Monastero Invisibile 12-2015

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Monastero Invisibile 12-2015
Con molta discrezione in silenzio bisognerebbe potere allungare qualche vestito nuovo a queste persone.
Il bisogno è molto maggiore in altre parti del mondo dove c'è gente veramente ignuda e bisognosa di vestiti: sono
centinaia di milioni in Africa, America Latina, in varie nazioni asiatiche, ecc.... Lasciamo stare i problemi di cultura,
che va rispettata. La realtà è che non si vestono perché non hanno i soldi per comprarsi
i vestiti; tant'è vero che il vestito, e di solito molto bello, lo riservano per la festa; tant'è
vero che le persone che riescono a studiare, a guadagnare e a tirarsi fuori dalla povertà,
si vestono; tant'è vero che nella stagione meno calda si sentono molti tossire e molti
sono malati di tubercolosi perché non possono coprirsi sufficientemente.
Ma come aiutarli?
Alcuni raccolgono vestiti usati e li mandano ai missionari. E' una strada buona se si
manda roba buona, ben pulita e soprattutto se si invia quello che i missionari chiedono
e si è sicuri che sono loro a utilizzarlo in modo diretto e mirato. Forse, però, il mezzo più efficace è quello di rinunciare alle spese superflue nell'acquisto dei propri vestiti e mandare il denaro ai missionari, perché acquistino sul posto i
vestiti che vanno bene ai più poveri che non possono procurarseli o, meglio ancora, perché forniscano telai e filo per
produrre le stoffe, o almeno forniscano le stoffe per confezionare i vestiti secondo i costumi e le mode del luogo.
In altre parole: un vestito di meno per "vestire gli ignudi" dei paesi poveri.
Preghiamo in Unità
-O Padre sostieni Papa Francesco e la Chiesa perché, nella semplicità della vita e nella generosa dedizione, siano
testimoni coraggiosi e fedeli della “Buona Notizia” recata da Gesù per tutti coloro che l’attendono. Nel nome di Gesù,
preghiamo
-O Padre perché meditando sulla Tua misericordia sperimentiamo la consolazione e la forza dell’amore e quanto
abbiamo ricevuto possa renderci più disponibili al perdono, alla pace e alla concordia. Nel nome di Gesù, preghiamo
-O Padre per questa umanità segnata da sofferenze, ingiustizie e divisioni per i cristiani e tutti i perseguitati che fuggono da guerre e tragedie immani affinché attraverso gesti di fraternità di ognuno di noi possano sperimentare concretizzato il conforto del sentirsi amati. Nel nome di Gesù, preghiamo
-O Padre Ti affidiamo gli sposi che si stanno impegnando a vivere ogni giorno il cammino nell’amore. Accompagna
con ogni benedizione i loro passi. Maria e Giuseppe intercedete per i bisogni delle famiglie di questo nostro tempo.
Nel nome di Gesù, preghiamo
-O Padre a Te rendiamo grazie per questo 2015 che stiamo completando, e incamminandoci al nuovo anno donaci
di comprendere quanto sia prezioso, necessario accogliere Gesù, ogni giorno, perché ci conduca sulla via
dell’amore autentico e della gioia vera. Nel nome di Gesù, preghiamo
Preghiera Finale
Se uno spoglia chi è vestito si chiama ladro. E chi non veste l’ignudo quando può farlo merita forse un altro nome? Il
pane che tu tieni per te è dell’affamato; il mantello che tu custodisci nel guardaroba è dell’ignudo; le scarpe che
marciscono in casa tua sono dello scalzo l’argento che conservi sottoterra è del bisognoso. San Basilio Magno
Termino questo momento di preghiera con il Padre Nostro
Chi, per qualsiasi motivo, volesse contattare la redazione de “Un Monastero Invisibile”, scriva
a: Redazione “Un Monastero Invisibile” - c/o Capelli Giorgio e Stefania - via Ossanesga 46 24030 Paladina (BG) oppure all’e-mail: [email protected]
Questo sussidio si può scaricare da internet , generalmente a partire dal 20 del mese precedente, all’indirizzo: http://monasteroinvisibile.murialdo.org
Un Monastero
invisibile
una rete di preghiera nel segreto del mondo
Sussidio di preghiera della Famiglia del Murialdo: Giovani, Amici, Collaboratori, Ex-Allievi, AMA, CLdM,
Ist. Secolare “S.L. Murialdo”, Murialdine, Giuseppini.
