terzo piano triennale delle ricerche 2005-2007

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terzo piano triennale delle ricerche 2005-2007
TERZO PIANO TRIENNALE DELLE RICERCHE
2005-2007
Università degli Studi
di Camerino
Università degli Studi
di Bari
Università degli Studi
di Ancona
Università degli Studi
di Bologna
Università degli Studi
di Lecce
Università dell’Insubria
Università degli Studi
di Firenze
Università degli Studi
di Catania
Università degli Studi
di Napoli “Federico II”
Università degli Studi
di Roma “La Sapienza”
Università degli Studi
di Palermo
Università degli Studi
di Padova
Università degli Studi
di Messina
Università degli Studi
del Piemonte Orientale
Università degli Studi
di Pavia
Università degli Studi
di Ferrara
Università degli Studi
di Roma Tor Vergata
Università degli Studi
di Parma
Università degli Studi
di Torino
Università degli Studi
di Siena
Università degli Studi
di Trieste
2
Questo Piano Triennale delle Ricerche 2005/2007 è stato redatto da una Commissione nominata
dal Consiglio Direttivo del C.I.R.C.M.S.B. in data 07/11/2003, composta dai proff.: Silvio Aime,
Enzo Alessio, Enrico Bucci, Luigi Casella, Massimiliano Coletta, Claudio Ercolani, Luigi
Fabbrizzi, Andrea Marchi, Ulderico Mazzi, Giovanni Natile, CarloPedone, Enrico Rizzarelli,
Norberto Roveri ed Ennio Zangrando, ed approvato dal Consiglio Scientifico e dal Consiglio
Direttivo nelle sedute del 29 Ottobre 2004.
In esso sono contenute le linee programmatiche attraverso le quali il Consorzio intende
perseguire il raggiungimento delle proprie finalità istituzionali tenendo presenti sia le linee guida
dettate dal Piano Nazionale delle Ricerche del M.I.U.R. sia gli obiettivi programmatici del
P.O.N. 2001-2006.
3
4
Scheda Informativa Riassuntiva
Il Consorzio Interuniversitario di Ricerca in Chimica dei Metalli nei Sistemi Biologici
(C.I.R.C.M.S.B.):
- ha sede legale in Bari - Piazza Umberto I, 1;
- ha Direzione e sede amministrativa in Bari - Via Celso Ulpiani 27;
- è posto sotto la vigilanza del M.I.U.R. ed è soggetto al regime di Tesoreria Unica con conto Enti
N° 151302 presso la Banca d'Italia - Sezione di Bari.
Organi Statutari del Consorzio sono:
Il Direttore, rappresentante legale.
La Giunta Amministrativa.
Il Consiglio Direttivo, presieduto dal Direttore del Consorzio, e composto da un rappresentante
nominato da ciascuna delle Università consorziate.
- Il Consiglio Scientifico, presieduto dal Direttore del Consorzio, e composto dai Direttori delle
Unità Locali del Consorzio e da due rappresentanti del Personale.
- Il Collegio dei Sindaci, composto da tre membri effettivi ed uno supplente, nominati tra
funzionari delle Università afferenti.
Tutti gli organi statutari sono in carica fino al 23 febbraio 2007.
-
Direttore responsabile é il Prof. Giovanni Natile (Università di Bari) coadiuvato da una
Giunta Amministrativa costituita dai Proff. Silvio Aime (Università di Torino) con funzioni di
Vice-Direttore, Massimiliano Coletta (Università di Roma Tor Vergata), Ettore Benedetti
(Università di Napoli "Federico II"), Piero Zanello (Università di Siena), Ennio Zangrando
(Università di Trieste).
Il C.I.R.C.M.S.B. è stato costituito in Roma in data 19/11/1992 (Rep. n. 2943) a rogito
notaio Maria Claudia ANDRINI e si rinnova tacitamente di quinquennio in quinquennio.
Ha ottenuto il riconoscimento di personalità giuridica con Decreto M.U.R.S.T. del 3 gennaio
1995 vistato dalla Ragioneria Centrale l'l1.02.95 al n° 337 e pubblicato sulla G.U. del 29.03.95.
Ha sede legale presso l'Università degli Studi di Bari - Piazza Umberto I, 1 - 70125 BARI e
dispone di locali messi a disposizione dall'Università di Bari per l'attività del Consorzio presso
Villa "La Rocca", via Celso Ulpiani 27, BARI - Patrimonio della stessa Università - destinata a
sede di Direzione del Consorzio.
E' iscritto al N° 711 del Registro Persone Giuridiche presso il Tribunale di Bari.
E' iscritto al N° 29713 del Registro Società ed al N' 314319 C.C.I.A.A. di Bari.
E’ iscritto all’Anagrafe Nazionale delle Ricerche con codice 51978 MHN
Afferiscono al CIRCMSB ventuno Università di seguito elencate:
Ancona
Bari
Bologna
Camerino
Ferrara
Firenze
Insubria
Lecce
Napoli "Federico II" Padova
Palermo
Parma
Piemonte Orientale Roma "La Sapienza" Roma "TorVergata"
Siena
Trieste
Catania
Messina
Pavia
Torino
Oltre alle Università sopra menzionate altre sedi Universitarie stanno completando la procedura di
adesione, in particolare: Basilicata, Cagliari, Calabria, Milano, Modena, Sassari.
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Laboratori costituiti:
ƒ
Bari - Laboratorio specializzato in Farmacologia preclinica su cellule;
ƒ
Napoli (accordo scientifico di collaborazione non oneroso tra l'Area di Ricerca C.N.R. di
Napoli ed il C.I.R.C.M.S.B.) - Centro di Biocristallografia (allocazione di un Diffrattometro
a raggi-X con generatore ad anodo rotante e area-detector);
ƒ
Torino - Laboratorio di Spettroscopia particolarmente dedicato allo studio e sviluppo di
agenti di contrasto per NMR-Imaging;
ƒ
Trieste - Laboratorio specializzato per la cristallizzazione di Biopolimeri: Proteine e Acidi
Nucleici.
Sezioni disciplinari:
C03 - Chimica Generale ed Inorganica
C05 - Chimica Organica
C02 - Chimica Fisica
C06 - Chimica
E05 - Biochimica
E07 - Farmacologia
Quota costitutiva: Euro 5.164,57 (cinquemilacentosessantaquattro/57) per ognuna delle Università
Consorziate
Ouota annuale: una-tantum. Dalla data di costituzione (19.11.1992) nessuna quota annuale è stata
richiesta alle Università consorziate
Collegio dei Sindaci: Dott. Emilio MICCOLIS (Univ. Bari) - Presidente, Rag. Alessandro DE
FILIPPO (Univ. Torino) - Segretario, Dott. Stefano MANCINI (Univ. Bari) Componente, Sig.
Giosafatte DE PALO (Univ. Bari) - Sindaco Supplente.
Personale Dipendente: 3 unità (2 Tecnici V qual. - 1 Amministrativo VI qual.) assunti con C.C.N.L.
Enti di Ricerca.
Personale associato: N° 293 Unità tra cui: 4 Professori Straordinari, 66 Professori Ordinari, 73
Professori Associati, 74 Ricercatori (elenco nominativo in Appendice a pag. 133)
Personale Università di Bari comandato: Sig. Racaniello Francesco (Segretario Amministrativo del
Consorzio), Ordin. Rett.le del 23.2.93, che svolge anche le funzioni proprie della qualifica di
appartenenza presso il Dip.to Farmaco-Chimico dell'Università di Bari.
Programmi di Ricerca finanziati nell'ultimo esercizio finanziario (2003): N° 24 Borse di Studio
annuali per laureati e 8 contratti di prestazione coordinata e continuativa.
Fondo Consortile: Euro 108.456,14
Conto Patrimoniale al 31.12.2003: Euro 670.669,00
Direttore e Rappresentante Legale è il prof. Giovanni NATILE
coadiuvato dalla Giunta Amministrativa di cui fanno parte i proff.:
Silvio AIME
Ettore BENEDETTI
Massimiliano COLETTA
Piero ZANELLO
Ennio ZANGRANDO
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Compongono il Collegio Sindacale:
Dott. Emilio MICCOLIS (Presidente)
Dott. Stefano MANCINI
Rag. Alessandro DE FILIPPO
Rag. Giosafatte DE PALO (Supplente)
Compongono il Consiglio Direttivo i seguenti rappresentanti delle Università Consorziate:
Prof. Giorgio TOSI (Univ. ANCONA)
Prof. Giovanni NATILE (Univ. BARI)
Prof. Norberto ROVERI (Univ. BOLOGNA)
Prof. Alfredo BURINI (Univ. CAMERINO)
Prof. Giuseppe CONDORELLI (Univ. CATANIA)
Prof. Andrea MARCHI (Univ. FERRARA)
Prof. Luigi MESSORI (Univ. FIRENZE)
Prof. Giovanni PALMISANO (Univ. INSUBRIA)
Prof. Francesco Paolo FANIZZI (Univ. LECCE)
Prof. Luigi MONSU’ SCOLARO (Univ. MESSINA)
Prof. Ettore BENEDETTI (Univ. NAPOLI "Federico II")
Prof. Bruno LONGATO (Univ. PADOVA)
Prof. Lorenzo PELLERITO (Univ. PALERMO)
Prof. Maurizio LANFRANCHI (Univ. PARMA)
Prof. Luigi CASELLA (Univ. PAVIA)
Prof. Domenico OSELLA (Univ. PIEMONTE Orientale)
Prof. Claudio ERCOLANI (Univ. ROMA "La Sapienza")
Prof. Massimiliano COLETTA (Univ. ROMA "Tor Vergata")
Prof. Piero ZANELLO (Univ. SIENA)
Prof. Silvio AIME (Univ. TORINO)
Prof. Ennio ZANGRANDO (Univ. TRIESTE)
Compongono il Consiglio Scientifico i seguenti Direttori di Unità di Ricerca:
Prof.
Giorgio TOSI (Univ. ANCONA)
Prof.
Giovanni NATILE (Univ. BARI)
Prof.
Norberto ROVERI (Univ. BOLOGNA)
Prof.
Alfredo BURINI (Univ. CAMERINO)
Prof.
Enrico RIZZARELLI (Univ. CATANIA)
Prof.ssa Paola BERGAMINI (Univ. FERRARA)
Prof.
Luigi MESSORI (Univ. FIRENZE)
Prof.
Francesco Paolo FANIZZI (Univ. LECCE)
Prof.
Carlo PEDONE (Univ. NAPOLI "Federico II")
Prof.
Ulderico MAZZI (Univ. PADOVA)
Prof.
Lorenzo PELLERITO (Univ. PALERMO)
Prof.ssa Marisa FERRARI BELICCHI (Univ. PARMA)
Prof.
Luigi CASELLA (Univ. PAVIA)
Prof.
Domenico OSELLA (Univ. PIEMONTE Orientale)
Dott.ssa Elena BORGHI (Univ. ROMA "La Sapienza")
Prof.
Massimiliano COLETTA (Univ. ROMA "Tor Vergata")
Prof.
Piero ZANELLO (Univ. SIENA)
Prof.
Silvio AIME (Univ. TORINO)
Prof.
Ennio ZANGRANDO (Univ. TRIESTE)
Dott.
Francesco CANNITO (Rappresentante del personale)
Dott.
Giuseppe TERRENO (Rappresentante del personale)
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Presentazione del C.I.R.C.M.S.B.
Il Consorzio é nato con lo scopo di fornire supporti organizzativi, tecnici e finanziari e di
promuovere la partecipazione delle Università consorziate alle attività scientifiche nazionali ed
internazionali nel campo della Chimica dei Metalli, dei loro Complessi e delle loro interazioni con i
Sistemi Biologici.
Il Consorzio é organizzato in Unità di Ricerca Locali con sedi nelle università consorziate. I
Direttori delle Unità Locali, eletti dai membri delle Unità stesse, costituiscono il Consiglio
Scientifico che è presieduto dal Direttore del Consorzio. Il Direttore del Consorzio é coadiuvato da
una Giunta Amministrativa costituita da cinque membri e da un Consiglio Direttivo composto da un
rappresentante nominato da ciascuna delle Università consorziate. Un ulteriore Organo Statutario
del Consorzio é il Collegio dei Sindaci.
Il personale aderente al Consorzio é riportato in Tab. I.
Le Università mettono a disposizione delle ricerche coordinate gli spazi e le attrezzature
disponibili e contribuiscono alle attività del Consorzio tramite la collaborazione del personale
aderente. Inoltre la partecipazione al Consorzio comporta il versamento di una quota associativa di
Euro 5.164,57 per il Fondo Consortile. Il Consorzio, da parte sua, contribuisce con fondi messi a
disposizione dal M.I.U.R., dai contratti di ricerca con Enti pubblici e privati, dall'Unione Europea.
Tabella I. Personale scientifico e tecnico-amministrativo aderente al C.I.R.C.M.S.B.(*)
Ricercatori senior (PO e PA)
n°
Ricercatori (RU)
“
Dottorandi e Borsisti
“
Tecnici ed Amministrativi
“
Personale proprio
“
TOTALE
“
(*)L'elenco dettagliato è riportato in Appendice a pag. 133
112
58
60
26
3
259
Tabella II. Risorse finanziarie dirette alle ricerche CIRCMSB (in percentuale)
I dati percentuali riportati nella tabella e relativi agli ultimi 5 anni dimostrano che il rapporto tra i
due valori tende sempre più al raggiungimento di un equilibrio paritario tra Finanziamento ordinario
Pubblico e Finanziamento Privato.
ANNO
Finanziamento ord. pubblico:
Finanziamento Privato:
1999
2000
2001
2002
2003
64 %
36 %
65 %
35 %
42 %
58 %
52 %
48 %
50 %
50 %
Nei dati relativi al 2003 non vengono riportate le somme (97.810,00 Euro), erogate dal M.I.U.R. a
titolo di anticipazione, finalizzate al finanziamento del progetto strategico F.I.R.B. “Elucidazione
strutturale di bersagli proteici critici per malattie e studio delle basi molecolari della specificità dei
candidati farmaci” alla cui realizzazione questo Consorzio partecipa insieme ad altri Enti Pubblici e
Privati.
La partecipazione del Consorzio a questo progetto strategico F.I.R.B. (approvato con Decreto
Ministeriale n° 1246 del 5 settembre relativo alla Post-Genomica obiettivo 3 “Prevenzione e cura
delle malattie comuni e rare: farmaci innovativi, vaccini e terapia genica”) è inerente ai “principali
interventi per l’utilizzo dei fondi di ricerca” previsti dalla Tabella 4 (Asse 2) delle “Linee Guida per
la politica scientifica e tecnologica del governo” varate il 19 aprile 2002.
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Consuntivo del Piano Triennale delle Ricerche 2001-2003
Tutta l’attività svolta dal C.I.R.C.M.S.B. è in linea con i tre obiettivi proposti dal Consiglio
Europeo riunitosi a Lisbona (COM 2002/14), in particolare è volta ad ”intensificare gli sforzi e gli
investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica, nell’innovazione e nella formazione”.
Gli obiettivi programmatici che il Consorzio si è dato col piano triennale si sono rivelati
precorritori degli obiettivi ministeriali. Il documento attuativo (prot. 1643) del D.M. 3 settembre
2003 con il quale sono stati definiti gli obiettivi di programmazione del sistema universitario per il
triennio 2004-2006, al punto I (attività di orientamento e tutorato) - obiettivo b) pone le “iniziative
per il sostegno ai laureati, per l’inserimento nel mercato del lavoro e delle professioni” con
“sviluppo di competenze trasversali ... che può essere realizzato da studenti e studentesse senior
dopo una opportuna preparazione”.
Il Consorzio, per poter più efficacemente programmare le sue attività, sta potenziando le
attrezzature e convogliando i fondi per il finanziamento delle ricerche che risultano di maggiore
interesse sia per l’Industria Nazionale che per lo sviluppo della Chimica dei Metalli in relazione alle
Attività Produttive, all'Ambiente ed alla Salute.
Le ricerche del CIRCMSB si sono svolte presso le Unità di Ricerca (in numero di 19
considerato che due Università hanno aderito al Consorzio soltanto nel 2004) istituite nelle
Università consorziate.
Il Consorzio ha stipulato convenzioni e svolto ricerche commissionate o in collaborazione con
Industrie ed Enti di ricerca nazionali ed Internazionali, come riportato in Tabella III.
Tabella III
a) Unità operative
Sono state costituite 19 Unità presso le Università di: Ancona, Bari, Bologna, Camerino,
Catania, Ferrara, Firenze, Lecce, Napoli "Federico II”, Padova, Palermo, Parma, Pavia, Piemonte
Orientale, Roma "La Sapienza", Roma "Tor Vergata", Siena, Torino, Trieste.
Le Università di Messina e dell’Insubria sono di nuova afferenza portando il numero delle Unità di
ricerca universitarie a 21.
b) Collaborazioni e convenzioni nazionali ed internazionali
Contratti con Industrie: BRACCO S.p.A., ALFAREC S.p.A., SAPIO S.p.A., OPOCRIN S.p.A.,
PROTEX ITALIA S.p.A., MOLINI TANDOI PELLEGRINO S.p.A., BRUKER Italia S.r.l.,
STELAR S.r.l., L. Molteni e C. S.r.l., CMC di RAVENNA Soc. Coop. a r.l., G.A.R.W.E.R. S.r.l.
Convenzioni e collaborazioni con Enti di ricerca: Area di Ricerca di Napoli del C.N.R., Area
Scienze Park di Trieste, Parco Tecnologico di Ivrea (TO), University of Southern California,
A.R.P.A. Emilia Romagna, Di.S.Te.B.A. di Lecce, Consorzio Interuniversitario Risonanze
Magnetiche su Metalloproteine Paramagnetiche (CIRMMP)
c) Convenzioni con Istituti di istruzione secondaria: I.P.S.I.A. di Santeramo in Colle (BA)
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Il C.I.R.C.M.S.B., consolidando e pluriennalizzando la collaborazione con industrie nazionali e
multinazionali, è ormai Ente di riferimento per l’Industria Nazionale di settore per le azioni di
trasferimento dei risultati della ricerca nell’ambito applicativo ed industriale.
Nei tre anni il Consorzio ha attivato contratti di ricerca con PMI operanti nel settore chimicofarmaceutico a livello internazionale e nell' ambito delle attività di collaborazione con industrie
nazionali ed internazionali, è stato ulteriormente sviluppato il contratto poliennale di ricerca con la
Bracco S.p.A. ed accesi nuovi contratti di ricerca.
Il C.I.R.C.M.S.B. partecipa al progetto di ricerca strategico F.I.R.B. relativo alla Postgenomica, cofinanziato dal M.I.U.R., dal titolo “Elucidazione strutturale di bersagli proteici critici
per malattie e studio delle basi molecolari della specificità dei candidati farmaci” approvato con
Decreto Ministeriale n° 1246 del 5 settembre relativo alla Post-Genomica obiettivo 3 “Prevenzione
e cura delle malattie comuni e rare: farmaci innovativi, vaccini e terapia genica”.
La partecipazione del Consorzio a questo progetto strategico è inerente ai “principali interventi
per l’utilizzo dei fondi di ricerca” previsti dalla Tabella 4 (Asse 2) delle “Linee Guida per la politica
scientifica e tecnologica del governo” varate il 19 aprile 2002.
E’ in atto un contratto poliennale di ricerca consorziata con l’University of Southern California
e finanziato dal National Institutes of Health degli U.S.A..
Il Consorzio ha, inoltre, intrapreso una attività di formazione per gli studenti di Istituti di
Istruzione di 2° grado in seno a progetti finanziati dalla Comunità Europea.
Sono stati organizzati: n° 4 Workshop on Pharmaco-Bio-Metallics (Siena 23-24 novembre
2001, 29 novembre - 1 dicembre 2002; Sorrento 7-8 novembre 2003; Lecce 29-31 ottobre 2004) cui
hanno partecipato la quasi totalità dei ricercatori afferenti al Consorzio.
Il C.I.R.C.M.S.B. ha preso parte e sponsorizzato: XXI Congresso Nazionale della Società
Chimica Italiana (Torino 22-27 Giugno 2003), 3rd Chianti Electrochemistry Meeting on Metalcontaining Molecules (Siena 3-9 Luglio 2004).
Si sono puntati gli sforzi economici prevalentemente sull'attuazione dell'attività formativa e
didattica con lo sviluppo, al contempo, delle tematiche di ricerca d'interesse del C.I.R.C.M.S.B..
Sono state bandite e svolte borse di studio per laureati con un costante incremento annuale del
numero delle borse bandite. Ciò ha prodotto una professionalizzazione di giovani laureati che si è
realizzata con l'entrata di buona parte di essi nel mondo del lavoro pubblico e privato. Dalle
indagini svolte sui livelli occupazionali di coloro che hanno avuto un rapporto di lavoro con il
C.I.R.C.M.S.B. (borsisti e dipendenti) emerge che attualmente nessuno si trova nella condizione di
disoccupato. Il 75% degli occupati lavora nel settore pubblico ed il 25% nell’industria.
Dall’analisi dei dati ricevuti è emerso che il 57% sono occupati con rapporto di lavoro a tempo
indeterminato, mentre il restante 43% sta frequentando un corso di Dottorato di ricerca. Il 36%
complessivo del personale ha frequentato una Scuola di Specializzazione. Il 62,5% degli occupati
con rapporto di lavoro a tempo indeterminato è in possesso del titolo di Dottore di ricerca. Il 62,5%
degli occupati a tempo indeterminato ha trovato lavoro entro 3 mesi dalla cessazione del rapporto di
lavoro con il nostro Consorzio.
La maggior parte delle borse di studio bandite dal Consorzio è stato assegnato a donne. Con
questo il C.I.R.C.M.S.B. è stato antesignano nella realizzazione di uno degli obiettivi posti sia dal
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Programma Nazionale di Ricerca che dal Programma Operativo Nazionale: le pari opportunità e la
partecipazione delle donne nel settore della ricerca e dello sviluppo tecnologico.
Il Piano delle ricerche relativo al triennio concluso ha riguardato lo sviluppo delle seguenti
tematiche:
a)
Diagnostici innovativi in oncologia e malattie cardiovascolari;
b)
Metalloproteine come catalizzatori biologici;
e)
Biomineralizzazione e biocristallografia;
d)
Biosensori e Biostrumentazione;
e)
Nuovi farmaci inorganici in oncologia;
f)
Radiofarmaci nella diagnostica e radioterapia tumorale.
I risultati ottenuti sono stati pubblicati su riviste scientifiche internazionali.
L'elenco delle pubblicazioni è riportato in Appendice a pag. 151.
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IL PIANO 2005-2007
Obiettivi del piano in sintesi
Come testimoniato da recenti autorevoli pubblicazioni (Issue n° 9 di Chem. Rev. 1999, 99 di
"Medicinal Inorganic Chemistry " e Issue n° 11 di J. Inorg. Biochem. 2000, 82 di "Molecular
Biometallics in Japan ") e dalle numerose aggregazioni a livello europeo di laboratori chimici
operanti nel settore [azioni COST Chemistry D1 (Coordination chemistry in the context of
biological and environmental studies, 1992-1997), D8 (Chemistry of metals in medicine, 19962001), D18 (Lanthanide chemistry for diagnosis and therapy, 1999-2004), D20 (metal compounds
in the treatment of cancer and viral diseases, 2000-2005), D21 (metallo enzymes and chemical
biomimetics)] (pagina web COST Chemistry http://www.unil.ch/lcost/), il settore della
farmacologia inorganica, cioè l'uso di composti a base di metalli nella diagnostica e nel trattamento
di malattie, è in costante e rapida crescita. Composti inorganici vengono studiati e sperimentati a
vari livelli di fase, preclinica o clinica, come agenti antitumorali, antibatterici, antivirali,
antiparassitari, radiosensibilizzatori, oltre che come radiodiagnostici e radiofarmaci. A testimoniare
l'interesse nel settore, negli Stati Uniti e in Canada sono sorte recentemente industrie (Geomed,
Anormed, Kinetek Pharmaceutical) specializzate nello sviluppo di farmaci inorganici.
