Per un documento assembleare fedele al nuovo

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Per un documento assembleare fedele al nuovo
Per un documento assembleare fedele al nuovo impulso apostolico di papa Francesco.
+ Domenico Sigalini
La sfida più grande è di vedere come l’associazione, particolarmente identificata per il suo lavoro
formativo, possa offrire una nuova qualità formativa per comunicare la fede nella chiesa cambiata
di oggi e nel mondo cambiato di oggi. Il documento è già su questa linea e ci può essere utile
rinfrescare alla memoria la fonte cui ispirarci. Alcuni elementi evidenti ci vengono dai discorsi del
papa e dalle affermazioni spontanee che spesso ci ripete:
Il messaggio cristiano è una grande gioia, è gratuito (e nessuno lo deve far pagare), è annuncio di
perdono e misericordia. E’ confessare un Gesù Cristo che salva, che qualifica la Chiesa e non tutti
gli altri ragionamenti che non si rifanno a questo centro. “ E’ buono seguire Gesù, è buono andare
con Gesù, è buono il messaggio di Gesù. “ ( cfr ai giovani alla festa delle Palme). Questo deve
precedere ogni nostra riflessione sulla vita associativa, sulla organizzazione, sulle questioni interne
pure importanti, se sviluppano tessuti di relazione evangelici. Il vangelo, il suo annuncio di
speranza, è prima di ogni rimprovero, di ogni giudizio, di ogni condanna.
“Pensate a quella chiacchiera dopo la vocazione di Matteo: Ma questo va con i peccatori! (cfr Mc 2,16). E Lui è venuto per noi, quando noi riconosciamo che siamo peccatori. Ma se noi siamo come quel fariseo, davanti all’altare: Ti ringrazio Signore, perché non sono come tutti gli altri uomini, e nemmeno come quello che è alla porta, come quel pubblicano (cfr Lc 18,11-­‐12), non conosciamo il cuore del Signore, e non avremo mai la gioia di sentire questa misericordia! Non è facile affidarsi alla misericordia di Dio, perché quello è un abisso incomprensibile. Ma dobbiamo farlo! “Oh, padre, se lei conoscesse la mia vita, non mi parlerebbe così!”. “Perché?, cosa hai fatto?”. “Oh, ne ho fatte di grosse!”. “Meglio! Vai da Gesù: a Lui piace se gli racconti queste cose!”. Lui si dimentica, Lui ha una capacità di dimenticarsi, speciale. Si dimentica, ti bacia, ti abbraccia e ti dice soltanto: “Neanch’io ti condanno; va’, e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,11). Soltanto quel consiglio ti da. Dopo un mese, siamo nelle stesse condizioni… Torniamo al Signore. Il Signore mai si stanca di perdonare: mai! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono. E chiediamo la grazia di non stancarci di chiedere perdono, perché Lui mai si stanca di perdonare.” (Cfr omelia del 17 marzo a S. Anna)
Privilegiare l’annuncio alla strutturazione o organizzazione degli strumenti pastorali. Le nostre
strutture vanno alleggerite, in buona parte destrutturate a partire dalla centralità che è Gesù Cristo.
Le vostre iniziative siano dei ponti, delle vie per portare a Cristo(cfr alle confraternite il 5 maggio).
Occorre una chiesa serva, umile e fraterna.
Le vostre iniziative siano dei “ponti”, delle vie per portare a Cristo, per camminare con Lui. E in questo spirito siate sempre attenti alla carità. Ogni cristiano e ogni comunità è missionaria nella misura in cui porta e vive il Vangelo e testimonia l’amore di Dio verso tutti, specialmente verso chi si trova in difficoltà. Siate missionari dell’amore e della tenerezza di Dio! Siate missionari della misericordia di Dio, che sempre ci perdona, sempre ci aspetta, ci ama tanto! La priorità della preghiera è indiscussa e precede ogni gesto comunicativo, pubblico, ufficiale,
interno o esterno alla comunità cristiana; è molto prima di ogni macchina organizzativa. La
preghiera silenziosa del primo incontro pubblico dalla loggia del vaticano l’abbiamo ancora negli
occhi e nell’animo.
