5. Uomo e ambiente
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5. Uomo e ambiente
1 LA BIOSFERA L’UOMO NELL’AMBIENTE Capitolo 1 Il rapporto uomo ambiente L’uomo e l’ambiente Al pari di tutti gli altri esseri viventi anche l’uomo è inserito nel complesso meccanismo della circolazione della materia e del flusso dell’energia che assicura il funzionamento degli ecosistemi. Tuttavia l’uomo ha acquisito nel tempo la consapevolezza delle proprie possibilità di intervenire nei meccanismi naturali, ed è passato da una posizione di integrazione ad una di dominio. Ha così cominciato a interferire sempre di più nei processi di funzionamento della natura ponendosi al di fuori e al di sopra di tutti gli altri organismi viventi. L’ambiente umano, come gli ecosistemi naturali ha una propria struttura, un proprio funzionamento e una propria storia: nell’ecosistema umano le popolazioni, gli animali e i vegetali, l’economia, la cultura, sono tutte componenti legate fra loro da un sistema di rapporti che determinano la qualità di vita dell’uomo. La storia del rapporto uomo-ambiente può essere riassunta in varie fasi. Periodo pre-agricolo Al pari degli altri animali con i quali conviveva, l’uomo, in questo periodo era soggetto al controllo di tutti quei fattori ambientali che regolano la vita delle popolazioni. L’uomo, cacciatore e raccoglitore, era dunque inserito, come tutti gli altri viventi, nei vari ecosistemi naturali assolutamente non in grado di disturbare i flussi di energia e di materia. Periodo agricolo Alla fase di sottomissione alla natura è succeduta quella dell’alterazione della natura quan do, a partire dal neolitico, l’uomo ha iniziato a sviluppare le pratiche agricole e l’allevamento. In questa fase le specie animali e vegetali sono state scelte dall’uomo che alcune abbandonava e altre coltivava, secondo il criterio della propria utilità. E’ iniziato così lo squilibrio fra la natura e la specie umana che è andata pian piano estraniandosi dagli altri viventi e dall’ambiente stesso. La nascita dell’agricoltura e della pastorizia diede luogo ad una azione antropica sugli ecosistemi, all’inizio di modestissima entità, ma via via sempre più incisiva. Nelle zone dove il rapporto popolazione territorio era basso, si insediò un’ agricoltura itinerante con interventi sulla biosfera alquanto limitati. Nelle zone, invece, che per condizioni ambientali favorevoli, rendevano possibili numerosi insediamenti di tipo permanente (villaggi e città) ebbe inizio un’ attività costante di modifica all’ecosistema naturale: foreste abbattute, terreni dissodati, torrenti e fiumi regolati e regimati. Accanto agli ambienti naturali se ne generarono nuovi diversi dai precedenti che comunque non erano troppo diversi dagli ecosistemi naturali: infatti l’uomo agricoltore modificava il territorio usando tecniche e pratiche ricavate direttamente dall’osservazione della natura e quindi compatibili con essa. 2 Periodo industriale Questa fase è caratterizzata dalla nascita e dall’incremento delle lavorazioni industriali, conseguenza diretta delle scoperte scientifiche e del capitalismo che determinarono alla fine del diciottesimo secolo quella che viene chiamata rivoluzione industriale. In agricoltura l’impiego di nuove tecniche che richiedevano l’uso di nuove energie hanno modificato rapidamente i cicli di fertilità dei suoli e i rapporti tra le parti della biosfera e di conseguenza si sono profondamente modificati gli ecosistemi naturali. Lo sviluppo nato dalla rivoluzione industriale è uno sviluppo basato soprattutto sull’aumento della produzione di beni, possibile soltanto con l’uso crescente delle risorse energetiche, prima carbone, poi petrolio e nucleare, con l’uso sempre più intenso di risorse minerali e organiche e con la loro sempre più rapida