Il Consorzio è nato dalla volontà di un gruppo di ricercatori di coordinare la propria attività di
ricerca centrato sullo studio delle interazioni tra agenti inorganici e biomolecole e dei relativi effetti
strutturali, funzionali, farmacologici ed ambientali e di avviare le azioni di trasferimento dei risultati
della ricerca in questo settore all' ambito applicativo ed industriale allargando la collaborazione con
industrie nazionali e internazionali interessate a questo settore di ricerca.
Il coordinamento delle varie unità del Consorzio è garantito dalla adozione di Piani di ricerca
triennali.
A conclusione del piano di ricerca 2001-2003 è stato redatto un nuovo piano triennale che
abbraccerà il triennio 2005-2007 le cui linee programmatiche generali erano state individuate ed
adottate nelle riunioni del Consiglio Scientifico e del Consiglio direttivo del 24.02.2003 e
07.11.2003.
Le linee programmatiche nelle quali si articola il piano triennale 2005-2007 con l'indicazione,
per ciascuna di esse del/dei responsabili sono di seguito elencate:
- Tematica 1: “Diagnostici innovativi in oncologia e malattie cardiovascolari” coordinatori i
professori Aime e Pedone;
- Tematica 2: “Metalloproteine come catalizzatori biologici” coordinatori i professori Casella e
Coletta;
- Tematica 3: “Biomineralizzazione e biocristallografia” coordinatori i professori Roveri e
Zangrando;
- Tematica 4: “Biosensori e biostrumentazione” coordinatori i professori Bucci e Fabbrizzi;
- Tematica 5: “Nuovi Farmaci inorganici in oncologia” coordinatori i professori Alessio e Natile;
- Tematica 6: “Radiofarmaci nella diagnostica e terapia tumorale” coordinatori i professori Marchi e
Mazzi.
- Tematica 7: “Ruolo degli ioni metallici nelle patologie degenerative croniche”coordinatori i
professori Ercolani e Rizzarelli.
Per ciascuna di queste tematiche e' stato messo a punto un progetto di ricerca dettagliato di
seguito specificato.
L'esecuzione del piano è affidata alle unità di ricerca operanti nelle università consorziate. I
fondi impegnati verranno utilizzati per lo sviluppo delle tematiche più innovativi e per le iniziative
interdisciplinari.
Saranno potenziati gli accordi di collaborazione per l'accesso alle grandi infrastrutture, in
particolare il laboratorio ELETTRA di Trieste.
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Parallelamente all'esecuzione del piano triennale verranno avviate le azioni di trasferimento
dei risultati della ricerca all'ambito applicativo ed industriale allargando la collaborazione, peraltro
già in atto, con industrie nazionali ed internazionali interessate al settore di ricerca del
C.I.R.C.M.S.B.. I proventi derivanti da tali contratti di ricerca serviranno anche a finanziare la
formazione di ricercatori e personale altamente specializzato.
Nessun finanziamento verrà erogato "a pioggia" ma gli sforzi economici saranno indirizzati al
finanziamento delle tematiche di ricerca del "Piano programmatico" con l'organizzazione ed
attivazione di laboratori consortili.
Si procederà alla costituzione ed alla gestione di sezioni e di laboratori di ricerca avanzata.
La messa a disposizione delle Università Consorziate e dell'intera comunità scientifica di
attrezzature, laboratori e centri potrà costituire un utile supporto per l'attività di ricerca, di dottorato
e di preparazione di esperti ricercatori.
AZIONI DI NATURA STRUTTURALE CON RITORNO SU MEDIO-LUNGO PERIODO
Rafforzamento della ricerca di base e delle infrastrutture di ricerca
Nell'ambito di tale intervento il Consorzio ha già potenziato notevolmente il numero di borse
di studio finanziate portandole nell'ultimo anno a 24 con particolare attenzione per lo sviluppo dei
settori riconosciuti e finanziati dalla UE in quanto ritenuti portanti per lo sviluppo sociale ed
economico del territorio, in particolare di quello meridionale.
Nel triennio si intende sviluppare ulteriormente questo asse di intervento in sinergia con le
tematiche di interesse di PMI agenti nel territorio, anche alla luce delle possibilità occupazionali
offerte dal D.l.vo 297/99.
Pieno sostegno sarà offerto a progetti di ricerca condotti da giovani ricercatori, favorendo il
loro inserimento in network nazionali ed internazionali, stabiliti sulla base di consolidate
collaborazioni esistenti tra il C.I.R.C.M.S.B. ed industrie nazionali.
Il Consorzio partecipa a due progetti strategici di ricerca presentati in seno al bando “F.I.R.B.
2003” finanziato dal M.I.U.R..
Particolare attenzione sarà rivolta ad implementare nei contenuti formativi le nuove
conoscenze prodotte dalla ricerca mediante un reale sforzo di integrazione tra ricerca scientifica ed
alta formazione. Non verrà trascurata l'interrelazione con le realtà produttive più innovative e la
sinergia con gli Enti territoriali a sostegno delle potenzialità di sviluppo, di occupazione e di
miglioramento della qualità della vita.
Saranno attivati Workshop e Giornate di studio nonché sarà potenziata la integrazione tra
attività di ricerca e di formazione.
La verifica dell'efficacia dell'azione per il raggiungimento degli obiettivi scientifici posti da
questo piano si attuerà con incontri a cadenza periodica tra tutti i ricercatori consorziati partecipanti
a ciascuna delle linee di ricerca.
Il raggiungimento degli obiettivi potrà essere meglio garantito sviluppando e innovando
adeguatamente le infrastrutture di ricerca attraverso i laboratori propri o in partecipazione con Enti e
PMI.
Tali progetti riguardano:
Bari - Laboratorio specializzato in analisi di metalli e composti in matrici biologiche
Napoli (accordo scientifico di collaborazione non oneroso tra l'Area di Ricerca C.N.R. di
Napoli ed il C.I.R.C.M.S.B.) - Centro di Biocristallografia (dove è allocato un Diffrattometro
a raggi-X con generatore ad anodo rotante e area-detector)
Torino - Laboratorio di Spettroscopia dedicato allo studio e sviluppo di agenti di contrasto per
NMR-Imaging
Trieste - Laboratorio specializzato per la cristallizzazione di Biopolimeri: Proteine e Acidi
Nucleici
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-
Trieste - (accordo scientifico di collaborazione con Sincrotrone ScpA - Area Science Park)
per indagini chimico-fisiche e strutturali di sistemi molecolari di interesse biologico
contenenti metalli
Firenze – (scambio di sinergie con il Consorzio Interuniversitario Risonanze Magnetiche su
Metalloproteine Paramagnetiche - CIRMMP) per l’utilizzo di strumentazione ad alto campo
di Risonanza Magnetica Nucleare
Risorse esistenti e risorse richieste per la realizzazione
Le ricerche sono condotte da oltre 250 persone che possono usufruire, tramite le Università
consorziate, di un gran numero di apparecchiature anche molto sofisticate.
La spesa annua dello Stato per il personale già esistente è valutabile in circa cinque milioni di
Euro calcolando al 50% della spesa totale i dipendenti universitari e i dottorandi.
Finanziamenti sono necessari per incrementare la capacità del Consorzio di formare personale
giovane.
La situazione di partenza del piano vede il CIRCMSB disporre per il 2004 di risorse per un
totale di 680.617 Euro con previsioni in entrata per ulteriori 329.388 Euro.
Dai dati di Tab. II emerge la capacità progressiva del Consorzio di reperire risorse extra
rispetto ai trasferimenti diretti del Ministero. Questi ultimi, comunque, consentono al Consorzio di
fare investimenti sia in termini di attrezzature che di accesso ad infrastrutture al fine di sviluppare
tecniche e metodologie più efficienti per accedere a fondi dell' UE e a contratti industriali.
La previsione di spesa per il triennio 2005-2007 (Tab. VI) è di Euro 11,1 Milioni. Per la
copertura di queste spese si sono previsti due tipi di voci. La prima è quella delle risorse esistenti e
dei proventi da attività autonoma; la seconda voce prevista è quella dei trasferimenti dallo Stato e
dall' Unione Europea.
Il rapporto previsto tra finanziamento autonomo e trasferimenti dallo Stato, è di 5 : 4.
Previsioni di entrata e di spesa
Nella Tabella IV è riportato il riassunto delle Entrate previste dal presente piano per il triennio
2005-2007, mentre nella Tabella V sono aggiunte, alle risorse gestite direttamente dal
C.I.R.C.M.S.B., i finanziamenti che comunque saranno a disposizione delle Unità Locali rivenienti
dai PRIN e calcolate in base ai Progetti finanziati nel triennio 2001-2003.
Tabella IV: Riassunto delle entrate previste per il triennio 2005-2007 (in migliaia di Euro)
anno:
2005 2006 2007
Trasferimenti dallo Stato e dalla UE
900 1.000 1.000
Risorse esistenti e proventi da attività autonome
1.100 1.200 1.300
TOTALI
2.000 2.200 2.300
Tabella V: Risorse complessive nel triennio 2005-2007 (in Euro)
anno:
2005 2006 2007
Risorse C.I.R.C.M.S.B.
2.000 2.200 2.300
Risorse Unità di Ricerca da PRIN, FIRB, UE
1.500 1.600 1.500
Risorse disponibili
3.500 3.800 3.800
Riassunto delle previsioni di spesa e di copertura
L'ammontare delle spese previste per il triennio 2005-2007 per le attività consortili è stato valutato
negli importi riportati in Tab. VI
Tabella VI: Previsioni di spesa per il triennio 2005-2007 (in Euro)
anno:
2005 2006 2007
Piano di Ricerca
3.400 3.660 3.660
Amministrazione e funzionamento Organi
100 140 140
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Progetti di Ricerca
L'esecuzione dei Progetti di Ricerca è affidato al lavoro delle sette sezioni tematiche:
1) “Diagnostici innovativi in oncologia e malattie cardiovascolari” (responsabili Proff. S.
Aime e C. Pedone);
2) “Metalloproteine come catalizzatori biologici” (responsabili Proff. L. Casella e M.
Coletta);
3) “Biomineralizzazione e biocristallografia” (responsabili Proff. N. Roveri e E.
Zangrando);
4) “Biosensori e biostrumentazione” (responsabili Proff. E. Bucci e L. Fabbrizzi);
5) “Nuovi farmaci inorganici in oncologia” (responsabili Proff. E. Alessio e G. Natile);
6) “Radiofarmaci nella diagnostica e terapia tumorale” (responsabili Proff. A. Marchi e
U. Mazzi);
7) “Ruolo degli ioni metallici nelle patologie degenerative croniche”( responsabili Proff.
C. Ercolani ed E. Rizzarelli).
L' attività delle sezioni tematiche è basata sul lavoro di un gruppo di rappresentanti di sede che
fanno capo ad un coordinatore. I fondi utilizzati nell'attività sono, oltre a quelli messi a disposizione
direttamente dal C.I.R.C.M.S.B., quelli dei Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale. Inoltre le
unità di ricerca si avvalgono anche di fondi d'Ateneo ex-60% e di finanziamenti ottenuti dalla
partecipazione a progetti europei finanziati dalla CEE.
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PROGETTI DI RICERCA
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DIAGNOSTICI INNOVATIVI IN ONCOLOGIA E MALATTIE
CARDIOVASCOLARI
Alla realizzazione di questo progetto di Ricerca concorreranno tre unità operative, in cui sono
localizzati gruppi di ricerca con competenze specifiche e complementari, in particolare:
Unità operativa di Torino,
Unità operativa di Napoli,
Unità operativa di Catania.
Agenti di Contrasto per la Risonanza Magnetica Imaging
Oggi in circa un terzo degli esami di risonanza magnetica si fa uso di complessi di Gd(III)
come Agenti di Contrasto (AC) perché sono in grado di aggiungere rilevanti informazioni
fisiologiche alla già elevata risoluzione anatomica che questa tecnica può offrire.
Per essere considerato un potenziale AC per MRI, un complesso di Gd(III) deve possedere
diverse caratteristiche tra le quali, buona solubilità in acqua, alta stabilità termodinamica (e
possibilmente cinetica), tale da evitare il rilascio di Gd(III) e legante liberi in vivo, e alta relassività.
L’ultima proprietà è indice della capacità di un agente paramagnetico di incrementare la velocità di
rilassamento dei protoni dell’acqua ed è comunemente riferita ad una soluzione 1 mM dell’agente di
rilassamento a 0.5 T e 298K.
La velocità di rilassamento longitudinale osservata (R1obs) in una soluzione contenente un
complesso paramagnetico è data dalla somma di tre contributi:
dove R1w è la velocità di rilassamento in assenza di complesso paramagnetico, R1is rappresenta il
contributo dovuto allo scambio di molecole di acqua dalla sfera di coordinazione interna dello ione
metallico con l’acqua di “bulk” e R1os è il contributo delle molecole di acqua che diffondono nella
sfera di coordinazione esterna del centro paramagnetico. Talvolta viene anche riconosciuto un
contributo di seconda sfera di coordinazione (che viene pertanto scorporato da R1os) dovuto a
molecole di acqua legate con ponti idrogeno alla superficie del complesso.
Ricerca di nuovi complessi di Gd(III) con caratteristiche ottimali per l’ottenimento di
alte relassività
In generale, l’ottenimento di alte relassività può essere perseguito attraverso un controllo
adeguato dei parametri che determinano il termine di sfera interna, cioè il numero (q) e il tempo di
scambio (τM) della/e molecola/e di acqua direttamente coordinata/e al centro paramagnetico, il
tempo di rilassamento elettronico (τS) e il tempo di reorientazione molecolare (τR).
Mentre l’allungamento di τR viene normalmente ottenuto con la messa a punto di diversi tipi di
sistemi macromolecolari, gli altri parametri devono essere ottimizzati a partire dalle caratteristiche
rilassometriche dei chelati di Gd(III) di base.
In linea di principio, si potrebbe raddoppiare il valore di relassività passando da complessi con
q=1 a complessi con q=2. Tutti gli agenti di contrasto presenti attualmente in commercio sono
complessi di Gd(III) con leganti ottadentati che quindi possiedono una sola molecola di acqua di
sfera interna, il modo più semplice di aumentare q è quello di passare da leganti ottadentati a leganti
eptadentati, anche se questo potrebbe portare ad eventuali problemi di tossicità associati ad una
diminuzione della stabilità termodinamica del complesso o al rimpiazzamento delle due molecole di
acqua coordinate da parte di anioni endogeni o gruppi carichi delle proteine.
19
Parte del lavoro dei prossimi tre anni sarà quindi dedicato alla ricerca di nuove strutture che
possano dare chelati di Gd(III) con q=2 e caratterizzati da elevata stabilità termodinamica, corto
valore di τM e insensibilità alla presenza di gruppi coordinanti esterni.
Dal momento che recentemente è stata individuata una nuova struttura modello (AAZTA,
Figura 1) che sembra possedere tutte le caratteristiche ottimali, si proseguirà nella sintesi di nuovi
derivati a partire da tale struttura base, per cercare di sfruttarne a pieno le ottime proprietà. In
particolare AAZTA sarà funzionalizzato in modo da dotare i suoi complessi di Gd(III) di specifiche
proprietà di riconoscimento molecolare.
Nell’ottica di disporre di sistemi di elevate dimensioni molecolari che possano raccogliere il
maggior numero di complessi di Gd(III) possibile, si prenderanno in considerazione substrati
multimerici solubili funzionalizzati con ciclodestrine (CD).
Attualmente si sono presi in considerazione Chitosani funzionalizzati con β- e γ-CD (Figura 2)
allo scopo di sfruttare l’interazione con i complessi MS-325 e Gd-DTPACol che, come visto in
precedenza, avevano dimostrato un’elevata affinità per la cavità ciclodestrinica. Si è osservato un
incremento nell’affinità del binding passando dal sistema monomerico al sistema polimerico (Ka =
5.1×105 M-1; Rb = 27.8 mM-1 s-1 per MS-325; Ka = 5×107 M-1; Rb = 21.8 mM-1 s-1 per GdDTPACol). Le relassività ottenute sono superiori a quelle misurate in presenza di semplice β-CD
anche se non raggiungono i valori ottimali a causa, innanzitutto, del valore di τM troppo lungo che
caratterizza i due complessi.
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Agenti CEST
I mezzi di contrasto CEST (CEST: Chemical Exchange Saturation Transfer) rappresentano una
categoria emergente di agenti diagnostici per applicazioni MRI. La peculiarità di questi agenti è
quella di generare un contrasto nell’immagine MR solo a seguito dell’invio di un appropriato
impulso di radiofrequenza. Un agente CEST deve possedere dei protoni in scambio chimico con
quelli delle molecole di acqua presenti nei tessuti in cui l’agente si distribuisce. Se la velocità di
scambio tra i due set di protoni (kex) non è superiore rispetto alla loro differenza nella frequenza di
risonanza (∆ω), allora la saturazione, mediante un impulso rf, dei protoni dell’agente CEST
provocherà una diminuzione dell’intensità dei protoni dell’acqua di bulk e quindi un contrasto
negativo nell’immagine MR.
Poiché l’entità del trasferimento di saturazione, e quindi l’efficacia contrastante degli agenti
CEST, è direttamente proporzionale a kex particolare attenzione è stata rivolta ai complessi metallici
paramagnetici contenenti ioni lantanoidei capaci di influenzare significativamente le frequenze di
risonanza dei nuclei ad essi accoppiati dipolarmente o scalarmente. Infatti, questi sistemi
provocando un sensibile aumento nel valore di ∆ω consentono di poter irradiare protoni che
scambiano molto rapidamente mantenendo la condizione ∆ω > kex.
In un complesso lantanoideo le principali fonti di protoni mobili con elevati valori di ∆ω
possono essere rappresentate sia dai protoni delle molecole di acqua coordinate al centro
paramagnetico, sia da protoni mobili forniti dal legante.
Un esempio di questo gruppo di complessi è costituito dalla serie [LnDOTAMGly]− (Figura 3),
dove Ln può essere costituito da un qualunque metallo lantanoideo paramagnetico con l’eccezione
del Gd(III).
In questa serie di complessi sia i protoni delle molecole di acqua coordinata che quelli dei
protoni ammidici del legante possono essere sfruttati per creare contrasto nell’immagine.
Rispetto agli agenti di contrasto convenzionali basati sulla presenza di Gd(III), questi agenti
hanno principalmente due vantaggi: i) quello di poter generare contrasto solo a seguito di
un’irradiazione selettiva che dipende strettamente dalle proprietà dell’agente utilizzato, per cui
agenti CEST diversi potrebbero essere iniettati simultaneamente in applicazioni nelle quali sia
necessario seguirne il destino in vivo (es. labelling di cellule staminali o misure di permeabilità
vascolare); ii) quello di consentire la misurazione di parametri chimico-fisici di rilevanza
diagnostica e/o terapeutica (es. pH, temperatura, concentrazione di metaboliti, PO2, attività
enzimatica, …) in modo indipendente dalla concentrazione locale di agente diagnostico. Questo
importante obiettivo può essere raggiunto utilizzando un agente CEST avente due diversi set di
protoni mobili irradiabili. Se il trasferimento di saturazione per i due set di protoni mostra una
diversa dipendenza dal parametro diagnostico di interesse, un semplice metodo raziometrico, basato
sul rapporto degli effetti misurati per i due set di protoni, permette di ottenere un effetto
indipendente, entro certi limiti, dalla concentrazione assoluta del mezzo diagnostico.
21
Anche se attualmente questi agenti si trovano ancora in una fase di studio pre-clinica, questi
vantaggi rendono questa categoria di composti particolarmente attraente per la diagnosi precoce di
patologie cardio-vascolari. Per esempio, la progettazione di agenti CEST responsivi al pH o alla
temperatura potrebbe risultare utile per la diagnosi di vulnerabilità della placca aterosclerotica. Per
questo motivo verranno progettati e caratterizzati diversi agenti CEST allo scopo di rendere il loro
trasferimento di saturazione sensibile al parametro diagnostico di interesse.
I vantaggi degli agenti CEST rispetto ai mezzi di contrasto convenzionali sono però limitati
dalla bassa sensibilità mostrata da questi sistemi. Per questo motivo particolare attenzione verrà
dedicata alla progettazione di agenti CEST più sensibili cercando di sviluppare sistemi dotati di un
elevato numero di protoni mobili aventi un rapporto ottimale tra ∆ω e kex. A tal scopo si potrebbero
investigare le proprietà CEST di addotti supramolecolari costituiti da un substrato contenente un
elevato numero di protoni mobili le cui risonanze siano opportunamente shiftate attraverso
l’interazione selettiva con un reagente di shift paramagnetico.
Imaging Molecolare
Il lavoro sarà svolto nell’ottica di esplorare diverse vie per arrivare all’accumulo di complessi
di Gd(III) in vari tipi di cellule in quantità sufficientemente grandi da permettere la visualizzazione
con la tecnica MRI.
In particolare, l’accumulo intracellulare di un mezzo di contrasto può avvenire per:
i) Pinocitosi
Per Pinocitosi (“il bere delle cellule”) si intende l’ingestione di fluido ( e di conseguenza delle
specie dissolte in esso) da parte di una cellula tramite la formazione di piccole vescicole (diametro
150 nm). Quindi, l’incubazione di cellule in un mezzo contenente l’agente di contrasto in
concentrazione sufficientemente elevata, porta alla sua internalizzazione e può essere sufficiente per
la visualizzazione MRI.
Tra i vari sistemi disponibili, per testare l’internalizzazione per pinocitosi, abbiamo
considerato il composto commerciale Gd-HPDO3A (Prohance®, Bracco Imaging, Figura 4) perchè
si tratta di un composto neutro e dotato di elevata stabilità termodinamica (log K~23.2).
La marcatura delle cellule staminali è un obbiettivo di grande importanza in quanto la
possibilità della loro visualizzazione in vivo permetterebbe di monitorarne il destino e la
localizzazione in seguito al trapianto.
22
Fino ad ora, solo un tipo di agente di contrasto a base di Gd(III) è stato utilizzato per marcare
le cellule staminali. Si tratta di un sistema costituito da un polimero di destrano contenente da 9 a 12
complessi di Gd(III).
Come esempio rappresentativo di cellule staminali abbiamo scelto le EPCs (endothelial
progenitors cells) il cui impianto dovrebbe aumentare la neovascolarizzazione di tessuti ischemici.
In un tipico esperimento di uptake via pinocitosi, pochi milioni di cellule EPCs sono incubate in un
mezzo contenente Gd-HPDO3A in concentrazione millimolare (10-50 mM).
Per questo tipo di internalizzazione non ci si aspetta nessun effetto di saturazione, e infatti la
quantità di Gd(III) captata è linearmente proporzionale alla concentrazione di Gd-HPDO3A nel
terreno. E' noto inoltre che il fenomeno della pinocitosi porta alla formazione di piccoli endosomi
che eventualmente possono poi fondersi in lisosomi più grandi. La distribuzione dei complessi di
Gd non può essere seguita con le tecniche microscopiche correntemente usate in biologia cellulare,
però l’Eu(III), elemento immediatamente precedente al Gd nella tavola periodica, possiede
eccellenti proprietà di fluorescenza. Visto che Eu(III) e Gd(III) hanno proprietà chimiche molto
simili, si può pensare che Eu-HPDO3A e Gd-HPDO3A vengano internalizzati con lo stesso tipo di
processo. La risposta fluorescente di Eu-HPDO3A può quindi essere sfruttata per la comprensione
della distribuzione intracellulare di Gd-HPDO3A.