DICEMBRE 2015 n.218
In questo mese di inizio Giubileo vogliamo iniziare a riflettere sulla Misericordia e in particolare lo faremo con le
opere di misericordia. Il Santo Padre lo ha detto molto bene: “Ci sono momenti nei quali in modo ancora più forte
siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi stessi segno efficace dell’agire del Padre”. Questo mese vedremo in particolare Vestire gli ignudi.
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Troviamo un posto tranquillo ed iniziamo la preghiera nel modo consueto con il Segno di Croce recitando questa
orazione allo Spirito Santo
Vieni o Santo Spirito, illumina con la luce della verità il nostro cammino all’inizio di questo
millennio. Donaci di confessare con la fede ardente Gesù Cristo, Signore e Redentore, morto e
risorto per noi, colui che sempre viene. Egli è il vangelo della carità di dio per l’uomo, della
comunione fraterna e dell’amore senza confini. Egli è il germoglio nuovo, fiorito nei solchi della
storia: da lui solo può maturare il vero rinnovamento della Chiesa, della società e delle nostre
comunità.
Leggiamo Dal libro di Giobbe (31,13 – 22.35)
[13]Se ho negato i diritti del mio schiavo e della schiava in lite con me, [14]che farei, quando
Dio si alzerà, e, quando farà l'inchiesta, che risponderei? [15]Chi ha fatto me nel seno materno, non ha fatto anche lui? Non fu lo stesso a formarci nel seno? [16]Mai ho rifiutato quanto
brama il povero, né ho lasciato languire gli occhi della vedova; 17]mai da solo ho mangiato il mio tozzo di pane,
senza che ne mangiasse l'orfano, [18]poiché Dio, come un padre, mi ha allevato fin dall'infanzia e fin dal ventre di mia
madre mi ha guidato. [19]Se mai ho visto un misero privo di vesti o un povero che non aveva di che coprirsi, [20]se
non hanno dovuto benedirmi i suoi fianchi, o con la lana dei miei agnelli non si è riscaldato; [21]se contro un innocente ho alzato la mano, perché vedevo alla porta chi mi spalleggiava, [22]mi si stacchi la spalla dalla nuca
e si rompa al gomito il mio braccio, 35]Oh, avessi uno che mi ascoltasse! Ecco qui la mia firma! L'Onnipotente mi
risponda! Il documento scritto dal mio avversario vorrei certo portarlo sulle spalle”.
Il contesto del discorso
Inquadriamo innanzitutto il passo biblico oggetto di questa riflessione, nel più ampio discorso di Giobbe che costituisce il quarto atto del libro, in cui non parla tanto agli amici, ma a Dio stesso. Qui Giobbe è solo. In un potente monologo, pieno di ricordi e di dolorose confessioni, lancia la sua ultima sfida. Egli è sicuro della propria innocenza, Dio
dovrebbe riconoscere la sua integrità e dice: “Tu sai che io sono innocente”. Dopo aver ricordato i ‘mesi di un tempo’, quando Dio lo proteggeva ed era sempre con lui, Giobbe descrive la sua situazione presente, in cui egli è umilia-
to e deriso, osteggiato e abbandonato da tutti, pieno di sofferenze e angosce spirituali e corporali.
Dio è il responsabile di tutto questo soffrire. Egli appare come un nemico crudele. Il lamento e la supplica di Giobbe
diventano accusa, ma non mai bestemmia. Giobbe non trova facile rifugio nell’ateismo. Egli non sa staccarsi dal suo
Dio, anche quando Dio appare un nemico crudele. Inutile la preghiera: Dio tace e sembra assente. Anzi, sembra
scagliare il mondo stesso coi suoi elementi sconvolti (il vento e la bufera) contro un pover’uomo finito. Ma l’assenza
e il silenzio di Dio sono insopportabili per Giobbe che giura sulla propria innocenza e arriva a sfidare il suo divino
Rivale con un ultimatum patetico e arrogante. Con presunzione Giobbe sigilla con la sua firma la sua richiesta!