trasformazione in beni di consumo. Si è assistito cosi, alla progressiva antropizzazione degli ambienti naturali che hanno portato alla formazione degli agrosistemi e dell’antroposistema (metropoli e siti industriali). Lo sviluppo sostenibile Il prelievo massiccio di beni e prodotti naturali, l’intervento sul funzionamento dei meccanismi biologici, sul ciclo delle sostanze e sui flussi energetici, hanno provocato un netto miglioramento delle condizioni di vita degli uomini in tutti i suoi aspetti: salute, condizioni economiche, condizioni culturali. Questo sviluppo è stato però accompagnato da una produzione di rifiuti e di veleni, erosioni del suolo e distruzioni di ambienti naturali di enorme portata, tanto che negli ultimi anni si parla sempre più frequentemente di crisi ecologica. L’uomo dovrà, più prima che poi, acquisire coscienza della realtà della natura e dei limiti dello sfruttamento imposti dalla natura stessa, non negando il progresso tecnologico ma riportandolo in ambiti di compatibilità naturale. LA BIOSFERA L’UOMO E L’AMBIENTE Capitolo 2 L’inquinamento Cos’è l’inquinamento? Ogni sostanza immessa nell’ambiente che non può essere riciclata in tempi relativamente brevi costituisce un inquinante. Le sostanze inquinanti, quindi, alterano le condizioni di equilibrio sia nel flusso energetico che nei cicli biogeochimici dell’ ecosistema terra. L’inquinamento può essere quindi di origine naturale, come ad esempio una rapida immissione di sostanze naturali durante un’eruzione vulcanica, o di tipo antropico. Infatti, con le sue attività sempre più frenetiche l’uomo ha introdotto nell’ambiente sostanze naturali o artificiali a ritmi sempre più veloci. La terra dal punto di vista della materia è un sistema praticamente isolato e tutta la materia presente va 3 incontro ad una continua riutilizzazione ciclica. Nello studio degli inquinamenti, dobbiamo tener presente almeno il ciclo dell’acqua, che è il motore di trasporto di gran parte degli inquinanti, il ciclo dell’ossigeno, del carbonio e quello dell’azoto, che rappresentano le sostanze fondamentali della materia vivente. Una sostanza che non può essere riutilizzata dagli esseri viventi è di per se un inquinante. L’inquinamento è, quindi, l’insieme delle modificazioni dei caratteri fisici, chimici o biologici dannose all’ambiente e all’uomo. Può essere rilevato nel luogo dove è stato prodotto (emissioni); oppure lontano dal luogo di emissione. La fonte inquinante può essere poi puntiforme se la sostanza inquinante deriva da una sola sorgente, oppure diffusa se, appunto, la sostanza è emessa da più sorgenti. La tabella 1 permette di delineare le principali forme di inquinamento ambientale e di precisare che determinati processi industriali, agricoli e zootecnici si possono ritenere responsabili delle alterazioni agli equilibri naturali e dei conseguenti danni sul piano ambientale. Ma altri inquinamenti possono essere egualmente pericolosi per gli ecosistemi e la salute dell’uomo, soprattutto quelli legati al mondo occidentale, come i rifiuti, il traffico e il riscaldamento. Parlando di inquinamento si tende a distinguere tra inquinamento delle acque, del suolo e dell’atmosfera. TAB 1 -PRINCIPALI FORME DI INQUINAMENTO TIPOLOGIA Biologico FONTI FATTORI DI IMPATTO fogne e scarichi urbani industrie alimentari, cartiere, tessili, conciarie allevamenti zootecnici rifiuti organici fermentescibili industrie chimiche emissioni tossiche concentrate Chimico puntuale inorganiche ed organiche diffuso processi agricoli, impianti emissioni tossiche: sali di industriali e impianti di metalli pesanti, acidi; fenoli, riscaldamento idrocarburi, detergenti e pesticidi Fisico acustico termico aeroporti, autostrade, industrie onde sonore continue o traffico urbano intermittenti centrali elettriche