1 L’imperativo di uscire per giungere alle periferie esistenziali, a tutti gli incroci dei cammini degli
uomini è un ritornello e un costitutivo fondamentale della vita cristiana, pena il mancare di fedeltà
al vangelo. Uscire per le periferie significa mettersi in ascolto, in stato di conversione e in ricerca di
chi è povero. La nostra chiesa si è ridotta a curare e pettinare l’unica pecorella rimasta, mentre le 99
sono fuori “quando una comunità è chiusa, sempre tra le stesse persone che parlano, non è una
comunità che dà vita, è una comunità sterile, non è feconda” (cfr. ai romani 17 giugno)
Annunciare questa grazia che ci è stata regalata da Gesù. Se ai sacerdoti, Giovedì Santo, ho chiesto di essere pastori con l’odore delle pecore, a voi, cari fratelli e sorelle, dico: siate ovunque portatori della Parola di vita nei nostri quartieri, nei luoghi di lavoro e dovunque le persone si ritrovino e sviluppino relazioni. Voi dovete andare fuori. Io non capisco le comunità cristiane che sono chiuse, in parrocchia. Voglio dirvi una cosa. Nel Vangelo è bello quel brano che ci parla del pastore che, quando torna all’ovile, si accorge che manca una pecora, lascia le 99 e va a cercarla, a cercarne una. Ma, fratelli e sorelle, noi ne abbiamo una; ci mancano le 99! Dobbiamo uscire, dobbiamo andare da loro! In questa cultura -­‐ diciamoci la verità -­‐ ne abbiamo soltanto una, siamo minoranza! E noi sentiamo il fervore, lo zelo apostolico di andare e uscire e trovare le altre 99? Questa è una responsabilità grande, e dobbiamo chiedere al Signore la grazia della generosità e il coraggio e la pazienza per uscire, per uscire ad annunziare il Vangelo. Ah, questo è difficile. E’ più facile restare a casa, con quell’unica pecorella! E’ più facile con quella pecorella, pettinarla, accarezzarla… ma noi preti, anche voi cristiani, tutti: il Signore ci vuole pastori, non pettinatori di pecorelle; pastori! E quando una comunità è chiusa, sempre tra le stesse persone che parlano, questa comunità non è una comunità che dà vita. E’ una comunità sterile, non è feconda. La fecondità del Vangelo viene per la grazia di Gesù Cristo, ma attraverso noi, la nostra predicazione, il nostro coraggio, la nostra pazienza. I poveri e lo stile di povertà sono caratteristiche essenziali della chiesa di oggi, che deve
abbandonare tutte le incrostazioni formali e tutte le sovrastrutture di facciata.
L’annunzio del Vangelo è destinato innanzitutto ai poveri, a quanti mancano spesso del necessario per condurre una vita dignitosa. A loro è annunciato per primi il lieto messaggio che Dio li ama con predilezione e viene a visitarli attraverso le opere di carità che i discepoli di Cristo compiono in suo nome. Prima di tutto, andare ai poveri: questo è il primo. Nel momento del Giudizio finale, possiamo leggere in Matteo 25, tutti saremo giudicati su questo. Ma alcuni, poi, pensano che il messaggio di Gesù sia destinato a coloro che non hanno una preparazione culturale. No! No! L’Apostolo afferma con forza che il Vangelo è per tutti, anche per i dotti (cfr ai romani il 17 giugno).
Come sapete, ci sono vari motivi per cui ho scelto il mio nome pensando a Francesco di Assisi, una personalità che è ben nota al di là dei confini dell’Italia e dell’Europa e anche tra coloro che non professano la fede cattolica. Uno dei primi è l’amore che Francesco aveva per i poveri. Quanti poveri ci sono ancora nel mondo! E quanta sofferenza incontrano queste persone! Sull’esempio di Francesco d’Assisi, la Chiesa ha sempre cercato di avere cura, di custodire, in ogni angolo della Terra, chi soffre per l’indigenza e penso che in molti dei vostri Paesi possiate constatare la generosa opera di quei cristiani che si adoperano per aiutare i malati, gli orfani, i senzatetto e tutti coloro che sono emarginati, e che così lavorano per edificare società più umane e più giuste. (discorso al corpo diplomatico del 22 marzo) Ritrovare un linguaggio diretto che si costruisce con categorie popolari, con l’ascolto, con il
racconto. Si possono fare anche studi approfonditi, considerazioni ampie e articolate, ma non prima
di partire da un linguaggio diretto che ti immette subito nel bisogno, nell’attesa, nella invocazione e
poi anche nel tema.
