Google e gli altri - 760439

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Google e gli altri - 760439
LIBRO
IN
ASSAGGIO
GOOGLE E GLI ALTRI
DI JOHN BATTELLE
GOOGLE E GLI ALTRI
1
IL D ATABASE DELLE I NTENZIONI
LA BIBLIOTECA DI ALESSANDRIA COSTITUÌ IL PRIMO TENTATIVO FATTO
DALL’UMANITÀ DI RIUNIRE LO SCIBILE UMANO TUTTO IN UNA VOLTA IN UNO
STESSO LUOGO. IL NOSTRO TENTATIVO PIÙ RECENTE? GOOGLE.
BREWSTER KAHLE
IMPRENDITORE E FON DAT ORE DI THE INTERNET ARCHIVE
A OGNUNO IL SUO BOSWELL
GEOFFREY C. BOWKER
DIPARTIMENTO DI COMUNIC AZIONE, URIIVERSTTÀ DE LLA
CALIFORNIA, SAN DIEGO
Nell’agosto del 2001 l’industria di Internet era in piena ritirata. Centinaia di start-up un
tempo promettenti — la mia fra quelle — soffocavano in bancarotta. I sogni delle facili
ricchezze ricavate da Internet, della capacità della Rete di cambiare radicalmente il mondo del
business e di alterare profondamente la nostra cultura, sogni celebrati su copertine di riviste
patinate e in speciali televisivi, che si traducevano nelle valutazioni inaudite delle azioni delle
società quotate in Borsa, beh, quei sogni erano morti e sepolti.
Ancora dolorante per le perdite della mia attività su Internet, mentre mi chiedevo se il
destino della Rete potesse in qualche modo risollevarsi, capitai su un link alla prima edizione
di Google Zeitgeist. Zeitgeist è un intelligente strumento delle pubbliche relazioni che riassume
le parole ricercate in fase di ascesa o di declino in un determinato periodo di tempo.
Osservando e contando i termini di ricerca più popolari, Zeitgeist propone una sintesi di
quanto la nostra cultura ricerca o trova interessante e, viceversa, di quanto un tempo era
popolare e ora sta invece perdendo interesse.
Dal 2001 Google ospita uno Zeitgeist settimanale sul suo sito dedicato alle pubblicle
relazioni, ma il link che avevo trovato era la prima versione in assoluto di quel programma e
riassumeva l’andamento di tutto l’anno. E che anno era stato il 2001! In cima alla lista dei
termini ricercati c’erano Nostradamus (al primo posto), CNN (al secondo), World Trade Center
(al terzo) e antrace (al quinto). L’unico termine che aveva raggiunto i primi cinque posti e non
era collegato al terrorismo? Una fantasia collettiva su magia e bambini, Harty Potter, che era al
quarto.
I termini che più rapidamente avevano perso popolarità dimostravano quanto velocemente
la nostra cultura stesse abbandonando le frivolezze: Pokémon era stato il numero uno, seguito
immediatamente da Napster, Grande fratello (il reality show televisivo), X-Men e dalla donna
che vinse Chi vuole sposare un multimilionario.