In Figura 5 è mostrata un’immagine ottenuta al microscopio confocale di cellule EPCs
incubate con Eu-HPDO3A. Si notano chiaramente le vescicole endosomiali contenenti EuHPDO3A nello spazio citoplasmatico attorno al nucleo.
Cellule EPCs sono state impiantate in un plug di matrigel subcutaneamente in un topo modello
con angiogenesi. Dopo sette giorni il matrigel è stato vascolarizzato. Il nostro scopo era quello di
vedere se le cellule (ca. 5x105 ) marcate con Gd-HPDO3A e impiantate fossero visibili in vivo.
Un giorno dopo l’impianto, nell’immagine RM erano visibili delle zone iperintense all’interno
del matrigel (Figura 6A); l’esame istologico ha dimostrato che le cellule erano disperse nel gel ma
non si evidenziava formazione di capillari. Al contrario, sette giorni dopo (Figure 6B, 6C) si nota
una fitta rete di capillari.
23
In un altro esperimento, 1x106 cellule EPCs, marcate e non, sono state impiantate nei reni di un
topo SCID e 24 ore dopo sono state registrate le immagini. Come si vede in Figura 7, le cellule
marcate sono visibili nella zona in cui sono state impiantate.
Il programma di lavoro prevede, oltre all’approfondimento dell’uptake da parte delle EPC, la
marcatura di cellule tumorali, di linfociti (per localizzare infezioni) e di insule da trapianto per
soggetti diabetici. In questa linea di attività sarà anche messo a punto un metodo di marcatura delle
cellule “in vivo” mediante elettroporazione.
24
ii) Fagocitosi
La fagocitosi è un particolare tipo di endocitosi in cui particelle solide sono internalizzate nelle
cellule attraverso la formazione di grandi vescicole endocitiche.
Mentre l’internalizzazione di particelle di ossido di ferro per questa via porta solo ad una
perdita di intensità del segnale RM, nel caso di particelle contenenti Gd si può passare da un agente
negativo ad uno positivo. Per avere l’aumento di segnale è necessario progettare un sistema in cui il
sintone insolubilizzante venga rimosso con il rilascio di un chelato di Gd(III) solubile in acqua.
Ci sono diversi modi per ottenere l’incorporazione di chelati di Gd(III) all’interno di particelle
biodegradabili. Una procedura che riteniamo piuttosto semplice da seguire potrebbe essere quella di
preparare nanoparticelle a base di chitosano caricate con Gd-DTPA.
Il complesso, portante due cariche negative, si lega agli ammino gruppi carichi positivamente del
chitosano permettendo di ottenere carichi relativamente elevati di Gd per ogni particella (fino ad
una consistente % in peso). Le particelle così marcate (di dimensioni di 200-400 nm) possono
essere facilmente fagocitate dalle cellule e successivamente degradate ad opera degli enzimi interni
alla cellula stessa.
Sarà inoltre considerato un altro approccio per cui la formazione delle particelle biodegradabili è
determinata dall’insolubilità degli stessi chelati di Gd. Per esempio è possibile insolubilizzare
complessi tipo Gd-DTPA introducendo sulla superficie del complesso gruppi altamente idrofobici
come lunghe catene idrocarburiche (Figura 8). La funzione insolubilizzante è legata al complesso
tramite legami (esteri, legami peptidici, ...) che possono essere facilmente tagliati dagli enzimi
intracellulari.
Questo approccio permette di ottenere particelle “responsive” dell’attività enzimatica, in
quanto l’incremento della velocità di rilassamento intracellulare è dipendente dall’attività
dell’enzima in questione.
iii) Recettori
Il targeting di cellule che sfrutta il riconoscimento recettoriale è il metodo principalmente
utilizzato in medicina nucleare. Il passaggio alla tecnica MRI è seriamente limitato dal fatto che la
sensibilità è alcuni ordini di grandezza inferiore rispetto alla tecnica PET e SPECT.
25
Un buon modello per studiare l’internalizzazione cellulare attraverso il riconoscimento
recettoriale, è costituito dal sistema Apoferritina/Gd-HPDO3A (Figura 9). Infatti l’apoferritina può
essere marcata intrappolando alcune unità di complessi di Gd all’interno della sua cavità che
naturalmente ha il ruolo di stoccare il ferro sotto forma di ossido polimerico. La parte esterna di
questo sistema rimane inalterata e quindi il riconoscimento da parte dei recettori responsabili del
trasporto della ferritina negli epatociti non dovrebbe essere variato rispetto alla proteina nativa.
In questo sistema l’acqua può liberamente diffondere attraverso i canali che si formano
all’intersezione delle varie subunità, mentre il Gd-HPDO3A (il cui diametro è di ca. 8-9 Å) non
può. In una prova di upatke di Apoferritina/Gd-HPDO3A negli epatociti si è dimostrato che la
quantità internalizzata è simile a quella riportata da Osterloch e Aisen per la proteina nativa
(6.5×106 moleole per cellula in 6 h).
iv) Endocitosi mediata da recettore
Questa è la via più probabile per l’internalizzazione di complessi di Gd nelle cellule, in quanto
ci si aspetta che avvenga ogni volta che il ligando per un determinato recettore viene modificato
attraverso la funzionalizzazione con uno o più molecole di complesso metallico.
Quando il ligando si lega al suo recettore sulla membrana cellulare comincia un processo che
porta all’introflessione di una porzione della membrana e alla formazione di una vescicola una volta
che le estremità si saldano insieme. Durante questo processo le molecole legate sulla membrana e le
molecole presenti nel fluido extracellulare vengono intrappolate nella vescicola endosomiale e
trasportate all’interno della cellula.
L’endocitosi mediata da recettore sembra essere il meccanismo privilegiato per
l’internalizzazione di sistemi polimerici contenenti un numero elevato di complessi di Gd(III).
Un sistema di grande interesse è quello basato sul riconoscimento specifico di Avidina e
Biotina. Infatti l’utilizzo di un anticorpo biotinilato seguito dalla ripetuta esposizione ad Avidina e
complessi di Gd(III) bis-biotinilati può portare all’accumulo di un gran numero di unità contrastanti
al sito di interesse.
La formazione di un sistema supramolecolare multistrato di questo tipo, richiede la successiva
somministrazione di Avidina e complessi di Gd(III) mono- (Gd-2) e bis-biotinilati (Gd-1) (Figura
10).
26
La costruzione del sistema a strati avviene in questo modo: dopo essersi legata alla cellula tumorale,
attraverso un Ab o un qualunque vettore biotinilato, l’avidina viene saturata da due unità di Gd-2 e
una di Gd-1, quindi la funzione biotinilata libera di Gd-1 viene riconosciuta da una seconda
molecola di avidina e così via. Si può così pensare di costruire addotti di dimensioni sempre più
grandi, fatti di 4, 8 e 16 strati di avidina. Esperimenti preliminari hanno dimostrato che è possibile
costruire strati aggiungendo aliquote delle tre componenti ogni 10’ e mantenendo la temperatura a 4
°C. Una volta costruito tutto il sistema si è fatta partire l’incubazione che è proseguita per 24 h a 37
°C.
In Figura 11 sono messe a confronto le nmoli di Gd(III) captato dalle cellule (SHIN3) dopo
l’incubazione (37 °C, 24 h) con la stessa quantità di Gd-1 e Gd-2 ma in presenza („) e in assenza di
avidina ({). Si vede chiaramente che l’uptake da parte delle cellule tumorali avviene attraverso il
riconoscimento specifico della molecola di avidina, infatti la quantità di Gd(III) captata quando solo
Gd-1 e Gd-2 sono presenti è appena al di sopra del limite di rilevabilità.
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In Figura 12 è riportata l’immagine di tre pellets di cellule di cui: a) cellule non trattate; b) cellule
trattate con Avidina/Gd-/Gd-2; c) cellule trattate con Gd-1/Gd-2.
Il grado di contrasto tra i pellets a) e b) è molto buono e promettente per i futuri esperimenti in vivo.
In questo contesto, in collaborazione con gruppi di biologi, saranno preparati Ab o vettori biotinilati
che riconoscano i recettori per le integrine.
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Altri esempi di endocitosi mediata da recettore sono quelli in cui la sonda di imaging è direttamente
legata a un peptide quale vettore di targeting.
Piccoli peptidi sono già stati presi in considerazione come radiofarmaci sia a scopi diagnostici
che terapeutici. Rispetto alle proteine, hanno il grande vantaggio di una bassa immunogenicità,
buona farmacocinetica ed elevate capacità di targeting.
Molte cellule tumorali iperesprimono i recettori della colecistochinina, per i quali è stato
osservato che il peptide CCK8 (-Asp-Tyr-Met-Gly-Trp-Met-Asp-Phe) ha un’elevata affinità. Quindi
si è considerata l’idea di utilizzare complessi di Gd(III) funzionalizzati con CCK8 per targettare i
recettori delle colecistochinine espressi dalle cellule tumorali.
Un prototipo di questa classe di imaging probes è riportato in Figura 13; il peptide CCK8 è
legato, tramite uno spacer, ad un legante tipo DTPA.
Prove preliminari hanno dimostrato che il complesso di Gd(III) di questo legante sembra avere
un basso grado di internalizzazione in cellule NIH3T3Br (transfettate per l’iperespressione di
recettori CCK-B) (ca. 105 / cell) (Figura 14).
La quantità di Gd determinata è troppo bassa per una visualizzazione MRI. Si è perciò orientati
a considerare sistemi contenenti più complessi di Gd(III) legati allo stesso vettore CCK8. Ci sono
molte vie per la preparazione di strutture multimeriche di questo tipo. Si procederà innanzitutto con
sistemi basati sulla polimerizzazione di unità monomeriche di Gd-DTPA-Lisina utilizzando le
procedure di sintesi di catene peptidiche. La lunghezza delle catene può essere variata a piacere e la
formazione del polimero può essere portata avanti per sintesi peptidica in fase solida.
Come mostrato in Figura 14, nel caso di CCK8 funzionalizzato con un decamero (z) di
complessi di Gd(III) la quantità di metallo paramagnetico internalizzato è dieci volte superiore a
quella misurata con il monomero („).
29
Altri sistemi multimerici che saranno considerati sono le micelle miste e i liposomi
opportunamente funzionalizzati con vettori peptidici in grado di riconoscere il target cellulare.
v) Trasportatori
La via dei trasportatori sembra essere molto interessante in quanto questi sistemi sono dedicati
all’internalizzazione di grandi quantità di molecole di substrato. Nel campo degli agenti di contrasto
per MRI ci sono già esempi di uptake cellulare molto efficienti. Si tratta essenzialmente di composti
epatotropici costituiti da complessi di Gd(III) opportunamente funzionalizzati. Questi sistemi sono
internalizzati dagli epatociti attraverso proteine di trasporto come gli OATP (Organic Anion
Transport Protein) presenti in grandi quantità sulle membrane cellulari degli epatociti.
Anche se si possono prendere in considerazione un gran numero di trasportatori, nel caso delle
cellule tumorali, i miglior sembrano essere quelli responsabili del trasporto di nutrienti e
pseudonutrienti. Infatti, durante la proliferazione delle cellule, il metabolismo accelerato delle
cellule tumorali, fa si che ci sia una richiesta maggiore di queste sostanze e quindi una maggiore
capacità di uptake che si traduce in un’up-regulation dei corrispondenti recettori di membrana.
In via preliminare, abbiamo studiato se questo sistema potesse differenziare le cellule tumorali
da quelle sane utilizzando un Gd-DTPA funzionalizzato con un residuo di glutammina (Figura 15).
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La glutammina è l’amminoacido più abbondante nel plasma ed è considerato uno dei nutrienti
più importanti per il metabolismo delle cellule tumorali. Si è aggiunto Gd-DTPA-glutammina al
terreno di incubazione di cellule HTC ed epatociti. Dopo poche ore di incubazione, la quantità di
Gd(III) internalizzata nelle cellule tumorali (z) è risultata essere 4-5 volte superiore a quella captata
dagli epatociti sani („) (Figura 16). Inoltre, la specificità verso i recettori della glutammina è stata
controllata aggiungendo glutammina al mezzo contenente il complesso paramagnetico; la quantità
di Gd(III) internalizzato diminuisce significativamente in seguito all’aggiunta dell’amminoacido
libero al mezzo di incubazione.
31
32
METALLOPROTEINE COME CATALIZZATORI BIOLOGICI
Alla realizzazione di questo progetto concorreranno cinque Unità Operative, in cui sono
localizzati i gruppi di ricerca con competenze specifiche e complementari, in particolare:
Unità Operativa dell’Università di Roma Tor Vergata,
Unità Operativa dell’Università di Pavia,
Unità Operativa dell’Università di Firenze,
Unità Operativa dell’Università di Napoli “Federico II”,
Unità Operativa dell’Università di Roma “La Sapienza”.
Unità Operativa dell’Università di Roma Tor Vergata
L’Unità Operativa dell’Università di Roma Tor Vergata intende svolgere il suo progetto sulle
seguenti direttrici:
- Perossidasi di origine vegetale ed animale
- Folding/unfolding di emoproteine
- Metalloproteinasi e metallopeptidasi
Perossidasi di origine vegetale ed animale
L’indagine intende focalizzarsi sull’espressione della forma ricombinante dell’eosinofilo
perossidasi (EPO) umana sia nella forma “wild type” che di mutanti sito-specifici. Tale proteina è di
estrema importanza funzionale, in quanto svolge un ruolo di antibatterico durante i processi
infiammatori, ossidando dei substrati naturali molto comuni, quali cloruri (producendo ipocloriti),
bromuri (producendo ipobromiti) e tiocianati (producendo ipotiocianiti) (1). Inoltre, essa sembra
essere coinvolta, tramiti questi prodotti, nell’attivazione di enzimi della matrice extracellulare, che
oltre a processare molecole coinvolte nei processi infiammatori, quali citochine e chemochine, sono
coinvolti in processi angiogenetici (2). Tale proteina, che agisce insieme alla mieloperossidasi
(MPO), anch’essa disponibile al nostro gruppo, viene attualmente espressa in Pichia pastoris, ma si
intende caratterizzare le proprietà funzionali e strutturali di questa proteina ricombinante, che noi
abbiamo espresso per primi, e di caratterizzarne meglio il ruolo in sistemi cellulari modello, quali
neutrofili e linfociti. In questo ambito, si prevede di effettuare un’indagine sull’evoluzione
temporale di alcuni metaboliti cellulari, mediante HPLC, a seguito dell’induzione dell’attività
perossidasica. Inoltre, si intende proseguire nella caratterizzazione di perossidasi fungine, di cui
sono disponibili anche dei mutanti sito-specifici (3). Su tali molecole si intende completare lo studio
del ruolo funzionale dei residui aminoacidici dell’intorno dell’eme.
Folding/unfolding di emoproteine
Si intende effettuare una serie di indagini sui processi di folding/unfolding di mioglobina e di
citocromo c sia in soluzione che in matrice sol-gel. In particolare, per quanto riguarda la
mioglobina, si intende indagare sull’effetto del pH, della forza ionica e di un denaturante quale la
guanidina-idrocloruro sulle cinetiche di unfolding della oloproteina sia in soluzione che in sol-gel.
Per quanto riguarda il citocromo c, invece l’attenzione sarà posta sulle cinetiche di “refolding” in
soluzione attraverso la diluizione del denaturante o il salto di pH. Inoltre, la possibilità di avere
frammenti del citocromo c e mutanti sito-specifici permetterà di indagare sul ruolo di specifici
residui o domini strutturali sulla dinamica di “refolding” della proteina, così da chiarire meglio il
ruolo di leganti alternativi dell’eme durante il processo di “refolding” (4).
33
Metalloproteinasi e metallopeptidasi
Le MetalloProteinasi e MetalloPeptidasi sono coinvolte in molti processi sia fisiologici che
patologici. In particolare, vogliamo focalizzarci su:
1) MetalloProteinasi di matrice coinvolte nei processi metastatici ed angiogenetici
Le MetalloProteinasi di matrice (MMPs) sono una famiglia di enzimi coinvolti in numerosi
processi fisiologici e patologici concernenti la matrice extracellulare (ECM), quali lo sviluppo,
l’infiammazione, la crescita e l’invasività tumorale. Attualmente, sono state identificate 22 MMPs
umane (5), le quali presentano le seguenti omologie strutturali: un peptide segnale, un dominio
propeptidico, un dominio catalitico (contenente l’atomo di Zn++ catalitico coordinato a 3 His) ed un
dominio emopessina-simile (collegato al dominio catalitico da una regione a cerniera). L’azione
enzimatica delle MMPs è cruciale per l’attuarsi della crescita ed invasione tumorale e per qualsiasi
forma di infiammazione acuta e/o cronica (6). Le MMPs sono secrete in quantità particolarmente
elevata da parte delle cellule tumorali di un’ampia varietà di tumori maligni (7) e, in misura minore,
anche da cellule non neoplastiche. Tuttavia, alcune MMPs, quali la MMP-13, MMP-14 e MMP-7,
sono secrete solo da cellule trasformate (8), quindi sono dei marcatori specifici di trasformazione
neoplastica, e la MMP-2, la cui secrezione è in genere associata ad una prognosi infausta in molti
processi tumorali (9). Nel caso delle gelatinasi, sia la MMP-2 che la MMP-9 sono associate allo
sviluppo angiogenetico necessario per la diffusione metastatica (10,11).
Il processo di attivazione della (pro)MMP-2 si attua attraverso la formazione di un composto
ternario tra la (pro)MMP-2, il TIMP-2 (un inibitore naturale delle MMPs) e la MMP-14 (12). In tale
interazione il TIMP-2 funge da ponte fra la (pro)MMP-2, il cui dominio emopexinico lega il
dominio C-terminale del TIMP-2 (13) e la MMP-14, che interagisce con il dominio N-terminale del
TIMP-2 (14). L’attività angiogenetica della MMP-2 attivata è fortemente inibita dall’endostatina
(15) e questo permette di correlare l’attività angiogenetica della MMP-2 e quella antiangiogenetica
dell’endostatina (16). L’endostatina viene prodotta dal processamento del Collagene XV e del
Collagene XVIII e possiede caratteristiche antiangiogenetiche molto simili a quelle
dell’angiostatina (17), la quale viene prodotta dal processamento del plasminogeno. Questi
processamenti sono effettuati da proteasi sia a serina che metalloproteasi; in particolare, la
produzione di angiostatina da plasminogeno avviene principalmente da parte della metalloelastasi
MMP-12 (18). Quindi, il processo angiogenetico è il risultato di un bilanciamento positivo e
negativo fra l’attività di diverse metalloproteinasi. L’interazione fra queste metalloproteinasi e le
proteine che le attivano o che fungono da substrati è estremamente importante per comprendere la
regolazione e l’evoluzione dell'angiogenesi.
La nostra Unità Operativa dedicherà la sua attività alla comprensione delle interazioni fra
(pro)MMP-2, TIMP-2 e MMP-14 (MT1-MMP), al fine di chiarire i meccanismi di modulazione di
queste interazioni nel processo di attivazione della MMP-2. Si intende investigare tali interazioni,
seguendo il segnale di fluorescenza correlato al processamento di substrati sintetici fluorogenici. Lo
studio prevede la determinazione dei parametri termodinamici e cinetici di tali interazioni in
funzione del valore di pH in un ambito fisiologicamente ragionevole tra 5 e 10, utilizzando sia un
fluorimetro che l’apparato di mescolamento rapido (stopped-flow), che sono già disponibili
all’Unità. Una volta ottenute informazioni concernenti l’interazione dei complessi binari
(pro)MMP-2:TIMP-2 e MMP-14:TIMP-2 si passerà all’analisi termodinamica e cinetica della
formazione del complesso ternario, necessario per l’attivazione della MMP-2. Lo studio, che verrà
effettuato in diverse condizioni di pH e temperatura, consisterà nel far reagire un complesso binario
con il terzo componente rispettivamente (cioè (pro)MMP-2:TIMP-2 + MMP-14, MMP-14:TIMP-2
+ (pro)MMP-2 e (pro)MMP-2:MMP-14 + TIMP-2), seguendo poi il processo interattivo sempre
tramite la fluorescenza collegata al processamento di substrati sintetici fluorogenici. Una volta
ottenute le necessarie informazioni funzionali sulla formazione del complesso ternario in soluzione,
si prevede anche l’estensione alla successiva attivazione di (pro)MMP-2 a MMP-2 attivata.
34
Inoltre, si intende studiare dal punto di vista termodinamico e cinetico l’interazione, in
funzione di pH e temperatura, di angiostatina ed endostatina sia con MMP-2 che con MMP-14, al
fine di determinare i parametri funzionali ed il meccanismo con cui tali molecole interferiscono con
l’attività delle MetalloProteinasi, inibendo il processo angiogenetico connesso con l’attività di
MMP-2. Tali misure, che verranno inizialmente effettuate utilizzando substrati sintetici
fluorogenici, verranno quindi estese a substrati naturali, quali collagene I, collagene IV,
fibronectina, laminina V e vitronectina, in modo da evidenziare meglio su quali processi enzimatici
tali molecole vanno ad interferire.
2) MetalloPeptidasi cerebrali
La carnosina è un dipeptide costituito dall’unione fra β-alanina ed istidina, è localizzato
ubiquitariamente con particolare abbondanza nel muscolo e nel cervello, dove può raggiungere
concentrazioni fino a 20 mM (19,20). La carnosina non deriva dall’idrolisi di precursori proteici o
peptidici a più alto peso molecolare, ma viene sintetizzata dall’enzima carnosin-sintetasi (21) e
degradata dall’enzima carnosinasi (22). Questo enzima, che appartiene alla classe delle
metalloproteinasi, è sintetizzato in due isoforme, una presente inmolti tessuti non cerebrali, ed una,
che ha una specificità quasi totale per la carnosina, che è sintetizzata solo nei tessuti cerebrali
(23,24). Assai recentemente si è sequenziato il cDNA dei due geni che codificano le due isoforme
della carnosinasi (25), permettendo la determinazione della sequenza aminoacidica delle due
proteine. Si sono così definitivamente mostrate le caratteristiche strutturali che permettono di
assegnare con certezza l’appartenenza della carnosinasi alla classe delle metalloproteinasi.
Infine, si intende studiare l’attività di questo enzima nei confronti della carnosina, al fine di
caratterizzarne i parametri catalitici in varie condizioni di pH e temperatura.
Unità Operativa dell’Università di Pavia
Enzimologia di metalloproteine
Nel corso del prossimo triennio verranno espansi gli studi su eme proteine e rame proteine
condotti nel triennio scorso, la ricerca verrà in generale indirizzata sempre di più verso aspetti che
possono avere rilevanza in campo medico o farmacologico.