e impianti di 4 raffreddamento radioattivo impianti nucleari scarti e scorie radioattive L’inquinamento delle acque Le acque correnti sono sempre state utilizzate come discarica. I rifiuti, quando erano costituiti essenzialmente da materiale organico e sali minerali in quantirà modeste, venivano in breve tempo degradati e le acque dei fiumi si depuravano naturalmente conservando le proprie caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche. Con l’aumento dei consumi, l’urbanizzazione, l’industrializzazione e l’uso di fertilizzanti in agricoltura, è enormemente cresciuta sia la quantità dei rifiuti organici sia di quelli chimici che, direttamente o indirettamente, raggiungono le acque diminuendo la capacità di autodepurazione. L’inquinamento del suolo L’industrializzazione, l’urbanizzazione, l’allevamento e l’agricoltura intensiva sono i principali responsabili dell’inquinamento e della degradazione del suolo. I prodotti chimici usati in agricoltura, infiltrandosi nel terreno, lo danneggiano lentamente rendendolo meno fertile. Inoltre, tali prodotti, con le acque meteoriche raggiungono le falde acquifere con conseguente alterazione dell’acqua potabile. Un’ altra causa del degrado del suolo è rappresentata dall’accumulo di rifiuti provenienti dalle attività industriali e dagli allevamenti. I rifiuti industriali, infatti, contengono sostanze di notevole tossicità ed i rifiuti urbani presentano materiali molto resistenti alla decomposizione. Il degrado del suolo è poi legato alle numerose attività economiche dell’uomo come la distruzione del manto erboso, dei pendii, delle coste, le escavazioni , le cave, gli incendi dolosi, tutte attività che contribuiscono ad accelerare i processi di erosione dovuti a cause naturali. Inquinamento dell’aria Nelle zone industriali e nelle grandi città, vengono scaricate nell’atmosfera tutte le sostanze provenienti dalle combustioni necessarie a garantire lo sviluppo economico (riscaldamento, impianti industriali, motori a scoppio, ecc.); sono sostanze come il biossido di carbonio, ossidi di azoto e zolfo, idrocarburi gassosi e polveri di metalli che alterano profondamente la composizione dell’atmosfera. Il vento e la pioggia permettono una sorta di depurazione; tuttavia, queste azioni, possono essere anche controproducenti quando i venti trasportano gli inquinanti lontano dal punto di emissione e l’acqua trascina a terra gli inquinanti sospesi nell’atmosfera. L’atmosfera è troppo importante per la vita, non solo come fonte di ossigeno per la respirazione, per cui ogni variazione nella sua composizione ha effetti notevoli sugli esseri viventi. 5 Le varie forme di inquinamento Vediamo ora quali sono le forme di inquinamento più diffuse sul nostro pianeta. Inquinamento da rifiuti organici Questi rifiuti, soprattutto se finiscono in un corso d’acqua o in un lago, diventano inquinanti non solo per il cattivo odore, quanto soprattutto per il processo di fermentazione che subiscono; la fermentazione avviene con consumo di ossigeno disciolto nell’acqua che così viene a mancare agli altri esseri viventi. I rifiuti organici possono, inoltre, produrre un inquinamento batterico con danni diretti anche per la salute dell’uomo (epatite virale, colera, tifo). Inquinamento da rifiuti urbani Il terreno viene a contatto diretto con tutto quello che gli viene abbandonato addosso: in Italia ogni anno si producono circa diciassette milioni di rifiuti organici e quasi cinquanta milioni di tonnellate di rifiuti industriali; il 30% viene incenerito, il resto è ammassato nelle discariche. La non buona tenuta di queste ultime e gli scarichi abusivi determinano la penetrazione degli inquinanti nel suolo, sospinti dall’azione dell’acqua. Eutrofizzazione delle acque I nitrati e i fosfati, presenti in grandi quantità