5. Uomo e ambiente

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5. Uomo e ambiente
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LA BIOSFERA
L’UOMO NELL’AMBIENTE
Capitolo 1 Il rapporto uomo ambiente
L’uomo e l’ambiente
Al pari di tutti gli altri esseri viventi anche l’uomo è inserito nel complesso meccanismo della
circolazione della materia e del flusso dell’energia che assicura il funzionamento degli ecosistemi.
Tuttavia l’uomo ha acquisito nel tempo la consapevolezza delle proprie possibilità di intervenire
nei meccanismi naturali, ed è passato da una posizione di integrazione ad una di dominio. Ha
così cominciato a interferire sempre di più nei processi di funzionamento della natura ponendosi
al di fuori e al di sopra di tutti gli altri organismi viventi.
L’ambiente umano, come gli ecosistemi naturali ha una propria struttura, un proprio
funzionamento e una propria storia: nell’ecosistema umano le popolazioni, gli animali e i vegetali,
l’economia, la cultura, sono tutte componenti legate fra loro da un sistema di rapporti che
determinano la qualità di vita dell’uomo. La storia del rapporto uomo-ambiente può essere
riassunta in varie fasi.
Periodo pre-agricolo
Al pari degli altri animali con i quali conviveva, l’uomo, in questo periodo era soggetto al controllo
di tutti quei fattori ambientali che regolano la vita delle popolazioni. L’uomo, cacciatore e
raccoglitore, era dunque inserito, come tutti gli altri viventi, nei vari ecosistemi naturali
assolutamente non in grado di disturbare i flussi di energia e di materia.
Periodo agricolo
Alla fase di sottomissione alla natura è succeduta quella dell’alterazione della natura quan do, a
partire dal neolitico, l’uomo ha iniziato a sviluppare le pratiche agricole e l’allevamento. In questa
fase le specie animali e vegetali sono state scelte dall’uomo che alcune abbandonava e altre
coltivava, secondo il criterio della propria utilità. E’ iniziato così lo squilibrio fra la natura e la
specie umana che è andata pian piano estraniandosi dagli altri viventi e dall’ambiente stesso.
La nascita dell’agricoltura e della pastorizia diede luogo ad una azione antropica sugli ecosistemi,
all’inizio di modestissima entità, ma via via sempre più incisiva. Nelle zone dove il rapporto
popolazione territorio era basso, si insediò un’ agricoltura itinerante con interventi sulla biosfera
alquanto limitati. Nelle zone, invece, che per condizioni ambientali favorevoli, rendevano possibili
numerosi insediamenti di tipo permanente (villaggi e città) ebbe inizio un’ attività costante di
modifica all’ecosistema naturale: foreste abbattute, terreni dissodati, torrenti e fiumi regolati e
regimati. Accanto agli ambienti naturali se ne generarono nuovi diversi dai precedenti che
comunque non erano troppo diversi dagli ecosistemi naturali: infatti l’uomo agricoltore modificava
il territorio usando tecniche e pratiche ricavate direttamente dall’osservazione della natura e
quindi compatibili con essa.
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Periodo industriale
Questa fase è caratterizzata dalla nascita e dall’incremento delle lavorazioni industriali,
conseguenza diretta delle scoperte scientifiche e del capitalismo che determinarono alla fine del
diciottesimo secolo quella che viene chiamata rivoluzione industriale. In agricoltura l’impiego di
nuove tecniche che richiedevano l’uso di nuove energie hanno modificato rapidamente i cicli di
fertilità dei suoli e i rapporti tra le parti della biosfera e di conseguenza si sono profondamente
modificati gli ecosistemi naturali. Lo sviluppo nato dalla rivoluzione industriale è uno sviluppo
basato soprattutto sull’aumento della produzione di beni, possibile soltanto con l’uso crescente
delle risorse energetiche, prima carbone, poi petrolio e nucleare, con l’uso sempre più intenso di
risorse minerali e organiche e con la loro sempre più rapida trasformazione in beni di consumo. Si
è assistito cosi, alla progressiva antropizzazione degli ambienti naturali che hanno portato alla
formazione degli agrosistemi e dell’antroposistema (metropoli e siti industriali).