E tace. La sua sfida non è arroganza blasfema e neppure disperata volontà di sopraffazione, ma soltanto sincera e
radicale fiducia nella verità e nella giustizia.
La giustizia di Giobbe e la sua misericordia
Nel libro di Giobbe le opere di misericordia sono inserite all’interno della considerazione attenta della giustizia di Giobbe. All’inizio del libro, Giobbe era stato definito
“uomo giusto e retto, alieno dal male e timorato di Dio”, e quindi queste opere sono
ricordate come illustrazione, esemplificazione della giustizia dell’uomo davanti a Dio.
Risulta interessante allora la ripresa del tema della giustizia di Giobbe al cap. 31. Qui si
definisce la giustizia dell’uomo non genericamente considerato, ma visto come situato
in una particolare condizione sociale: poiché qui si tratta dell’uomo ricco questo discorso può essere visto anche una riflessione di carattere etico, sulla responsabilità morale
e sociale dell’uomo benestante. Dunque è all’interno di questo discorso morale sulla giustizia dell’uomo in generale
e sulla particolare responsabilità morale dell’uomo ricco di risorse materiali e spirituali, che viene elaborato il riferimento a quelle che saranno poi successivamente codificate come «opere di misericordia».
Tra queste opere di misericordia vale la pena ricordare il rispetto del diritto dello schiavo («se ho negato i diritti del
mio schiavo e della schiava in lite con me...»). E’ un passo interessante perché è l’unico testo in cui si parla del diritto
dello schiavo. E’ vero che la legislazione conosceva alcune norme a favore in qualche modo degli schiavi, ma non un
diritto vero e proprio; questo passo più che riflettere una situazione sociale in cui esisteva un insieme di norme a
difesa dello schiavo, mette in luce allora la generosità di Giobbe e la profondità della sua coscienza morale, che dà
corpo alla misericordia che qui si manifesta come un riconoscere il diritto allo schiavo, diritto fondato sulla coscienza
della comune origine.
Giobbe ricorda come egli non abbia mai rifiutato quanto occorreva al povero, alla vedova e all’orfano. Erano queste le
tre categorie socialmente deboli, non protette. Tenendo presente che il contesto, in cui hanno origine questi testi, è
una società fondata sul diritto fondiario, il non-possesso della terra comportava una situazione di grave svantaggio, e
per quanto riguardava la vedova e l’orfano, l’assenza del capofamiglia, non era solo una mancanza di una persona
che guadagnava, ma anche la mancanza di un custode giuridico dei loro diritti sociali.
Anche qui Giobbe ricorda dunque la propria opera che diventa ricerca di condivisione, («mai da solo ho mangiato il
mio tozzo di pane/ senza che ne mangiasse l’orfano»). Nell’opera di misericordia si persegue l’ideale della condivisione. In altri termini, più che alla rinuncia comportata dal donare («io mi privo per»), l’attenzione è rivolta all’aspetto
positivo della condivisione che è il risultato del dono.
E anche se manca in questo testo un’analisi delle eventuali cause della povertà o della
disuguaglianza sociale, è comunque chiarissimo alla coscienza di Giobbe l’urgenza della
condivisione. Ma la misericordia non è mossa solo da un’esigenza di giustizia e di condivisione della comune umanità. In Gb 29,11ss. appare un altro motivo che portava Giobbe
a comportarsi in modo misericordioso, durante la sua prosperità: «Soccorrevo il povero
che chiedeva aiuto, l’orfano che ne era privo. La benedizione del morente scendeva su di
me e al cuore della vedova infondevo giustizia. Mi ero rivestito di giustizia come di un vestimento, come mantello e
turbante era la mia equità. Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo, padre io ero per i poveri ed esaminavo
la causa dello sconosciuto, rompevo la mascella al perverso e dai suoi denti strappavo la preda».