nei concimi e nei comuni detersivi, rappresentano un importante fattore limitante per gli ecosistemi acquatici. Se sono presenti in abbondanza possono provocare un’espansione della popolazione delle alghe (fioritura). Ma dopo un periodo di crescita esplosiva le alghe degli strati inferiori sopraffatte da quelle più superficiali muoiono e si decompongono; la maggior parte dell’ossigeno sciolto nell’acqua viene quindi utilizzato nei processi di decomposizione diminuendo la quantità di quello a disposizione dei pesci che in scarsità di ossigeno, vanno incontro alla morte. Opacizzazione delle acque Quando la luce solare, per la presenza di polveri o di uno strato liquido opaco, non riesce a raggiungere le alghe di fondo, queste non possono più partecipare alla fotosintesi e quindi muoiono. La loro decomposizione comporta una diminuzione dell’ossigeno sciolto nell’acqua disponibile per i pesci che di conseguenza muoioni. Inoltre la presenza sulla superficie dell’acqua di una pellicola oleosa(dovuta ad esempio a petrolio o nafta), oltre ad impedire il passaggio della luce, impedisce anche il passaggio di ossigeno e anidride carbonica con conseguenze negative sia per gli animali che per le piante acquatiche. Gli avvelenamenti del suolo e delle acque Metalli pesanti come il mercurio, l’arsenico, residui di pesticidi e fertilizzanti, se scaricati nell’aria, nel suolo e successivamente nelle acque possono provocare l’avvelenamento di molte specie animali e, attraverso le reti alimentari, anche dell’uomo. La pericolosità di queste sostanze rima ne anche quando la loro dose non è letale per un organismo. Gli organismi infatti non riescono a 6 eliminare le sostanze tossiche che quindi si accumulano all’interno degli stessi (in genere nel fegato e nei reni) provocando la morte solo se la concentrazione supera un certo livello. Ma le sostanze tossiche aumentano di concentrazione passando da un anello ad un altro della catena alimentare. Ad esempio il DDT era un pesticida assai usato negli anni 60/70 in agricoltura soprattutto contro le zanzare; il DDT è una sostanza che tende ad accumularsi nei tessuti degli animali. Se in una palude viene spruzzato DDT per eliminare le zanzare, tracce di questo si accumulano nei piccoli organismi acquatici; nei molluschi che si cibano di questi organismi, il DDT lo si ritrova in concentrazioni dieci volte superiori. Nei gabbiani, che si cibano dei molluschi, la concentrazione del DDT è quaranta volte maggiore. Gli animali che si trovano alla fine della catena alimentare sono quelli che risultano maggiormente danneggiati e quindi più soggetti alle conseguenze dell’avvelenamento. Un altra forma di avvelenamento tristemente nota è quella provocata dal mercurio che dai microrganismi acquatici, dai pesci, e dai mammiferi può essere trasformato in una sostanza estremamente velenosa. I composti del mercurio si accumulano nei tessuti dei pesci con lo stesso meccanismo del DDT. Atre sostanze di origine industriale altamente inquinanti sono l’amianto e la diossina; quest’ultima saltata alla ribalta delle cronache italiane nel 1976, quando a Seveso, in uno stabilimento chimico, esplose la valvola di sicurezza del reattore usato per la fabbricazione del triclorofenolo, liberando nell’aria diossina sottoforma di nube gassosa. Le diossine sono sostanze insolubili che provocano mutazioni genetiche, diminuiscono le difese dell’organismo, danneggiano i reni, il fegato, il cuore e la pelle, e sono tossiche anche per piante ed animali. Anche l’amianto, (un silicato di calcio e magnesio), negli ultimi anni è entrato a far parte delle sostanze tossiche. Fino a poco tempo fa era infatti considerato materiale inerte e fondamentale per la sua particolare proprietà di incombustibilità e usato per confezionare tute antincendio, guanti