Ero esterrefatto. Zeitgeist mi rivelò che Google non solo era informato sulle tendenze della
nostra cultura, ma era innestato direttamente nel sistema nervoso ditale cultura. Questa fu la
mia prima intuizione di quello che poi avrei chiamato “Database delle Intenzioni”, un
manufatto vivente dall’immenso potere. Mio Dio, pensai, Google sa quello che vuole la nostra
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cultura! Visti i milioni di milioni di richieste che confluiscono ogni ora verso i suoi server, mi
parve chiaro che l’azienda aveva per le mani informazioni che valevano come una miniera
d’oro. Si potevano creare imprese editoriali totalmente nuove a partire dalle tracce delle
intenzioni evidenti in un database di quel tipo; anzi, Google aveva già fatto la prima mossa in
quella direzione: un progetto in fase beta chiamato Google News. Non avrebbe potuto allo
stesso modo creare una società di marketing e di ricerche di mercato in grado di dire ai propri
clienti esattamente cosa la gente compra, intende comprare, o rifiuta? Perché non pensare a
un’azienda di commercio elettronico che sa in anticipo cosa vogliono gli acquirenti? Oppure a
un’agenzia di viaggi che sa dove il cliente vuole andare? Le possibilità parevano infinite. Per
non dire del fatto che all’interno del ricco database di Google si nascondeva un potenziale
ambito di ricerca per migliaia di corsi di Phd in antropologia culturale, psicologia, storia e
sociologia. Questa piccola azienda, pensai tra me e me, estasiato e un po’ ingenuo, tiene in
pugno i pensieri del mondo. Dovevo assolutamente andare a vedere di persona. Forse il sogno
dot-com non era morto; magari si era semplicemente nascosto dietro l’implacabile facciata di
una finestra di ricerca di Google.
Mi ricordavo che nell’aprile del 2001 Eric Schmidt, uno dei fondatori dì Sun Microsystem,
aveva lasciato il suo lavoro di dirigente alla Novell, gigante delle reti che si trovava in quel
periodo in gravi difficoltà, e aveva accettato il posto di presidente e direttore generale di
Google (l’ambiente fu sconcerta to da quella mossa, ma su questo torneremo nelle prossime
pagine). Avevo conosciuto un po’ Eric quando mi occupavo di Novell e di Sun come
giornalista di settore e lo avevo incontrato a numerose conferenze stampa durante la mia
carriera di redattore ed editore. Decisi di cogliere l’occasione e gli scrissi un’e-mail. Non avevo
idea di ciò di cui avrei voluto parlare, a parte la mia vaga sensazione che avesse per le mani
qualcosa di grosso. Google, apparentemente, era un’azienda florida. Avevo sentito che era
praticamente l’unico posto nella Silicon Valley in cui ancora si stessero assumendo ingegneri.
Eric accettò di incontrarmi, e all’inizio del 2002 ci mettemmo a sedere per la prima di una
serie di avvincenti conversilzioni.
ERIC CERCA L’OCCASIONE DA UN MILIARDO DI DOLLARI
Quando ci incontrammo, non immaginavo nemmeno lontanamente che avrei scritto questo
libro, ma fui indirizzato su quella strada. Introdussi la mia idea del Database delle Intenzioni e
parlai di come Zeitgeist sfiorasse appena quella che sembrava essere una nuova, enorme
ricchezza legata alla capacità di comprendere a fondo la nostra cultura. Nel corso del nostro
colloquio, rilevai che Google avrebbe potuto creare una divisione Media per sfruttare quella
risorsa. Yahoo si era già dichiarata una società editoriale, perché Google non poteva fare lo
stesso? Eric conveniva che il database raccolto da Google era impressionante, ma non capiva
perché si sarebbe dovuti entrre nel business dei media. Google era un’azienda di tecnologia,
mi disse. E aggiunse: “I media è molto meglio lasciarli nelle mani di gente come te”.
Replicai che in Google i due aspetti erano strettamente collegati, che Adwords, il servizio
appena nato e già fonte di ricavi, era pura pubblicità, media in altre parole. Il futuro di
Google, consigliai, eta di diventare un’azienda editoriale. Eric non era d’accordo. “Stiamo
cercando il prossimo mercato da un miliardo di dollari nella tecnologia — disse —. Hai
qualche idea?”
Non ne avevo, ma uscii da quell’incontro convinto che presto o tardi Google avrebbe
preso il suo posto fra i giganti nel panorama dei media. Non ci volle molto. Un anno dopo mi
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incontrai di nuovo con Eric. “Non è fenomenale il business dei media?”, furono alcune delle
sue prime parole.
In sostanza, Google e i suoi concorrenti hanno creato la prima applicazione per sfruttare
commercialmente il Database delle Intenzioni: le ricerche pagate. In meno di cinque anni, il
settore è cresciuto dal nulla fino a oltre quattro miliardi di dollari di ricavi e si prevede che
quadruplicherà il suo fatturato nel prossimo quinquennio.