Lo sviluppo sostenibile
Il prelievo massiccio di beni e prodotti naturali, l’intervento sul funzionamento dei meccanismi
biologici, sul ciclo delle sostanze e sui flussi energetici, hanno provocato un netto miglioramento
delle condizioni di vita degli uomini in tutti i suoi aspetti: salute, condizioni economiche, condizioni
culturali. Questo sviluppo è stato però accompagnato da una produzione di rifiuti e di veleni,
erosioni del suolo e distruzioni di ambienti naturali di enorme portata, tanto che negli ultimi anni si
parla sempre più frequentemente di crisi ecologica. L’uomo dovrà, più prima che poi, acquisire
coscienza della realtà della natura e dei limiti dello sfruttamento imposti dalla natura stessa, non
negando il progresso tecnologico ma riportandolo in ambiti di compatibilità naturale.
LA BIOSFERA
L’UOMO E L’AMBIENTE
Capitolo 2 L’inquinamento
Cos’è l’inquinamento?
Ogni sostanza immessa nell’ambiente che non può essere riciclata in tempi relativamente brevi
costituisce un inquinante. Le sostanze inquinanti, quindi, alterano le condizioni di equilibrio sia nel
flusso energetico che nei cicli biogeochimici dell’ ecosistema terra. L’inquinamento può essere
quindi di origine naturale, come ad esempio una rapida immissione di sostanze naturali durante
un’eruzione vulcanica, o di tipo antropico. Infatti, con le sue attività sempre più frenetiche l’uomo
ha introdotto nell’ambiente sostanze naturali o artificiali a ritmi sempre più veloci. La terra dal
punto di vista della materia è un sistema praticamente isolato e tutta la materia presente va
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incontro ad una continua riutilizzazione ciclica. Nello studio degli inquinamenti, dobbiamo tener
presente almeno il ciclo dell’acqua, che è il motore di trasporto di gran parte degli inquinanti, il
ciclo dell’ossigeno, del carbonio e quello dell’azoto, che rappresentano le sostanze fondamentali
della materia vivente. Una sostanza che non può essere riutilizzata dagli esseri viventi è di per se
un inquinante. L’inquinamento è, quindi, l’insieme delle modificazioni dei caratteri fisici, chimici o
biologici dannose all’ambiente e all’uomo. Può essere rilevato nel luogo dove è stato prodotto
(emissioni); oppure lontano dal luogo di emissione. La fonte inquinante può essere poi puntiforme
se la sostanza inquinante deriva da una sola sorgente, oppure diffusa se, appunto, la sostanza è
emessa da più sorgenti.
La tabella 1 permette di delineare le principali forme di inquinamento ambientale e di precisare
che determinati processi industriali, agricoli e zootecnici si possono ritenere responsabili delle
alterazioni agli equilibri naturali e dei conseguenti danni sul piano ambientale. Ma altri
inquinamenti possono essere egualmente pericolosi per gli ecosistemi e la salute dell’uomo,
soprattutto quelli legati al mondo occidentale, come i rifiuti, il traffico e il riscaldamento.
Parlando di inquinamento si tende a distinguere tra inquinamento delle acque, del suolo e
dell’atmosfera.