Troviamo qui un altro modo per indicare una radice della misericordia; era la volontà di essere “padre”, essere in
qualche modo il volto umano della paternità di Dio, paternità che Giobbe aveva lui stesso sperimentato.
Infatti, Gb 31,18 asserisce: «Poiché Dio come un padre mi ha allevato fin dall’infanzia e fin dal ventre di mia madre
mi ha guidato». Ecco dunque l’esperienza personale che Giobbe in qualche modo riproduce nel suo rapporto con gli
altri; come ha sperimentato la paternità di Dio, così ha desiderato e tentato di essere padre per gli altri. Poi Giobbe
continua: «Se mai ho visto un povero privo di vesti o un povero che non aveva di che coprirsi...» (Gb 31,19 ss.) facendo un breve elenco di opere di misericordia.
Queste opere sono: il rispettare il diritto reale dello schiavo, il venire incontro ai bisogni del povero (della vedova,
dell’orfano), il vestire l’ignudo e nutrire l’affamato, il prendersi cura del morente e poco oltre si ricorda anche
l’ospitalità dello straniero. Esse sono inserite all’interno di un progetto globale di fedeltà ai comandamenti di Dio e nel
quadro di una lotta strenua per la virtù, senza tollerare in sé avarizia, menzogna e persino spirito di vendetta (la quale
di per sé era considerata all’epoca un fatto assai normale).
La misericordia si esercita per Giobbe all’interno di una ricerca e di una pratica complessiva della giustizia per cui si
tratta di una misericordia che non si riduce a sentimento, ma si attua fattivamente anche attraverso il lavoro, l’impegno
nel trasformare la terra e nel rispetto del diritto sacrosanto del lavoratore al suo salario.
La misericordia è quindi un momento della sua giustizia, di quel programma di vita che ha come risultato l’integrità.
La conclusione del discorso di Giobbe
Vediamo ora dove Giobbe vuole giungere con il suo discorso. Teniamo presente che Giobbe sta parlando di sé stesso e delle norme che regolavano la sua vita quando era un idolo, era un potente, e si muoveva nella sua comunità
come un re, e tutti pendevano dalle sue labbra, e tutti ammutolivano quando lui si presentava nell’assemblea; tenete
presente quante possibilità di azione e di prevaricazione aveva: era un grande, ed è costui che parla. Questo ci dice la
profondità del rigore morale di Giobbe.
Esponendo a Dio il suo programma di vita, Giobbe rivendica la propria innocenza e il bene fatto. E la domanda non è
solo personale, “come mai il bene da me fatto è infruttuoso per me?” ma la domanda è come mai IL BENE appare
senza frutto, nel mondo e nel tempo in cui uno vive? È una domanda estrema rivolta a quel Dio che sembrava insensibile ma che, Giobbe sa, in realtà ascolta. E’ chiaro allora che la grande rivendicazione di Giobbe non è più quella del
suo dolore ma è quella del bene compiuto, della misericordia che uno ha seminato. Alla fine è su questo tema che
Giobbe invoca, provoca, sfida Dio perché si decida a incontrarsi con lui. Per cui l’ultimo atto del libro di Giobbe sarà
l’incontro con Dio. Giobbe ha lottato con tutte le sue forze, ha impegnato tutto il suo essere, per arrivare a dire che si
può incontrare Dio, nonostante i tanti dubbi, incertezze, difficoltà, dolori che si possono incontrare nel corso della vita,
perché l’ultima parola di Dio è quella del Dio-con-noi. Quando si raggiunge questa certezza non si ha ancora la risposta al dolore ma si ha la possibilità di vivere anche il dolore.
Attualizzare l’opera di misericordia
Vestire gli ignudi
Nella società dei consumi è difficile scorgere come praticare anche quest'altra opera di
misericordia. Se da noi non esistono gli "ignudi", per mancanza di vestito, si possono però
trovare a volte persone, soprattutto di colore, che indossano indumenti leggeri con temperature rigide, come quelle invernali, oppure anche bambini zingari scalzi o anziani senza
cappotto.