Nel corso del tempo, la ricerca si è trasformata da un servizio utile, ma marginale
nell’esperienza della maggior parte degli utenti di Internet, all’interfaccia standard per l’uso del
computer nell’era dell’informazione. “Visto che l’ammasso di dati a nostra disposizione
esplode, la ricerca è diventata la metafora dell’interfaccia utente — osserva Raymie Stata,
ingegnere e imprenditore della Silicon Valley —. Adesso c’è una grande quantità di
informazioni che possiamo avere tra le mani. La ricerca è il nostro tentativo di dar loro un
senso.”
Negli ultimi anni la ricerca è diventata un metodo universalmente conosciuto di navigare
nel nostro universo informativo: proprio come l’interfaccia Windows ha caratterizzato la nostra
interazione con il personal computer, la ricerca determina le nostre interazioni con Internet.
Mettete una finestra di ricerca davanti a chiunque, e saprà cosa fare. E l’insieme di tutte queste
ricerche si juò conoscere, costituisce il database delle notre intenzioni.
LA RICERCA COME CULTURA MATERIALE
Come per molti nel settore della tecnologia, la mia passione per i computer cominciò con il
Macintosh. A metà degli anni Ottanta stavo studiando antropologia culturale all’università e
seguii un corso incentrato sull’idea di cultura materiale: in sintesi, l’interpretazione dei
manufatti della vita quotidiana. Il professor Jim Deetz, un uomo garbato originario del
Maryland che guardava con favore il bourbon del Kentucky e l’architettura della Virginia del
Novecento, ci insegnò che gli strumenti dell’archeologia — normalmente utifizzati soltanto per
civiltà estinte da molto tempo — si sarebbero dovuti usare anche nello studio dell’antropologia
culturale, che si occupava delle culture ancora esistenti.
Deetz ci incoraggiò a considerare tutto ciò che veniva modificato dall’umanità come
cultura materiale, anche se non si trattava di qualcosa di materiale nel senso di essere costituito
da atomi. E, cosa ancor più interessante, ci invitò a interpretare la comunicazione — in
particolare il linguaggio parlato e il suo corrispettivo scritto — come un’espressione della
cultura che l’ha creato, di cui riflette ogni genere di intento, controversia, politica e relazioni.
Niente che non si trovasse in un corso universitario di letteratura o filosofia, ma qui si trattava
anche di scienza. Considerare il linguaggio un manufatto era un modo per prendere la cultura
corrente e tenerla fra le proprie mani, darle un senso, leggerla.
Più o meno nello stesso periodo stavo guadagnando soldi facendo un beta test su un
software WYSIWYG (What you see is what you get) su un computer Macintosh nuovo di
zecca, annata 1984. Come quasi tutti queffi che usavano il Macintosh in quei primi anni, ero
attratto dall’intrigante combinazione di interfaccia ed esecuzione: io puntavo là e le cose
cambiavano esattamente... là. Antropologia e tecnologia si incontravano, e presto mi convinsi
che il Macintosh rappresentava il più importante e sofisticato manufatto che l’umanità avesse
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mai prodotto: una rappresentazione visibile del funzionamento della mente. (Proprio così, non
eri grandioso?)
Comunque, l’idea che un’interfaccia grafica WYSIWYG — specialmente se messa in rete
con altre— potesse costituire un mezzo per collegare le inceffigenze umane mi attraeva
particolarmente quando scrivevo di tecnologia informatica come manufatto culturale. Da Wired
all’Industry Standard, il mantra «Il Mac come il più grandioso manufatto” diventò uno dei
ritornelli standard nelle mie conversazioni. Lo usavo nei colloqui con chi doveva scrivere per il
mio giornale, nelle presentazioni ai venture capitalist e nelle chiacchiere a tarda sera con i
vecchi amici. Quando gli altri sostenevano che la ruota o il motore a scoppio erano i più
importanti strumenti della storia della civiltà, io dissentivo e tiravo fuori le mie argomentazioni
a favore del Mac.
