L` affresco da salvare di Palazzo Orineti

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L` affresco da salvare di Palazzo Orineti
L’ affresco da salvare di Palazzo Orineti
Ad Aversa, in via Drengot, si erge maestoso, nonostante l’abbandono in cui versa già
dal 2007, il trecentesco palazzo dei duchi Orineti, già dimora dell’omonima famiglia
fino alla metà dell’Ottocento, quando, con l’estinzione del nobile casato, cambiò
proprietà passando alla famiglia De Martino che, nel 1929, grazie alla munificenza di
Carmela ed Emilio De Martino, lo donò al Pontificio Istituto delle Missioni Estere.
Acquisito successivamente, nel 1985, dopo un breve periodo di abbandono,
dall’amministrazione comunale di Aversa per essere riadattato a sede dell’istituto
alberghiero prima e del liceo artistico poi, prima ancora di essere di nuovo
abbandonato e diventare occasionale meta di ricovero per immigrati e senzatetto, il
palazzo, che nel 1707 aveva ospitato, tra gli altri, la regina di Polonia Maria Casimira
de la Grange d’Arqueter, conserva in uno dei suoi ambienti, forse l’originario salone
delle feste, un prezioso affresco di scuola napoletana della seconda metà del
Settecento. L’affresco, che si sviluppa sulla volta a botte ribassata del salone,
rappresenta scene tratte dall’Eneide di Virgilio e non già dall’Iliade, come aveva
ipotizzato, fin dal 1954, monsignor Roberto Vitale, in una delle sue tante
pubblicazioni di storia aversana.
L’Eneide, come si ricorderà è un poema epico della cultura latina scritto tra il 31 a.C.
e il 19 a.C., che narra la leggendaria storia di Enea, eroe troiano, figlio di Anchise,
fuggito dopo la caduta della città di Troia, che viaggiò per il Mediterraneo fino ad
approdare nel Lazio, diventando il progenitore del popolo romano.
L’autore dell’affresco aversano, che va identificato con uno dei pittori di corte attivi
nel cantiere della reggia di Caserta - come attesta la straordinaria somiglianza di
alcune figure con i dipinti casertani realizzati dai vari Girolamo Starace Franchis,
Mariano Rossi e Fedele Fischetti - riproduce, infatti, ai quattro lati dell’affresco
centrale con la rappresentazione del Concilio degli dei presieduto da Giove,
altrettanti episodi del poema virgiliano e lo fa con tale adesione al testo da dare
l’impressione di esserne quasi un illustratore piuttosto che un interprete. Anche se, è
ipotizzabile, che attraverso la rappresentazione delle storie di Enea, gli Orineti
intendessero dare forma metaforicamente alle loro aspirazioni di potenti piuttosto che
alle gesta del mitico eroe greco. Gli Orineti, detti pure i de Aurineto, erano, infatti,
una potente famiglia originaria probabilmente della Normandia, il cui capostipite,
Odone, era venuto al seguito di re Carlo I d’Angiò, guadagnandosi, per i suoi servigi,
nel 1286, la carica di comandante dei porti di Puglia. Uno dei rami della famiglia si
era insediato ad Aversa dove fu aggregato al Seggio di San Luigi. Possedevano, con
il titolo di conti di Santangelo e marchesi di Chiuppeti, i feudi di Paneta, Pantanello
(presso Vairano Patenora), Pantano (Villa Literno), Piumarola (ora frazione di Villa
S. Lucia, nel Frusinate) e Zaccaria (ora frazione di Giugliano).
Nell’affresco centrale tratto dal capitolo X, è rappresentato il momento in cui Giove,
chiamato a comporre la controversia fra Venere e Giunone circa il destino dei troiani
esiliati, aprendo il concilio, dopo aver deplorato chi contrastava il volere del Fato
parteggiando per questo o quel contendente, proibisce agli dei di intervenire nella
guerra tra latini e troiani e suggella il comando con un solenne giuramento.
Gli altri quattro episodi riprodotti raffigurano, invece, La fucina di Vulcano con i
Ciclopi che preparano le armi per Enea, Venere che gli consegna le armi, Enea
ferito mentre si sottopone all’intervento del medico Iapige e, infine, Enea che uccide
Turno. Altre gesta belliche dell’eroe sono rappresentate, in monocromo, entro una
ricchissima cornice pittorica animata da procaci figure femminili, festoni, ornamenti
e particolari architettonici, nella fascia sottostante all’affresco.
Franco Pezzella