Come prosecuzione degli studi sulla nitrazione di proteine prodotta da specie reattive all’azoto
si esaminerà la nitrazione della mioglobina umana, la cui espressione in E. coli è stata già messa a
punto nel nostro laboratorio, e di suoi mutanti. Come è noto, la mioglobina umana differisce dalle
altre per la presenza di un residuo di cisteina, che è esposto e può quindi essere implicato nella
reazione di nitrazione. Il sistema di nitrazione studiato dal nostro gruppo si basa sulla coppia
nitrito/perossido di idrogeno, che in seguito ad attivazione da parte del gruppo ferro-eme, in
reazioni di tipo perossidasico, produce come specie nitranti, a seconda delle condizioni, biossido di
azoto o un perossinitrito legato (26,27). La capacità nitrante viene esibita sia verso substrati esogeni
sia, in assenza o a basse concentrazioni di questi, verso il gruppo eme e residui proteici quali
tirosine e triptofani (26-28). Lo studio verrà esteso anche alla emoglobina umana, esaminando in
particolare il comportamento delle singole catene alfa e beta che formano il tetramero. Sempre
nell’ambito della chimica delle eme proteine, l’attuale studio sui mutanti della mioglobina
ricostituiti con gruppi eme modificati, che incrementano in modo apprezzabile l’attività catalitica
ossidativa (29,30) verrà esteso alla ricostituzione della proteina con nuovi derivati eminici, in grado
di amplificare ulteriormente la capacità catalitica e gli effetti di stereoselettività nelle reazioni verso
substrati esterni. Verrà infine aperto un nuovo filone di indagine sulle eme proteine, con la
produzione di mutanti del citocromo c da lievito, la cui espressione in E. coli è ormai disponibile
nel nostro gruppo. Si vuole verificare se l’ingegnerizzazione del citocromo c, con un diverso folding
rispetto alle globine, sia potenzialmente più adatta ad ottenere proteine con attività catalitica. Come
35
è consuetudine nel nostro gruppo, gli studi sulle eme proteine verranno accoppiati a indagini su
sistemi modello, che in questo caso si basano su complessi eme-peptidici sintetici o ricavati dalla
digestione controllata del citocromo c (31,32).
Nel campo dello studio dei rame enzimi si intende approfondire il meccanismo molecolare di
azione della tirosinasi, del quale non si ha alcuna evidenza diretta. A questo scopo ci si propone di
effettuare studi a temperature criogeniche in solvente misto acquoso-organico. Verranno esaminate
varie miscele solventi criogeniche scegliendo quella che garantisce un optimum di funzionamento
dell’enzima. Quindi si effettueranno misure spettroscopiche a basse temperature (fino a -80 °C)
sulle varie forme dell’enzima (ossigenata, ossidata) in presenza e in assenza di substrati fenolici e
catecolici. In queste condizioni l’attività enzimatica dovrebbe essere parzialmente o completamente
bloccata, ma comunque sufficientemente lenta da consentire l’osservazione dei complessi enzimasubstrato. Queste indagini saranno accoppiate a studi paralleli, condotti nelle stesse condizioni, su
sistemi modello della tirosinasi costituiti da complessi binucleari di rame con leganti poliazotati,
che tradizionalmente sono uno dei punti di forza dell’attività del nostro gruppo (33-35), che
dovrebbero consentire di caratterizzare in modo più dettagliato, anche a livello strutturale, il modo
di legame dei substrati.
Un nuovo campo di indagine che si intende aprire utilizzando la tirosinasi è quello sulla
modificazione di residui di proteine da parte dei derivati chinonici prodotti dalla reazione di
ossidazione della dopammina e del suo precursore L-dopa. Questo tipo di modificazione può
avvenire a carico dei residui polari di lisina, istidina, cisteina, serina, tirosina e triptofano esposti
della proteina bersaglio e può indurre modificazioni conformazionali locali e globali di questa,
causandone l’inattivazione. Si ritiene che questa modificazione possa contribuire ai processi di
misfolding e fibrillazione di alcune proteine coinvolte in patologie neurodegenerative quali i morbi
di Alzheimer e di Parkinson. Per caratterizzare gli addotti chinonici delle proteine si sfrutterà
inizialmente l’ossidazione enzimatica dei fluorofenoli, che risulta più facilmente controllabile a
causa del sostituente fortemente elettron attrattore presente sul nucleo aromatico, la quale è stata
studiata in dettaglio recentemente dal nostro gruppo (36). In alternativa alla tirosinasi altri enzimi
possono partecipare alla formazione di derivati chinonici da substrati catecolici, particolarmente le
eme perossidasi, in condizioni di stress ossidativo, e la ceruloplasmina. Anche in questo caso studi
su modelli di basso peso molecolare potranno servire a chiarire aspetti meccanicistici e strutturali
delle reazioni di modificazione delle proteine.
Unità Operativa dell’Università di Firenze
Il Laboratorio di Chimica Bioinorganica del Dipartimento di Chimica dell’Università di
Firenze è coinvolto da svariati anni nello studio ed utilizzo di sistemi enzimatici ossidativi coinvolti
in processi biodegradativi di sostanze aromatiche: ossigenasi ed ossidasi.
Questi enzimi, isolati e purificati da microrganismi quali Pseudomonas, Alcaligenes,
Rhodococcus, Streptomyces, Acinetobacter, Pleurotus, svolgono un ruolo chiave nella
biodegradazione di sostanze xenobiotiche; ad esempio, ossigenasi idrossilanti trasformano composti
aromatici in dioli rendendo l’anello aromatico suscettibile al successivo attacco di ossigenasi “ring
cleaving” che aprendo l’anello determinano la completa detossificazione di una grande varietà di
composti altamente nocivi per l’ambiente (37-40).
La nostra unità operativa è coinvolta nella caratterizzazione strutturale e meccanicistica di
alcuni di questi enzimi mediante tecniche cinetiche, spettroscopiche e cristallografiche,
fondamentale per la comprensione dei meccanismi di biodegradazione e bioconversione di
composti organici e per l’ottimizzazione di tali processi.
Oltre ad un forte interesse per le problematiche legate al disinquinamento ambientale mediante
tecniche biologiche, ha recentemente assunto particolare rilevanza il possibile utilizzo dei sistemi
enzimatici ossigenanti presenti in questi microorganismi nella produzione di “fine chemicals” di
difficile sintesi chimica. Quest’ultimo aspetto e’ principalmente legato al fatto che questi sistemi
enzimatici catalizzano la trasformazione di una varietà di sostanze aromatiche in composti chirali ad
36
alta purezza enantiomerica di estremo valore per la sintesi asimmetrica ed utili per la produzione di
una varietà di nuove molecole di interesse farmaceutico ecc. (41).
Molti nostri studi sono stati focalizzati sull’ottimizzazione di reattori microstrutturati che
hanno permesso di ottenere alte velocità di conversione ed alte rese finali per i prodotti ossigenati
da svariati idrocarburi quali naftalene, antracene, fenantrene, toluene, xileni ecc utilizzando ceppi
batterici naturali o geneticamente modificati esprimenti le ossigenasi d’interesse. Tali sistemi hanno
consentito di misurare con alte riproducibilità e precisione l’influenza di ciascun fattore che
controlla il processo (concentrazione delle cellule, loro vitalità, livello di espressione enzimatica,
concentrazione del substrato ecc.) e quindi ottimizzare il valore di ciascun parametro. Si è inoltre
evidenziato e razionalizzato l’effetto protettivo di vari tensioattivi non ionici nei confronti della
documentata tossicità di molti idrocarburi aromatici sui microrganismi investigati (42).
Un secondo gruppo di enzimi, le ossidasi fungine, posseggono, in termini di capacità
ossidative, proprietà catalitiche complementari a quelle delle ossigenasi batteriche (43). Sono
coinvolte in una moltitudine di processi di biotrasformazione che spaziano dalla conversione di una
varietà di molecole tossiche in composti utili (a tossicità altamente ridotta) a processi di
detossificazione coinvolgenti la formazione di polimeri stabili. L’utilizzazione di ossidasi (in
particolare le ossidasi fungine) per la biodegradazione di pesticidi, fenoli, coloranti ecc. è un
argomento di crescente interesse.
Recenti studi del nostro laboratorio sono tesi ad ottimizzare processi che sfruttano l’uso
combinato di laccasi fungine da Pleurotus ostreatus e monoossigenasi batteriche in sistemi
microcompartimentalizzati per biodegradazioni ad ampio spettro di azione.
Unità Operativa dell’Università di Napoli “Federico II”
Gli obiettivi di questo programma di ricerca sono :
1) progettazione, sintesi e caratterizzazione di peptidi/peptidomimetici capaci di interferire con
il riconoscimento molecolare tra MMP-2, TIMP-2 e MMP14;
2) progettazione, sintesi e caratterizzazione di peptidi/peptidomimetici capaci di interferire con
il riconoscimento molecolare tra MMP-2 (e/o MMP-14) e angiostatina (e/o endostatina);
3) progettazione, sintesi e caratterizzazione di peptidi/peptidomimetici carnosina-simili;
4) caratterizzazione strutturale in soluzione (NMR) e/o allo stato solido (diffrazione di raggi x)
dei complessi binari e/o ternari tra MMP-2, TIMP-2 e MMP14;
5) caratterizzazione strutturale in soluzione (NMR) e/o allo stato solido (diffrazione di raggi x)
dei complessi tra MMP-2 (e/o MMP-14) e angiostatina (e/o endostatina);
6) caratterizzazione strutturale in soluzione (NMR) e/o allo stato solido (diffrazione di raggi x)
dell’enzima carnosinasi;
7) caratterizzazione strutturale in soluzione (NMR) e/o allo stato solido (diffrazione di raggi x)
dei complessi tra i peptidi sintetici ed i loro target.
La ricerca sarà articolata nelle seguenti fasi
I Fase
Nella prima parte inizierà la progettazione delle molecole peptidiche per quei sistemi
molecolari di cui sono disponibili in letteratura i dati strutturali e funzionali. In particolare, verrà
analizzato il riconoscimento molecolare tra MMP-2, TIMP-2 e MMP14 al fine di determinare le
proprietà strutturali e chimico-fisiche delle proteina target, dei suoi inibitori naturali e sintetici, e
dell’interfaccia di riconoscimento proteina-proteina. Queste informazioni permetteranno di definire
diverse famiglie di sequenze peptidiche e di costruire i corrispondenti modelli molecolari. Questi
ultimi verranno raffinati mediante cicli di minimizzazione energetica e dinamica molecolare, in
solvente in presenza del recettore, così da verificare la tenuta conformazionale delle nuove
molecole. Contemporaneamente inizierà lo studio dei sistemi MMP-2 (e/o MMP-14) e angiostatina
(e/o endostatina).
37
La prima serie di composti per il sistema MMP-2/TIMP-2/MMP14 verranno, quindi,
sintetizzate in fase solida. La strategia sintetica verrà opportunamente modificata rispetto alle
procedure standard qualora si dovessero sintetizzare sequenze che causano l’aggregazione del
peptide in crescita sulla resina o nel caso in cui gli accoppiamenti siano particolarmente difficili. I
peptidi verranno analizzati e purificati mediante HPLC a fase inversa e l’identità verrà accertata
mediante spettrometria di massa MALDI-ToF. Le molecole con promettente attività biologica
saranno sintetizzate in quantità sufficienti per effettuare gli studi di tipo strutturale.
Per quei sistemi di cui non è nota la struttura tridimensionale, eventualmente, si cercherà di
ottenere dei modelli tridimensionali teorici a bassa risoluzione, ricorrendo a metodiche di homology
modeling, che permetteranno di formulare delle ipotesi per il riconoscimento molecolare.
II Fase
In questo periodo verranno sintetizzati i peptidi angiostatina- ed endostatina-simili progettati
nella fase precedente. I vari peptidi sintetizzati saranno preliminarmente caratterizzati in soluzione
mediante tecniche spettroscopiche come dicroismo circolare e spettrofluorimetria. In particolare, il
dicroismo circolare potrà fornire informazioni sulla conformazione assunta dalle varie molecole in
soluzione. Se l’interazione tra macromolecola e il peptide avviene con una variazione
conformazionale sarà possibile eseguire delle titolazioni per determinare le costanti di legame.
Analogamente l’interazione potrà essere monitorata mediante spettrofluorimetria se avviene con
variazione della fluorescenza di cromofori intrinseci.
In questa fase si prevede di iniziare gli studi strutturali in soluzione (NMR) ed allo stato solido
(diffrazione di raggi x). In soluzione saranno effettuati esperimenti in diversi sistemi solvente, sulle
proteine purificate e marcate con 15N e/o 13C, mettendo anche a punto sequenze mono e
bidimensionali. La caratterizzazione strutturale allo stato solido sarà eseguita effettuando
esperimenti di cristallizzazione in condizioni controllate di pH e di temperatura in vari sistemi
tampone. Una volta effettuato lo screening ed ottenuto cristalli di dimensioni adatte saranno
eseguite raccolte di dati di diffrazione di raggi-X anche a bassa temperatura, utilizzando un
diffrattometro quattro cerchi o un diffrattometro anodo rotante con image plate in dipendenza della
complessità della molecola studiata. Quindi, si procederà alla risoluzione della struttura con diverse
tecniche ed approcci metodologici e al successivo raffinamento deidati. In tutti i casi in cui non sarà
sufficiente per la raccolta dei dati la potenza fornita dal generatore ad anodo rotante si utilizzerà il
tempo macchina presso la linea di luce di sincrotrone ELETTRA, Trieste, cui questa unità ha
accesso.
Gli studi strutturali saranno effettuati anche sul sistema MMP-2 (e/o MMP-14) e angiostatina
(e/o endostatina). Analogamente, saranno effettuate le cristallizzazioni dei complessi delle molecole
di natura peptidica, per i quali è stata dimostrata la formazione di addotti stabili, con i propri target
proteici.
I risultati dell’ indagine strutturale insieme alle informazione di carattere biologico forniranno
la base per modificare le molecole bioattive, permettendo sia di migliorare la capacità di binding sia
di variare le proprietà chimico-fisiche (solubilità, stabilità in vivo) lasciando inalterate le proprietà
biologiche.
III Fase
Nell’ultima fase di questo progetto verranno progettati e sintetizzati dei nuovi peptidi
carnosina-simili. Se possibile si cercherà di cristallizzare l’enzima carnosinasi.
In questa fase si completerà la caratterizzazione strutturale in soluzione e/o allo stato solido dei
complessi tra i peptidi sintetizzati ed i loro target. Per quei sistemi peptidici per i quali fossero
disponibili le informazioni strutturali e/o funzionali si procederà alla fase di ottimizzazione del
ligando e quindi di sintesi delle nuove molecole in modo che siano più specifiche e che abbiano una
maggiore affinità. In tale fase le molecole bioattive saranno modificate, sulla base delle
informazioni di tipo strutturale e dei saggi biologici, utilizzando amminoacidi non naturali,
sintetizzando derivati ciclici, ramificati, retroinversi e peptidi in cui il legame peptidico è
modificato.
38
Unità Operativa dell’Università di Roma “La Sapienza”
Sistemi Tetraazoporfirinici come Modelli per Studi di Problematiche attinenti alla
Biochimica
E’ da lungo tempo che il gruppo si occupa dello studio di sistemi macrociclici tetrapirrolici ad
alta delocalizzazione elettronica quali le porfirine ed analoghi tetraazaporfirinici (ftalocianine,
porfirazine, etc.). Una delle linee di lavoro di maggiore interesse attuale, che fa seguito a sviluppi
già presenti nella letteratura più e meno recente (44), è quello di avere nuovi sistemi macrociclici
che abbiano buone proprietà di solubilità in acqua, premessa necessaria per poter affrontare
processi di tipo biochimico per i quali il mezzo acquoso costituisce la sede naturale di
svolgimento.
Il gruppo di lavoro si è di recente interessato alla costruzione in laboratorio di molecole
macrocicliche di tipo tetraazaporfirinico che per la loro struttura di base permettono di subire
trasformazioni chimiche adatte a renderle solubili in acqua. Un esempio di molecola di recente
studiata in modo approfondito è l’ottapiridinotetrapirazinoporfirazina, I, una macromolecola che è
costituita da un sistema centrale tetrapirazinoporfirazinico ad alta delocalizzazione elettronica con
anelli piridinici agganciati all’esterno. Attraverso processi di quaternarizzazione degli N atomi
piridinici si è potuto giungere alla specie supercarica ottacationica II. Sia la specie I che la specie
II (M = 2H), come i loro derivati metallici di metalli bivalenti di transizione e non, sono state
approfonditamente studiate in termini di stabilità come materiali solidi ed in soluzione; ne è stato
esaminato il comportamento spettroscopico UV-visibile per una interpretazione della loro struttura
elettronica ed è stato compiuto un approfondito studio del loro comportamento elettrochimico
(quest’ultimo solo per la specie I e relativi metallo-derivati). Della specie II e suoi metalloderivati è prevista a breve un’indagine elettrochimica per evidenziare un comportamento redox
che sarà interessante confrontare con quello dei corrispondenti prodotti non quaternarizzati.
N
N
N
N
N
H3C
H3C
N
N
N
N
N
+
N
N
N
+
N
I
CH3
N
N
N
N
N
N
N
N
CH3
N
M
N
N
NH
+
N
N
N
N
N
N
N
HN
N+
H3C
N
+
N
N
CH3
N
N
N
N
N
+
N
N
N
+
N
CH3 H3C
+
N
II
Le specie quaternarizzate acquosolubili sono molto interessanti per una prossima
programmazione di studi di possibili forme di contatto con biomolecole quali le metalloproteine o
gli acidi nucleici. E’ in corso uno studio preliminare per una rappresentazione completa di ciò che
è stato fatto in letteratura al riguardo, limitatamente ai sistemi porfirinici o ad analoghi macrocicli
porfirazinici. E’ recente un’indagine condotta su un sistema supercarico di tipo porfirazinico, il
2,3,7,8,12,13,17,18-ottakis(N-metil-4-piridiniumil)porfirazina (45), ed il suo binding al double
stranded calf thymus (CT) DNA (46), studi nei quali è stato messo in evidenza un forte legame del
macrociclo supercarico con lo stesso DNA.
Nell’esperienza del gruppo di lavoro rientrano anche progetti riguardanti la sintesi di
cosiddetti “sistemi a bassa simmetria “, dei quali è riportato un esempio qui di seguito.
39
+
N CH
3
+
H3C N
N
N
N
+
N
CH3
N
CH3
+
N
N
N
N
N
N
+
N
M
N
N
H3C
N
N
N
N
N
Se
N + CH3
III
I tentativi di giungere alla sintesi di questo macrociclo sono stati iniziati già da tempo. Da essi
emerge una grande difficoltà nell’isolamento e purificazione della corrispondente specie non
quaternarizzata, la tris(dipiridinopirazino)mono(seleno-diazolo)porfirazina. Il superamento delle
difficoltà di purificazione possono aprire la strada al processo di deselenazione dell’anello
selenodiazolico, con formazione di un gruppo esterno di tipo cis-diamminico in grado di
coordinare PtCl2 con l’ottenimento di un sistema di tipo cis-platino. Il successivo processo di
quaternarizzazione dei sei anelli piridinici esterni a dare la specie III, avente caratteristiche di
solubilità in H2O, risulterebbe nella formazione di una specie rappresentata schematicamente qui di
seguito (IV, M = 2H o metallo bivalente). Tale specie potrebbe essere adatta ad affrontare alcune
problematiche legate all’esame della sua risposta biochimica come agente anticancro.
N
N
N
N
N
M
N
N
NH 2
N
H2N
Pt
Cl
Cl
(IV)
Il gruppo di lavoro si propone altresì, nell’arco del triennio 2005-2007, di verificare la
possibilità di sviluppare una chimica innovativa legata alla presenza dei gruppi cis-diamminici sul
macrociclo porfirazinico per la preparazione di ulteriori specie macrocicliche solubili nel mezzo
acquoso.
40
L'uso della Spettroscopia d'Assorbimento dei raggi X (XAS) come mezzo utile ed unico per
la caratterizzazione strutturale di metalloproteine o proteine attivate da metallo e di composti
modello correlati.
La caratterizzazione strutturale e l'accurata determinazione delle proprietà geometriche dei siti
attivi delle proteine sono fondamentali per la comprensione della funzione e del meccanismo
catalitico presente. Per le metalloproteine o per i composti biologici attivati da metalli è importante
descrivere le correlazioni tra lo stato di coordinazione del metallo, lo stato elettronico del metallo e
la funzione della proteina o macromolecola.
Con campioni cristallini la Diffrazione a raggi X (XRD) può lasciare ambiguità sulla
coordinazione del metallo, specialmente alla presenza di piccole molecole leganti, o non legate o
parzialmente legate, e non può provare lo stato redox del metallo. L'uso della Radiazione di
Sincrotrone (SR) ha permesso la determinazione delle strutture XRD di proteine a risoluzione
atomica (dove i legami C-C sono visibili), ma è difficile l'applicazione della XRD a studi
conformazionali legati a fattori redox, di pH, di solvente, ed allosterici.
Con campioni non cristallini, tuttavia, è difficile estrarre accurate informazioni sui dettagli
strutturali dello stato di coordinazione anche con le usuali spettroscopie. Infatti, la spettroscopia
UV/Vis può essere poco sensibile alla presenza di una simmetria assiale e l'interpretazione
strutturale è dipendente dalla temperatura a causa delle vibrazioni nucleari. La correlata
spettroscopia di Risonanza Elettronica Paramagnetica (EPR) può rilevare dettagli strutturali solo a
bassa temperatura. La Spettroscopia di Risonanza Raman può essere molto sensibile all'intorno del
metallo, ma le frequenze Raman di stretching e bending metallo-legante ed i loro shifts solo in
pochi casi sono stati assegnati e correlati, senza ambiguità, con i legami e con variazioni della loro
lunghezza.
La Spettroscopia d'Assorbimento dei raggi X (XAS) è un'importante tecnica di SR che con lo
studio dello spettro d'assorbimento consente di investigare la struttura locale dei centri metallici nei
materiali.
XAS comprende sia la spettroscopia XANES (X-ray Absorption Near Edge Structure), che
studia lo spettro d'assorbimento X della soglia fino a 50-100 eV, sia la spettroscopia EXAFS
(Extended X-ray Absorption Fine Structure), che analizza un'estesa regione d'energia sopra la
soglia. L'estensione della regione d'energia degli spettri XAS da 50-100 eV è limitata dal rapporto
segnale-rumore dei dati raccolti.
Le proprietà della sorgente di SR sono uniche e rendono la spettroscopia XAS unica.
Di seguito sono riportate le proprietà del mezzo XAS.
1) XAS è adoperabile in ogni stato fisico del campione.
2) XAS è adoperabile in qualsiasi condizione di intorno.
3) XAS può essere applicata a qualsiasi elemento (in principio) ed è elemento-specifica.
4) Elementi, silenti o difficili per le spettroscopie UV/Vis o EPR e NMR, sono accessibili a
XAS.
5) XAS è sensibile allo stato redox dell'elemento.
6) XAS è molto sensibile ai dettagli strutturali (coordinazione, simmetria complessiva,
distanze ed angoli di legame) ed è un indicatore di strutturale locale.
7) Gli spettri XAS alla soglia (regione XANES) non hanno diretta dipendenza dalla
temperatura (nessun effetto di vibrazione nucleare).
Per tutte queste ragioni XAS può essere applicata per studiare sia la struttura geometrica ed
elettronica sia il comportamento dinamico di molti sistemi biologici e di composti modello correlati.
L'approccio XAS permette di determinare la struttura dei centri metallici a risoluzione subatomica
e permette di distinguere lo stato redox del centro metallico. Cambiando le condizioni di intorno,
differenti conformazioni del metallo modulate da stati d'equilibrio possono essere caratterizzate.
Dall'analisi dei dati sperimentali della regione EXAFS e maggiormente dalla regione XANES,
essendo le strutture XANES indicatori dell'ossidazione e dello stato di spin del metallo e della
41
struttura locale metallo-legante, è possibile ottenere la struttura geometrica del sito assorbitore entro
5-6 Å.
