LA TORRE DI BRIOSCO di Riccardo Pasina

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LA TORRE DI BRIOSCO di Riccardo Pasina
La torre di Briosco
20 dicembre, finalmente il giorno era giunto: aveva invitato i suoi
amici milanesi nel suo paese brianzolo: Briosco.
Simone Falchi era un ragazzo di 16 anni, capelli biondo cenere,
sguardo sicuro e stringhe perennemente slacciate.
Aspettava l'auto seduto su un muretto poco distante da casa sua
osservando i campi brinati.
Chissà se sarebbe nevicato? Lo sperava ogni anno.
Il brontolio di un motore sovrastò il glaciale silenzio della
mattinata. Una Opel Corsa un po' datata girò l'angolo ed inchiodò
ai suoi piedi, non senza lamentarsi sui freni.
Si spalancò la portiera posteriore e scese barcollando una
ragazza della sua età dai grandi occhi verdi ed i capelli corvini.
Gli puntò un dito contro:- Tu... Tu non hai idea di cosa voglia dire
passare un viaggio in auto con Pippo alla guida!
Iniziarono la giornata vagando per il paese, respirando la fredda
aria del mese.
A Simone venne un'idea:- Ragazzi, qui non c'è tutto il traffico che
avete giù a Milano...
- Eh già, mi piacerebbe molto avere una villetta qui.- sospirò
Laura e Pippo annuì poco convinto.
Simone continuò:- Abbiamo pure qui un posto abbastanza
suggestivo, le Torri. Vi va di visitarle?
- Sì! Vero Pippo?
il ragazzone alzò le spalle in segno di approvazione.
Dopo una ripida discesa per una stradina sterrata arrivarono ad
una stanga d'acciaio. Pippo alzò un sopracciglio:- Non si può
passare da qui, vero?
- Touché- ribatté Simone, e saltò la stanga. Laura gli fu subito
dietro, e Pippo in coda.
Circondato da betulle e faggi, si ergeva un edificio cilindrico
mezzo diroccato, coperto di graffiti in stile "Paola ti Amo" o altre
più oscure a cui i più illustri grammatici brioschesi stanno ancora
cercando di dare un senso, come "We ke bll il smok".
Simone spiegò:- Questa è la prima delle torri, avevano una
funzione di produzione di energia nel 1800, ma non ho mai capito
bene come funzionavano. Un modo di scoprirlo c'è.
Pippo si avvicinò alla porta, fissando un cartello appeso su di
essa "pericolante, tenersi a distanza, keep out!" nel caso uno
straniero si imbattesse in quel posto dimenticato da Dio.
- Ragazzi, qui è chiuso, torniamo a casa di Simo e facciamoci
una partita a Risiko o...
- Tranquillo, ho io il pass-pour-tut, o come si dice.
Simone estrasse un ferretto e si mise ad armeggiare con la porta.
Uno scattò metallico segnò il suo successo e l'esultanza di Laura.
L'interno polveroso era coperto di viti e di qualche striscione
colorato. Di fronte all'espressione interrogativa degli amici,
Simone spiegò che la prima torre veniva aperta in occasione
della festa del paese fino a due anni prima, quando era stata
definitivamente chiusa, o almeno fino a quel momento.
- Strano- commentò Laura - L'hai aperta con troppa facilità: dopo
due anni di ruggine ed intemperie la porta avrebbe dovuto
quantomeno essere bloccata.
Simone alzò le spalle ed invitò gli amici a salire le scale di legno
che portavano al piano superiore.
Una stanza fiocamente illuminata quasi vuota ad eccezione di un
telo sporco disteso al pavimento di legno. Dal momento che la
sua curiosità era sconfinata, Laura si accinse ad alzare il
cellophane.
Prima che potesse vedere sotto, udì uno scricchiolio al piano
inferiore; la porta sbatté.
- Ohé! Se ghè un quei ghi d'eugn, cá la disá sùbit!