da fornaciai, freni di autoveicoli, tubazioni e rivestimenti. Oggi il suo impiego è vietato a causa della sua riconosciuta alta tossicità. In alcuni paesi, tra i quali l’Italia,il suo uso è stato bandito, ma fibre di amianto sono ancora presenti nei vecchi edifici, nelle vecchie navi e nei vecchi treni. La sua polvere se inalata o ingerita può danneggiare l’apparato respiratorio e digerente. Numerosi casi di tumore ai polmoni sono stati riscontrati, infatti, nei lavoratori esposti per lungo tempo all’inalazione delle polveri di amianto. L’inquinamento atmosferico Fino al 1950 l’inquinamento dell’aria era provocato dalla combustione del carbone. Oggi , oltre che dalla combustione del petrolio e del carbone, soprattutto dai veicoli a motore. Questo tipo di inquinamento è responsabile di molte irritazioni agli occhi, all’apparato respiratorio, e procura seri danni alla vita vegetale. Lo smog 7 A scala locale una vistosa manifestazione dell’inquinamento atmosferico è la formazione dello smog. La parola deriva dall’inglese smoke + fog , fumo e nebbia sporca, e rende bene l’idea di che cosa si tratti. Lo smog si sviluppa principalmente in inverno e nelle città: l’aria vicina al suolo è più fredda della sovrastante a causa dell’immissione nell’atmosfera dei fumi caldi provenienti dagli impianti di riscaldamento; l’aria calda, in questo caso, funziona come coperchio e impedisce a quella sottostante di salire. L’inversione di temperatura trattiene al suolo le sostanze inquinanti in genere per una nottata ma, in certi casi, per parecchi giorni, determinando una maggior concentrazione di inquinanti al suolo con gravi danni per la salute degli uomini. L’ozono cattivo L’ozono presente nell’ozonosfera, come abbiamo visto è utile e protettivo. Questo stesso composto è presente anche nei bassi strati dell’atmosfera, in concentrazioni molto minori. Qui, l’innalzamento dei valori lo trasforma in elemento inquinante e dannoso sia per la piante che per l’uomo. In questo caso si viene a formare per una reazione chimica dovuta alla presenza contemporanea di due fattori: l’irraggiamento e la presenza di inquinanti, generati soprattutto dal traffico. Questa iperproduzione di ozono interessa tutte le grandi concentrazioni abitative a livello mondiale. In genere, nelle nostre zone, si forma in estate, mentre durante i mesi freddi la presenza di inquinanti come idrocarburi gassosi e ossidi di azoto non induce la formazione di ozono “cattivo” perché manca, o meglio è ridotto, l’irraggiamento solare. La comparsa dell’ozono cattivo ha anche un orario all’interno della giornata: durante la mattinata il traffico produce inquinanti e inizia il riscaldamento solare; a questo punto iniziano le reazioni chimiche e tra mezzogiorno e il primo pomeriggio l’ozono raggiunge rapidamente valori elevati per poi ridursi. Il fenomeno non è limitato alle aree urbane ma può interessare anche le campagne e le colline circostanti le città. L’esposizione all’ozono peggiora le condizioni di salute degli individui affetti da malattie respiratorie e con crisi asmatiche, e i soggetti più a rischio sono anziani e bambini. LA BIOSFERA L’UOMO E L’AMBIENTE CAPITOLO 3 La questione planetaria La maggior parte dei problemi ambientali si manifesta ormai su tutta la Terra, o perché si tratta di fenomeni generali, come l’effetto-serra e il “buco” nell’ozono, oppure perchè deriva da situazioni di degrado diffuso come accade per la desertificazione e la deforestazione. L’erosione dei suoli è particolarmente drammatica nelle fasce tropicali dove l’intensa deforestazione accelera i processi di desertificazione, mentre alle medie latitudini il fenomeno si accompagna a gravi problemi di dissesto idrogeologico. Il buco dell’ozono 8 Come abbiamo visto a proposito dell’atmosfera, l’ozono è un