2 Custodire il creato, aver rispetto per ogni creatura di Dio, per l’ambiente in cui viviamo, custodire
l’altro, tutti i fratelli che ci sono dati, soprattutto i più poveri (cfr discorso dell’inizio del servizio
petrino)
“La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. E’ il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. E’ l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. E’ il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!” (cfr omelia del 19 marzo inizio del servizio petrino) Non avere timore della bontà e “della tenerezza, che denota fortezza d’animo, capacità di
attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore.”( come sopra)
“ il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza! (cfr omelia del 19 marzo, inizio del servizio petrino)
I pastori devono avere l’odore delle pecore, perché sanno dare, mettersi tra le persone e non passare
da un corso all’altro, di metodo in metodo; la grazia si attiva nella misura in cui usciamo a dare il
vangelo.
Per questo, essere Pastori vuol dire anche disporsi a camminare in mezzo e dietro al gregge: capaci di ascoltare il silenzioso racconto di chi soffre e di sostenere il passo di chi teme di non farcela; attenti a rialzare, a rassicurare e a infondere speranza. Dalla condivisione con gli umili la nostra fede esce sempre rafforzata: mettiamo da parte, quindi, ogni forma di supponenza, per chinarci su quanti il Signore ha affidato alla nostra sollecitudine. Fra questi, un posto particolare, ben particolare, riserviamolo ai nostri sacerdoti: soprattutto per loro, il nostro cuore, la nostra mano e la nostra porta restino aperte in ogni circostanza. Loro sono i primi fedeli che abbiamo noi Vescovi: i nostri sacerdoti. Amiamoli! Amiamoli di cuore! sono i nostri figli e i nostri fratelli! (cfr ai vescovi italiani il 23 maggio) Non è precisamente nelle autoesperienze o nelle introspezioni reiterate che incontriamo il Signore: i corsi di autoaiuto nella vita possono essere utili, però vivere la nostra vita sacerdotale passando da un corso all’altro, di metodo in metodo, porta a diventare pelagiani, a minimizzare il potere della grazia, che si attiva e cresce nella misura in cui, con fede, usciamo a dare noi stessi e a dare il Vangelo agli altri, a dare la poca unzione che abbiamo a coloro che non hanno niente di niente.( cfr Giovedì santo, messa crismale) Chi non esce da sé, invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore. Tutti conosciamo la differenza: l’intermediario e il gestore “hanno già la loro paga” e siccome non mettono in gioco la propria pelle e il proprio cuore, non ricevono un ringraziamento affettuoso, che nasce dal cuore. Da qui deriva precisamente l’insoddisfazione di alcuni, che finiscono per essere tristi, preti tristi, e trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità, invece di essere pastori con “l’odore delle pecore” -­‐ questo io vi chiedo: siate pastori con “l’odore delle pecore”, che si senta quello -­‐; invece di essere pastori 3 in mezzo al proprio gregge e pescatori di uomini. È vero che la cosiddetta crisi di identità sacerdotale ci minaccia tutti e si somma ad una crisi di civiltà; però, se sappiamo infrangere la sua onda, noi potremo prendere il largo nel nome del Signore e gettare le reti. È bene che la realtà stessa ci porti ad andare là dove ciò che siamo per grazia appare chiaramente come pura grazia, in questo mare del mondo attuale dove vale solo l’unzione -­‐ e non la funzione -­‐, e risultano feconde le reti gettate unicamente nel nome di Colui del quale noi ci siamo fidati: Gesù. (come sopra)
Avere il coraggio di andare controcorrente. E’ docilità al Signore investire sulla nostra debolezza.
La Chiesa è fragile, ma la sua fragilità è presa su di sé da Gesù e fatta diventare annuncio di
perdono e di misericordia
E’ un invito che rivolgo a voi cresimandi e cresimande e a tutti: rimanete saldi nel cammino della fede con la ferma speranza nel Signore. Qui sta il segreto del nostro cammino! Lui ci dà il coraggio di andare controcorrente. Sentite bene, giovani: andare controcorrente; questo fa bene al cuore, ma ci vuole il coraggio per andare controcorrente e Lui ci dà questo coraggio! Non ci sono difficoltà, tribolazioni, incomprensioni che ci devono far paura se rimaniamo uniti a Dio come i tralci sono uniti alla vite, se non perdiamo l’amicizia con Lui, se gli facciamo sempre più spazio nella nostra vita. Questo anche e soprattutto se ci sentiamo poveri, deboli, peccatori, perché Dio dona forza alla nostra debolezza, ricchezza alla nostra povertà, conversione e perdono al nostro peccato. E’ tanto misericordioso il Signore: sempre, se andiamo da Lui, ci perdona. Abbiamo fiducia nell’azione di Dio! Con Lui possiamo fare cose grandi; ci farà sentire la gioia di essere suoi discepoli, suoi testimoni. Scommettete sui grandi ideali, sulle cose grandi. Noi cristiani non siamo scelti dal Signore per cosine piccole, andate sempre al di là, verso le cose grandi. Giocate la vita per grandi ideali, giovani! (cfr ai cresimandi il 28 aprile) Un clima di grande cordialità favorisce la conoscenza e la mutua apertura che ci facilitano la
docilità all’azione dello Spirito Santo (cfr ai cardinali dopo il Conclave)
Cari Fratelli Cardinali, questo nostro incontro vuol’essere quasi un prolungamento dell’intensa comunione ecclesiale sperimentata in questo periodo. Animati da profondo senso di responsabilità e sorretti da un grande amore per Cristo e per la Chiesa, abbiamo pregato insieme, condividendo fraternamente i nostri sentimenti, le nostre esperienze e riflessioni. In questo clima di grande cordialità è così cresciuta la reciproca conoscenza e la mutua apertura; e questo è buono, perché noi siamo fratelli. Qualcuno mi diceva: i Cardinali sono i preti del Santo Padre. Quella comunità, quell’amicizia, quella vicinanza ci farà bene a tutti. E questa conoscenza e questa mutua apertura ci hanno facilitato la docilità all’azione dello Spirito Santo.
