L`IMPORTANZA STRATEGICA DEL PETROLIO IN LIBIA di

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L`IMPORTANZA STRATEGICA DEL PETROLIO IN LIBIA di
L’IMPORTANZA STRATEGICA DEL PETROLIO IN LIBIA
di
Andrea Strippoli Lanternini
La battuta d’arresto verificatasi nei giorni scorsi relativa alla negazione, da parte del Parlamento di
Tobruk, della fiducia al governo di unità nazionale formato nel quadro dell’intesa raggiunta presso
le Nazioni Unite, pone particolari problemi connessi al procedimento di riordino del caos libico.
Nonostante l’impasse sia relativo solo all’art.8, punto 2a, dell’accordo politico, il quale prevede il
passaggio dei poteri militari dal generale Haftar al Consiglio di Presidenza guidato da Fayez Serraj,
il quale diventerebbe comandante supremo dell’esercito libico, questo non rassicura gli analisti e gli
osservatori.
Proprio in questo contesto di costante instabilità politica si inserisce il sempre più imminente
intervento di forze occidentali (Italia compresa) per neutralizzare la presenza di ISIS nel Paese,
anche senza una espressa richiesta del governo centrale che, di fatto, ancora non è operativo.
L’azione va seriamente valutata avendo a riguardo un particolare aspetto dell’assetto politico –
economico del Paese, e cioè l’importanza dei giacimenti di petrolio e delle relative infrastrutture.
Tali assets, già attaccati lo scorso anno, sono stati nuovamente oggetto di azioni, da parte dei
miliziani dell’Isis, i primi giorni di gennaio. In particolare sono stati attaccati due impianti di
stoccaggio di petrolio situati vicino Sidra, sulla costa tra Sirte e Benghazi.
L’economia libica è basata sostanzialmente sulle entrate derivanti dal settore energetico il quale
genera circa il 65% del PIL.
Tali impianti determinavano l’esportazione del petrolio libico in misura del 40% e si stima
potessero contenere circa 400.000 barili di petrolio. Oltre alle strutture di stoccaggio Isis ha più
tardi colpito anche le pipeline che consentivano di trasportare il petrolio verso uno dei terminal.
Fonte: http://earthobservatory.nasa.gov/ 06.01.2016
Fonte: http://earthobservatory.nasa.gov/ 06.01.2016
Fonte: http://earthobservatory.nasa.gov/ 06.01.2016
Nel disordine libico ISIS si inserisce come terzo soggetto avente importanti piani strategici per la
zona. Mentre gli altri due protagonisti dello scenario libico, il Parlamento di Tripoli e quello di
Tobruk, non riescono a trovare definitivamente un’intesa lo Stato Islamico avanza e pone in essere
azioni di particolare rilevanza per il futuro del Paese.
La distruzione di infrastrutture connesse al petrolio, infatti, porta con sé importanti conseguenze.
Posta la fondamentale importanza relativa al controllo del settore petrolifero è chiaro che entrambe
la parti, rappresentate dai rispettivi parlamenti, vorrebbero averne la gestione. Tale ambizione però
è sostenuta anche dallo Stato Islamico per il quale il petrolio rappresenterebbe anche una
fondamentale fonte di finanziamento se considerate le esperienze in Iraq e Siria.
Il condizionale tuttavia è d’obbligo.
Ciò in quanto l’intero sistema petrolifero libico è molto diverso da quello presente nei Paesi appena
citati.
Innanzitutto non esistono le cd. teapot refineries, ossia raffinerie di piccola entità che permettono di
aggredire il mercato della vendita al dettaglio rifornendo piccoli consumatori.
Inoltre in Libia non esiste nemmeno un sistema di trasporti adeguato formato da camion cisterna
idonei a trasportare piccoli carichi di petrolio nei mercati vicini. Il contrabbando di petrolio in Libia
non è facile come lo è in Iraq e Siria.
A questo punto è chiaro come i miliziani di Al Baghdadi abbiano deciso di distruggere gli impianti,
e le connesse strutture presenti in loco, al fine di impedire anche alle altre due parti di sfruttare il
tesoro rappresentato dal petrolio.
Tuttavia risulta che lo Stato Islamico stia cercando figure professionali, quali ingegneri, specialisti
in petrolio e gas, fisici e specialisti in esplosioni, al fine di poter sfruttare per fini economici il
complesso sistema energetico libico.
A questo punto emergono due questioni molto importanti.
Entrambe i governi sono finanziati dalla Banca Centrale Libica, la quale trova nelle entrate
derivanti dall’esportazione del petrolio la sua principale fonte di reddito. Con tali finanziamenti i
governi pagano gli stipendi alle milizie che combattono per loro. Senza petrolio quindi si verrebbe a
creare un meccanismo a catena che priverebbe la banca centrale delle proprie entrate e di
conseguenza il blocco dei flussi finanziari verso Tripoli e verso Tobruk.
L’ulteriore, e altrettanto grave, ripercussione sarebbe quella consistente nell’impossibilità
dell’eventuale governo di unità nazionale di insediarsi ed operare con successo. Anche in questo
caso, infatti, non sarebbe possibile fare a meno della preziosa risorsa rappresentata dal petrolio.
Senza il pieno controllo del settore petrolifero il governo di unità nazionale non sarebbe in grado di
far fronte alle spese relative alla retribuzione dei propri dipendenti, compresi i militari.
Uno degli imperativi che dovrà essere soddisfatto dall’eventuale intervento occidentale in Libia è
dunque rappresentato dalla necessità di rientrare in possesso della principale fonte di sostentamento
per l’economia libica attraverso l’allontanamento dello Stato Islamico dai punti sensibili del Paese.
Ciò al fine di contribuire alla nascita di un sostrato economico fertile per la crescita di qualunque
governo di unità nazionale.
Il rischio è che un intervento militare mal gestito, non dettagliatamente coordinato e soprattutto
indiscriminato, potrebbe creare delle fratture ancora più grandi provocando l’ulteriore penetrazione
dello Stato Islamico sul territorio il quale sarebbe supportato da comunità e tribù che
considererebbero l’intervento esterno un ritorno al colonialismo.
La messa in sicurezza degli assets energetici del Paese è dunque questione di fondamentale
importanza se si vuole garantire alla Libia una concreta possibilità di ricostruirsi.