenzia la dimensione dell’area di parenchima tumorale ablato posta a confronto con le dimensioni volume rendering dell’esame pre-procedurale (D). Controllo TC a 6 mesi di follow-up: (E-F) immagini assiale che evidenziano recidiva di malattia in sede sottoglissoniana (freccia bianca). 228 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:222-231 Discussione Tabella 2 Complicanze minori ed effetti avversi. Nel presente studio sono state valutate comparativamente la PLA e la RFA nel trattamento dell’epatocarcinoma unifocale, di dimensioni inferiori ai 4 cm, in termini di risposta completa (CR, complete response) a 30 giorni e di tempo di libero da recidiva locale di malattia. Abbiamo trattato lesioni singole con diametro massimo ≤ 4 cm, in accordo con le linee guida dell’Associazione Europea per lo Studio del Fegato (EASL, European Association for the Study of Liver) [17]. Numerosi studi hanno infatti evidenziato come l’utilizzo delle procedure percutanee nel trattamento dell’HCC, consenta di ottenere risultati migliori in lesioni con tali dimensioni [20]. Ciononostante, i trattamenti termo ablativi vengono utilizzati anche per lesioni con diametro superiore, anche se con finalità di down-staging e/o palliative ed alcuni Autori propongono di associare una chemioembolizzazione preprocedurale, per lesioni > 5 cm a causa del maggior rischio di presenza di noduli satelliti e/o invasioni vascolari microscopiche perilesionali [21]. Nella nostra esperienza, la RFA ha mostrato una percentuale di CR maggiore rispetto alla PLA (93% vs 87%), ottenuta anche con un minor numero di trattamenti per nodulo (RFA, 1.21 vs PLA, 1.38). Tali risultati sono paragonabili a quelli riportati da Ferrari et al. [15] i quali, confrontando la PLA con RFA nel trattamento di HCC multifocale di dimensioni <4 cm in 81 pazienti, riportano una percentuale di CR a 30 giorni più alta utilizzando la RFA, piuttosto che la PLA (94% vs 78%). In relazione al tempo libero da progressione locale di malattia calcolato a 12 mesi, nella nostra esperienza, le curve di sopravvivenza per la RFA e per la PLA non hanno mostrato differenze statisticamente significative, pur apprezzandosi un trend di superiorità nei risultati ottenuti con RFA rispetto a quelli ottenuti con PLA (RFA 84% vs PLA 54%, p=0,083). I tassi di sopravvivenza della PLA riportati nel nostro studio sono inferiori i risultati ottenuti da Pacella et al. che indica invece una percentuale molta bassa (1,6%) di recidiva locale ad un anno [11]. Tuttavia, i nostri risultati sono in parziale accordo con i risultati preliminari di uno studio tuttora in corso di Di Costanzo et al. (dati non pubblicati), riportati in una review di Pacella et al. [22], che riportano tassi di sopravvivenza libera da progressione locale di malattia a un anno non significativamente diversi tra le due tecniche. Inoltre dai nostri dati emerge che il tasso di sopravvivenza libero da recidiva locale da malattia è inferiore per le lesioni con diametro superiore ai 2 cm nei pazienti trattati con PLA. Tale dato concorda con i risultati riportati da Pacella su uno studio sulle variabili che influenzano i risultati in termini di progressione locale di malattia, il quale indica però un cut-off di 3 cm sotto il quale si hanno i risultati migliori [23]. La formazione di un margine di sicurezza non adeguato è tra i fattori di rischio più rilevanti per la progressione locale di malattia e molti autori concordano che tale margine debba essere compreso tra 5 mm e 10 mm [24-25]. Di conseguenza, il tasso di sopravvivenza minore nel gruppo di pazienti trattati con la PLA nei tumori con dimensioni maggiori di 2 cm può essere giustificato dal mancato raggiungimento di un adeguato margine di sicurezza. Condizione che può essere dovuta essenzialmente alle limitate capacità che si hanno nel monitorare la formazione della necrosi tissutale durante il trattamento. L’ecografia e la TC sono le tecniche di imaging maggiormente diffuse, a basso costo, nel monitoraggio delle procedure ablative. Tuttavia, il riscaldamento dei tessuti, che si verifica durante le procedure termo ablative, porta alla formazione di gas che, se da un lato fornisce indicazione dell’avvenuta distruzione tissutale, dall’altro crea un ostacolo alla valutazione con gli ultrasuoni [26]. Inoltre la TC non è in grado di descrivere cambiamenti tissutali se non dopo 24H [27]. Pertanto, poiché non è possibile utilizzare una tecnica di imaging a basso costo che non risenta di tale limite, i sistemi di ablazione locale si sono stati sviluppati per cercare di ricreare un volume di necrosi tissutale che sia facilmente riproducibile, utilizzando protocolli standard indipendenti dalla tecnica di monitoraggio utilizzata. Ciononostante numerose variabili possono influenzare la formazione del volume di necrosi [23, 28]. È quindi necessario un sistema di feedback che consenta di monitorare i cambiamenti tissutali in atto durante il trattamento e pertanto da questo punto di vista la RFA sembra avere un vantaggio significativo rispetto alla PLA: la registrazione continua dell’impedenza tissutale, che si effettua durante tale procedura, fornisce, seppur sommariamente, informazioni sullo sviluppo dell’ablazione tumorale. Il raggiungimento del roll-off, che indica l’avvenuta coagulazione del tessuto, può rendere quindi più accurata l’efficacia loco regionale del trattamento stesso [29]. Inoltre, un’ulteriore variabile che può rendere più complesso l’ottenimento di un preciso margine di sicurezza, può esser rappresentata dalla relativa difficoltà che si ha nel posizionare i multipli aghi della PLA nella giusta geometria ablativa, tale da indurre un volume di necrosi adeguato e riproducibile [23] . La rigidità del fegato cirrotico [30] può rendere, per di più, difficile il controllo della traiettoria di un ago dotato di bassa stiffness, quale quelli della PLA utilizzati nel nostro studio, il quale, a parità di materiale costruttivo, è dotato di un calibro minore (21G) rispetto quello della RFA (15G-17G). Il limite del nostro studio è dovuto al campione numericamente non elevato (30 pazienti) e nell’avere effettuato un follow-up di media durata (12 mesi). La possibilità di effettuare uno studio prospettico randomizzato, senza l’evidenza di differenze statisticamente significative tra i gruppi di studio presi in esame, ha consentito però di ridurre al minimo i possibili bias che si potevano creare in sede di analisi statistica. Allo stesso modo avendo scelto poche variabili, quali criteri dimensionali e il tipo di trattamento, è stata possibile ed attuabile una valutazione dei risultati ottenuti già ad un anno dal trattamento. L’obiettivo del nostro studio è stato, infatti, quello di valutare Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:222-231 229 Fig. 6 Maschio di 73 anni affetto da epatite cronica HCV correlata con nodulo HCC localizzato a livello del V segmento epatico trattato mediante ablazione con radiofrequenza. Studio TC pre-procedurale: immagine assiale (A) ed immagine volume rendering (B) che mostrano le dimensioni (23 millimetri) e localizzazione del nodulo (freccia bianca). Studio TC post-procedurale a 6 mesi di follow-up: (C) immagini assiali che confermano il successo del trattamento (freccia bianca) ed immagine volume rendering (D) che evidenzia le dimensione dell’area di parenchima tumorale ablata posta a confronto con le dimensioni volume rendering dell’esame pre-procedurale. l’efficacia loco-regionale del singolo trattamento, in relazione al fatto che spesso i risultati delle valutazioni a lungo termine possono non essere collegate direttamente agli effetti del trattamento. Difatti, soprattutto nel HCC, il tempo libero da malattia e la sopravvivenza possono essere collegate all’eziologia e al grado di insufficienza epatica dovuta alla cirrosi e all’istotipo del tumore. I tassi di sopravvivenza possono essere influenzati dall’insorgenza di altri tumori, primitivi o secondari, o dalle complicanze indotte dall’insufficienza epatica stessa. Al contrario l’end-point valutato nel nostro studio, ovvero il tempo libero da progressione locale di recidiva locale di malattia, può essere considerato una diretta espressione dell’efficacia loco-regionale di una procedura ablativa [31]. Per quanto riguarda la valutazione delle complicanze peri-procedurali, entrambe le tecniche sono risultate sicure. Nessun paziente è, infatti, deceduto in seguito al trattamento e non sono state osservate complicanze maggiori. Complicanze minori sono state comunque osservate. In particolare si sono verificate raccolte peri-epatiche asintomatiche in 4 pazienti, versamenti pleurici in 5 pazienti e 1 caso di ematoma sub-capsulare. L’insorgenza di tali complicanze è stata più frequente nei pazienti trattati con RFA piuttosto che con PLA. Ciò può esser dovuto all’utilizzo di aghi più sottili per la PLA e dotati di minor calibro che rendono però meno traumatico il loro inserimento nel fegato. I nostri dati concordano con i dati presenti in letteratura che descrivono la PLA spesso associata ad un minor numero di complicanze [14, 32-33]. In particolare nel nostro studio abbiamo documentato l’insorgenza della sindrome post-ablativa solo in uno dei pazienti trattati con PLA, mentre 12 pazienti trattati con RFA hanno 230 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:222-231 sviluppato tale sindrome. A tal riguardo abbiamo anche valutato l’eventuale incremento post-procedurale di TNFα nei due gruppi di trattamento. Il TNFα è uno dei possibili mediatori di una risposta infiammatoria sistemica che può verificarsi in seguito al trattamento con RFA o crio-ablazione ed è quindi uno dei fattori che influenzano l’insorgenza della sindrome post-ablativa [34-36]. Dal nostro studio emerge che la procedura laser non induce una significativa risposta infiammatoria in termini di produzione di TNFα. I nostri dati sono in accordo con Kallio et al. [34] che hanno valutato la produzione di citochine pro-infiammatorie sieriche, tra cui il TNFα, in una coorte di 13 pazienti con tumore epatico sottoposti ad ablazione laser sottoguida RM. L’evidenza di un non incremento nella produzione di TNFα potrebbe giustificare la minore insorgenza, nel nostro studio, di sviluppo di sindrome post-ablativa nei pazienti sottoposti alla PLA. Tuttavia, è bene ricordare che la sindrome post-ablativa è una manifestazione clinica complessa regolata da una molteplicità di covariabili non analizzate nel nostro studio. In accordo con Jansen et al. abbiamo riscontrato un incremento di produzione TNFα nei pazienti trattati con RFA [37]. La maggior concentrazione del TNFα nei soggetti trattati con RFA può spiegare quindi in parte la più frequente insorgenza di sindrome post-ablativa verificatesi nel nostro studio rispetto al trattamento con la PLA. Conclusioni La capacità di indurre necrosi tumorale completa non ha mostrato differenze statisticamente significative tra le due differenti tecniche di ablazione; tuttavia per lesioni con diametro d ≥ a 21 mm la RFA ha consentito di ottenere risultati migliori ad un anno dal trattamento. Un ridotto numero di complicanze minori è stato osservato nei pazienti trattati con PLA. In particolare abbiamo osservato un solo caso di sindrome post ablativa nei pazienti trattati con PLA. In accordo a tale dato la produzione di TNFα è risultata significativamente più elevata nei pazienti trattati con RFA. In conclusione la RFA è più efficace nel trattamento del HCC rispetto alla PLA. Tuttavia, anche in relazione alla scarsa insorgenza di complicanze, la PLA, nei centri che dispongano della tecnologia adeguata e delle giuste esperienze e conoscenze, può essere considerata una valida opzione terapeutica per il trattamento di HCC ≤20 mm. Per citare questo articolo: Orlacchio A, Bolacchi F, Chegai F, Bergamini A, Costanzo E, Del Giudice C, Angelico M, Simonetti G (2013) Comparative evaluation of percutaneous laser and radiofrequency ablation in patients with HCC smaller than 4 cm. Radiol med [Epub ahead of publication]; DOI: 10.1007/s11547-013-0339-y La radiologia medica http://link.springer.com/journal/11547 BIBLIOGRAFIA 1. Faloppi L, Scartozzi M, Maccaroni E et al (2011) Evolving strategies for the treatment of hepatocellular carcinoma: from clinical-guided to molecularly-tailored therapeutic options. Cancer Treat Rev. 37: 169-77 7. 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Briani1, G. F. Federici1 G. Delle Fave2, V. David1 1 Istituto di Radiologia, Dipartimento di Scienze Medico-Chirurgiche e di Medicina Traslazionale, Facoltà di Medicina e Psicologia Università di Roma, Sapienza, Italia, Ospedale Sant’Andrea, Via di Grottarossa 1035, 00189 Roma, Italia 2 Dipartimento di Scienze Medico-Chirurgiche e di Medicina Traslazionale, Facoltà di Medicina e Psicologia, Università di Roma, Sapienza Ospedale Sant’Andrea, Via di Grottarossa 1035, 00189 Roma, Italia Indirizzo Autore: E. Iannicelli, Tel.: +393385944602, Fax: +39068085348, e-mail: [email protected] Ricevuto: 22 Settembre 2012 / Accettato: 11 Febbraio 2013 Riassunto Obiettivo. Scopo del nostro studio è valutare l’accuratezza diagnostica della Risonanza Magnetica (RM) con mezzo di contrasto epatospecifico nell’identificazione dell’epatocarcinoma (HCC) e delle lesioni precancerose, valutandone l’evoluzione. Materiali e metodi. E’ stato effettuato uno studio retrospettivo su 56 pazienti con epatopatia cronica sottoposti a RM con Acido Gadoxetico per sospetto di lesioni epatiche. Numero, dimensioni, intensità di segnale dei noduli sono stati valutati all’Imaging dinamico e nella fase epatospecifica. Il follow up è stato eseguito ogni 3 mesi. L’analisi statistica è stata effettuata mediante Test Esatto di Fisher. Risultati. Centoventi noduli sono stati individuati in 41 pazienti: 92/120 (76,6%, diametro medio 18,4mm) con pattern vascolare tipico per HCC: in fase epatospecifica 90 noduli erano ipointensi; 2 iperintensi. Nella fase epatospecifica sono stati rilevati altri 28/120 noduli ipointensi (23,3%,diametro medio 11mm) non ipervascolari; 15/28 presentavano ipointensità anche all’equilibrio. 14/28 noduli (diametro medio 13,3mm) hanno presentato enhancement in fase arteriosa in tre-dodici mesi. Conclusioni. La fase epatospecifica effettuata dopo lo studio RM dinamico con Acido Gadoxetico aumenta il livello di confidenza nella diagnosi di HCC e consente l’identificazione di noduli ipovascolari potenzialmente in grado di progredire in HCC tipici. Tale rischio è aumentato per le lesioni > 10mm. (p-value:0,0128). Parole chiave Epatocarcinoma; HCC; Acido Gadoxetico; Gd-EOB-DTPA; Risonanza Magnetica; Early-Epatocarcinoma; Cirrosi epatica Introduzione L’epatocarcinoma (HCC) è una delle più comuni neoplasie maligne al mondo, terza causa di morte per cancro [1] e principale causa di morte nei pazienti cirrotici. L’accurata identificazione del numero, delle dimensioni e della localizzazione delle lesioni tumorali sono fattori critici nel pianificare un corretto approccio terapeutico. E’ pertanto di fondamentale importanza identificare i pazienti a rischio di sviluppare il tumore, instaurando un corretto programma di sorveglianza finalizzato alla diagnosi precoce. L’epatocarcinogenesi si può considerare un processo multistep che insorge su fegato cirrotico; la neoplasia si sviluppa con l’evoluzione da nodulo rigenerativo a nodulo displasico, progressione in HCC inizialmente ben differenziato (early HCC), forma scarsamente differenziata fino a neoplasia indifferenziata. Il rischio di trasformazione in HCC aumenta con il grado di displasia; i noduli con displasia di grado elevato rappresentano vere e proprie lesioni pre-neoplastiche che evolvono in epatocarcinoma con una frequenza riportata in letteratura del 46%-80 in 1-5 anni [2]. In questo contesto appare indispensabile l’utilizzo di tecniche diagnostiche che consentano un’adeguata caratterizzazione delle lesioni focali epatiche. L’applicazione delle Evidenze emerse dagli studi di Imaging da parte dell’American Association for the Study of Liver Disease (AASLD) ha portato all’identificazione di Linee Guida per il paziente cirrotico che assegnano un ruolo cruciale alla Risonanza Magnetica (RM) e alla Tomografia Computerizzata (TC) effettuate con studio dinamico dopo somministrazione endovenosa di mezzo di contrasto (Mdc) [3]. La presenza del pattern vascolare considerato tipico, caratterizzato da ipervascolarità in fase arteriosa, wash out in fase portale e tardiva, in noduli di dimensioni superiori a 1cm è ritenuta diagnostica per HCC e non è necessaria la conferma istologica tramite biopsia. Ma lo scenario è diverso se prendiamo in considerazione l’early HCC, neoplasia ben differenziata che non presenta ancora i processi tipici della neoangiogenesi tumorale, di difficile identificazione allo studio dinamico con TC o RM a causa proprio 233 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:232-242 della ipovascolarità nella fase arteriosa [4]. Grande interesse suscita pertanto l’imaging innovativo del fegato e delle vie biliari in RM, grazie alla recente introduzione di nuovi mezzi di contrasto epatospecifici come l’Acido Gadoxetico (Gd-EOB-DTPA), Mdc paramagnetico di tipo misto, che combina le proprietà dei Mdc vasculo-interstiziali con quelle degli agenti epatobiliari, che vengono captati dagli epatociti ed eliminati per via biliare. Una nuova fase di studio, denominata epatospecifica, effettuata circa 20 minuti dopo la somministrazione del mdc, si aggiunge allo studio standard e sembra possa modificare sensibilmente la performance diagnostica della Risonanza Magnetica [5,6] Lo Scopo del nostro studio è valutare l’accuratezza diagnostica della RM con Acido Gadoxetico nella diagnosi di HCC e nell’identificazione di lesioni ad uno stadio iniziale valutandone l’evoluzione e la progressione tumorale Materiali e metodi Casistica Sono stati valutati retrospettivamente 56 pazienti affetti da cirrosi epatica HCV, HBV o alcol correlata, sottoposti a RM con mezzo di contrasto epatospecifico (GD-EOB-DTPA; Primovist®, Bayer Healthcare Pharmaceuticals) in un periodo compreso tra marzo 2009 e luglio 2012. L’esame RM era stato effettuato per valutare una lesione epatica sospetta per HCC, riscontrata in un esame Ecografico o TC con Mdc, eseguito in un periodo precedente di 1-4 settimane, o per il riscontro di elevati livelli sierici di α-fetoproteina. I criteri di inclusione nello studio sono stati: 1) presenza di uno o più noduli ipervascolari in fase arteriosa con wash-out in fase portale e/o all’equilibrio oppure presenza di uno o più noduli ipointensi rilevabili nella fase epatospecifica; 2) disponibilità di almeno un controllo a distanza di 3 mesi effettuato con TC con Mdc e/o RM con Mdc epatospecifico. I criteri di esclusione in questo studio sono stati: 1) presenza esclusivamente di lesioni con caratteristiche di benignità (angiomi, adenomi o iperplasia nodale) (n=8); 2) nessuna evidenza di lesione focale all’esame RM; (n=3) 3) mancata disponibilità di controllo a distanza (n=4). Lo studio ha pertanto arruolato 41 pazienti (30 uomini e 11 donne; età media 70 anni; range 52-87 anni) con un totale di 120 noduli. Lesioni con caratteristiche di cisti o emangiomi sono state escluse dall’analisi. La diagnosi di HCC per i noduli di dimensioni superiori a 1cm è stata effettuata sulla valutazione dell’Imaging dinamico in accordo con le linee guida dell’AASLD del 2010 [3] o sui reperti istologici ottenuti mediante intervento chirurgico o biopsia; in tutti i casi è stato effettuato almeno un controllo a tre mesi. L’esame istologico dopo esame bioptico o resezione chirurgica è stato eseguito in 7 pazienti con noduli con pattern vascolare tipico ma con diametro inferiore al centimetro o iperintensità nella fase epatospecifica. Gli altri noduli non HCC evidenziati nel corso dello studio sono stati sottoposti a follow-up ogni 3 mesi fino a 12 mesi con RM con Acido Gadoxetico. Lo studio retrospettivo è stato approvato dal Comitato Etico del nostro Ospedale. Tutti i pazienti hanno fornito il consenso informato. Imaging RM Lo studio RM è stato effettuato con tomografo a risonanza 1.5 Tesla (Sonata Siemens, Erlangen, Germany), con l’utilizzo di bobina di superficie posizionata sull’addome del paziente. Lo studio prevede l’esecuzione di sequenze in condizioni basali e dopo somministrazione di mdc epatospecifico Gd-EOB-DTPA, con studio contrastografico dinamico ed in fase epatobiliare a 20 minuti. In fase precontrastografica sono state eseguite sequenze sul piano assiale T1 Gradient echo in fase ed in opposizione di fase e T2 Turbo spin-echo Fat-Saturated (TSE-FS). E’ stato quindi somministrato mediante iniezione endovenosa a bolo il Gd-EOB-DTPA, con una dose raccomandata di 0,25 μmol/kg di peso corporeo, in siringa preriempita da 10mL. Il Mdc è stato somministrato alla velocità di 0,8-1 ml/sec, seguito da un bolo da 10 cc di soluzione fisiologica alla stessa velocità di iniezione. Le scansioni dinamiche sono state effettuate utilizzando sequenze Volumetric Interpolated Breath-Hold Examination (VIBE) acquisite nelle tre fasi di vascolarizzazione: arteriosa epatica (25-35 secondi dopo la somministrazione del Mdc), portale (dopo 70-80 secondi) e tardiva (fase di equilibrio dopo 150-180 secondi). In fase epatobiliare sono state acquisite sequenze VIBE nei piani di scansione assiale e coronale dopo 15-20 minuti dalla somministrazione del Mdc e sequenze Fast Low-Angle Shot (FLASH) 2D T1 pesate FS ad alta risoluzione. Per ridurre il tempo di esecuzione dell’esame, nell’intervallo di tempo fra la fase dinamica e la fase epatospecifica, sono state eseguite sequenze T2 Half-Fourier acquisition single-shot (HASTE) FS e TSE-T2 FS con trigger respiratorio . E’ stato inoltre eseguito uno studio in diffusione con sequenze eco planari (EPI) (b-value 50-400-800 s/ mm²) a respiro libero. Il protocollo d’esame è schematizzato nella Tabella 1. Analisi delle immagini Le immagini RM sono state valutate da due radiologi con esperienza di Risonanza Magnetica addominale, in consensus. L’analisi delle immagini RM ha preso in considerazione: numero delle lesioni, dimensioni, caratteristiche di intensità di segnale all’Imaging dinamico e nella fase epatospecifica. Tale valutazione è stata effettuata anche nel corso del follow-up. Sono stati considerati noduli di HCC: 1) le lesioni > 1cm che presentavano all’Imaging dinamico il pattern vascolare tipico (secondo le linee guida dell’AASLD [3]) con ipervascolarizzazione in fase arteriosa, wash-out in fase portale e /o all’equilibrio ; 2) le lesioni ipo o iperintense in fase epatospecifica con pattern vascolare tipico. Sono stati considerati displasia severa/early-HCC: a) i noduli con unico reperto di ipointensità in fase epatospecifica b) i noduli che allo studio dinamico non presentavano enhancement in fase arteriosa, con ipointensità all’equilibrio (150-180 sec) ed in fase epatospecifica. Analisi statistica E’ stata effettuata analisi statistica con il software SYSTAT nel gruppo di pazienti con displasia severa / early HCC. Le variabili continue sono state analizzate tramite la statistica descrittiva. Sulla media è stato eseguito un test T di Student con il calcolo del relativo p-value. Un valore p inferiore a 0,05 è stato considerato statisticamente significativo. 234 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:232-242 Tabella 1 Protocollo di studio RM T2WI T1WI Contrast-enhanced MRI Sequence Turbo spin-echo Fast gradient echo Gradient echo with 3D acquisition (VIBE) Respiratory triggered Yes - - Fat Saturated Yes - Yes Matrix 320 256 256 Repetition time (ms) 2000-3000 125 4,5 Acquisition time 2-3 min 31 sec * 18 sec Echo time (ms) 119 2,4 and 4,5 1,8 Flip angle (degree) 180 70 10 Slice thickness (mm) 6 5 3 Interslice gap 0 0 0 *Two breath holds were required in many cases. Scan delay after administration: 25-35 s, 70-80 s, 150-180 s, 15-20 m. Others Le variabili sono state analizzate anche con il test di Wilcoxon-Mann-Whitney, l’analogo non-parametrico del test T di Student. Considerata la numerosità limitata del campione, il confronto delle proporzioni è stato effettuato utilizzando il test non parametrico Esatto di Fisher. Risultati Nei 41 pazienti oggetto del nostro studio sono stati identificati un totale di 120 noduli (Tabella 2). I noduli sono stati suddivisi in due gruppi in base al pattern vascolare e alle caratteristiche di intensità di segnale in fase epatospecifica. Il primo gruppo è costituito da 92/120 noduli (76,6%) (range 6-43 mm, diametro medio 18,4mm) che presentavano pattern vascolare tipico per HCC all’Imaging dinamico (Fig.1a-c; Fig.2a-c). Trentuno noduli sono stati rilevati in tre pazienti con patologia multifocale ( 5, 6 e 20 rispettivamente). Nella fase epatospecifica 90/92 lesioni apparivano ipointense (97,8%) (Fig.1d), 2/92 iperintense ( 2,2%) (Fig.2d,e); in questi ultimi due casi è stato effettuato l’esame istologico con risultato di HCC ben differenziato (fig2f). Il secondo gruppo è costituito da 28/120 noduli (23,3%; range 4-28 mm, diametro medio 11 mm) che non presentavano enhancement in fase arteriosa, ipointensi nella fase epatospecifica. Di questi, 15/28 (53,5 %) (range 4-28mm, diametro medio 12 mm) apparivano ipointensi all’equilibrio nell’Imaging dinamico (Fig.3a-c); 13/28 (46,6%) (range 6-15mm, diametro medio 9,8mm) presentavano come unico reperto ipointensità in fase epatospecifica (Fig.3c). I risultati del follow-up effettuato sul secondo gruppo di pazienti (28 noduli) sono i seguenti: dei 15/28 noduli ipointensi all’equilibrio e in fase epatospecifica, otto noduli (53,3% diametro medio 15,5 mm, range 7-28 mm) hanno sviluppato un’ipervascolarizzazione con pattern tipico di HCC in un range di 3-9 mesi, con un’ incidenza cumulativa rispettivamente del 12,5% a 3 mesi, del 37,5% a 6 mesi e del 50% a 9 mesi (Fig.4.); 6/8 lesioni presentavano dimensioni superiori al cm al primo controllo, mentre gli altri due di 8 e 7 mm sono successivamente aumentati di dimensione (>1cm). I restanti sette noduli (46,6%) (diametro medio 8 mm, range 4-13 mm) non hanno mostrato evoluzione in un periodo di 3 -12 mesi. Dei 13/28 noduli con unico reperto di ipointensità in fase epatospecifica, sei (46,1%, diametro medio di 10,8 mm range 7-15 mm) hanno mostrato un pattern dinamico tipico per HCC in un periodo tra 6 e 12 mesi con un’ incidenza cumulativa rispettivamente del 16,6 %a 6 mesi, del 50% a 9 mesi e del 33,3%a 12 mesi (Fig.5). 3/6 presentavano dimensioni superiori al cm al primo controllo, mentre i restanti tre erano rispettivamente di 10, 10 e 7 mm. Questi ultimi al follow-up hanno mostrato un incremento di dimensioni (>1cm). Tre noduli (23%) hanno presentato ipointensità anche all’equilibrio in un range di 3-6 mesi. Infine quattro noduli (30,7%) non hanno mostrato evoluzione nel follow-up fino a 12 mesi. Di questi 28 noduli, 11 avevano dimensioni >1cm al primo controllo e successivamente 9/11(81.8%) hanno sviluppato HCC durante il follow up. In totale, 14/28 noduli (50%) hanno presentato pattern tipico per HCC in un periodo compreso tra tre e dodici mesi (Tabella3); cinque di questi sono stati rilevati in un solo paziente. Il diametro medio (SD; SEM) dei noduli ipovascolari che 235 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:232-242 Tabella 2 Caratteristiche d’intensità di segnale dei noduli IMAGING DINAMICO HCC DS/ early-HCC 120 noduli Enhancement arterioso 92 (18,4 mm) 92 Wash out / 28 (11 mm) FASE EPATOBILIARE Ipo Iper 92 90 2 15 15 / 76,6% 23,4% / / 13 / DS: noduli displasici; Ipo:ipointensità; Iper:iperintensità a c b d Fig. 1 a-d RM con Gd-EOB-DTPA. HCC con pattern vascolare tipico. Lesione di 18 mm (freccia) ipervascolare in fase arteriosa (a) con wash-out in fase portale (b) e tardiva (c). La fase epatospecifica (d) evidenzia netta ipointensità del nodulo. 236 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:232-242 a d b e c f Fig 2 a-f Le scansioni dinamiche mostrano una lesione focale di 20mm (freccia), con rapida impregnazione in fase arteriosa (a) e wash-out in fase portale (b) e all’equilibrio (c). Nella fase epatospecifica, scansione assiale (d) e coronale (e), la lesione (freccia) appare iperintensa per captazione ed eliminazione del mdc. All’istologia (f) reperto di HCC ben differenziato (Fissazione in Ematossilina-Eosina). 237 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:232-242 a c Fig. 3 a-c Non evidenza di lesioni ipervascolari in fase arteriosa (a); nodulo ipointenso (freccia bianca) di 12mm all’equilibrio (b). In fase epatospecifica (c) presenza di due noduli ipointensi (frecce nere). b hanno sviluppato ipervascolarizzazione durante il follow-up è di 13,36mm (5,99; 1,60) (range 7-28 mm). Il diametro medio delle lesioni che non hanno presentato tale evoluzione è di 8,57mm (2,98;0,80) (range 4-15mm). Analizzando i risultati ottenuti, posto il cut-off dimensionale di 10 mm, è stata osservata una relazione statisticamente significativa tra le dimensioni dei noduli e lo sviluppo del pattern ipervascolare; mediante il test Esatto di Fisher è risultato un p<0,05 (p=0,0128). Discussione Il ruolo cruciale dell’Imaging nella valutazione della cirrosi epatica e nella diagnosi di HCC è un fatto ormai acquisito, momento indispensabile per il corretto management del paziente. Tuttavia, solo un limitato numero di casi al momento della diagnosi, presenta i requisiti necessari per essere sottoposto a trattamenti curativi, quali trapianto epatico, resezione epatica o terapie locoregionali [3,7,8]. La Risonanza Magnetica grazie all’intrinseca elevata risolu- zione di contrasto si pone oggi come la metodica più accurata nello studio del fegato con elevata sensibilità e specificità nella identificazione e caratterizzazione delle lesioni, considerata in molte situazioni “problem solving”; tuttavia lo studio standard, che si avvale della somministrazione di Mdc a distribuzione vasculo-interstiziale, può a volte fornire reperti non conclusivi nella caratterizzazione delle lesioni epatiche. L’Acido Gadoxetico (Gd-EOB-DTPA) si inserisce in questo contesto come un mezzo di contrasto caratterizzato da una duplice funzionalità: grazie al tipo di escrezione che avviene al 50% per via renale e al 50% per via biliare, si comporta come un normale mezzo di contrasto extracellulare consentendo uno studio dinamico della vascolarizzazione delle lesioni e dell’interstizio, mentre successivamente viene captato in maniera selettiva dagli epatociti funzionanti ed escreto per via biliare , consentendo di verificare la presenza o assenza di epatociti funzionanti all’interno della lesione [9]. La fase epatobiliare viene acquisita 15-20 minuti dopo l’iniezione del mdc; studi recenti [10,11,12] hanno dimostrato che l’utilizzo del Gd-EOB-DTPA non incrementa di molto il tempo d’esame in quanto l’acido gadoxetico non determina effetti significativi sull’imaging in diffusione o sulle immagini pesate in T2, che possono quindi venire acquisite subito dopo lo studio dinamico, con uno snellimento del protocollo ed un tempo totale d’esame di circa 25-30 minuti. Nel nostro studio novantadue dei centoventi noduli riscontrati presentavano un pattern dinamico tipico per HCC, con enhancement in fase arteriosa seguito da rapido washout nella fase portale e/o all’equilibrio. Comportamento considerato patognomonico in quanto l’epatocarcinoma si caratterizza per la presenza di una vascolarizzazione prevalentemente arteriosa che deriva da un processo di arterializzazione del nodulo: all’aumentare delle sue dimensioni, la perfusione della lesione neoplastica viene assicurata in modo crescente da neovasi irregolari arteriosi ad origine dall’arteria epatica, mentre si riduce il contributo fornito dal sistema portale. Nella fase epatobiliare novanta 238 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:232-242 a c b d Fig.4 a-d Lo studio dinamico non evidenzia lesioni ipervascolari (a); in fase tardiva (b) nodulo ipointenso (freccia bianca) di 8 mm con ipointensità in fase epatospecifica (c). Il follow up a 3mesi evidenzia incremento di dimensioni (11mm), comparsa di ipervascolarità in fase arteriosa (freccia bianca) (d) ed ulteriore localizzazione di malattia. (freccia nera). noduli (97%) sono apparsi ipointensi rispetto al parenchima circostante, ad indicare l’assenza di epatociti funzionanti, a conferma della diagnosi di epatocarcinoma. L’ipointensità in fase epatospecifica è l’aspetto ritenuto più comune per l’HCC [9,13]. E’ singolare che nel nostro studio nessuno dei 92 no- duli ipervascolari abbia presentato isointensità in fase portale o all’equilibrio, aspetto spesso descritto per i piccoli HCC nel corso di esami TC o RM effettuati con Mdc extracellulari [13,14] che, quando presente, pone problematiche di diagnosi differenziale con le pseudolesioni non neoplastiche 239 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:232-242 a d b e c f Fig. 5 a-f Paziente di 76 anni in follow-up per HCC trattato. Lo studio dinamico non evidenzia lesioni in fase arteriosa (a) e tardiva (b); nodulo di 12 mm (freccia) ipointenso in fase epatospecifica (c). Follow up a 12mesi: la lesione (freccia) appare aumentata di dimensioni (17mm), ipervascolare in fase arteriosa (d) con wash-out all’equilibrio (e) ed ipointensità in fase epatospecifica (f). 240 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:232-242 Tabella 3 Evoluzione e caratteristiche delle lesioni ipointense in fase epatospecifica Ipervascolarizzazione durante follow-up p-value + - 28 noduli 14 14 Diametro medio (SD) 13,36 mm (5,99) 8,57 mm (2,98) Noduli con diametro >10mm al primo controllo 9 2 0,0128 Noduli aumentati di dimensione durante il follow-up 5 (35%) 2 (14,2%) 0,385 Iperintensità in T2 4(28,5%) / 0,098 ipervascolari frequenti nella cirrosi epatica, quali shunt arteroportali. Tale comportamento può essere attribuito all’incremento dell’intensità di segnale del parenchima epatico già nella fase portale, per l’inizio della captazione epatica dell’Acido Gadoxetico, che esalta le differenze di contrasto anche modeste presenti tra lesioni focali e parenchima epatico. In questo gruppo di lesioni pertanto il valore aggiunto della fase epatospecifica, al confronto con l’imaging dinamico, sta essenzialmente nell’incremento del livello di confidenza nella diagnosi di HCC; tuttavia va sottolineato che il mancato riscontro di noduli ambiguamente isointensi all’equilibrio, non è certo un aspetto di secondaria importanza in quanto riduce l’incidenza di errori di interpretazione e di reperti considerati falsamente negativi. L’iperintensità nella fase epatospecifica, presentata da due noduli di HCC con pattern tipico all’esame dinamico, si correla con il reperto istologico di HCC ben differenziati (Fig.2f). La captazione del Mdc è stata attribuita alla presenza di epatociti funzionanti che conservano una residua capacità di escrezione biliare [12]. Recentemente [16,17] alcuni autori hanno dimostrato che l’espressione di OATP (Organic Anion Transporter Polypeptides) proteina di membrana trasportatore di anioni, rappresenta il punto cruciale della captazione del Mdc e che una maggiore espressione di tale trasportatore molecolare sia responsabile della captazione del Mdc nei noduli di HCC ben differenziato. L’aspetto più interessante del nostro studio riguarda il gruppo di 28 noduli non ipervascolari, ipointensi nella fase epatospecifica. Nelle sequenze T2 pesate i noduli erano isointensi con il parenchima epatico e quindi non identificabili. La sorveglianza effettuata nel follow-up ha dimostrato come si sia verificata una evoluzione in 17/28 (60,7%) di questi noduli e complessivamente in un range di 3-12 mesi, 14 noduli (50%) hanno sviluppato il processo di arterializzazione; in questi 14 noduli le dimensioni maggiori di un centimetro e la comparsa del tipico pattern allo studio dinamico hanno consentito di porre diagnosi di HCC escludendo shunt AV. Questi reperti possono essere interpretati sulla base del processo di epatocarcinogenesi multistep: in fase iniziale il nodulo conserva la vascolarizzazione portale senza evidenza dei fenomeni di neoangiogenesi tipici dell’HCC; successivamente si riduce l’apporto del sistema portale e solo nello step successivo avrà luogo il processo di arterializzazione del nodulo con la comparsa della neoangiogenesi tipica. Il nodulo ipovascolare, senza enhancement in fase arteriosa, identificato per l’ipointensità nella fase portale e all’equilibrio, rappresenta quindi una neoplasia allo stadio iniziale ovvero l’early HCC che solo in uno step successivo andrà incontro a quel processo di arterializzazione che ne permetterà l’identificazione al consueto imaging dinamico [18,19]. Nel nostro studio la progressione in HCC si è verificata anche nei noduli che hanno mostrato come pattern iniziale solo la mancata eliminazione biliare del Mdc, apparendo ipointensi nella fase epatospecifica. Kogita et al. hanno affermato in uno studio su 83 noduli che la riduzione dell’apporto del sistema portale evidenziabile all’ Imaging dinamico con TC o RM, è preceduto dalla ridotta captazione epatocitaria dell’acido gadoxetico nella fase epatobiliare e quindi, come l’ipointensità delle lesioni in fase epatospecifica sia fortemente correlata con l’epatocarcinogenesi, dimostrando l’utilità di questo agente nella diagnosi precoce dell’epatocarcinoma. Tale reperto sottolinea ancora una volta l’importanza del sistema dei trasportatori di membrana nel meccanismo di captazione dell’acido gadoxetico in quanto la ridotta espressione di OATP può precedere la tipica ipervascolarità [20], I noduli con unico reperto di ipointensità nella fase epatospecifica possono essere considerate come lesioni precancerose, primo step del processo di epatocarcinogenesi [21]. Dai nostri dati è emerso inoltre che i noduli ipointensi in fase epatospecifica con dimensioni maggiori di 1 cm, hanno una probabilità significativamente maggiore di evolvere in HCC rispetto alle lesioni con diametro inferiore al centimetro, indicando una correlazione statisticamente significativa (p=0,0128), tra parametro dimensionale e progressione di malattia. Ma la storia naturale di queste lesioni non è ben conosciuta e la frequenza con cui avvenga la progressione in HCC è ancora argomento di discussione [22,23,24]. I risultati del nostro studio, nonostante la ridotta numerosità del campione, sono in linea con gli studi e le evidenze della letteratura internazionale [25,26] ed esortano a non tralasciare i noduli che non appaiono ipervascolari ma a sottoporli ad un programma di sorveglianza adeguato con l’obiettivo della diagnosi precoce di HCC. Non bisogna tuttavia ignorare che una parte di questi noduli, in proporzioni variabili a seconda degli studi [4,27], non mostra evoluzione rimanendo stabili anche in un follow-up prolungato. E’ evidente che la cautela nell’interpretazione dei dati è necessaria; è importante finalizzare i nostri studi alla diagnosi precoce dell’epatocarcinoma ma è altrettanto di fon- 241 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:232-242 damentale importanza evitare di sottoporre a terapie invasive lesioni senza potenzialità maligne. In questo scenario la RM con Gd-EOB-DTPA rappresenta la metodica di studio ideale e per l’elevata accuratezza dimostrata nella diagnosi di HCC è stata raccomandata, in una recente conferenza, come metodo per la caratterizzazione dei noduli riscontrati all’ecografia nei pazienti cirrotici [28]. Inoltre l’utilizzo del Gd-EOB-DTPA in RM è considerato cruciale anche secondo le linee guide giapponesi sul management dell’HCC del 2011, nello studio delle lesioni con pattern vascolare atipico [29]. Il nostro studio presenta alcuni limiti: in primo luogo per l’analisi dei dati di tipo retrospettivo e la numerosità limitata del campione, inoltre nessun confronto è stato effettuato tra la RM con Acido Gadoxetico e la TC con studio dinamico eseguita in precedenza. Infine, considerando le esigue dimensio- ni dei noduli ipovascolari e le difficoltà all’esecuzione della biopsia e alla caratterizzazione istologica [3], non è stato effettuato un confronto con esame istologico ma solo follow-up clinico e con RM con acido gadoxetico. In conclusione il nostro studio sottolinea l’importanza e l’utilità della RM con Acido Gadoxetico nell’ identificazione e nella caratterizzazione dell’epatocarcinoma nei pazienti con epatopatia cronica; la fase epatospecifica ha consentito di ottenere un’ulteriore conferma dei reperti forniti dallo studio RM convenzionale. La possibilità di identificare noduli ipovascolari che hanno la potenzialità di progredire in HCC riveste particolare importanza nella sorveglianza del paziente con cirrosi epatica e pone l’indicazione ad uno stretto monitoraggio degli stessi. I nostri dati indicano che tale rischio è maggiore per le lesioni di dimensioni superiori ai 10 mm. Per citare questo articolo: Iannicelli E, Di Pietropaolo M, Marignani M, Briani C, Federici GF, Delle Fave G, David V (2013) Gadoxetic acid-enhanced MRI for hepatocellular carcinoma and hypointense nodule observed in the hepatobiliary phase. 