Molti dei primi studi EXAFS sono stati condotti con l'approccio dell'approssimazione a singola
diffusione (single scattering, SS), una teoria che è stata dimostrata essere errata specialmente nel
caso di siti attivi circondati da istidine. Per questo motivo negli anni sono apparse delle difformità
tra i risultati EXAFS e XRD. Il recente sviluppo di nuovi approcci analitici, basati sulla teoria a
diffusione multipla (multiple scattering, MS) di onde sferiche, permette di migliorare lo studio degli
spettri XAS e, oggi, parecchi avanzati programmi sono capaci di analizzare la regione EXAFS degli
spettri in modo soddisfacente (47-54).
Lo studio della regione XANES è difficile, dal momento che piccole differenze nella
geometria di coordinazione (cioè differenti conformazioni legate a variazioni d'angoli di legame o
movimenti di legante assiale attorno al centro metallico) possono produrre importanti cambiamenti
nella forma e nell'intensità delle strutture di soglia. Quindi, per razionalizzare quantitativamente i
segnali XAS nella regione di soglia degli spettri sperimentali d'assorbimento è necessario usare la
teoria di MS completo. Le difficoltà di un'analisi quantitativa completa degli spettri XANES
derivano, principalmente, dall'approssimazione teorica usata per il potenziale. Per questo motivo
l'analisi XANES è stata usata, in modo qualitativo, come un supporto agli studi EXAFS e correlata
a composti a struttura nota. Negli ultimi anni calcoli MS nella regione di soglia sono stati resi
possibili da differenti programmi di calcolo. L'abilità di analizzare in modo quantitativo o semiquantitativo la parte XANES di uno spettro XAS permette di ottenere una rappresentazione
strutturale completa del campione determinandone i dati strutturali come gli angoli di legame che
sono molto difficili da ottenere con l'EXAFS ed ad una risoluzione paragonabile a quella degli studi
di XRD. Molte applicazioni d'analisi XAS, con entrambi gli approcci EXAFS e XANES, sono state
presentate in questi anni (55-60). Tuttavia solo recentemente con una nuova procedura di calcolo,
chiamata MXAN (61), è stato possibile ottenere un completo fit geometrico anche per questa
regione in tempi di calcolo ragionevoli.
Recentemente abbiamo considerato e risolto alcuni aspetti fondamentali del sito binucleare a rame
di tipo 3 per i derivati met- e met-azide d'emocianine (Hcs) da Octopus vulgaris (mollusco) e
Carcinus aestuarii (artropode) a pH 7.5 (cioè corretti valori delle distanze Cu-Cu, distorsione
assiale se presente al sito a rame, presenza e tipo di gruppi a ponte) (62). In quel lavoro abbiamo
riportato risultati EXAFS di SS con il metodo a filtro di Fourier per la prima shell e risultati parziali
di un'analisi EXAFS di MS dell'intero spettro. Per confermare l'analisi della regione EXAFS è stato
anche riportato un approccio XANES qualitativo. L'accuratezza dell'analisi dei dati è stata testata
con i correlati composti modello dei sistemi leganti a poli(benzoimidazolo) 2-BB (63), L-5,5 e L6,6 (64), mononucleari e binucleari rispettivamente. Per il problema biologico connesso alla
caratterizzazione strutturale di questi derivati di Hcs e per le implicazioni biofisiche dei risultati
XAS ottenuti si rimanda a quello studio.
In un lavoro in pubblicazione (65) abbiamo presentato e focalizzato l'attenzione sui calcoli MS
che sono stati usati per raggiunger i risultati EXAFS delle forme met-Hc dei due phyla a pH 7.5 e
sulle possibilità aperte dai calcoli MS nella regione XANES (66). Per rifinire la modulazione
EXAFS dello spettro d'assorbimento abbiamo utilizzato un approccio composito ed avanzato con il
cui è stato possibile superare alcuni complessi problemi dovuti sia alla presenza di due atomi
assorbitori sia al fatto che nello spettro il contributo metallo-metallo si sovrappone ai segnali CuHis. Con calcoli XANES di MS è possibile estrarre informazioni quantitative dalla zona di soglia
dello spettro in modo da rifinire la struttura del sito anche nel caso di un centro binucleare.
Alla luce dei risultati attenuti con le simulazioni XANES di MS sulle forme met-Hc (65), abbiamo
iniziato ad usare il programma MXAN per ottenere il fit della regione XANES dello spettro
sperimentale della forma met-Hc da O. vulgaris a partire dalla struttura 1LL1 del codice PDB. I
risultati preliminari dei fit geometrico della regione XANES di questo spettro sono stati pubblicati
(67). Questi dati preliminari sono il primo tentativo di ottenere risultati quantitativi con la
spettroscopia XANES applicata al sito binucleare a rame di tipo 3 di una forma met-Hc da O.
vulgaris. Il raffinamento del best-fit dei due centri a Cu(II) della forma met-Hc da O. vulgaris è in
42
corso, ma è importante rilevare che le due minimazzioni (ottenute con procedure differenti) portano
a due differenti strutture per i due siti a Cu(II) ma allo stesso minimo per la distanza Cu-Cu. Ciò è
in accordo con il fatto che l'applicazione di questo codice di calcolo a parecchi casi-test ha mostrato
che la soluzione di best-fit è indipendente dalle condizioni di partenza e dalla strategia di
minimizzazione. Prima di iniziare questa serie di fits, abbiamo testato l'accuratezza
dell'applicazione dell'analisi con MXAN sullo spettro del complesso cationico mononucleare [Cu(2BB)-N3]+ (63) con dati XRD (dati da pubblicare). Una simile procedura di best-fit è anche in corso
per la forma met-Hc di C. aestuarii a pH 7.5.
Le simulazioni XANES MS ed i fits saranno estesi ai derivati met- e met-azide di Hcs degli
stessi phyla a pH 5.5 ed ai composti modello binucleari dei leganti L-5,5 e L-6,6 (64) da noi
considerati (62). Partendo dai calcoli MS (dati da pubblicare) che sono stati usati per ottenere i
risultati EXAFS per questi siti binucleari a rame 3 (62), vogliamo raggiungere, con l'applicazione
della spettroscopia XANES MS, un'accurata determinazione quantitativa dei contributi strutturali
locali e quindi la caratterizzazione della struttura fine del sito.
I derivati met- delle proteine manifestano un'effettiva interazione di superscambio tra i centri
metallici vicini (no EPR). Per i complessi bis(idrosso)- dei leganti L-5,5 e L-6,6 (64) che sono dei
buoni modelli di queste forme delle proteine Hcs, lo spettro NMR di protone è osservabile. In alcuni
casi sono stati osservati segnali stretti, indicativi di un effettivo forte accoppiamento
antiferromagnetico, in altri casi dai segnali NMR relativamente stretti si può supporre la presenza di
gruppi a ponte tra i due ioni metallici. Le caratteristiche XANES dei complessi bis(idrosso)- e
bis(aquo)- sono molto diverse (62) e, quindi, si possono ipotizzare diversità nella disposizione degli
orbitali magnetici del rame. Con calcoli MS nella regione di soglia, sarà possibile dedurre per la
struttura dello stato fondamentale lo stato (tripletto o singoletto) della polarizzazione di spin e la
separazione energetica tra i due stati. Nel caso degli addotti con azide, tramite la caratterizzazione
XAS della struttura e la descrizione, in termini di spin polarizzazione, del modo specifico di legame
dell'azide si può arrivare ad un'interpretazione delle proprietà magnetiche della loro unità
binucleare.
L'esperienza maturata sarà messa a disposizione dei ricercatori delle unità del CIRCMSB
qualora siano interessati a risolvere, quantitativamente, la coordinazione e la geometria di centri
metallo-leganti in sistemi biologici ed in composti modello correlati. Gli esperimenti potrebbero
essere eseguiti, dopo presentazione di progetto, presso la struttura ESRF dove abbiamo condotto il
progetto sulle Hcs (ESRF proposal LS-861).
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BIOMINERALIZZAZIONE, BIOCRISTALLOGRAFIA E
BIOCRISTALLOGRAFIA AMBIENTALE
I progetti di questa linea di ricerca sono diretti allo studio avanzato, soprattutto di tipo
strutturale, di sistemi biologici con lo scopo principale di riuscire a simulare i processi naturali per
progettare e preparare nuovi materiali strutturali e materiali biocompatibili, nonchè di accumulare le
conoscenze scientifiche indispensabili per sviluppare applicazioni biotecnologiche nei diversi
settori da quello ambientale a quello farmacologico ed agro-industriale.
1 – Biomineralizzazione
a) Base scientifica e tecnologica:
La biomineralizzazione è il processo mediante il quale gli organismi formano dei materiali
compositi, costituiti da macromolecole e minerali, con una grande varietà di proprietà adeguate alle
funzioni che debbono svolgere. I processi di biomineralizzazione consistono nella conversione di
ioni in soluzione in composti solidi attraverso attività cellulari che rendono possibili i cambiamenti
chimico fisici necessari per la formazione dei biominerali e la loro crescita cristallina. La funzione
più ovvia dei biominerali è quella di costituire strutture di supporto e protezione, tuttavia vengono
anche ampiamente utilizzati in diversi organismi come sensori, oltre che come regolatori della
concentrazione di ioni liberi.
Gli studi sulla struttura dei tessuti biologici e sui meccanismi di formazione dei biominerali
sono estremamente importanti per la progettazione di nuovi biomateriali. Nei tessuti biologici non
viene spesa energia per modificare materiali e strutture non funzionanti, ma piuttosto per
ottimizzare le microstrutture di quelle operanti. Inoltre i tessuti mineralizzati sono per lo più
materiali compositi sofisticati in cui i componenti e le interfacce fra di essi sono stati definiti ed
ottimizzati. Pertanto questi sistemi rappresentano modelli ideali a cui ispirarsi per la progettazione e
sviluppo di nuovi biomateriali.
La comprensione delle diversità morfologiche dei tessuti biologici mineralizzati, dal
rivestimento microscopico degli organismi unicellulari fino ai gusci macroscopici di organismi
marini, ed all'osso e ai denti dei vertebrati, hanno stimolato da secoli l'immaginazione e la curiosità
dei ricercatori. Non meno stimolanti sono le particolari proprietà meccaniche che posseggono molti
di questi materiali. La chiave per la comprensione delle proprietà meccaniche risiede chiaramente
nella struttura sviluppata dagli organismi stessi. L'architettura di questi materiali coinvolge alcune
delle comuni strategie usate nei materiali sintetici quali compositi a fibre rinforzate o a strati.
Un'altra strategia fondamentale che molti organismi impiegano nella costruzione di questi materiali
consiste nel controllo del minerale depositato. Ben noti esempi sono: le conchiglie dei molluschi e
gli aculei del riccio di mare per quanto riguarda i tessuti contenenti come minerale il carbonato di
calcio, oppure l'osso ed i denti dei vertebrati nel caso dei tessuti contenenti come fase minerale i
fosfati di calcio. In questi tessuti le macromolecole sono organizzate in modo da formare una
matrice polimerica sulla quale sono adsorbite glicoproteine acide. La matrice controlla la crescita
della fase minerale interagendo sia con gli ioni inorganici che con le glicoproteine acide,
influenzando anche le proprietà meccaniche del composito.
Lo strato madreperlaceo delle conchiglie dei molluschi è stato il primo tessuto mineralizzato in
cui è stata determinata la relazione spaziale tra cristalli e matrice organica. I cristalli sono di
aragonite, il polimorfo del carbonato di calcio di poco meno stabile della calcite, che è il polimorfo
termodinamicamente più stabile dei quattro polimorfi cristallini del carbonato di calcio. Le
differenze strutturali fra calcite ed aragonite sono molto piccole e sono principalmente confinate
alle posizioni degli ioni carbonato. Malgrado queste piccole differenze molti organismi controllano
a livello genetico la formazione di uno dei due polimorfi. Esistono diversi esempi in cui la calcite si
forma in un sito e l’aragonite in un altro sito dello stesso organismo. La vaterite e la
monoidrocalcite sono gli altri due polimorfi cristallini del carbonato di calcio. Ambedue sono
relativamente instabili, ma si formano e sono stabilizzati in alcuni organismi. Esistono anche, in
47
biologia, esempi di formazione di carbonato di calcio amorfo stabile. La comprensione del controllo
del polimorfismo del carbonato di calcio in biologia richiede la soluzione di problemi connessi alla
nucleazione controllata, ma soprattutto la risposta a domande ancora più interessanti relative ai
vantaggi, che un polimorfo più di un altro può arrecare all’organismo. Uno degli obiettivi di questo
programma di ricerca è quello di tentare di capire le basi molecolari per la deposizione di uno o di
un altro di questi polimorfi con assoluta fedeltà.
La matrice polimerica dello strato madreperlaceo delle conchiglie dei molluschi è costituita da
uno strato interno di beta-chitina posto tra due strati polimerici di macromolecole simili alla fibroina
della seta, ricoperti da glicoproteine acide su cui avviene la nucleazione dell’aragonite. E’ stato
anche mostrato che esiste una relazione spaziale fra gli orientamenti dei componenti della matrice e
degli assi cristallografici dell’aragonite. Un modello della matrice è stato costruito usando la βchitina della penna di calamaro e la fibroina della seta. Aggiungendo a questo substrato le
macromolecole acide estratte dagli strati aragonitici o calcitici delle conchiglie di mollusco, è stato
dimostrato che le macromolecole estratte dallo strato aragonitico inducono riproducibilmente la
cristallizzazione dell’aragonite e quelle estratte dallo strato calcitico la cristallizzazione della
calcite. Questi studi hanno dimostrato che l’induzione della cristallizzazione dell’aragonite o della
calcite è interamente dipendente dalle proprietà strutturali del substrato. Recenti studi hanno anche
dimostrato che il polimorfismo del carbonato di calcio può essere controllato facendo avvenire la
cristallizzazione su matrici collagenose contenenti poli-L-aspartato. L’impiego di queste matrici
hanno anche permesso di dimostrare che il microambiente, in cui avviene la cristallizzazione
all’interno della matrice, condiziona l’assemblaggio dei cristalli.
Nel tessuto osseo, il processo di biomineralizzazione consiste nella deposizione ordinata di
cristalli di idrossiapatite su una matrice collagenosa. Studi condotti prevalentemente con tecniche di
diffrazione di raggi X e di microscopia elettronica hanno permesso di evidenziare una stretta
relazione strutturale tra i due componenti ed hanno portato alla formazione di un modello per la
calcificazione delle fibre collagene. Secondo questo modello, in un primo stadio del processo di
biomineralizzazione l’apatite è nucleata nella regione a minore densità elettronica della struttura
fibrillare del collageno formando dei blocchi inorganici la cui densità elettronica aumenta
all’avanzare del processo. In uno stadio successivo la deposizione va ad interessare anche gli spazi
interfibrillari, dove si localizzano cristalli allungati e preferenzialmente orientati con il loro asse c
parallelamente all’asse delle fibre collagene. La notevole influenza della organizzazione strutturale
del collagene sulle modalità di deposizione della fase apatitica appare evidente anche dai risultati
dello studio eseguito sulla calcificazione in vitro di tendini decalcificati. La fase che si deposita in
seguito all’esposizione dei tendini a soluzioni metastabili di calcio e fosfato è una carbonato apatite
poco cristallina, le cui caratteristiche morfologiche e strutturali sono molto simili a quelle proprie
delle apatiti biologiche. Inoltre, i cristalli crescono con il loro asse cristallografico c
preferenzialmente orientato in direzione parallela a quella delle fibrille collagene. Inoltre, i dati di
diffrazione di raggi X a basso angolo dei campioni trattati con soluzioni a basso grado di
sovrasaturazione indicano che la deposizione della fase apatitica provoca modificazioni della
distribuzione di densità elettronica, che possono essere attribuite alla deposizione dei cristalli
inorganici nella regione “gap” della struttura fibrillare del collagene.
Il grado relativo di orientazione dei cristalliti apatitici e delle fibre collagene nei tessuti
calcificati puo' essere valutato rispettivamente dall'analisi della distribuzione dell'intensita' del
riflesso 002 dell'idrossiapatite e dei riflessi meridionali a basso angolo del collageno. Questo
approccio, utilizzato in diversi tessuti biologici calcificati sottoposti o meno a deformazione
meccanica, ha permesso di determinare l’orientazione relativa dei due componenti strutturali e
correlare le diverse proprieta' meccaniche alle diverse organizzazioni strutturali dei tessuti
esaminati. In particolare, sono state studiate le modificazioni strutturali indotte in osteoni singoli da
cicli successivi di carico/rimozione del carico. E’ stato verificato che il ciclaggio provoca una
riduzione del grado di orientazione dei cristalli apatitici, specialmente negli osteoni a struttura
longitudinale, in cui le lamelle longitudinali sono predominanti e non sono protette dall’azione
contenitiva delle lamelle trasversali come negli osteoni a struttura alterna. D’altra parte, il ciclaggio
48
non sembra alterare l’orientazione delle fibrille collagene, probabilmente perché il loro
disorientamento è un processo reversibile. Su queste basi, la degradazione meccanica degli osteoni
in seguito a ciclaggio è stata attribuita ad una separazione dei cristalli dalle fibrille collagene. Un
simile approccio è stato utilizzato per studiare l’organizzazione morfologica dei componenti
strutturali nella tibia di coniglio, che viene spesso utilizzato per testare la risposta del tessuto osseo
a materiali da impianto. I risultati, confrontati con quelli parallelamente ottenuti con tecniche di
microscopia ottica, indicano che sia i cristalli apatitici sia le fibrille collagene presentano una
preferenziale orientazione in direzione parallela all’asse lungo della tibia. Le differenze riscontrate
nella direzione dello spessore rispetto al piano delle lamelle parallele all’asse lungo della tibia,
indicano che entrambi i componenti giacciono preferenzialmente nel piano lamellare dove seguono
un percorso obliquo. Inoltre il grado di orientazione dei cristalli apatitici è maggiore nella faccia
laterale della tibia, rispetto alla caudale ed alla media, cosa di cui è bene tener conto nella
valutazione delle modificazioni strutturali dovute all’eventuale inserimento di una protesi.
Lo sviluppo di nuovi materiali che possano essere utilizzati per riparare difetti nel sistema
scheletrico rappresenta un importante obiettivo nella scienza dei biomateriali. I materiali in oggetto
dovrebbero essere in grado di espletare una quantità di funzioni, da quella cementante, a quella
strutturale a quella bioattiva. Allo stato attuale delle ricerche, i biomateriali utilizzati come sostituti
del tessuto osseo sono per lo più materiali ceramici ottenuti con processi ad elevate temperature, che
raramente sono in grado di interagire efficacemente con il tessuto osseo. La formazione di questi
legami è un obiettivo scientifico e tecnologico di notevole interesse. A questo scopo, e più in
generale per mettere a punto la preparazione di nuovi materiali con particolari proprietà
tecnologiche, sempre più attenzione viene rivolta alle soluzioni adottate dagli organismi viventi
durante i processi di biomineralizzazione per sviluppare materiali in cui la funzione viene
controllata dalla forma. Infatti gli organismi viventi hanno costruito scheletri mineralizzati per gli
ultimi 550 milioni di anni sviluppando una moltitudine di strategie, spesso diverse da quelle
utilizzate dall’ingegneria, per ottimizzare questi materiali. Processi biomimetici che simulano quelli
propri della biomineralizzazione sono stati utilizzati con successo per preparare materiali, quali
ossidi di ferro, apatite, solfuro di cadmio, che trovano impiego in diversi settori tecnologici. I
biominerali sono in genere compositi assemblati da materiali facilmente disponibili, di solito in
mezzo acquoso, a temperatura ambiente ed in modo da ottenere forme definite. L’idrossiapatite
sintetica, riveste quindi un notevole interesse come biomateriale per la sua elevata biocompatibilità.
In particolare, l’utilizzo di idrossiapatite nanocristallina, di dimensioni paragonabili a quelle dei
cristalli apatitici dell’osso, risulta particolarmente auspicabile in quanto l’elevata area superficiale
dovrebbe implicare una migliore adesione alla matrice ossea. Un ulteriore miglioramento può essere
ottenuto dall’utilizzo di compositi idrossiapatite/polimeri, le cui proprietà meccaniche possono
essere modulate attraverso un opportuno dosaggio dei due componenti. La presenza della
componente polimerica può migliorare notevolmente il legame interfacciale con il tessuto osseo.
Ottimizzare il legame interfacciale con il tessuto biologico significa ottimizzare l’adesione, la
diffusione, la migrazione e la proliferazione della componente cellulare. Tale obiettivo può essere
raggiunto anche attraverso la messa a punto di superfici nanostrutturate in grado di controllare la
nucleazione e crescita della fase inorganica.
BIBLIOGRAFIA
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11.Falini, G, Fermani, S, Gazzano, M, Ripamonti, A, Chem. Eur. J. (1997) 3, 1807; (1998) 6, 1408;
J. Mat. Chem. (1998) 8, 1061
b) Obiettivi specifici:
UNITA’ DI BOLOGNA
1) Biomimetics and Material Chemistry
A. Bigi, E. Boanini, S.Panzavolta
La chimica biomimetica è una scienza relativamente giovane indirizzata alla progettazione ed
alla realizzazione di nuovi materiali sintetici, utilizzando le strategie adottate dagli organismi
viventi per produrre i materiali biologici. Infatti, i compositi inorganici/organici sintetizzati dagli
organismi viventi spesso presentano peculiari proprietà morfologiche, strutturali e meccaniche, non
facilmente riproducibili con i metodi di sintesi convenzionali [1-3]. Pertanto possono essere
considerati modelli ideali a cui ispirarsi per la progettazione di materiali funzionali complessi. Gli
approcci biomimetici generalmente prevedono la simulazione di una o più delle diverse strategie
utilizzate dagli organismi viventi per controllare in modo selettivo la deposizione della fase
minerale al fine di ottenere un materiale appropriato per le specifiche esigenze biologiche [4]. Un
principio basilare nei processi di biomineralizzazione è il coinvolgimento delle macromolecole
presenti nella matrice organica nel controllo della nucleazione e crescita della fase inorganica [5,6].
Nel tessuto osseo, cosi come in moltri altri tessuti mineralizzati, la matrice organica comprende
macromolecole “strutturali” e macromolecole “acide”. La principale funzione delle macromolecole
strutturali, come il collagene nell’osso, è quella di agire da templato per la deposizione della fase
inorganica. Le macromolecole acide, grazie alla presenza dei gruppi carichi negativamente, come il
carbossilato, il fosfato ed il solfato, possono interagire con le superfici cariche dei cristalli e
condizionare la cristallizzazione e la crescita della fase minerale. La fase inorganica dell’osso e dei
denti viene descritta come una carbonato apatite poco cristallina, non stechiometrica, caratterizzata
da un rapporto Ca/P minore del valore stechiometrico di 1.67 e da cristalli di dimensioni
insolitamente piccole. Inoltre, si ritiene che le apatiti biogeniche rappresentino la fase finale di un
processo in cui altri fosfati di calcio fungono da precursori [7]. E’ evidente che la produzione di
materiali compositi a base di fosfati di calcio riveste un notevole interesse per lo sviluppo di nuovi
materiali, ed in particolare di biomateriali innovativi in grado di riparare difetti nel sistema
scheletrico.