Simone imprecò tra se: era il vecchio proprietario del terreno, che
a quell'ora tornava sempre a casa dal mercato. Doveva pensare
a qualcosa, ed alla svelta. Laura e Pippo erano spaventatissimi.
Con il signor Sergio - il proprietario del terreno- non era in ottimi
rapporti: già una volta aveva dovuto filarsela dal suo fucile da
caccia, dato che il vecchio, non poco orbo, lo aveva scambiato
per un cervo nel bosco.
Un momento... Sergio era orbo... Il soffitto abbastanza basso...
Gli venne un idea assurda e la sussurrò velocemente agli amici.
Sergio salì le scale brontolando.
Non vide nessuno ma si avvicinò al telo. Lo alzò e sgranò gli
occhi.
- Santa polenta! Come ci sono finiti qui?
Il signor Sergio corse fuori urlando come un forsennato.
Simone e gli altri si calarono dalle travi del soffitto.
-Però... Ci è andata bene... Non ci ha neppure notati.- sospirò
Simone
-Ma che diavolo c’è sotto quel telo?- domandò Laura.
Si avvicinarono al telo e lo alzarono.
-Quelli sono...
- Documenti.- sbuffò deluso Simone, che con la sua fervida
immaginazione si aspettava un tesoro o un forziere o un
cadavere o un misterioso oggetto o una navicella o qualsiasi altra
cosa.
- Cosa ci ha trovato di tanto particolare quel vecchio?
Laura prese un foglio.
-“Diario di Francesco Redaelli, anno 1943”
- Emozionante... Svegliatemi a guerra finita. Sarà la solita
menata aiuto-sonoebreo-mideportano. Come se fossero
veramente successe quelle cose. Tutte balle.
- Ma cosa stai dicendo, Simone?! È tutto vero!
- Sarà. Ma chi se ne frega. Siamo nel 2014!
- Non ti riconosco più... “A chi leggerà questo diario, dopo le
fiamme della guerra, se mai ci sarà un domani.”
- Wow, ci ha fatto pure una dedica.
- Simo, smettila.- intervenne Pippo.
- E va bene, vai pure avanti, Laura.
-“Oggi il Kapo ha dimenticato una penna ed un giornale. Ho
scoperto di essere ancora in grado di scrivere. Allora forse sono
un uomo, e non una bestia. Sono la stessa persona che per
scherzo o per esaltazione ha strappato i manifesti del partito
fascista. Non sono un comunista, non uno degli odiati ebrei, non
un usuraio. Ho solo strappato dei manifesti, ed ora sono qui. A
Mauthausen. “
-Toh, è italiano.
Laura gli lanciò un occhiataccia e fece per proseguire, ma
Simone la fermò:- Sono contento che vi interessi, ma ora
dovremmo uscire di qui, prima che Sergio rientri.
Anche Pippo annuì. Laura prese un fascicolo di pagine unite in
modo improponibile e seguì i due amici fuori dalla torre.
- C’è un posto tranquillo a Briosco dove leggere?- domandò.
- Sarebbe difficile non trovarlo un posto tranquillo... In primavera
l’ideale è un salice piangente vicino a casa mia, ma se oggi
vogliamo stare al caldo proporrei la biblioteca.
- E biblioteca sia!
Il locale era situato alla base di un condominio, abbastanza
imboscato per essere un edificio pubblico. La biblioteca era
spesso umida per la vicinanza con il fiume Lambro, ma la
disposizione dei vari scaffali la rendeva accogliente e calda.
Simone salutò Giuseppe, il bibliotecario, un uomo di mezza età
dai capelli bianchissimi e privo di occhiali. Simone non riusciva
mai a concepirlo come bibliotecario proprio per questo dettaglio:
secondo lui, la patente di topo di biblioteca la si poteva ottenere
solo a scapito di qualche diottria.
Giuseppe rispose al saluto e indicò loro una saletta dove
avrebbero potuto stare in tranquillità. Solo dopo realizzò che era
la prima volta che Simone era entrato in biblioteca “per studiare”
e non per un libro assegnato dalla scuola.