gas presente in concentrazioni piuttosto rilevanti in uno strato intorno ai 15-30 km di altezza, dove costituisce una fascia protettiva dalle radiazioni ultraviolette. Intorno al 1985 un gruppo di ricercatori britannici rilevò, attraverso una serie di misurazioni effettuate in Antartide, che questo schermo si era affievolito. Dal 1977 al 1984 la concentrazione di ozono nel cielo della regione polare australe era diminuita, nella stagione estiva, del 40%. Ogni anno il buco si allarga e interessa ormai l’estremo sud dell’America meridionale (Cile e Argentina) e tutte le terre artiche (Canada, Siberia, Groenlandia). Questo importante scudo è danneggiato se non addirittura distrutto dalla massiccia immissione nell’atmosfera dei CFC (cloroflurocarburi), gas ampiamente usati nei fluidi refrigeranti (cioè nei condizionatori d’aria e nei frigoriferi), nelle schiume isolanti, e negli aerosol come le comunissime bombolette spray. I CFC reagirebbero con l’ozono, trasformandolo in semplice ossigeno molecolare; la diminuzione dell’ozono permetterebbe alle radiazioni ultraviolette di penetrare maggiormente verso la superficie terrestre con il conseguente aumento degli effetti nocivi che conosciamo. In più gli studiosi pensano che la riduzione dello strato di ozono possa aumentare l’effetto serra. Lo scenario apocalittico che la scomparsa dell’ozonosfera evoca è di interesse mondiale e, a partire dal 1987 (Protocollo di Montreal) la comunità internazionale si è impegnata a bandire l’uso dei CFC. La deforestazione L’eliminazione delle foreste, oltre a procurare effetti negativi a scala locale, finisce per avere conseguenze preoccupanti sull’intero Pianeta. La ragione principale dell’abbattimento di queste foreste è la richiesta di legname pregiato da esportare verso i Paesi industrializzati e di combustibile a basso costo per i mercati locali. Il diradamento della foresta equatoriale crea enormi problemi all’intero equilibrio del geosistema; infatti è all’origine di: - diminuzione della qualità di ossigeno prodotta con la fotosintesi; - mancato assorbimento dell’eccesso di anidride carbonica presente nell’atmosfera; - forti alterazioni all’intero sistema climatico terrestre; - impoverimento notevole della biodiversità; -diminuzione dell’ “effetto spugna”, cioè della capacità delle foreste e del suolo di assorbire grandi quantità di acqua piovana. La mancanza di una copertura vegetale permette alle piogge di erodere con facilità suoli. Il fenomeno ha ormai assunto proporzioni enormi: ogni anno vengono eliminati dodici milioni di ettari di foresta, un’area vasta come Austria e Svizzera insieme e, in breve tempo, tutto questo suolo verrà completamente dilavato e reso improduttivo. 9 La desertificazione Con il termine desertificazione si indicano tutti quei processi dovuti alle attività umane che portano al progressivo inaridimento del suolo nelle regioni predesertiche e quindi all’estensione dei deserti stessi. Il fenomeno si è verificato in passato anche per cause naturali: il Sahara, 2000 anni prima di Cristo, era una savana semiarida in cui pascolavano anche grandi mammiferi ma la prolungata siccità, verificatasi intorno al 1200 a. C., portò all’inaridimento delle vaste aree poste intorno al tropico del Cancro. Anche negli ultimi decenni si sono registrati lunghi periodi di siccità in molte regioni del globo: le ragioni non sono del tutto chiare e vanno probabilmente ricercate nella naturale fluttuazione dei climi e in parte nell’effetto serra. I terreni minacciati dalla desertificazione coprono oggi un’area vastissima comprendente le savane aride e le steppe che ricevono mediamente una quota di precipitazioni inferiore ai 400 mm all’anno. Nel complesso si tratta di oltre 30 milioni di kmq. suddivisi tra sessanta Paesi, con una popolazione di