TAB 1 -PRINCIPALI FORME DI INQUINAMENTO TIPOLOGIA
Biologico
FONTI
FATTORI DI IMPATTO
fogne e scarichi urbani
industrie
alimentari, cartiere, tessili,
conciarie
allevamenti zootecnici
rifiuti organici fermentescibili
industrie chimiche
emissioni tossiche concentrate
Chimico
puntuale
inorganiche ed organiche
diffuso
processi agricoli, impianti
emissioni tossiche: sali di
industriali e impianti di
metalli pesanti, acidi; fenoli,
riscaldamento
idrocarburi, detergenti e
pesticidi
Fisico
acustico
termico
aeroporti, autostrade, industrie
onde sonore continue o
traffico urbano
intermittenti
centrali elettriche e impianti di
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raffreddamento
radioattivo
impianti nucleari
scarti e scorie radioattive
L’inquinamento delle acque
Le acque correnti sono sempre state utilizzate come discarica. I rifiuti, quando erano costituiti
essenzialmente da materiale organico e sali minerali in quantirà modeste, venivano in breve
tempo degradati e le acque dei fiumi si depuravano naturalmente conservando le proprie
caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche. Con l’aumento dei consumi, l’urbanizzazione,
l’industrializzazione e l’uso di fertilizzanti in agricoltura, è enormemente cresciuta sia la quantità
dei rifiuti organici sia di quelli chimici che, direttamente o indirettamente, raggiungono le acque
diminuendo la capacità di autodepurazione.
L’inquinamento del suolo
L’industrializzazione, l’urbanizzazione, l’allevamento e l’agricoltura intensiva sono i principali
responsabili dell’inquinamento e della degradazione del suolo. I prodotti chimici usati in
agricoltura, infiltrandosi nel terreno, lo danneggiano lentamente rendendolo meno fertile. Inoltre,
tali prodotti, con le acque meteoriche
raggiungono le falde acquifere con conseguente
alterazione dell’acqua potabile. Un’ altra causa del degrado del suolo è rappresentata
dall’accumulo di rifiuti provenienti dalle attività industriali e dagli allevamenti. I rifiuti industriali,
infatti, contengono sostanze di notevole tossicità ed i rifiuti urbani presentano materiali molto
resistenti alla decomposizione. Il degrado del suolo è poi legato alle numerose attività
economiche dell’uomo come la distruzione del manto erboso, dei pendii, delle coste, le
escavazioni , le cave, gli incendi dolosi, tutte attività che contribuiscono ad accelerare i processi
di erosione dovuti a cause naturali.
Inquinamento dell’aria
Nelle zone industriali e nelle grandi città, vengono scaricate nell’atmosfera tutte le sostanze
provenienti dalle combustioni necessarie a garantire lo sviluppo economico (riscaldamento,
impianti industriali, motori a scoppio, ecc.); sono sostanze come il biossido di carbonio, ossidi di
azoto e zolfo, idrocarburi gassosi e polveri di metalli che alterano profondamente la composizione
dell’atmosfera. Il vento e la pioggia permettono una sorta di depurazione; tuttavia, queste azioni,
possono essere anche controproducenti quando i venti trasportano gli inquinanti lontano dal
punto di emissione e l’acqua trascina a terra gli inquinanti sospesi nell’atmosfera. L’atmosfera è
troppo importante per la vita, non solo come fonte di ossigeno per la respirazione, per cui ogni
variazione nella sua composizione ha effetti notevoli sugli esseri viventi.
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Le varie forme di inquinamento
Vediamo ora quali sono le forme di inquinamento più diffuse sul nostro pianeta.
Inquinamento da rifiuti organici
Questi rifiuti, soprattutto se finiscono in un corso d’acqua o in un lago, diventano inquinanti non
solo per il cattivo odore, quanto soprattutto per il processo di fermentazione che subiscono; la
fermentazione avviene con consumo di ossigeno disciolto nell’acqua che così viene a mancare
agli altri esseri viventi. I rifiuti organici possono, inoltre, produrre un inquinamento batterico con
danni diretti anche per la salute dell’uomo (epatite virale, colera, tifo).
Inquinamento da rifiuti urbani
Il terreno viene a contatto diretto con tutto quello che gli viene abbandonato addosso: in Italia
ogni anno si producono circa diciassette milioni di rifiuti organici e quasi cinquanta milioni di
tonnellate di rifiuti industriali; il 30% viene incenerito, il resto è ammassato nelle discariche. La
non buona tenuta di queste ultime e gli scarichi abusivi determinano la penetrazione degli
inquinanti nel suolo, sospinti dall’azione dell’acqua.