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Garetto1 1 Dipartimento di Oncologia, Istituto di Radiologia, Università di Torino, Regione Gonzole 10, Orbassano (TO), Italia Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Istituto di Radiologia, Università di Torino, Via Genova 3, Torino, Italia 3 Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università di Torino, Corso Bramante 88, Torino, Italia 2 Indirizzo Autore: A. Veltri, Tel.: +39-011-9026780, Fax: +39-011-9026303, e-mail: [email protected] Ricevuto: 23 Novembre 2012 / Accettato: 31 Gennaio 2013 Riassunto Scopo. Analizzare i risultati della nostra serie di RFA di MTS epatiche da CM, per valutare il significato di tale trattamento. Materiali e metodi. Abbiamo analizzato 45 pazienti (m 55 anni) con 87 MTS (m 23 mm). Sono stati calcolati Eventi Avversi, Ablazione Completa al primo controllo e nel follow-up (m 30 mesi), tempo libero da recidiva (TTP) e sopravvivenza. L’efficacia locale è stata correlata con le dimensioni delle MTS. Sono stati analizzati possibili predittori di sopravvivenza a 3 anni, inclusa l’efficacia locale della RFA (AC mantenuta a un anno vs Trattamento Fallito). Risultati. Si sono verificati 9/87 EA (2 maggiori, 2.3%). La AC al primo controllo è stata ottenuta nel 90% delle MTS; il 19.7% è recidivato, con TTP di 8 mesi. La differenza tra diametro medio delle AC mantenute (22 mm) e dei TF (30 mm) è risultata estremamente significativa (p=.0005), così come la “soglia” dei 30 mm (p=.0062). La sopravvivenza globale a 1, 2 e 3 anni è stata 90, 58 e 44%. All’analisi multivariata l’efficacia locale della RFA non è risultata predittiva di sopravvivenza a 3 anni. Conclusioni. nel CM la RFA epatica ha elevata efficacia locale nelle MTS fino a 30 mm, ma non è determinante per la sopravvivenza. Parole chiave: RFA, ca mammella, MTS epatiche, radiologia interventistica oncologica. Introduzione Il carcinoma della mammella (CM) metastatico è uno stadio della malattia espressione di una condizione patologica eterogenea, con diversi possibili quadri clinici comprendenti metastasi (MTS) solitarie, interessamento diffuso di un organo o un tipo di tessuto (es. osso), o coinvolgimento multiorgano; in particolare, il fegato è tra gli organi più spesso coinvolti, risultando spesso la causa del decesso. La sopravvivenza è in lieve ma costante aumento, grazie alla diagnosi precoce delle MTS e alla disponibilità di nuove terapie sistemiche (1). A limitare l’utilità del trattamento locale delle MTS epatiche da CM è la tendenza a metastatizzare sistemicamente, al contrario, ad esempio, della malattia metastatica da carcinoma del colon-retto (CRC), dove più comunemente il fegato è interessato in maniera esclusiva (2). Le possibilità terapeutiche includono dunque la chemioterapia, ma anche, in pazienti selezionate, la metastasectomia e la termoablazione con radiofrequenze (RFA) (3). La RFA è una tecnica relativamente semplice che costituisce un trattamento locale efficace per le MTS epatiche, con minima invasività e pochi eventi avversi (4). Fino a oggi la RFA epatica è stata utilizzata principalmente per il trattamento dell’epatocarcinoma e delle MTS da CRC, ma sono presenti in letteratura piccole casistiche riguardanti MTS da CM, gastrico, renale, polmonare, colangiocarcinoma e melanoma (5). Scopo del nostro studio è revisionare la casistica personale consecutiva di RFA di MTS epatiche da CM, eseguite su indicazione clinica multidisciplinare, per valutare la sicurezza, l’efficacia locale e l’utilità clinica a medio termine di tale terapia. Materiali e metodi La nostra casistica, estrapolata da una serie consecutiva di quasi mille MTS epatiche trattate con RFA nei due centri della nostra istituzione universitaria dal 1998 al 2011, comprende 45 pazienti femmine (età 33-81 anni, media 55 anni) con malattia metastatica da CM. Lo studio è stato svolto nel rispetto delle linee guida per le analisi retrospettive stabilite dalla commissione di revisione istituzionale delle nostre Aziende Ospedaliero-Universitarie. Pazienti e lesioni L’indicazione al trattamento è stata posta dopo valutazione multidisciplinare da parte dell’Oncologo Medico, del Radiologo Interventista e dell’Anestesista. La modalità d’esecuzione della RFA è stata stabilita in base al giudizio tecnico del Radiologo Interventista. La scelta alternativa all’intervento chirurgico è stata effettuata per le seguenti cause: 244 ñ ñ strategia terapeutica oncologica controindicazioni chirurgiche anestesiologiche (patologie cardio-vascolari, respiratorie, etc.) ñ altre comorbilità ñ età avanzata ñ presenza di MTS extraepatiche ñ non resecabilità chirurgica ñ rifiuto della paziente a sottoporsi a intervento chirurgico. Nelle suddette 45 pazienti sono state trattate 87 MTS (media 1.9 MTS per paziente); le pazienti con lesione unica erano 27/45 (60%); nelle 18 pazienti con lesioni multiple le MTS trattate sono state quindi 60 (media 3.3 MTS per paziente). Sei/45 (13%) pazienti erano già metastatiche al momento della diagnosi del tumore primitivo (MTS sincrone); 18/45 (40%) pazienti presentavano anche MTS extraepatiche, già controllate o trattabili con altre terapie. Le dimensioni delle lesioni variavano da 10 a 45 mm (media 23 mm). Al momento dell’indicazione alla RFA l’istotipo del CM non è stato considerato come criterio “di selezione”, così come le terapie sistemiche pregresse o in atto, essendo stata privilegiata la potenziale utilità del trattamento locale nella gestione della singola paziente nella specifica fase della malattia; la RFA è stata pertanto inserita come trattamento aggiuntivo in una terapia costantemente multimodale. Le suddette variabili (istotipo e altri trattamenti) non sono state pertanto correlate coi risultati della RFA. Valutazioni pre-procedurali Prima di procedere al trattamento, sono state valutate l’età, le condizioni generali (performance status) e le eventuali patologie cardio-respiratorie. Inoltre, è stata richiesta una stadiazione “whole body” TC, RM e/o PET-CT pre-procedurale non antecedente a un mese rispetto alla data prevista per la RFA. A ogni paziente sono stati effettuati i test della coagulazione (per un’eventuale correzione di piastrinopenia o INR/PTT aumentati), il radiogramma del torace e l’ECG, in vista della successiva visita anestesiologica. Eventuali terapie anticoagulanti o antiaggreganti sono state adattate o sospese. L’indicazione, i rischi e i potenziali benefici della procedura sono stati discussi con le pazienti, che hanno fornito un consenso informato scritto. Aspetti procedurali Le RFA sono state eseguite in sala di radiologia interventistica, in condizioni di sterilità locale, dopo iniezione di anestetico locale nella sede d’ingresso dell’ago-elettrodo (10 ml di lidocaina cloridrato 2% tamponata) e in regime anestesiologico di monitoraggio (ECG, pressione sanguigna, saturazione arteriosa di ossigeno) e analgo-sedazione. Tutte le procedure sono state eseguite sotto guida ecografica, utilizzando apparecchiature Esaote Technos e MyLab (Genova, Italy). Le pazienti sono state posizionate in decubito da supino a laterale sinistro, con l’obliquità più adatta alla visibilità ecografica delle lesioni e al loro raggiungimento da parte dell’ago-elettrodo in respiro spontaneo, attraverso il tragitto più sicuro rispetto alle strutture anatomiche epato-biliari e viscerali peri-epatiche (colon, stomaco, etc.); in caso di MTS isoecogene con il parenchima circostante, la loro visualizzazione e il monitoraggio dell’inserzione dell’ago-elettrodo Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:243-249 sono stati effettuati mediante somministrazione e.v. di mdc ecografico di II generazione (SonoVue, Bracco, Milan, Italy). Sono stati utilizzati ago-elettrodi espandibili RITA StarBurst (RITA Medical Systems, Inc., Mountain View, CA, USA) o LeVeen (Boston Scientific, Waltham, MA, USA). Noto che il protocollo di ablazione si basa sulla temperatura per il sistema RITA e sull’impedenza dei tessuti per il sistema Boston Scientific, la scelta delle apparecchiature utilizzate è stata legata alla loro disponibilità piuttosto che ad altre variabili. Il tempo medio per ogni singola termoablazione è stato di circa 20 minuti, con differenze imposte dalle dimensioni delle MTS e dai suddetti diversi protocolli delle apparecchiature, seguendo le indicazioni del produttore. Al termine della procedura il tragitto dell’ago-elettrodo è stato “ablato” durante l’estrazione, per evitare l’insemenzamento neoplastico e favorire l’emostasi; dopo circa 15 minuti è stato effettuato un controllo ecografico finale onde escludere complicanze immediate. Le pazienti sono state tenute in osservazione la notte successiva al trattamento, al fine di monitorare il quadro clinico e l’emocromo. Valutazione delle complicanze Tutti gli eventi avversi sono stati registrati, suddivisi in base ai criteri SIR in complicanze minori (clinicamente poco o nulla rilevanti) e complicanze maggiori (con necessità di un ricovero protratto e/o un intervento terapeutico radiologico interventistico o chirurgico), e conteggiati in termini numerici e percentuali. Outcome Pur ricordando la finalità clinica di utilizzare la RFA per la gestione multimodale della malattia metastatica da CM più che per ottenere risultati locali con intento radicale, si è considerato comunque utile valutare il risultato a un mese dalla procedura mediante esecuzione di TC con mdc, per evidenziare un’eventuale ablazione parziale (AP) con residuo di tessuto tumorale. In caso di primo controllo orientativo per un’ablazione completa (AC), conoscendo l’elevata probabilità di progressione locale nelle RFA delle MTS epatiche, è stata rivalutata la zona di ablazione al controllo TC con mdc a un anno dal trattamento, al fine di verificare le AC mantenute e diagnosticare le recidive locali (RL). Quanto alla valutazione dell’utilità clinica, sono stati poi conteggiati i decessi nella popolazione in esame. Le possibili evoluzioni locali o cliniche della patologia sono state quindi considerate come: ñ nessuna evidenza di residuo/recidiva locale (AC) ñ evidenza di residuo locale di tessuto tumorale (AP) ñ evidenza di recidiva locale (RL) ñ decesso Sulla base di questi parametri, è stato possibile calcolare l’efficacia locale al primo controllo TC (AC versus AP) e a un anno dalla procedura (AC versus AP+RL), il time to progression (TTP) e le curve di sopravvivenza a medio termine. Anche sulla base di precedenti esperienze nella RFA delle MTS epatiche, sono stati analizzati quali possibili fattori prognostici di efficacia locale mantenuta a un anno le dimensioni delle lesioni (diametro medio e diametro soglia di 30 mm). 245 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:243-249 Vista la maggior rilevanza del conoscere l’impatto clinico della procedura, sono stati invece analizzati più fattori prognostici di sopravvivenza, considerando l’efficacia locale mantenuta della RFA uno di essi: ñ unicità o molteplicità delle lesioni al momento del trattamento ñ M0 o M1 alla diagnosi ñ assenza o presenza di MTS extraepatiche ñ dimensioni delle lesioni ñ efficacia locale mantenuta della RFA o trattamento fallito (TF) a un anno Analisi statistica Tutte le variabili sono state inserite in un foglio di lavoro di Microsoft ExcelTM (Microsoft, Inc., Redmond, WA). Alcuni dati (percentuali, medie, etc.) sono stati misurati mediante calcoli semplici. Per quelli statistici è stato utilizzato il programma SAS (Statistical Analysis System v. 8.2; SAS Institute, Cary, N.C., USA); in particolare, per stabilire eventuali correlazioni tra le variabili dimensionali e il risultato locale è stata applicata un’analisi univariata (mediante l’“unpaired t test” a due code per la comparazione tra medie e l’ “exact test” di Fisher per valutare la significatività di diametri “soglia”), mentre le curve di sopravvivenza (calcolate secondo il metodo di Kaplan-Meier) sono state stratificate per le variabili sopra descritte, calcolando la significatività delle differenze mediante analisi multivariata (“modello di Cox”). Risultati Complicanze La mortalità peri-procedurale è risultata nulla. Si sono verificati 9/87 eventi avversi complessivi (10%), solo 2 dei quali (2.3%) classificati come complicanze maggiori. Nel primo caso si è trattato di una sintomatologia algica protratta con dimostrazione di trombosi del ramo portale sinistro, mentre nel secondo caso si è sviluppata una sepsi da Serratia temporalmente correlata con la procedura. Efficacia locale L’AC al primo controllo TC è stata ottenuta nel 90% dei casi (78/87). Il 18% delle AC è recidivato durante il follow-up (5129 mesi, m 30), con TTP medio di 8 mesi. L’AC a un anno dalla RFA è stata mantenuta in 54 delle 73 lesioni valutabili per sufficiente lunghezza del follow-up (74%), essendo le altre 19 rappresentate da AP o da zone di ablazione con segni di progressione locale di malattia durante il follow-up (RL). Stratificando il risultato in base alle dimensioni delle MTS, la differenza tra il diametro medio delle AC a un anno (22 mm) e quello dei TF (30 mm) è risultata estremamente significativa (p =.0005) (fig. 1). Anche la soglia dei 30 mm ha raggiunto un’elevata significatività statistica come fattore prognostico per l’efficacia locale della RFA (p =.0062); infatti, la AC è stata raggiunta e mantenuta a un anno in 48/59 delle MTS con diametro <3 cm (81%) e solo in 6/14 (43%) di quelle con diametro >3 cm (fig. 2). Outcome In tutti i casi di TF, ma anche nella maggior parte delle AC mantenute, le pazienti sono state sottoposte a ulteriori terapie sistemiche. In particolare, le TF sono state seguite da chemioterapia sistemica con i farmaci ritenuti di volta in volta adatti alla singola paziente, associati a terapia ormonale in caso di positività recettoriale; nelle AC con espressione recettoriale, la terapia ormonale è stata comunque adottata, mentre solo in quelle con AC e negatività dei recettori la chemioterapia è stata dilazionata fino all’eventuale ripresa di malattia. La sopravvivenza globale del gruppo di 45 pazienti incluse nel nostro studio a 1, 2 e 3 anni è stata rispettivamente del 90, 58 e 44% (fig. 3); i decessi sono stati quasi costantemente associati a progressione sistemica (epatica ed extraepatica) del CM metastatico, se non per 3/29 (10%) pazienti, in cui la progressione è stata esclusivamente epatica. Procedendo alla stratificazione delle curve di sopravvivenza per le variabili descritte nei materiali e metodi, nessuno dei suddetti possibili fattori prognostici di sopravvivenza (unicità della MTS al momento del trattamento, M0 alla diagnosi, etc.) ha raggiunto la significatività statistica; in particolare, neanche l’efficacia locale della RFA mantenuta a un anno dal trattamento ha mostrato una correlazione predittiva della sopravvivenza a tre anni delle pazienti (p =.3824; HR 0.578, CI95% 0.169-1.976) (fig. 4). Discussione Il CM è la seconda causa di morte per le donne nei paesi occidentali (6), con elevata tendenza alla disseminazione a distanza; le principali sedi di MTS sono ossa, fegato e polmoni. Più del 50% delle donne affette da CM sviluppa MTS epatiche, ma solo il 5%–18% delle pazienti ha una malattia metastatica confinata al fegato (7); infatti, anche nella nostra casistica, pur selezionata per il trattamento della malattia epatica, quasi la metà delle pazienti aveva MTS extraepatiche. Se non sottoposte a nessun trattamento, la sopravvivenza mediana di queste pazienti è di soli 4-8 mesi (6); in generale, quindi, il CM metastatico deve essere trattato e chemioterapia e/o ormonoterapia sistemica rappresentano la terapia standard (8); anche così, nelle serie storiche, la sopravvivenza raramente supera i 2 anni (9). Anche per la tossicità della chemioterapia, è sempre più frequente che pazienti con malattia epatica limitata (all’esordio o residua dopo terapia standard), ed eventuale malattia extraepatica controllata, necessitino di un trattamento locale da integrare nell’ambito della più ampia strategia terapeutica, con un approccio cosiddetto multimodale; la maggior parte delle pazienti, però, non viene candidata a un intervento chirurgico per espressa scelta dell’oncologo o della paziente stessa, basata sulle condizioni generali, l’età, lo stato avanzato della malattia o altre controindicazioni. Per questo motivo, negli ultimi anni si è sviluppato un crescente interesse per le terapie ablative, con l’obiettivo di gestire una determinata fase della malattia e la speranza di migliorare la prognosi delle pazienti. Nella nostra serie le indicazioni alla RFA epatica hanno ricalcato quanto detto finora; ciò nonostante ci è parso utile quantificare i risultati finora ottenuti, per chiarire i rischi e l’utilità di tale terapia. In analogia ad altri studi precedenti, abbiamo pertanto valutato dapprima le complicanze e l’efficacia locale 246 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:243-249 Fig. 1 Diametro medio (+/- DS) delle MTS con AC mantenuta a un anno dalla RFA (22 +/- 7.4 mm) confrontato con il diametro medio di quelle in cui il trattamento è fallito (per AP o RL) (30 +/- 10 mm): all’analisi statistica la differenza risulta estremamente significativa (p =.0005; HR 7.965, CI95% 3.646-12.284). Fig. 2 La soglia dei 30 mm è statisticamente molto significativa (p =.0062; HR 1.535, CI95% 1.034-2.279) come fattore prognostico per l’efficacia locale della RFA: le AC mantenute a un anno raggiungono l’81% per le MTS con diametro <3 cm, mentre sono solo il 43% in quelle con diametro >3 cm. 247 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:243-249 della RFA, intesa come AC evidenziata alla TC con mdc al primo controllo e a medio termine. L’incidenza delle complicanze maggiori (2.3%) è quella prevista nelle ampie casistiche già pubblicate sulle RFA delle MTS epatiche (8). Quanto all’efficacia locale, i nostri risultati al primo controllo (90% di AC) sono sostanzialmente in linea con quelli presenti nei non numerosi studi in letteratura, nei quali l’AC varia dal 79% al 96% (8, 10-14). Quanto all’efficacia locale (AC mantenuta) a un anno, non è stato possibile ritrovare risultati specifici pubblicati confrontabili con il nostro dato (74%). Nella ricerca di fattori che influenzino la medesima efficacia locale, in letteratura vengono elencate diverse variabili, tra cui le dimensioni del tumore e la vicinanza ai rami di maggior calibro delle vene epatiche e della vena porta (15). Anche alla nostra analisi statistica, le dimensioni hanno raggiunto la significatività come fattore predittivo dell’efficacia locale; in particolare, la soglia dei 30 mm ricalca quella già dimostratasi discriminante per il raggiungimento della AC di altre MTS epatiche (es. da CRC) [16], essendo legata alle potenzialità della apparecchiature utilizzate (zona di ablazione massima 5 cm, includente 1 cm di margine di sicurezza). Trattando dell’impatto della RFA delle MTS epatiche da CM sulla sopravvivenza delle pazienti, i nostri risultati si attestano tra quelli migliori riportati in letteratura per quanto concerne la sopravvivenza a 1 anno (90% nella nostra serie, dal 64 al 92% in altre casistiche) (8, 11), mentre per quella a 3 anni ci avviciniamo ai dati peggiori (43.9%, laddove in letteratura si varia dal 41.6 al 70%) (4, 14). Al di là del ridotto significato per la scarsa numerosità del campione, questi risultati sono più difficili da interpretare: data la non significatività statistica della AC mantenuta come fattore predittivo di sopravvivenza a 3 Fig. 3 Curva di sopravvivenza complessiva fino a 3 anni dalla RFA. Tabella 1 Sinossi delle principali serie chirurgiche sulla metastasectomia e casistiche di RFA in pazienti affette da MTS epatiche da CM PRIMO AUTORE N°PAZIENTI RESECATE MORTALITA’ (%) COMPLICANZE (%) Pocard17 49 0 12 Selzner18 17 6 6 Elias19 54 0 13 Ercolani20 21 0 21 Weitz21 29 0 33 Adam22 85 0 22 23 20 4 39 Kollmar24 27 0 0 Thelen25 39 0 13 Hoffman26 41 0 44 PRIMO AUTORE N°PAZIENTI RFA MORTALITA’ (%) Livraghi10 24 0 0 Lawes4 19 0 0 Sofocleous14 12 0 0 Meloni8 52 0 4 Carrafiello15 13 0 0 Reddy COMPLICANZE MAGGIORI (%) 248 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:243-249 Fig. 4 Curve di sopravvivenza stratificate per AC mantenuta a un anno versus TF: l’efficacia locale della RFA non mostra correlazione statistica con una maggior sopravvivenza a tre anni (p =n.s.). anni, ci pare comunque che la sopravvivenza possa dipendere più da altre variabili, come l’inefficacia della terapia sistemica e la conseguente progressione tumorale generalizzata. Come illustrato nei Risultati, infatti, la grande maggioranza delle pazienti è deceduta con progressione di malattia anche extraepatica, dopo essere state pressochè costantemente sottoposte a terapie sistemiche fino alla dimostrazione della loro incapacità di arrestare la malattia (o alla loro interruzione per eccessiva tossicità). Rimanendo quindi alla RFA epatica come terapia locale utile a gestire una determinata fase della malattia metastatica, possiamo quindi concludere con due ulteriori considerazioni. La prima riguarda la RFA come alternativa alla resezione: in primis, come già detto, una buona parte delle pazienti non è candidabile all’intervento chirurgico; inoltre, da un confronto con le maggiori serie chirurgiche, emerge che la RFA epatica presenta un minor tasso di mortalità periprocedurale e di complicanze (tabella 1); infine, rispetto alla chirurgia, la RFA offre indubbi vantaggi per quanto riguarda tempi di ospedalizzazione e costi. D’altra parte, proprio per la scarsa efficacia locale della RFA nelle MTS con diametro superiore a 3 cm, la chirurgia rimane preferibile nelle lesioni più grandi. Quanto alle indicazioni cliniche della stessa metastasectomia, una recente revisione della letteratura tenta di formulare raccomandazioni in pazienti selezionate (pazienti giovani, basso rischio operatorio, lungo intervallo tra intervento chirurgico per CM e riscontro di metastasi epatiche, positività dei recettori ormonali del tumore primitivo, assenza di malattia extraepatica, dimostrata regressione o stabilità di malattia con terapie sistemiche prima della resezione, indici di funzionalità epatica normali, intervento con intento di completa resezione delle MTS epatiche); per i molti limiti dei pochi studi pubblicati, comunque, anche l’impatto della chirurgia sulla sopravvivenza viene prospettato solo in termini potenziali [3]. L’ultima considerazione è che, anche alla luce della mancata correlazione tra efficacia locale e sopravvivenza, la RFA epatica non dovrebbe essere utilizzata come unico trattamento della malattia metastatica da CM; per incidere positivamente sulla sopravvivenza a medio termine, infatti, è necessario basarsi su un approccio terapeutico sistemico. Tuttavia, essa può essere proposta in alternativa alla chirurgia nell’ambito di una strategia multimodale, essendo sicura ed efficace nell’ottenere il controllo locale della malattia limitata, specie quando sia necessario “alleggerire” la terapia sistemica, anche per migliorare la qualità di vita delle pazienti. Conclusioni La RFA delle MTS epatiche da carcinoma della mammella non è determinante per la sopravvivenza a medio termine delle pazienti, ma può essere utilizzata come trattamento locale integrato nel contesto di una strategia terapeutica multimodale della malattia; inoltre, date la minore invasività e l’elevata efficacia nelle lesioni fino a 30 mm, essa dovrebbe essere preferita alla chirurgia in caso di MTS epatiche mono o paucinodulari di piccole dimensioni. Per citare questo articolo: Veltri A, Gazzera C, Barrera M, Busso M, Solitro F, Filippini C, Garetto I (2013) Radiofrequency thermal ablation (RFA) of hepatic metastases (METS) from breast cancer (BC): an adjunctive tool in the multimodal treatment of advanced disease . Radiol med [Epub ahead of publication]; DOI: 10.1007/s11547-013-0354-z La Radiologia Medica http://link.springer.com/journal/11547 BIBLIOGRAFIA 1. Kyriakides S, Costa A, Winer EP, Cardoso F (2010). 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Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:250-259 RADIOLOGIA TORACICA xxx Pattern TC ad alta risoluzione tipico e atipico nella sarcoidosi polmonare: relazione con l’evoluzione clinica e la risposta alla terapia R. Polverosi1, R. Russo1,2, A. Coran2, C. Giraudo2, A. Battista3, C. Agostini3, F. Pomerri2,4 1 UOC Radiologia, Ospedale S. Donà di Piave, Via N. Sauro, 30027 S. Donà di Piave (VE), Italia Istituto di Radiologia, Dipartimento di Medicina, Università di Padova, Via N. Giustiniani, 35128 Padova, Italia 3 Istituto di Ematologia ed Immunologia Clinica, Dipartimento di Medicina, Università di Padova, Via N. Giustiniani, 35128 Padova, Italia 4 Radiologia Oncologica, IOV, IRCSS, Via Gattamelata, 35128 Padova, Italia 2 Indirizzo Autore: R. Polverosi, Tel.: +39-0421-227605, Fax: +39-0421-227607, e-mail: [email protected] Ricevuto: 30 Agosto 2012 / Accettato: 28 Maggio 2013 Riassunto Introduzione Obiettivi. Valutare l’importanza dell’utilizzo della tomografia computerizzata del torace ad alta risoluzione (HRCT) nel definire pattern ed estensione della sarcoidosi e nello stabilire l’iter clinico-terapeutico. La sarcoidosi è una malattia granulomatosa multisistemica, ad eziologia sconosciuta. La malattia è ubiquitaria e interessa entrambi i sessi, di qualsiasi razza ed età, sia pure con una lieve prevalenza nelle donne di colore. Normalmente colpisce adulti con meno di 40 anni, con un picco di incidenza tra i 20 ed i 40 anni. In alcuni paesi è stato documentato un secondo picco nelle donne oltre i 50 anni d’età. In Italia si stimano circa 10 casi ogni 100.000 abitanti [1]. Il coinvolgimento toracico con adenomegalie ilari è la manifestazione più frequente, seguita da alterazioni oculari e cutanee, senza poter escludere lesioni a carico di altri organi (fegato, milza, ghiandole salivari, cuore, sistema nervoso, muscoli, osso). La diagnosi si pone quando il quadro clinico- radiologico è supportato dall’evidenza istologica di cellule granulomatose epitelioidi abitualmente senza necrosi caseosa. Il decorso e la prognosi possono essere correlati con l’esordio e con l’estensione della patologia. Un esordio acuto solo con eritema nodoso o una linfoadenopatia ilare bilaterale asintomantica, possono essere predittivi di un andamento auto-limitante; mentre un esordio insidioso, specialmente con lesioni extrapolmonari multiple, può essere seguito da un’inesorabile progressiva fibrosi sia polmonare che di altri organi. La mortalità complessiva da sarcoidosi varia dall’1 al 5% [2,3,4]. L’imaging ha il ruolo di confermare il sospetto clinico. La radiografia del torace è normalmente il primo esame effettuato in questi pazienti, ma l’HRCT ha una sensibilità pari al 95% e una specificità del 99% e permette di identificare precocemente alterazioni parenchimali che talvolta non sono visibili con la radiografia convenzionale [5,6]. Infatti, nel 15% dei pazienti sintomatici la radiografia del torace può essere del tutto negativa, a fronte di un quadro TC alterato [7]. Classicamente la sarcoidosi viene suddivisa in stadi basati sul riconoscimento di alterazioni interstiziali e adenopatie ilo-mediastiniche, da sole o in associazione, rico- Materiali e metodi. E’ stata eseguita un’analisi retrospettiva di 56 pazienti affetti da sarcoidosi polmonare. Sono stati individuati due gruppi: 39 pazienti con pattern radiologico HRCT tipico e 17 con quadro radiologico atipico. Criteri d’inclusione sono stati la presenza di documentazione radiologica (HRCT) di malattia, un follow up clinico-radiologico di un anno e l’inizio dell’eventuale terapia entro un mese dalla diagnosi. Risultati. Nei soggetti non in terapia, il confronto tra i due gruppi ha dimostrato che nei soggetti con pattern tipico il quadro radiologico è rimasto stabile, mentre un peggioramento radiologico si è osservato in più del 70% dei casi con aspetti atipici. La terapia è risultata più efficace nei pazienti con aspetti radiologici tipici. In entrambi i gruppi sono state documentate recidive, soprattutto nei tipici. Un paziente non in trattamento ha presentato peggioramento clinico. Rivalutando il quadro HRCT entro un anno dall’esordio non è emersa correlazione tra peggioramento clinico e modificazioni radiologiche. Conclusioni. I dati emersi suggeriscono che la persistenza del processo infiammatorio piuttosto che il quadro radiologico all’esordio rappresenti un fattore prognostico di recidiva. Parole chiave: Sarcoidosi, sarcoidosi nodulare, HRCT 251 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:250-259 noscibili con il radiogramma del torace (stadio 0: torace normale; stadio I: adenopatie ilari bilaterali, che possono essere accompagnate da adenopatia paratracheale senza alterazioni interstiziali; stadio II: adenopatie ilari bilaterali accompagnate da interstiziopatia; stadio III: interstiziopatia parenchimale senza adenopatie ilari; stadio IV: fibrosi con evidenza di polmone ad alveare) [1,7]. L’indicazione alla terapia è molto controversa. Infatti, remissioni spontanee si verificano in circa i 2/3 dei pazienti, mentre il decorso è cronico e progressivo in 10-30% dei pazienti [4]. Per queste considerazioni generalmente nei pazienti in stadio I all’esordio la terapia non è indicata mentre, nei pazienti in stadio II e III, va iniziata solo in caso di grave compromissione funzionale di uno o più organi all’esordio e/o in caso di progressione; anche nei pazienti in stadio II o III asintomatici è possibile seguire il paziente senza terapia, solo attraverso un monitoraggio clinico serrato [8]. Scopo di questo studio è valutare se il pattern radiologico di presentazione della sarcoidosi polmonare possa rappresentare un indice prognostico di evoluzione clinica sia nei pazienti che ricevono una terapia specifica all’esordio come pure in soggetti che non la ricevono. In particolare, lo studio si propone di valutare l’incidenza delle forme tipiche rispetto a quelle atipiche e le possibili differenze nell’evoluzione clinica/radiologica dei due gruppi e se la terapia farmacologica possa modificare l’evoluzione della malattia in base al tipo di pattern radiologico. Materiali e metodi E’ stata retrospettivamente analizzata la documentazione clinico-radiologica di circa 350 soggetti con diagnosi documentata di sarcoidosi con coinvolgimento polmonare, valutati presso l’Istituto di Ematologia ed Immunologia Clinica tra il 1997 e il 2010. Per essere arruolati nello studio i pazienti dovevano essere stati sottoposti ad HRCT sia in fase di diagnosi o di fase attiva di malattia, confermata da esame istologico o immunofenotipico su lavaggio bronco- alveolare (BAL), sia dalla presenza di follow up clinico-radiologico per un anno (stesso periodo per i pazienti in terapia e per quelli non trattai) e, nei pazienti che avevano ricevuto una terapia, l’inizio della stessa entro un mese dalla diagnosi. Sono stati esclusi i pazienti con quadro HRCT di fibrosi per l’irreversibilità del quadro radiologico. Poiché la maggior parte dei soggetti nella nostra casistica avevano presentato un miglioramento clinico e radiologico nella prima fase del follow-up, solo i pochi casi nei quali vi è stata recidiva o peggioramento dei sintomi clinici è stata eseguita una rivalutazione radiologica a distanza. Abbiamo quindi valutato l’evoluzione del quadro clinico-sintomatologico entro il primo anno di follow-up in tutti i pazienti che avevano presentato un miglioramento o stabilità al controllo. Nei pazienti con recidiva clinica nei quali era disponibile rivalutazione radiologica abbiamo valutato la correlazione tra peggioramento clinico e quadro radiologico. Sulla base dei criteri prestabiliti sono stati inclusi nello studio 56 pazienti (23 maschi e 33 femmine; età media 49.8 anni, range 29-72, tutti europei). In 50 pazienti la diagnosi di sarcoidosi era stata confermata istologicamente, mentre in 6 casi era stato eseguito solo il lavaggio bronco-alveolare. Gli esami HRCT revisionati sono stati eseguiti in diversi centri radiologici, sia con tecnica standard (scansioni di 1 mm. di spessore con intervallo di 10 mm) che con quella volumetrica (con ricostruzione delle immagini con spessore che varia da 0-6 a 1.5 mm, utilizzando un kernel ad alta risoluzione). Sulla base del pattern radiologico documentato con l’HRCT, i pazienti sono stati suddivisi in soggetti affetti da sarcoidosi polmonare tipica o atipica [9] (Tabella 1). Nel caso di sarcoidosi tipica, i quadri HRCT presi in considerazione sono stati: 1. pattern solo linfonodale (con coinvolgimento bilaterale simmetrico di linfonodi ilari e/o mediastinici prevalentemente paratracheali a destra); 2. presenza di alterazioni parenchimali reticolo-nodulari: micronoduli (diametro 1-4 mm), con distribuzione perilinfatica, simmetrica e prevalentemente coinvolgente i lobi superiori e medi, con possibile confluenza dei noduli. 3. presenza di vetro smerigliato associato al quadro retico- Tabella 1 Caratteristiche HRCT tipiche e atipiche di sarcoidosi polmonare in 56 pazienti Caratteristiche tipiche (39 pazienti) Linfoadenopatie: ilare, bilaterale, simmetrica e mediastinica (paratracheale destra) (quando presenti) Noduli: micronoduli (1-4 mm, ben definiti, bilaterali), anche confluenti Distribuzione perilinfatica: peribroncovascolare, subpleurica, setti interlobulari Ispessimento dei setti interlobulari Predominanza ai lobi superiori e medi Vetro smerigliato associato al quadro reticolo-nodulare. Caratteristiche atipiche (17 pazienti) Masse o noduli solitari (1-4 cm, irregolari, ben delimitate, multiple e bilaterali), anche con broncogramma aereo Segno della galassia Linfoadenopatie: come nella forma tipica 252 lo-nodulare. Nel caso di sarcoidosi atipica, il quadro HRCT preso in considerazione è stato la presenza di noduli o masse (definite alle immagini TC come opacità irregolari ben delimitate, di 1-4 cm di diametro), associate o meno a linfoadenopatia. Queste lesioni sono tipicamente multiple e bilaterali e possono essere localizzate nelle regioni peri- ilari o periferiche, talvolta associate a broncogramma aereo. Alla periferia di tali masse spesso sono visibili piccoli noduli satelliti che danno origine al caratteristico aspetto definito “segno della galassia” [10]. I due patterns principali sono stati quindi ulteriormente suddivisi in sottotipi: in 4 sottotipi per quello tipico e 2 per quello atipico (Tabella 2) Nel pattern tipico vengono considerate alterazioni di tipo: ñ linfonodale (LN) ñ linfonodale + reticolo-nodulare (LN+RN) ñ linfonodale + reticolo-nodulare + vetro smerigliato (LN+RN+ VS) ñ reticolo-nodulare + vetro smerigliato (RN+VS) Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:250-259 Nel pattern atipico vengono considerate alterazioni di tipo: ñ linfonodale + nodulare (LN+ND) ñ nodulare (ND) L’evoluzione del quadro radiologico è stato valutata mediante confronto tra l’HRCT eseguita alla diagnosi ed una HRCT eseguita entro un anno. Sulla base di tale confronto, è stato definito il miglioramento/risoluzione del quadro, la stabilità o il peggioramento. I due gruppi di pazienti affetti da sarcoidosi con quadro radiologico tipico ed atipico sono stati a loro volta suddivisi tra soggetti che avevano ricevuto terapia (steroidi, antimalarici o immunosoppressori) e soggetti non trattati. Si è quindi presa in considerazione l’evoluzione della sintomatologia nel corso del periodo di osservazione nei pazienti trattati ed in quelli non trattati, anche in questo caso valutando il miglioramento/risoluzione dei sintomi, la stabilità o il peggioramento. Sono stati considerati sia sintomi polmonari che sintomatologia extrapolmonare o sintomi associati (eritema nodoso, uveite, calo di peso, artralgie, febbre). Per le correlazioni statistiche è stato usato il test di Fisher. Fig. 1 Pattern radiologico nei pazienti inclusi nello studio. Tabella 2 Pattern HRCT di sarcoidosi tipica e atipica dei pazienti esaminati Pattern tipico (39 pazienti) Linfonodale (LN) Linfonodale + reticolo-nodulare (LN+RN) Linfonodale + reticolo-nodulare + vetro smerigliato (LN+RN+ VS) Rreticolo-nodulare + vetro smerigliato (RN+VS) Pattern atipico (17 pazienti) Linfonodale + nodulare (LN+ND) Nodulare (ND) 253 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:250-259 Tabella 3 Caratteristiche dei pazienti SARCOIDOSI TIPICA ATIPICA TERAPIA NESSUNA TERAPIA TERAPIA NESSUNA TERAPIA Numero di pazienti 31 8 13 4 Età media (anni) 52 44 50 41 11/20 6/2 4/9 2/2 27/4 8/2 12/1 2/2 Sintomi polmonari 5 2 2 0 Sintomi polmonari+extrapolm/sist 6 1 4 0 18 5 5 4 2 0 2 0 Sesso M/F Diagnosi su biopsia /BAL Sintomi extrapolmonari e/o sistemici Asintomatici Tabella 4 Evoluzione clinica nei pazienti trattati Risoluzione sintomatologia Persistenza sintomatologia Tipici 25 (80.6%) 6 (19.4%) Atipici 10 (77%) 3 (3%) Tabella 5 Evoluzione radiologica nei pazienti trattati Regressione Stabilità Progressione Tipici 16 (36.4%) 11 (25%) 4 (9.1%) Atipici 3 (6.8%) 7 (15.9%) 3 (6.8%) Regressione Stabilità Progressione Tipici 3 (25%) 5 (41.67%) 0% Atipici 1 (33%) 0% 3 (25%) Tabella 6 Evoluzione radiologica nei pazienti non trattati Risultati ñ LN+RN+VS in 5 pazienti (12,8%); ñ RN+VS in 1 paziente (2,6%). Sulla base dei criteri prestabiliti sono stati inclusi nello studio 56 pazienti (23 maschi e 33 femmine; età media 49.8 anni, range 29-72, tutti europei). Di questi, 39 (69.6%) presentavano all’esordio un quadro radiologico di sarcoidosi polmonare tipica, mentre in 17 (30.3%) era presente un pattern atipico. Considerando i sottotipi, i 2 gruppi sono stati così suddivisi (Fig 1): Pattern tipico con le seguenti alterazioni: LN in 11 pazienti (28,2%); ñ LN+RN in 22 pazienti (56,4%); Pattern atipico con le seguenti alterazioni: ñ LN+ND in 16 pazienti (94,1%); ñ ND in 1 paziente (5,9 %). Tra i 39 pazienti affetti da sarcoidosi con pattern radiologico tipico, 7 casi (17.9%) erano esorditi con sintomi polmonari (dispnea, dolore toracico, tosse), 23 (58.9%) con manifestazioni extrapolmonari/sistemiche (eritema nodoso, uveite, calo di peso, artralgie, febbre), mentre in 7 pazienti (17.9%) erano 254 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:250-259 presenti sintomi sia polmonari che extrapolmonari. 2 pazienti (5.1%) non presentavano sintomi e il sospetto diagnostico era emerso per il riscontro di allargamento mediastinico ad una radiografia convenzionale del torace eseguita in assenza di sintomi tipici. Nel gruppo di pazienti affetti da sarcoidosi con pattern radiologico atipico (17 pazienti), 2 pazienti (11.7%) erano esorditi con sintomi polmonari, 9 pazienti (52.9%) con manifestazioni extrapolmonari/sistemiche, 4 pazienti (23.5%) con sintomi sia polmonari che extrapolmonari, mentre 2 pazienti (11.7%) erano asintomatici. Le caratteristiche cliniche delle popolazioni studiate sono riassunte nella tabella 3. Nel complesso 44 pazienti su 56 (78.5%) hanno ricevuto uno schema di terapia specifico (corticosteroidi, idrossiclorochina o clorochina, methotrexate, singolarmente o in associazione) Tra i pazienti con quadro radiologico tipico, 31 (79.4%) avevano ricevuto terapia specifica, una percentuale simile a quella dei 13 pazienti trattati nel gruppo con pattern atipico (76.4%). 12 pazienti (8 tipici e 4 atipici) non avevano ricevuto alcuna terapia ed erano stati sottoposti unicamente a follow-up clinico-radiologico. Dall’analisi della casistica è emerso come la scelta del diverso trattamento farmacologico sia stata guidata dalla sintomatologia riferita dai pazienti e dall’interessamento di organi specifici. Dal punto di vista della evoluzione clinica in 10 (83.3%) dei 12 pazienti che non avevano ricevuto trattamento specifico, la sintomatologia è regredita spontaneamente, sia per quanto riguarda la forma tipica che la forma atipica. Solo due pazienti, affetti da sarcoidosi tipica, i quali all’esordio lamentavano tosse stizzosa, hanno riferito un miglioramento della sintoma- tologia, ma non una completa regressione. Nel gruppo di pazienti con pattern tipico trattati con terapia specifica, 25 pazienti (80.6%) hanno dimostrato risoluzione della sintomatologia mentre in 6 casi (19.4%) veniva riferito scarso beneficio dalla terapia. In 2 casi (6.4%) persistevano sintomi respiratori, sintomi sistemici in altri 2 pazienti, entrambi i sintomi in 2 pazienti. Per quanto riguarda i 13 pazienti con sarcoidosi atipica che avevano ricevuto terapia, in 10 casi vi è stata regressione piena dei sintomi (77%) mentre in 3 (23%) casi il sintomo polmonare (dispnea) non ha mostrato beneficio (Tabella 4). Per quanto concerne l’evoluzione del quadro radiologico, sono state confrontate le immagini HRCT eseguite in fase attiva di malattia con quelle eseguite nel follow-up sia nei pazienti trattati sia in quelli non trattati. Nei 44 pazienti sottoposti a trattamento (78.6%), 19 (43.2%) hanno dimostrato un miglioramento del quadro HRCT (16 con sarcoidosi tipica e 3 con sarcoidosi atipica) (Figura 2), mentre un quadro di stabilità è stato rilevato in 18 pazienti (40.9%, 11 tipiche e 7 atipiche) ed un quadro in evoluzione peggiorativa in 7 pazienti (15.9%, 4 tipiche e 3 atipiche) (Tabella 5). In questo gruppo non è stata rilevata alcuna significatività statistica tra il gruppo dei pazienti tipici e quello degli atipici in termini di evoluzione radiologica (p=ns). Nel gruppo di 12 pazienti che non avevano ricevuto alcuna terapia specifica (21.4%) vi è stato un miglioramento del quadro radiologico in 4 (33.3%, 3 tipiche e 1 atipica) (Figura 3), un quadro stabile in 5 (41.6%, tutti con sarcoidosi tipica), mentre un peggioramento è stato osservato in 3 pazienti (25%) tutti con forma atipica (Figura 4) (Tabella 6). In questo gruppo, se si considera il numero di pazienti con forma tipica che hanno a c b d Fig. 2 I HRCT – Grossi addensamenti parenchimali con broncogramma aereo in entrambi i lobi superiori (a, b), anche con il segno della galassia (freccia) e piccoli noduli con distribuzione perilinfatica (testa di freccia). II HRCT dopo un anno di terapia con idrossiclorochina e steroide e miglioramento della dispnea: marcata riduzione degli addensamenti, ma evoluzione verso la fibrosi nella stessa sede (c,d), con bronchiettasie da trazione e retrazione delle scissure.. 255 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:250-259 a c b d Fig. 3 – I HRCT – Paziente asintomatico. Sarcoidosi atipica con pattern nodulare, con noduli di 5-10 mm nel lobo superiore destro (a) e inferiore omolaterale (b). II HRCT 1 anno dopo, in assenza di terapia: marcata riduzione delle dimensione dei noduli (c,d). dimostrato miglioramento o stabilità, e lo si confronta con il gruppo analogo nel gruppo delle forme atipiche, la differenza presenta significatività statistica (p=0.0182). Quando è stata confrontata l’evoluzione radiologica tra pazienti che avevano ricevuto una terapia a confronto di quelli che non erano stati trattati, si è osservato solo un trend a favore di una peggiore evoluzione dei pazienti atipici non trattati vs quelli trattati (p= ns). E’ stata quindi analizzata la concordanza tra evoluzione del quadro HRCT e sintomatologia. Dei 25 pazienti con quadro radiologico tipico all’esordio che hanno dimostrato un miglioramento dei sintomi, 21 (84%) hanno dimostrato un miglioramento o stabilità del quadro radiologico di controllo mentre in 4 casi il quadro HRCT è peggiorato. Per quanto riguarda le forme atipiche, nei 10 pazienti che avevano riferito regressione della sintomatologia, 7 (70%) hanno dimostrato un quadro radiologico di controllo migliorato o stabile mentre 3 sono peggiorati. Esaminando i pazienti non trattati, in tutti i 9 pazienti con forma tipica e atipica nei quali vi era stata persistenza della sintomatologia, il quadro HRCT si era dimostrato stabile o migliorato. Si è poi analizzato nel dettaglio, nel sottogruppo di pazienti con pattern radiologico tipico di sarcoidosi polmonare, l’andamento dei diversi patterns radiologici al fine di valutare se vi fosse una correlazione con la prognosi . Degli 11 pazienti con pattern radiologico solo linfonodale, 10 (90.9%) hanno presentato un miglioramento o una stabilità (di questi 8 avevano ricevuto una terapia specifica e 2 casi invece non erano stati trattati). 