Ma dopo aver visto Google Zeitgeist, mi resi conto che il mio amato Macintosh era stato
spodestato. Ogni giorno mffioni e milioni di persone si mettono davanti alla tastiera del loro
computer e riversano desideri, paure e intenzioni sullo sfondo bianco brillante a colori semplici
di Google.com. “Rivenditori Peugeot a Lione”,si potrebbe chiedete (in francese ovviamente).
“Fedina penale di Michael Evans”, potrebbe inserire una donna ansiosa al primo
appuntamento con uno sconosciuto. “Agenti tossici EPA [Environinental Protection Agency]
contea di Westchester”, potrebbe chiedere un potenziale proprietario di casa, parlando nella
grammatica sempre più ubiqua, raffinata e in continua evoluzione delle parole chiave per la
ricerca di Google.
Ovviamente, lo stesso si può dire delle finestre di ricerca di Yahoo, MSN, AOL, Ask e di
centinaia di altri motori di ricerca o di siti di informazione e commercio elettronico. Miliardi di
richieste convergono nei server di questi servizi Internet — il flusso di pensiero aggregato
dell’umanità, online. Cosa stiamo creando, singola intenzione dopo singola intenzione,
quando diciamo al mondo quello che vogliamo?
Link dopo link, click dopo click, la ricerca sta costruendo forse il più durevole, poderoso e
significativo manufatto culturale nella storia dell’umanità: il Database delle Intenzioni, ovverq il
risultato aggregato di ogni ricerca inserita nel motore, di ogni lista di risultati presentata, e di
ogni percorso seguito sulla base di quei risultati. Vive in molti luoghi, ma tre o quattro in
particolare — AOL, Google, MSN, Yahoo — possiedono una porzione enorme di questo
database. Presa nel suo insieme, questa informazione rappresenta una storia in tempo reale
della cultura post Web — un enorme “database di clickstream”), di desideri, necessità,
volontà e gusti che possono essere scoperti, citati, archiviati, registrati e sfruttati per finalità di
ogni sorta.
Considerate il Database delle Intenzioni come un ricco humus di dati su uno strato
archeologico di tecnologia che negli ultimi cinquant’anni ha creato i presupposti per
l’emergere di una cultura radicalmente nuova. E facile vedere il Web come uno sviluppo
relativamente recente, ma il Web è basato su Internet, che a sua volta è costruita su una vasta
rete di computer di ogni tipo — mainframe, minicomputer, server di grande potenza, pc
desktop, e un numero imprecisato di dispositivi portatffi. Questa rete è in costruzione da quasi
tre generazioni, anche se solo nell’ultimo decennio ne abbiamo preso coscienza fino in fondo.
Nei prossimi dieci anni si espanderà nei nostri televisori, automobili e spazi pubblici: quasi
ogni oggetto in grado di ospitare un chip lo farà e praticamente tutto ciò che sarà dotato di
chip diventerà un nodo di questo Database delle Intenzioni in continua crescita.
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Nel prossimo decennio questa struttura sarà il vivaio per una gran quantità di nuovi
fenomeni culturali. In parte li abbiamo già visti sbocciare con servizi come Yahoo, Napster,
eBay e Google. E siamo solo all’inizio: nel 2003 e nel 2004 sono nate centinaia di società
che ostentavano modelli di business innovativi, basati sulla ricerca: si andava da forme
totalmente nuove di espressione come i blog a siti di fotografie personalizzati come Flickr. E,
nella sua essenza, tutta questa nuova crescita comincia con una persona davanti a uno
schermo che digita una richiesta in un motore di ricerca.
© 2005 by John Battelle
© 2006, Raffaello Cortina Editore
Titolo originale: The Search
Edizione Mondolibri S.p.A., Milano
su licenza Raffaello Cortina Editore
www.mondolibri.it
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