Camminare verso la santità e non accontentarsi di una vita cristiana mediocre. Essere santi non è
avere una faccia da immaginetta, è accogliere la Grazia che il Padre ci dà in Gesù. Questa grazia
cambia il nostro cuore (cfr ai romani 17 giugno).
Per diventare santi non è necessario girare gli occhi e guardare là, o avere un po’ una faccia da immaginetta! No, no, non è necessario questo! Una sola cosa è necessaria per diventare santi: accogliere la grazia che il Padre ci da in Gesù Cristo. Ecco, questa grazia cambia il nostro cuore. Noi continuiamo ad essere peccatori, perché tutti siamo deboli, ma anche con questa grazia che ci fa sentire che il Signore è buono, che il Signore è misericordioso, che il Signore ci aspetta, che il Signore ci perdona, questa grazia grande, che cambia il nostro cuore. Non avere paura della novità, Dio ci chiede di fidarci totalmente di Lui, di essere aperti alle
sorprese di Dio, di avere il coraggio di andare per le nuove strade che la novità di Dio ci offre, per
non chiuderci in strutture caduche che hanno perso la capacità di accoglienza (cfr ai movim. e
assoc)
4 La novità ci fa sempre un po’ di paura, perché ci sentiamo più sicuri se abbiamo tutto sotto controllo, se siamo noi a costruire, a programmare, a progettare la nostra vita secondo i nostri schemi, le nostre sicurezze, i nostri gusti. E questo avviene anche con Dio. Spesso lo seguiamo, lo accogliamo, ma fino ad un certo punto; ci è difficile abbandonarci a Lui con piena fiducia, lasciando che sia lo Spirito Santo l’anima, la guida della nostra vita, in tutte le scelte; abbiamo paura che Dio ci faccia percorrere strade nuove, ci faccia uscire dal nostro orizzonte spesso limitato, chiuso, egoista, per aprirci ai suoi orizzonti. Ma, in tutta la storia della salvezza, quando Dio si rivela porta novità -­‐ Dio porta sempre novità -­‐, trasforma e chiede di fidarsi totalmente di Lui: Noè costruisce un’arca deriso da tutti e si salva; Abramo lascia la sua terra con in mano solo una promessa; Mosè affronta la potenza del faraone e guida il popolo verso la libertà; gli Apostoli, timorosi e chiusi nel cenacolo, escono con coraggio per annunciare il Vangelo. Non è la novità per la novità, la ricerca del nuovo per superare la noia, come avviene spesso nel nostro tempo. La novità che Dio porta nella nostra vita è ciò che veramente ci realizza, ciò che ci dona la vera gioia, la vera serenità, perché Dio ci ama e vuole solo il nostro bene. Domandiamoci oggi: siamo aperti alle “sorprese di Dio”? O ci chiudiamo, con paura, alla novità dello Spirito Santo? Siamo coraggiosi per andare per le nuove strade che la novità di Dio ci offre o ci difendiamo, chiusi in strutture caduche che hanno perso la capacità di accoglienza? Ci farà bene farci queste domande durante tutta la giornata.(cfr Pentecoste ai mov e assoc) L’armonia, non il puro accordo, la sopportazione, l’uniformità o l’omologazione, o anche solo il
rispetto vicendevole è la meta della condivisione dei carismi. Essere nella chiesa è vivere questa
armonia. I cammini paralleli sono tanto pericolosi (cfr ibidem)