1 tra i soggetti trattati (11.1%), avevano presentato un peggioramento radiologico al controllo a distanza, mentre nessun paziente del gruppo non trattato aveva dimostrato progressione. Un quadro analogo hanno presentato i soggetti con pattern linfonodale e reticolo-nodulare. Infatti, in questo gruppo, 19 pazienti (86.4%) hanno dimostrato un miglioramento o stabilità del quadro radiologico, mentre in 3 casi (13.6%), tutti trattati, è stata rilevata progressione (Figura 5) (Tabella 7). In 6 pazienti è stata documentata la presenza di vetro smerigliato alla diagnosi (75%). In 4 di questi (tutti trattati) il quadro era regredito al controllo a distanza. Nei 2 pazienti non trattati il controllo HRCT si è dimostrato stabile. 256 Tra i soggetti trattati con pattern radiologico tipico alla diagnosi, 9 casi (29%) hanno dimostrato una recidiva di sintomatologia polmonare associata o meno a sintomi extrapolmonari. In questo gruppo di pazienti non vi sono state sostanziali variazioni all’ HRCT rispetto al precedente controllo. 1 solo caso nel gruppo dei pazienti che non avevano ricevuto terapia specifica all’esordio ha dimostrato ripresa della sintomatologia associata a peggioramento radiologico. Tra le forme atipiche, nei pazienti trattati, si è osservata riaccensione della sintomatologia extrapolmonare in 2 casi (15.4%) senza modifica radiologica, mentre nessuno dei pazienti del gruppo atipico non trattato ha dimostrato progressione o ripresa della sintomatologia. Discussione Il quadro radiologico della sarcoidosi è ben definito nella maggior parte dei casi e comprende linfoadenopatie ilari bilaterali, con alterazioni del parenchima polmonare, in associazione o singolarmente. Al riguardo, alterazioni caratterizzate dalla presenza di piccoli noduli distribuiti lungo il decorso dei vasi linfatici nei setti interlobulari (distribuzione perilinfatica), a volte lievemente ispessiti, rappresentano un quadro radiologico tipico di sarcoidosi [11]. Tuttavia, in circa il 25- Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:250-259 30% dei casi, il quadro radiologico toracico presenta aspetti atipici, in comune ad altre patologie come la tubercolosi, la pneumoconiosi e forme neoplastiche, rendendo pertanto difficoltosa l’interpretazione diagnostica [12]. Precedenti studi hanno valutato il significato prognostico delle diverse tipologie di manifestazioni radiologiche polmonari della sarcoidosi [13,14]. In particolare, il riscontro di vetro smerigliato, noduli e ispessimento dei setti interlobulari, rappresenta un quadro potenzialmente reversibile, al contrario del polmone ad alveare con distorsione dell’architettura polmonare. Non è noto se l’evoluzione di questi quadri radiologici tipici ed atipici sia influenzata della terapia specifica della sarcoidosi e se alcuni pattern possano essere importanti nella decisione di intraprendere o meno una terapia immunosoppressiva. Infatti, attualmente, più spesso la scelta del trattamento iniziale è indipendente dalla presentazione radiologica e viene stabilito sulla base di altri criteri quali la sintomatologia e l’interessamento di altri organi/apparati [15,16,17,18,19]. Le manifestazioni atipiche riscontrate nel gruppo di pazienti da noi valutato sono rappresentate da noduli, masse o addensamenti parenchimali, tutte manifestazioni che sono considerate potenzialmente reversibili con la terapia. I noduli polmonari con diametro compreso tra 1 e 4 cm sono presenti nel 1525% dei pazienti [9,10]. I risultati principali che emergono dal nostro studio dimostrano la presenza di un quadro radiologico a c b Fig. 4 I HRCT – Paziente asintomatico. Noduli di 2 e 5 mm in entrambi i lobi superiori (a, frecce). Minimo ispessimento nodulare dei setti nel segmento apicale del lobo superiore destro e noduli lungo le scissure nei lobi superiori bilateralmente (b, freccia). Numerosi linfonodi sono riconoscibili in sede paratracheale destra e nella finestra aorto-polmonare (teste di freccia). II HRCT un anno dopo, in assenza di terapia. Comparsa di un altro nodo nel lobo superiore destro (c, freccia) e aumento del pattern nodulare perilinfatico in sede apicale destra. d 257 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:250-259 Fig. 5 I HRCT. Paziente con dispnea e tosse secca. Pattern tipico con noduli perilinfatici nei lobi superiori, tendenti alla confluenza in sede parailare sinistra (a,b). Numerose adenopatie mediastiniche bilaterali (frecce). II HRCT, 2 anni dopo in terapia con steroidi e persistenza della sintomatologia. Marcato aumento del pattern nodulare (c) con iniziale riduzione di volume del lobo superiore destro (d). Tabella 7 Evoluzione dei pattern radiologici tipici in base alla terapia TOTALE TRATTATI NON TRATTATI LN 11 Migliorato 3 2 1 Stabile 7 6 1 Peggiorato 1 1 0 RN + LN 22 Migliorato 12 10 2 Stabile 7 5 2 peggiorato 3 3 0 RN + GG +/-LN 6 Migliorato/risolto 4 4 0 Stabile 2 0 2 258 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:250-259 atipico nel 30% circa dei pazienti affetti da sarcoidosi polmonare, quindi in accordo con la letteratura [9]. Sia nei pazienti con HRCT tipica che atipica la terapia è risultata efficace nel controllare la sintomatologia sistemica in circa l’80% dei casi. Questo sembra essere avvalorato anche dallo studio di Fazzi e coll. del 2003, in cui venivano usati corticosteroidi in associazione o meno ad altri farmaci, tipo metatrexate o clorochina, qualora fossero presenti sintomi specifici [16]. La presenza di un quadro clinico che renda necessaria terapia specifica rappresenta un fattore di rischio per recidiva di maggior importanza rispetto al quadro radiologico d’esordio. Se analizziamo l’efficacia della terapia sull’evoluzione radiologica emerge come la terapia immunosoppressiva sia risultata più efficace nei casi tipici, determinandone il miglioramento in più del 50% dei casi contro il 20% dei casi atipici, nei quali nella maggior parte dei casi si è ottenuta solo una stabilità. Altro dato d’interesse, pur nella limitatezza della sua interpretazione legata al numero di casi, è rappresentato dai soggetti che non avevano ricevuto trattamento immunosoppressivo, nei quali il quadro radiologico è rimasto perlomeno stabile nella maggior parte dei casi. Al contrario, più del 70% dei pazienti con aspetti atipici all’esordio ha dimostrato peggioramento radiologico in assenza di trattamento. Questo risultato potrebbe suggerire che intraprendere una terapia specifica nei pazienti con pattern radiologico atipico, indipendentemente dalla sintomatologia clinica riferita dal paziente e anche in assenza di coinvolgimento di altri organi/ apparati, possa rivelarsi sin dall’esordio utile per evitare una progressione polmonare. Per quanto riguarda le forme tipiche, l’opportunità di trattamento dovrebbe invece essere stabilita sulla base di altri parametri clinici, in quanto le probabilità di recidiva non sono assolutamente correlate al pattern radiologico. Analizzando poi le diverse presentazioni del pattern tipico, non sono emerse sostanziali differenze nell’evoluzione delle forme esclusivamente linfonodali, da quelle con interessa- mento parenchimale (reticolo-nodulare e vetro smerigliato). Anche la presenza di vetro smerigliato non sembra influenzare negativamente la prognosi. Infatti, nella nostra casistica, tale quadro è rimasto stabile in pazienti non trattati, e si è vista completa risoluzione dopo terapia specifica. Quest’ultimo dato è in accordo con l’osservazione di Murdoch e collaboratori [13] circa l’identificazione di lesioni polmonari potenzialmente reversibili. Al contrario, il nostro dato si discosta da uno studio più recente [14] il quale avrebbe identificato la presenza di vetro smerigliato come lesione evolutiva verso un quadro di polmone ad alveare. Anche per quanto riguarda la sintomatologia, sia nei casi tipici che in quelli atipici, il trattamento immunosoppressivo ha determinato miglioramento clinico, talora con risoluzione completa dei sintomi presentati all’esordio in circa l’80% dei pazienti. Per quanto riguarda le recidive a distanza, i nostri dati suggeriscono che le recidive radiologiche sono sostanzialmente basse mentre sono significative le recidive cliniche sia nei soggetti con aspetti tipici che in quelli con quadro atipico alla diagnosi. In conclusione, la ricaduta o il peggioramento clinico non sono sempre indicativi di evoluzione radiologica polmonare, ma devono essere contestualizzati nel quadro clinico del paziente. Infatti dalla nostra casistica le recidive si sono osservate principalmente nel gruppo che aveva ricevuto terapia specifica, indipendentemente dalle forme tipiche o atipiche, dato che suggerisce che il quadro clinico iniziale, insieme a quello radiologico, identifichi correttamente pazienti che necessitano di terapia e che presentano un rischio maggiore di ricaduta. Particolare attenzione si deve prestare in quei pazienti nei quali la sintomatologia d’esordio sia lieve ma che presentino un quadro radiologico atipico, nei quali la terapia si è mostrata efficace nel controllare sia l’evoluzione che le eventuali ricadute. Quindi l’HRCT non va eseguita di routine nel follow up del paziente con sarcoidosi, ma solo quando un peggioramento clinico ne giustifica la decisione. Per citare questo articolo: Polverosi R, Russo R, Coran A, Giraudo C, Battista A, Agostini C, Pomerri F (2013) Typical and atypical pattern of pulmonary sarcoidosis at high-resolution CT: relation to clinical evolution and therapeutic procedures. Radiol med [Epub ahead of publication]; DOI: 10.1007/ s11547-013-0356-x La Radiologia Medica http://link.springer.com/journal/11547 BIBLIOGRAFIA 1. Statement on sarcoidosis. 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Miraglia, Napoli, Italia 3 Centro Alti Studi di Risonanza Magnetica, Federazione Italiana Sclerosi Multipla, Seconda Università di Napoli (FISM-SUN), Clinica Hermitage, Via Cupa le Tozzole, Napoli, Italia 4 Dottorato in Neuroscienze, Seconda Università degli Studi di Napoli, Piazza L.Miraglia, Napoli, Italia Indirizzo Autore: R. Conforti, Tel.: 081 2545561, Fax: 081 7414288, e-mail: [email protected] Ricevuto: 3 Ottobre 2012 /Accettato: 31 Gennaio 2013 Riassunto Introduzione Obiettivo. Scopo dello studio è valutare differenze di presenza, dimensioni, numero e sede degli spazi di Virchow-Robin dilatati (SVRd), tra pazienti con Sclerosi Multipla(SM), in fase non acuta, e soggetti sani di controllo e tra pazienti affetti da forme invalidanti (SMi) o non invalidanti (SMni) di malattia. Gli spazi di Virchow-Robin (SVR) sono canalicoli circondati da pia madre, contenenti liquido interstiziale, che accompagnano i piccoli vasi nel decorso intracerebrale nello spazio sub aracnoideo e possono essere implicati in processi infiammatori cerebrali [1, 2]. Possono essere bilaterali e simmetrici [3] o asimmetrici [4]. Il loro riscontro in studi RM è un reperto fisiologico, presente, secondo alcuni autori [5,6,7], nel 100% dei soggetti. Si definisce dilatato lo SVR di asse minimo superiore a 2mm [5,8] o, secondo alcuni autori, maggiore di 3 millimetri [6]. Le cause, la storia naturale, il significato e le implicazioni cliniche della modificazione di forma e dimensioni degli SVR, sono tuttora sconosciuti [1,9,10] e oggetto di controversie [11]. Occasionalmente possono avere aspetto atipico, con dimensioni giganti (>1.5cm), ed esercitare effetto massa con secondaria alterazione della dinamica liquorale [12, 13, 14, 15, 16]. Sono stati suggeriti vari meccanismi come possibili responsabili della dilatazione degli SVR[5], quali: modificazione della permeabilità della parete arteriosa dei vasi che circondano [4, 9,10] disturbi del circolo liquorale [3, 4, 6, 10, 12], allungamento spiroidale dei vasi sanguigni [4, 9, 10, 12], atrofia cerebrale [10] con fenomeno ex vacuo [4, 9, 12] o perdita di mielina [12]. Topograficamente si distinguono tre differenti sedi di SVRd [6]: il tipo I, più frequente [12], in corrispondenza della sostanza perforata e della commissura anteriore [2, 4, 5, 6, 8, 12, 13,]; il tipo II, in corrispondenza della sostanza bianca della convessità e dei centri semiovali [2, 5, 6, 8, 13]; tipo III, in sede mesencefalica [6, 13]. Gli SVR partecipano all’omeostasi dei fluidi interstiziali cerebrali [12] e alla sorveglianza immunitaria del Sistema Nervoso Centrale [13]. Per tale motivo il loro numero e le loro dimensioni possono modificarsi nelle patologie infiammatorie come la sclerosi multipla (SM) [1, 2, 10]. Studi istopatologici [17,18] hanno evidenziato SVRd contenenti infiltrati leucocitari attorno alle lesioni infiammatorie Materiali e Metodi. Lo studio è stato eseguito analizzando in modo retrospettivo gli esami di Risonanza Magnetica (RM) 3 Tesla (T) eseguiti a 40 pazienti affetti da SM e a 30 soggetti sani (equivalenti per età, scolarità e sesso). I dati sono stati esaminati con software MIPAV (Medical Image Processing, Analysis and Visualization) per gli SVRd e FSL SIENA-X per misurarare l’atrofia cerebrale globale (ACG) espressa come (Brain Parenchima Fraction) BPF. Risultati. I pazienti con SM presentano numero (p<0.011), area (p<0.0073) e volume (p<0.0071) degli SVRd significativamente maggiori dei controlli e con una maggiore prevalenza in sedi atipiche (p<0.0069). Non si documentano differenze significative intra-gruppo, tra le diverse forme di malattia (SMi vs SMni). Numero e dimensioni degli SVRd non correlano con l’ACG. Conclusioni. I nostri risultati confermano i dati della letteratura circa l’incremento degli SVRd nella SM, in stadi non acuti di malattia, supportando il ruolo immunitario degli SVR nel Sistema Nervoso Centrale (SNC). L’indipendenza degli SVRd dal grado di ACG e la loro prevalente localizzazione in sedi atipiche, nei pazienti con SM, rendono gli SVRd un potenziale marker di malattia infiammatoria-demielinizzante. Parola chiave Spazi Perivascolari; Spazi di Virchow-Robin;Sclerosi Multipla; RM 261 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:260-266 croniche attive della SM. Scopo del nostro lavoro è evidenziare eventuali differenze quantitative, volumetriche e di localizzazione, degli SVRd, tra i pazienti affetti da SM Relapsing-Remitting (SMRR), in fase non acuta, rispetto a un gruppo di volontari sani. A seconda della gravità della malattia i pazienti SM sono stati successivamente suddivisi, mediante la Expanded Disability Status Scale (EDSS), in due differenti gruppi, demograficamente corrispondenti, con forma non invalidante (SMni) e con forma invalidante (SMi) di malattia. Materiali e metodi Abbiamo esaminato, retrospettivamente, studi RM di 40 pazienti affetti da SM, secondo i criteri di McDonald, e di 30 volontari sani consecutivamente arruolati dal gennaio 2009 al dicembre 2011. Nella tabella 1, sono riassunti i dati clinico-demografici dei pazienti (età media 42.7±8.0 – M/F=12/28) e dei volontari sani (età media 42.8±8.9 – M/F=13/17). Tutti i soggetti sono stati sottoposti a raccolta anamnestica clinico-demografica e visita neurologica, con valutazione della disabilità utilizzando la scala EDSS. Il criterio d’inclusione, per i pazienti, è stato la diagnosi di malattia da almeno 10 anni. I criteri di esclusione sono stati: ricadute in atto o verificatesi nel mese precedente all’esame, terapia corticosteroidea nel mese precedente, presenza di altre patologie neurologiche, controindicazioni all’esecuzione della RM. I criteri di esclusione, per i volontari sani, sono stati: presenza di patologie neurologiche, presenza di alterazioni all’esame RM, controindicazioni alla esecuzione della RM. Dei quaranta pazienti con SM-RR, ventuno presentavano malattia non invalidante (EDSS<3.0) e diciannove malattia invalidante (EDSS>4). Tutti i Soggetti avevano firmato un consenso informato. Il protocollo di studio è stato approvato dal Comitato Etico locale, in accordo con gli standard etici espressi nella Dichiarazione di Helsinki del 1964. Protocollo RM Lo studio RM è stato eseguito con magnete ad alto campo 3 Tesla SIGNA (General Electric HDXT. Milwaukee – Wisconsin - USA), mediante sequenze assiali FSE T2-PD (TR= 3080 ms, TE= 24.1/121 ms , FOV 240x240/z, Matrice = 384x256, NEX=2, 44 slices, thickness=3 mm, intervallo gap=0), FLAIR ( TR = 9002 ms, TE = 121 ms, TI = 2500 ms, FOV= 240x240/z, Matrice 448x224, NEX=1, 44 slices, thickness=3mm, gap=0), SE T1 ( TR = 400 ms, TE = 9 ms /fr, FOV 24x24/z, Matrice 384x256, 44 slices, thickness=3mm, gap=0) e con acquisizione sagittale FSPGR T1 3D (TE = 2.8, TR = 7, TI = 650, FOV = 26x24,4, 166 slices, voxel=1,2x1,2x1mm, gap=0). I dati RM sono stati analizzati, in doppio cieco, da due esperti radiologi, mediante analisi con software Medical Image Processing, Analysis and Visualization (MIPAV - Center for Information Technology, National Institutes of Health, Bethesda, Maryland). Con questo sistema applicativo di post-processing semiautomatico, accurato e veloce, si sono identificati e valutati gli SVRd di tutti i pazienti e di tutti i controlli, sulla base delle loro caratteristiche morfo-volumetriche e di segnale. Gli SVR identificati, sono stati circoscritti singolarmente e manualmente, per ciascun individuo, mediante il posizionamento di un volume di interesse Volume of Interest (VOI), con delineazione semi-automatica dei contorni. Sono stati valutati il numero, l’area, il volume e la sede degli SVRd, per confermarne le modificazioni già riportate in studi precedenti [2] (Fig. 1). Abbiamo considerato anche le localizzazioni degli SVRd, evidenziando le sedi atipiche, non inquadrabili cioè nei tre tipi di sede standard [6]. I criteri utilizzati per le suddette valutazioni, secondo quanto riportato in letteratura, [2,8] sono stati i seguenti: a) Morfologia: aree puntiformi o tubulari [2] più spesso sul decorso anatomico delle arterie perforanti [8, 13] ben visibili nella sequenza FSPGR 3D T1, b) Segnale: aree isointense al liquor [8] in T2 e in T1, ipo-isointense in FLAIR, senza modificazioni del parenchima cerebrale circostante[2,13], c) Effetto massa: assente [8,13]. Mediante software Functional Magnetic Resonance Imaging of the Brain (FMRIB Centre, Nuffield Dept of Clinical Neurosciences, University of Oxford, UK), con applicazione SIENAX (Structural Image Evaluation using Normalisation of Atrophy), abbiamo elaborato le acquisizioni volumetriche T1, ottenendo, con metodo semiautomatico, la valutazione del volume cerebrale in termini di sostanza bianca, sostanza grigia e volume liquorale. Successivamente, abbiamo calcolato il rapporto tra le tre differenti componenti cerebrali, ottenendo la frazione del parenchima cerebrale (rapporto BPF) espressione del grado di atrofia cerebrale globale (ACG). Analisi Statistica Sono state valutate con test T-student, le differenze tra pazienti affetti da SM (SMni e SMi) e volontari sani, riguardo volume, numero e sede degli SVRd e dell’ atrofia cerebrale. Tabella 1 SM: pazienti Sclerosi Multipla, SMni: Sclerosi Multipla non invalidante, SMi: Sclerosi Multipla forma invalidante, DS = Deviazione Standard, EDSS= Scala Estesa dello Stato di Disabilità, SVRd= Spazi di Virchow-Robin dilatati, ST= Sede Tipica, SA= Sede Atipica Maschio/Femmina Età (anni) ± D.S. EDSS SM niSM iSM Controlli 12/28 9/12 3/16 13/17 42.7 ± 8.0 40.6 ± 8.12 44.9 ± 7.32 42.8 ± 8.9 1-6.5 1.0-3.0 4.0-6.5 0 262 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:260-266 Fig. 1 Schermata di visualizzazione del sistema software MIPAV, con sequenze coregistrate T1, T2 e FLAIR e relativo ingrandimento, di uno SVRd, in sequenza T2 e T1 pesata. Nel riquadro in basso a destra sono riportati i valori delle misurazioni di area e volume dopo posizionamento di un Volume di Interesse (VOI) ( linea rossa).. Risultati Fig. 2 Diagramma. SM = pazienti Sclerosi Multipla, CTR = Controlli. Differenza significativa tra numero (p=0.01) (t-test) e Volume (p=0.0071) (t-test) di SVR d tra pazienti SM rispetto ai controlli. Abbiamo riscontrato un numero totale di SVRd nei pazienti con SM (64 SVRd) significativamente superiore (p= 0.011) rispetto ai controlli (21 SVRd), sia per pazienti con SMni (p=0.013), che SMi (p=0.035). In particolare il 12,5% dei pazienti ha più di 4 SVRd, il 17,5% più di 3, mentre in nessuno dei controlli sani sono stati osservati più di 2 SVRd. Inoltre, nei pazienti SM l’area e il volume medio degli SVRd, sono significativamente superiori rispetto ai controlli (p= 0.0073 e p= 0.0071), sia per pazienti con SMni (p= 0.0218 e p=0.0214 ), che per quelli con SMi (p= 0.0026 e p=0.0025). (Fig. 2) La distribuzione degli SVRd nei pazienti con SM è, per le sedi tipiche, prevalente in corrispondenza della Sostanza Perforata Anteriore (I tipo) rispetto alla convessità (II tipo). Non abbiamo riscontrato SVRd localizzati al mesencefalo (III tipo). (Fig 3) Abbiamo riscontrato una differenza statisticamente significativa (p=0.0069) della frequenza di localizzazioni di SVRd in sedi atipiche: 34 SVRd nei pazienti SM, 1 SVRd nei controlli. Mediante test di Ficher abbiamo riscontrato un’indipendenza (p = 0,93 , p = 0,51) della sede degli SVRd in relazione alla forma clinica di malattia SMni vs SMi. In tabella 2 sono riportati in dettaglio i dati descritti. Correlazione con l’ACG I valori di p, inferiori a 0.05, sono stati considerati statisticamente significativi. Per indagare la dipendenza della sede degli spazi, dall’appartenenza al gruppo tra i due sottogruppi di pazienti SM (SMni e SMi) è stato effettuato il test di Fisher. E’ stata calcolata la correlazione statistica (coefficiente di Pearson) tra i parametri degli SVRd (numero, volume) e l’atrofia celebrale, per valutarne l’indipendenza da quest’ultima, nelle differenze tra pazienti e controlli. Il volume ed il numero degli SVRd, sia nei pazienti che nei controlli, risulta non dipendente dal grado di ACG, espressa in termini di BPF. Il volume ed il numero degli SVRd nei pazienti risulta non dipendente dal grado di ACG, espressa in termini di BPF (correlazione di Pearson: volume SVR vs BPF= r = -0,03, p=0,85 ; numero SVR vs BPF r=0,14 con p=0,38). Analogamente per i controlli abbiamo riscontrato una correlazione tra volume degli SVRd e il BPF non significativa (r =0,16 p=0,41), così come tra il numero degli SVR e il BPF (r=0,20 p=0,30). Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:260-266 263 Fig. 3 Immagini RM della classificazione topografica degli SVR d, con relativi ingrandimenti. Tipo I: sostanza perforata e commissura anteriore sul decorso delle arterie lenticulo-striate. a) T2 pesata, b) T1 pesata, c) FLAIR . Tipo II: Sostanza bianca della convessità e dei centri semiovali, sul decorso delle arterie perforanti midollari d) T2 pesata, e) T1 pesata , f) FLAIR. Tipo III: in corrispondenza del mesencefalo, alla giunzione ponto-mesencefalica e mesencefalo-diencefalica, lungo il decorso delle arterie perforanti. g) T2 pesata, h) T1 pesata, i) FLAIR. 264 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:260-266 Tabella 2 F/M: Femmine/Maschi, SMni: Sclerosi Multipla non invalidante, SMi: Sclerosi Multipla invalidante, ctrl: Controlli, paz-tot = totale dei Pazienti, SVR d t: SVR dilatati in sede tipica, SVR d a: SVR dilatati in sede atipica, SVR tot: SVR dilatati totali. I dati statisticamente significativi sono quelli indicati in rosso Area (mm2) Volume (mm3) Brain (BPF) SVR d t SVR d a SVR tot media SMni 23.351 70.054 1541489 0.762 0.905 1.667 media SMi 22.116 66.349 1476477 0.737 0.789 1.526 media ctrl 7.868 23.506 1626597 0.667 0.033 0.700 t-test SMni vs SMi 0.891 0.891 0.045 0.926 0.823 0.841 t-test SMni vs ctrl 0.0218 0.0214 0.0445 0.6997 0.0024 0.013 t-test SMi vs ctrl 0.0026 0.0025 0.0000 0.7742 0.0225 0.035 t-test paz-tot vs ctrl 0.0073 0.0071 0.0001 0.6831 0.0069 0.011 Discussione La Tomografia Computerizzata è stata la prima tecnica radiologica, che ha consentito di vedere, in vivo, gli SVR; ma, la relativa sensibilità e specificità della metodica, non ha consentito un’ulteriore caratterizzazione. Con la RM, specie se con apparecchiature ad alto campo [6,19], gli SVR sono osservati routinariamente, in corrispondenza del decorso di arterie, arteriole, vene e venule intracerebrali [9,20]. L’incremento della risoluzione spaziale e di contrasto correlato all’intensità del campo magnetico ed all’evoluzione hardware e software [5, 6, 12], consente una migliore individuazione degli SVR, con un apparente aumento della loro prevalenza [4]. Gli apparecchi RM attuali, visualizzano SVR con diametro pari o superiore a 0,66 millimetri; spazi inferiori ai 2 millimetri, come già detto, si considerano non dilatati [9] , strutture anatomiche normali, osservabili in soggetti sani, in differenti gruppi di età [3]. L’osservazione di SVR, nel 100% dei soggetti studiati, in un recente lavoro [10], è in disaccordo con la loro prevalenza riscontrata in studi precedenti [9,12], fatto comprensibile, per il miglioramento, negli anni, della risoluzione spaziale negli studi RM. Nel nostro studio rinveniamo una percentuale di SVR d del 46,6% in soggetti di controllo sani e del 67,5% in pazienti SM. La sede più frequente, di SVRd è, anche nel nostro studio, corrispondente al territorio vascolare delle arterie lenticolo striate. In questa sede le arteriole hanno traiettoria angolata e molteplici branche raggruppate, con una prevalenza di due volte superiore [10] rispetto al decorso delle branche distali dell’arteria cerebrale media, e dieci volte superiore rispetto al tratto distale delle arterie lenticolo striate stesse [10]. Il razionale immunologico, degli SVR, fu avanzato, per la prima, volta da HIS, nel 1865 [12], che, sia per la loro struttura, che per il contenuto in cellule, li considerò spazi linfatici del sistema nervoso centrale; ma il loro legame, col sistema immune, deriva anche da vari studi successivi. Studi con traccianti e analisi anatomopatologiche, del cervello umano, confermano che, gli SVR, fisiologicamente [6], oltre a trasportare soluti, proteine solubili e leucociti [2], sono una vera e propria via di drenaggio linfatico cerebrale, tra spazio periarterioso e sistema linfatico [12], implicati in caso di anormalità della barriera emato-encefalica e d’infiammazione [18]. Studi istopatologici, dimostrano che, in condizioni normali, negli SVR, sono presenti, oltre a cellule dendritiche e microglia perivascolare, macrofagi e cellule T, che conferiscono loro un ruolo chiave, nella sorveglianza immunitaria [2]. Negli SVR, i macrofagi, oltre a regolare alcune proteine implicate nei processi infiammatori (MCH II classe, interleukine – 1 ß), hanno contatto con i linfociti T circolanti [12] da cui partirebbe la risposta immunitaria vera e propria [5]. L’attivazione delle cellule T, inizierebbe alla periferia del compartimento linfoide (sede extracerebrale) e si porterebbero poi al SNC, circolando negli SVR. [2]. Studi immuno-isto-chimici, comparati a studi RM post-mortem, di cervelli di pazienti con malattia demielinizzante, dimostrano presenza di macrofagi CD68-positivi, in tutti gli stadi delle lesioni demielinizzanti negli SVR, con infiltrati perivascolari leucocitari, molto più frequenti nelle lesioni croniche inattive, che nelle lesioni attive [17] e SVR d descritti anche in modelli sperimentali di SM [2, 17]. A dispetto però, del crescente interesse, per il ruolo degli SVR, nella sorveglianza immunitaria, essi sono stati, fino a poco tempo fa sottovalutati [2]. La SM, malattia infiammatoria cronica del SNC, è caratterizzata dalla presenza, nel parenchima cerebrale, di cellule immunitarie, con infiammazione locale, lesioni demielinizzanti e danno assonale e neuronale [2]; ciò spiegherebbe perché, in esami RM cerebrali, di pazienti con SM in fase attiva, gli SVR, riserva di cellule infiammatorie, sono dilatati, [6, 18] . S’ipotizza che, l’attività infiammatoria, della SM, avvenga negli SVR, che aumenterebbero di dimensioni per infiltrazione da parte di cellule infiammatorie ed edema, con conseguente, apparente, maggior numero di SVR, visibili in studi RM cerebrali. A conferma di quanto detto, in uno studio longitudinale [2], veniva osservato significativo aumento sia del volume, che del numero degli SVR in pazienti affetti da SM, in fase acuta, [18], rispetto ai soggetti di controllo sani, a riprova del loro ruolo, nelle fasi attive della malattia demielinizzante, ovvero quando la barriera emato encefalica era danneggiata [18]. I nostri risultati concordano con quelli di altri Autori [2], col riscontro di aumento degli SVRd nella SM, in termini di numero e di dimensioni. Tale associazione, ci ha portati a riconsiderare il possibile ruolo, anche immunologico, degli SVR, 265 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:260-266 in tale patologia, ed il loro significato in questa malattia infiammatoria cronica autoimmune. Studi più recenti riportano, a conferma di quest’ultimo assunto, SVR aspecificamente grandi, come segno di modificazioni infiammatorie nelle SM, essendosi osservati SVR nel 55% dei pazienti con SM, nella sostanza bianca emisferica con, nell’85% dei casi, un numero superiore a 4. [3, 4] Nel nostro lavoro abbiamo individuato più di 4 SVRd per paziente SM nel 12,5 % dei casi rispetto ai controlli (0 soggetti su 30) e più di 3 SVRd per paziente SM nel 17,5% dei casi rispetto ai controlli (0/30). La dicotomia è, probabilmente, ascrivibile al diverso cut-off dimensionale da noi usato. A differenza di precedenti studi [2] in cui il numero degli SVR non differiva tra pazienti con SM e soggetti sani in nessuna regione cerebrale, nel nostro lavoro abbiamo riscontrato non solo un numero statisticamente superiore di SVRd nei pazienti SM rispetto ai controlli, ma, anche, un significativo incremento del volume e dell’area degli SVRd. Il riscontro anche di un numero significativamente superiore di SVRd nei pazienti SM, potrebbe essere correlato a differenze di ordine metodologico, avendo noi considerato unicamente SVR di diametro maggiore ai 2mm o, anche, a differenze della popolazione esaminata avendo valutato esclusivamente pazienti SM in fase non acuta della malattia . L’aumento rilevante, nel nostro studio, di SVRd in termini di numero, area e volume, nei pazienti SM in fase non attiva, rispetto al gruppo di controllo di soggetti sani, si potrebbe interpretare, non come reale aumento del numero di spazi perivascolari, ma, piuttosto, come possibilità di identificarne di più, per la loro dilatazione. Altro reperto di rilievo, nel nostro studio, non riportato finora in letteratura, è l’individuazione, nel gruppo di pazienti SM, rispetto ai soggetti sani di controllo, di un maggior numero, statisticamente significativo, di SVRd in sedi atipiche; il reperto, di incerto significato, potrebbe essere spiegato, con la necessità, in questa categoria di pazienti, di vie di drenaggio linfatico cerebrale alternative e\o suppletive, rispetto alle sedi classiche. Conclusioni Il nostro studio RM cerebrale, eseguito con RM 3T, in pazienti con SM in fase non acuta, confrontati con un gruppo di controllo di soggetti sani, evidenzia: area, volume e numero degli SVR d, significativamente superiori nei primi, a conferma di quanto già riportato in letteratura, in precedenti studi di RM cerebrale, ma con apparecchi di minor potenza ed in pazienti con SM in fase acuta. La significatività del reperto è validata dalla mancata correlazione degli SVRd con il BPF, sia per i pazienti SM, che per i soggetti di controllo, escludendosi così, dai risultati, l’influenza dell’ACG. Non si è osservata, in base al grado di disabilità della SM (SMni e SMi), una significativa differenza intragruppo di volume e numero degli SVR d. A differenza che, in studi precedenti [13], non abbiamo osservato significativa prevalenza di forma (rotonda od ovale) degli SVR d, tra pazienti e controlli, essendo per entrambi i gruppi prevalente quella ovale. Da notare, infine, una caratteristica specifica osservata nei pazienti con SM, rispetto ai soggetti di controllo, che è la sede degli SVR d, che, per i primi, è significativamente più spesso atipica, da riconfermare con ulteriori studi e su una popolazione di pazienti più estesa. Per citare questo articolo: Conforti R, Cirillo M, Saturnino PP, Gallo A, Sacco MR, Negro A, Paccone A, Caiazzo G, Bisecco A, Bonavita S, Cirillo S (2013) Dilated Virchow–Robin spaces and multiple sclerosis: 3 T magnetic resonance study. Radiol med [Epub ahead of publication]; DOI: 10.1007/ s11547-013-0357-9 La Radiologia Medica http://link.springer.com/journal/11547 BIBLIOGRAFIA 1. Tsutsumi S, Masanori I, Yasumoto Y, Tabuchi T, Ogino I (2011) The Virchow-Robin space: delineation by Magnetic Resonance Imaging with considerations on anatomofunctional implications. Child Nerv Syst 27(12):2057-66. DOI 10.1007/s00381-011-1574-y 2. 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The Neuroradiology Journal 21: 490-499 cento anni di storia Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:276-277 CONTRIBUTO DELLA SEZIONE DI RADIOLOGIA VASCOLARE E INTERVENTISTICA La Radiologia Interventistica è morta: viva la Radiologia Interventistica! Luci ed ombre, certezze e speranze della Radiologia Interventistica Italiana F. Florio Presidente Sez. Radiologia Vascolare e Interventistica, Direttore Dipartimento Cardio-Vascolare, Direttore UOC di Radiologia Interventistica IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza”, San Giovanni Rotondo (FG), Italia Indirizzo Autore: F. Florio, Tel.: 0882 410979-570 0882 835250, e-mail: [email protected] Ad oltre quaranta anni dalle sue prime pionieristiche esperienze, la Radiologia Interventistica (RI) italiana è, ancora oggi, entità complessa e poliedrica, di cui non è agevole mettere a fuoco con adeguata accuratezza i reali contorni; sicché ne risultano spesso offuscate la effettiva rilevanza clinica e le potenzialità di sviluppo. Alla semplice domanda: “cosa è oggi la RI in Italia?”, le risposte sarebbero completamente dissimili, spesso addirittura contrastanti, a seconda del ruolo e della tipologia dell’intervistato, sia egli l’ipotetico Paziente beneficiario di una delle tante procedure terapeutiche, l’Amministratore ospedaliero o il giovane Specializzando in Radiologia. Con ogni probabilità, l’ipotetico Paziente non sarebbe in grado di fornire una risposta pertinente, percependo quasi come del tutto estranea la parola “Interventistica”; fa in genere riferimento al “Medico”, che a seconda dei casi gli ha prescritto il trattamento, affidandolo per la sua mera esecuzione ad un particolare Operatore, puro interprete della decisione del Clinico. A quest’ultimo egli si rivolgerà per la valutazione degli esiti del trattamento subito ed il suo follow-up, esprimendogli gratitudine per il buon esito terapeutico. Per il collega Clinico, la RI è, in genere, una disciplina di certo utile, ma non indispensabile, tranne che in alcune particolari circostanze in cui non esistano alternative terapeutiche. Non sono molto numerosi i Clinici che riescono a riconoscere al Radiologo Interventista la dignità meritevole di paritetica valutazione clinica, con cui realmente condividere le scelte terapeutiche. “Un inutile nemico”, sarebbe forse la risposta di numerosi Chirurghi Vascolari. Faticosa la risposta dell’Amministratore ospedaliero; con ogni probabilità ha della RI la fuorviante percezione dei soli elevati costi di gestione e di acquisto dei vari devices, essendo del tutto inconsapevole dei benefici clinici, ma anche economici della disciplina. Impossibile prevedere la risposta del Funzionario Regionale alla Salute; con ogni probabilità non ha alcuna dimestichezza con l’Interventistica, né questa è mai stata inserita nei piani regionali di programmazione sanitaria, di certo in ciò non agevolata dal clima di austerity e di tagli al bilancio, che sono ormai da tempo in atto in ogni regione italiana. Non sono pochi i Colleghi Radiologi, almeno fra coloro dediti esclusivamente all’imaging, che intravedono nella RI quasi una devianza dalla genuina ed originaria vocazione all’interpretazione delle immagini; considerano la RI un semplice settore della Radiologia, del tutto analoga rispetto ad atri compartimenti dell’imaging radiologico, senza alcuna considerazione per le sue spiccate peculiarità in termini di impatto clinico oltre che medico-legale. “Affascinante” sarebbe l’aggettivo più utilizzato per definire la RI dalla maggior parte dei Giovani Radiologi o Medici Specializzandi, magari con qualche rammarico per le insufficienti opportunità di conoscenza teorica e/o la scarsa fruibilità - durante tutto il percorso formativo - del contatto pratico con la realtà della sala angiografica; altri, forse i più smaliziati, risponderebbero che la RI è “bella, ma certo non aiuta a trovare spazi nell’attività privata”. Con ogni probabilità la risposta più reale, anche se forse ispirata dall’eccessivo entusiasmo, sarebbe quella di un “addetto ai lavori”: la RI è la branca più bella di tutta la Medicina moderna, l’unica disciplina che può consentire all’Operatore di porre la diagnosi, di formulare l’indicazione e la pianificazione del trattamento, di attendere direttamente all’esecuzione dell’atto terapeutico e di avere immediata documentazione oggettiva del risultato tecnico. La gratitudine del Paziente e la percezione immediata e tangibile dell’utilità dell’atto medico terapeutico sono esclusivo appannaggio del Radiologo Interventista. Tuttavia, pur con tali poco entusiastiche premesse, non è oggi pretenzioso affermare che la nostra Disciplina ha oramai una sua precisa collocazione nel contesto medico italiano. E’ fuori di ogni lecito dubbio, infatti, che i “Criteri di appropriatezze clinica, strutturale e tecnologica dei Centri di Radiologia Interventistica”, chiaramente espressi ne i “Quaderni della Salute” (N° 12, novembre-dicembre 2011) possano rappresentare il riconoscimento e la legittimazione definitivi della RI in Italia. Gli standard operativi e organizzativi de i “Quaderni”, ripresi successivamente anche nel Disciplinare Tecnico (emanato dalla Sezione di Radiologia Vascolare e Interventistica e finalizzato alla Certificazione dei Centri Italiani da parte di Enti Certificatori esterni) costituiscono il “primo mattone” su cui modellare gli attuali Centri di RI e su cui costruire quelli futuri. Il modello non teorico, ma concreto su cui far convergere l’impegno della RI italiana, al fine di ottimizzare i parametri di sicurezza per Pazienti ed Operatori, strada 277 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:276-277 obbligata per guadagnare affidabilità e credibilità adeguate. I dati scaturiti dall’Indagine Conoscitiva, promossa dal Comitato Direttivo della Sezione, forniscono concreta tangibilità alla corposità della RI nel nostro Paese. Essa è distribuita con sufficiente omogeneità in tutto il territorio nazionale (fatta eccezione di pochissime aree periferiche), con oltre centoventi Centri censiti, soprattutto in strutture ospedaliere pubbliche; vi operano (quasi tutti in esclusività lavorativa) oltre quattrocento medici, in grado di offrire al paziente standard qualitativi consoni, con ampio e policromo volume di procedure terapeutiche; fra esse spiccano, numerose, quelle di rilevante spessore clinico e che quasi sempre comportano anche un favorevole impatto economico-gestionale. La Sezione di Radiologia Vascolare e Interventistica conta oltre ottocento iscritti (al 30 ottobre 2013), soprattutto giovani, con larga rappresentanza di Medici Specializzandi, autentica linfa per il futuro della RI. La rappresentanza italiana all’ultimo Congresso CIRSE (settembre 2013) si è concretata in ben 31 Radiologi Italiani (circa il 10% del totale dei relatori) per letture ad invito; gli abstract scientifici e i Poster sono stati presenti in misura del 11% del totale; è la dimostrazione tangibile della vivacità dei giovani Radiologi Interventisti Italiani. Realtà quindi inconfutabile nel panorama clinico e radiologico italiano ed europeo, la RI è oggi una “scienza” esatta, con standard ormai definiti, linee guida e protocolli ben codificati. La Sezione di Radiologia Vascolare e Interventistica ha recentemente formulato linee guida per il trattamento delle lesioni stenosanti dei tronchi epi-aortici, delle lesioni secondarie epatiche da carcinoma del colon, delle lesioni epatiche da epatocarcinoma, delle lesioni traumatiche della pelvi e, in associazione con altre Società Scientifiche, per il trattamento del “piede diabetico”. Sono ormai codificati i criteri di corretta selezione e accurata pianificazione operatoria, che possono scaturire esclusivamente dalla completa dimestichezza con tutte le moderne metodiche d’imaging, dalla scrupolosa valutazione clinica oltre che dalla padronanza delle varie tecniche operatorie; solo il Radiologo Interventista, sulla scorta del suo completo bagaglio culturale, tipico del Radiologo moderno, può oggi garantire tale multiforme appropriatezza clinica alle procedure mini-invasive. Per tali motivazioni, possiamo dire che la RI deve vivere ad ogni costo, deve sopravvivere alle difficoltà economiche contingenti, agli interessi dei singoli, alle asprezze della competizione clinica. Non occorrono grandi strategie; basterebbero: la opportuna diffusione della conoscenza della RI fra gli Studenti di Medicina e Chirurgia sin dal corso di laurea; la adeguata formazione dei giovani in tutte le Scuole di Specializzazione in Radiologia, che dovrebbero avvalersi, quando sia necessario, della stretta collaborazione con i Centri ospedalieri di maggior esperienza ; la cultura dell’appropriatezza (giustificazione ed ottimizzazione) di ogni procedura mini-invasiva interventistica eseguita in ambiente radiologico al fine di conseguire ulteriore sicurezza ed affidabilità; la cultura dell’approccio multidisciplinare, non disgiunto da sufficiente grado di umiltà; ma anche l’orgoglio e la consapevolezza del proprio ruolo clinico ed il senso di appartenenza al “gruppo” di ogni Radiologo Interventista; la proiezione della RI italiana in chiave europea; il coraggio e la perseveranza nel cercare il dialogo politico-amministrativo per costruire in ogni singolo Centro prospettive di lavoro e avanzamento professionale per i giovani Radiologi Interventisti. Alcune delle cose menzionate sono appannaggio delle “Istituzioni” (Societarie, Universitarie o Politiche); altre sono appannaggio esclusivo di ciascuno di noi. Sarà anche importante far conoscere le opportunità terapeutiche della RI al grosso pubblico, ai Pazienti, ma anche ai Colleghi Clinici, ivi inclusi i Medici di Famiglia ed i Radiologi poco confidenti con l’Interventistica. In tal senso, non si può che esprimere la gratitudine di tutti i Radiologi Interventisti Italiani alla SIRM ed al Prof. Andrea Giovagnoni, Direttore della Rivista Societaria, per questa iniziativa editoriale che si prospetta estremamente efficace ai fini della divulgazione della nostra Disciplina, che tutti noi amiamo profondamente. Il silenzio sarebbe, nel nostro caso, colpevole, persino oltraggioso per i Giovani che ci seguono su questa strada tanto faticosa, quanto