Non che non fosse un bravo lettore: prendeva sempre in prestito
un libro per puro dovere scolastico e lo restituiva dopo un paio di
giorni, sorpreso ed entusiasta dei contenuti.
Solo una volta aveva riconsegnato un libro in ritardo ed affranto:
“Se questo è un uomo” di Primo Levi.
- “Ieri io e Carlo abbiamo provato a fuggire. Si era creata
l’occasione durante il trasporto di alcune ferraglie, dei pezzi per
la fabbrica alla quale noi italiani siamo stati assegnati. Per
volontà di Dio non eravamo sorvegliati a causa di un equivoco
tra i vari Kapos. Io e Carlo siamo usciti dal sentiero, e correvamo,
correvamo verso i boschi, lontano, lontano dall’inferno. Siamo
giunti presso una casa, ma avevamo paura ad entrare.
Ma la fame e il freddo erano ben maggiori della paura, così
abbiamo sfidato la sorte; se avessimo proseguito oltre saremmo
morti. Così abbiamo gridato: öffnen! Schade!”
- Che vorrebbe dire?
- Siamo in una biblioteca, basterà controllare su un vocabolario.suggerì Pippo. Lo trovò nella sezione apposita e
lesse:- öffnen=aprite, Schade=pietà.
Laura continuò:-“Ci ha aperto la porta un bambino -Dio lo
benedica- che ha chiamato sua madre. Per volontà del cielo non
siamo stati scacciati, anzi, siamo stati accolti e rifocillati. Non
dimenticherò mai l’espressione misericordiosa della donna.
Prima di andarcene il bambino ci ha regalato due cappelli, per
nascondere la Straße.”
-“Strada”- tradusse Pippo, poi si grattò la testa. – Come può un
cappello nascondere una strada? Cosa centra?
Laura alzò le spalle e fece per continuare a leggere, ma in quel
momento la porta della biblioteca sbatté ed entrò un trafelato
signor Sergio.
-Giuseppe! Non hai idea di cos’ho trovato giù alla torre! Ul liber
del Francesco! Quel che l’è sparì l’àn pasà! Mi lo lasà là.
- Ma non è possibile! E chi è che ci va alla torre?
- Mi al so no. Sun nà in comùn per dighel al sindic, ma quel là al
ga cret no...
- In effetti mi sembra strano, non è che hai preso un Bianchino al
bar?
- Ma ta par?
- Andiamo a dare un’occhiata, vah. Simone! Mi guardi tu la
biblioteca mentre sono via?
- Tanto, per quelli che entrano...- urlò di rimando Simone Falchi
dalla saletta.
Pippo domandò:- Ma non avremmo fatto meglio a dire che
abbiamo noi il diario?
- Nah, lascia che Giuseppe faccia quattro passi ogni tanto.
Finiamo di leggere questa schifezza così Laura è contenta e
torniamo a casa. Poi gli lasciamo il fascicolo sul banco.
Laura gli fece una linguaccia, domandandosi come mai Simone
ce la avesse tanto con quel diario.
Come se gli avesse letto la mente, lui disse:- Io non credo in
queste storie, i miei nonni, che hanno vissuto in quel periodo,
dicono che sono tutte cavolate inventate perché Mussolini ha
perso. Se avesse vinto lui probabilmente si direbbero le stesse
cose degli Inglesi o dei Francesi. È tutta una strategia politica.
Bisogna fare i complimenti alla loro fantasia, quello sì.
Figuriamoci se l’uomo può arrivare a crudeltà simili.
Laura e Pippo si scambiarono un’occhiata perplessa, ma
nessuno dei due disse niente.
