SEBASTIAN DA CASTA NERA - Bella come una dea greca, letale

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SEBASTIAN DA CASTA NERA - Bella come una dea greca, letale
SEBASTIAN DA
CASTA NERA
- Bella come una dea greca,
letale come un animale famelico -
Edizione: Gennaio 2016
Titolo originale: Casta Nera
© 2016 by Sebastian Da
PROPRIETÀ LETTERARIA E ARTISTICA RISERVATA
REVISIONE: O. GNECCHI
La presente opera è protetta dalle leggi vigenti sui diritti d'autore. Nessuna parte di essa può essere
riprodotta in tutto o in parte senza l'espressa autorizzazione scritta degli autori.
Tutti i diritti riservati.
La presente opera è frutto della fantasia degli autori.
Qualsiasi analogia con persone, eventi e luoghi descritti
è da ritenersi del tutto casuale.
All’amore della mia vita,
sei gioia, sei vita, sei forza,
sei tutta la mia essenziale esistenza.
Sei il regalo più bello.
Kendra, my love
“These wounds won't seem to heal
This pain is just too real
There's just too much that
time cannot erase”
EVANESCENCE, MY IMMORTAL
I
1.
«È meglio che mi sbrighi.» pensò Mike ad alta voce, guardando il Rolex in oro e diamanti che portava al
polso.
Aveva un appuntamento importantissimo: una cena con sua madre e la sua bellissima ragazza. Si era deciso
a chiederle di sposarlo, sicuro che tutto sarebbe andato per il verso giusto.
La vita, dopo tanti calci in culo, finalmente gli sorrideva.
Mike era un uomo ricco e possedeva una bellissima casa. Era “l’uomo di Detroit”. Grazie a lui, la sua mamita
non doveva più girare per la città in cerca di lavoro.
L'impresa edile andava alla grande, dava lavoro a molti operai, costruendo case di lusso per gente di lusso.
E poi c'era lei: la sua splendida futura moglie; lei che somigliava tanto a un angelo caduto dal cielo, lei che
era la personificazione della bellezza.
Erano le diciannove e cinquanta. Mike doveva ancora arrivare a casa, fare una doccia e vestirsi; inoltre
doveva passare a prendere la sua amata e cercare di fare in tempo per la cena in programma per le
ventuno e venti.
Sbirciando nella stanza adiacente, notò che Marine era ancora al suo posto. Di certo, quella donna sapeva
meritarsi ogni centesimo del suo stipendio. Era la mamma di due splendide pesti e moglie di un marito che
provava a riscattare i suoi errori nel carcere di Stato.
Erano gli anni '50, Detroit una città che offriva molte opportunità e Mike, nel suo piccolo, cercava di dare
una mano alla comunità. Un lavoro faticoso, sì, ma onesto. Questo era uno dei tanti motivi per cui aveva
assunto Marine.
«Signor MacNinnon, stavo per venire a chiamarla. Non dimentichi di comprare dei fiori e di passare da
GridonGold.» disse la donna.
Mike pensò che, se non glielo avesse ricordato, si sarebbe presentato all’appuntamento a mani vuote.
«Grazie Marine, sei un tesoro. Tieni, prendi questi.» le disse porgendole quattrocento dollari in banconote
di piccolo taglio «Domani prenditi una giornata libera, salutami tuo marito se vai a trovarlo e digli che lo
aspetto a braccia aperte.»
Mike sapeva che Marine, il giorno dopo, sarebbe andata a far visita al marito alla prigione di Stato e che il
piccolo Arnold si era innamorato del modellino di aeroplano adocchiato in un negozio di giocattoli. Se non
poteva viziare un figlio suo, nulla proibiva all'uomo di Detroit di coccolare quello di qualcun altro.
Fuori dal suo ufficio, l’aria gelida gli schiaffeggiò violentemente il volto. Detroit non era una delle città più
fredde del Grande Paese ma, proprio quella sera, la temperatura era scesa sotto lo zero. Mike sorrise
pensando alla sua compagna: lei adorava il freddo.
Si fermò senza riuscire a ricordare dove avesse parcheggiato l’auto. Era convinto di averla lasciata dall’altra
parte della strada, ma non c’era. Che gli avessero rubato la sua “piccola”? L’aveva desiderata fin dal primo
momento in cui l’aveva vista dal concessionario. Amava le macchine straniere e quella Mercedes-Benz 180
nera era davvero eccezionale. Se la sua “piccola” era stata rubata davvero, la serata di Mike sarebbe finita
molto male.