seducente e coinvolgente. Se, pertanto, molti considerano ormai morta la RI (forse suicida, forse assassinata), dobbiamo credere e con forza dobbiamo ribadire: Viva la RI!! F. FLORIO - Sez. Radiologia Vascolare e Interventistica, Dipartimento Cardio-Vascolare, UOC di Radiologia Interventistica, IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza”; 71013 San Giovanni Rotondo (FG), Tel.: 0882 410979-570, 0882 835250, e-mail: [email protected] Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:278-290 RADIOLOGIA VASCOLARE E INTERVENTISTICA Risultati dell’indagine conoscitiva sull’attività di Radiologia Interventistica in Italia: Censimento 2013 F. Florio1, R. Cioni2,R.Golfieri3, R. Niola4, M. Rossi5 e con la collaborazione di: M. Matteoli, UOS Radiologia Interventistica Ospedale Sant’Andrea Roma, Italia B. Andria, Centro di Biotecnologie AORN Cardarelli Napoli, Italia G. Scognamiglio, CPSETSRM UOSC di Radiologia Interventistica AORN Cardarelli Napoli, Italia 1 U.O.S.C. Angiografia e Neuroradiologia, IRCCS “ Casa di Sollievo della Sofferenza”, Viale Cappuccini, 71013 S. Giovanni Rotondo (FG), Italia Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, Ospedale Nuovo Santa Chiara, Via Paradisa, 2 Cisanello Pisa, Responsabile SOD Radiologia Interventistica, Italia 3 U.O.S.C. Radiologia Malpighi, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, Policlinico S.Orsola-Malpighi, Via Albertoni 15 40138 Bologna, Italia 4 UOSC di Radiologia Vascolare ed Interventistica, AORN Cardarelli, Responsabile UOS Interventistica endovascolare, Via A. Cardarelli 9, 80131 Napoli, Italia 5 Ospedale Sant’Andrea II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “ Sapienza” Roma, Responsabile UOS di Radiologia Vascolare e Interventistica, Via di Grottarossa 1035, 00189 Roma, Italia 2 Introduzione La radiologia interventistica è approdata in Italia nel 1970 e nel corso degli anni l’evoluzione tecnica e scientifica ha portato alla creazione di nuove figure professionali, come il Radiologo Interventista, ed allo sviluppo di unità specifiche di Radiologia Interventistica Diverse indagini eseguite dalla Società Italiana di Radiologia Medica (SIRM) hanno dimostrato che la distribuzione geografica delle strutture dedicate alla RI è abbastanza casuale e la mancanza di unità di degenza del paziente prima e dopo le procedure è la difficoltà più frequente da fronteggiare. Scopo principale di questo lavoro è stato quello di “fotografare” lo stato attuale delle strutture, del personale e delle attività di Radiologia Interventistica in Italia al 2013. Scopo ulteriore dell’indagine è stato quello di rilevare una “mappa” nazionale con le regioni e le città in cui sono eseguite le procedure di Radiologia Interventistica Materiali e metodi Domande circa l’unità IR 3 - Denominazione e tipologia dell’Unità Operativa ( se si tratta di una UOC, UOD, UOS o nessuna tipologia, semplicemente quando l’interventistica viene effettuata nell’ambito di una UOC di Radiologia Generale) 4 - Indirizzo , telefono, fax dell’unità operativa 5 - Presenza di un magazzino condiviso o esclusivo 6 - Presenza di una attività amministrativa condivisa o esclusiva 7 - Presenza di un ambulatorio “dedicato” pre e post procedurale 8 - Presenza di posti letto in Day Hospital , Day Surgery o di ricovero ordinario Domande su operatori e personale 9 - Quanti medici , tecnici (TSRM) e infermieri sono presenti nell’UO 10 - Se le risorse umane utilizzate per la RI ( medici , tecnici, infermieri ) svolgono un lavoro esclusivo in interventistica oppure condiviso con altre metodiche radiologiche 11 - Tipo di assistenza : guardia attiva sulle 24\ h ,pronta disponibilità (reperibilità)notturna e festiva,ulteriore pronta disponibilità oltre la guardia attiva Domande sulle macchine È stato eseguito un sondaggio online sui centri italiani di Radiologia Interventistica mediante un questionario rivolto a tutti i soci della SIRM . L’indagine è iniziata nel luglio 2012 e si è protratta sino al marzo 2013, le domande poste sono state le seguenti: 12 - Numero di angiografi fissi e mobili presenti nell’unita operativa 13 - Età degli angiografi, intesa come anno di installazione delle macchine Domande relative alla struttura 14 - Numero di procedure “di base” e avanzate condotte ogni anno 15 –Tipi di procedura eseguite ogni anno 1 - Quale è la tipologia dell’Ospedale ( pubblico, privato, accreditato, istituto di cura a carattere scientifico vale a dire IRCCS) 2 - Ospedale sede o no di Pronto Soccorso e se DEA di I o II livello Domande sulle procedure Domande sull’attività di formazione 16- Attività di formazione per specializzandi 17 - Attività di formazione per tecnici 18 - Attività di formazione per infermieri Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:278-290 279 280 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:278-290 Risultati Ospedali L’analisi dei questionari ha mostrato lo stato attuale dei centri di radiologia interventistica in Italia, utilizzando come campione di riferimento i 119 centri che hanno risposto all’intervista online. I centri intervistati hanno fornito tutti i dati in modo completo tale da garantire lo sviluppo ottimale delle analisi. Se c’è stata necessità di integrare le informazioni, l’indagine on line è stata completata con un’intervista telefonica. L’attività di radiologia interventistica si sviluppa prevalentemente in strutture pubbliche (73), dove nella maggior parte, accanto alle procedure ordinarie, vengono trattati anche i pazienti provenienti da reparti di area critica, come medicina d’urgenza, pronto soccorso e rianimazione (88%). Tra questi centri, la maggior parte delle unità lavorano in presenza di un DEA di secondo livello (45% vs 34% in DEA di primo livello). L’esclusività lavorativa in RI è presente solo in 42 centri;nei rimanenti 77 l’attività di interventistica è condivisa con altre metodiche. Tipi di ospedali con centri di radiologia interventistica Pubblici: 73 Privati: 7 Accademici: 6 IRCCS: 6 Accademici Pubblici: 19 Accademici Privati: 5 IRCCS Privati: 2 IRCCS Pubblici o Accademici: 1 RI che lavorano in ospedali dotati di Pronto Soccorso: 105 (88%) RI situata in DEA di I livello: 40 (34%) RI situata in DEA di II livello: 54 (45%) Unità di radiologia interventistica Le attività di radiologia interventistica sono svolte nell’ambito di Unità Operative Complesse di Radiologia in 55 centri (43%) Le Unità dedicate sono di tipo: Semplice in 34 centri (29%), Dipartimentale in 27 centri (21%). Le Unità Operative Complesse sono presenti solo in 11 centri (9%). Meno della metà delle unità di RI, precisamente 53 centri (45%) possono usufruire di un ambulatorio dedicato e indipendente. La maggior parte delle unità non ha a disposizione letti dedicati o riservati Circa un quarto dispone di posti Day Hospital/Day Surgery (23%) o di letti per ricovero ordinario (10%) per ricoverare i pazienti da trattare. Unità di radiologia interventistica - Sezioni operanti all’interno di UOC di Radiologia: 55 (46%) - UOC di radiologia interventistica: 11 (9%) - UOD di radiologia interventistica: 27 (21%) - UOS di radiologia interventistica: 34 (29%) Logistica Presenza di un magazzino esclusivo: 78 (66%) Assenza di un magazzino esclusivo: 40 (33%) Presenza di un’attività amministrativa esclusiva: 39 (33%) Assenza di un’attività amministrativa esclusiva: 79 (66%) Clinical management Presenza di ambulatorio indipendente: 53 (45%) Presenza di letti in Day Hospital or Day Surgery: 31 (27%) Presenza di letti per ricovero ordinario: 16 (14%) Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:278-290 281 282 Operatori e staff Il team standard di una unità di Radiologia Interventistica è di solito composto da medici, infermieri e tecnici. La maggior parte delle unità usufruisce di un numero ristretto di operatori :1-5 medici (77%), per la maggior parte di sesso maschile (85%) con una media di 15 anni di esperienza e un numero di infermieri (66%) e tecnici (52%) compreso tra 1 e 5. I radiologi interventisti non hanno di solito una esclusività di lavoro per l’unità di RI e nella maggior parte dei casi (65%) lavorano anche in altre sezioni radiologiche. Tranne che per un caso (Ospedale Cardarelli di Napoli) non c’è una guardia attiva h24, ma è presente una pronta disponibilità (reperibilità) notturna e festiva in 76 centri (64%), mentre in 43 centri (36%) non sussiste alcuna reperibilità. Team di radiologia interventistica Numero medio di medici operanti ove attiva la RI:1- 5 (92 centri) Sesso: Maschi 368 (85%); Femmine 64 (15%) Età media: 45 anni. Esperienza lavorativa media: 14.8 anni Numero medio di infermieri:1-5 in 78 centri (66%) Numero medio di tecnici:1- 5 in 62 centri (52%) Unità con medici che lavorano esclusivamente in RI: 42 (35 %) Guardia attiva 24h: 1 (1%)- Ospedale Cardarelli di Napoli Pronta disponibilita notturna e festiva: 76 (64%) Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:278-290 283 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:278-290 Dotazioni tecniche Tutte le unità di Radiologia Interventistica sono dotate almeno di un angiografo fisso: 87 centri (73%) ,24 centri (20%) ne hanno 2, 6 centri (7%) ne hanno 3. Per quanto riguarda gli angiografi mobili, 25 (21%) centri non ne ha nessuno, 60 centri (50%) ne hanno uno solo, 22 centri (18%) ne hanno 2, 3 centri (3%) ne hanno 3, 6 centri (5%) ne hanno 4, 1 centro (1%) ne ha 5, 2 centri (2%) ne hanno 6. La maggior parte degli angiografi sono stati installati tra il 2000 e il 2005. La maggior parte delle macchine data più di 10 anni. Se si osserva l’istogramma con la distribuzione degli angiografi per area geografica, si nota una uniformità di distribuzione per quanto riguarda gli angiografi più datati, mentre per quelli più recenti, si visualizza un picco di distribuzione al Nord Italia. Macchine Numerodiangiografifissipersezione 0: 1 1: 87 73% 2: 24 20% 3: 6 7% Ns: 1 Installazionedell’angiografofisso Prima del 2000: 24 (20%) 2000-2005: 46 (39%) 2005-2010: 23 (19%) Dopo il 2010: 13 (11%) Ns: 13 (11%) Numerodiangiografimobilipersezione 0: 25 21% 1: 60 50% 2: 22 18% 3: 3 3% 4: 6 5% 5: 1 1% 6: 2 2% Installazione dell’angiografomobile Prima del 2000: 16 (13%) 2000-2005: 34 (29%) 2005-2010: 31 (26%) Dopo il 2010: 25 (21%) Ns: 13 (21%) 284 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:278-290 285 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:278-290 Procedure Nella maggior parte dei centri, il numero medio di procedure di base di Radiologia Interventistica eseguite in un anno oscilla tra 100 e 300 (24%), per quelle avanzate tra 100 e 500 (34%) . Solo il 3% (3 centri) delle unità di RI in Italia eseguono più di 3000 procedure di base e 3000 procedure avanzate (4 centri) in un anno. Quarantasette unità (39%) eseguono meno di 100 procedure di base e sei unità (5%) meno di 100 procedure avanzate in un anno. Sono stati esaminati campioni di procedure vascolari (arteriose e venose) e di procedure extra-vascolari. La maggior parte dei centri eseguono un vasto caso mix di procedure. Procedure interventistiche/anno Numero di procedure di base 0-20: 19 (16%) 20-50: 16 (13%) 50-100: 12 (10%) 100-300: 28 (24%) 300-600: 17 (14%) 600-1000: 11 (9%) 1000-3000: 7 (6%) 3000-6000 : 3 (3%) Numero di procedure avanzate 0-100: 6 (5%) 100-500: 39 (35%) 500-1000: 38 (32%) 1000-3000: 29 (24%) 3000-6000: 4 (3%) 286 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:278-290 Procedure IR prese in considerazione Vascolari arteriose: - TACE - Embolizzazioni - Fibrinolisi - EVAR - PTA\stenting carotide, vasi addominali o arti inferiori Vascolari venose: - Embolizzazione varicocele - Posizionamento filtri cavali - Trattamento fistole dialitiche - PTA Extra-vascolari: - Polmonari - Biliari - Osteo-articolari - Drenaggi Procedure arteriose eseguite in un anno TACE 0-50: 83 (70%) 50-100: 15 (13%) 100-150: 9 (8%) 150-200: 4 (3%) 200-300: 4 (3%) Piu’ di 300: 2 (2%) ND: 2 (2%) Embolizzazioni 0-50 : 75 (63%) 50-100: 20 (17%) 100-150: 11 (9%) 150-200: 6 (5%) 200-300: 2 (2%) Piu’ di 300: 3 (3%) ND: 2 2 (2%) Fibrinolisi 0-50: 105 (88%) 50-100: 9 (8%) 100-150: 2 (2%) Piu’ di 150: 1 (1%) ND: 2 (2%) PTA\stenting carotide 0-50: 106 (89%) 50-100: 7 (6%) 100-150: 2 (2%) Piu’ di 150: 2 (2%) ND: 2 (2%) EVAR 0-50: 103 (87%) 50-100: 10 (8%) 100-150: 4 (3%) ND: 2(2%) PTA\stenting vasi addominali 0-50: 108 (91%) 50-100: 7 (6%) Piu di 100: 1 (1%) ND: 3 (3%) PTA\stenting arti inferiori 0-50: 52 (44%) 50-100: 23 (19%) 100-150: 15 (13%) 150-200: 4 (3%) 200-400 : 15 (13%) 400-600: 5 (4%) Piu’ di 600: 3 (3%) Nd: 2 (2%) 287 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:278-290 Procedure vascolari venose in un anno Varicocele PTA 0-50: 89 (75%) 50-100: 20 (17%) 100-150: 5 (4%) Piu’ di 150: 3 (3%) ND: 2 (2%) 0-50: 101 (85%) 50-100: (98%) 100-150: 3 (3%) 150-1000: 3 (3%) Piu’ di 1000: 1 (1%) ND: 2 (2%) Posizionamentofiltricavali 0-20: 103 (87%) 20-40: 13 (11%) Piu’ di 40: 1 (2%) ND: 2 (1%) Trattamentofistoledialitiche 0-50: 108 (91%) 50-100: 7 (6%) Piu’ di 100: 2 (2%) ND: 2 (2%) Procedure extra-vascolari in un anno Polmonari 0-50: 90 (76%) 50-100: 9 (8%) 100-150: 5 (4%) 150-200: 4 (3%) 200-500: 8 (7%) Piu’ di 500: 1 (1%) Nd: 2 (2%) Biliari 0-50: 60 50% 50-100: 26 (22%) 100-150: 8 (7%) 150-200: 6 (5% ) 200-500: 13 (11%) Piu’ di 500: 3 (3%) Nd: 3 (3%) Urinarie 0-50: 77 (65%) 50-100: 15 (13%) 100-150: 7 (6%) 150-200: 7 (6%) 200-500: 9 (8%) Piu’ di 500: 1 (1%) Nd: 3 (3%) Epatiche 0-50: 81 (68%) 50-100: 17 (14%) 100-150:7 (6%) 150-200: 1 (1%) 200-500: 9 (8%) Piu’ di 500: 1 (1%) Nd: 3 (3%) Osteo-articolari 0-50: 896 (81%) 50-100: 9 (8%) 100-150: 5 (4%) 150-200: 2 (2%) 200-500: 3 (3%) Piu’ di 500: 1 (1%) Nd: 3 (3%) TIPSS (Transjugular Intrahepatic Porto-Systemic Shunt) 0: 105 (88%) 20-30: 2 (2%) Piu’ di 50: 2 (2%) Nd: 10 (8%) Drenaggio di raccolte 0-50: 80 (67%) 50-100: 17 (14%) 100-150:6 (5%) 150-200:4 (3%) 200-500: 6 (5%) Piu’ di 500: 1 (1%) Nd: 5 (4%) CVC (Central Venous Catether) 0: 97 (82%) 1-50: 1 (1%) 50-100: 2 (2%) 100-300: 2 (2%) Piu’ di 300: 2 (2%) Nd:15 (13%) 288 Attività di formazione La maggior parte delle unità di radiologia interventistica ha sviluppato attività di formazione per specializzandi, (57%) e tecnici (54%), meno della metà ha attività didattiche dedicate agli infermieri (40%). Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:278-290 Attività didattica Centri con attività didattiche rivolte agli specializzandi: 68 (57%) Centri con attività didattiche rivolte ai tecnici: 64 (54%) Centri con attività didattiche rivolte agli infermieri: 48 (40%) Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:278-290 Discussione Benchè non tutti i centri abbiano fornito risposte complete secondo criteri di uniformità e nonostante non ci sia verifica sulle dichiarazioni spontanee degli intervistati, questi dati permettono di avere un quadro sostanzialmente fedele ed aderente alla realtà nazionale. I dati estratti dalla campionatura delle procedure menzionate nella scheda censimento, relativamente ai 119 centri che hanno risposto all’indagine conoscitiva, rilevano un totale di 99.500 procedure interventistiche eseguite ogni anno nel nostro Paese. Si tratta ovviamente di dati orientativi perchè non 289 comprendono tutte le procedure (alcuni centri effettuano alcune anziché altre casomai non menzionate nella scheda) e perchè i 119 centri non sono tutta la realtà italiana. L’aspetto positivo è che la RI è ben diffusa sul territorio e non esistono zone prive di attività pur essendo presenti differenze nel numero di sezioni tra le diverse aree geografiche. Purtroppo in quasi la metà dei casi la RI è praticata da medici radiologi con competenze specifiche ma nel contesto di un’attività mista diagnostica e interventistica all’interno di una UOC, senza personale tecnico e infermieristico dedicato e senza un magazzino esclusivo. In circa la metà dei casi esiste una UOS o una UOD che sem- 290 bra essere il modello organizzativo ideale della RI a seconda del volume di attività. Le UOC di RI sono solo 11 e ci si augura possano aumentare nonostante l’ottica della riduzione delle UOC perseguita dalle politiche sanitarie regionali.Per quanto riguarda l’attività in urgenza sorprende come in molti centri non sia istituito (o istituibile) un servizio di pronta disponibilità notturna e festiva. La risposta più verosimile potrebbe essere l’esiguità del personale medico dedicato, o forse l’orientamento aziendale. L’aspetto positivo è che il 25% dei centri dispone di posti letto Day surgery/Day hospital dedicati, cosa del tutto inusuale in passato. La tendenza attuale delle amministrazioni è di istituire dei posti di one day surgery e pertanto i centri utilizzatori del letti senza ricovero notturno molto facilmente potranno accedere a quelli con ricovero di una notte. Ciò significa poter eseguire autonomamente circa il 90% dell’attività di Radiologia Interventistica. Sarebbe auspicabile che al più presto ogni centro di RI avesse a sua disposizione almeno l’accesso al day hospital\ daysurgery. Per quanto riguarda l’attività, anche se molti centri eseguono solo procedure di base, va rilevato comunque che Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:278-290 in molti centri si eseguono procedure complesse. Inoltre nonostante la dura competizione con la Chirurgia Vascolare e con la Cardiologia ,ad alta attività sia in pubblico che in convenzione, esistono moltissimi centri dove l’attività vascolare è presente. Purtroppo solo in circa il 50% dei centri si svolge attività didattica formativa. In conclusione l’indagine evidenzia una RI ben presente in Italia ma probabilmente poco uniformemente organizzata. Auspicabile sarebbe il disegno di una rete diffusa su tutto il territorio strutturata in centri collegati tra loro e di livello crescente con possibilità di passaggio dei pazienti da un centro all’altro laddove crescono le esigenze di alta specializzazione. Nessuna area regionale andrebbe lasciata priva di copertura assistenziale. Inoltre, laddove possibile, in mancanza di una UOC, sarebbe sempre auspicabile la presenza di UOS o UOD fornite di una minima autonomia in modo da poter conservare ed elevare quelle specificità tecnico-culturali e quell’ambiente tecnico organizzativo necessari a competere con le molteplici specialità che sempre più tendono ad appropriarsi di procedure imaging guidate. Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:291-301 RADIOLOGIA VASCOLARE E INTERVENTISTICA Consensus Conference: PTA - stent carotideo R. Iezzi1, N. Burdi2,G.Carrafiello3, A. Cotroneo4, A. Doriguzzi Breatta5, F. Fanelli6, A. Fileni7 R. Gandini8, L. Inglese9, R. Niola10, M. Pastore Trossello11, F. Pilato12, M. Puglioli13 F. Salvatore14, V. Villari15, F. Florio16 1 Dipartimento di Scienze Radiologiche, Istituto di Radiologia, Policlinico “A. Gemelli”, Università Cattolica del Sacro Cuore, L.go A Gemelli 8 00168 Roma, Italia 2 Dipartimento di Diagnostica per Immagini e Radioterapia, Struttura Semplice a valenza Dipartimentale di Radiologia Interventistica Presidio Ospedaliero “SS. Annunziata”, Taranto, Italia 3 Dipartimento di Radiologia, Università degli Studi dell’Insubria, Varese, Italia 4 Dipartimento di Neuroscienze e Bioimmagini, Sezione di Radiologia, Università “G. D’Annunzio”, Chieti, Italia 5 Dipartimento di Diagnostica per Immagini e Radioterapia, Istituto di Radiodiagnostica Universitaria, Città della Salute e della Scienza di Torino Presidio Molinette, Torino, Italia 6 Radiologia Vascolare ed Interventistica, Dipartimento di Scienze Radiologiche, “Sapienza” Università di Roma, Italia 7 UOC Diagnostica per Immagini Istituto Nazionale Malattie Infettive INMI-IRCCS “L. Spallanzani”, Roma, Italia 8 Istituto di Radiologia, Università “Tor Vergata”, Roma, Italia 9 Laboratorio di Emodinamica e Radiologia Cardiovascolare, IRCCS Policlinico San Donato, Milano, Italia 10 UOSC di Radiologia Vascolare e Interventistica, Dipartimento di Diagnostica per Immagini e Tecnologie Avanzate, AORN Cardarelli, Napoli, Italia 11 Neuroradiologia, Policlinico S.Orsala-Malpighi, Bologna, Italia 12 Dipartimento di Geriatria, Neuroscienze e Ortopedia, Area di Clinica Neurologica, Stroke Unit, Università Cattolica del Sacro Cuore Policlinico Universitario Agostino Gemelli, Roma, Italia 13 U.O. Neuroradiologia, Dipartimento di Radiodiagnostica, Radiologia Vascolare ed Interventistica e Medicina Nucleare Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, Pisa, Italia 14 Istituto di Radiologia, Policlinico “Umberto I”, Roma, Italia 15 U.O.C. di Radiologia Vascolare ed Interventistica, A.O.U. “San Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona”, Salerno, Italia 16 U.O.C. di Radiologia Interventistica, I.R.C.C.S. Ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”, San Giovanni Rotondo (FG), Italia Indirizzo Autore: R. Iezzi, Tel.: +39-06-30154977, Fax: +39-06-35501928, e-mail: [email protected], [email protected] Riassunto Il management dei pazienti con stenosi carotidee rappresenta da molti anni argomento di dibattito tra gli specialisti coinvolti nel trattamento di tale patologia, sin dall’introduzione dell’endoarterectomia carotidea (TEA) come opzione di scelta nel trattamento e prevenzione dello stroke, con il primo trial randomizzato multicentrico pubblicato nel 1968. Nell’ultimo ventennio, tuttavia, lo sviluppo di metodiche endovascolari mini-invasive, il perfezionamento del design degli stent carotidei e l’impiego di nuovi sistemi di protezione cerebrale, ha proposto il trattamento di stenting carotideo (CAS) come alternativa alla TEA. Tale evoluzione tecnologica e la disponibilità di nuovi presidi medico-chirurgici, ha in parte modificato le indicazioni al trattamento di pazienti con insufficienza cerebro-vascolare non embolica secondaria a patologia aterotrombotica carotidea, alla luce anche dei risultati di nuovi trial randomizzati comparativi tra le differenti opzioni terapeutiche. In queste linee guida sono discusse le indicazioni al trattamento endovascolare nei pazienti sintomatici o asintomatici, l’iter diagnostico necessario alla pianificazione di un corretto trattamento endovascolare, illustrando inoltre gli aspetti tecnici fondamentali al fine di ottimizzare la procedura, in termini di apparecchiature radiologiche, esperienza dell’operatore, scelta dei materiali e gestione farmacologica. Sono inoltre trattati gli aspetti medico-legali secondari alla compilazione di un corretto consenso informato da parte del paziente, illustrando inoltre quale follow-up possa permetterci di individuare precocemente la necessità di eventuale reintervento. Parole chiave Carotidi, Stenting, TEA, Linee Guida, AngioTC, angioRM, eco-color-Doppler Introduzione Lo stroke rappresenta la causa più frequente di mortalità e morbidità ed è la terza causa di morte nei paesi industrializzati con più di 700.000 nuovi casi/anno cone più di 160.000 morti/ anno stroke-relati (1). Il 20-40% degli ictus cerebrali è legato alla presenza di lesioni ateromasiche a livello delle carotidi nel tratto extracranico (2). Il management dei pazienti con stenosi carotidee rappresenta da molti anni argomento di dibattito tra gli specialisti coinvolti nel trattamento di tale patologia, sin dall’introduzione dell’endoarterectomia carotidea (TEA) come opzione di scelta nel trattamento e prevenzione dello stroke, con il primo trial randomizzato multicentrico pubblicato nel 1968 (3). Nell’ultimo ventennio, tuttavia, lo sviluppo di metodiche endovascolari mini-invasive, il perfezionamento del design degli stent carotidei e l’impiego di nuovi sistemi di protezione cerebrale, ha proposto il trattamento di stenting carotideo (CAS) come alternativa alla TEA. Tale evoluzione tecnologica e la disponibilità di nuovi presidi medico-chirurgici, ha in parte modificato le indicazioni al trattamento di pazienti con insufficienza cerebro-vascolare non embolica secondaria a patologia aterotrombotica carotidea, alla luce anche dei risultati di nuovi trial randomizzati 292 comparativi tra le differenti opzioni terapeutiche. Le seguenti linee guida della Sezione di Radiologia Vascolare ed Interventistica della SIRM sono il risultato di una consensus conference tenutasi durante il 13° Corso Interattivo “Gargano 2012”; si basano sull’evidenza scientifica degli ultimi anni e hanno l’obiettivo di proporre degli standard di comportamento comuni nell’indicazione al trattamento endovascolare di PTA/stenting in pazienti con patologia steno-ostruttiva carotidea, tenendo in considerazione l’impatto clinico ed il rapporto costo-beneficio delle diverse opzioni terapeutiche. Tali linee guida e raccomandazioni rappresentano la posizione ufficiale della Sezione di Radiologia Vascolare ed Interventistica della SIRM su tale argomento allo stato attuale e subiranno negli anni regolari modifiche basate su eventuali nuovi risultati scientifici della letteratura. Saranno discusse le indicazioni al trattamento endovascolare nei pazienti sintomatici o asintomatici, l’iter diagnostico necessario alla pianificazione di un corretto trattamento endovascolare, illustrando inoltre gli aspetti tecnici fondamentali al fine di ottimizzare la procedura, in termini di apparecchiature radiologiche, esperienza dell’operatore, scelta dei materiali e gestione farmacologica. Saranno inoltre discussi gli aspetti medico-legali secondari alla compilazione di un corretto consenso informato da parte del paziente, illustrando inoltre quale follow-up possa permetterci di individuare precocemente la necessità di eventuale reintervento. Le raccomandazioni espresse in tale documento sono state condivise da tutti gli specialisti coinvolti nella consensus. Sono caratterizzate da gradi di raccomandazione (1 o 2) in base alla qualità dell’evidenza scientifica (Grado 1: i benefici della procedura superano nettamente i “costi”, con alto grado di confidenza; Grado 2: benefici della procedura molto prossimi ai “costi” con decisione basata su specifici scenari clinici e presa “caso per caso”). Oltre al grado di raccomandazione, si associa il Livello di evidenza: A (alta qualità: studi randomizzati), B (moderata qualità: studi multicentrici non randomizzati, esperienze monocentriche su larga popolazione), C (bassa qualità: studi su piccole popolazioni, esperienze preliminari, case report). Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:291-301 restanti casi la causa può essere aterotrombotica o trombo-embolica da patologie cardiache, ed in particolare da fibrillazione atriale. In caso di patologia steno-ostruttiva, l’indicazione ad un trattamento non conservativo di rivascolarizzazione (TEA o Stenting) si basa sulla sintomatologia neurologica, sull’età del paziente, sulla presenza di eventuali comorbidità ed infine sull’aspettativa di vita. Risulta chiaro, pertanto, che la valutazione neurologica preliminare è fondamentale, consentendo di distinguere pazienti sintomatici ed asintomatici, individuare pazienti che necessitano di uno screening carotideo o una prevenzione primaria o secondaria in fase acuta o a lungo termine. ñ Una stenosi carotidea si definisce sintomatica se il paziente ha presentato sintomi clinici ascrivibili ad ischemia cerebrale (TIA o stroke) o retinica (amaurosi) omolaterali alla lesione nei 6 mesi precedenti. ñ Lo screening è raccomandato in tutti i pazienti sintomatici, data l’elevata incidenza di stenosi carotidee significative ed il ruolo della TEA nel ridurre il rischio di stroke (Grado 1, livello di evidenza A) . ñ Lo screening è inoltre raccomandato in pazienti con patologia vascolare periferica, indipendentemente dall’età, in pazienti >65 anni con uno o più fattori di rischio aterosclerotici o in pazienti da sottoporre a trattamenti chirurgici cardiaci (Grado 1, livello di evidenza A). ñ In tutti i pazienti con stenosi carotidea è indicata una prevenzione mirata al controllo dei fattori di rischio (ipertensione, ipercolesterolemia, tabagismo) al fine di ridurre il rischio cardiovascolare e di stroke (Grado 1, livello di evidenza A). ñ In pazienti asintomatici con stenosi carotidea è raccomandata una terapia antiaggregante per ridurre il rischio di morbilità cardiovascolare sebbene non sia dimostrata la sua efficacia nella prevenzione primaria dello stroke (Grado 1, livello di evidenza A). ñ In pazienti con stroke su base aterotrombotica non è indicato un trattamento medico con anticoagulanti (Grado 1, livello di evidenza B). ñ La terapia antiaggregante è raccomandata nella prevenzione secondaria dello stroke: ASA (100mg/die), ASA (75 mg/die) + dipiridamolo a rilascio prolungato (200 mg x 2/die) o Clopidogrel (75mg/die). L’associazione di ASA e Clopidogrel non si è dimostrata essere più efficace della monoterapia (Grado 1, livello di evidenza B) (8). Inquadramento clinico e prevenzione dell’ictus Lo stroke rappresenta la prima causa di disabilità fisica e la terza causa di morte nei paesi industrializzati (4). La mortalità secondaria a stroke è pari a circa il 10-30%, ma i restanti pazienti rimangono a rischio di eventi ischemici neurologici o cardiaci ricorrenti. Recentemente la diffusione della risonanza magnetica cerebrale ha permesso una più chiara differenziazione tra stroke e TIA. Il TIA (attacco ischemico transitorio ) è definito come un evento neurologico acuto di origine cerebrovascolare che si risolve entro 24 ore ma solitamente dura da pochi minuti a 1-2 ore. Il rischio di TIA o stroke aumenta con l’età, riconoscendo inoltre quali fattori di rischio l’ipertensione arteriosa, l’ipercolesterolemia, il tabagismo, il diabete, precedenti eventi cerebrovascolari, fibrillazione atriale e altre condizioni cardiache che incrementano i rischi di complicanze cardioemboliche. Nel 20% dei casi lo stroke riconosce un’eziologia aterotrombotica steno-ostruttiva carotidea mentre nei Iter diagnostico Nella valutazione dei pazienti con patologia steno-ostruttiva carotidea, la diagnostica per immagini ha il compito di identificare e quantificare il grado di stenosi, caratterizzare la struttura della placca (calcificazioni, trombosi, ulcerazioni), valutare le caratteristiche dell’arco aortico/origine dei tronchi epiaortici, identificare eventuali lesioni steno-ostruttive a monte o a valle (lesioni tandem) della biforcazione carotidea, escludere eventuali patologie malformative vascolari intracraniche, identificare la presenza di circoli di compenso intracranico oltre che fornire un’adeguata valutazione del parenchima cerebrale. Le metodiche utilizzate a tale scopo sono l’eco-color-Doppler (ECD), l’angioTC, l’angioRM e l’angiografia a sottrazione digitale (DSA). In particolare, l’Angio-TC ed Angio-RM, in 293 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:291-301 quanto metodiche non invasive, hanno routinariamente sostituito la DSA come metodica di II istanza nell’iter diagnostico della valutazione di pazienti con stenosi carotidea. Entrambe le metodiche sono in grado di fornire la quasi totalità delle informazioni, complementari a quelle fornite dall’ECD, necessarie alla pianificazione dell’intervento di rivascolarizzazione (TEA o stenting). Entrambe forniscono misurazioni oggettive e ripetibili sui diametri vasali ed informazioni sulle strutture anatomiche comprese nello studio (9). ñ L’ECD è da considerarsi la metodica di screening e di prima istanza nello studio del distretto vascolare della carotide extracranica, nei pazienti con sospetta stenosi carotidea, in quanto esame economico, non invasivo ed in grado di fornire informazioni di tipo sia morfologico (sede, estensione e spessore della placca, presenza di calcificazioni, calibro vasale residuo) che emodinamico (grado di stenosi, velocità di flusso nel lume vasale, ecc.), con sensibilità e specificità elevate (Grado 1, Livello di Evidenza A) (10-13). ñ L’ECD è poco indicato nella valutazione delle stenosi localizzate all’origine della carotide comune e nelle stenosi localizzate al di sopra della biforcazione, nella valutazione di placche calcifiche concentriche e nella valutazione di vasi tortuosi (Grado 1, Livello di Evidenza B) (14). ñ L’ECD è di scarsa utilità nella diagnosi differenziale tra occlusione e sub-occlusione, per i limiti della metodica nel campionamento di flussi molto lenti (14). Questo limite è in parte superato dall’utilizzo della tecnica power-doppler, sensibile alla densità di globuli rossi ed al volume ematico ed indipendente dalla velocità di flusso, nonchè dall’utilizzo di mezzo di contrasto ecografico (Grado 1, Livello di Evidenza B) (15-18). ñ Quando l’ECD non è diagnostico o evidenzia una stenosi di entità pari a 50-69% in pazienti asintomatici, è raccomandato il ricorso ad una metodica di seconda istanza (angioTC, angioRM, DSA) (Grado 1, Livello di evidenza B) (8). ñ L’utilizzo di angio-TC ed angio-RM andrebbe considerato qualora l’ECD non sia dirimente nell’indicazione al trattamento chirurgico/endovascolare, nelle condizioni in cui questa tecnica sia fortemente limitata e in previsione del trattamento per ottenere una mappa vascolare completa del distretto carotideo (Grado 1, Livello di evidenza B) (19). ñ L’Angio-TC è preferibile nella valutazione del lume residuo e nello studio della placca e nella valutazione delle steno-occlusioni, date le elevate sensibilità e specificità, inquanto indipendente dal flusso all’interno del vaso (Grado 1, Livello di evidenza B) (9, 20-24). ñ L’Angio-RM è da considerarsi nei casi in cui o l’angio-TC sia controindicata, come, ad esempio, nei pazienti con intolleranza/allergia nota allo iodio oppure nei pazienti giovani, con lunga aspettativa di vita (rischio radiazioni ionizzanti), in pazienti con presenza di device metallici nel tratto cervicale ed in presenza di vasi con grossolane e diffuse calcificazioni parietali (Grado 1, Livello di evidenza B) (9). La RM ha il vantaggio di poter meglio valutare il parenchima cerebrale, anche mediante l’utilizzo di sequenze DWI. ñ L’utilizzo di acquisizioni TC o sequenze RM perfusionali sembrerebbe avere un ruolo nella valutazione pre-trattamento del circolo intracranico e della vascolarizzazione cerebrale in termini di valore predittivo di rischio di com- plicanze ischemiche e/o emorragiche e nella valutazione post-trattamento in termini di “ridistribuzione” del circolo vascolare a valle dello stent. ñ La DSA con finalità diagnostiche è raccomandata solo nei casi in cui non sia possibile l’esecuzione di metodiche non invasive o in casi discordanti (Grado 1, Livello di evidenza B) (25). Indicazione al trattamento di rivascolarizzazione Trial randomizzati di confronto tra terapia medica e intervento chirurgico di TEA hanno dimostrato che la TEA è il trattamento di scelta per la prevenzione dello stroke per i pz sintomatici con stenosi > 50% (NASCET, ECST) e per i pz asintomatici con stenosi > 60% (ACAS; ACST) (26-29). In particolare, in caso di pazienti sintomatici con stenosi >70% trattati con TEA il tasso di riduzione del rischio di stroke o morte a 5 anni è risultato pari al 16%; non si è osservata riduzione del rischio in caso di stenosi <50% mentre i benefici sono risultati minimi in caso di stenosi compresa tra 50% e 69%. Nei pazienti asintomatici, i risultati dell’ACAS e dell’ACST indicano una riduzione assoluta del rischio di stroke e morte pari al 5.4% (6.4 vs 11.8%) in caso di pazienti con stenosi carotidee >80%, con benefici minimi in caso di stenosi comprese tra 60% e 79% (28-29). Allo stato dell’arto, non esistono trials randomizzati di confronto tra terapia medica e trattamento endovascolare di stenting carotideo. Nell’indicazione al trattamento di rivascolarizzazione va inoltre considerato il rischio procedurale, identificando pazienti ad alto rischio per TEA (Tabella I) o per PTA/Stenting (Tabella II) (30). Scelta del trattamento (TEA vs Stenting): Indicazioni nei Pazienti Sintomatici La scelta tra trattamento chirurgico (TEA) e trattamento endovascolare (PTA/Stenting) è una questione ancora aperta; sulla base delle evidenze emerse dai numerosi studi sull’argomento nell’ultimo ventennio si è assistito ad un progressivo allargamento delle indicazioni al trattamento endovascolare (26, 31). Nel 2004 la FDA ha infatti approvato il trattamento endovascolare in pazienti ad alto rischio (ARCHeR, SECuRITY, SAPPHIRE) e nel 2011 anche per pazienti a rischio standard (SPACE, EVA-35, ICSS, ACT I) (7-12, 32-38). ñ Il trattamento di rivascolarizzazione, indipendentemente dalla scelta, deve essere eseguito nell’arco di 2 settimane dall’esordio dei sintomi (Grado I, Livello di Evidenza B). ñ La TEA rappresenta il trattamento di riferimento per i pazienti sintomatici con stenosi carotidee significative e rischio procedurale “non-elevato”, alla luce della riduzione del tasso di stroke e mortalità periprocedurale (Grado 1, Livello di Evidenza B). I risultati del CREST indicano una possibile superiorità dello Stenting in caso di pazienti di età <70 anni. ñ Lo Stenting carotideo è preferibile alla TEA in caso di pazienti ad elevato rischio chirurgico (Grado 1, Livello di Evidenza A) ma deve essere eseguita da operatori esperti, in centri ad alto volume, con tasso di morbidità e mortalità <4-6%. ñ Nei pazienti a rischio chirurgico non-elevato lo Stenting può rappresentare una possibile alternativa alla TEA in centri ad alti volumi, con operatori esperti e documentato rischio procedurale di complicanza maggiore (decesso o stroke) <2%. 