Eutrofizzazione delle acque
I nitrati e i fosfati, presenti in grandi quantità nei concimi e nei comuni detersivi, rappresentano
un importante fattore limitante per gli ecosistemi acquatici. Se sono presenti in abbondanza
possono provocare un’espansione della popolazione delle alghe (fioritura). Ma dopo un periodo di
crescita esplosiva le alghe degli strati inferiori sopraffatte da quelle più superficiali muoiono e si
decompongono; la maggior parte dell’ossigeno sciolto nell’acqua viene quindi utilizzato nei
processi di decomposizione diminuendo la quantità di quello a disposizione dei pesci che in
scarsità di ossigeno, vanno incontro alla morte.
Opacizzazione delle acque
Quando la luce solare, per la presenza di polveri o di uno strato liquido opaco, non riesce a
raggiungere le alghe di fondo, queste non possono più partecipare alla fotosintesi e quindi
muoiono. La loro decomposizione comporta una diminuzione dell’ossigeno sciolto nell’acqua
disponibile per i pesci che di conseguenza muoioni. Inoltre la presenza sulla superficie dell’acqua
di una pellicola oleosa(dovuta ad esempio a petrolio o nafta), oltre ad impedire il passaggio della
luce, impedisce anche il passaggio di ossigeno e anidride carbonica con conseguenze negative
sia per gli animali che per le piante acquatiche.
Gli avvelenamenti del suolo e delle acque
Metalli pesanti come il mercurio, l’arsenico, residui di pesticidi e fertilizzanti, se scaricati nell’aria,
nel suolo e successivamente nelle acque possono provocare l’avvelenamento di molte specie
animali e, attraverso le reti alimentari, anche dell’uomo. La pericolosità di queste sostanze rima ne
anche quando la loro dose non è letale per un organismo. Gli organismi infatti non riescono a
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eliminare le sostanze tossiche che quindi si accumulano all’interno degli stessi (in genere nel
fegato e nei reni) provocando la morte solo se la concentrazione supera un certo livello. Ma le
sostanze tossiche aumentano di concentrazione passando da un anello ad un altro della catena
alimentare. Ad esempio il DDT era un pesticida assai usato negli anni 60/70 in agricoltura
soprattutto contro le zanzare; il DDT è una sostanza che tende ad accumularsi nei tessuti degli
animali. Se in una palude viene spruzzato DDT per eliminare le zanzare, tracce di questo si
accumulano nei piccoli organismi acquatici; nei molluschi che si cibano di questi organismi, il
DDT lo si ritrova in concentrazioni dieci volte superiori. Nei gabbiani, che si cibano dei molluschi,
la concentrazione del DDT è quaranta volte maggiore. Gli animali che si trovano alla fine della
catena alimentare sono quelli che risultano maggiormente danneggiati e quindi più soggetti alle
conseguenze dell’avvelenamento. Un altra forma di avvelenamento tristemente nota è quella
provocata dal mercurio che dai microrganismi acquatici, dai pesci, e dai mammiferi può essere
trasformato in una sostanza estremamente velenosa. I composti del mercurio si accumulano nei
tessuti dei pesci con lo stesso meccanismo del DDT.
Atre sostanze di origine industriale altamente inquinanti sono l’amianto e la diossina; quest’ultima
saltata alla ribalta delle cronache italiane nel 1976, quando a Seveso, in uno stabilimento
chimico, esplose la valvola di sicurezza del reattore usato per la fabbricazione del triclorofenolo,
liberando nell’aria diossina sottoforma di nube gassosa. Le diossine sono sostanze insolubili che
provocano mutazioni genetiche, diminuiscono le difese dell’organismo, danneggiano i reni, il
fegato, il cuore e la pelle, e sono tossiche anche per piante ed animali. Anche l’amianto, (un
silicato di calcio e magnesio), negli ultimi anni è entrato a far parte delle sostanze tossiche. Fino
a poco tempo fa era infatti considerato materiale inerte e fondamentale per la sua particolare
proprietà di incombustibilità e usato per confezionare tute antincendio, guanti da fornaciai, freni di
autoveicoli, tubazioni e rivestimenti. Oggi il suo impiego è vietato a causa della sua riconosciuta
alta tossicità. In alcuni paesi, tra i quali l’Italia,il suo uso è stato bandito, ma fibre di amianto sono
ancora presenti nei vecchi edifici, nelle vecchie navi e nei vecchi treni. La sua polvere se inalata o
ingerita può danneggiare l’apparato respiratorio e digerente. Numerosi casi di tumore ai polmoni
sono stati riscontrati, infatti, nei lavoratori esposti per lungo tempo all’inalazione delle polveri di
amianto.