In questo ambito, nel triennio 2005-2007 verranno sviluppate le seguenti linee di ricerca:
1. Sintesi di ibridi a base di fosfati di calcio e di molecole biologicamente attive:
50
L’utilizzo di molecole e macromolecole biologicamente attive durante la sintesi di fosfati di
calcio permette di modulare la cristallinità, la morfologia e la stabilità dei cristalli inorganici, e la
biodegradabilità, la bioattività e le proprietà meccaniche dei prodotti finali [8,9]. In particolare
saranno utilizzati aminoacidi, poliaminoacidi e polielettroliti, cosi come altre molecole e
macromolecole ricche di gruppi carichi, quali sistemi modello delle macromolecole acide coinvolte
nei processi di calcificazione. Queste molecole verranno introdotte come additivi durante la sintesi
in soluzione acquosa di idrossiapatite, Ca10(PO4)6(OH)2 (HA), e di altri fosfati di calcio di interesse
biologico. Verranno utilizzate anche reazioni di idrolisi in presenza di polimeri sintetici e/o
biologici in soluzione allo scopo di verificare il ruolo di macromolecole ricche in gruppi carichi
sulla stabilità relativa dei fosfati di calcio e sui processi di conversione di fase in soluzione acquosa,
e metodi alternativi di sintesi, come la sintesi sol-gel. Le proprietà chimico-fisiche dei prodotti
ottenuti saranno caratterizzate utilizzando tecniche di diffrazione di raggi X, di microscopia
elettronica a scansione e/o a trasmissione, tecniche spettroscopiche e spettrofotometriche.
2.
Deposizione di fosfati di calcio su matrici microstrutturate:
E’ noto che la stessa molecola che in soluzione può inibire la nucleazione e crescita di una fase
inorganica, può agire invece da promotore della nucleazione se adsorbita su un substrato. Inoltre la
struttura del substrato stesso condiziona notevolmente le modalità di deposizione della fase
inorganica [10]. Verrà pertanto studiata la nucleazione e crescita in vitro di fosfati di calcio su
matrici funzionalizzate, come polimeri arricchiti con gruppi carichi, e superfici polimeriche e
metalliche microstrutturate contenenti domini in grado di promuovere la nucleazione e crescita
ordinata di nanocristalli di fosfato di calcio. L’esposizione delle matrici al contatto con soluzioni
contenenti ioni calcio e ioni fosfato per periodi di tempo diversi, e la loro successiva completa
caratterizzazione strutturale e morfologica, permetterà di valutarne l’influenza sulla nucleazione e
crescita di fosfati di interesse biologico. Inoltre, la calcificazione di tali matrici permetterà di
ottenere una microstruttura di fosfato di calcio, e quindi un materiale composito microstrutturato
che unisce alle proprietà della matrice microstrutturata quelle osteoinduttive del fosfato di calcio.
3.
Caratterizzazione chimica e strutturale di tessuti calcificati:
Verrà analizzata la relazione strutturale tra fibre collagene e cristalliti inorganici, e le
caratteristiche chimiche, morfologiche e strutturali dei cristalli biogenici, in tessuti calcificati di
diversa origine e funzione al fine di acquisire ulteriori informazioni sui meccanismi coinvolti nei
processi di biomineralizzazione. In particolare questi studi saranno effettuati utilizzando tecniche di
diffrazione di raggi X ad alto e basso angolo con sorgenti convenzionali e luce di sincrotrone [11].
4. Nuovi biomateriali per applicazioni nel settore ortopedico.
I fosfati di calcio rivestono un notevole interesse come biomateriali per applicazioni nel settore
ortopedico grazie alla loro capacità di formare legami con i tessuti circostanti [12]. In questo ambito
verranno studiati:
a) Cementi ossei a base di fosfati di calcio. I cementi ossei a base di fosfati di calcio sono
biocompatibili, bioattivi, facilmente modellabili, e possono essere utilizzati in un ampio spettro di
applicazioni chirurgiche. Verranno ottimizzate le condizioni di preparazione di cementi ossei
apatitici, e verrà studiata l’influenza di alcuni parametri sulla reazione di indurimento e sulle
proprietà chimico fisiche dei cementi.
b) Compositi
fosfati
di
calcio-polimeri
biodegradabili
Materiali
compositi
inorganici/polimerici trovano ampie applicazioni come materiali sostitutivi del tessuto osseo. In
particolare, i materiali più studiati sono a base di idrossiapatite e polimeri biodegradabili, in cui la
stabilità, la degradabilità e le proprietà meccaniche sono determinate dalla composizione e dalla
51
struttura del composito. La ricerca prevede la messa a punto della preparazione dei compositi,
utilizzando fosfati di calcio e polimeri e copolimeri biodegradabili, e la caratterizzazione delle loro
proprietà chimiche, strutturali, morfologiche e meccaniche.
c) Rivestimenti di substrati a base di Ti. I materiali a base di Ti trovano largo impiego nel
settore delle protesi ortopediche e dentarie, grazie anche alle ottime proprietà meccaniche del
Titanio e delle sue leghe metalliche. La qualità degli impianti può essere migliorata tramite
rivestimenti in grado di accelerare il processo di osteointegrazione e di controllare la formazione di
legami con il tessuto connettivo circostante la protesi. A tal fine verranno messi a punto metodi
biomimetici di rivestimento di substrati di Ti o di leghe di Ti con fosfati di calcio aventi specifiche
proprietà chimiche, morfologiche e strutturali. Inoltre saranno sintetizzati nanocristalli di HA e
cristalli di ottacalcio fosfato, Ca8H2(PO4)6•5H2O (OCP), variamente modificati, da utilizzare per
effettuare rivestimenti tramite tecniche fisiche, quali la Pulsed Laser Deposition.
I risultati di queste ricerche forniranno informazioni utili non solo per la preparazione di
materiali innovativi, ma anche per acquisire nuove conoscenze sulle proprietà chimiche e strutturali
dei fosfati di calcio e sui meccanismi che regolano i processi di biomineralizzazione.
BIBLIOGRAFIA
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[2] A.H. Heuer, D.J. Fink, V.J. Laraia, J.L. Arias, P.D. Calvert, K. Kendal, G.L. Messing, J.
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[11] MG Ascenzi, A Ascenzi, A Benvenuti, M Burghammer, S Panzavolta, A Bigi, J Struct Biol
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[12] W Suchanec, M Yoshimura, J Mater Res 13 (1998) 94-117.
2) Environmental and Biological Structural Chemistry
G. Falini, E. Foresti, B. Palazzo, N. Roveri, M.C. Sidoti
I progetti di questa linea di ricerca sono diretti allo studio avanzato, soprattutto di tipo
strutturale, di sistemi biologici con lo scopo principale di riuscire a simulare i processi naturali per
progettare e preparare nuovi materiali strutturali e materiali biocompatibili, nonché di accumulare le
conoscenze scientifiche indispensabili per sviluppare applicazioni biotecnologiche nei diversi
settori da quello ambientale a quello farmacologico ed agro-industriale.
52
1)
Interazione chitina-seta: rilevanza nella formazione del carbonato di calcio negli
invertebrati (G. Falini)
Nei tessuti mineralizzati, quali le conchiglie, la chitina è sempre associata a proteine, molte
delle quali hanno delle sequenze in grado di riconoscere questo polisaccaride. Inoltre, nella matrice
organica associata alla conchiglia dei molluschi è stata osservata una relazione strutturale ben
definita tra gli assi cristallografici dei cristalli e le fibrille di chitina. Questo implica che il substrato
a base di chitina funziona, direttamente o indirettamente, come templato per la nucleazione della
fase minerale. E’ quindi di notevole interesse capire l’esatta natura dell’interfaccia tra chitina e
proteine nei tessuti mineralizzati a livello molecolare. La matrice organica della conchiglia dei
molluschi contiene due differenti classi di proteine. Una classe, ricca di glicina e alanina, adotta una
conformazione beta e possiede una sequenza di amminoacidi simile alla fibrina della seta. L’altra
classe è un complesso insieme di glicoproteine idrofiliche, molte delle quali sono ricche in residui
aspartici. Tale matrice organica, secondo un modello ottenuto tramite studi di microscopia
elettronica a trasmissione in condizioni criogeniche, è costituita da un idrogel di seta intrappolato in
una struttura costituita da chitina. Un simile assemblaggio sintetico è stato prodotto utilizzando
della chitina beta estratta dalla penna di calamaro (Loligo vulgaris), della fibrina della seta estratta
dai bozzoli di Bombyx mori e le glicoproteine acide estratte da diversi tessuti mineralizzati. Si è
dimostrato come questo assemblaggio supramolecolare sia in grado di controllare il polimorfismo
del carbonato di calcio.
Tutti i componenti dell’assemblaggio hanno un ruolo specifico e solo la loro ordinata e
definita associazione permettere di ottenere la funzione di controllo. Misure di fluorescenza hanno
dimostrato come la seta sia intimamente associata alle fibre di chitina, sebbene il meccanismo di
interazione non era stato ben definito, sia nell’assemblaggio artificiale che nel sistema in vivo.
L’importanza dell’interazione tra la chitina e le proteine è stata dimostrata mediante la sintesi
di un assemblaggio nel quale si è variata la composizione relativa dei componenti e si è resa
massima la loro interazione a livello molecolare. Tale studio ha dimostrato come la chitina conservi
la sua struttura fibrillare e come la seta sia effettivamente presente in uno stato di gel, in accordo
con il modello proposto.
L’obiettivo principale delle ricerche in programma è di chiarire il ruolo della matrice
macromolecolare sulla deposizione e crescita di sali di calcio durante i processi di mineralizzazione
attraverso lo studio della nucleazione e crescita in vitro di fasi minerali su matrici, che simulino i
sistemi naturali. Il significato di questo studio inizialmente consisterà nel miglioramento delle
conoscenze dei problemi più stimolanti della biomineralizzazione. L’attesa, però, è di utilizzare tali
conoscenze, in particolare quelle riguardanti il modo di ottimizzare la crescita di minerali, per
progettare, preparare e caratterizzare biomateriali a base di sali inorganici e macromolecole
biologiche con proprietà meccaniche e strutturali prestabilite.
Obiettivi specifici.
Verranno analizzate la struttura, le proprietà meccaniche e la stabilità di alcuni polimeri
biologici, quali collageno, gelatina, fibrina, chitina, fibroina della seta. Verrà inoltre valutata
l’influenza dell’orientamento, ottenuto per deformazione meccanica, e della reticolazione con agenti
chimici e fisici su questi parametri. I dati ottenuti verranno utilizzati per la realizzazione di matrici
composite del tipo collageno o gelatina e polielettroliti, capaci di simulare la matrice
macromolecolare su cui avviene la deposizione biologica di fosfati di calcio, o del tipo chitina e
fibrina della seta, capaci di simulare la deposizione di carbonato di calcio negli organismi marini.
Particolare attenzione verrà posta agli aspetti strutturali della matrice in vivo, tramite studi di
diffrazione di raggi X utilizzando sorgenti di sincrotrone con micro-fascio. Tale studio si avvarrà
dell’esperienza fornita dalla collaborazione con vari gruppi stranieri, per la scelta delle matrici di
maggior rilevanza biologica sia dal punto di vista evoluzionistico che strutturale.
53
2) Sintesi biomimetiche e autoassemblaggio molecolare
G.Falini, E.Foresti, B.Palazzo, N.Roveri, M.C.Sidoti
Il termine biomineralizzazione si riferisce al processo mediante il quale gli organismi
biologici, da quelli unicellulari all’uomo formano minerali in grado di svolgere funzioni biologiche
specifiche.
La formazione del tessuto osseo nei vertebrati superiori e’ sicuramente uno dei processi di
biomineralizzazione piu’ interessanti e piu’ studiati. Il tessuto osseo e’ costituito da fibre di
collagene I associate in modo ordinato con cristalli di fosfato di calcio. Processi di mineralizzazione
analoghi a quello che si ha nell’osso si osservano anche in altri sistemi quali la dentina e il tendine
mineralizzato. Sebbene vi siano differenze nell’ organizzazione ultrastrutturale di questi tessuti, essi
sembrano avere molte proprieta’ comuni nell’ organizzazione molecolare. Inoltre durante il loro
processo di formazione essi seguono tutti lo stesso meccanismo: il componente organico (collagene)
viene sintetizzato, estruso dalla cellula, e si auto-assembla nella matrice extracellulare prima che
abbia inizio il processo di biomineralizzazione. Per questa ragione, l’osso e’ un ottimo esempio di
processo di mineralizzazione mediato da matrice organica (collagene).1
Sono stati identificati almeno 19 tipi di collagene geneticamente diversi tuttavia il tipo I e’ il
piu’ abbondante e rappresenta il maggior costituente proteico dei tendini e delle ossa, mentre quello
di tipo II e’ il costituente proteico principale della cartilagine sinoviale.2 La molecola di collagene e’
costituita da tre catene polipetidiche , ciascuna avvolta in un’ elica sinistrorsa, stabilizzata da legami
idrogeno e con molecole d’acqua a ponte intercatena. Le tre eliche sono avvolte in una superelica
destrorsa per formare la caratteristica struttura coiled-coil, stabilizzata da reticolazioni inter e
intramolecolari. Le molecole di collagene hanno un peso di circa 300000 Dalton, una lunghezza di
circa 300 nm e un diametro di 1,3 nm. La conformazione a tripla elica e’ dovuta alla regolarita’
della sequenza amminoacidica, dove ogni terza posizione e’ occupata da una glicina ; questo porta
alla ripetizione lungo l’elica dell’unita’ tripeptidica Gly-X-Y, dove le posizioni X ed Y sono
frequentemente occupate dalla prolina e dall’idrossiprolina.
Alle estremita’ delle singole eliche questa sequenza non e’ rispettata, per cui le tre catene non
possono avvolgersi e assumere la tipica conformazione a tripla elica: queste regioni disordinate
sono dette telopeptidiche. Le molecole di collagene si assemblano per dare microfibrille che a loro
volta si assemblano in fibrille che formano infine la fibra collagene. Le fibrille sono stabilizzate da
legami di natura elettrostatica e da legami covalenti, formando reticolazioni che conferiscono alle
fibre collagene specifiche proprieta’ meccaniche, tra cui una forza tensile particolarmente elevata,
che rende il collagene il componente del tessuto connettivo a piu’ alto modulo elastico.
Sono stati ampiamente utilizzati approcci biomimetici per sintetizzare fosfati di calcio su
matrici macromolecolari che agiscono da templanti e inducono la deposizione del minerale lungo
direzioni preferenziali.3-9
I sistemi biologici sono in grado di conservare e processare le informazioni a livello
molecolare: sono state impiegate molecole di collagene I, private delle regioni telopeptidiche come
sorgente di informazioni per nucleare nanocristalli di idrossiapatite all’ interno delle fibre di
collagene autoassemblate.10
A partire da molecole di collagene di tipo I estratte da tendine equino private delle regioni
telopeptidiche sono stati preparati e caratterizzati film dal punto di vista meccanico, morfologico,
chimico e strutturale impiegando tecniche di Microscopia a Forza Atomica (AFM), Microscopia
Elettronica a Scansione (SEM) e Trasmissione (TEM), Analisi Termogravimetrica (TGA),
Calorimetria Differenziale a Scansione (DSC), Test meccanici, Diffrazione di Raggi X (XRD).
I risultati ottenuti hanno indicato la presenza di informazioni a livello molecolare che
consentono alla tripla elica del collagene di autoassemblarsi, ripristinando le reticolazioni
intermolecolari che rendono i film insolubili e caratterizzati da notevoli proprieta’ meccaniche.
Attraverso la deformazione meccanica (prestiro) e’ stato possibile ottenere films con proprieta’
54
termiche, strutturali e meccaniche molto vicine a quelle del tendine, ottenendo un livello di
rinaturazione pari al 93% per film al massimo grado di prestiro.11
Questi film possono essere impiegati come substrati per i processi di biomineralizzazione.
A questo scopo i film sono stati immersi in una soluzione metastabile di calcio e fosfato e a
tempi definiti sono state monitorate le concentrazioni di calcio e fosfato in soluzione: i risultati
preliminari mettono in evidenza un effetto della matrice sulla formazione di una fase minerale.
Infatti, in presenza di matrice si rileva un rapporto Ca/P pari a 1,69 molto vicino all’ 1,67 che si
riscontra nell’idrossiapatite, mentre in assenza di matrice questo rapporto assume il valore di 1,53.
In futuro ci si propone di:
• Studiare l’ interazione tra fase minerale e collagene mediante FT-IR Imaging
• Studiare la cristallinita’ dell’apatite mediante Diffrattometria a Raggi X
• Studiare i processi di biomineralizzazione impiegando come matrici film di collagene I
sottoposti ad un prestiro, per valutare l’effetto della deformazione meccanica sulla formazione dei
cristalli di fase minerale
• Studiare i processi di biomineralizzazione impiegando come matrici film di collagene con
telopeptidi per studiare l’effetto delle regioni telopeptidiche sul processo di biomineralizzazione.
• Caratterizzare film di collagene di tipo II con e senza telopeptidi.
• Impiegare membrane di collagene di tipo II come matrici per i processi di
biomineralizzazione.
• Valutare l’eventuale azione inibitrice del collagene II, estratto da cartilagine (tessuto non
mineralizzato), relativamente al processo di nucleazione di fase minerale.
BIBLIOGRAFIA
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Journal of Materials Chemistry.
3) Biomateriali costituiti da fosfati di calcio e xerogeli di silice con funzioni di
dispensatori di farmaci
E.Foresti, B.Palazzo, N.Roveri, P. Sabatino, M.C.Sidoti
Le funzionalità richieste ai biomateriali di terza generazione sono non soltanto la
biocompatibilità e la bioriassorbibilità ma anche la bioattività. Fra i materiali bioattivi si collocano
quelli in grado di agire come dispensatori di farmaci ovvero di rilasciare sostanze
farmacologicamente attive nell’intorno dell’impianto.1
55
La necessità di realizzare dispensatori di farmaci ad azione locale nasce dall’esigenza di
superare alcuni effetti negativi legati ai metodi di somministrazione tradizionali quali l’instabilità
del principio attivo e gli effetti tossici dovuti al sovradosaggio. Il target funzionale nella
realizzazione dei dispensatori è quello di raggiungere una velocità di rilascio programmabile in
virtù delle esigenze terapeutiche cui il farmaco è preposto e prolungata, tale da assicurare una
concentrazione di farmaco costante, efficace ma non tossica ed in grado di permanere
nell’organismo per il lasso di tempo desiderato.2
In questo ambito si colloca questa parte dell’ attività di ricerca che si è indirizzata verso la
sintesi di fosfati di calcio e xerogel di silice da utilizzare come “drug delivery agent”.
Entrambi i materiali trovano applicazione in chirurgia ortopedica e maxillo-facciale. Essi
risultano infatti essere osteoconduttivi in quanto su di essi preesiste 3 o, nel caso dei biovetri, viene
formato al momento del loro utilizzo nell’impianto, uno strato superficiale apatitico, condizione
necessaria alla formazione di nuovo osso.4 Inoltre i gel di silice trovano applicazione anche nella
preparazione di organi artificiali e risultano nuovi biomateriali da utilizzare per il rilascio
controllato di molecole bioattive.5
Sulla base di queste premesse sono in fase di sviluppo diverse strategie sperimentalied in
particolare:
a) Sintesi di fosfati di calcio (precursori di idrossiapatite) in “mild condition” e studio delle
condizioni di idrolisi in HA. Tali metodiche verranno utilizzate al fine di incorporare nella matrice
inorganica, in fase di sintesi, complessi di Pt e Au che agiscono come antitumorali, i quali risultano
instabili a temperature più elevate della temperatura ambiente ed a pH maggiori del pH fisiologico.
L’incorporazione dei suddetti antitumorali potrebbe anche esser fatta avvenire durante l’idrolisi dei
fosfati di calcio (ad esempio brushite ) in HA .
b) Sintesi di nanocristalli di HA di dimensione, area superficiale e cristallinità modulabili al
variare dei parametri di sintesi su cui verrà effettuato l’adsorbimento di complessi di Pt e Au con
funzione di antitumorali.
c) Funzionalizzazione superficiale di nanocristalli di HA con amminoacidi. Fino ad ora gli
amminoacidi sono stati usati per aumentare la bioattività dell’idrossiapatite sintetica 6, in virtù del
fatto che la presenza di proteine (e dunque di amminoacidi ) nei materiali biologici è intrinseca nella
bioattività della HA.7 Nel nostro caso tale funzionalizzazione avrà anche e soprattutto il fine di
modulare le proprietà della HA come “drug-delivery” agent. Gli amminoacidi fungerebbero da
ponte fra la molecola di antitumorale ed il carrier idrossiapatitico.
d) Sintesi di xerogel di silice mediante tecnica “sol-gel”. Sono stati utilizzati dei catalizzatori al
fine di ridurre il tempo dei processi di gelificazione e maturazione del gel. Infatti si è recentemente
dimostrato come le proprietà di rilascio dei suddetti materiali varino in maniera significativa con il
tempo di “storage”, in un modo che è proporzionale al tempo richiesto per la gelificazione. La
riduzione dei tempi richiesti per la gelificazione e maturazione del gel è necessario al fine di
ottenere matrici con proprietà di rilascio stabili.8 Anche il profilo di rilascio del farmaco
intrappolato è influenzato dall’aggiunta del catalizzatore ed in particolare si è visto come
all’aumentare del rapporto molare cat/alcox aumenta la velocità di rilascio come conseguenza dell’
aumentata area superficiale.
In virtù di tali considerazioni verrà sfruttata la possibilità di modulare il rilascio in funzione di
parametri di sintesi e di processo.
Le matrici di cui sopra potranno essere studiate come carrier, di antitumorali a base di Au e di
composti di Pt contenenti leganti amminobisfosfonati (antitumorali selettivi nei confronti dei tumori
ossei in virtù dell’affinità del gruppo fosfonato per gli ioni calcio).
Gli xerogels ottenuti verranno inoltre studiati come carrier di un farmaco ad alto PM: l’eparina.
L'Eparina é una definizione di Farmacopea e viene valutata per la sua attività anticoagulante
.In realtà "Eparina" é un "family appellation" ossia, dal punto di vista chimico, essa é una
popolazione di molecole aventi diverse masse molecolari e microeterogeneità strutturale, cui sono
associati diversi livelli di attività biologica. E’ prevedibile che frazioni epariniche a basso PM
vengano rilasciate più velocemente di frazioni epariniche ad alto PM.
56
E’ auspicabile dunque che si riesca a modulare nel tempo non solo la concentrazione di
farmaco presente nei liquidi fisiologici, ma anche la sua attività stessa.
BIBLIOGRAFIA
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UNITA’ DI ANCONA
Applicazione di metodi spettrometrici e diffrattometrici nello studio di materiali
polimerici sintetici e naturali (biomolecole).
P. Bruni, G. Tosi, E. Giorgini, M. Pisani, C. Conti
La spettroscopia infrarossa a trasformata di Fourier è da considerare una tecnica di
fondamentale importanza per le sue applicazioni nel campo della biologia, della medicina e nello
studio dei materiali. La spettroscopia di ‘micro chemical imaging’ è da qualche anno considerata
una formidabile tecnica diagnostica in grado di analizzare modi vibrazionali ottenendo informazioni
spaziali e spettrali su un campione con grande facilità, rapidità e ottima risoluzione spaziale.
L’utilizzo di adeguati metodi di indagine statistica e chemometrica può ulteriormente aumentare
l’utilità di queste mappe chimiche per ‘clusterizzazione’ dei dati e con possibilità di estrarre
informazioni analiticamente utili.
1.
Microspettroscopia FT-IR imaging su materiale proveniente da operazioni chirurgiche
e da ago aspirato.