294 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:291-301 Tabella 1 Fattori che aumentano il rischio intraprocedurale identificando i pazienti ad alto rischio chirurgico per TEA Criteri Anatomici Comorbidità Lesioni alte cervicali (distalmente al soma di C2) o intratoraciche Età >80 aa Collo ostile chirurgico (biforcazione alta) Coronaropatia severa Stenosi post-attinica / Fibrosi post-chirurgica Scompenso cardiaco (NYHA III/IV) Occlusione della carotide interna controlaterale Angina instabile (CCS III/IV) Restenosi post-TEA Recente IMA (entro 30 giorni) Paralisi del nervo laringeo controlaterale Frazione di eiezione Ventr SN <30% Tracheostomia Severa patologia polmonare (BPCO di grado II) Severa patologia renale Tabella 2 Fattori che aumentano il rischio intraprocedurale identificando i pazienti ad alto rischio per PTA/Stenting Criteri Anatomici Comorbidità Anatomia sfavorevole (Arco aortico complesso, carotide comune e/o interna molto angolata/ tortuosa) Età >80 aa Difficoltosa valicazione della placca (placca concentrica calcifica) e posizionamento di device di protezione embolica distale Microangiopatia cerebrale e ridotta riserva vascolare Placca soft vulnerabile Coagulopatia Difficoltoso accesso vascolare insufficienza renale Scelta del trattamento (TEA vs Stenting): Indicazioni nei Pazienti Asintomatici Il trattamento di pazienti con stenosi carotidee asintomatiche è stato, ed è tuttora, oggetto di dibattito: la scelta va effettuata sulla base non solo del grado di stenosi, del rischio procedurale, ma anche dell’aspettativa di vita. ñ La TEA rappresenta il trattamento di riferimento, superiore alla terapia medica, per i pazienti asintomatici con stenosi carotidee >80% ed aspettativa di vita superiore ai 3-5 anni (Grado 1, Livello di Evidenza B) (8, 39-46). ñ Lo Stenting carotideo può essere considerato una valida alternativa alla TEA in caso di pazienti con stenosi carotidea >80% ad elevato rischio chirurgico (Grado 1, Livello di Evidenza A) ma deve essere eseguita da operatori esperti, in centri ad alto volume, con tasso di morbidità e mortalità <3% (40-51). ñ La terapia medica rappresenta il trattamento di riferimento per i pazienti asintomatici con stenosi carotidee <60% o aspettativa di vita inferiore ai 3 anni, indipendentemente dal grado di stenosi (Grado 1, Livello di Evidenza B). ñ Non esiste livello di evidenza scientifica ed uniformità di opinioni su quando e come trattare i pazienti con stenosi carotidea tra 60 e 80%: in questi pazienti la valutazione della stabilità o instabilità di placca, della riserva funzionale mediante SPECT, se adeguata o diminuita, l’aspettativa di vita (< o > 5 anni) e controlli più ravvicinati possono orientare la scelta terapeutica (terapia medica o rivascolarizzazione) (8, 47). Requisiti tecnico-procedurali per lo stenting carotideo Quale apparecchiatura radiologica? La digitalizzazione delle apparecchiature angiografiche consente di elaborare le immagini al fine di ottenere diverse modalità di visualizzazione, prime fra tutte il “road mapping” e la “rotational angiography”. La procedura di CAS può essere eseguita avvalendosi di qualsiasi apparecchiatura angiografica, ma la qualità diagnostica operativa si è dimostrata ottimale con apparecchiature digitali ad arco fisso e tecnologia “flat panel”, in cui l’utilizzo di un unico detettore digitale costituito da Ioduro di Cesio elimina i punti deboli dell’intensificatore di brillanza, ovvero la degradazione del segnale dell’immagine. La qualità diagnostica operativa può essere comunque buona anche con apparecchiature ad arco fisso senza tecnologia “flat panel”, mentre nel caso delle apparecchiature mobili, i fattori limitanti sono rappresentati dalla scarsa capacità di escursione dell’arco stesso e dall’essere TSRM-dipendenti. Le proiezioni necessarie per lo studio dei vasi epiaortici sono l’antero-posteriore con rotazione dell’arco di 45° per la valutazione dell’arco aortico, la proiezione obliqua laterale sinistra con rotazione del cranio di 20°-30° verso destra ed obliqua laterale destra con rotazione del capo verso sinistra per la valutazione delle biforcazioni carotidee, ed, infine, la proiezione antero-posteriore per lo studio del circolo intra- Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:291-301 cranico e del ritorno venoso, con cadenza di acquisizione delle immagini di 2-3 al secondo (52). ñ La procedura di PTA-Stenting carotideo deve essere eseguita in Sala Angiografica; risulta fondamentale la confidenza dell’operatore con le apparecchiature utilizzate, la conoscenza delle potenzialità della macchina con l’ottimizzazione delle sue possibilità, al fine di ottenere una qualità diagnostica operativa ottimale. Quale Esperienza dell’Operatore? La letteratura descrive l’impatto dell’esperienza dell’operatore e del numero di procedure trattate per centro (centri a basso o alto volume) nel ridurre il tasso di complicanze procedurali. Nel registro PRO-CAS, in cui sono incluse 5341 procedure, i centri con un numero annuo di procedure effettuate di stenting carotideo ≤50 si è registrato un tasso di complicanze annuo pari al 4.6% versus 2.9% di quelli con un numero >50. Inoltre, considerando l’esperienza complessiva, centri con un numero di stenting carotidei <50, 51-150 e >150 si è osservato un tasso di morte o stroke rispettivamente pari a 5.9, 4.5, e 3.0% (53). Nel CAVATAS (the CArotid and Vertebral Artery Transluminal Angioplasty Study), trial di confronto tra TEA e stenting, si è inoltre dimostrata una riduzione significativa di complicanze procedurali per lo stenting dall’11% per le prime 50 procedure effettuate sino al 4% per le successive (54). Simili risultati sono stati dimostrati anche nello SPACE (Stent-Protected Angioplasty versus Carotid Endarterectomy), in cui si è ottenuta una riduzione di complicanze dal 12.1% al 9.4% al 4.9% per centri con un volume rispettivamente < 20 pazienti, 20-24 pazienti o ≥25 pazienti trattati (34). Inoltre, tale aspetto sembra giustificare i risultati favorevoli per lo stenting emersi dal CREST in cui gli operatori partecipanti al trial avevano eseguito in media ≥ 30 stenting/anno; inoltre, in tale trial si è dimostrata una riduzione dei tassi di complicanze in base al numero di pazienti arruolati con un tasso pari a 0% per decessi o stroke maggiori nel secondo 50% dei pazienti arruolati (38). ñ Esiste un’evidenza scientifica che l’esperienza riduce il tasso di complicanze procedurali correlate allo stenting carotideo, secondaria sia alla miglior gestione tecnica della procedura che ad una migliore selezione dei pazienti. ñ I requisiti necessari al fine di ottenere un’adeguata competenza ed esperienza nell’esecuzione e gestione di tale procedura sono: un periodo di formazione in ambito neurologico (per la conoscenza della malattia e della sua evoluzione), avere eseguito 50 cateterismi selettivi periferici, aver posizionato 25 stent in distretti extra-carotidei, aver seguito corsi pratici sui materiali, aver seguito corsi pratici con casi live, aver eseguito programmi di training su simulatori, avere eseguito > 10 PTA-Stent carotidei senza complicanze in presenza di un supervisore, aver acquisito esperienza con le tecniche mono-rail e con i materiali utilizzati durante la procedura. Filtri di protezione cerebrale Il rischio più significativo, associato alla procedura di Stenting, nel trattamento delle stenosi carotidee, è rappresentato dal trombo-embolismo e l’introduzione dei Filtri di Protezio- 295 ne Cerebrale (FPC) è stata accolta come una possibile soluzione a tale problema (55-60). I Filtri di Protezione Cerebrale attualmente utilizzati sono di due tipologie: “a filtro distale” con filo guida solidale o filo guida indipendente, ed “a blocco di flusso”, con “inversione di flusso” e aspirazione di eventuali microemboli. I vantaggi e gli svantaggi di ciascun device impongono una loro perfetta conoscenza ed esperienza nell’utilizzo; in particolare, i filtri distali mantengono la perfusione cerebrale, sono di rapido utilizzo e non richiedono cateteri/introduttori portanti di ampio diametro. Tuttavia il loro corretto posizionamento comporta il superamento della stenosi in trattamento senza alcun sistema di protezione, sono difficilmente avanzabili in anatomie particolarmente tortuose e possono potenzialmente provocare danno intimale con conseguente spasmo carotideo o dissezione intimale. Con i sistemi a blocco di flusso si ottiene una protezione anti-embolica assoluta durante tutte le fasi della procedura; sono applicabili anche nei casi di stenosi carotidee coinvolgenti vasi caratterizzati da kinking/coiling severi e sono considerati obbligatori nel trattamento di stenosi soft con evidente trombosi. Tuttavia non sono applicabili su pazienti con circolo di Willis incompleto che risultano intolleranti all’occlusione, richiedono introduttori e cateteri portanti di maggior calibro e sono di difficile posizionamento in tronchi epiaortici tortuosi (8, 42, 55, 58, 61). I punti critici dei FPC sono diversi: innanzitutto la permeabilità dei filtri a materiale particolato di calibro < 60 µm riduce il rischio embolico ma non lo elimina completamente (filtri distali); la possibilità di produrre danno intimale “meccanico” durante l’avanzamento (spasmo e/o dissezione); l’impossibilità di utilizzare i sistemi “a blocco di flusso” nel 15% dei casi (per occlusione della carotide contro laterale e Willis incompleto) che determina una riduzione della perfusione cerebrale; il rischio di microembolizzazione in tutte le fasi della procedura, dalla diagnostica al ritiro del FPC; la loro sub-ottimale manovrabilità in anatomie particolarmente tortuose (36, 42, 57, 59, 62-63). In letteratura è stato riportato un outcome migliore nei pz trattati con FPC rispetto al corrispondente gruppo trattato senza sistemi di protezione, con un tasso di stroke a 30gg dell’1.2%, inferiore rispetto al 3.8% del secondo gruppo (64). Tali esperienze attribuiscono un’eziologia cardiaca all’incidenza di stroke e morte a 30gg nei pz trattati senza FPC ed è stato osservato che il loro impiego riduce in maniera significativa il tasso di complicanze trombo-emboliche, nonché l’incidenza di stroke post-procedurali (49, 55). Tuttavia nel trial randomizzato SPACE (Stent-Supported Percutaneous Angioplasty of the Carotid Artery versus Endarterectomy) che comparava CEA con CAS, non sono state individuate differenze statisticamente significative nell’incidenza di stroke ipsilaterale o morte tra il gruppo dei pazienti protetti e quello dei non protetti durante la procedura di stenting, pari al 7% (65). Macdonald S et al, nel Filter-protected versus unprotected carotid artery stenting: a randomised trial, ha riscontrato un maggior numero di nuove lesioni nelle sequenze RM-DWI eseguite a 24h e 30gg dalla procedura, nei pz trattati con CAS e device di protezione, rispetto ai pz non-protetti (66-68). ñ L’uso routinario dei Filtri di Protezione Cerebrale ha un impatto favorevole sui risultati clinici garantendo un migliore outcome nelle procedure di stenting carotideo, ri- 296 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:291-301 ducendo il rischio trombo-embolico (Grado 1; Livello di evidenza B) (49, 55-57). ñ Tuttavia, in alcune situazioni anatomiche complesse, in caso di stenosi lunghe post-coiling o in casi di difficoltà nel valicare la stenosi con il filtro, l’elevato rischio correlato di danno “meccanico” da avanzamento o embolia distale da manipolazione della placca, per i filtri di protezione distale, o l’incapacità di garantire un flusso cerebrale adeguato in pazienti con occlusioni carotidee controlaterali, per i filtri a “blocco di flusso”, rivela la necessità di procedere senza sistema di protezione (Grado 1; Livello di Evidenza B) (49, 62-63). ñ E’ necessario disporre di sistemi di protezione diversificati ed accumulare esperienza e confidenza con ognuno di essi; è fondamentale inoltre l’ottimizzazione del planning pre-operatorio e della tecnica di esecuzione dello stenting carotideo (35, 36, 49, 59, 60, 66). Quale stent? Gli obiettivi dello Stenting carotideo sono: ottenere un’adeguata ricanalizzazione del vaso, con un’adeguata copertura di placca, evitando il prolasso della stessa tra le maglie dello stent, rispettare l’anatomia vascolare originale e promuovere una fisiologica re-endotelializzazione dello stent. Il raggiungimento ed il rispetto di tali obiettivi consentono di ottenere una procedura con bassi tassi di complicanze trombo-emboliche nell’immediato e nel follow-up a lungo termine. Gli stent carotidei si differenziano per materiale (acciaio o nitinol), morfologia (cilindrici o conici) e, soprattutto, per struttura (a “celle chiuse” o a “celle aperte”) (69). Le differenti caratteristiche degli stent ne influenzano la conformabilita’/ flessibilità (capacità di conformarsi alla tortuosità vasale durante il posizionamento), l’adattabilità alla parete vasale (capacità di adattarsi all’anatomia della biforcazione carotidea/ parete vasale) e la capacità di copertura della placca (capacità di evitare il rischio di prolasso della placca tra le maglie dello stent) (Tab III, IV) (70). ñ Non vi è alcune evidenza scientifica che l’utilizzo di una tipologia di stent possa garantire un tasso inferiore di complicanze intra-periprocedurali (71). ñ Sulla base dell’esperienza dei partecipanti alla consensus si è ritenuto opportuno: 1. utilizzare uno stent “a celle chiuse” in caso di pazienti sintomatici con placca instabile fibro-lipidica al fine di favorire la copertura di placca con minor rischio di prolasso della placca intrastent e potenziale conseguente riduzione di aggregazione piastrinica causa di eventi trombo-embolici e aumentato tasso di restenosi; 2. utilizzare uno stent in nitinolo “a celle più chiuse possibili” o stent “a celle ibride” in caso di pazienti sintomatici con placca instabile fibro-lipidica ma con anatomia tortuosa, al fine di favorire la maggior conformabilita’/flessibilità e adattabilità alla parete vasale; 3. utilizzare uno stent “ a celle aperte” in caso di pazienti asintomatici con placca stabile o fibro-calcifica al fine di ottenere una minor copertura di placca e conseguente riduzione del traumatismo della stessa. ñ La post-dilatazione dello stent va eseguita in caso di stenosi residua >30% con cateteri da PTA a “basso profilo” e diametro variabile da 5 a 6 mm, in rapporto al calibro della carotide interna. Terapia farmacologica post-Stent È fondamentale che tutti gli operatori che eseguono procedure di Stenting carotideo siano a conoscenza delle indicazioni, dosaggi e scelta dei differenti farmaci da utilizzare nelle fasi pre/ intra/post-procedurale. Le indicazioni farmacologiche per lo Stenting seguono quelle stabilite anche per la TEA. Esse riguardano la necessità di controllare farmacologicamente prima e durante la procedura i fattori di rischio cardiovascolari, intraprendere una terapia antiaggregante e anticoagulante, oltre che consentire un controllo intra-post procedurale della pressione arteriosa. Infine, bisogna conoscere i farmaci necessari per controllare/trattare eventuali complicanze intra-procedurali. ñ Il management pre-trattamento di pazienti candidati ad intervento di rivascolarizzazione carotidea consiste nel controllo della pressione arteriosa (140/80), della frequenza cardiaca (FC 60-80), con eventuale utilizzo di farmaci b-bloccanti e della colesterolemia (LDL 100mg/dL), con eventuale utilizzo di statine (Grade 1, Livello di Evidenza B). ñ In fase pre-procedurale, la doppia terapia antiaggregante Tabella 3 Stent “a celle aperte” Caratteristiche Vivexx Precise Protege Exponent Zilver Acculink Flessibilità +++ +++ +++ ++ +++ +++ Adattabilità +++ +++ +++ ++ ++ +++ Accorciamento + + + + + + Copertura Placca + + + + + + Scaffolding + + + + + + Forza Radiale ++ ++ ++ ++ ++ ++ Profilo +++ +++ +++ ++ ++ ++ Flessibilità Device +++ ++ ++ ++ ++ ++ Precisione Rilascio ++ ++ ++ ++ ++ +++ 297 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:291-301 Tabella 4 Stent “a celle chiuse” Caratteristiche Carotid Wallstent X-Act Next Stent Cristallo Ideale Flessibilità + + + +++ Adattabilità ++ ++ ++ +++ Accorciamento ++++ + + + Copertura Placca +++ +++ +++ +++ Scaffolding ++ +++ ++ +++ Forza Radiale +++ +++ +++ +++ Profilo + + + ++ Flessibilità Device ++ ++ ++ ++ Precisione Rilascio + +++ ++ ++ ñ ñ ñ ñ ñ è risultata efficace con aspirina (75 – 160 mg/die) + clopidogrel (75 mg/die, con preload di 300 mg 24 ore prima della procedura), oppure aspirina (75 – 160 mg/die) + ticlopidina (250 mg 2 volte/die nei 7 gg precedenti). Va iniziata 3 giorni prima del trattamento. Dopo la procedura si somministra clopidogrel (75 mg/die) o ticlopidina (500 mg/die) per 1 mese + aspirina (75 – 160 mg/die) per tutta la vita. La terapia di associazione tra aspirina e clopidogrel si è dimostrata superiore rispetto all’associazione tra aspirina e ticlopidina (Grado 1, Livello di Evidenza C). Prima del cateterismo carotideo, in fase intra-procedurale, si somministra eparina non-frazionata (UHF) da 70 a 100 UI/ Kg con l’obiettivo di ottenere un ACT di 250-300 secondi durante il trattamento. L’eparina a basso peso molecolare può essere somministrata anche post-CAS in casi a rischio di trombosi intrastent (Grado 1, Livello di Evidenza C). La reazione vaso-vagale post-stimolazione dei barocettori del seno carotideo può essere presente nel 19-68% dei casi con conseguente bradicardia/asistolia. Al fine di prevenire o ridurre la severità di tale evento è utile somministrare 1 minuto prima della dilatazione dello stent 0.5-1mg di Atropina. Lo spasmo arterioso, reazione dell’intima alla manipolazione con guide e/o filtro di protezione, solitamente è transitorio, risolvendosi spontaneamente in pochi minuti, dopo la rimozione del device. Se persiste, si può infondere trans catetere nitroglicerina 100-200mg; va evitato comunque il suo trattamento mediante PTA/stenting. In caso di evento trombo-embolico intraprocedurale bisogna eseguire un cateterismo superselettivo intracerebrale sino in prossimità dell’embolo e infondere farmaci transcatetere quali agenti litici (rtPA) e/o agenti antiaggreganti (inibitori GPIIbIIIa: abxicimab – Reopro; Tirofiban – Aggrastat; Eptifibatide – Integrilin); possono inoltre essere utilizzati device da disostruzione/rimozione meccanica o stent per bail-out. In caso di sindrome da riperfusione/iper-perfusione con possibile emorragia cerebrale bisogna controllare la pressione arteriosa, l’ACT (utilizzando la protamina se >200secondi), utilizzare farmaci anti-epilettici ed eventuali anti-edemigeni – vasodilatatori (7-8). Consenso informato Nelle pratiche interventisiche il consenso informato (CI) del Paziente è ineludibile. La Mancanza del CI è considerata, a prescindere, come una fonte di colpa. Il CI deve essere conforme agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione Italiana, all’articolo 5 del DL 28 marzo 2001 n.145 ed agli articoli 33 e 35 del Codice Deontologico Medico. E’ obbligatorio che il CI sia firmato dall’avente diritto, cioè il Paziente stesso o il Suo Tutore legale al momento della procedura, e ottenuto dal Radiologo che effettua l’indagine, che lo controfirma, almeno 24 ore prima dell’intervento e con la firma di un testimone. Il Radiologo che esegue la procedura deve a sua volta assicurarsi che esso venga inserito nella cartella clinica e conservato con essa. Nel CI devono essere riportate le finalità terapeutiche, i limiti tecnici della procedura, i rischi insiti nella stessa e nell’uso di farmaci e del mezzo di contrasto (mdc), le possibili complicanze (prevedibili ma non prevenibili) e le eventuali opzioni terapeutiche alternative. Se una determinata procedura interventistica determina un rischio peculiare è preferibile utilizzare uno specifico consenso relativo alla procedura stessa. In alternativa, è utilizzabile il modulo di CI omnicomprensivo per tutte le procedure interventistiche (Tabella III). ñ Il consenso informato è ineludibile. ñ Nel consenso devono essere riportate le finalità terapeutiche, i limiti tecnici della procedura, i rischi insiti nella stessa e nell’uso di farmaci e MDC, le possibili complicanze e l’eventuale opzione terapeutica alternativa. Il consenso viene firmato dal paziente e ottenuto dal Radiologo che effettua l’indagine, che lo controfirma, almeno 24 ore prima dell’intervento e con la firma di un testimone. Follow-up post-stenting L’imaging nel follow-up ha l’obiettivo di documentare eventuali restenosi intrastent, oltre che monitorare l’eventuale evoluzione della patologia carotidea controlaterale. La metodica d’imaging più idonea nel follow-up post-stenting è l’eco-color-Doppler (ECD), che definisce il grado di eventuale 298 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:291-301 Tabella 5 Requisiti Consenso Informato Procedure Interventistiche CONSENSO INFORMATO OMNICOMPRENSIVO PER PROCEDURE INTERVENTISTICHE Motivazione clinica all’esame e/o alla procedura, finalità e nome del radiologo che eseguirà la procedura stessa Dichiarazione di comprensione da parte del paziente di quanto esposto verbalmente e/o per iscritto da parte del medico Accettazione dei rischi concernenti l’utilizzo di farmaci, del mdc e delle radiazioni ionizzanti Informazioni sui benefici attesi, sulle possibili complicanze da cause note e/o ignote, sugli eventi prevedibili ma non prevenibili, legati alla procedura, ai materiali impiegati e allo stato clinico del paziente Un elenco delle procedure ed atti medici, interni ed esterni alla struttura, alternativi alla procedura proposta Accettazione dei rischi generici e specifici della procedura interventistica in quanto ben compresi Accettazione del possibile cambiamento in corsa della procedura, per motivi clinici imprevisti, nel caso non sia possibile la sottoscrizione di un ulteriore modulo di CI per le condizioni del Paziente Consapevolezza sulla non garanzia assoluta dell’ottenimento dei risultati attesi Eventuale nome del testimone presente al colloquio informativo Accettazione consapevole e informata Firma del paziente e del medico radiologo con data ravvicinata all’esame Negazione stato di gravidanza di donne in età fertile restenosi sulla base della velocità di flusso (>50-80%: PSV > 220 cm/s; >80%: PSV >340 cm/s) (72-75). Si ricorre a metodiche di seconda istanza in caso di reperto ECD dubbio o positivo, al fine di pianificare il successivo ritrattamento (76). L’angioTC appare superiore all’angioRM data la capacità di valutare le caratteristiche strutturali dello stent posizionato, al fine di evidenziare eventuali fratture. ñ Non vi sono evidenze scientifiche riguardo il timing del follow-up. Alla luce della non-invasività della metodica, si consiglia controllo ECD a 30 giorni e successivamente a 6 e 12 mesi dal trattamento (Grado 2; Livello di Evidenza C). Re-intervento In letteratura è riportato un tasso di restenosi/ostruzione post-stenting pari a circa il 3% (77-78). Tale restenosi appare prevalentemente sostenuta da iperplasia intimale mentre rara appare la correlazione con fratture dello stent (79-80). Nel lavoro di Lal et al. viene illustrata una possibile classificazione dei pattern di restenosi intra-stent che può avere implicazione nella definizione del possibile trattamento eseguibile: I: restenosi focale in sede distale; II: restenosi focale intrastent; III: restenosi intrastent diffusa; IV: restenosi proliferativa diffusa; V: occlusione completa (81). ñ Il trattamento può essere eseguito per via endovascolare (PTA convenzionale; PTA con “cutting-balloon”; PTA con posizionamento di nuovo stent, in caso di rottura/frattura dello stent precedentemente posizionato) o per via chirurgica open (Endoarterectomia con rimozione chirurgica dello stent; by-pass chirurgico) (82). Il ritrattamento è indicato in caso di restenosi > 80% in pazienti asintomatici o >50% in pazienti sintomatici (Grado 1, Livello di evidenza B) (82-83). ñ Non vi è evidenza scientifica sul trattamento ideale delle restenosi in quanto le differenti tecniche mostrano, allo stato attuale, possibilità terapeutiche e rischi di complicanze sovrapponibili. Il ricorso alla terapia chirurgica appare comunque indicato solo in casi selezionati, non trattabili con successo per via endovascolare. (Grado 2; Livello di Evidenza C) (84). Conclusioni L’evoluzione tecnologica degli ultimi anni consente di affermare che la procedura di stenting carotideo può rappresentare una valida alternativa alla TEA. Al fine di offrire una procedura sicura ed efficace è fondamentale, tuttavia, che tutti gli operatori esecutori di tali procedure abbiano un background adeguato riguardo le indicazioni, l’imaging pre e post-procedurale, la tecnica di esecuzione ed i presidi farmacologici da utilizzare routinariamente ed in caso di complicanze intra-periprocedurali. Risulta inoltre fondamentale acquisire un’adeguata esperienza procedurale, ricordando l’importanza di aspetti medico-legali correlati al consenso informato del paziente. L’utilizzo di nuove tecnologie e soprattutto i risultati di nuovi trials potranno sicuramente ampliare ulteriormente le indicazioni a tali procedure, fungendo da guida per una revisione futura di tale documento. 299 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:291-301 BIBLIOGRAFIA 1. Brott TG, Halperin JL, Abbara et al. 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Radiologia (Pad 1,2), Vice-direttore Dipartimento Malattie Apparato Digerente e Medicina Interna Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, Policlinico S.Orsola-Malpighi, Via Albertoni 15, 40138 Bologna, Italia Indirizzo Autore: R. Golfieri, Tel.: +39-051-6362311, Seg.: +39-051-6362307, Fax: +39-051-6362699, e-mail: [email protected] Hanno preso parte alla Consensus: Agresti Paolo, Apollonio Biagio Francesco, Arpesani Roberto, Assegnati Guido, Balzano Silverio, Bargellini Irene, Basile Antonio, Bevere Teresa, Bristogiannis Christos, Candelari Roberto, Castellucci Franca, Ciccarese Giovanni, Citone Michele, De Rosa Fabrizio, De Santis Mario, Dell’Atti Cristian, Delle Vergini Ludovico, Di Chiacchio Giuseppe, Di Giambattista Guido, Doriguzzi Breatta Andrea, Falcone Michele, Fiore Francesco, Florio Francesco, Fonio Paolo, Fucilli Fabio, Gabrielli Daniela, Giordano Aldo Victor, Gravina Matteo, Guazzaroni Marco, Iurilli Vincenzo, Labella Luigi, Larini Pietro, Lauriola Walter, Limbucci Nicola, Lombardi Giulio, Magnano, Vincenzo, Marano Giuseppe, Marcello Roberto, Marcia Stefano, Mazza Ernesto, Molfese Vito, Mondaini Francesco, Natali Gian Luigi, Naturali Anna Grazia, Pieri Stefano, Quinto Fabio, Rosa Alessandro, Rossi Giuseppe, Sallei Manuela, Santoro Marco, Maria Grazia, Sicignano Carmine, Sion Monica, Sponza Massimo, Strizzi Vincenzo, Tricarico Luigi, Vezzaro Roberto Riassunto Il percorso di stadiazione e l’indicazione al trattamento dell’epatocarcinoma devono essere scelti poiché ritenuti i più omogenei ed efficaci rispetto alle condizioni generali del paziente. Numerose linee guida sono applicate dai maggiori centri di riferimento Europei, Asiatici e Nordamericani e, nel nostro paese, di recente sono state emanate le raccomandazioni dell’AISF (Associazione Italiana per lo Studio del Fegato) per la gestione integrata del paziente con Epatocarcinoma. La presente revisione riassume la posizione assunta dalla comunità di esperti Nazionali riunitasi in occasione del Congresso Gargano 2012 in merito alla stadiazione ed al trattamento dell’HCC nei diversi stadi, alla luce delle linee guida e delle raccomandazioni vigenti. Parole chiave Epatocarcinoma, HCC, terapie ablative percutanee, chemioembolizzazione ed anatomo-patologi, considerando anche le risorse economiche disponibili. In questo ambito di patologia sono presenti numerose linee guida internazionali e nazionali ben codificate ed accettate universalmente, che tuttavia contengono alcune aree grigie di imprecisione. Le linee guida di riferimento per la gestione dell’epatocarcinoma (HCC), emanate nel 2010 dall’Associazione Americana per lo Studio del Fegato (AASLD) [1], sovrapponibili a quelle del 2012 dell’Associazione Europea per lo Studio del Fegato (EASL)- condivise dall’Organizzazione Europea per la Ricerca e il Trattamento del Cancro (EORTC) [2] e le raccomandazioni del 2012 dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (AISF) [3] si basano sul sistema di diagnosi, stadiazione e stratificazione prognostico-terapeutica (linee guida EASL-BCLC) esposto in Tabella 1 [4]. Queste includono lo stadio del tumore, il grado di compromissione epatica (Classe di Child-Pugh) e le condizioni generali del paziente (Performance Status: PS) e in conformità a questi parametri distinguono 5 stadi, per ognuno dei quali viene indicato il trattamento di scelta. Introduzione La scelta terapeutica (o la combinazione terapeutica) migliore di fronte ad un paziente con sospetto o diagnosi di epatocarcinoma (HCC) è spesso problematica e deve essere basata sia sulle caratteristiche cliniche generali del paziente sia sullo stadio raggiunto dal tumore al momento della diagnosi. Molteplici sono le procedure a disposizione tra cui scegliere, sia di tipo chirurgico (resezione, trapianto), sia ablative percutanee con differenti tecnologie, sia intrarteriosi con numerose opzioni, oltre che farmacologiche. Lo spettro di procedure endovascolari include la TAE, la cTACE, la DEB-TACE, e la TARE, senza chiare e condivise evidenze di superiorità dell’una rispetto all’altra in termini di sopravvivenza, ma con differenze di costi procedurali. Il percorso di stadiazione e l’indicazione al trattamento devono essere scelti in quanto ritenuti i più omogenei ed efficaci rispetto alle condizioni generali del paziente. Per questo è particolarmente importante che le indicazioni vengano condivise da parte di un gruppo multidisciplinare, comprendente epatologi, chirurghi, chirurghi trapiantologi, radiologi, radiologi interventisti, ecografisti Tabella 1 Sistema di stadiazione secondo Barcelona Clinic Liver Cancer (BCLC) per il paziente con HCC (4) 303 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:302-309 Tabella 2 Pazienti a rischio di sviluppo di HCC candidati alla sorveglianza per la diagnosi precoce del tumore ñ Pazienti con cirrosi in classe A o B di Child-Pugh (livello evidenza 2b, grado raccomandazione B) ñ Pazienti con cirrosi in classe C di Child-Pugh in attesa di trapianto di fegato (livello evidenza 5, grado raccomandazione D) ñ Pazienti non-cirrotici con epatite cronica o malattia inattiva HBV e viremia >10000 copie /ml (livello di evidenza 1b, grado di raccomandazione A per gli orientali; (livello evidenza 3b, grado raccomandazione B per gli occidentali) ñ Pazienti non-cirrotici con epatite cronica HCV e fibrosi epatica ≥ F3 secondo la classificazione Metavir (o ≥10 Kpa all’elastografia [Fibroscan®]) (livello evidenza 3b, grado raccomandazione B per pazienti asiatici; livello evidenza 5, grado raccomandazione D per pazienti occidentali) ñ Pazienti non-cirrotici con epatite cronica HCV ed almeno uno dei seguenti fattori addizionali di rischio: età ≥ 55 anni se maschi o ≥ 65 anni se femmine, storia familiare di HCC, co-infezione HBV e/o HIV, abuso alcolico, α 1-fetoproteina elevata, diabete, obesità (livello evidenza 5, grado raccomandazione D). ñ Pazienti con epatite cronica HBV o HCV, anche se trattati con successo (viremia negativa a 6 mesi dal termine del trattamento), ma con almeno uno dei seguenti fattori addizionali di rischio: età ≥ 55 anni se maschi o ≥ 65 anni se femmine, storia familiare di HCC, abuso alcolico, α1-fetoproteina elevata, diabete/obesità, fibrosi epatica F3-F4 Metavir pre-trattamento, ridotta conta piastrinica pretrattamento (livello evidenza 5, grado raccomandazione D) Nota bene: condizione essenziale per tutte le categorie di pazienti sopra elencate è quella di non presentare controindicazioni al trattamento radicale o palliativo efficace dell’HCC. Le raccomandazioni AISF differiscono dalle precedenti solo nell’inclusione del PS 0-1 nei primi tre stadi (0, A e B). Negli stadi very early ed early (0 e A) la prima scelta è la resezione o il trapianto. Per i pazienti non suscettibili di chirurgia, viene indicata l’ablazione locale mediante Radiofrequenza (RF) la cui efficacia è diametro-dipendente, con migliori risposte nei noduli <2 cm. Nello stadio intermedio (B) la TACE/DEB-TACE superselettiva è la terapia raccomandata. Il Sorafenib è raccomandato come terapia di prima linea nel paziente in stadio avanzato (C) con conservata funzione epatica (Classe A di Child-Pugh) ed è impiegabile anche nello stadio intermedio, nei casi in cui la TACE abbia fallito. Screening e prima diagnosi di lesione I pazienti a rischio di sviluppare un HCC dovrebbero essere inseriti in programmi di sorveglianza per la diagnosi precoce del tumore. Lo scopo della sorveglianza è di diagnosticare l’HCC con diametro <2 cm, quando il rischio di invasione microvascolare e di lesioni satelliti è ancora molto basso. L’utilità della sorveglianza è stata dimostrata da un solo trial randomizzato, condotto in pazienti con epatite cronica B (5), controllati con US + AFP ogni sei mesi, che ha identificato un maggior numero di HCC rispetto al braccio di controllo, riducendo del 37% la mortalità specifica per tumore. Un accettabile rapporto costo/efficacia della sorveglianza dipende dalla frequenza di malattia/rischio di sviluppo di HCC, che viene raggiunto per un’incidenza di HCC minima annua dello 0.2% dei casi con epatite cronica e dell’1.5% nei pazienti cirrotici (perché la cirrosi compete con il tumore per la mortalità): un adeguato rapporto costo/efficacia viene quindi raggiunto da tutti i pazienti con cirrosi e da alcune categorie di pazienti con epatite cronica da HBV ed HCV [1]. La sorveglianza dei pazienti con cirrosi avanzata (classe C di Child-Pugh) e non inseriti nella lista d’attesa per trapianto di fegato non comporta un significativo miglioramento della sopravvivenza [6]. Sulla base di questi elementi sono considerati meritevoli di sorveglianza le categorie di pazienti elencate nella Tabella 2. La sorveglianza deve essere eseguita solo con ecografia (sensibilità 63%) con intervallo di 6 mesi tra i controlli, effettuata da operatori esperti. L’aggiunta del dosaggio dell’AFP eleverebbe solo del 6-8% la sensibilità a fronte di costi più elevati e falsi positivi, mentre controlli più ravvicinati (tre mesi) aumenterebbero il costo, senza aumentare la sopravvivenza. Lo scopo della sorveglianza è quello di diagnosticare l’HCC con diametro <2 cm, quando il rischio di invasione microvascolare e di lesioni satelliti è ancora molto basso. Dopo il riscontro di un HCC, le linee guida Europee (2) raccomandano comportamenti diversi a seconda delle dimensioni (Tabella 3) Le raccomandazioni italiane AISF (3) propongono un algoritmo (Tabella 4) che si differenzia, nel caso di riscontro di nodulo < 1cm o atipico, per l’inclusione dell’ecografia con mezzo di contrasto (CEUS) tra le metodiche diagnostiche e per la sorveglianza trimestrale (anzichè semestrale o trimestrale, a scelta del clinico) durante i primi 12 mesi. La diagnosi non-invasiva di HCC si basa sull’aspetto tipico alle Tabella 3 Algoritmo diagnostico e strategie di richiamo secondo le linee guida EASL (2) e AASLD (1) 304 metodiche contrastografiche di imaging dinamico (TC, RM o CEUS), rappresentato da un iper-enhancement (wash-in) in fase arteriosa, seguita da ipo-enhancement in fase portale o tardiva(washout). Le linee guida AASLD ed EASL raccomandano in modo indifferente la TC o la RM, malgrado un’ampia letteratura dimostri la superiorità della RM rispetto alla TC, soprattutto per le lesioni <2 cm, specie dopo l’introduzione dei mdc RM epatospecifici. Le linee guida AISF raccomandano: Se disponibile, ogni indagine diagnostica precedente deve essere rivista da un radiologo esperto presso l’istituto dove il paziente sarà gestito. In caso contrario, l’indagine diagnostica appropriata dev’essere ripetuta. La RM Multifasica con mdc epatospecifico può fornire ulteriori informazioni per la diagnosi di HCC ed è superiore alla TC per la stadiazione intraepatica del tumore. La stadiazione intraepatica dell’HCC dovrebbe essere valutata mediante RM ogni volta che il paziente è un potenziale candidato a trattamenti chirurgici o ablativi, in quanto questa tecnica è più accurata, anche se più costosa, della TC. La TC può essere preferita quando la disponibilità della RM può ritardare la diagnosi e la stadiazione o se i risultati della RM possono essere influenzati da limitazioni tecniche. La stadiazione dell’HCC dovrebbe includere una TC del torace quando il paziente è un candidato alla chirurgia o l’HCC è oltre i criteri di Milano. In quest’ultimo caso, una TC toraco-addominale potrebbe essere il metodo più conveniente per la valutazione dell’estensione tumorale. Tuttavia, nei candidati alla resezione con HCC <2 cm, la TC del torace non è obbligatoria a causa della bassissima probabilità di diffusione extra-epatica. Tabella 4 Algoritmo diagnostico secondo le raccomandazioni AISF (3) per nodulo ≥ 1 cm rilevato durante la sorveglianza ecografica nel paziente con cirrosi HCC in stadio very early ed early (Stadi 0-A) Resezione e trapianto La resezione è ritenuta la terapia di scelta per l’HCC singolo <5 cm in fegato ben compensato (MELD ≤10): le raccomandazioni AISF suggeriscono di valutare per resezione anche le lesioni singole >5 cm (fino a 10-15 cm), sulla base di evi- Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:302-309 denze della letteratura che riportano dopo resezione sopravvivenze a 5 anni attorno al 45% [7,8]. In presenza di ipertensione portale (IP), classe di Child-Pugh B, iperbilirubinemia, MELD ≥8-10 e di multinodularità è indispensabile una decisione terapeutica multidisciplinare per l’opzione chirurgica, che dovrà tenere conto del numero e della localizzazione dei noduli, e dell’estensione della resezione necessaria per una radicalità, per minimizzare il rischio di scompenso epatico post-operatorio. Solide evidenze dimostrano che la resezione epatica può essere effettuata con successo, e con sopravvivenze a 5 anni attorno al 38-40%, anche in pazienti con IP e lesioni epatiche multiple, purché adeguatamente selezionati e in centri di elevata specializzazione [9]. Anche nei casi di HCC con trombosi portale limitata a rami portali di II e III ordine e che non raggiunge il carrefour, vengono riportate sopravvivenze del 20- 30% a 5 anni [10-12]. La resezione rappresenta anche l’approccio terapeutico di elezione nell’HCC insorto in paziente non cirrotico, che presenta sovente un tumore di grosse dimensioni (mediamente intorno agli 8 cm) ma tollera ampie mutilazioni chirurgiche del parenchima epatico [13]. La tecnica di resezione per via laparoscopica è ormai diffusa in diverse istituzioni di alta specialità: nel cirrotico, rispetto all’approccio tradizionale, ottiene la stessa radicalità oncologica con una minore morbilità e minori costi. Il trapianto di fegato è la prima scelta terapeutica per i pazienti in stadio early, entro i criteri di Milano (CM) e con cirrosi scompensata. La cirrosi scompensata limita/impedisce la resezione, l’ablazione e la TACE, mentre, dal punto di vista prognostico, il trapianto risente poco della funzione epatica ed è quindi la terapia di scelta. Al contrario, il guadagno in termini di sopravvivenza del trapianto nel paziente non scompensato è molto basso rispetto alla resezione, anche se il paziente ha un HCC entro i CM [14]. Nel paziente con HCC singolo ≤2 cm (T1) e con MELD ≤ 15 i trattamenti alternativi al trapianto (resezione ed ablazione) permettono di ottenere sopravvivenze a 5 anni molto vicine a quelle del trapianto, rendendo quindi disponibili organi per i pazienti con indicazioni non neoplastiche al trapianto. Il trapianto può essere considerato come seconda linea dopo la resezione o l’ablazione quando queste abbiano fallito o il paziente abbia recidivato o evolva verso lo scompenso. Il trapianto può essere considerato anche in pazienti con tumore in stadio intermedio (BCLC B) oltre i CM: questi pazienti dovrebbero essere valutati presso centri trapianto che adottino “criteri allargati” o che si avvalgano di protocolli di downstaging. I criteri del “metroticket” (valutazione anatomo-patologica e radiologica che stima la sopravvivenza post-trapianto dei malati trapiantati oltre i CM) è di valido ausilio per la selezione dei candidati al trapianto oltre i CM, considerando che oggi la soglia accettabile di sopravvivenza a 5 anni dopo trapianto è del 50%, indipendentemente dall’indicazione al trapianto [15]. Ablazioni percutanee Per tutte le lesioni trattabili in sicurezza, la tecnica ablativa preferibile è la RF, per maggiore prevedibilità di efficacia rispetto all’alcolizzazione (PEI): alcune meta-analisi di RCT dimostrano che la RF è superiore in termini sia di recidiva locale, sia di sopravvivenza [16-19]. Tuttavia, le controindicazioni all’uso della RF, per rischio di complicanza o anche di minor efficacia (es. in sede pericolecistica o periilare: circa 305 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:302-309 10-15% dei casi), sono più frequenti che per la PEI; la PEI è pertanto indicata come alternativa quando la RF non è tecnicamente eseguibile. Nei tumori ≤2 cm entrambe le tecniche ottengono comunque risposte complete in oltre il 90% dei casi. In dettaglio: ñ per lo stadio very early (nodulo singolo≤2 cm) la RF è un trattamento di prima linea (se la sede è idonea), in quanto, rispetto alla resezione, è gravata da tassi di morbilità e mortalità, durata del ricovero e spese sanitarie inferiori, a fronte di sopravvivenze sovrapponibili [20]; ñ per lo stadio early (nodulo singolo >2 cm e <5 cm, o fino a 3 noduli <3 cm) l’ablazione percutanea è la prima opzione terapeutica solo nei pazienti non candidabili a resezione o trapianto, in Child-Pugh A: in questo stadio la resezione chirurgica ha dimostrato migliori sopravvivenze e minori recidive rispetto alla RF [21,22]. In realtà, le raccomandazioni AISF suggeriscono che, per il nodulo tra 2 e 3 cm, la scelta fra resezione e RF sia valutata in modo interdisciplinare caso per caso. Per il nodulo >3 cm, ove possibile, si propone che la scelta venga indirizzata verso la resezione; nel paziente non resecabile, è ragionevole considerare l’impiego di trattamenti radiologici combinati/sequenziali (TACE + RF o PEI o MWA) [23]. Indipendentemente dalle dimensioni del tumore, qualora non si sia ottenuta una necrosi completa con tecnica ablativa e il paziente sia candidabile alla resezione, va proposta la rimozione chirurgica della neoplasia. Nei pazienti non resecabili e non trattabili con ablazione percutanea (per scarsa visibilità ecografica, contiguità con visceri cavi) va considerato l’impiego di un approccio video-laparoscopico, da effettuarsi presso Centri esperti. L’ablazione con microonde (MWA) si sta diffondendo nella pratica clinica, dimostrando ottimi profili di sicurezza ed efficacia: rispetto alla RF, i risultati sarebbero meno condizionati dalla prossimità della lesione ai vasi e potrebbero essere trattati in modo più efficace lesioni >3 cm <5 cm [24]. Nell’unico studio clinico randomizzato disponibile, la MWA ha dimostrato, rispetto alla RF, un’equivalenza terapeutica, ottenuta, però, con un maggior numero di sessioni di trattamento [25]. HCC in Stadio intermedio (Stadio B) Per questo stadio, la terapia raccomandata da tutte le linee guida è la chemioembolizzazione (TACE) tradizionale (iniezione di una miscela di chemioterapico e Lipiodol, seguito da embolizzazione) o DEB-TACE (microsfere embolizzanti permanenti caricate con Doxorubicina) effettuate con modalità superselettiva. Tuttavia lo schema di ripetizione del trattamento non è univoco (alcuni effettuano la ripetizione del trattamento ad intervalli prestabiliti ed altri “a la demande”): non vi sono studi prospettici che supportino l’impiego preferenziale di una di queste due strategie. Le raccomandazioni AISF suggeriscono che la ripetizione della TACE non sia opportuna in assenza di evidenza radiologica di attività residua neoplastica, stanti i rischi ed i costi della procedura ed il suo possibile impatto sulla funzione epatica e la qualità di vita del paziente. Le raccomandazioni AISF raccomandano di ripetere la procedura “a la demande”, cioè al rilievo di persistenza o ricomparsa della malattia neoplastica durante la sorveglianza radiologica. Tabella 5 Algoritmo decisionale riguardante la ripetizione della TACE in relazione alla risposta tumorale nell’HCC in stadio intermedio. * percorso valido per ogni seduta di TACE ** in caso di cTACE è preferibile RM, in quanto l’accumulo di lipiodol può “mascherare” un’attività residua di malattia alla TC # risposta al trattamento definita secondo i criteri RECIST modificati (mRECIST). CR: risposta completa; PR: risposta parziale; SD: malattia stabile (si intende nessuna modificazione favore Trattamenti intrarteriosi TACE convenzionale (cTACE) Viene eseguita di norma con dosi di 75 mg di Farmorubicina miscelata con 10-15 ml di Lipiodol seguita da embolizzazione con Spongel, somministrati in modalità superselettiva mediante microcatetere. Il Lipiodol non è solo un veicolo per il farmaco ma è anche un materiale embolizzante dotato di plasticità tale da raggiungere le vene di drenaggio dell’HCC, inducendo necrosi intra- e peritumorale. I migliori candidati sono l’HCC singolo <5 cm, unilobare o multinodulare con numero di noduli <5. La TACE, se effettuata con tecnica selettiva/superselettiva, ottiene una necrosi completa della lesione trattata in più della metà dei noduli fino a 5 cm ed in circa il 90% di quelli fino a 3 cm [3]. La TACE trova indicazione: a) nei pazienti in stadio intermedio con classe di Child-Pugh A o B7, in lesioni di diametro fino a 8 cm.; b) nei pazienti con HCC in stadio early esclusi da chirurgia o ablazione, come terapia neoadiuvante prima del trapianto o in caso di residuo di malattia dopo ablazione [19,26]. La cTACE come neoadiuvante pre-trapianto è efficace a contenere la malattia nei pazienti in lista d’attesa e sembra efficace nel prevenire le recidive post-trapianto nei malati in cui si sia ottenuta una necrosi completa dopo TACE. E’ raccomandato di non superare il trattamento di 2 segmenti per seduta. La presenza di trombosi portale periferica, segmentaria, prossima alla massa neoplastica, non è una controindicazione assoluta alla TACE, utilizzata in combinazione con la terapia sistemica prevista per la malattia con invasione vascolare (BCLC stadio C). 306 Embolizzazione senza chemioterapico (TAE) È stata dimostrata, da tempo, la scarsa efficacia del Lipiodol come carrier, poiché il picco di concentrazione plasmatica di chemioterapico legato al Lipiodol è analogo a quello ottenibile dopo somministrazione endovenosa [27]: quindi, se il chemioterapico ha distribuzione sistemica, la sua efficacia come aggiunta all’embolizzazione è questionabile. Uno studio istologico sui fegati espiantati [28] dopo DEB-TACE con particelle di grosso calibro (100-300 μm) ha dimostrato che solo la metà delle particelle occludevano i vasi neoplastici, mentre le restanti rimanevano nei vasi alla periferia del tumore: ciò dimostra che un’importante variabile, oltre alla selettività del trattamento, è il calibro delle particelle capace di influenzare la loro penetrazione nei capillari neoplastici. Uno studio sperimentale [29] ha confermato che particelle di minor calibro (70-150 μm) penetrano più profondamente nel tessuto target con una maggiore densità spaziale e conseguente diffusione più omogenea del farmaco. In uno dei due studi randomizzati del 2002 che dimostrarono la superiorità, in termini di sopravvivenza, della cTACE rispetto al placebo, venne valutata anche la TAE che non risultò vantaggiosa rispetto al placebo [30]. Al contrario, una meta-analisi ha dimostrato l’utilità, rispetto al non trattamento, sia della cTACE che della TAE [31], non trovando differenze significative fra le due tecniche. In una successiva metanalisi, comprendente 3 studi randomizzati, la superiorità della cTACE rispetto alla TAE risultava ai limiti della significatività statistica (P=0.052) [32]. Pertanto, in assenza di studi randomizzati primariamente disegnati e sufficientemente dimensionati per confrontare TACE e TAE, evidenze indirette suggerirebbero l’assenza di differenze significative, in termini di sopravvivenza, tra le due tecniche. Un recente studio comparativo tra DEB-TACE e TAE [33] non dimostra differenze in sopravvivenza. Da una rivalutazione dei dati storici della letteratura si osserva un guadagno in sopravvivenza dopo l’avvento delle particelle calibrate, indipendentemente dall’aggiunta del farmaco. Recenti dati sulla risposta dopo TAE con particelle 40 e 100 μm riportano il 58% di risposte obiettive (CR+PR) ed il 74% di controllo di malattia [34]. Pertanto, l’efficacia della TAE è condizionata dall’impiego di particelle molto piccole, attorno a 40 μm, con range dimensionale omogeneo, senza superare il limite inferiore di 25μm. La TAE è tecnica meno costosa della DEB-TACE e non richiede preparazione in farmacia. Da quanto detto, si evidenzia la necessità di comparare cTACE versus TAE con particelle molto piccole (40μm), e, successivamente, TAE 40 μm con DEB-TACE 40μm, per valutare la reale efficacia dell’aggiunta del farmaco. Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:302-309 CE: studi recenti di fase II [39,40] riportano sopravvivenze a 1 e 5 anni molto promettenti, ma sostanzialmente comparabili con quelle riportate con cTACE [41,42]. Gli studi disponibili di confronto diretto tra i due metodi hanno fornito risultati contrastanti. Un piccolo studio documenta una maggiore sopravvivenza dei pazienti sottoposti a DEB-TACE rispetto a quelli trattati con cTACE [43] ed un altro [44] una necrosi maggiore dopo DEB-TACE, verificata su fegati espiantati. Lo studio europeo multicentrico randomizzato PRECISION V ha rilevato, mediante valutazione post-hoc, che la DEB-TACE è più efficace delle cTACE, in termini di risposta radiologica, solo in alcuni sottogruppi di pazienti più “fragili” identificati da una o più delle seguenti caratteristiche: classe di Child-Pugh B, Eastern Cooperative Oncology Group (ECOG) stadio 1, malattia bilobare e patologia recidivata [45]. La DEB-TACE ha il vantaggio di essere metodica più standardizzata, di presentare più raramente la sindrome post-embolizzazione, che risulta di minore severità, con un minore incremento delle transaminasi. Pertanto, la DEB-TACE sembrerebbe preferibile alla cTACE quando la cirrosi è più avanzata, nel paziente in classe Child-Pugh B e/o con PS ≥1, (per i suoi effetti collaterali più lievi) o come II° trattamento dopo fallimento della cTACE. L’unico studio prospettico randomizzato, Italiano, [46] non ha dimostrato alcun vantaggio tra cTACE e DEB-TACE in termini di recidiva tumorale e sopravvivenza a sei mesi. Un altro studio italiano retrospettivo di Coorte [47] ha dimostrato una migliore sopravvivenza dopo cTACE (mediana 46 mesi verso 19 mesi per DEB-TACE -p < 0.0001) ed un prolungato Time to Progression (30 mesi verso 16 mesi per DEB-TACE: p = 0.003), senza differenze in tossicità. Pertanto, sono necessarie ulteriori conferme per proporre l’uso preferenziale della DEB-TACE nella pratica clinica. E’ suggeribile l’uso delle particelle più piccole disponibili al momento (70-100 μm) caricate con un massimo di 100 mg di Doxorubicina per fiala. La frontiera futura sarà la valutazione delle particelle ancora più piccole (40-150 μm). L’uso del microcatetere è indispensabile per ottenere il massimo di selettività e per evitare di alterare il flusso, e per distribuire al meglio le particelle. Se si può eseguire un trattamento superselettivo (da 1 a 3 segmenti) si possono anche trattare due lobi nella stessa seduta. Se invece dev’essere trattato tutto il lobo destro per la presenza di noduli in ogni segmento, si raccomanda di eseguire la DEB-TACE in 2 sessioni, mentre il lobo sinistro può essere trattato interamente nella medesima seduta. Trattamenti combinati Drug-eluting beads -TACE (DEB-TACE) La DEB-TACE ha presupposti teorici promettenti: impiega particelle embolizzanti permanenti che vengono caricate con Doxorubicina e ne garantiscono un lento ed omogeneo rilascio nella lesione – bersaglio: ciò consente una maggiore concentrazione locale di farmaco con minor picco di concentrazione plasmatica rispetto alla cTACE, riducendo gli effetti tossici sistemici. Studi di fase I/II e di coorte hanno dimostrato un’efficacia promettente e bassa tossicità [38-38]. Tuttavia, non c’è ad oggi alcuna dimostrazione di un beneficio in termini di sopravvivenza nell’uso della DEB-TACE rispetto alla cTA- Le linee guida AASLD/EASL-EORTC non forniscono indicazioni sui trattamenti combinati locoregionali. Il trattamento locoregionale combinato e/o sequenziale (TACE + ablazione percutanea) offre vantaggi rispetto all’uso di una singola tecnica, aumentando la risposta tumorale, ampliando il volume di necrosi tumorale ottenibile ed è quindi indicata nelle lesioni >3 cm e <8 cm [48]. La significatività statistica per quanto attiene alla sopravvivenza a favore della terapia combinata è stata raggiunta con una meta-analisi che ha raccolto 199 casi [49]. Un’ulteriore metanalisi recente [23] ha dimostrato che la TACE associata alla RF/PEI per le lesioni >3cm è superiore alla sola ablazione o alla sola TACE 307 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:302-309 in termini di sopravvivenza a 1, 2 e 3 anni. Purtroppo le metanalisi non riescono ad analizzare e rendere omogenei i dati riguardanti la funzionalità epatica, la numerosità delle lesioni e non precisano la sequenzialità del trattamento. In alcuni casi gli studi analizzati difettano in randomizzazione, follow-up e non sono in doppio cieco. Pertanto, le raccomandazioni AISF, pur esprimendo un parere favorevole al trattamento combinato, suggeriscono che la decisione di utilizzare trattamenti locoregionali combinati deve sempre essere assunta in modo multidisciplinare e proposta su base individuale [19]. La TACE combinata a RF/MWA viene eseguita nel 68% dei Centri Italiani, con le seguenti indicazioni: lesioni di grosse dimensioni (2.5-6 cm), ipovascolari o in sedi difficili per le tecniche ablative. in stadio intermedio (B) scarsamente candidabile alla TACE per tumore grande, multifocale o ipovascolare (con presumibile scarsa risposta alla TACE) o in cui la TACE ha fallito o nello stadio avanzato (C) localmente, con trombosi portale neoplastica segmentaria o di branca, nell’ambito di studi clinici prospettici. I dati della letteratura esistente dimostrano nell’HCC con trombosi portale segmentaria e/o lobare una sopravvivenza dopo TARE non significativamente diversa da quella in pazienti esenti da trombosi portale, che sembrerebbe comparabile a quella ottenibile con sorafenib [53-55]: la conferma di tale dato deriverà dai risultati degli studi prospettici randomizzati-controllati in corso. HCC in stadio avanzato (C) Radioembolizzazione (TARE) La TARE prevede l’iniezione di microsfere (di resina o vetro) radiomarcate con Ittrio90, provocando la necrosi tumorale non attraverso l’ischemia ma attraverso una radioterapia locale, potenziata o meno all’ischemia. Le linee guida AASLD, EASL-EORTC ed AISF considerano la TARE dotata di buon effetto tumoricida e con un accettabile profilo di rischio. Tuttavia, poiché il suo impatto sulla sopravvivenza non è stato ancora stabilito, non viene raccomandata come terapia standard dell’HCC intermedio (B) o avanzato (C), al di fuori di studi clinici controllati. Due studi di coorte hanno documentato l’equivalenza terapeutica fra cTACE e TARE in termini di sopravvivenza globale e tossicità nel paziente con HCC non resecabile [50,51]. Un recente studio su ampia casistica ha dimostrato minori effetti tossici sistemici e un tempo di progressione tumorale (TTP) migliore con TARE rispetto a TACE: tale studio pertanto suggerirebbe un suo impiego nei pazienti anziani, per i minori effetti tossici, e nel downstaging pre-trapianto, in quanto il TTP più lungo potrebbe ridurre il dropout dalla lista d’attesa per progressione tumorale [52]. La TARE ha indicazione nel paziente L’unico trattamento dimostratosi, fino ad oggi, capace di prolungare significativamente la sopravvivenza del paziente con HCC avanzato e in classe Child-Pugh A (rispetto al placebo) è la terapia sistemica con bersaglio molecolare basata sulla somministrazione orale di sorafenib [3]. Sono in corso studi di comparazione tra sorafenib e Radioembolizzazione nell’HCC localmente avanzato con trombosi neoplastica portale. Terapie dell’HCC: il censimento italiano del 2012 Nel 2011 in Italia sono state eseguite 8959 procedure interventistiche per HCC in 78 centri (20 dei quali sedi di Centri Trapianto). La TACE è stata il trattamento più frequente (n=5176 procedure/anno, con differenti modalità: nel 57% DEB-TACE, nel 32% TACE tradizionale, nel 5% TAE e nel 5% semplici infusioni di Lipiodol/farmaco) seguita da: RF (n=1751), PEI (n=578), MWA (n=414) e TARE (n=222). La TACE è stata effettuata nel 28% nel tumore in stadio Early (A), nel 59.2% in stadio Intermedio (B) e nel 12.8% nello stadio Avanzato (C). Circa nell’11% dei pazienti trattati con TACE, in 28/78 centri (35.9%), è stato associato Sorafenib, per una risposta incompleta dopo TACE o in lesioni complesse. BIBLIOGRAFIA 1. Bruix J, Sherman M. AASLD PRACTICE GUIDELINE 2010. Management of hepatocellular carcinoma: an update. Hepatology 2011;53:1020-2. AK, et al. EASL Panel of Experts on HCC. Clinical management of hepatocellular carcinoma. Conclusions of the Barcelona-2000 EASL conference. European Association for the Study of the Liver. J Hepatol 2001;35:421–430. very large (>or=10 cm) hepatocellular carcinoma. J Gastrointest Surg 2007;11:589-95. 8. Yang LY, Fang F, Ou DP, et al. Solitary large hepatocellular carcinoma: a specific subtype of hepatocellular carcinoma with good outcome after hepatic resection. Ann Surg 2009;249:118-23. 2. 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Rossato10 1 Radiologia Diagnostica e Interventistica Ospedale San Gerardo Monza Università “G. d’Annunzio” Dipartimento di Neuroscienze e Imaging, Sezione di Imaging integrato e Terapie Radiologiche, Chieti 3 Rianimazione Dipartimento di Emergenza e Accettazione AORN Cardarelli, Napoli 4 Università degli Studi di Torino Facoltà di Medicina e Chirurgia Dipartimento di Discipline Medico-Chirurgiche Sezione di Radiodiagnostica, Azienda Ospedaliera Città della Salute e della Scienza di Torino Presidio Molinette Radiodiagnostica U 5 Chirurgia Azienda Ospedaliera, Papa Giovanni XXIII Bergamo 6 UOSC di Radiologia Vascolare e Interventistica Dipartimento di Diagnostica per Immagini e Tecnologie Avanzate AORN Cardarelli Napoli 7 Diagnostica per Immagini, Imaging Molecolare, Radiologia Interventisica e Radioterapia, Policlinico Universitario “Tor Vergata” Roma 8 Radiologia Interventistica A.O. Niguarda Ca’Granda, Milano 9 Ortopedia Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII Bergamo 10 Università degli Studi di Torino, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Dipartimento di Discipline Medico-Chirurgiche, Sezione di Radiodiagnostica 2 Il trauma pelvico è di tipo complesso, quasi mai isolato, coesistono infatti, frequentemente, traumi associati della testa, del torace e dell’addome e ogni politraumatizzato deve essere considerato affetto da trauma pelvico sino a prova contraria. Riveste estrema importanza la cosiddetta “golden hour” durante la quale verrà determinato “the next course of the action”, come riassunto dalle seguenti parole: the emergency physician and trauma surgeon must determine the next course of action: to the operating room for laparotomy versus retro /preperitoneal packing for stabilization and/or to the angiography suite for embolization. (1) Epidemiologia e costi sociali L’etiologia dei traumi pelvici riconosce meccanismi quali: incidente stradale nel 60 – 75 % e precisamente con autoveicoli nel 45 %, con motoveicoli nel 15%, da pedoni nel 40 %. Consideriamo inoltre le cadute dall’alto nel 20 – 30 % così come le cadute da cavallo, il crush ad altri meccanismi che incidono per il 5 – 10 %. Le fratture pelviche sono associate ad un’elevata mortalità e morbidità. Nonostante i progressi fatti in emergenza, in radiologia,in chirurgia e in terapia intensiva che hanno migliorato la sopravvivenza durante la decade scorsa, la mortalità e la morbilità sono tuttora molto elevate. (1) L’incidenza di fratture pelviche è stimata intorno a 23\100000 persone per anno: la severità della lesione può variare da un trauma minore ad uno ad elevata energia che causa la morte nella preospedalizzazione (sulla scena). I pazienti con instabilità emodinamica costituiscono un gruppo ad elevato rischio con una mortalità del 37,2%. L’emorragia associata alle fratture pelviche contribuisce moltissimo alla mortalità di questi pazienti. (2,3,4,5) Le fratture pelviche esitano nell’instabilità emodinamica dal 5 al 20% dei pazienti ed è riportata una percentuale di mortalità compresa tra il 18 e il 40% (6) Gli indici predittivi di mortalità nei traumi pelvici vanno valutati precocemente nel corso del trattamento per essere considerati utili. La morte che sopraggiunge a 24 ore dal trauma è spesso il risultato di una perdita ematica acuta mentre la morte dopo le 24 ore è causata da una deficienza multiorgano (MOF). Il miglioramento della sopravvivenza dipenderà dall’evoluzione di un controllo precoce dell’emorragia nonché dalle strategie rianimatorie in pazienti ad alto rischio di mortalità. (7) L’obiettivo prioritario nei pazienti con frattura complessa del bacino è quello di riportarli in condizioni di stabilità emodinamica. Infatti nel trauma complesso del bacino,in condizioni di shock la mortalità è del 42%, senza condizioni di shock la mortalità scende al 3.4% (8) In uno studio americano (9) dove veniva esaminata una popolazione pediatrica ( poi comparata con un gruppo di controllo di popolazione adulta) le lesioni delle ossa lunghe e del bacino erano correlate a traumi della strada e comportavano un costo totale di ospedalizzazione nettamente superiore a quello relativo a fratture degli arti superiori; inoltre, nella popolazione adulta venivano presi in considerazione, non soltanto i costi del periodo di ospedalizzazione ,ma anche quelli della riabilitazione nei 6 mesi successivi; l’importo per lesioni degli arti superiori veniva stimato intorno ai $7788, mentre quello relativo alle fratture del bacino e delle ossa lunghe intorno ai $31,310. Uno studio simile è stato eseguito anche in Svezia con risultati sovrapponibili in termini di costi sociali anche se lo studio si è basato su fratture di tipo non traumatico. (10) Se si considerano gli enormi costi legati anche al reinserimento nella vita sociale soprattutto dei pazienti giovani, si comprende l’elevato carico socioeconomico e politico legato a tali traumi. Inquadramento clinico e problematiche rianimatorie “La strada ed il retroperitoneo sono spazi infiniti”: tale aforisma riguarda la gestione iniziale integrata negli algoritmi di management del politraumatizzato. Il target consiste nel collegare il più precocemente possibile il sanguinamento ad una lesione retroperitoneale accessibile ad un atto di emo- Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:310-317 stasi,senza sottovalutare gli altri eventuali fattori emorragici intratoracici,intraperitoneali e degli arti, vale a dire che …il tempo che perdiamo non deve essere “tempo perso”. Tutti i lavori sono concordi nel trattare il traumatizzato secondo i criteri dell’ATLS :tuttavia il modello di classificazione dello shock in 4 classi proposto dall’ATLS non sempre riflette la realtà. Talora i parametri di pazienti con progressiva perdita di sangue corrispondente ad un livello 4 di shock possono non discostarsi molto dalla norma. Spesso si tratta di pazienti giovani,con buone riserve fisiologiche. L’adeguatezza dell’output cardiaco non può essere dedotta dalla sola pressione arteriosa ,il cosiddetto “criptic shock “ è una condizione associata ad aumentata mortalità (11) Il “ damage control resuscitation “prevede un minor volume di cristalloidi somministrati nel Dipartimento di Emergenza,con “permissive hypotension,hypovolemic resuscitation”, finchè il controllo dell’emorragia non venga ottenuto o venga ritenuto non necessario. In questo caso il target non è rappresentato dalla normotensione ,ma da una pressione arteriosa che garantisca la “cerebration” nel paziente sveglio ,o una pressione sistolica di 70-80 mmHg nel trauma penetrante e 90 mmHg nel trauma chiuso. Una “fluid resuscitation” con grossi volumi aumenta la pressione arteriosa, aumentando le forze idrostatiche sul coagulo appena formatosi; diluisce i fattori della coagulazione e l’emoglobina,riduce la temperatura,determinando un aumento della perdita ematica. (12) . Per quanto riguarda la gestione del sanguinamento nel trauma maggiore ,nel 2005 è stata creata una task force multidisciplinare, allo scopo di sviluppare linee-guida per il trattamento del sanguinamento nel trauma grave , nel 2007 è stata pubblicata la prima versione di dette linee guida e nel 2010 vi è stato un aggiornamento delle linee guida, prevalentemente nel campo della coagulazione (13). Precisamente, il target è quello di raggiungere una pressione arteriosa sistolica di 80-100mmHg fino all’arresto del sanguinamento nella fase iniziale di rianimazione, nel traumatizzato senza lesione cerebrale. Il tipo di fluidi raccomandati sono inizialmente i cristalloidi con l’eventuale utilizzo di soluzioni ipertoniche durante l’approccio iniziale. L’aggiunta di colloidi dovrebbe essere considerata entro i dosaggi prescritti per ogni tipo di soluzione,nei pazienti altamente instabili. Il target di emoglobina si assesta intorno ai 7-9 g/l . Almeno un terzo di tutti i pazienti emorragici presenta una coagulopatia in atto all’ammissione in Ospedale con una probabilità significativamente aumentata di sviluppare una sindrome multi organo (MOF) rispetto a pazienti con lesioni di gravità simile che non hanno sviluppato coagulopatia . La coagulopatia riconosce una genesi multifattoriale con shock che dà ipoperfusione , con lesioni tissutali estese , attivazione della formazione di trombina e attivazione delle cascate anticoagulanti e fibrinolitiche, successiva acidosi con disfunzione delle proteasi plasmatiche con iperfibrinogenolisi , ipotermia ,consumo di fattori della coagulazione ed emodiluizione . Il monitoraggio ed il supporto terapeutico alla coagulazione vanno iniziati il prima possibile: infatti, iI monitoraggio precoce permette di cogliere la coagulopatia nella fase iniziale e aiuta a definirne le cause,inclusa la eventuale fibrinolisi. L’intervento terapeutico precoce ed aggressivo può migliorare la prognosi. (14) Importante è la somministrazione precoce di plasma fresco congelato (PFC) che è fonte di fi- 311 brinogeno(0.5gr/unità) e dei fattori della coagulazione in dose elevata(1 0-15ml/KG) senza attendere i risultati di laboratorio. Sebbene il corretto rapporto plasma\emazie sia ancora in discussione,(1:1-1:3)sembra che l’incremento di tale rapporto determini consistenti benefici prognostici. Il plasma prima dell’utilizzo deve essere scongelato ,richiede cross match , ha un rapido deterioramento quando è scongelato, per cui non è possibile la pronta disponibilità nelle frigo-emoteche dei Pronto Soccorso ,a differenza del sangue zero negativo . La disponibilità non è al di sotto di 30-40 minuti,e nella media dei Centri giunge anche a 90 minuti . Per quanto riguarda la coagulopatia da trauma:nei pazienti che assumono anticoagulanti orali l’uso del PFC è raccomandato solo se non è disponibile immediatamente il complesso protrombinico concentrato. La somministrazione di calcio ionizzato > 0.9 mmol/l e piastrine>50 x 109/l è da considerare in caso di trauma cranico e/o sanguinamento massivo da lesioni multiple in dosi di 100x109/l La dose iniziale suggerita è di 4-8 sacche o una sacca da aferesi . Durante la trasfusione massiva il fibrinogeno può essere uno dei primi fattori a diminuire in maniera critica. L’utilizzo di fibrinogeno e crioprecipitato è raccomandato se il sanguinamento è accompagnato da segni tromboelastomerici di deficit funzionale del fibrinogeno o se i livelli plasmatici di fibrinogeno sono inferiori a 1,5-2 gr/l La dose iniziale suggerita di fibrinogeno concentrato è di 3-4 gr o 50mg/Kg Ulteriori dosi vengono somministrate in base ai dati di laboratorio . Lo studio C.R.A.S.H. -2_(Clinic Randomisation of an Antifibrinolityc in Significant Haemorrage 2) prevede una randomizzazione placebo, vi sono coinvolti 274 Ospedali , 40 Paesi,e 20211 pazienti. Prevede la somministrazione di una dose carico di 1gr acido tranexamico in 10 minuti ,seguito da una infusione di 1gr in otto ore. La mortalità,indipendentemente dalla tipologia del trauma è risultata significativamente ridotta nel gruppo trattato con acido tranexamico, senza incremento di eventi trombotici vascolari a dosi di 0-15mg/ Kg seguita da infusione di 1-5mg/Kg/ora; la terapia è guidata dal tromboelastogramma e interrotta a sanguinamento controllato. La misura dei lattati e il deficit di basi è raccomandata come stima e monitoraggio sensibile della gravità del sanguinamento e dello shock. La rapida e marcata riduzione dei lattati è un indicatore affidabile di buona risposta al trattamento nel pazienti in shock. Un valore di lattati che rimane elevato oltre le prime 24 ore si correla ad una elevata probabilità di morte. E’ raccomandata la monitorizzazione di INR,PTT,Fibrinogeno e piastrine. INR e PT non dovrebbero essere utilizzati da soli nella guida della terapia emostatica ma è consigliato l’uso del tromboelastogramma al fine di una valutazione delle caratteristiche della coagulopatia,guidando così la terapia emostatica. Qualche accenno va fatto al protocollo di trasfusione massiva :è importante individuare le modalità con cui può essere sviluppato nelle singole realtà ospedaliere interfacciandosi con il team pre-ospedaliero con possibile attivazione del protocollo dal luogo dell’incidente , con pronta disponibilità di sangue zero negativo e rapido invio di prelievi .Vi è necessità di un automatismo nella preparazione delle quantità di sangue e PFC successive,fino alla richiesta di sospensione del protocollo di attivazione (15) 312 La diagnostica per immagini La radiografia diretta del bacino è in molti casi l’esame radiologico eseguito in prima istanza in quei pazienti che, per motivi di reale instabilità emodinamica, non possono eseguire immediatamente la TC. Essa può darci informazioni essenziali sulla morfologia e tipologia di frattura attraverso le classiche proiezioni frontale, obliqua discendente ( in-let view) o obliqua discendente (out-let view) con i limiti legati ad una valutazione monodimensionale ed insufficiemte stima degli elementi pelvici posteriori (sacro). CLASSIFICAZIONE di Tile (riparazione chirurgica) Tipo A: Fratture stabili Tipo B: Fratture parzialmente stabili (stabilità verticale, instabilità rotazionale) Tipo C: Fratture instabili CLASSIFICAZIONE di Young (meccanismo della lesione) ñ Compressione antero – posteriore (15 – 20%) provoca extrarotazione con allargamento dell’anello pelvico: “open book” (pelvi esplosa) ñ Compressione laterale (50 – 65 %) provoca un’intrarotazione con chiusura dell’anello: “closed book” (pelvi implosa) ñ Distrazione verticale -“verticalshear”- (10 – 30 %) comporta la dislocazione completa e l’instabilità di una o entrambe le emipelvi (risalita dell’emipelvi) Tuttavia, quando possibile eseguirla,la TC multidetettore con mdc risulta fondamentale nello studio delle fratture pelviche in particolare in quelle considerate instabili: fornisce informazioni sulle presenza di fratture sacrali, sullo stato delle sincondrosi sacro-iliache e del complesso sacroiliaco posteriore, sulla congruità articolare ( sublussazioni, fratture parcellari),sulle fratture/lussazioni della giunzione lombo- sacrale, sulle fratture acetabolari ( tetto ,colonna anteriore e posteriore ). Inoltre consente di individuare correttamente i frammenti di frattura (incarceramento, affondamento , rotazione) e di produrre ricostruzioni multiplanari bi e tridimensionali. Fornisce informazioni sulla presenza di lesioni vascolari (pseudoaneurisma, fistola A-V, dissezione intimale, occlusione trombotica vascolare, vasospasmo), sul sanguinamento arterioso in atto,sulla quantificazione di emo/retroperitoneo ,sul grading del danno parenchimale degli organi solidi. Data l’efficacia diagnostica, la velocità di esecuzione e la panoramicità, l’esame TC consente la verifica di lesioni associate anche in altri distretti corporei o la presenza di altre fonti di sanguinamento ( venoso, osseo…); non ultimo individua la presenza di aria libera in sede endo o retroperitoneale e consente di predire quali pazienti emodinamicamente stabili potranno beneficiare del management non.-operativo (NOM). Tecnica di esecuzione di esame: 4 x 2.5-mm collimazione,pitch 1, ricostruzione a 1.25-3 mm,iniezione rapida di un bolo di mdc non ionico (flusso 3.5-5 mL/sec e volume 120-150 mL),fisiologica 30 mL ,imaging quadrifasico: pre-contrasto , mdc:fase arteriosa (2330 sec.),fase venosa (60-70 sec.) ,fase tardiva (180-300 sec.). Non viene somministrato mdc per via orale e, se ritenuto necessario,può essere effettuato anche uno studio vescicale me- Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:310-317 diante cisto-TC. L’imaging dei sanguinamenti si divide in: Tipo 1 - presenza di focale area di iperdensità circondata dall’ematoma Tipo 2 - presenza di diffusa area di iperdensità circondata dall’ematoma Tipo 3 - presenza di getto (blushing) La disponibilità di una TC multidetettore, di apparecchiature angiografiche e tempi brevi nella risposta radiologica sono da considerare punti cruciali nel work-up diagnostico e terapeutico. Un concetto errato è quello che il politraumatizzato è un paziente “ troppo instabile” per effettuare la TC: con le moderne macchine un esame dura circa 20” ed il beneficio, in termini di sopravvivenza ed esiti che ne possono derivare al paziente, è enorme. (16) La Radiologia Interventistica nei traumi della pelvi e degli organi pelvici: quando l’esame angiografico Nell’ambito dei traumi del bacino non vi è assolutamente concordia tra le varie fonti di letteratura, a cominciare dagli articoli di fine anni 70 (17) sino a quelli del 2012. Soprattutto non vi è voce comune circa il timing angiografico . Molto valore è stato ed è ancora dato al DPL, alla FAST ,nonostante l’avvento della TC multidetettore che ha fatto, solo in parte, virare il consenso per l’utilizzo di tale tecnica. In effetti la cosiddetta instabilità emodinamica controindica l’immediata esecuzione della TC. Durante la resuscitazione è sicuramente indicata una FAST che comunque non ci dà particolari indicazioni se non quelle relative alla presenza di fluido in addome, ma comunque sostituisce il vecchio DPL ed è fattibile dovunque, anche nei piccoli ospedali. Tuttavia, una volta che le manovre rianimatorie hanno avuto il loro effetto l’esecuzione della TC è fondamentale per la diagnosi non solo dei traumi del bacino ma multiorgano, per la rilevazione dei sanguinamenti attivi arteriosi, per il timing:per l’ esecuzione di un eventuale intervento chirurgico, per il trattamento endovascolare di emorragie arteriose o per un eventuale packing se il sanguinamento è venoso o osseo. Molto è stato detto in letteratura, sull’angiografia come metodica “time consuming”, poco utile nella risoluzione delle problematiche di sanguinamento e che toglie tempo prezioso a interventi chirurgici. Il management ottimale dipende dal luogo di cura,dall’esperienza del personale che vi lavora e dall’organizzazione del team ( guardia attiva, reperibilità,presenza di angiografo solo fisso, di angiografo mobile da poter utilizzare, se necessario, in sala operatoria per non trasportare il paziente e poter lavorare in stretta continuità con il chirurgo generale, ortopedico e talvolta urologo ) (18) Le potenzialità dell’esame angiografico di rado vengono sfruttate completamente, per cause organizzative quali l’ assenza di un coordinamento di intervento sui traumatizzati con team unico dedicato, composto da rianimatore, radiologo e chirurgo o per carenza di strutture dedicate che garantiscano riduzione dei tempi tecnici dalla accettazione alla terapia ,o per altre cause quali la sottostima della gravità della lesioni (lesioni parzialmente e temporaneamente tamponate) ,l’ Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:310-317 inadeguata valutazione della sede della lesione (es. traumi da contraccolpo),l’ inadeguata valutazione di sanguinamenti post-emostasi chirurgica , mancati approfondimenti diagnostici in pazienti instabili. L’angiografia conferma un sanguinamento arterioso nell’80-90% dei casi. Le lesioni arteriose significative in seguito a trauma della pelvi sono pari al 2.5% e rappresentano la principale causa di morte nelle prime 24 h. Tali lesioni riguardano nella maggior parte dei casi rami dell’arteria ipogastrica. La frequenza, in ordine decrescente, delle arterie coinvolte nei traumi pelvici è la seguente: ñ Glutea superiore ñ Pudenda interna ñ Sacrale laterale ñ Ileolombare ñ Otturatoria ñ Vescicali ñ Glutea inferiore ñ Epigastrica inferiore ñ Lombari ñ Intercostali, freniche inferiori, surrenaliche, pancreaticoduodenali vanno necessariamente cateterizzate se l’ematoma aumenta di volume e non è stata trovata altra fonte di sanguinamento. Raramente l’emorragia arteriosa pelvica è il risultato del sanguinamento di vasi di grosso calibro:si tratta generalmente di piccoli rami dell’iliaca interna che attraversano profondamente il pavimento pelvico e sono inaccessibili alla chirurgia (19) Il 2-5 % dei pazienti con trauma pelvico necessita di esame angiografico con eventuale embolizzazione Il segno arteriografico patognomonico di sanguinamento è lo spandimento di mdc, ma non è al 100% prognostico di emorragia in atto. Uno spandimento limitato all’interno di un parenchima o in un ematoma può evolvere in maniera autolimitante in uno pseudoaneurisma o in una FAV che può persistere, o trombizzarsi e regredire, o ancora aumentare di dimensioni ed in seguito rompersi. Vi è un eccellente correlazione tra reperti TC ed angiografici nella dimostrazione di sanguinamento attivo e la combinazione delle due metodiche aumenta la capacità di diagnosi (20,21) L’esame angiografico deve sempre essere effettuato in pazienti instabili quando non vi indicazione a una laparotomia; da questo si deduce che lo stato di shock non è una controindicazione all’esame angiografico bensì un’indicazione assoluta e che non esiste un paziente veramente intrasportabile, dogma, questo, a lungo ritenuto valido. (22) Se però sussiste indicazione a una laparotomia, in tal caso la fissazione ortopedica va fatta intraoperatoriamente, ed è seguita poi dall’angiografia. L’eventuale intervento urologico è posposto a quello angiografico. La TC è predittiva per il 92% in sensibilità e 98% in specificità per l’individuazione delle fonti emorragiche che si giovano poi dell’embolizzazione che ha, a sua volta, un successo del 100%. Pertanto, sulla scorta dell’esame TC multistrato viene eseguito, generalmente per via percutanea transfemorale comune dx o sn , controlateralmente al sito della lesione, ( in caso di inaccessibilità delle regioni inguinali si utilizza l’accesso brachiale), un angiogramma panoramico dell’area aortoiliaca. Si utilizza un catetere pigtail,5F, iniettando una quantità totale di mezzo di contrasto di 25-30 cc, ad alto flusso( 20-25-cc\ 313 sec), con un programma di acquisizione minima di 3 radiogrammi \sec , esteso ai tempi tardivi, per la visualizzazione panoramica di eventuali stravasi di mezzo di contrasto indici di sanguinamento attivo, di pseudoaneurismi, di irregolarità del lume vasale, di spasmi arteriosi o di trombosi. La necessità dell’esame panoramico nasce dall’importanza di una visualizzazione completa dell’aorta sopra e sottorenale e dei vasi da essa originantesi, per dare indicazioni nascoste invece dal cateterismo selettivo. Dall’esame panoramico si passa, comunque, anche in assenza di visualizzazione di sanguinamento, ai cateterismi selettivi delle arterie ipogastriche utilizzando cateteri cobra, sheperd, simmons, a seconda dell’anatomia vasale; in caso di positività franca o dubbia si prosegue con i cateterismi superselettivi delle branche dei vasi ipogastrici , al fine di adoperare un’embolizzazione quanto più selettiva possibile con risparmio delle zone non target per evitare una estesa necrosi tissutale. Il cateterismo deve essere rapido ma cauto, onde evitare lesioni dell’endotelio che comprometterebbero un ulteriore cateterismo. La vasocostrizione in un paziente in shock favorisce, infatti, la dissezione provocata dal tip del catetere e la successiva trombosi. Un angiogramma negativo può in realtà non esserlo in un secondo momento quando le condizioni emodinamiche del paziente sono cambiate, il vasospasmo ridotto, il coagulo endogenamente lisato, l’effetto compressivo dell’ematoma scemato. Il segno inconfutabile del sanguinamento attivo è dato dallo stravaso del mezzo di contrasto; in tali casi viene effettuata , quando possibile con tecnica coassiale, cioè con l’utilizzo di microcateteri, un’embolizzazione delle branche interessate quanto più distale possibile; l’embolizzazione prossimale viene fatta solo in caso di stravasi multipli, di vasospasmo che impedisce la cateterizzazione, di condizioni di grave shock emodinamico del paziente che impongono l’arresto del sanguinamento con tempi brevi di procedura. Viene generalmente utilizzato materiale embolizzante non riassorbibile onde evitare ripetute embolizzazioni, nonostante ciò possa comportare, in caso di utilizzo non corretto, problemi di ischemia\necrosi. Infatti, il materiale riassorbibile, entro 48-72 ore consente una rivascolarizzazione. Tale evento sicuramente positivo al fine del risparmio tissutale, in caso di sanguinamento da trauma comporta spesso una ripetizione della procedura di embolizzazione, per il risanguinamento dovuto alla rivascolarizzazione. In questo caso il materiale embolizzante utilizzato sarà di tipo non riassorbibile, ad esempio particelle di alcol polivinilico, spirali metalliche o colla acrilica con la tecnica più indicata al caso. L’arresto del sanguinamento viene evidenziato all’angiografia con la scomparsa dello stravaso di mezzo di contrasto e con il caratteristico “stampo” determinato dal tappo occlusivo dell’agente embolizzante. Il primo obiettivo dell’imaging è la dimostrazione “del sanguinamento attivo” nonchè di ogni altra condizione che possa mettere a rischio la vita del paziente. Il sanguinamento retroperitoneale postraumatico è quello ricercato per primo e trattato angiograficamente. La chirurgia, infatti, in questo caso, dà risultati catastrofici in quanto disseca lo spazio retroperitoneale determinando la perdita del tamponamento dato dall’ematoma coesistente. (23) 314 Il sanguinamento pelvico postraumatico riconosce una genesi arteriosa, venosa, ossea; i traumi arteriosi sono i più severi e sono generalmente osservati nei traumi pelvici a compressione anteroposteriore di tipo 2 e 3, compressione laterale di tipo 3, compressione verticale e meccanismi di lesioni combinate. Le lesioni ossee pelviche sono predittive di una lesione vascolare e quindi di una successiva embolizzazione; ulteriori fattori predittivi sono: l’età avanzata del paziente, il numero di trasfusioni ricevute, la rottura dei ligamenti pelvici maggiori;il 2-5% dei pazienti con traumi pelvici richiedono l’embolizzazione. (24) La rottura di un’arteria pelvica comporta una mortalità compresa tra il 50 -75% e la causa principale di morte per trauma pelvico è data dall’emorragia arteriosa. Il 2-5% dei pazienti con trauma pelvico richiedono l’embolizzazione. (25) Sarebbe auspicabile embolizzare selettivamente solo il ramo sanguinante. Tuttavia, a volte le condizioni cliniche del paziente non consentono un’embolizzazione meticolosa per cui si tratta l’intera branca dell’iliaca interna. (26) . Il rationale di un’embolizzazione non selettiva, in caso di pazienti emodinamicamente instabili e senza una precisa sede di sanguinamento, ma con evidenza di multipli foci, riconosce l’utilizzo di materiale riassorbibile ( tipo Spongostan) a livello delle arterie ipogastriche. Questo per evitare dannose perdite di tempo e comunque per trattare il sanguinamento. Particolare importanza riveste l’ intervento precoce del Radiologo Interventista, prima cioè che si sviluppi la coagulopatia che è alla base di una risoluzione negativa ( che viene percepita poi come “ fallimento” della tecnica) (17) L’angiografia dovrebbe essere effettuata precocemente in corso del management dell’emorragia pelvica per evitare complicanze dovute alle trasfusioni massive e all’ipotensione, concetto espresso già molti anni prima (27) Fondamenti scientifici circa l’angiografia in urgenza L’angiografia pelvica è una tecnica utile nel controllo del sanguinamento arterioso associato alle fratture del bacino.La quota maggiore di sanguinamento nei traumi del bacino riconosce una genesi venosa (essenzialmente dalle vene ileolombari) ed ossea, dalle superfici dei capi di frattura; l’angiografia controlla solamente le lesioni arteriose e costituisce una minoranza stimata tra il 3 e il 10%. La instabilità emodinamica in pazienti con fratture del bacino senza ulteriori significative fonti di sanguinamernto costituisce un’indicazione all’angiografia. In uno studio retrospettivo di 325 pazienti presso un Trauma Center di I livello,Starr et al ( 28) trovarono che solo il Revised Trauma Score era predittivo della necessità dell’angiografia: età, sesso, shock al ricovero e pattern di frattura non erano predittivi di necessità per l’angiografia. Indici predittivi utili sono lo stravaso di mdc alla TC, che ha una sensibilità tra il 60-84% e specificità tra l’85-98%. Il pattern di frattura, da solo, non è predittivo per l’angiografia. La combinazione dell’età ( maggiore di 60 anni ) e le fratture pelviche maggiori è altamente associata alla necessità dell’esecuzione di un esame angiografico, indipendentemente dallo stato emodinamico del paziente. In verità il 62% dei Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:310-317 pazienti di età superiore a 60 anni che richiedono l’angiografia con embolizzazione hanno segni vitali normali al ricovero in ospedale. Sebbene il sanguinamento sia associato alle fratture pelviche maggiori, studi retrospettivi hanno dimostrato la presenza di sanguinamenti in fratture isolate,acetabolari o sacrali. Nonostante la tipologia della frattura non sia predittiva, tuttavia fratture anteriori sono associate a lesioni vascolari anteriori e fratture posteriori a lesioni vascolari posteriori. L’angiografia pelvica con embolizzazione pare sia efficace nel controllo del sanguinamento tra l’85 e il 97% dei casi, anche se in alcuni casi è necessaria una reembolizzazione nello stesso paziente (sanguinamento reiterato per lo stato emodinamico cambiato:vasospasmo ridotto, effetto compressivo dell’ematoma scemato, lisi endogena del coagulo). Il fattore di rischio indipendente per il sanguinamento pelvico include una quantità maggiore di due unità di sangue\h trasfuso, la presenza di più di due vasi che richiedono l’embolizzazione, l’ipotensione ripetuta dopo l’angiografia, l’assenza di danni ad altri organi e il difetto persistente di basi. L’embolizzazione standard per pazienti instabili sanguinanti dalle iliache interne è di tipo non selettivo; in quelli stabili può essere effettuata un’embolizzazione selettiva. Il trattamento radiologico interventistico delle lesioni viscerali pelviche Nell’80% delle fratture di bacino successive ad un trauma ad alta energia concomitano lesioni viscerali. Le vie escretrici urinarie e le anse intestinali decorrono in stretta contiguità con le strutture ossee e sono più a rischio di rottura. Nel 70% delle rotture di vescica post-trauma è presente una frattura di bacino, mentre la lesione ureterale è rara (2,5% delle lesioni urologiche post trauma), in quanto l’uretere è protetto dalle strutture adiacenti (muscolo psoas, vertebre, bacino) (29,30) Non esistono segni o sintomi patognomonici di lesioni ureterali o vescicali. L’ematuria non è un indicatore sensibile: è presente solo nel 43% delle lesioni ureterali La diagnosi può essere anche tardiva. I segni successivi sono dati da fistole ,urinomi , ascessi perinefrici . Il ruolo della Radiologia Interventistica consiste nel praticare una pielostomia o il posizionamento di protesi a doppio J per tutelare la via escretrice in quanto si tratta di opzioni terapeutiche efficaci e sicure. (31) Ruolo del Chirurgo nei traumi pelvici La valutazione primaria del paziente prevede, secondo le linee guida ATLS®, la valutazione di vie aeree, ventilazione e stato emodinamico. A questo fine, oltre l’esame obiettivo, ausili alla valutazione primaria sono l’rx torace e bacino e la Focused Assesment Ultrasonography for Trauma (FAST, anche nella sua versione extended). A loro volta i traumi di bacino, che ai nostri fini interessano prevalentemente l’emodinamica, si dividono in stabili e instabili. La stabilità emodinamica è definita come la presenza di una pressione sistolica superiore a 90 mmHg, sia stato fatto o meno un adeguato riempimento volemico (2-4 sacche di emazie concentrate o 1000 ml di cristalloidi). In presenza di frattura di bacino, qualsiasi essa sia secondo la 315 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:310-317 classificazione utilizzata (più comunemente Young and Burgess o AO/OTA), il paziente stabile esegue una TC con mezzo di contrasto almeno bifasica (o trifasica), in modo da evidenziare sia perdite ematiche che spandimenti urinosi se in presenza di lesioni vescicali. In presenza di uno spandimento di mezzo di contrasto da un vaso è necessario sottoporre il caso all’angiografista. Successivamente andrà valutata l’opportunità di una fissazione esterna temporanea in caso di bacino meccanicamente instabile. In presenza di un paziente instabile nonostante il riempimento la letteratura non contiene indicazioni univoche perché varie sono le opzioni disponibili: il packing pelvico retroperitoneale (PPP), l’angiografia e la fissazione esterna. In particolare la tecnica del PPP consiste in un’incisione mediana di circa 7-8 cm a partire dal pube, nell’incisione della fascia e nel posizionamento di 2-3 garze per lato nello spazio occupato dall’ematoma pelvico che inevitabilmente si crea in questi casi. La manovra richiede circa 15-20 minuti ed è facilitata appunto dalla presenza di uno spazio già creato dall’ematoma extraperitoneale sempre presente in questi casi. Dai dati disponibili la