«Ma dove diavolo…»
Finalmente gli venne in mente di averla parcheggiata sul retro del palazzo soltanto poche ore prima. Si
strinse nel cappotto di manifattura italiana e si incamminò verso il vicolo.
La notte puzzava di piscio, lussuria, sangue e morte. Il vento gelido di quella serata gli pizzicava il naso, per
di più aveva una brutta sensazione.
Non si trattava di paura, quella l’aveva messa da parte molti anni prima, da bambino, quando viveva in un
miserabile appartamento ai sobborghi della città. La madre provava a darsi da fare in ogni modo per
rendere vivibile quella casa. Il problema era lui, il mostro cattivo, a far sì che tutto si rivelasse più difficile di
quanto non fosse già. Era una persona malvagia, un poco di buono che non amava lavorare e, le poche
volte che lo faceva, spendeva tutto ciò che guadagnava in qualsiasi squallido locale di terza serie con donne
di basso rango.
Mike aveva solo undici anni, ma ricordava quel giorno come se lo avesse appena vissuto.
2.
Si trovava a scuola, nell’aula di matematica, immerso nei compiti da svolgere.
L’aria estiva era ormai alle porte, si respirava ovunque, soprattutto in tarda mattinata.
Bussarono e vide comparire sull’uscio la preside dell’istituto.
La signora Betty McCartney teneva una busta in mano. Gli alunni si alzarono rispettosamente in segno di
saluto e si sedettero nuovamente.
«Buongiorno cari alunni!» esordì «Oggi sono qui per darvi una bellissima notizia: l’alunno Mike Alfredo
Guterres MacNinnon ha ricevuto una borsa di studio per la lodevole condotta scolastica.»
Mike non stava più nella pelle: si trattava proprio di lui! Aveva vinto il premio tanto desiderato, avrebbe
incassato quel denaro e sarebbe andato via dalla casa dove viveva, insieme alla madre. Avrebbe trovato
una nuova scuola, nuovi amici, un lavoro per mantenersi agli studi e provvedere a entrambi.
Voleva trasferirsi a Detroit, la capitale delle automobili, per intraprendere una nuova vita. Voleva
guadagnare molti soldi ed era certo che ci sarebbe riuscito.
«Mike, vieni caro… vieni a ritirare il tuo meritatissimo premio!»
La maestra, Petra Hesselflo, lo guardava con occhi pieni di emozione: quel ragazzo era il suo alunno
preferito.
«Maestra, io non so come ringraziarvi, siete tutti così gentili con me.»
Era vero: dal bidello alla preside, tutti erano fieri di lui, lo apprezzavano per l’altruismo, la gentilezza e la
bontà d’animo.
Tutti, in quella scuola, conoscevano la sua storia.
La campanella suonò. Con il cuore gonfio di gioia, Mike si incamminò verso casa. Non vedeva l’ora di
arrivare e di raccontare tutto a mamita. Una borsa di studio, non ci poteva credere! Aprì la porta, e venne
accolto dal profumo delle tortillas.
«Mamita sono a casa.» esclamò il ragazzo. Felice, non vedeva l’ora di farle leggere quella lettera. «Mamita
sono a ca...» si interruppe. Le parole gli morirono in gola.
Seduto al suo posto, con davanti la solita bottiglia di vino da pochi centesimi, stava suo padre. Mike, senza
dare troppo nell’occhio, si infilò la lettera ben piegata nella tasca dei pantaloni.
«Che c’è piccolo bastardo, non sei felice di vedere il tuo adorato padre?»
La sua risata somigliava al grugnito di un maiale, indossava ancora la tuta da meccanico, stava tenendo
duro con il suo lavoro all’officina Stewart, chissà per quanto tempo ancora.
«Ciao mamita, buonasera signore.»
Quell’uomo odiava essere chiamato papà; secondo lui, Mike non era neanche figlio suo.
«Mike, tesoro, prendi le posate e siediti è quasi pronta la cena.» disse la madre «Tuo padre ha preso lo
stipendio e questa sera mangeremo tortillas, quelle che piacciono a te.»
Al ragazzo venne la nausea al solo pensiero di dover mangiare il cibo comprato con i soldi di quel maiale.
«Va' a lavarti le mani, piccolo bastardo e ringraziami per quello che mangerai questa sera dato che sono
stato io a portare i soldi a casa.»
Mike avrebbe voluto mandarlo al diavolo, ma sarebbe stata una mossa falsa. Andò a lavarsi le mani e
quando tornò si sedette a capo chino. Attese che quel mostro iniziasse a mangiare.