Lei riprese a leggere:- “Con i cappelli indosso ci siamo diretti
verso sud, nella speranza di passare il confine con l’Austria per
poi tornare finalmente in Italia. Né io né Carlo potevamo
aspettarci una colonna nazista sulla strada che stavamo
percorrendo. Carlo ora zoppicava. Un ufficiale saltò giù
dall’autocarro, ci fermò e ci domandò dove eravamo diretti. Noi
eravamo paralizzati per la paura. Ripeté la domanda e si
avvicinò, con la Luger P08 in mano. Strappò il cappello a Carlo
e vide la Straße, la striscia rasata tra i capelli, il nostro marchio.”
- Ecco cos’era!
- Shhh!
- “ Io, che ero ancora relativamente in buona forma, venni
sbattuto sul convoglio, assieme ad altri deportati. Le porte si
chiusero. Uno sparo. Un urlo. Carlo, ho pregato e pregherò
sempre per la tua anima.”
-L'era chì, senza dübi...- disse uno sconsolato signor Sergio. Era
sicuro, non aveva alzato il gomito. Dal canto suo, Giuseppe
sperava di ritrovare quel diario. Nel testamento di Francesco
Redaelli il diario era espressamente destinato alla biblioteca, ma
il giorno stesso in cui era stato consegnato da un avvocato
indifferente al contenuto, era stato rubato mentre lui non c’era.
Non era neppure riuscito a darci un’occhiata.
Giuseppe non era abile come Poirot, il suo detective preferito,
ma qualcosa nel pavimento polveroso attirò la sua attenzione:
vicino ad alcune delle impronte impresse nella polvere c’era
come una strisciolina... Stringhe slacciate? Giuseppe sorrise:
Poirot poteva essere fiero di lui.
-“Tornato al campo, alla vita grigia. Rumori senza luce, futuro
senza speranza. Se mai uscirò vivo da qui conserverò questo
giornale, su cui ora lo spazio è quasi finito, e lo trascriverò. Avrei
voluto aggiungere come sono stato deportato, come l’addetto
alla deportazione Gianluca Falchi mi abbia catturato e giudicato
colpevole come disertore. Come...”
Simone sbiancò. Gianluca Falchi era suo nonno. Sapeva che
aveva aderito al fascismo, non che fosse incaricato di deportare
i brioschesi antifascisti.
Laura e Pippo si accorsero del suo improvviso cambio di umore
e non ci misero molto a combinare i cognomi. Lei gli posò una
mano sulla spalla, ma la sua espressione gli appariva nebulosa.
- Mi-mi aveva sempre detto che non c’era mai stata alcuna
deportazione... Ed era lui ad occuparsene. Io-io...
- Non potevi saperlo, Simo.
Gli occhi in lacrime, un muro di convinzioni crollato mostrando la
cruda realtà dietro di esso. Francesco Redaelli e suo nonno. Non
poteva essere vero. No. Doveva essersi inventato tutto. Gianluca
Falchi era la persona più affabile che avesse mai conosciuto.
Non poteva far deportare persone a sangue freddo. Si rifiutava
di concepirlo. Sarebbe andato dal nonno. Gli avrebbe chiesto la
verità.
Si alzò di scatto e strappò il diario dalle mani di Laura, ma in quel
momento entrò Giuseppe seguito dal signor Sergio.
-Simone, mascalzone, so che hai trovato qualcosa nella torre!esclamò trionfante.
Venne investito da un ragazzo in corsa a cui non importava più
nient’altro che la verità. Laura aiutò il bibliotecario ad alzarsi,
mentre Pippo tentava di capire qualcosa delle imprecazioni
dialettali di Sergio.
La ragazza spiegò in breve il contenuto del diario e concluse che
Simone lo avrebbe restituito non appena si fosse chiarito con il
nonno, o almeno così sperava.
Gianluca Falchi era seduto in poltrona, il bastone appoggiato al
bracciolo, stava leggendo un romanzo che gli aveva consigliato
il nipote, “Harry Potter”, ma non era troppo sicuro del significato
del libro: maghi con problemi economici? Ma perché?
Il videocitofono della sua villetta suonò, rivelando una faccia
conosciutissima. Sorridendo, pigiò l’interruttore, aprendo al suo
caro Simone.