soluzione migliore, perché più rapidamente praticabile, è l’esecuzione di un PPP seguito il prima possibile da fissazione esterna (in mancanza di questa è possibile utilizzare il T-POD® o pelvic binder). Dopo l’intervento, qualora il paziente dovesse persistere emodinamicamente instabile, è indicata l’angiografia urgente mentre la TC è riservata ai pazienti stabili, dopo una o entrambe le manovre. I gruppi che hanno utilizzato questa sequenza e cioè il PPP/ fissazione e in un secondo tempo l’angiografia (32,33,34) hanno visto ridurre la quota di angiografie a circa un quarto dei pazienti, come pure la quantità di emocomponenti trasfusi, oltre che una mortalità per sanguinamento pelvico che nel gruppo di Denver si è azzerata. Esperienze recenti sono quelle di Demetriades (35,36): mortalità 35%, e di Cothren (32)(PPP e fissazione esterna + angiografia) mortalità 21% (nessuno per sanguinamento acuto) . Le controversie riguardano l’esperienza europea che vede la fissazione esterna e il PPP come prime manovre nel trauma instabile . La maggioranza delle esperienze americane parla di angiografia nei pazienti instabili nonostante la rianimazione aggressiva o di angiografia/TC solo nei pazienti che rimangono instabili dopo chirurgia Il ruolo dell’ortopedico nei traumi pelvici Fondamentale nei traumi pelvici è la stabilizzazione precoce del bacino per evitare l’effetto “ serbatoio”. Quando la pelvi viene scomposta, il volume della pelvi “vera” aumenta del cubo del suo raggio r3. (32) L’ematoma retroperitoneale può contenere 2 -3 L di sangue (da qui la “cascata” sequestro-ipovolemia-shock). Nelle fratture che aumentano i diametri orizzontali del bacino il volume pelvico aumenta (2 cm del diametro orizzontale = 1,5 L; 5 cm = 5L). Il sanguinamento pelvico postraumatico riconosce una genesi arteriosa (10-15%), venosa (85-90%), ossea. La ricca rete di vasi collaterali mantiene un elevato gradiente pressorio nei vasi lesi e previene la trombosi, d’altro canto favorendo l’emorragia. Questo network è stato denominato “pelvic sink” per la presenza di quattro loop. Tre sono arteriosi ( posteriore mediano:arterie lombari e vertebrali, sacrale media, rami di divisione posteriore dell’iliaca interna-glutea superiore, ileolombare, sacrali laterali; anteriore mediano: rami di divisione anteriore dell’iliaca interna-epigastrica superiore, gonadiche e rettale superiore, rami della femorale profonda; laterale: glutee e rami femorale profonda). Il quarto loop, venoso, consiste nelle connessioni tra il sistema portale e le vene pelviche. (36,37) Le lesioni traumatiche dell’anello pelvico sono lesioni piuttosto rare, circa il 3% delle lesioni traumatiche osteoarticolari, che coinvolgono in maniera più o meno complessa le strutture ossee del cingolo pelvico e il loro contenuto. La mortalità delle fratture pelviche può variare dal 9% al 20%, ma in un paziente emodinamicamente instabile supera il 50% ed è dovuta ad un’emorragia severa. Classificazione L’anello pelvico è costituito da tre ossa, il sacro e le due ossa innominate, che si articolano posteriormente attraverso l’articolazione sacroiliaca e anteriormente mediante la sinfisi pubica. Un importante complesso legamentoso, soprattutto nella parte posteriore dell’anello pelvico, conferisce a queste articolazioni stabilità e robustezza. La classificazione AO delle lesioni pelviche, basata sull’integrità del complesso sacroiliaco posteriore e sulla direzione della forza di lesione, distingue le fratture della pelvi in tre gruppi in relazione all’aumento della gravità e dell’instabilità: tipo A, B e C. Le fratture di tipo A sono stabili perché l’anello pelvico è integro. Le fratture di tipo B sono parzialmente instabili, mentre quelle di tipo C sono completamente instabili per la lesione globale del complesso legamentoso posteriore. Questa classificazione ha rilievo non solo per il trattamento definitivo di queste lesioni, ma soprattutto per la gestione del paziente in situazione di emergenza. Le lesioni di tipo B e soprattutto quelle di tipo C provocano infatti un aumento del volume della pelvi con insorgenza di sanguinamenti massivi e causa di instabilità emodinamica del paziente. Fissazione esterna in urgenza La fissazione pelvica eseguita in urgenza per instabilità emodinamica del paziente ha lo scopo di controllare il sanguinamento mediante la riduzione del volume pelvico conseguenza di una lesione pelvica instabile. Questa tecnica che si avvale della fissazione esterna è stata introdotta oltre vent’anni fa e si è dimostrata efficace nel ridurre in modo significativo la mortalità e l’impiego di trasfusioni. Il fissatore esterno è oggi diventato un sussidio di rianimazione che deve essere applicato il più presto possibile. Sono disponibili due tipi di fissazione esterna da impiegare nelle lesioni pelviche meccanicamente instabili: il fissatore esterno anteriore e la C-Clamp. Il fissatore esterno anteriore è indicato nelle lesioni di tipo B, mentre la C-Clamp è utilizzata per la stabilizzazione delle lesioni di tipo C. Diversi studi riportati in letteratura hanno dimostrato inoltre che nel trattamento in urgenza del malato con lesione pelvica meccanicamente instabile e in condizioni di instabilità emodinamica, la fissazione esterna sia la prima procedura da ese- 316 guire prima dell’angiografia e/o del pelvic packing. Questo perché studi su cadavere hanno dimostrato che una laparotomia eseguita senza stabilizzazione scheletrica di una pelvi meccanicamente instabile provoca un incremento ulteriore del volume pelvico. In conclusione il ruolo dell’ortopedico nella cura di queste lesioni traumatiche è fondamentale non solo nel trattamento definitivo di riduzione anatomica e sintesi della frattura pelvica, ma anche in urgenza dove per l’elevata mortalità dei malati emodinamicamente instabili è indicato eseguire, come prima manovra, la fissazione esterna della lesione pelvica. (38,39) Segni radiologici predittivi di un’emorragia 1- Un pattern di fratture alla Rx pelvi, da solo, non è predittivo per mortalità, emorragia, necessità di esame angiografico. LIVELLO di RACCOMANDAZIONE II 2- La presenza di un ematoma non predice\esclude la necessità di un esame angiografico con eventuale embolizzazione. LIVELLO di RACCOMANDAZIONE II 3- La TC pelvica è un eccellente screening per escludere emorragie pelviche. LIVELLO di RACCOMANDAZIONE II 4- L’assenza di stravaso di mdc non sempre esclude un’emorragia attiva. LIVELLO di RACCOMANDAZIONE II 5- Un ematoma pelvico di dimensioni superiori a 500 cm3 ha un’aumentata incidenza di lesioni arteriose e richiede un esame angiografico. LIVELLO di RACCOMANDAZIONE II 6- Fratture acetabolari isolate possono richiedere un esame angiografico come le fratture pelviche LIVELLO di RACCOMANDAZIONE II 7- Se necessita eseguire un uretrocistogramma retrogrado, questo deve essere effettuato dopo una TC con mezzo di contrasto IV. LIVELLO di RACCOMANDAZIONE III Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:310-317 Devono essere considerati candidati all’angiografia/embolizzazione 1- Tutti i pazienti con fratture pelviche ed instabilità emodinamica o segni di sanguinamento in atto, una volta escluse ulteriori fonti di sanguinamento provenienti da altri organi. LIVELLO di RACCOMANDAZIONE I 2- Tutti i pazienti con segni TC di sanguinamento attivo ( stravaso di mdc), indipendentemente dal loro stato emodinamico. LIVELLO di RACCOMANDAZIONE I 3- Tutti i pazienti con fratture pelviche che sono già stati sottoposti ad angiografia con o senza embolizzazione, che hanno segni di sanguinamento in atto, senza ulteriori fonti accertate, devono essere considerati per un “second look” angiografico. LIVELLO di RACCOMANDAZIONE II 4- Tutti i pazienti con fratture pelviche maggiori ( open book, butterflysegment, verticalshear) con età superiore ai 60 anni indipendentemente dal loro stato emodinamico. LIVELLO di RACCOMANDAZIONE II 5- Sebbene il pattern o la tipologia delle fratture non possa predire la presenza di lesioni arteriose o la necessità di un esame angiografico, le fratture anteriori sono fortemente associate a lesioni vascolari anteriori ( rami di divisione anteriore dell’iliaca interna), mentre le posteriori a lesioni vascolari posteriori (rami di divisione posteriore dell’iliaca interna). LIVELLO di RACCOMANDAZIONE III 6- L’angiografia pelvica con embolizzazione bilaterale sembra essere una tecnica sicura con scarse complicazioni maggiori. E’ stata riportata l’ischemia\necrosi del muscolo gluteo in pazienti con instabilità emodinamica ed immobilità prolungata o trauma primitivo della regione glutea considerata, questa, come maggior causa di tale complicanza, piuttosto che complicanza dell’angiografia. LIVELLO di RACCOMANDAZIONE III 7- Nei pazienti di sesso maschile non sembrano esserci alterazioni della sessualità dopo embolizzazione bilaterale delleiliache interne. LIVELLO di RACCOMANDAZIONE III 317 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:310-317 BIBLIOGRAFIA 1. Rice PL, Rudolph M Pelvic fracture Emergency Medicine Clinics of North America Vol 25 Issue 3 pgg 795-802 Aug 2007 2. Heetveld MJ, Harris I, Schlaphoff G, Balogh Z, D’Amours SK, Sugrue M. Hemodynamically unstable pelvic fractures: recent care and new guidelines. World J. Surg. 2004; 28: 904–9. 3. 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Questo evento aveva lo scopo di far chiarezza all’interno del mondo radiologico su questo argomento, ponendo alcuni punti fermi e dando spunti per successivi approfondimenti e sviluppi. Il ruolo della radiologia interventistica nelle metastasi epatiche (MTS) da colon-retto (CRC) è in realtà da molto tempo oggetto di singoli interventi nell’ambito di congressi organizzati in campo oncologico e chirurgico, spesso evocato nel nome di una generica e auspicata multi-disciplinarietà, ma ben poche volte è stato oggetto di una sessione tutta focalizzata su questo tema. Obiettivamente bisogna riconoscere che nel campo oncologico le metodiche di radiologia interventistica vengono tuttora viste come procedure marginali, spesso estreme, con scarsa base scientifica nel loro utilizzo, ma affidate alla abilità del singolo operatore e riservate a situazioni di incurabilità da parte delle terapie standard. A differenza di altri settori, come l’epatocarcinoma, non vi è alcuna terapia condotta da radiologi interventisti che possa fregiarsi del nome di “terapia di prima scelta” per le metastasi epatiche, in particolare da colon-retto, in nessuno stadio della malattia. Bisogna anche riconoscere che questa situazione, oltre alle caratteristiche proprie della malattia metastatica e del suo comportamento biologico, è dovuta anche alla tendenza dei radiologi alla auto-referenzialità, al loro rifugiarsi nel virtuosismo tecnico, ma senza confrontarsi con la clinica della malattia che si ha di fronte e senza discutere con le professionalità mediche che questa malattia classicamente gestiscono: i chirurghi epato-biliari e gli oncologi medici. E’ per questo motivo che, quando il dott. Florio ha incaricato noi moderatori di organizzare questa Consensus, il primo pensiero è stato quello di cercare di costruire questo dialogo inter-disciplinare, in modo da prendere atto dello stato dell’arte attuale della terapia delle metastasi epatiche, capire quello che la radiologia interventistica può offrire e come questo possa inserirsi in un approccio ragionato e giustificato da basi scientifiche alla malattia metastatica. Per questo abbiamo invitato alcuni rappresentanti italiani che sono noti per essere esperti qualificati nel loro campo d’azione, anche a livello internazio- nale, ma anche aperti e disponibili al dialogo, in modo che le presentazioni e la discussione fossero contrassegnate non da uno sfoggio di tecnica e di cultura, ma da una sincera voglia di trovare insieme un accordo che potesse far luce in questo campo e possibilmente portare a proposte di nuovi cammini da esplorare, che potessero accumunare le diverse competenze presenti. Qui di seguito vengono riportati i riassunti degli interventi dei relatori. Ci è sembrato che fosse giusto iniziare la sessione con un inquadramento generale della malattia metastatica da parte dell’oncologo medico. Il Dott. Gianluca Masi ci ha illustrato una breve ma assai interessante presentazione dal titolo: “oncologia medica: criteri clinici e bio-molecolari per la selezione dei pazienti, integrazione/rapporto con le terapie loco-regionali”. Le metastasi epatiche da carcinoma del colon-retto rappresentano certamente un setting dove l’integrazione tra le varie opzioni terapeutiche disponibili (terapie mediche, chirurgia, trattamenti loco-regionali) è fondamentale, infatti in questi pazienti una strategia terapeutica ottimale consente di ottenere in circa il 50% dei casi o una completa guarigione o una lunga sopravvivenza. Storicamente la chirurgia è stata la prima opzione terapeutica che ha consentito di ottenere questi risultati (Wilson SM and Adson MA, Arch Surg 1976). Le casistiche più recenti con follow up di almeno 10 anni confermano che circa il 20% dei pazienti che si presentano con metastasi epatiche resecabili e vengono resecati radicalmente hanno una sopravvivenza superiore a 10 anni (Tomlinson J, J Clin Oncol 2007). Quindi il primo criterio di selezione per questa categoria di pazienti è la valutazione della resecabilità chirurgica. A questo proposito bisogna ricordare che purtroppo i pazienti che si presentano con metastasi epatiche resecabili sono di fatto una minoranza dei pazienti con carcinoma colorettale metastatico. Nel corso degli anni però le cose sono cambiate. Infatti a partire dalla fine degli anni ’90 i trattamenti medici si sono arricchiti di nuovi farmaci e questo ha consentito di ottenere un a regressione di malattia significativa in una percentuale maggiore di pazienti. Si è così creato una nuova categoria di pazienti che sono i pazienti inizialmente non resecabili, ma che lo diventano dopo una buona risposta alla chemioterapia. 319 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:318-327 I dati di letteratura confermano che la prognosi di questi pazienti radicalmente operati dopo chemioterapia è sovrapponibile a quella dei pazienti resecabili “up front” (Adam R, J Clin Oncol 2009). Quindi un secondo criterio di selezione dei pazienti è la risposta alla terapia medica. L’integrazione con le terapie mediche ha portato anche ad una evoluzione del concetto di resecabilità, che è passato da criteri molto restrittivi a criteri molto più ampi, in cui di fatto i fattori limitanti sono la possibilità di ottenere una resezione radicale mantenendo una adeguata riserva funzionale epatica e la storia naturale della malattia (assenza di diffusione extra-epatica significativa) (Mavros MN, J Surg Oncol 2013). Nell’ultimo decennio la integrazione tra terapie mediche innovative e la chirurgia epatica “moderna” ha prodotto un significativo miglioramento della prognosi dei pazienti con MTS con una sopravvivenza mediana che è passata da 12 a 36 mesi e con una sopravvivenza a 5 anni che nei pazienti con sole metastasi epatiche è arrivata circa al 50% (Kopetz S, J Clin Oncol 2009). Inoltre c’è da sottolineare che vi sono numerose casistiche in cui i pazienti sottoposti a resezione epatica nel 50% dei casi circa hanno una recidiva solo epatica e non sistemica (De Jong MC, Ann Surg 2009). Quindi un terzo elemento molto importante per la selezione dei pazienti è la storia naturale della malattia, con la persistenza di metastasi solo epatiche o con la presenza di una malattia cosiddetta “liver dominant” cioè dove le metastasi epatiche condizionano fortemente la prognosi pur in presenza di una limitata metastatizzazione extra-epatica (Masi G, Ann Surg 2009). Certamente prevedere il decorso clinico della malattia non è semplice. Ad oggi possiamo utilizzare gli score prognostici clinici, quello di Fong che valuta la stadio iniziale del tumore, il numero e la dimensione delle metastasi, il CEA basale ed il disease-free interval è il più validato (Fong Y, JAMA 1999). Putroppo abbiamo ancora oggi pochi fattori biomolecolari da utilizzare. I più validati sono lo stato mutazionale di BRAF (Loupakis F, Br J Cancer 2009) che è un fattore prognostico estremamente negativo, e lo stato mutazionale di KRAS (Amado RG, J Clin Oncol 2008) che è un importante fattore predittivo di resistenza agli anticorpi anti-EGFR e che recentemente sta emergendo anche come fattore più frequentemente associato a metastatizzazione polmonare (Vauthey JN, Ann Surg 2013). Da quanto detto finora (incremento della sopravvivenza mediana, persistenza di malattia solo epatica o prevalentemente epatica in una quota significativa di pazienti) emerge un forte razionale all’utilizzo in maniera integrata dei trattamenti loco-regionali. In particolare le principali indicazioni potrebbero essere le seguenti: Trattameti ablativi (rfa, mwa) ñ Metastasi limitate nel numero (<3) e nelle dimensioni (<35 cm a seconda della metodica utilizzata) ñ Pazienti non candidati ad un intervento chirurgico per comorbidità ñ Pazienti in cui la resezione up front non sia ritenuta indicata per motivi oncologici (score prognostici negativi o BRAF mutato) ñ Ricadute localizzate dopo l’intervento chirurgico ñ Integrazione alla chirurgia se non sia possibile una resezione R0 Chemioembolizzazione ñ Pazienti con malattia “liver-prevalent” già trattati con terapia sistemica ñ Pazienti che non possono eseguire terapie mediche sistemiche ñ Pazienti incapaci di tollerare terapie sistemiche ñ Come tentativo per superare chemio-resistenza in casi selezionati Radioembolizzazione con yttrio-90 ñ Pazienti con malattia solo epatica, ma non resecabile ñ Pazienti con malattia “liver-prevalent” già trattati con terapia sistemica ñ Pazienti non candidati ad un intervento chirurgico per comorbidità ñ Terapia di salvataggio in pazienti refrattari ai trattamenti standard ñ Pazienti in cui si voglia ottenere una maggiore regressione tumorale sfruttando il sinergismo tra chemio e radio – terapia al fine di una possibile resecabilità chirurgica Ad oggi certamente c’è un grosso interessa a sviluppare una buona integrazione con la radioembolizzazione visti i promettenti dati di letteratura (Hendlisz A, J Clin Oncol 2010). In generale è importante sottolineare 2 aspetti: il primo è che appare fondamentale condurre studi clinici metodologicamente corretti per poter integrare al meglio le opzioni terapeutiche disponibili. Il secondo è che la decisione della strategia terapeutica del singolo paziente deve essere sempre discussa all’interno di un team multidisciplinare. Il secondo intervento ci ha introdotto nella prima delle procedure terapeutiche di tipo radiologico. Il Dott. Andrea Veltri ci ha parlato di: “Ablazioni: stato dell’arte, MW, indicazioni consolidate”. La resezione chirurgica completa è attualmente considerata la terapia curativa, ma solo circa un quarto dei pazienti è operabile. Le Ablazioni sono pertanto nate per i pazienti inoperabili con le stesse finalità della chirurgia; lo scopo comune di ogni terapia delle MTS da CRC è, infatti, di aumentare la sopravvivenza [1]. Il termine ablazione tumorale è definito come l’applicazione diretta di energie chimiche o fisiche, specie termiche, a masse tumorali nel tentativo di ottenerne l’eradicazione o almeno una distruzione sostanziale. Le tecniche ablative più sperimentate per le MTS da CRC sono le terapie termiche; esse includono sorgenti in grado di ottenere la necrosi tumorale usando energie termiche calde (es. RF, laser) o fredde (crioablazione) [2]. Lo Stato dell’Arte è pertanto rappresentato dalla termoablazione con radiofrequenze (RFA), ossia la terapia ablativa ipertermica più utilizzata tra quelle disponibili (laser, ultrasuoni focalizzati, etc.). Le apparecchiature per RFA sono tecnologicamente standardizzate da alcuni anni e diffusamente conosciute. La stragrande maggioranza degli studi clinici, inoltre, non ha dimostrato né la superiorità tecnica di un’apparecchiatura rispetto a un’altra, né, da un altro punto di vista, il valore prognostico dell’uso di una diversa apparecchiatura sull’efficacia locale della RFA o sull’outcome dei pazienti. Limite comune sembra però essere una minor capacità di ottenere l’ablazione completa proporzionalmente al crescere del diametro della MTS; in particolare, studi retrospettivi hanno dimostrato la 320 significatività statistica di cut-off dimensionali tra 2 e 4 cm per l’efficacia locale della RFA [3]. In sintesi, la necessità di un sufficiente margine “di sicurezza” intorno alla zona ablata, documentata anche sperimentalmente [4], riduce la radicalità della RFA per MTS di diametro crescente; ciò ha indotto a ricercare sorgenti di energia più potenti, di cui le microonde (MW) rappresentano quella ad oggi più sperimentata: a parità di rischio di complicanze (circa il 3% di complicanze maggiori) [5], la MWA sembra consentire una superiore efficacia locale, con maggior percentuale di ablazioni complete in caso di MTS fino a 4.5 cm di diametro [6], ma mancano ancora valutazioni adeguate della sua utilità clinica in termini di sopravvivenza. Per affrontare il capitolo Indicazioni Consolidate bisogna quindi ritornare alla RFA, per la quale i risultati clinici esistono già, per quanto basati quasi esclusivamente su serie storiche [1]. Ancora oggi, infatti, la letteratura offre un solo trial randomizzato tra chemioterapia e chemioterapia associata a RFA, che dimostra che l’associazione con la RFA ha ottenuto un prolungamento del tempo di sopravvivenza libero da malattia, ma dove l’effetto definitivo della RFA sulla sopravvivenza globale rimane indeterminato [7]. Quanto alle casistiche retrospettive (RFA spesso inserita in una terapia multimodale), negli studi in cui è stata valutata la RFA percutanea delle MTS da CRC, la mediana di sopravvivenza è variata tra 24 e 52 mesi, con una percentuale di sopravvivenza globale a 5 anni del 18–44% dalla prima RFA [1]. Le dimensioni delle MTS rappresentano il fattore prognostico principale dell’outcome clinico, con percentuali di sopravvivenza a 5 anni oltre il 45% [7,8,9] e mediane intorno a 50 mesi per i pazienti con lesione principale di diametro inferiore a 2.5 cm [8,9], e differenze significative tra questi e quelli con diametri superiori; altro predittore negativo risulta la malattia metastatica extraepatica, ma non tanto da costituire una controindicazione assoluta al trattamento [9]. In conclusione, ancora oggi le considerazioni possibili basate sulle evidenze sono che la resezione chirurgica delle MTS da CRC rimane la terapia di scelta per i pazienti operabili [10], ma la RFA percutanea dovrebbe essere considerata la prima opzione terapeutica per i pazienti con lesioni non resecabili o condizioni che controindichino l’anestesia generale o la chirurgia addominale [11]. Nel dettaglio, secondo i “Criteri di appropriatezza del management radiologico delle neoplasie epatiche maligne” dell’American College of Radiology del 2012, l’ablazione termica deve essere considerata abitualmente indicata in caso di MTS solitaria da CRC se di diametro < 3-5 cm (sulla base però dell’expertise locale) [12]. La possibilità riportata in letteratura di utilizzare la RFA nel “test-of-time” oncologico prima della resezione chirurgica [13], suggerisce infine la possibilità di disegnare un trial randomizzato per comparare prospetticamente RFA e resezione in caso di piccola metastasi solitaria, valutando anche costi e qualità di vita. Al termine dell’intervento di Veltri è seguita una lunga discussione, in cui è stato trovato un consenso comune riguardo alla possibilità di proporre, sulla base delle pubblicazioni esistenti, uno studio comparativo tra RFA e chirurgia resettiva nelle metastasi singole con diametro inferiore ai 3-5 cm. Il terzo intervento è stato del Dott. Vincenzo Mazzaferro, sul tema: “terapia chirurgica: quali criteri per la decisione clinica e la valutazione dei risultati”. Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:318-327 Il trattamento delle MTS è molto complesso: un campo in cui tutte le figure professionali in gioco devono ammettere dei limiti e forse fare anche dei passi indietro se vogliamo davvero andare verso l’approccio multidisciplinare. Focalizziamo pertanto l’attenzione al contributo che la chirurgia può fornire nell’ambito di una logica multidisciplinare. La chirurgia ha le maggiori potenzialità di cura rispetto agli altri trattamenti. Dividiamo grossolanamente le metastasi in resecabili e non resecabili, o che comunque verosimilmente non saranno mai resecabili. Vi è però un grande “contenitore” intermedio che sono i Pz potenzialmente resecabili, i quali sono classificati generalmente dalle condizioni della loro malattia epatica: quante MTS, quanto grandi, i loro rapporti con le vene epatiche e così via. Dallo schema che comprende questa classificazione deriva anche cosa proporre ai Pz. Ai pazienti facilmente resecabili la proposta è senz’altro quella di operarli e potenzialmente guarirli. Nel Pz non resecabile l’obiettivo è quello di estendere la sopravvivenza attraverso i trattamenti di tipo medico. Per i Pz potenzialmente resecabili, categoria assai mal definibile, bisogna fare uno sforzo per tentare di riportarli alla chirurgia, visto che questa è l’unica in grado di guarirli. Qualunque sia la terapia chirurgica o medica, dobbiamo considerare i fattori prognostici, che valgono anche per le terapie loco-regionali: le MTS sincrone o metacrone, il numero e le dimensioni, il coinvolgimento linfonodale, i rapporti con le vene epatiche e con i dotti biliari, i margini di resezione, la presenza di malattia extraepatica, la chemioterapia peri-operatoria, il livello del CEA. Tutti questi dati contano nella scelta della terapia e nella prognosi del Pz, qualunque sia il trattamento che intendiamo impiegare. Per esempio: le resezioni delle metastasi sincrone si possono fare, ma la letteratura mostra che la sopravvivenza e la PFS (progression free servival) va peggio di quelle per MTS metacrone. Il caso delle metastasi bilaterali: sono gravate da una prognosi peggiore che quelle monolaterali. Si possono fare le epatectomie in due tempi, si possono fare simultaneamente resezioni e ablazioni. Un altro punto è il coinvolgimento linfonodale: la positività dei linfonodi dell’ilo epatico sono gravati da prognosi assai peggiore , con sopravvivenza a 5 anni poco superiore allo zero. I linfonodi peggiori dal punto di vista prognostico sono quelli del tripode celiaco e i retro-pancreatici che probabilmente, se identificati all’imaging pre-operatorio, dovrebbero essere considerati una controindicazione all’intervento chirurgico. Anche la malattia extraepatica peggiora fortemente la prognosi; è ben vero che questa a volte può essere rimossa, ma comunque la prognosi del Pz rimane peggiore rispetto all’assenza di questo fattore. I margini di resezione sono un aspetto importante, come abbiamo già sentito dire parlando delle ablazioni. Deve essere però considerato che l’aggiunta dei nuovi farmaci e dei nuovi schemi terapeutici può annullare la differenza prognostica che c’è tra una resezione con margini R0 e una con margini R1 (infiltrazione microscopica). Questo vuol dire che il gap rappresentato da una resezione forzatamente a margini R1 può essere gestito dall’approccio multidisciplinare tra chirurghi e oncologi medici. Un altro problema è quello relativo alle metastasi che, trattate in fase pre-operatoria, scompaiono: anche in questo caso il problema viene risolto nella gran parte dei casi con la collaborazione con i radiologi, mediante le tecniche di imaging , tra le quali la ecografia intra-operatoria, eventualmente con l’opzione del mezzo di contrasto. In ogni caso la risposta alle terapie pre-operatorie è legata ad una Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:318-327 prognosi migliore, e questo vale sia per l’area chirurgica che interventistica. Poiché quello che conta è la risposta patologica alla chemioterapia, mentre questo dato può essere ottenuto dopo la resezione della metastasi, quando si tratta la lesione con una tecnica interventistica, come l’ablazione, questo dato è più difficile da ottenere. Torniamo ora alla partenza e alla classificazione delle metastasi per fare un punto della situazione. In particolare ci focalizziamo sulle MTS intermedie, resecabili ad alto rischio e potenzialmente resecabili. Queste categorie (resecabili, non resecabili e potenzialmente resecabili) sono definite dai fattori prognostici, elencati in modo che sia valido e obbiettiva bile per tutti. I noduli facilmente resecabili sono i noduli singoli, con il CEA <100, metacroni, senza coinvolgimento linfonodale. Un pz invece che deve fare prima una embolizzazione portale o una ablazione intra-operatoria è comunque un Pz ad alto rischio. I Pz che andrebbero ad una chirurgia convenzionale, ma hanno alcuni fattori prognostici negativi, come il CEA >100, sono MTS sincrone o sono più di quattro, devono fare la chemioterapia neoadiuvante prima dell’intervento. Quindi solo i Pz facili e con malattia molto contenuta vanno direttamente alla chirurgia, mentre tutti gli altri, per un motivo o per un altro, devono avere un passaggio per una terapia neoadiuvante. Ovviamente su ciascuna di queste categorie si possono sviluppare studi e prospettive diverse, ma con rispetto di una logica terapeutica di questo tipo. Il quarto intervento è stato ancora di tipo chirurgico, avendo come tema uno degli aspetti forse più interessante e di riconosciuta utilità, cioè quello della integrazione tra chirurgia e radiofrequenza. Il Dott. Carlo Battiston, ha parlato di: “terapia chirurgica integrata: chirurgia + RFA intraoperatoria”. Il trattamento chirurgico delle metastasi epatiche da carcinoma colo-rettale suscita un grande interesse nell’ambito della chirurgia oncologica ed epatica in relazione ai buoni risultati ottenibili in termini di sopravvivenza in uno stadio di malattia avanzata. Solo il 15-25% di pazienti con metastasi epatiche sono suscettibili di intervento di resezione epatica [Evrard, BJS 2012] . Per questo motivo negli ultimi anni diverse strategie sono state adottate per aumentare il numero di pazienti resecabili. L’ approccio combinato resettivo e termoablativo permette di aumentare il numero dei pazienti operabili mediante ablazione delle lesioni non resecabili mantenendo un volume di fegato residuo sufficiente . Tale trattamento è stato proposto in letteratura per la prima volta a metà degli anni novanta ma fino ad oggi non sono apparsi dati significativi conclusivi della reale efficacia e dei risultati della metodica. Fattori che contribuiscono alla mancanza di dati certi in letteratura sono la mancanza di studi comparativi tra RFA e resezione per tumori simili e la presenza di diverse definizioni di metastasi “resecabili“. Una recente revisione della letteratura sui risultati della RFA conclude che mancano studi randomizzati e quelli retrospettivi giungono a conclusioni discordanti ( Minami, Gut and Liver 2013 ). La review della “American Society of Clinical Oncolgy” sottolinea come la resezione rappresenta il trattamento elettivo per le metastasi epatiche colo-rettali ( Wong SL , JCO 2010 ) L’approccio laparotomico offre i seguenti vantaggi : ñ Trattamento più accurato rispetto ad approccio laparoscopico o percutaneo [ Eisele, EJSO 2010]; 321 ñ L’approccio “open” con eventuale contemporaneo clampaggio ilare permette di trattare lesioni contigue alle principali strutture vascolari che si ritenevano non trattabili [Evrard , EJSO 2004] ; ñ L’approccio percutaneo non è utilizzabile per lesioni > 5 cm, in posizioni particolari, se multiple > 3. Facilità di puntamento grazie alla mobilizzazione del fegato. [Elias , JSO 2005] Dalla nostra esperienza la laparotomia permette: un’ accurata stadiazione della malattia; plurimi trattamenti contemporanei; un miglior controllo del sanguinamento; il trattamento delle metastasi contigue ai vasi principali, in particolare adiacenti alla vena cava inferiore ed alla confluenza delle vene sovra epatiche; minor rischio di diffusione neoplastica e di lesioni degli organi contigui. Volendo cercare di riassumere i dati della letteratura i candidati per tale procedura sono : ñ Pazienti precedentemente sottoposti ad epatectomia maggiore ñ Lesioni centro-epatiche ñ Lesioni di piccole dimensioni < 30 mm ñ Pazienti con metastasi bilaterali: indicazione ad emiepatectomia e lesioni centrali nel parenchima residuo La revisione della lettura evidenzia che : ñ 1/3 delle pubblicazioni sono “case report” ñ Solo 3 lavori hanno > 100 pazienti ñ Alcuni lavori riguardano anche metastasi non colo-rettali ñ Trattamenti falliti : dal 1.8 al 39% ñ Principali cause di fallimento: contiguità strutture vascolari lesione > 3 cm → Recidiva locale per lesioni > 3 cm : 22% < 3 cm : 1.6 - 3.8% Concludendo l’approccio combinato di resezione e termoablazione : ñ Aumenta la percentuale di interventi curativi rispetto alla sola chirurgia ( dal 20 al 35 % ). ñ Migliora la sopravvivenza rispetto alla sola chemioterapia ñ Permette di ablare le lesioni altrimenti intrattabili situate vicino alle strutture vascolari ñ E’ una tecnica con morbilità e mortalità comparabili alla chirurgia tradizionale. Il Dott. Alfonso Marchianò e il dott Vincenzo Mazzaferro hanno quindi approfondito insieme un tema interessante, in cui la Radiologia Interventistica gioca un ruolo importante e consolidato: il tema è stato: “L’obiettivo di preservazione d’organo nel trattamento delle metastasi epatiche complesse-bilaterali: ruolo della Radiologia Interventistica (Embolizzazione portale, RFA) e della chirurgia”. Il trattamento più efficace per le metastasi epatiche da neoplasia del colon resta la resezione chirurgica. Sebbene il successo della chirurgia resettiva epatica sia correlato a molte variabili il parametro più importante rimane costituito dal volume e dalla funzionalità del fegato residuo post resezione, il così detto future liver remnant (FLR). I pazienti con un inadeguato FLR presentano un più frequente riscontro di insufficienza epatica post resettiva con una più elevata mortalità post operatoria. L’embolizzazione portale (PVE) descritta nel 1986 da Kinoshita è la tecnica di riferimento per i pazienti con un 322 insufficiente FLR candidati a chirurgia resettiva, avendo soppiantato la legatura chirurgica per una superiore efficacia e sicurezza. L’analisi dei risultati di questa procedura sono basati principalmente su piccole serie, non essendo disponibili studi controllati o randomizzati. Alcuni aspetti controversi sono stati affrontati in una meta analisi pubblicata nel 2013 su Cardiovascular Interventional Radiology (14). In particolare sono state valutate alcune variabili tecniche, le complicanze e l’efficacia riscontrata. Per quanto riguarda la tecnica impiegata l’ approccio percutaneo ipsilaterale andrebbe privilegiato rispetto a quello controlaterale in quanto non gravato da danni potenziali del FLR e da un accesso meno problematico ai rami destinato ad S4, ma non vi sono dimostrazioni conclusive di una effettiva superiorità di un approccio rispetto all’altro. Anche la PVE con approccio transileocolico, in genere eseguito nel corso di una mini-laparotomia mantiene campi di applicazione relativamente ampi nell’ambito di un integrazione con una chirurgia resettiva epatica dilazionata in due o più fasi. Gli agenti embolizzanti più comunemente impiegati sono risultati essere le miscele di N-butyl cyanoacrylato e lipiodol o le particelle di PVA in combinazione con spirali metalliche, quindi materiali non riassorbibili che dovrebbero prevenire la ricanalizzazione portale periferica. Sebbene siano necessari studi più ampi i dati di questa review suggeriscono che n-butyl cyanoacrylato da solo o in combinazione con il lipiodol sia l’agente embolizzante più efficace, in quanto induce un più elevato incremento medio del volume del FRL. Il successo tecnico e clinico complessivo medio riferito della PVE è molto elevato, rispettivamente del 99.3 % e del 96,1 %. Solo il 2.8 % dei pazienti non è stato sottoposto a resezione chirurgica per una ipertrofia ritenuta insufficiente ed un ulteriore 0.4 % dei pazienti è risultato non resecabile per complicanze correlate direttamente alla procedura quali ematomi sotto capsulari od estensione della trombosi portale. Comunque circa il 20 % complessivo dei pazienti sottoposti a PVE non è stato poi trattato con resezione epatica. La progressione locale, sia nei segmenti sottoposti ad embolizzazione che a quelli non embolizzati (circa 6,1 %) e la diffusione extraepatica ( circa 8,1 %) restano le cause principali di non resecabilità dopo PVE. Anche per questo motivo l’intervallo di tempo tra la PVE e la resezione chirurgica dovrebbe essere limitato il più possibile. Inoltre i dati volumetrici disponibili, presentati in particolare da Ribero (15) dimostrano che dopo una ipertrofia iniziale nelle prime tre settimane, viene poi raggiunta una fase di plateau. (16-18) Sono state quindi affrontate due tematiche che stanno molto a cuore ai Radiologi e che in qualche modo completano le procedure terapeutiche di tipo radiologico disponibili: la chemioembolizzazione (TACE) e la radioembolizzazione (TARE). Il Dott. Camillo Aliberti ci ha parlato delle indicazioni attuali e studi della TACE. Il razionale per la terapia arteriosa intraepatica si basa sul fatto che al parenchima epatico il sangue viene fornito dalla vena porta , mentre i tumori epatici (primario e metastatico) ricevono il loro apporto di sangue quasi esclusivamente dalla arteria. Il concetto di chemioembolizzazione (TACE) è quello di combinare agenti chemioterapici e materiale embolizzante e infonderli nelle arterie epatiche che forniscono i tumori del fegato. L’ipossia indotta dagli agenti embolizzanti agisce sia inducendo la necrosi delle lesioni, sia potenziando l’azione del chemioterapico. Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:318-327 La TACE è stato introdotta nella pratica clinica sin dal 1980 da Yamada . La doxorubicina è il farmaco più comunemente usato per il carcinoma epatocellulare , mentre cisplatino , 5 - FU , doxorubicina e mitomicina sono utilizzati per i tumori secondari. Nella TACE convenzionale (cTACE) l’agente chemioterapico è miscelato con un mezzo di contrasto liposolubile ( Lipiodol ultrafluido , Laboratoire Guebert , Francia), che fa da veicolo del chemioterapico e da embolizzante . Diversi agenti embolici possono essere aggiunti alla miscela Lipiodol (LUF)-chemioterapico per aumentare l’effetto ischemizzante: Gelfoam e particelle di alcool polivinilico sono gli agenti più comunemente utilizzati. La relativamente recente introduzione delle microsfere a rilascio di farmaco (Drug Eluting Beads, DEB), che legano in modo più stabile i chemioterapici e li rilasciano più lentamente in modo controllato all’interno del tumore, migliora la capacità rispetto alla cTACE di ottenere concentrazioni elevate di chemioterapico nelle lesioni target riducendo i picchi sistemici di chemioterapico, riducendo così al minimo gli effetti collaterali . Queste microsfere hanno dimensioni tra 40 e 900 micron, sono realizzate in materiale non degradabile , alcool polivinilico (PVA). Mentre la TACE è considerata la terapia di prima scelta nell’epatocarcinoma in stadio intermedio secondo BCLC, ci sono pochi dati per supportare il suo utilizzo per il trattamento di MTS da CRC, dove essa ha limitata applicazione clinica. Sono presenti in letteratura alcuni lavori osservazionali condotti su piccole serie di pazienti, non responsivi alla chemioterapia sistemica, in cui vengono descritte buone risposte obiettive e tossicità moderata. Fiorentini et al. hanno condotto l’unico studio randomizzato controllato disponibile fino ad oggi, confrontando DEBIRI (DEB legate ad irinotecan) con la chemioterapia sistemica (FOLFIRI). L’endpoint primario era la sopravvivenza ; endpoint secondari erano la risposta obiettiva, la recidiva, la tossicità , la qualità della vita , il costo e l’influenza di marcatori molecolari . Questo studio ha mostrato una differenza statisticamente significativa tra DEBIRI e FOLFIRI per OS (7 mesi) , PFS (3 mesi) e durata del miglioramento qualità della vita (5 mesi). Pertanto ad una revisione della letteratura la chemioembolizzazione denominata DEBIRI può rappresentare una possibilità terapeutica per i pazienti con MTS non operabili , soprattutto non responsivi dopo la prima linea di trattamento chemioterapico. Studi clinici controllati sono necessari per stabilire come la TACE possa collocarsi in questi pazienti e integrarsi con le altre linee di terapia. A questo proposito può essere interessante l’integrazione della chemioembolizzazione con farmaci anti-angiogenici , al fine di ridurre il possibile stimolo alla neoangiogenesi indotto dalla ipossia post- TACE e conseguentemente migliorare i risultati della TACE in termini di time-to-progression e sopravvivenza dei pazienti. La Dott.ssa Irene Bargellini ha fatto una interessante relazione sulle indicazioni attuali e future della TARE. La Radioembolizzazione Transarteriosa (TARE) consente di eseguire una radioterapia ad alte dosi localizzata alla regione tumorale, risparmiando il tessuto epatico non tumorale, con conseguente riduzione della tossicità epatica e sistemica. La maggior parte degli studi ad oggi pubblicati sono studi di fase II, che hanno dimostrato la sicurezza della procedura ed una certa efficacia in termini di controllo della malattia (19-25). Ad oggi è stato pubblicato un unico studio di fase III prospetti- Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:318-327 co randomizzato che ha incluso 44 pazienti chemio-refrattari, randomizzati a terapia con solo fluorouracile o combinazione di TARE e fluorouracile. Tale studio riporta un significativo incremento nel tempo mediano alla progressione della malattia nel gruppo del trattamento combinato (4,5-5,6 mesi versus 2,1 mesi) con una tendenza ad una migliore sopravvivenza (mediana, 10 mesi versus 7 mesi) tuttavia non statisticamente significativa, verosimilmente anche in rapporto al limitato numero di pazienti arruolati (26). Tuttavia questo studio, nonché le prime esperienze pubblicate anche in pazienti in diverse linee chemioterapiche, ha consentito la messa a punto e l’attivazione di alcuni trial internazionali di fase III. I principali interessano pazienti in prima linea randomizzati a chemioterapia standard versus chemioterapia e TARE (studi SIRFOX, Foxfire e Foxfire Global) e pazienti in seconda linea anch’essi randomizzati a chemioterapia versus chemioterapia combinata a TARE (studio EPOCH). In attesa che i risultati di tali studi divengano disponibili nei prossimi anni, pur non essendo possibile definire con certezza il ruolo della TARE nell’ambito dei pazienti con metastasi da carcinoma del colon-retto, è possibile suggerirne alcune applicazioni. In particolare, il profilo di sicurezza, tollerabilità e versatilità della TARE rendono questo tipo di trattamento potenzialmente indicato in varie tipologie di pazienti: 1) pazienti chemiorefrattari, laddove si presuppone che le cellule tumorali abbiano sviluppato resistenza al chemioterapico ed un trattamento radioterapeutico mirato possa rappresentare una valida alternativa terapeutica; questa oggi rappresenta nella pratica clinica l’indicazione più certa, anche grazie allo studio di Hendlisz A e coll.