Un secondo pensiero: lo Spirito Santo, apparentemente, sembra creare disordine nella Chiesa, perché porta la diversità dei carismi, dei doni; ma tutto questo invece, sotto la sua azione, è una grande ricchezza, perché lo Spirito Santo è lo Spirito di unità, che non significa uniformità, ma ricondurre il tutto all’armonia. Nella Chiesa l’armonia la fa lo Spirito Santo. Uno dei Padri della Chiesa ha un’espressione che mi piace tanto: lo Spirito Santo “ipse harmonia est”. Lui è proprio l’armonia. Solo Lui può suscitare la diversità, la pluralità, la molteplicità e, nello stesso tempo, operare l’unità. Anche qui, quando siamo noi a voler fare la diversità e ci chiudiamo nei nostri particolarismi, nei nostri esclusivismi, portiamo la divisione; e quando siamo noi a voler fare l’unità secondo i nostri disegni umani, finiamo per portare l’uniformità, l’omologazione. Se invece ci lasciamo guidare dallo Spirito, la ricchezza, la varietà, la diversità non diventano mai conflitto, perché Egli ci spinge a vivere la varietà nella comunione della Chiesa. Il camminare insieme nella Chiesa, guidati dai Pastori, che hanno uno speciale carisma e ministero, è segno dell’azione dello Spirito Santo; l’ecclesialità è una caratteristica fondamentale per ogni cristiano, per ogni comunità, per ogni movimento. E’ la Chiesa che mi porta Cristo e mi porta a Cristo; i cammini paralleli sono tanto pericolosi! Quando ci si avventura andando oltre (proagon) la dottrina e la Comunità ecclesiale -­‐ dice l’Apostolo Giovanni nella sua Seconda Lettera -­‐ e non si rimane in esse, non si è uniti al Dio di Gesù Cristo (cfr 2Gv v. 9). Chiediamoci allora: sono aperto all’armonia dello Spirito Santo, superando ogni esclusivismo? Mi faccio guidare da Lui vivendo nella Chiesa e con la Chiesa? (come sopra) I laici cristiani sono i rivoluzionari della Grazia, “hanno un cuore che ama, un cuore che soffre, un
cuore che gioisce con gli altri, un cuore colmo di tenerezza per chi, portando impresse le ferite della
vita, si sente alla periferia della società” (cfr ai romani il 17 giugno)
Qualcuno di voi sa quanto costa la grazia? Dove si vende la grazia? Dove posso comprare la grazia? Nessuno sa dirlo: no. Vado a comprarla dalla segretaria parrocchiale, forse lei la vende, la grazia? Qualche prete la vende, la grazia? Ascoltate bene questo: la grazia non si compra e non si vende; è un regalo di Dio in Gesù Cristo. Gesù Cristo ci dà la grazia. E’ l’unico che ci dà la grazia. E’ un regalo: ce lo offre, a noi. Prendiamola. E’ bello questo. L’amore di Gesù è così: ci dà la grazia gratuitamente, gratuitamente. E noi dobbiamo darla 5 ai fratelli, alle sorelle, gratuitamente. E’ un po’ triste quando uno incontra alcuni che vendono la grazia: nella storia della Chiesa alcune volte è accaduto questo, e ha fatto tanto male, tanto male. Ma la grazia non si può vendere: la ricevi gratuitamente e la dai gratuitamente. E questa è la grazia di Gesù Cristo.
Preghiera a Maria di papa Francesco con i vescovi italiani in assemblea generale
Madre del silenzio, che custodisce il mistero di Dio,
liberaci dall'idolatria del presente, a cui si condanna chi dimentica.
Purifica gli occhi dei Pastori con il collirio della memoria:
torneremo alla freschezza delle origini, per una Chiesa orante e penitente.
Madre della bellezza, che fiorisce dalla fedeltà al lavoro quotidiano,
destaci dal torpore della pigrizia, della meschinità e del disfattismo.
Rivesti i Pastori di quella compassione che unifica e integra: scopriremo la gioia di una Chiesa
serva, umile e fraterna.
Madre della tenerezza, che avvolge di pazienza e di misericordia,
aiutaci a bruciare tristezze, impazienze e rigidità di chi non conosce appartenenza.
Intercedi presso tuo Figlio perché siano agili le nostre mani, i nostri piedi e i nostri cuori:
edificheremo la Chiesa con la verità nella carità.
Madre, saremo il Popolo di Dio, pellegrinante verso il Regno. Amen.
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