Entrò in casa un ragazzo visibilmente alterato, al che Gianluca
sollevò un candido sopracciglio:- Che cos’è quella faccia scura,
ragazzo? Problemi d’amore o congestione?
Simone sbatté il diario di Francesco Redaelli sopra Harry
Potter:- Non è vero. Dimmi che non è vero.
Il nonno non aprì neanche il diario e la sua espressione si incupì.
-Simone... Quello che hai trovato è il mio più grande risentimento,
la mia colpa più grave...
- Allora è vero!
- Sì. Questa è la verità. Da giovane ho aderito al fascismo con
convinzione e sono stato incaricato di segnalare tutti i nemici del
regime. Non sapevo dove portassero i camion su cui li caricavo.
A guerra persa tutti i principali fascisti vennero processati, in molti
fuggirono dall’Italia ed altri, come me, nascosero il proprio
passato.
Un giorno venne a trovarmi Francesco e mi raccontò la sua
storia a Mauthausen. Io non ci credetti. Non volevo crederci, e lo
scacciai in malo modo. Solo dopo vennero pubblicate le
fotografie scattate dagli Americani, e allora dovetti ricredermi.
- Allora perché non hai mai detto nulla a papà o a me?
- Perché non volevo che voi mi vedeste come un mostro. Era già
un fardello troppo grande senza che i vostri occhi mi accusassero
ad ogni sguardo. Quando ho saputo del testamento di Francesco
ho rubato il diario e l’ho nascosto nel cuore di Briosco,
abbastanza vicino perché non me ne dimenticassi, abbastanza
lontano perché non mi perseguitasse. Ma oramai tutto è vano.
L’unica cosa che mi rimane da fare per onorare Francesco è
lasciare che quel diario torni in biblioteca. Riportalo a Giuseppe,
permetti alla gente di sapere, accetterò il loro giudizio.
- Nonno. Dimmi solo una cosa. Se potessi tornare indietro...
- Non si può riscrivere ciò che è stato fatto. Sappi che, se si
potesse, sicuramente non farei le stesse scelte. Ma so che
questo non può bastare per farmi perdonare da te. Sono stato
sempre troppo egoista.
- Ti sbagli. Io ti perdono. Sei sempre stato il miglior nonno che
avessi potuto sperare di avere.
Asciugò una lacrima dalla guancia rugosa di Gianluca Falchi.
- Tuttavia- proseguì – Sono i morti che non possono più
perdonarti.
Simone rientrò in biblioteca con il diario in mano. Laura e Pippo
lo stavano aspettando.
- Allora?- chiese l’amico.
- Allora è tutto vero e mio nonno è stato codardo a tempo debito.
Adesso però, è inutile rimuginare sul passato. Ciò che è stato è
stato e il nonno ora è una persona fantastica. Il diario gli ha già
dato molto su cui riflettere.
Si avvicinò un Giuseppe abbastanza contrariato e gli chiese che
cosa gli fosse passato per la testa.
-Leggi questo diario e capirai.
Il bibliotecario annuì, poco convinto, ma dopo aver sfogliato un
paio di pagine notò il nome “Gianluca Falchi”.
Tutto gli fu chiaro, anche fin troppo chiaro. Vide i ragazzi che lo
fissavano immobili, in attesa di una qualche reazione.
Giuseppe sospirò e appoggiò il diario sulla scrivania. Guardò
l’orologio e poi Simone, Laura e Pippo. Poi affermò in tono
burbero:- Beh? Cosa ci fate ancora qui? Non volevate mica
passare una giornata a divertirvi? Se vi diletta potreste aiutarmi
a sistemare qualche scartoffia ma...
-No, no! Leviamo subito le tende, magari un’altra volta!- esclamò
Simone.
I tre ragazzi uscirono dalla biblioteca, consapevoli di aver vissuto
un’esperienza dal passato che mai avrebbero dimenticato, né nel
presente né nel futuro.
Cominciò a nevicare.