(26). E’ necessario considerare che i pazienti da selezionare per la TARE devono essere in buone condizioni cliniche (ECOG 0-1), con interessamento metastatico esclusivamente o prevalentemente localizzato al fegato, il quale non dovrebbe superare il 50% del volume epatico (preferibilmente il 25%); 2) pazienti in prima o seconda linea, in associazione con chemioterapia sistemica. Il trattamento radioterapico ottenibile con TARE può essere combinato in sicurezza con la chemioterapia sistemica, anche tenendo presente l’effetto sinergico che alcuni farmaci (radiosensibilizzanti) possono avere in associazione con la radioterapia. In questo ambito si può anche tener presente la possibilità di eseguire quella che oggi viene denominata ““radiation lobectomy”, che consiste nell’utilizzo di più alti dosi radianti ad un intero lobo affetto da malattia al fine di ottenere, oltre al trattamento tumorale, la ipotrofia del lobo trattato con ipertrofia compensatoria del lobo controlaterale. In tale modo, un paziente inizialmente considerato “non resecabile” prevalentemente in relazione al basso volume epatico residuo dopo una eventuale resezione, potrebbe essere portato ad intervento chirurgico (27). 3) pazienti con controindicazioni o intolleranza a trattamenti chemioterapici. Infine la Dott.ssa Emanuela Giampalma ha concluso con una relazione di grande interesse riguardante il ruolo dell’imaging nella valutazione della risposta terapeutica. Il monitoraggio mediante imaging della risposta tumorale alle terapie sia sistemiche che locoregionali rappresenta un elemento di fondamentale importanza in ambito oncologico, soprattutto con l’introduzione dei nuovi farmaci molecolari (che agiscono sull’angiogenesi e sul metabolismo/proliferazione tumorale) e delle nuove terapie locoregionali epatiche (che- 323 mioembolizzazione con microsfere, radioembolizzazione). Questi nuovi trattamenti non determinano più, come le chemioterapie standard, una riduzione dimensionale delle lesioni per effetto citotossico, ma fenomeni di necrosi o di inibizione della crescita cellulare che spesso non si traducono in diminuzione dimensionale. Pertanto l’utilizzo dei criteri di valutazione della risposta basati sul parametro dimensionale non consente di distinguere precocemente i pazienti responders dai non responders, condizione cruciale per evitare di continuare senza efficacia trattamenti costosi e potenzialmente tossici. Inoltre nella comunità scientifica è forte l’esigenza di disporre di criteri di valutazione della risposta potenziali surrogati della sopravvivenza come end point primario, da utilizzare nei trials di Fase II e III, per poter ottenere risultati degli studi RCT sui nuovi farmaci validabili in tempi ragionevoli, onde evitare sprechi economici rilevanti nell’attesa delle valutazioni della sopravvivenza che normalmente necessitano di tempi medio-lunghi (5-10 anni). I criteri dimensionali, evoluti dagli storici WHO (28) fino a più recenti RECIST 1.0 (29) e RECIST 1.1 (30) rappresentano parametri di valutazione quantitativa (misurabili e riproducibili) che si sono affermati in quanto testati in studi eseguiti su larghe serie di pazienti (31, 32) e rappresentano i parametri oggettivi comunemente usati nella pratica clinica per determinare la risposta dei tumori alle terapie. Presentano però diversi punti di debolezza: problemi nel definire in modo preciso le dimensioni in caso di lesioni con profili mal definiti alla TC; rischio di significative differenze inter-osservatore e intra-osservatore in misure sequenziali ripetute nel follow up; difficoltà nel valutare correttamente la reale quantità di tumore residuo all’interno della lesione, specie dopo terapie sistemiche con i nuovi farmaci molecolari o dopo terapie locoregionali (33, 34). Inoltre il meccanismo d’azione delle nuove terapie target differisce rispetto ai farmaci citotossici, producendo inibizione dell’angiogenesi, o della proliferazione cellulare e apoptosi, condizioni tutte che non si traducono in una riduzione dimensionale delle lesioni. Conseguentemente si sono sviluppati negli ultimi anni criteri di valutazione quantitativi funzionali che sono specifici o per il tipo di tumore o per il tipo di terapia utilizzata. I principali esempi sono i criteri Choi (35) per i tumori gastrointestinali stromali, i criteri EASL (36) e mRECIST (37) per l’epatocarcinoma. Anche nel setting delle metastasi epatiche da tumore colorettale viene sentita molto forte l’esigenza di identificare nuovi criteri di valutazione della risposta dopo l’introduzione delle nuove terapie con anticorpi monoclonali. A tal proposito Chun et al. (38) hanno dimostrato che le MTS da CRC che rispondono al Bevacizumab, appaiono più omogeneamente ipodense e a margini ben definiti senza diminuire in dimensioni. Da queste evidenze hanno quindi proposto di adottare nuovi criteri definiti come “morfologici” per la valutazione della risposta. Nel loro studio infatti è stata identificata una correlazione statisticamente significativa tra i criteri morfologici e la sopravvivenza dei pazienti analizzati, mostrando anche una buona concordanza inter-osservatore; il limite di questi criteri è però rappresentato dal fatto che non sono né oggettivi né quantitativi e quindi scarsamente riproducibili. Infatti questi stessi criteri morfologici non si sono dimostrati altrettanto validi nel 324 valutare la correlazione tra risposta radiologica del tumore e risposta patologica dopo chirurgia, in una serie di pazienti trattati in un setting di terapia adiuvante con iniezione intrarteriosa di microsfere caricate con irinotecan (DEBIRI) (39). Questo studio conclude quindi che i criteri morfologici così come i criteri RECIST non sono in grado di predire né la risposta patologica tumorale né l’outcome a lungo termine. Diversi studi pubblicati nell’ultimo decennio si sono focalizzati sull’impiego delle misurazioni volumetriche nella valutazione della risposta alla chemioterapia delle metastasi epatiche da ca colorettale; il più recente pubblicato da Fang et al (40) ha confermato un tendenziale vantaggio dell’utilizzo di questo metodo rispetto ai criteri RECIST, con una percentuale di discordanza di poco superiore al 13%, specie in presenza di lesioni con morfologia irregolare e margini maldefiniti, con minore variabilità inter-osservatore. La difficoltà però di queste valutazioni ad affermarsi come criteri di riferimento dipendono da alcuni limiti: allungano i tempi di valutazione rispetto ai RECIST (possibile superamento con introduzione di sistemi semiautomatici negli apparecchi TC/RM); aumentano i costi; non c’è consenso relativamente ai valori di riferimento da utilizzare per distinguere i diversi gradi di risposta (specie tra risposta parziale e malattia stabile). Conseguentemente gli autori concludono che nella pratica clinica, visto anche la bassa percentuale di discordanza, è più funzionale l’impiego dei più semplici criteri RECIST. Maggior consenso invece si sta creando sull’impiego dei criteri Choi nella valutazione della risposta delle MTS alla chemioterapia. Questi criteri, basati sulla misurazione automatica della densità utilizzando una ROI disegnata sul profilo delle singole lesioni, sono in grado di rilevare precocemente la risposta alla terapia utilizzando la percentuale di riduzione della densità misurabile alla TC che riflette la riduzione della vascolarizzazione neoplastica (neoangiogenesi) e la presenza di necrosi. Rappresentano quindi criteri molto promettenti soprattutto nei pazienti sottoposti a chemioterapia con i nuovi farmaci antiangiogenetici o a trattamenti intrarteriosi epatici (TARE, DEBIRI), anche in considerazione del fatto che sono misurazioni quantitative, oggettive e facilmente utilizzabili nella pratica clinica. Chung et al (41) hanno comparato questi criteri, noti anche come “modified CT criteria” con i criteri RECIST 1.1 in due gruppi di pazienti, uno trattato solo con chemioterapia standard e uno trattato con chemioterapia + bevacizumab, nel predire il TTP. Questo studio ha dimostrato che i criteri Choi sono superiori ai criteri RECIST 1.1 nel predire il TTP sia dopo chemioterapia standard che dopo trattamento con anticorpi monoclonali anti- VEGF. Un’altra interessante modalità di valutazione della risposta che si sta affermando in oncologia, è rappresentata dall’impiego della 18F-FDG PET, ad oggi prevalentemente utilizzata nella patologia linfomatosa. Nel 2009 sono stati proposti criteri di valutazione della risposta qualitativi e quantitativi di tipo metabolico, utilizzando la PET, e definiti come PERCIST 1.0 (PET Response Criteria in Solid Tumors) (42), che si basano sul fatto che esiste una stretta relazione tra la captazione di 18F-FDG e numero di cellule neoplastiche attive nelle lesioni tumorali. Conseguentemente la riduzione dopo terapia dell’uptake del glucosio, corrisponde ad una perdita/riduzione di cellule tu- Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:318-327 morali vitali, ponendo come limite dell’indagine lesioni con diametro inferiore ad un range compreso tra 0.4 e 1 cm, condizione che espone a un eccesso di falsi positivi per risposta completa. La valutazione qualitativa della risposta alla PET si ottiene comparando la captazione delle lesioni neoplastiche con la captazione di alcune strutture normali quali muscoli, cervello e fegato e rappresenta il metodo comunemente usato nella pratica clinica. La valutazione di tipo quantitativo si basa invece sulla misurazione delle variazioni del SUV (Standardised Uptake Value), o del SUV normalizzato alla massa corporea o alla massa corporea magra (SUL) che per essere attendibile prevede l’esecuzione di studi, sia in baseline che nel follow up, che utilizzino lo stesso tipo di preparazione del paziente, la stessa modalità di somministrazione del tracciante e lo stesso protocollo di acquisizione ed elaborazione dell’indagine. Recentemente Fendler et al (43) hanno testato diversi parametri basati sul SUV rilevato alla PET come predittori della sopravvivenza dei pazienti affetti da metastasi epatiche da tumore colorettale, trattati con radioembolizzazione, riscontrando che solo cambiamenti del volume metabolico e della glicolisi complessiva delle lesioni correlano con la sopravvivenza dei pazienti, mentre questa correlazione non è risultata per il valore del SUVpeak e del SUVmax . In considerazione comunque della non routinaria esecuzione della PET nel follow up dei pazienti affetti da metastasi epatiche da tumore colorettale trattati con radioembolizzazione, la valutazione dei cambiamenti metabolici dopo terapia non può essere considerata una modalità applicabile su larga scala nella pratica clinica per valutare la risposta. Per superare questo limite recentemente Tocchetto el al (44) hanno condotto uno studio di comparazione tra i criteri Choi e le variazioni dell’attività metabolica rilevate alla TC, considerate come standard di riferimento della risposta alla terapia in un gruppo di 28 pazienti affetti da metastasi epatiche trattati con Yttrio90. I risultati di questo studio hanno dimostrato che le variazioni della densità rilevate alla MDTC correlano in modo significativo con l’attività metabolica valutata alla PET dopo la radioembolizzazione, portando gli autori a suggerire l’impiego dei criteri Choi come utile surrogato per identificare precocemente la risposta nel setting di pazienti descritto. Alla luce dei recenti sviluppi tecnologi delle apparecchiature di Tomografia Computerizzata e di Risonanza Magnetica, si stanno aprendo nuove frontiere nella valutazione imaging della risposta alle terapie sistemiche e locoregionali in ambito oncologico, rappresentate dalla CT-perfusion e dalla MRIDWI (45, 46). Queste tecniche infatti sarebbero in grado di evidenziare in modo quantificabile le variazioni dell’angiogenesi o della cellularità tumorale dopo le cosiddette targeted therapies, elementi molto importante per discriminare precocemente i pazienti responders dai non responders. Allo stato attuale, dopo i primi promettenti risultati sperimentali, restano però ancora da definire in modo standard e riproducibile su ampie serie di pazienti, i parametri di riferimento da applicare nella pratica clinica, considerando anche la loro stretta dipendenza con le diverse tipologie di apparecchiatura e gli specifici software applicativi che presentano peraltro un inevitabile incremento dei tempi e dei costi delle indagini. 325 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:318-327 Alla luce di quanto fin qui esposto, appare evidente come la valutazione della risposta alle terapie oncologiche sia sistemiche che locoregionali rappresenti tuttora una sfida per il radiologo che deve cercare di adeguarsi alle nuove esigenze imposte dalla comparsa di terapie innovative sempre più mirate per le quali i criteri di valutazione considerati finora standard di riferimento appaiono insufficienti a cogliere precocemente le variazioni indotte dai nuovi farmaci. Nell’ambito delle metastasi epatiche non operabili si dovrà quindi cercare di applicare criteri di risposta sempre più basati o sul tipo di tumore o sul tipo di terapia utilizzata, cercando di impegnarsi nel testare i nuovi criteri non più unicamente dimensionali ma funzionali su ampie serie di pazienti o all’interno di trials sperimentali. In tal senso, dai dati attualmente rilevabili in letteratura, tra i nuovi criteri proponibili, quelli che potrebbero trovare un maggior impiego nella pratica clinica sono a mio avviso i criteri Choi (modified-CT criteria) in quanto risultano quantificabili (quindi oggettivabili) e facilmente riproducibili (quindi con maggiore concordanza inter-osservatore) senza incidere significativamente sui costi e sui tempi delle indagini. Relativamente all’impiego dell’imaging funzionale TC e/o RM, allo stato attuale mancano ancora sufficienti evidenze per considerare la CT-perfusion o la MRI-DWI metodiche affidabili e proponibili nella pratica clinica, necessitando di ulteriori validazioni all’interno di studi dedicati anche in considerazione degli alti costi sia economici (i software dedicati non sono integrati nell’equipaggiamento standard delle apparecchiature) che di tempo medico (lunghi tempi di post-processing). Analoghe considerazioni, anche se non rappresenta specifico campo di competenza radiologico, credo si possa dire per i criteri funzionali della PET. POSSIBILITA’ DI INTEGRAZIONE DELLE TERAPIE LOCO-REGIONALI NELLA TERAPIA DELLE METASTASI EPATICHE DA CARCINOMA DEL COLON-RETTO 1) METASTASI RESECABILI >>>CHIRURGIA CONVENZIONALE A: BASSO RISCHIO ( M+ unica <5 cm, metacrona ) >>>> chirurgia RF (o MW) possibile alternativa in pz unfit per chirurgia o non resecabili *Studio randomizzato chirurgia vs RF (o MW) B: ALTO RISCHIO ( metastasi multiple): B1 (<4 mts, metacrone, CEA<100) >>>chirurgia RF (o MW) possibile trattamento combinato chirurgia e ablazione B2 (>4 mts, sincrone, CEA>100)>>>tp neoadiuvante>>>chirurgia>>>tp adiuvante *Possibile utilizzo di TACE o TARE in alternativa o combinazione con chemiotp sistemica in fase neoadiuvante 2) METASTASI POSSIBILMENTE RESECABILI >> >tp eoadiuvante>>>CHIRURGIA AVANZATA>>> tp adiuvante Embolizzazione portale Trattamento combinato chirurgia e ablazione *Possibile utilizzo di TACE o TARE in alternativa o combinazione con chemiotp sistemica in fase neoadiuvante 3) METASTASI NON RESECABILI >>> chemioterapia sistemica Combinazione TACE o TARE con chemioterapia sistemica di prima linea o seconda linea TACE o TARE in seconda linea *TARE in seconda linea *: possibili strategie future BIBLIOGRAFIA 1. 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Florio1 1 2 UOC di Radiologia Interventistica, IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, San Giovanni Rotondo, Foggia, Italia UO di Neuroradiologia Interventistica, Ospedale Policlinico Federico II, Napoli, Italia Indirizzo Autore: W. Lauriola, e-mail: [email protected] Introduzione Il trattamento endovascolare standard dell’aneurisma cerebrale consiste nell’embolizzazione della sacca aneurismatica. Questa è comunemente ottenuta mediante il riempimento della sacca con spirali metalliche che ne inducono la trombosi; in caso di aneurisma ad ampio colletto può associarsi il remodelling o il posizionamento di stent a cavaliere del colletto. Tali procedure endovascolari sono accompagnate da una percentuale di recidiva non trascurabile ed escludono la possibilità di trattamento di una buona quota di aneurismi di biforcazione, di grandi dimensioni, con colletto ampio, con arteria originante dalla sacca o fusiformi [1-8]. I nuovi stent a diversione di flusso hanno rivoluzionato la tradizionale “filosofia” del trattamento endovascolare dell’aneurisma cerebrale per cui dal “vecchio” concetto di embolizzazione si è passati a quello della “ricostruzione” dell’arteria parente e questo ha notevolmente ampliato il campo di applicazione delle tecniche endovascolari. Infatti dalla letteratura emerge che nei confronti delle precedenti tecniche lo stenting a diversione di flusso, oltre a garantire una efficacia clinica superiore consente anche il trattamento di aneurismi difficilmente o non altrimenti trattabili per via endovascolare [1,9-14]. Probabilmente proprio i benevoli risultati della letteratura sono motivo di rapida diffusione e di progressivo ampliamento delle indicazioni degli stent a diversione di flusso [1,14] che comunque restano controindicati in caso di insostenibilità di un regime terapeutico di doppia antiaggregazione prolungata come, ad esempio, in caso di aneurisma rotto, almeno nella fase acuta. Scopo del lavoro è valutare i risultati tecnici, angiografici e clinici della nostra esperienza di trattamento di aneurisma intracranico mediante stent a diversione di flusso Pipeline Embolization Device. Materiali e tecnica Dal gennaio 2011 a dicembre 2013 presso l’UOC di Radiologia Interventistica dell’ IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza in San Giovanni Rotondo (Foggia, Italia) sono stati eseguiti 31 trattamenti endovascolari di aneurisma cerebrale mediante stenting a diversione di flusso con PED (Pipeline Embolization Device, ev3 Neurovascular, Irvine, California, USA). Tutte le procedure sono state eseguite in elezione dalla stessa equipe operatoria. ! ! !2 Popolazione studio La popolazione studio è rappresentata da 25 pazienti di età media di 56,6 anni (range 23 - 77 anni), 17 (72%) dei quali di sesso femminile e 8 (28%) di sesso maschile. 23 (84%) pazienti sono stati trattati per aneurisma singolo e 2 (8%) per doppio aneurisma Tab.1. Tabella 1 Popolazione studio POPOLAZIONE STUDIO % Totali 25 Maschi 7 28 Femmine 18 72 Pz trattati per aneurisma singolo 23 92 Pz trattati per doppio aneurisma 2 8 Etàmedia (anni) 56,64 range: 23-77 In 10 (40%) pazienti l’aneurisma si è manifestato con ESA, in 9 (36%) con cefalea, 1 paziente, portatrice di aneurisma vertebrale intracranico gigante, si è presentato alla nostra attenzione affetta da gravi segni di compressione bulbare; nei restanti 5 pazienti l’aneurisma è stato diagnosticato durante esami eseguiti per riduzione del visus, diplopia, deficit del 3° nervo cranico, cefalea con epilessia (paziente portatore anche di meningioma e neoformazione polmonare metastatica) e ipoacusia. 329 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:328-335 Tabella 2 Esordio clinico CLINICA ESA n. Pazienti % 10 40 Cefalea 9 36 Riduzione visus / diplopia 2 8 Deficit3°n.c. 1 4 Cefalea con epilessia 1 4 Ipoacusia 1 4 Gravi segni di compressione bulbare 1 4 Casistica aneurismi Sono stati trattati in totale 27 aneurismi, 23 (85,18%) del circolo cerebrale anteriore, 3 (11,11%) di quello posteriore e 1 (3,70%) di carotide cervicale alta. 3 aneurismi erano localizzati in corrispondenza dell’arteria carotide interna terminale, 5 nel tratto sovraclinoideo, 10 in corrispondenza dell’infundibolo dell’arteria comunicante posteriore (6 dx; 4 sn), 4 nel segmento carotideo cavernoso, 1 in nel sifone carotideo, 1 nell’arteria carotide interna cervicale alta, 2 in corrispondenza dell’ostio dell’arteria cerebellare postero-inferiore, in 1 caso si trattava di aneurisma dissecante vertebrobasilare. Tab. 3. Tabella 3 Sede aneurisma ANEURISMA: sede CircoloAnteriore n. Aneurismi % 23 85,18 ACoPdx 6 22,22 ACoPsn 4 14,81 Carotide terminale 3 11,11 Carotide cavernosa 4 14,81 Carotide sovraclinoideo 5 18,52 Carotide sifone 1 3,70 Carotidecervicale alta 1 3,72 CircoloPosteriore 3 11,1 Vertebro-basilare 1 3,70 Vertebrale-PICA 2 27 totale aneurismi trattati 25 (92,60%) aneurismi presentavano morfologia sacciforme e 2 (7,40%), entrambi del circolo posteriore, avevano morfologia fusiforme. Il diametro medio della sacca aneurismatica è risultato pari a 12 mm (range 3 - 36 mm), con 2 aneurismi (7,40%) large (15-25 mm di diametro) e 4 (14,80%) giant (> 25 mm di diametro). Il diametro medio del colletto è risultato pari a 4,69 mm, il rapporto medio tra diametro massimo del lume vero della sacca aneurismatica e quello del colletto è risultato !4 ANEURISMA: sede n. Aneurismi ! % Circolo Anteriore 23 85,18 ACoP dx 6 22,22 ACoP sn 4 14,81 Carotide terminale 3 11,11 Carotide cavernosa 4 14,81 Carotide sovraclinoideo 5 18,52 Carotide sifone 1 3,70 Carotide cervicale alta 1 3,72 Circolo Posteriore 3 11,1 Vertebro-basilare 1 3,70 Vertebrale-PICA 2 7,40 totale aneurismi trattati 27 100 pari a 2,35 mm. 11 pazienti portatori di aneurisma singolo (11/27; 40,74%), 7 dei quali giunti alla nostra attenzione per ESA, erano stati trattati in precedenza con altre tecniche percutanee endovascolari: 9 con spirali e 2 con spirali e stent neuroform. Un solo aneurisma (sovraclinoideo gigante) è stato trattato con spirali e PED nella stessa seduta -Tab. 4 e 5 -. Tabella 4 Aneurisma: morfologia e dimensioni ANEURISMA: morfologia & dimensioni n. % Totali 27 Sacciformi 25 92,60% Fusiformi 2 7,40% Large(15-25 mm) 2 7,40% Giant (> 25 mm) 4 14,80% Diametro medio sacca (mm) 12 ,0 range: 3-36 Diametro medio colletto (mm) 4,69 range: 2-11 Rapporto diametro medio sacca/colletto (mm) range: 1,5-11 Diametro sacca anr rotto range (mm) Diametro sacca anr non rotto range (mm) 2,35 3,0-22,0 4,5-36,0 Tabella 5 Aneurisma: caratteristiche ANEURISMA: caratteristiche n. % Rotti 10 37,00% 7,40 Non rotti 17 63,00% 100 PrecedenteTEV 11 40,74% 330 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:328-335 In 7 dei 10 aneurismi manifestatisi con ESA il trattamento con PED è stato eseguito dopo recidiva di altri trattamenti endovascolari; nei restanti tre casi (aneurismi con diametro massimo della sacca rispettivamente di 4.4, 6.5 e 3 mm e rapporto sacca/colleto < 1.5 mm, tutti causa di ESA modesto con paziente collaborante) il trattamento è stato eseguito dopo 7-14 giorni dall’evento acuto. -Tab. 6-. Tabella 6 Aneurismi rottitrattati con PED ANEURISMI con ESA Totali Trattati con PED dopo altro TEV Trattati con solo PED n. 10 7 3 apertura dello stent a copertura dell’intero colletto aneurismatico. Il follow up prevedeva esame angiografico 1 mese (solo nella prima fase di esperienza), 3 e 6 mesi dopo il trattamento e successivamente ogni 6 mesi; dopo documentata esclusione angiografica dell’aneurisma dal circolo cerebrale i controlli radiologici sono stati eseguiti con esame angioRM a cadenza annuale. Il follow up clinico è stato eseguito mediante consulenze ambulatoriali e, in alcuni casi, telefoniche. Nella valutazione del successo angiografico si è tenuto conto dei soli controlli arteriografici mediante cateterismo selettivo dell’arteria parente dell’aneurisma trattato, considerando successo unicamente i casi di totale assenza di segni di perfusione dell’aneurisma. E’ stato valutato il successo angiografico dell’intera popolazione studio, dei trattamenti con solo PED e dei trattamenti delle recidive. Risultati Stenting Tutti i trattamenti sono stati eseguiti in elezione dalla stessa equipe operatoria, in sala angiografica su apparecchio Philips Allura X PER FD 20 (Philips Flat Panel Detector Systems, Olanda). Con paziente in anestesia generale, attraverso approccio arterioso femorale comune, è stato veicolato il PED a cavaliere del colletto dell’aneurisma mediante microcatetere (Marksman, 3.2 Fr, 135/150 cm) coassiale in catetere portante (Soft Tip 6 Fr, 110 cm, Boston Scientific; collegato a sacca di soluzione fisiologica eparinata). Lo stent è stato rilasciato mediante ripetuti movimenti alternati di “push and pool” di spingitore e microcatetere. Sono stati rilasciati in totale 31 PED (Pipeline Embolization Device, PED, ev3 Neurovascular, Irvine, California, USA) del diametro variabile da 2,5 a 5 mm e lunghi da 16 a 25 mm. Nella scelta dello stent si è tenuto conto del diametro massimo, approssimato per eccesso, del segmento arterioso in cui rilasciare lo stent. Le misurazioni vascolari sono state eseguite usando il software dell’apparecchio angiografico. Sono stati confezionati, in totale, 31 PED per 27 aneurismi; 23 aneurismi sono stati trattati con singolo PED e 4 con doppio PED -Tab. 7. Tabella 7 Aneurismi / PED ANEURISMI PED Aneurisma trattato con Singolo PED 23 23 Aneurisma trattato con 2 PED embricati 2 4 Aneurisma trattato con 2 PED non embricati 2 4 Totale 27 31 Il successo tecnico della procedura è stato del 93,55% con stent correttamente rilasciato in 29 su 31 procedure -Tab. 8. Terapia farmacologica e follow up La preparazione del paziente candidato al trattamento di stenting a diversione di flusso per aneurisma intracranico non rotto è stata ottenuta mediante assunzione di doppia antiaggregazione (cardioaspirina 100 mg cp 1/die e ticlopidina 250 mmg cp 2/die) per i cinque giorni precedenti il trattamento. Nei tre casi di trattamento con solo PED dopo ESA tale protocollo è stato sostituito con l’assunzione di ticlopidina 250 mg, 5-7 cp, 3-6 ore prima del trattamento. Durante il trattamento è stato eseguita iniezione continua nel catetere guida di soluzione fisiologica eparinata (5000 UI in 500 cc), eparina bolo e.v, 1000 UI/ora e acido acetilsalicilico (Flectadol) 1 gr e.v. subito prima del rilascio dello stent. Nel post trattamento si esegue antiaggregazione doppia per 30 giorni (cardioaspirina 100 mg cp 1/ die e ticlopidina 100 mg cp 2/die) e singola (cardioaspirina 100 mg cp 1/die) per i successivi 60 !6 ANEURISMI con ESA n. Totali Trattati con PED dopo altro TEV Trattati con solo PED 10 7 3 giorni; in caso di aneurismi di grandi dimensioni è stata associata terapia cortisonica a posologia variabile con la clinica e le dimensioni dell’aneurisma. E’ stato considerato successo tecnico la completa ed omogenea Tabella 8 successo tecnico RISULTATI SUCCESSOTECNICO Corretto posizionamento stent INSUCCESSOTECNICO Malposizionamento stent n. % 29/31 93,55% 2/31 6,45% Nei due casi di insuccesso tecnico (aneurisma carotideo intracavernoso e di arteria comunicante posteriore) l’insufficiente copertura del colletto aneurismatico da parte del primo stent, migrato caudalmente durante la fase di rilascio, ha richiesto il posizionamento, durante il follow up, di un secondo PED parzialmente embricato al primo, ottenendo l’esclusione completa dei due aneurismi dal circolo rispettivamente dopo 30 e 90 giorni. Un caso di aneurisma dissecante vertebro-basilare con arteria basilare fenestrata, rifornito da entrambe le arterie 331 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:328-335 vertebrali e da noi già trattato con spirali e stent Neuroform in arteria vertebrale dx e sn, è stato successivamente trattato embricando un PED all’interno dei Neuroform. In un caso di aneurisma giant intracavernoso, trattato contestualmente con PED e spirali, è stato rilasciato un secondo PED dopo migrazione del primo nella sacca aneurismatica fig. 3. In nessuno dei 31 trattamenti di stenting a diversione di flusso e in nessuno dei successivi controlli angiografici è stata eseguita dilatazione dello stent o del vaso parente. I controlli angiografici dell’intera popolazione studio eseguiti mediante cateterismo selettivo dopo 1, 3, 6 e 12 mesi dal trattamento hanno evidenziato un tasso di esclusione completa dell’aneurisma dal circolo rispettivamente del 50%, 87.5%, 81.8% e 90% -Tab. 9. Ai controlli angiografici a nostra disposizione nessuno dei tre aneurismi del circolo posteriore è risultato interamente escluso dal circolo cerebrale. I controlli angiografici a 1, 3, 6 e 12 mesi degli aneurismi trattati unicamente con PED hanno evidenziato l’esclusione completa dell’aneurisma dal circolo rispettivamente nel 50%, 81,81%, 76,92% e 90,90% -Tab. Tabella 9 Successo angiografico dell’intera popolazione studio n. follow up Aneurismi perfusi Aneurismi ESCLUSI Aneurismi ESCLUSI % 1 MESE 14 7 7 50,0% 3 MESI 16 2 14 87,5% 6 MESI 22 4 18 81,8% 12 MESI 20 2 18 90,0% n. follow up Aneurismi perfusi Aneurismi ESCLUSI Aneurismi ESCLUSI % 1 MESE 10 5 5 50% 3 MESI 11 2 9 81,81% 6 MESI 13 3 10 76,92% 12 MESI 11 1 10 90,90% Tabella 10 Successo angiografico dei trattamenti con solo PED Fig 1 Successo angiografico di aneurisma trattato con PED. a, b: aneurisma giant sovraoftalmico con diametro della sacca di circa 36 mm; c: elaborazione tridimensionale; d: fase di rilascio del primo PED con microcatetere per GDC posizionato nella sacca aneurismatica; e: rilascio di spirali, precedente alla migrazione del PED nella sacca; f, g: controllo finale dopo rilascio di altre spirali e di secondo PED. 332 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:328-335 Tabella 11 Successo angiografico dei trattamenti di recidiva n. follow up Aneurismi perfusi Aneurismi ESCLUSI Aneurismi ESCLUSI % 1 MESE 4 2 2 50% 3 MESI 5 0 5 100% 6 MESI 9 1 8 88,88% 12 MESI 6 1 5 83,33% Fig. 2 Successo angiografico di trattamento di recidiva a,b: recidiva dopo 12 mesi dal secondo trattamento di embolizzazione con GDC; c,: fase stenting PED; d,e,f: controllo dopo 2 mesi dal trattamento con PED che evidenzia esclusione completa dell’aneurisma dal circolo cerebrale. 10-. Fig.1. I controlli a 1, 3, 6 e 12 mesi degli 11 trattamenti eseguiti per recidiva hanno rilevato una esclusione completa dell’aneurisma dal circolo rispettivamente del 50%, 100%, 88,88% e 83,33% -Tab. 11- Fig.2. I controlli angiografici eseguiti al termine della procedura e nel successivo follow up non hanno rilevato stenosi significative intrastent o in prossimità dei suoi estremi prossimale e distale, nè ischemie da occlusione di branche laterali allo stent. Al contrario, stenosi di vario grado sono state segnalate in alcuni controlli eseguiti con esame angioRM o angioTC. Nel follow up la maggior parte dei pazienti hanno riferito una progressiva riduzione dei sintomi che ben si correlava con il grado di esclusione angiografica dell’aneurisma dal circolo cerebrale. Il miglioramento clinico è stato maggiore e più rapido nei pazienti portatori di aneurisma non giant e non large. In nessun caso è stato riferito un peggioramento dei sintomi se si fa eccezione 333 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:328-335 del caso complicanza. Non si è ottenuta nessuna complicanza immediata mentre è stata registrata una (3,22%) complicanza maggiore a 18 ore dal trattamento: decesso da emorragia per rottura di aneurisma gigante sovraoftalmico. In questo caso era stato eseguito nella stessa seduta embolizzazione della sacca, con spirali, e rilascio di due PED essendo il primo migrato nella sacca. Fig. 3. Tabella 12 Complicanze COMPLICANZE n. % IMMEDIATE 0/0 0% 1/31 3,22% TARDIVE In un caso di trattamento di aneurisma di arteria comunicante posteriore si è verificata l’occlusione asintomatica e temporanea dell’arteria oftalmica; in un caso di aneurisma di arteria carotide terminale si è registrata l’occlusione asintomatica e persistente del segmento A1, compensato dall’arteria comunicante anteriore. Discussione Numerose esperienze di trattamento endovascolare dell’aneurisma cerebrale dimostrano come il posizionamento di stent tradizionale a cavaliere del colletto aneurismatico possa favorire, attraverso una diversione del flusso, la trombosi della sacca; la diversione di flusso è maggiore se si embricano due o più stent. Questo ha favorito la creazione di nuovi stent, detti “a diversione di flusso”, in grado di promuovere una alterazione di flusso “più efficace” degli stent tradizionali [10,15,16]. Lo stent a diversione di flusso, grazie ad alcune caratteristiche e in particolare alla marcata ristrettezza dei pori, si caratterizza per la capacità di promuovere contemporaneamente, da una parte, la riduzione di flusso nell’aneurisma (effetto meccanico di diversione del flusso) e dall’altra, la riepitelizzazione del colletto (effetto biologico di ricostruzione vasale); entrambe le azioni favoriscono la trombosi della sacca e l’esclusione dell’aneurisma dal circolo cerebrale. Inoltre la diversione del flusso non ostacola la perfusione di eventuali arterie originanti dalla sacca aneurismatica o lateralmente allo stent (effetto di risparmio delle arterie collaterali) [1,10,15,16]. Nel presente lavoro sono stati considerati i trattamenti di flow diverter stenting eseguiti con il solo Pipeline Embolization Device (PED); questo è uno stent autoespandibile molto flessibile, composto da cromo-cobalto (75%) e platino (25%), a maglie molto strette e sottili, con circa il 30-35% della superficie Fig. 3 Complicanza a, b: aneurisma giant sovraoftalmico con diametro della sacca di circa 36 mm; c: elaborazione tridimensionale; d: fase di rilascio del primo PED con microcatetere per GDC posizionato nella sacca aneurismatica; e: rilascio di spirali, precedente alla migrazione del PED nella sacca; f, g: controllo finale dopo rilascio di altre spirali e di secondo PED. 334 coperta da metallo (versus il 6-9% degli stent tradizionali) e diametro del poro variabile da 0,02 a 0,05 mm2 [1,10,15,16]. Nella nostra esperienza, superata la fase di apprendimento, il trattamento dell’aneurisma cerebrale mediante PED è risultata semplice e i tempi di trattamento sono risultati contenuti; le percentuali di successo sono risultate elevate e in linea con la letteratura. Tra i maggiori risultati da noi conseguiti vi è quello di essere riusciti a trattare con successo anche casi di recidiva multipla e ostinata (come il caso di seguito indicato come CASO A), aneurismi complessi non altrimenti trattabili per via endovascolare o senza alcuna chance terapeutica (come i casi di seguito indicati come B e C). CASO A: aneurisma plurirecidivante, cavernoso, large, ripetutamente trattato con GDC, GDC Matrix e stent neuroform e risultato definitivamente escluso dal circolo dopo 3 mesi dal trattamento con PED. CASO B: aneurisma fusiforme, gigante, di arteria vertebrale intracranica manifestatosi con gravi segni di sofferenza bulbare e giudicato non chirurgico. I controlli con angiografia e TC eseguiti rispettivamente a 1 e 3 mesi dal trattamento hanno rilevato una riduzione di perfusione dell’aneurisma superiore al 50%; la paziente è poi stata persa al follow up. CASO C: caso molto complesso di aneurisma vertebrobasilare gigante, dissecante, con fenestrazione di basilare, rifornito da entrambe le arterie vertebrali, manifestatosi con ESA e trattato più volte, con scarso successo, con spirali e stent neuroform in arteria vertebrale dx e sn. Successivamente è stato posizionato un PED all’interno di ognuno dei due neuroform; nei controlli clinici il giovane paziente ha riportato una progressiva riduzione fino alla risoluzione dei sintomi, mentre i controlli angiografici a 1 e 3 mesi hanno evidenziato l’esclusione completa dell’aneurisma dall’a. vertebrale dx e la significativa riduzione di perfusione dell’aneurisma da parte dell’arteria vertebrale controlaterale che si è programmato di trattare con un secondo PED. Non abbiamo evidenziato differenze significative, in termini di successo angiografico, tra trattamenti eseguiti con solo PED e quelli eseguiti per recidiva dopo altri trattamenti endovascolari (11 casi) - Tab. 10 e 11 -, né è stata rilevata correlazione del successo angiografico con le dimensioni dell’aneurisma o con il grado di ristagno di mdc nella sacca aneurismatica nell’immediato post procedura. Al contrario è stata rilevata relazione tra successo angiografico e sede dell’aneurisma dal momento che, al termine del presente lavoro, nessuno dei tre aneurismi del circolo posteriore (uno all’origine dell’arteria cerebellare postero-inferiore, controllato con angiografia a 1, 3, 6 e 12 mesi dal trattamento; uno bivertebro-basilare dissecante, controllato a 1,3 e 6 mesi; uno vertebrale intracranico, fusiforme, e perso al follow up dopo il controllo a 1 e mesi) è risultato interamente escluso dal circolo cerebrale. Nessuno dei controlli arteriografici eseguiti al termine delle procedure e nel follow up ha rilevato stenosi significative intrastent o in prossimità dei suoi estremi prossimale e distale, né ischemie da occlusione di branche laterali allo stent. Le tecniche di trattamento endovascolare tradizionali dell’aneurisma cerebrale sono gravate da una percentuale non trascurabile di recidiva che, in genere, aumenta con le dimensioni dell’aneurisma. In questa esperienza il processo di esclusione dell’aneurisma dal circolo cerebrale è apparso spesso !13 lento ma sempre progressivo e in nessun caso di documentata esclusione completa dal circolo l’aneurisma è poi apparso riperfuso, neanche ai controlli più tardivi (18 - 30 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:328-335 mesi). Questa rappresenterebbe un’altra importante differenza con le tecniche endovascolari tradizionali in cui la recidiva può verificarsi anche dopo trombosi completa dell’aneurisma. In due casi, eseguiti nella prima fase della nostra esperienza di flow diverter stenting, in cui ripetuti controlli angiografici avevano evidenziato persistenza di perfusione dell’aneurisma, è stato posizionato un secondo PED coassiale al primo ottenendo la successiva esclusione dell’aneurisma dal circolo in tempi brevi. In entrambi i casi avevamo il sospetto che il primo stent, lievemente migrato caudalmente durante la fase di rilascio, non si estendesse abbastanza a valle del colletto. Questo ci ha imposto una più attenta valutazione del rapporto spaziale stent-colletto al termine delle successive procedure, anche con l’ausilio di proiezioni angiografiche multiple; inoltre ci ha consigliato, in casi analoghi, di embricare un secondo PED in tempi più rapidi. Abbiamo registrato una sola complicanza: emorragia e decesso dopo 18 ore dal trattamento. Si tratta di una paziente di 43 anni, portatrice di aneurisma gigante sovraoftalmico, con diametro della sacca di circa 36 mm, colletto stretto, mal valutabile e compreso in segmento carotideo terminale irregolare e stenotico. L’aneurisma, dai colleghi considerato ad elevato rischio chirurgico, si manifestava con cefalea persistente e refrattaria a terapia conservativa da lunga data. Dopo rilascio di diverse spirali nella sacca e la successiva migrazione del PED nella sacca aneurismatica, si è proceduti, nella stessa seduta, al rilascio di altre spirali e al posizionamento di un nuovo PED. L’arteriografia al termine del trattamento evidenziava perfusione residua (con ristagno di mdc) di piccola parte della sacca in corrispondenza della sua base d’impianto e spirali ben compattate sul fondo. Al risveglio dall’anestesia generale, al termine del trattamento, le condizioni cliniche della paziente erano buone e senza deficit. Come anche descritto in letteratura [9,10,13,14], probabilmente fenomeni legati alla ridistribuzione del flusso e delle pressioni di perfusione, in regime di doppia antiaggregazione, hanno alterato il già delicato equilibrio emodinamico ed emostatico del fragile segmento carotideo terminale, favorendone un sanguinamento disastroso Fig. 3. Naturalmente questo comprende tutte le limitazioni di un lavoro retrospettivo, unicentrico eseguito su una casistica limitata; pertanto le considerazioni espresse non hanno alcun carattere conclusivo e meritano di essere approfondite e convalidate da ulteriori studi, randomizzati, con casistiche più ampie ed eterogenee e follow up più lunghi. Conclusioni In conclusione in questa esperienza il trattamento endovascolare di aneurisma cerebrale mediante stent a diversione di flusso PED è apparsa, superata la fase di apprendimento, sicura e mostra elevate percentuali di successo, anche quando eseguito in caso di recidiva dopo altri trattamenti endovascolari o in caso di aneurismi “complessi”. Inoltre lo stenting a diversione di flusso ha significativamente ampliato il campo di applicazione del trattamento endovascolare rendendo possibile il trattamento di aneurismi cerebrali difficilmente o non altrimenti trattabili con le altre tecniche endovascolari. Sono auspicabili futuri perfezionamenti tecnologici che consentano una maggiore semplicità di rilascio ed apertura dello stent, la possibilità di un suo recupero e riposizionamento prima della completa apertura e una maggiore radio-opacità. 335 Il giornale italiano di Radiologia Medica (2014) 1:328-335 BIBLIOGRAFIA 1. 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Approccio combinato patologico-HRCT G. Dalpiaz1, M. Cirillo1, A. Cancellieri2, G. Stasi1 1 Servizio di Radiologia, Ospedale Bellaria, AUSL di Bologna, Via Altura 4, Bologna, Italia 2 Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale Maggiore, AUSL di Bologna, Bologna, Italia Indirizzo Autore: G. Dalpiaz, Tel.: +39-051-6225657, e-mail: [email protected] a b Fig. 8 a Infezione da Micobatteriosi non-tubercolari (NTM). Nella “forma classica” la ricostruzione coronale evidenzia aspetti tipo tree-in-bud e sporadici noduli centrati sulle vie aeree nei lobi superiori a Fig. 9 a, b Aspergillosi bronco-polmonare allergica. Nelle scansioni TC sono visibili bronchiectasie centrali con impatto mucoide e pareti ispessite, coinvolgenti prevalentemente i bronchi segmentari e subsegmentari delle regioni superiori (a,b). b Fig. 10 a, b Bronchiolite aspirativa in paziente con acalasia esofagea. Aree gravitazionali bilaterali con ispessimento bronchiale e minimi aspetti tipo tree-in-bud (a). La scansione TC con finestra per mediastino dimostra una dilatazione esofagea con livello idro-aereo (b).