oltre 850 milioni di persone. Il fenomeno assume dimensioni catastrofiche nei Paesi del Terzo Mondo, dove si assomma ai problemi del sottosviluppo. Non è un caso che il termine desertificazione sia diventato particolarmente noto tra il 1968 e il 1973 in occasione della siccità che colpì il Sahel, la regione situata a sud del Sahara. La necessità di ampliare le colture di sussistenza e quelle commerciali ha indotto a coltivare terreni sempre più vicini al deserto. Questi, però, sono tanto poveri che per rigenerarsi, dopo un ciclo di coltivazione, devono essere lasciati a riposo per 10 o 15 anni, ma la necessità di sopravvivenza ha costretto invece di ripetere continuamente le semine sugli stessi campi portandoli così in breve tempo alla perdita di fertilità. Per irrigare il terreno, data la scarsità dei corsi d’acqua superficiali, si è dovuto ricorrere allo sfruttamento delle falde acquifere, ma i suoli delle zone aride sono generalmente molto salini e l’irrigazione porta ad un aumento della concentrazione di sali, tossici per le coltivazioni. Quindi, anche se sembra paradossale, la stessa irrigazione può rendere il suolo improduttivo. Un altra importante ragione di desertificazione è da ricercarsi nel disboscamento dovuto al bisogno crescente di reperire terreni agricoli e di procurarsi materiale da costruzione e legna da ardere. La distruzione delle foreste aperte della savana ha causato l’innalzamento della temperatura: il vapore acqueo contenuto nelle masse d’aria umida provenienti dalle zone equatoriali non si condensa, diminuendo le precipitazioni. Le aree, private di manto vegetale, tendono perciò ad inaridirsi sempre più. La fase finale della desertificazione è irreversibile e si manifesta con la formazione di dune sabbiose. Le piogge acide 10 Il fenomeno delle piogge acide è stato rilevato già da alcuni anni: uno dei primi allarmi giunse dalla Germania già nei primi anni ‘70. Oggi il problema si è esteso a macchia d’olio, interessando le foreste di quasi tutti i Paesi. Il processo di acidificazione si genera quando nell’aria sono presenti ossidi di zolfo o di azoto, dovuti alla combustine del petrolio e del carbone; questi ossidi in presenza dell’umidità atmosferica si trasformano in acido solforico e acido nitrico e raggiungono il suolo con le precipitazioni. Quando l’acidità supera un certo livello causa ustioni alle cellule vegetali, soprattutto quelle più giovani, danneggiando, cos’, il manto forestale. La contaminazione ha già compromesso gran parte delle foreste dell’Europa centrale. In Italia, risultava colpito, agli inizi degli anni novanta, più del 10% dei boschi, con punte massime di oltre il 50% in Toscana, Friuli e Val d’Aosta. Il dissesto idrogeologico Cause simili a quelle che nei Pesi tropicali portano alla desertificazione contribuiscono, nelle fasce temperate, ad innescare processi di dissesto idrogeologico, ossia tutte quelle situazioni di disordine, squilibrio e alterazione subite dalle strutture geologiche sotto l’azione erosiva dell’acqua selvaggia. Le principali manifestazioni del dissesto idrogeologico sono: le frane, gli smottamenti, le alluvioni e le valanghe. Come abbiamo visto nelle Parti pecedenti del libro, tutte le forme del rilievo terrestre sono soggette al modellamento da parte degli agenti esogeni; pertanto i fenomeni erosivi fanno parte dei meccanismi naturali ma, quando si parla di dissesto, ci si riferisce solo a quelli in cui esistono forti responsabilità dall’uomo. Episodi di questo tipo avvengono in tutti i Paesi temperati, ma si presentano nelle forme più gravi quando le alterazioni interessano suoli particolarmente fragili, come quelli della regione meridionale europea: i bacini idrografici dei fiumi che sfociano nel Mediterraneo risultano quasi tutti pesantemente compromessi.