L’inquinamento atmosferico
Fino al 1950 l’inquinamento dell’aria era provocato dalla combustione del carbone. Oggi , oltre
che dalla combustione del petrolio e del carbone, soprattutto dai veicoli a motore. Questo tipo di
inquinamento è responsabile di molte irritazioni agli occhi, all’apparato respiratorio, e procura seri
danni alla vita vegetale.
Lo smog
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A scala locale una vistosa manifestazione dell’inquinamento atmosferico è la formazione dello
smog. La parola deriva dall’inglese smoke + fog , fumo e nebbia sporca, e rende bene l’idea di
che cosa si tratti. Lo smog si sviluppa principalmente in inverno e nelle città: l’aria vicina al suolo
è più fredda della sovrastante a causa dell’immissione nell’atmosfera dei fumi caldi provenienti
dagli impianti di riscaldamento; l’aria calda, in questo caso, funziona come coperchio e impedisce
a quella sottostante di salire. L’inversione di temperatura trattiene al suolo le sostanze inquinanti
in genere per una nottata ma, in certi casi, per parecchi giorni, determinando una maggior
concentrazione di inquinanti al suolo con gravi danni per la salute degli uomini.
L’ozono cattivo
L’ozono presente nell’ozonosfera, come abbiamo visto è utile e protettivo. Questo stesso
composto è presente anche nei bassi strati dell’atmosfera, in concentrazioni molto minori. Qui,
l’innalzamento dei valori lo trasforma in elemento inquinante e dannoso sia per la piante che per
l’uomo. In questo caso si viene a formare per una reazione chimica dovuta alla presenza
contemporanea di due fattori: l’irraggiamento e la presenza di inquinanti, generati soprattutto dal
traffico. Questa iperproduzione di ozono interessa tutte le grandi concentrazioni abitative a livello
mondiale. In genere, nelle nostre zone, si forma in estate, mentre durante i mesi freddi la
presenza di inquinanti come idrocarburi gassosi e ossidi di azoto non induce la formazione di
ozono “cattivo” perché manca, o meglio è ridotto, l’irraggiamento solare. La comparsa dell’ozono
cattivo ha anche un orario all’interno della giornata: durante la mattinata il traffico produce
inquinanti e inizia il riscaldamento solare; a questo punto iniziano le reazioni chimiche e tra
mezzogiorno e il primo pomeriggio l’ozono raggiunge rapidamente valori elevati per poi ridursi. Il
fenomeno non è limitato alle aree urbane ma può interessare anche le campagne e le colline
circostanti le città. L’esposizione all’ozono peggiora le condizioni di salute degli individui affetti da
malattie respiratorie e con crisi asmatiche, e i soggetti più a rischio sono anziani e bambini.
LA BIOSFERA
L’UOMO E L’AMBIENTE
CAPITOLO 3 La questione planetaria
La maggior parte dei problemi ambientali si manifesta ormai su tutta la Terra, o perché si tratta di
fenomeni generali, come l’effetto-serra e il “buco” nell’ozono, oppure perchè deriva da situazioni
di degrado diffuso come accade per la desertificazione e la deforestazione.
L’erosione dei suoli è particolarmente drammatica nelle fasce tropicali dove l’intensa
deforestazione accelera i processi di desertificazione, mentre alle medie latitudini il fenomeno si
accompagna a gravi problemi di dissesto idrogeologico.