Vengono studiate le caratteristiche vibrazionali, anche a livello di singola cellula, di campioni
derivanti da operazioni chirurgiche o da ago aspirato come potenziale mezzo diagnostico da
accoppiare a quelli tradizionalmente utilizzati in istologia, citologia e immunocitochimica e come
strumento per la diagnosi precoce. In particolare vengono analizzate lesioni del collo, del cavo orale
e della tiroide nonché le caratteristiche evolutive di placche ateromasiche.
2.
Applicazioni della Spettroscopia del Medio e Vicino infrarosso nel campo di materiali
plastici.
a) Ottimizzazione dell’utilizzo di resine fotosensibili in campo odontoiatrico.
La Spettroscopia del Medio e Vicino Infrarosso viene impiegata per studiare l’influenza
dell’intensità di varie lampade e della durata dell’esposizione sul grado di conversione, sulla
morfologia e sulle proprietà meccaniche di resine e compositi fotopolimerizabili di largo impiego in
Odontoiatria.
57
b) Studio di materiali polimerici per protesi.
La Microscopia ATR FT-IR, insieme a determinazioni della micro durezza e a simulazioni
FEM, si rivelano strumenti idonei per lo studio di materiali plastici di impiego nella medicina ed in
particolare per le protesi d’anca. I risultati permettono di meglio chiarire la morfologia e la
distribuzione di zone cristalline che possono causare logorio e granulomatosi e quindi insuccesso
dell’impianto.
c) Impiego del Chitosano e dell’ossichitina in rivestimenti prostatici.
Il Chitosano può essere rigenerato attraverso spray-drying, sotto forma di microsfere senza che
si verificano processi di acilazione e di depolimerizzazione. E’ stata dimostrata la formazione di
complessi polielettrolitici (potenziali trasportatori di farmaci) in miscele Chitosano-polisaccaridi
anionici.
3.
Studio di Complessi ternari Liposomi - DNA- Ioni Metallici.
Proseguendo lo studio dei processi a trasferimento di carica, il nostro gruppo di ricerca ha
incominciato, e su questa strada intende proseguire, ad utilizzare l’esperienza maturata in anni di
ricerche, trasferendola allo studio di complessi di mimi cellulari, quali i liposomi, con polimeri
sintetici e naturali, con particolare riguardo al DNA. Si tratta di un settore di ricerca di grande
attualità, che ha come prospettiva anche l’identificazione di nuovi strumenti atti a realizzare
processi di terapia genica. In particolare, gli studi fino ad ora realizzati, riguardano l’interazione di
DNA con liposomi in presenza di metalli. I complessi ternari ottenuti sono stati studiati con
tecniche R-X, TEM, FT-IR che ne hanno evidenziato interessanti caratteristiche e proprietà. I dati
ottenuti hanno permesso inoltre di proporre un meccanismo di formazione del complesso che
prevede la disaggregazione delle vescicole di fosfolipidi e la riaggregazione in nuove strutture
lamellari che caratterizzavano i complessi ternari. Tali complessi sono poi risultati intermedi
significativi nella reazione di perossidazione di lipidi in presenza di DNA. Lo studio finora
effettuato presenta notevoli prospettive sia per ulteriori studi di base (struttura e reattività), che per
le applicazioni in terapia genica. Lo sviluppo delle ricerche iniziate in questo settore prevede
l’utilizzo di diverse tecniche strumentali che vanno dalla diffrattometria, alle spettroscopie ottiche e
magnetiche (NMR, EPR).
Nell’ambito di questo progetto ci si propone di effettuare determinazioni spettroscopiche sia
nel medio che nel vicino infrarosso su materiali provenienti da sintesi biomimetiche e di
autoassembleggio molecolare con l’obiettivo di contribuire ad una migliore conoscenza della
morfologia , della cristallinità nonché alla reologia per esempio su matrici film di collagene I
prestirati. Molta importanza potrà avere l’impiego della Microscopia FT-IR imaging nello studio
delle interazioni minerale-collagene.
Nel campo della Biocristallografia ambientale, di particolare rilevanza è la caratterizzazione
chimico-fisica del articolato aerodisperso ed in particolare di polveri di amianto che hanno forte
incidenza su alcune forme tumorali con meccanismo di azione ancora poco chiaro. Insieme ad
alcune tecniche come la microscopia ottica, la microscopia ai raggi X, la microscopia elettronica a
scansione (SEM) e trasmissione (TEM), la Spettroscopia FT-IR riveste un ruolo importante nella
valutazione e caratterizzazione delle interazioni dal punto di vista chimico strutturale. Tra l’altro,
questo ha portato alla stesura di Banche Dati di spettri IR di materiali fibrosi scelti appositamente
per una corretta gestione dei rifiuti. Di particolare importanza appare l’accoppiamento della tecnica
FT-IR (supportata da opportuna Banca Dati) con la microscopia ottica, che può essere considerato
una valida alternativa alla microscopia elettronica e alla diffrattometria ai raggi X con tempi di
esecuzione notevolmente ridotti.
58
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18) J. Dresner, K. Kwapisz, I. DJ. Prochorow, P. Bruni, A. Giardinà, G. Tosi. Photoinduced
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59
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21) Muzzarelli R.A.A., Tosi G., Francescangeli O. and Muzzarelli C. Alkaline chitosan solutions.
Carbohydrate Research, 338, 2247-2255 (2003).
22) P. Bruni, C. Conti, E. Giorgini, M. Pisani, C. Rubini, G. Tosi. Histological and microscopy FTIR imaging study on the proliferative activity and angiogenesis in head and neck tumours. RSC
Faraday Division. Faraday Discussion 126. Nottingham 2003. Preprint (2003).
23) O. Francescangeli, V. Stanic, D.E. Lucchetta, P. Bruni, M. Incussi, F. Cingolani. X-Ray
Diffraction Study of Dioleylphosphatidylcholine-DNA-Mn2+ Complexes. Mol. Cryst. Liq. Cryst.,
398, 259-267 (2003).
c) Partecipanti alle ricerche sulla biomineralizzazione:
Unità di Bologna
Dipartimento di Chimica “G. Ciamician” – Via Selmi n. 2 – 40126 BOLOGNA – Alma Mater
Studiorum:
Adriana Bigi
Elisabetta Foresti
Silvana Morselli
Silvia Parmeggiani
Katia Rubini
Giuseppe Falini
Massimo Gandolfi
Silvia Panzavolta
Alberto Ripamonti
Piera Sabatino
Simona Fermani
Isidoro Giorgio Lesci
Barbara Palazzo
Norberto Roveri
Maria Chiara Sidoti
Unità di Ancona
Dipartimento di Scienze dei Materiali e della Terra - Facoltà di Ingegneria, Università
Politecnica delle Marche.
Paolo Bruni
Michela Pisani
Giorgio Tosi
Carla Conti
Elisabetta Giorgini
2 - Biocristallografia
a) Base scientifica e tecnologica:
La potenza esplicativa della cristallografia a raggi X (integrata dal molecular modelling)
permette di capire a livello molecolare la struttura e la funzione di molti enzimi, in particolare essa è
in grado di studiare le interazioni con substrati e inibitori, con notevoli applicazioni sia in campo
farmaceutico che in quello ambientale. Nell'era post-genomica la determinazione della struttura
molecolare delle proteine è il punto di partenza per la conoscenza della funzione di nuove proteine
ed è di vitale importanza per lo sviluppo del "protein engineering" e del "de novo design" di
proteine sintetiche di interesse tecnologico. Il "folding" delle proteine attorno al sito attivo ed i
gruppi prostetici (quando presenti) determinano la funzione biocatalitica degli enzimi e svolgono un
ruolo importante nei processi fisiologici e patologici. Tali “motivi” strutturali evolvono spesso in
modo tale da figurare come unità strutturali indipendenti. Ciò li rende adatti al “design” razionale,
permettendo lo sviluppo di molecole relativamente piccole, le cosiddette "proteine miniaturizzate",
che sono generalmente più facili da studiare e modificare per particolari scopi, rispetto ai sistemi
naturali [H. W. Hellinger, “Protein Engineering: Principles and Practice”, Cleland & Craik, Eds.,
Wiley, N.Y., pg. 369, 1996]. Lo studio di sistemi naturali e sintetici rappresenta la via migliore per
una conoscenza dettagliata delle molecole biologiche per lo sviluppo di nuove molecole con
proprietà predeterminate utili alla progettazione di farmaci, biosensori, catalizzatori, ed agenti
detossificanti.
60
b) Obiettivi principali e significato della ricerca:
Il lavoro di ricerca sarà indirizzato principalmente: a) all'isolamento e caratterizzazione
strutturale di nuove proteine (specialmente metallo-proteine) ed alla loro miniaturizzazione a scopi
applicativi; b) allo studio della struttura di coenzimi e di coenzimi modificati ed alla loro
interazione con l’apoenzima; c) allo sviluppo di nuove metodologie di cristallizzazione di proteine,
d) all’uso di programmi di calcolo per il trattamento dei dati di diffrazione di raggi X sia da sorgenti
convenzionali, che da luce di sincrotrone per la risoluzione della struttura.
Questa proposta ha fra i suoi obiettivi principali, oltre quello di svolgere progetti di ricerca di
elevato contenuto scientifico e con potenziali ricadute applicative nell’ambito ambientale,
biomedico e biotecnologico, la formazione dei giovani nel campo della biocristallografia e
computer modelling per le Lauree specialistiche, i Dottorati di ricerca e le Scuole di
Specializzazione, e per corsi specialistici di breve durata, sia di carattere nazionale che
internazionale. Il lavoro sarà svolto anche in collaborazione con le istituzioni scientifiche presenti
nel territorio offrendo un servizio di ricerca per la determinazione e la caratterizzazione della
struttura di biomolecole alle industrie interessate, come quelle farmaceutica, biotecnologica e
agroalimentare. Infatti, i risultati provenienti dagli studi biocristallografici consentiranno di
applicare le tecniche di modellismo molecolare alla progettazione e alla successiva preparazione di
substrati ottimali per la sintesi biocatalizzata di composti di interesse farmaceutico e industriale.
c) Obiettivi specifici:
UNITA’ DI TRIESTE
Il contributo dell’Unità di ricerca di Trieste verterà principalmente su:
a) Struttura e funzioni di modelli supramolecolari di metalloproteine
L’approccio supramolecolare1 alla costruzione di modelli di metalloproteine prevede
l’individuazione di building blocks relativamente semplici in grado di autoassemblarsi o di
organizzarsi realizzando sistemi capaci di riprodurre, almeno in parte, l’attività e le proprietà delle
metalloproteine stesse. In questa ottica appare fondamentale, da un lato, la conoscenza strutturale e
funzionale del target prescelto e, dall’altro, la capacità di controllare, in base alla conoscenza della
struttura e del tipo di interazioni coinvolte, il fenomeno di autoassemblaggio o di organizzazione dei
building blocks. Alla base di queste conoscenze vi è una accurata analisi strutturale delle proteine
target, dei building blocks e dei modelli supramolecolari che ne derivano. L’unità di Trieste, che fa
parte del Centro di Eccellenza di Biocristallografia, è leader nell’utilizzo e nello sviluppo di
strumenti necessari all’isolamento, alla purificazione, cristallizzazione e determinazione della
struttura di proteine e di loro modelli supramolecolari ed ha notevole esperienza nella raccolta dati
di diffrazione a raggi X sia con sorgenti convenzionali che con luce di sincrotrone. Di conseguenza
il contributo maggiore al progetto da parte dell’unita di Trieste sarà l’analisi strutturale delle
proteine target, dei building blocks e degli addotti supramolecolari che verranno preparati dalle altre
unità e anche dalla stessa unità di Trieste. Gli studi strutturali saranno complementati da quelli
elettrochimici sui centri metallici.
Verranno esaminati due tematiche di ricerca volte allo studio di due aspetti fondamentali
dell’interazione tra ioni metallici e proteine. Le proteine, infatti, possono interagire con ioni
metallici quali cofattori (catalisi) o per il loro trasporto. In ambedue i casi il riconoscimento degli
stessi è il fattore fondamentale che determina la reattività del sistema. Il primo filone di ricerca sarà
incentrato sullo sviluppo e sullo studio di modelli delle proteine B12 e in particolare dei suoi
cofattori (alchilcobalamine) mentre il secondo sarà volto alla realizzazione di modelli di proteine
che alterano la permeabilità di membrane nei confronti di ioni metallici.
61
b) Modelli di proteine vitamina B12
Gli enzimi B12 sono gli unici, finora noti, i cui cofattori contengono un legame metallocarbonio (Co-C). I cofattori appartengono alla famiglia delle alchilcobalammine (RCbl).2,3 Tutte le
reazioni, catalizzate da enzimi B12 e finora note, coinvolgono la rottura e la formazione di un
legame Co-C.2-4 AdoCbl ( 5'-deossi-5'-adenosilcobalammina) è il cofattore di molte mutasi ed
eliminasi, che catalizzano lo shift 1,2 intramolecolare di un atomo di idrogeno con un gruppo X
elettronegativo2,3, come nel caso della metilmalonil-CoA mutasi umana, che isomerizza
reversibilmente un residuo metilmalonile a succinile. Le metiltrasferasi, contenenti il cofattore
metilcobalammina (MeCbl), catalizzano il trasferimento di un gruppo metilico legato ad un atomo
di N alla specie cob(I)alammina per formare MeCbl(metilcobalammina), da cui il metile è
successivamente trasferito ad un atomo di zolfo della omocisteina per formare metionina, come nel
caso della metionina sintetasi umana. Il ciclo catalitico è basato sulla rottura eterolitica reversibile
del legame Co-Me, con formazione di un carbocatione metilico e di cob(I)alammina.4 Fino al 1994,
a causa della mancanza di informazioni sul 'binding' del cofattore negli enzimi, la maggior parte
delle ipotesi, concernente l'omolisi negli enzimi con cofattore adoCbl, era basata essenzialmente
sullo studio delle cobalammine3,5 e dei semplici modelli, in particolare le alchilcobalossime,
LCo[(DH)2]R (L = base neutra e R = alchile, coordinati assialmente, e (DH)2 = bisdimetilgliossimato.6 La recente determinazione della struttura delle prime proteine B127 ha aperto
una nuova era nella chimica e nella biochimica degli enzimi B12, ponendo nuovi problemi a livello
molecolare riguardo alla relazione struttura/funzione in questi enzimi. Come nel caso degli enzimi a
base di eme, le particolari proprietà di quelli B12 primariamente derivano dalle interazioni tra il
metallo e il macrociclo, anche se la loro attività di base e le loro funzioni possono essere
significativamente alterate dal legame alla proteina. Questo è il caso di AdoCbl, che presenta uno
notevole aumento di ca. 12 ordini di grandezza della velocità dell'omolisi del legame Co-C, quando
è legato all'apoenzima. Ciononostante, la conoscenza delle proprietà dei nuovi modelli semplici, tra
cui quelli recentemente proposti dall’Unità di Trieste, contenenti leganti tridentati ammino-ossimici,
deve essere ancora approfondita8 per capire poi in che modo l'interazione con la catena
polipeptidica le modifichi. L'Unità di Trieste ha anche dimostrato che un interessante sviluppo dei
modelli del tipo cobalossime è la possibilità di ottenere composti metallorganici supramolecolari
per reazione con acidi difenilboronici funzionalizzati.9
c) Modelli di proteine che alterano la permeabilità di membrane.
Il controllo della permeazione di ioni metallici attraverso membrane è alla base di importanti
processi biochimici oltre che regolare la disponibilità degli ioni metallici stessi.10
Nei sistemi biologici queste funzioni sono spesso svolte da strutture peptidiche. Ad esempio la
diffusione di ioni sodio, potassio e calcio attraverso le membrane dei tessuti nervosi e muscolari
viene regolata da proteine che formano canali attraverso l’assemblamento di alcune subunità
proteiche arrangiate radialmente attorno ad una zona idrofilica.11 La parte di proteina transmembrana si ritiene essere strutturata in alfa-elica e, ad esempio, nel caso del “acetylcholine
receptor channel” il canale è formato da cinque alfa-eliche eguali che contengono numerosi residui
di serina i cui ossidrili si allineano lungo le pareti del canale stesso.12 Esistono inoltre anche
polipeptidi relativamente meno complessi che alterano la permeabilità delle membrane come, ad
esempio, la Gramicidina A.13 I peptidi, quindi, e in particolare le proprietà che derivano dalla loro
struttura tridimensionale sono fondamentali in questo tipo di attività biologica. Esempi in tal senso
sono stati proposti da Mutter14, Schreiber15 e DeGrado16. Strutture elicoidali, in particolare eliche 310, si possono ottenere in sequenze peptidiche anche sensibilmente più corte di quelle ottenibili con
amminoacidi proteinogenici utilizzando amminoacidi C-alfa-tetrasostituiti.17 In natura questi
amminoacidi sono presenti nei peptidi peptaibolici e lipopeptaibolici, un gruppo di piccoli peptidi
(6-19 residui) biosintetizzati da alcuni funghi, del genere Trichoderma, dotati di attività
antibiotica.18 Questi peptidi, tra cui i più noti sono l’alameticina19 e la tricogina20, alterano la
62
permeabilità di membrane fosfolipidiche in modo molto efficiente.21 Sfruttando le caratteristiche
degli amminoacidi C-alfa-tetrasostituiti sono stati realizzati modelli sintetici dei peptidi
peptaibolici22 e, ad esempio, in un lavoro svolto in collaborazione tra l’Università di TS e PD è stato
preparato un sistema contenente tre analoghi della tricogina in grado di alterare efficacemente la
permeabilità di membrane liposomiche in modo controllabile mediante la complessazione di uno
ione Zn(II) in un sito allosterico.23
d) Paired domain del fattore regolatorio di trascrizione Pax8 co-cristallizzate con
sequenze consensus di DNA
La Pax8 appartiene alla famiglia delle proteine Pax.24 Queste sono dei regolatori trascrizionali
che svolgono ruoli importanti nella crescita e nello sviluppo di un’ampia varietà di specie. La Pax8
in particolare è molto importante per uno sviluppo corretto della ghiandola tiroidea; l’inattivazione
del gene della Pax8 determina la mancanza di cellule follicolari e quindi l’assenza dell’ormone
tiroideo. Le proteine Pax legano specifiche sequenze di DNA attraverso un dominio conservato
nell’evoluzione chiamato paired domain (Prd domain) formato da 128 amminoacidi.25 Il paired
domain è costituito da due unità strutturali indipendenti definiti come subdomini PAI e RED,
localizzati rispettivamente all’estremità N- e C-terminale. Ciascuno di questi è formato da un
motivo elica-giro-elica legato da una sequenza di congiunzione.26 E’ stato ipotizzato che la presenza
di questi due subdomini possa determinare differenti modalità di riconoscimento della catena di
DNA.27 Questa possibilità potrebbe venire analizzata direttamente da studi strutturali del complesso.
Sono già state individuate le condizioni alle quali il complesso Prd domain e la sequenza
consensus di DNA, formata da 26 basi appaiate, possono formare dei cristalli. L’analisi ai RX
mediante luce di Sincrotrone, ha rilevato che questi cristalli diffrangono ad una risoluzione massima
di 6 Å, non adatta a fornire informazioni utili per la struttura del complesso. L’obiettivo che sarà
perseguito consiste nell’individuare nuove condizioni di cristallizzazione al fine di influire nel
processo di sviluppo del cristallo e regolarne l’accrescimento.
e) Studi strutturali dell’interazione tra recettore immunoglobulinico e antigeni HCV
Questo lavoro nasce da un progetto con il Centro di Riferimento Oncologico (CRO) di
Aviano (PN), che da diversi anni si occupa di problematiche inerenti alle complicanze associate
all’infezioni da virus dell’epatite C (HCV) in collaborazione con gruppi di lavoro del Policlinico di
Udine e di Bari. Da alcune evidenze sperimentali si è ipotizzato che l’infezione da HCV sia
fortemente associata alla crioglobulinemia mista di tipo II (CM), una malattia cronica di tipo
autoimmunitario caratterizzata da proliferazioni oligoclonali di linfociti B, che in un significativo
numero di casi esita ad un linfoma non Hodgkin (NHL) conclamato. Gli studi riguardanti le
interazioni fra recettori dell’immunoglobulina M (IgM) ed antigeni specifici di HCV sono utili per
lo sviluppo di nuove e specifiche terapie immunologiche. Per comprendere le origini molecolari
della risposta autoimmune conseguente all’infezione da HCV è essenziale conoscere il modello
strutturale del sistema anticorpo-antigene.28 Tra le diverse tecniche utilizzabili, la biocristallografia
può fornire direttamente una rappresentazione tridimensionale degli immunocomplessi ed i dettagli
dei siti specifici di interazione tra il recettore e l’antigene.
Accanto alle linee indicate sopra e che seguono filoni tradizionali di ricerca del gruppo di
Trieste, si svilupperanno nuove tematiche in collaborazione con ricercatori dell’Università di
Trieste afferenti al Centro di Eccellenza in Biocristallografia.
Gli obiettivi che si propone di realizzare l'Unità di Trieste sono:
1. disegno, sintesi, struttura e reattività di complessi del Co con leganti tridentati ossimoamminici e basi di Schiff di complessi supramolecolari di modelli B12.
2. sintesi, caratterizzazione strutturale e reattività di cobalammine.
63
3. preparazione in situ di cristalli singoli, per reazione di peptidi e di porfirine con ioni
metallici in diverse condizioni, e determinazione strutturale mediante analisi dei dati di
diffrazione RX da sorgenti convenzionali e da sincrotrone (Trieste, Lure e Grenoble) ed
EXAFS.
4. espressione, cristallizzazione e caratterizzazione strutturale di transcobalammine umana e
bovina (in collaborazione con il Prof. T. Petersen dell'Università di Aarhus, Danimarca);
5. disegno, sintesi, struttura e studio di modelli a base peptidica di proteine che alterano la
permeabilità di membrane fosfolipidiche a ioni metallici. In particolare verranno utilizzati
peptidi a forte contenuto di amminoacidi Cα-tetrasostituti per indurre conformazioni
elicoidali stabili anche in sequenze amminoacidiche relativamente corte e verranno inseriti
siti allosterici per modulare l’attività di membrana in funzione di diversi parametri
(presenza di ioni metallici, irraggiamento, etc.)
Gli scopi finali che si prefigge riguardano la comprensione dei fattori che determinano la
funzione, il trasporto e la reattività degli enzimi B12; e inoltre lo sviluppo di sistemi peptidici in
grado di alterare la permeabilità di membrane fosfolipidiche in modo controllabile per lo sviluppo
di nuovi catalizzatori di interesse chimico e applicativo.
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UNITA’ DI NAPOLI
L’attività dell’Unità di ricerca di Napoli, che opera presso il Centro Interuniversitario di
Ricerca sui Peptidi Bioattivi dell’Università di Napoli (CIRPEB) verterà sui seguenti temi: a)
caratterizzazione strutturale, mediante diffrazione di raggi X, di macromolecole di interesse
biotecnologico e medico; b) Sviluppo di tools molecolari per la progettazione di peptidi bioattivi. I
sistemi proteici e peptidici oggetto di questo studio saranno di seguito brevemente descritti.
1. Caratterizzazione strutturale di esterasi ellipasi
Esterasi e lipasi appartengono ad una grande famiglia di proteine filogeneticamente relazionate con
elementi rappresentativi negli eucarioti e nei batteri. Sulla base della loro omologia di sequenza,
queste proteine sono state suddivise in tre sottogruppi: il gruppo C, che include colin-esterasi e
lipasi da funghi, il gruppo L, che include lipasi lipoproteiche e batteriche, ed il gruppo H che
comprende numerose esterasi e lipasi sia eucariotiche che batteriche.