«Ti ho detto di ringraziami per la cena!» urlò l'uomo, sbattendo i pugni sul tavolo.
Mike lo guardò con odio. Non riuscì a trattenersi e sputò fuori ciò che fino ad allora non aveva avuto il
coraggio di dire.
«Non ho nessuna intenzione di ringraziarti. Hai fatto il tuo dovere, sei tu il padre! Dovresti farlo tutti i
giorni, invece di rinchiuderti in una bettola da due soldi e sperperare tutto quello che mia madre
guadagna.»
Carmen si coprì la bocca con le mani, gli occhi le si inumidirono, capì subito come sarebbe finita la serata.
Le lacrime iniziarono a scenderle sul volto stanco. Il suo piccolo bambino avrebbe passato le pene
dell'inferno in Terra per quelle parole.
«Mike, mi querido, chiedi subito scusa a tuo padre e ringrazialo!» lo supplicò la donna.
Il ragazzo si alzò di scatto e guardò sua madre. «Ti prego di perdonarmi mamma: non ho fame, non voglio
mangiare il suo cibo.» le disse.
Mike si voltò verso il padre e gli lanciò un'occhiata colma di disprezzo. Stava per andare in camera sua, ma il
mostro non gliene diede tempo. Udì il colpo del ceffone sulla guancia rimbombargli dentro la testa. Poi
arrivò il dolore accompagnato da un fischio acuto e intenso a tormentarlo.
«Lurido bastardo mezzosangue ingrato, ora ti faccio vedere io!»
L’uomo si sfilò la cinghia dai passanti dei pantaloni, la brandì come un’arma iniziando a colpire alla cieca.
Mike sentì sua madre urlare, avrebbe subito lo stesso trattamento.
«Por favor, déjame, ti chiedo perdono per lui, asì, que matarlo.» Carmen tentava di trattenere il marito per
le braccia, ma era molto più forte di lei. I colpi si fermarono improvvisamente. La donna pensò di essere
riuscita a far impietosire il marito con quella supplica, finché quello non si voltò e la guardò con una rabbia
tale da farla rabbrividire. Era come se in lui si fosse reincarnato il demonio. La tirò per i capelli e la costrinse
all’angolo.
Mike si alzò da terra, gli facevano male le gambe, ma decise che avrebbe dovuto fare qualcosa. Si avvicinò
al mobile della cucina, aprì il cassetto e scelse il coltello con cui la madre disossava la carne. Lo impugnò con
la mano destra, nell’altra strinse il crocefisso. Si avventò sul padre con tutta la forza che aveva mentre
quello inveiva contro Carmen: «Lurida puttana! Ti farò passare la voglia di difendere quel bastardo!»
Mike affondò con forza la lama nel fianco destro del padre, poi si avventò sulla schiena. Quel pezzo di
merda non ne voleva sapere di morire, ma quella notte la sua inutile vita sarebbe finita per mano di quel
figlio che lui stesso chiamava bastardo.
Il mostro cadde a terra. Mike, fulmineo, si mise a cavalcioni su di lui e gli sferrò un’altra coltellata
all’addome. L’uomo grugniva come un maiale al macello.
«Devi crepare!» urlava mentre lo colpiva. Gli si riempirono gli occhi di lacrime, lo odiava più di qualsiasi
altra cosa al mondo. L’uomo, respirava a fatica. Mike si immobilizzò esausto, il fiato corto, gli occhi
spalancati persi nel vuoto, il coltello ancora stretto nella mano destra. Il pavimento era ricoperto di sangue.
Carmen, in lacrime, era sconvolta dalla foga omicida del suo piccolo Mike: adesso, era diventato un
assassino.
Il ragazzino si voltò verso di lei.
«Va' di sopra e prendi la poca roba che riesci a trovare, metti tutto nello zaino, andiamo via da qui.» le disse
con tono fermo.
Voce decisa, nessun rimpianto. Finalmente l’incubo era finito.
Intimò alla madre ancora una volta il da farsi, finché questa non tornò con in mano una sacca pieni di vestiti
e un barattolo di latta stretto al petto.
Mike sapeva che lì dentro c’erano i risparmi di una vita piena di stenti. Sorrise e si immaginò lontano da lì
per sempre. Prese per mano sua madre, spense le luci e le porse la lettera con l'esito della borsa di studio.
Ignoravano ciò che avrebbero incontrato, ma erano certi che il Cielo e la Vergine Maria avevano in serbo
qualcosa di migliore per loro.
Si chiusero la porta alle spalle, senza voltarsi indietro.
Se ne andarono via per sempre.