Il buco dell’ozono
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Come abbiamo visto a proposito dell’atmosfera, l’ozono è un gas presente in concentrazioni
piuttosto rilevanti in uno strato intorno ai 15-30 km di altezza, dove costituisce una fascia
protettiva dalle radiazioni ultraviolette.
Intorno al 1985 un gruppo di ricercatori britannici rilevò, attraverso una serie di misurazioni
effettuate in Antartide, che questo schermo si era affievolito. Dal 1977 al 1984 la concentrazione
di ozono nel cielo della regione polare australe era diminuita, nella stagione estiva, del 40%. Ogni
anno il buco si allarga e interessa ormai l’estremo sud dell’America meridionale (Cile e Argentina)
e tutte le terre artiche (Canada, Siberia, Groenlandia).
Questo importante scudo è danneggiato se non addirittura distrutto dalla massiccia immissione
nell’atmosfera dei CFC (cloroflurocarburi), gas ampiamente usati nei fluidi refrigeranti (cioè nei
condizionatori d’aria e nei frigoriferi), nelle schiume isolanti, e negli aerosol come le comunissime
bombolette spray. I CFC reagirebbero con l’ozono, trasformandolo in semplice ossigeno
molecolare; la diminuzione dell’ozono permetterebbe alle radiazioni ultraviolette di penetrare
maggiormente verso la superficie terrestre con il conseguente aumento degli effetti nocivi che
conosciamo. In più gli studiosi pensano che la riduzione dello strato di ozono possa aumentare
l’effetto serra.
Lo scenario apocalittico che la scomparsa dell’ozonosfera evoca è di interesse mondiale e, a
partire dal 1987 (Protocollo di Montreal) la comunità internazionale si è impegnata a bandire
l’uso dei CFC.
La deforestazione
L’eliminazione delle foreste, oltre a procurare effetti negativi a scala locale, finisce per avere
conseguenze preoccupanti sull’intero Pianeta. La ragione principale dell’abbattimento di queste
foreste è la richiesta di legname pregiato da esportare verso i Paesi industrializzati e di
combustibile a basso costo per i mercati locali.
Il diradamento della foresta equatoriale crea enormi problemi all’intero equilibrio del geosistema;
infatti è all’origine di:
- diminuzione della qualità di ossigeno prodotta con la fotosintesi;
- mancato assorbimento dell’eccesso di anidride carbonica presente nell’atmosfera;
- forti alterazioni all’intero sistema climatico terrestre;
- impoverimento notevole della biodiversità;
-diminuzione dell’ “effetto spugna”, cioè della capacità delle foreste e del suolo di assorbire grandi
quantità di acqua piovana.
La mancanza di una copertura vegetale permette alle piogge di erodere con facilità suoli. Il
fenomeno ha ormai assunto proporzioni enormi: ogni anno vengono eliminati dodici milioni di
ettari di foresta, un’area vasta come Austria e Svizzera insieme e, in breve tempo, tutto questo
suolo verrà completamente dilavato e reso improduttivo.
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La desertificazione
Con il termine desertificazione si indicano tutti quei processi dovuti alle attività umane che
portano al progressivo inaridimento del suolo nelle regioni predesertiche e quindi all’estensione
dei deserti stessi. Il fenomeno si è verificato in passato anche per cause naturali: il Sahara, 2000
anni prima di Cristo, era una savana semiarida in cui pascolavano anche grandi mammiferi ma la
prolungata siccità, verificatasi intorno al 1200 a. C., portò all’inaridimento delle vaste aree poste
intorno al tropico del Cancro.
Anche negli ultimi decenni si sono registrati lunghi periodi di siccità in molte regioni del globo: le
ragioni non sono del tutto chiare e vanno probabilmente ricercate nella naturale fluttuazione dei
climi e in parte nell’effetto serra.
I terreni minacciati dalla desertificazione coprono oggi un’area vastissima comprendente le
savane aride e le steppe che ricevono mediamente una quota di precipitazioni inferiore ai 400
mm all’anno. Nel complesso si tratta di oltre 30 milioni di kmq. suddivisi tra sessanta Paesi, con
una popolazione di oltre 850 milioni di persone. Il fenomeno assume dimensioni catastrofiche nei
Paesi del Terzo Mondo, dove si assomma ai problemi del sottosviluppo. Non è un caso che il
termine desertificazione sia diventato particolarmente noto tra il 1968 e il 1973 in occasione della
siccità che colpì il Sahel, la regione situata a sud del Sahara.
La necessità di ampliare le colture di sussistenza e quelle commerciali ha indotto a coltivare
terreni sempre più vicini al deserto. Questi, però, sono tanto poveri che per rigenerarsi, dopo un
ciclo di coltivazione, devono essere lasciati a riposo per 10 o 15 anni, ma la necessità di
sopravvivenza ha costretto invece di ripetere continuamente le semine sugli stessi campi
portandoli così in breve tempo alla perdita di fertilità.
Per irrigare il terreno, data la scarsità dei corsi d’acqua superficiali, si è dovuto ricorrere allo
sfruttamento delle falde acquifere, ma i suoli delle zone aride sono generalmente molto salini e
l’irrigazione porta ad un aumento della concentrazione di sali, tossici per le coltivazioni. Quindi,
anche se sembra paradossale, la stessa irrigazione può rendere il suolo improduttivo.
Un altra importante ragione di desertificazione è da ricercarsi nel disboscamento dovuto al
bisogno crescente di reperire terreni agricoli e di procurarsi materiale da costruzione e legna da
ardere. La distruzione delle foreste aperte della savana ha causato l’innalzamento della
temperatura: il vapore acqueo contenuto nelle masse d’aria umida provenienti dalle zone
equatoriali non si condensa, diminuendo le precipitazioni. Le aree, private di manto vegetale,
tendono perciò ad inaridirsi sempre più. La fase finale della desertificazione è irreversibile e si
manifesta con la formazione di dune sabbiose.
Le piogge acide
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Il fenomeno delle piogge acide è stato rilevato già da alcuni anni: uno dei primi allarmi giunse
dalla Germania già nei primi anni ‘70. Oggi il problema si è esteso a macchia d’olio, interessando
le foreste di quasi tutti i Paesi. Il processo di acidificazione si genera quando nell’aria sono
presenti ossidi di zolfo o di azoto, dovuti alla combustine del petrolio e del carbone; questi ossidi
in presenza dell’umidità atmosferica si trasformano in acido solforico e acido nitrico e
raggiungono il suolo con le precipitazioni. Quando l’acidità supera un certo livello causa ustioni
alle cellule vegetali, soprattutto quelle più giovani, danneggiando, cos’, il manto forestale. La
contaminazione ha già compromesso gran parte delle foreste dell’Europa centrale. In Italia,
risultava colpito, agli inizi degli anni novanta, più del 10% dei boschi, con punte massime di oltre il
50% in Toscana, Friuli e Val d’Aosta.
Il dissesto idrogeologico
Cause simili a quelle che nei Pesi tropicali portano alla desertificazione contribuiscono, nelle
fasce temperate, ad innescare processi di dissesto idrogeologico, ossia tutte quelle situazioni di
disordine, squilibrio e alterazione subite dalle strutture geologiche sotto l’azione erosiva
dell’acqua selvaggia.
Le principali manifestazioni del dissesto idrogeologico sono: le frane, gli smottamenti, le alluvioni
e le valanghe.
Come abbiamo visto nelle Parti pecedenti del libro, tutte le forme del rilievo terrestre sono
soggette al modellamento da parte degli agenti esogeni; pertanto i fenomeni erosivi fanno parte
dei meccanismi naturali ma, quando si parla di dissesto, ci si riferisce solo a quelli in cui esistono
forti responsabilità dall’uomo.
Episodi di questo tipo avvengono in tutti i Paesi temperati, ma si presentano nelle forme più gravi
quando le alterazioni interessano suoli particolarmente fragili, come quelli della regione
meridionale europea: i bacini idrografici dei fiumi che sfociano nel Mediterraneo risultano quasi
tutti pesantemente compromessi.