In passato, studi strutturali erano stati focalizzati su proteine appartenenti ai gruppi C ed L ed
avevano rivelato la presenza di un arrangiamento strutturale di tipo α/β conosciuto come
“α/β hydrolase fold”. Questo arrangiamento strutturale è caratterizzato da una struttura a foglietto β
centrale, circondata da connessioni elicoidali. Inoltre, gli studi strutturali avevano evidenziato che il
sito catalitico di questi enzimi contiene una triade di amminoacidi (Ser-His-Asp/Glu), che ricorda
quella delle proteasi a serina ed è responsabile dell’attacco nucleofilo al legame estereo scissile.
Di contro poche sono le informazioni strutturali note su esterasi e lipasi appartenenti al gruppo
H. Solo di recente presso i laboratori del CIRPEB sono state risolte le strutture di due esterasi
appartenenti a questo gruppo: EST2 dal batterio termofilo Alyciclobacillus acidocaladarius e
AFEST dall’ipertermofilo Archeoglobus fulgidus. Lo studio dettagliato di queste due strutture ha
permesso un’analisi preliminare degli elementi strutturali responsabili della termostabilità
all’interno di questa famiglia di enzimi, fornendo utili informazioni da utilizzarsi per la
progettazione di nuove molecole termostabili.
All’interno di questa linea di ricerca e con lo scopo di ottenere informazioni più dettagliate
sulla termostabilità di questa classe di enzimi sono stati programmati studi strutturali, da svolgersi
mediante diffrazione di raggi X, su altre esterasi appartenenti alla classe ma isolate da organismi
mesofili. Inoltre per meglio caratterizzare il meccanismo catalitico di queste molecole studi
strutturali saranno effettuati anche su complessi enzima-inibitore.
65
2. Studi strutturali su complessi di PNA-DNA.
I PNA (Peptide Nucleic Acids) rappresentano una classe di oligonucleotidi modificati, che, in
sostituzione del normale backbone oligonucleotidico, presentano uno scheletro formato da unità di
2-amminoetil-glicina, al quale sono legate le basi nucleotidiche mediante un linker metilcarbonilico. Queste molecole sono dotate di elevata stabilità e di una notevole resistenza all’azione
delle proteasi e delle nucleasi. Inoltre, sono in grado di legare in maniera estremamente specifica
filamenti di DNA o RNA complementari, sia in modo parallelo che antiparallelo, attraverso un
appaiamento delle basi di tipo Watson-Crick.
Dal momento che i dati strutturali attualmente noti su queste molecole evidenziano che i PNA
canonici non riproducono il DNA in maniera ottimale, e dato che tali molecole, essendo prive di
cariche, hanno una bassa solubilità in acqua e mostrano una certa tendenza ad autoaggregare,
diverse modifiche ai classici PNA sono state effettuate. Tra queste una di quelle piu’ interessanti
sembra essere l’introduzione di un centro chirale. In particolare la glicina presente nel backbone dei
PNA è stata sostituita con amminoacidi D o L. Le molecole ottenute in questo modo hanno
presentato interessanti proprietà conformazionali e di affinità verso i DNA target.
Recentemente presso i centri di ricerca del CIRPEB, è stata risolta la struttura dell’eteroduplex
formato da un filamento di PNA chirale, contenente monomeri di PNA derivati da amminoacidi d, e
il suo filamento di DNA complementare. L’analisi di tale struttura ha evidenziato che l’eteroduplex
adotta una conformazione denominata elica-P, caratteristica dei PNA. I dati strutturali hanno,
inoltre, mostrato che i PNA sono delle molecole molto poco flessibili, e che nella formazione di
duplex è il filamento di DNA ad adattarsi alle preferenze conformazionali del PNA. L’introduzione
dei centri chirali sembra limitare ulteriormente la libertà conformazionale del PNA, aumentandone
di conseguenza la rigidità.
Allo scopo di chiarire meglio l’influenza dei centri chirali sulla conformazione assunta dai
PNA, presso i laboratori del CIRPEB si intende procedere con lo studio strutturale di duplex PNADNA contenenti sia monomeri achirali che monomeri di chiralità L.
3. Studi strutturali sull’amminoacilasi (ACY1).
L’amminoacilasi (ACY1) è una metalloproteasi che catalizza l’idrolisi di Nα-acil-amminoacidi
e che risulta coinvolta nelle reazioni finali di degradazione di proteine N-acilate assieme
all’acilpeptide idrolasi (APH). Quest’ultima, infatti, è in grado di idrolizzare Nα-acil-peptidi e Nαacil-proteine generando Nα-acil-amminoacidi che, a loro volta, sono idrolizzati dall’amminoacilasi.
ACY1 e APH sono state clonate nel maiale e nell’uomo e localizzate in quest’ultimo sul
cromosoma 3p21.1 e 3p21.3. Tali regioni presentano una considerevole perdita di eterozigosi in
tumori al rene e al polmone. Livelli di espressione alterati ed una totale mancanza di attività
enzimatica per queste due proteine sono stati descritti in tessuti di soggetti affetti da carcinoma
renale e polmonare. La coesistenza dei geni di ACY1 e APH sul cromosoma 3p21 è di notevole
interesse in quanto questi enzimi sono funzionalmente legati nella degradazione sequenziale di
peptidi acilati. Questa osservazione ha portato all’ipotesi che una totale perdita del sistema
deacilante APH/ACY1 possa portare all’aumento delle concentrazioni di peptidi acetilati come, ad
esempio, l’ormone stimolante i melanociti, le cui proprietà sono state associate ad una crescita
cellulare anormale.
Nessun dato è stato finora pubblicato sulla struttura di queste proteasi. Questa mancanza è
rilevante non solo per una completa comprensione della specificità dei due enzimi, che
spiegherebbe le loro differenze funzionali, ma anche perchè ACY1 e APH sono esempi di due classi
di proteasi la cui struttura tridimensionale è stata scarsamente studiata. APH, infatti, fa parte della
famiglia delle proteasi S9 la cui organizzazione strutturale è stata determinata solo nel caso della
prolil-oligopeptidasi; ACY1, invece, appartiene alla famiglia delle proteasi M20, il cui folding
generale è stato ipotizzato sulla base della sola struttura della carbossipeptidasi G2 da Pseudomonas
66
sp.. Studi di omologia di sequenza hanno suggerito che a quest’ultima famiglia appartengono, oltre
ad ACY1 da diversi mammiferi, alcune succinil-diamminopimelato desuccinilasi e acetil-ornitina
deacetilasi batteriche. Questi enzimi sono proteasi dimeriche zinco- o cobalto-dipendenti con
proprietà biochimiche simili e tre motivi di sequenza conservati.
Al fine di definire le proprietà strutturali di ACY1, sarà realizzato uno studio dettagliato della
struttura della proteina mediante studi cristallografici. L’analisi della struttura tridimensionale
consentirà di formulare relazioni struttura-funzione essenziali per ricerche volte alla definizione dei
meccanismi in cui la proteina ed i suoi substrati potrebbero essere coinvolti, con attenzione ai
risvolti associati alla neoplasia. Sulla base della struttura tridimensionale, inoltre, potrà essere
realizzata una progettazione molecolare di inibitori dell’enzima da usare in futuri studi biochimici.
4. Molecular tools per il design di sistemi di peptidi bioattivi.
La specificità dei meccanismi di riconoscimento molecolare, fenomeno basilare per l'attività
biologica di molti sistemi quali complessi enzima-substrato o antigene-anticorpo e per l'interazione
tra un recettore ed un substrato, è legata alla conformazione assunta da uno o da entrambi i sistemi
interagenti. Individuare in un sistema consenso la conformazione responsabile di uno specifico
effetto è, quindi, uno dei principali obiettivi nel campo dello studio di sistemi bioattivi. E' da
rilevare che la completa descrizione delle relazioni struttura-attività per tali biomolecole è spesso
difficile da ottenere, essendo esse dotate di elevata flessibilità e presentando in soluzione numerose
conformazioni in equilibrio tra loro. Per la definizione delle relazioni tra sequenza amminoacidica,
conformazione, attività biologica e selettività, uno degli approcci più utilizzati nello studio di
peptidi e proteine consiste nel design e nella sintesi di analoghi caratterizzati da una ben definita
struttura tridimensionale. Il de novo design di sistemi peptidici è reso oggi possibile grazie
all'utilizzo di particolari tool molecolari che, opportunamente inseriti nella sequenza, siano in grado
di stabilizzare una specifica conformazione. Questa strategia consente di ottenere sistemi modello
con rigide strutture secondarie che possano fungere da impalcature su cui costruire un particolare
sito, ed è quindi vantaggiosamente applicata al modelling di enzimi e proteine. Si intendono
condurre studi in questo campo di ricerca nell'intento di: a) sviluppare nuovi tools molecolari che,
inseriti opportunamente nella sequenza del peptide bioattivo, possano bloccarlo in una
predeterminata e rigida conformazione tale da favorire il riconoscimento del peptide da parte di
proteine, anticorpi e metalli; b) sviluppare metodologie di sintesi e caratterizzazione strutturale di
peptidi e peptidomimetici.
UNITA’ DI BOLOGNA
L’attività dell’ Unità di ricerca di Bologna verterà sui seguenti temi:
1. Cristallizzazione di macromolecole biologiche su superfici funzionalizzate
Il successo nella determinazione della struttura cristallina di una macromolecola biologica,
mediante diffrazione a raggi X, è fortemente correlato alla possibilità di ottenere cristalli singoli
d’alta qualità. Per questa ragione molti studi sono stati indirizzati allo sviluppo e progettazione di
nuove tecniche di cristallizzazione.
Film polimerici contenenti gruppi ionizzabili sono stati utilizzati con successo per la
cristallizzazione di proteine. Questi film permettono, rispetto ai convenzionali vetrini siliconati, di
abbassare alcuni parametri critici della cristallizzazione quali la concentrazione iniziale della
soluzione proteica ed il tempo di cristallizzazione. La scelta dei film è un parametro critico. Questa
scelta è stata ispirata dall’osservazione dei sistemi biologici. Sono stati preparati, caratterizzati ed
utilizzati film costituiti da biopolimeri, quali collageno, seta e chitina, contenenti polipeptidi
67
sintetici con gruppi ionizzabili (come il poli-aspartato). Questi film sono molto versatili e
permettono di variare molteplici parametri sia a livello di carica superficiale (contenuto e tipo di
polipeptide) che di organizzazione superstrutturale (grado d’orientamento). Il loro limite è
rappresentato dalla difficoltà di controllo sulla topografia superficiale. Per questo, talvolta, non è
facile valutare quale sia il parametro critico che controlla la cristallizzazione. Per ovviare a questi
effetti tipografici è stata preparata una nuova famiglia di superfici funzionalizzate: film di mica
modificati chimicamente. Queste superfici, con una ridotta idrofilicità ed e con differente densità di
gruppi ionizzabili, sono stati preparati tramite una reazione di silanizzazione usando npropiltrietossisilano e 3-amminopropil-trietossisilano singolarmente o in miscele con differenti
percentuali.
Gli esperimenti di cristallizzazione sulle superfici, sia biopolimeriche che di mica, sono stati
effettuati con la tecnica della goccia pendente a diffusione di vapore utilizzando come proteine
modello lisozima, concanavalina A e taumatina. I risultati ottenuti mostrano come il tempo di
induzione e la concentrazione iniziale di proteina per la nucleazione dei cristalli diminuiscano
passando dal vetrino siliconato, utilizzato come riferimento, alle superfici con contenuto crescente
di gruppi ionizzabili. Per la concanavalina A e la taumatina l’aumento della densità di carica
corrisponde ad un aumento della densità di nucleazione e ad una riduzione della dimensione dei
cristalli. Il lisozima si comporta in modo diverso rispetto alla densità di nucleazione, la quale
rimane invariata all’aumentare della carica superficiale sulla superficie.
Questi risultati forniscono utili informazioni sul meccanismo d’interazione tra macromolecole
biologiche e superfici, utilizzabili nella progettazione di nuove superfici potenzialmente in grado di
controllare la crescita dei cristalli di macromolecole biologiche.
L’obiettivo principale delle ricerche in programma è quello di capire il meccanismo che
controlla la nucleazione e crescita di cristalli di macromolecole biologiche su superfici.
La ricerca di nuove superfici enucleanti facilmente funzionalizzabili sarà il principale
indirizzo di questa linea di ricerca. Verranno utilizzate superfici di minerali (e.g. mica) e
funzionalizzate con vari silani. Il controllo dell’idrofilicità superficiale e la variazione dei gruppi
ionizzabili presenti potrebbe permettere la formulazione di un meccanismo di interazione tra la
macromolecola e la superficie. Verranno inoltre fatte delle prove di cristallizzazione di proteine fin
ora non cristallizzate.
2. RIP: Proteine Inattivanti il Ribosoma
Numerose proteine isolate da una varietà di tessuti vegetali sono simili alla catena A della
ricina e, in modo analogo a queste, inattivano il ribosoma eucariotico mediante un meccanismo
enzimatico. Il loro meccanismo di azione è stato identificato come un’attività N-glicosidica che
rompe in modo idrolitico il legame N-glicosidico del A4324 del 28 S rRNA.
La denominazione proteine inattivanti il ribosoma (RIP) tipo 1 (a differenza del tipo 2, tra le
quali la ricina e tossine simili a doppia catena) è utilizzata per indicare le proteine a catena singola
con le proprietà descritte sopra. Le RIP mostrano un’alta omologia di sequenza amminoacidica e
sembrano avere una simile attività enzimatica. Tuttavia, esse agiscono in modo diverso su ribosoma
di piante, protozoa e animali. Per questa ragione sono uno strumento utile per lo studio delle
proprietà del ribosoma. Inoltre, l’interesse verso le RIP è in crescita da quando esse sono utilizzate
come “immunotossine”, molecole ibride costituite da un motivo tossico legato ad un anticorpo, il
quale riconosce in modo specifico cellule malate, neoplasti, immunocomponenti e cellule di
parassiti. Lo studio strutturale di varie e nuove RIP è essenziale per la risoluzione di alcuni
problemi che si incontrano nella preparazione di immunotossine.
L’attività di ricerca del gruppo è ricolta allo studio di RIP tipo I. Queste sono: la lichnina (dai
semi del Lychnis chalcedonica, 26,6 kDa, pI > 9), la diantina 30 (Dianthus caryophyllus, 32,0 kDa)
e la momorcochina-S (dai semi del Momordica cochinchinesis, 30,7 kDa).
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La diantina 30 e la lychnina sono state cristallizzate e la loro struttura è stata risolta tramite
“molecular replacement”. Sono ancora in corso esperimenti di cristallizzazione della
momorcochina-S per ottenere dei cristalli adatti ad uno studio strutturale a raggi X.
Lo studio continuerà, come obiettivo, con dei tentativi di cristallizzazione di altre proteine
appartenenti alla famiglia delle RIP, quali buganina e momorchina e con la determinazione della
struttura delle due proteine già cristallizzate. E’ inoltre in programma la sintesi di varie forme
ricombinanti al fine di chiarire il meccanismo di inibizione dell’attività ribosomiale.
3. Gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi fotosintetica
Le gliceraldeidi-3-fosfato deidrogenasi (GAPDH) sono enzimi implicati nella glicolisi, nella
glucosogenesi e nel ciclo della riduzione del carbonio di organismi fotosintetici. Le GAPDH
fotosintetiche, localizzate nei cloroplasti, sono formate da una (A) oppure due (A e B) subunità e
sono in grado di utilizzare come coenzima sia il NAD che il NADP, con preferenza per
quest’ultimo. Le subunità A (36 kDa) e B (39 kDa) delle GAPDH dei cloroplasti sono omologhe e
altamente conservate. L’estensione C terminale nella subunità B (CTE) include 31 residui assenti
nella subunità A. Sono conosciute due isoforme della GAPDH plastidiale: l’isoforma principale
contiene subunità A e B in quantità stechiometriche le quali si associano sia in un tetramero A2B2,
stabilizzato dal NADP, o in un esadecamero A8B8, stabilizzato dal NAD. Questa forma è definita
come quella GAPDH regolatrice in quanto numerosi substrati e altri effettori possono modulare la
sua attività e struttura quaternaria; la seconda isoforma è un omotetramero formato di tipo A molto
attivo con il NADP e meno efficiente con il NAD, il quale non provoca variazioni nella struttura
quaternaria.
Il gruppo di ricerca ha recentemente pubblicato, per la prima volta, la struttura cristallografica
di una GAPDH fotosintetica (la forma non regolatrice A4 estratta dalle foglie degli spinaci)
complessata con il NADP. Le caratteristiche basilari di questa struttura sono molto simili alla
GAPDH glicolitica, già conosciuta. Tuttavia delle differenze sostanziali sono state osservate nel
dominio di legame col cofattore. Anche la struttura cristallina della forma ricombinante A4-GAPDH
da Spinacia oleracea, espressa in E.coli, complessata con NAD è stata risolta dal gruppo di ricerca.
Dal confronto tra le strutture dei due complessi si osservano, nell’organizzazione tridimensionale,
delle differenze minime quando la GAPDH ospita nel dominio di legame il NAD o il NADP. La
struttura cristallina del A4-GAPDH complessata con il NADP ha mostrato che i residui conservati,
Thr33 e Ser188, interagiscono tramite legami ad idrogeno con il 2-fosfato del NADP, suggerendo
che questi residui conservati possano essere implicati nella definizione della specificità del
coenzima nella GAPDH fotosintetica.
Come obiettivo, sulla base di queste informazioni ed avendo disponibile la forma
ricombinante, verranno prodotte e cristallizzate due forme mutanti del A4-GAPDH, T33A e S188A.
La struttura di questi due mutanti sarà stata risolta. Questa sarà la base scientifica per la
preparazione di eventuali altri mutanti.
4. Amelogenina
Le proteine che costituiscono la famiglia dell’amelogenina sono la principale entità strutturale
della matrice extracellulare da cui si sviluppa lo smalto dentario. Esse vengono prodotte da cellule
ameloblaste nella parte interna dell’epitelio dello smalto. Nello smalto l’assemblaggio della matrice
è concomitante con la crescita e la maturazione dei cristalliti di idrossiapatite che lo costituiscono e
forse uno dei fattori chiave che controllano alcuni stadi della crescita dei cristalli. La sequenza
ammino e carbossi terminale delle amelogenine è altamente conservata tra le varie specie,
suggerendo che queste regioni svolgono un qualche ruolo specifico durante il processo di
biomineralizzazione dello smalto controllato dalla matrice.
Una caratterizzazione microstrutturale della matrice, associata allo smalto in fase di sviluppo
è critica sia per determinare la struttura dell’amelogenina che per determinare la sua specifica
69
funzione nella formazione dello smalto. Dei notevoli progressi sono stati svolti nella biochimica
dell’amelogenina da quando, dalla fine degli anni 80, è stata determinata la struttura primaria di
varie amelogenine. Tuttavia, le informazioni strutturali ottenute tramite una serie di tecniche
spettroscopiche sono state, fin oggi, inconclusive nella formulazione di un modello strutturale.
La conformazione dell’amelogenina è fortemente dipendente dalla temperatura, dal pH e dalla
forza ionica. Si è visto che in specifiche condizioni la forma ricombinante dell’amelogenina di ratto
rm179 si autoassembla per formare delle nanosfere del diametro di circa 20-30 nm.
Sulla base di queste informazioni saranno fatti una serie di tentativi di cristallizzazione, al fine
di ottenere delle strutture orinate che potranno essere successivamente calcificate in modo da
simulare una parte dei complessi meccanismi che sono coinvolti nella formazione dello smalto.
BIBLIOGRAFIA
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chemistry of the cobaloximes end related models. Comm. Inorg. Chem., 21, 327, 1999.
2) K.A. Watson, C. Mc Cleverty, S. Geremia, S. Cottaz, H. Driguez & L.N. Johnson. Phosphorylase
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Methylcobalamin and of LiCl and KCl Containing Cyanocobalamins by Synchrotron Radiation.
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4) A. Lombardi, C. Summa, S. Geremia, L. Randaccio, V. Pavone & W. F. De Grado.
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5) P. Garau, S. Geremia, L. Randaccio, L. Vaccari, & M. S. Viezzoli. Crystallization and
preliminary X-ray analysis of two pH-dependent forms of cytochrome c2 from Rhodopseudomonas
palustris. Acta Crystallogr., D00, 0000, 2000, printing.
6) E. Fonda, A. Michalowicz, L. Randaccio, G. Tauzher & G. Vlaic. EXAFS Data Analysis of
Vitamin B12 Model Compounds: a Methodological Study. Eur. J. Inorg. Chem., accepted.
7) A. Lombardi, G. De Simone, F. Nastri, S. Galdiero, R. Della Morte, N. Staiano, C. Pedone, M.
Bolognesi, V. Pavone. The crystal structure of α-thrombin-hirunorm IV complex reveals a novel
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8) E. Benedetti, C. Pedone, F. Rossi, M. Saviano, T.Tancredi and G. Canotti. Structureimmunosuppressant or else? Perspectives in Structural Biologu, Eds. M.Vijayan, N. Yathindra,
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10) L. De Napoli, S. De Luca, G. Di Fabio, A. Messere, D. Montesarchio, G. Morelli, G. Piccialli,
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conjugates. Eur. J. Org. Chem (2000) 1013.
11) R. Ragone, S. De Luca, D. Tesauro, C. Pedone, G. Morelli. Fluorescence studies on the binding
between 1-47 fragment of cholecystokinin receptor CCKA-R(1-47) and nonsulfated cholecystokinin
octapeptide CCK8. Biopolymers, (2000) in press.
12) G. De Simone, S. Galdiero, G. Manco, D. Lang, M. Rossi and C. Pedone. A snapshot of a
transition state analogue of a novel Thermophilic esterase belonging to the suBfamily of
mammalian hormone-sensitive lipase. J. Mol Biol.(2000) 303.
13) S. Fermani, G. Falini, M. Minnucci, A. Ripamonti. Protein Crystallization on Polymeric Films
Surfaces. J. Cryst. Growth , in press.
70
14) P. Sabatino, S. Fermani, A. Ripamonti, A. Cassetta, S. Scagliarini, P. Trost. Crystallization and
preliminary X-ray Study of Chloroplast Glyceraldheyde-3-phophate dehydrogenase. Acta Cryst.
(1999) D55, 566.
c) Partecipanti alle ricerche di biocristallografia
Unità di ricerca di Trieste
Prof. Calligaris Mario
Prof. Zangrando Ennio
Dr. Jochen Wuerges
Unità di ricerca di Napoli
Prof. Carlo Pedone
Prof. Giancarlo Morelli
Dr. Filomena Rossi
Dr. Carla Isernia
Unità di ricerca di Bologna
Dr. Giuseppe Falini
Dr. Piera Sabatino
Prof. Randaccio Lucio
Prof. Geremia Silvano
Prof. Nardin Giorgio
Dr.ssa Mara Campagnolo
Prof. Ettore Benedetti
Prof. Maria Grimaldi
Dr. Diego Tesauro
Dr. Roberto Fattorusso
Prof. Benedetto Di Blasio
Dr. Michele Saviano
Dr. Stefania Galdiero
Dr. Simona Fermani
Prof. Alberto Ripamonti
3 - Biocristallografia Ambientale
a) base scientifica e tecnologica
L’atmosfera urbana è caratterizzata dalla presenza di un insieme vasto ed eterogeneo di
materiale solido in forma di piccole particelle, il cosiddetto “particolato”, che qualora inalato e
trattenuto a livello dei bronchi e degli alveoli polmonari è dannoso.Negli ultimi anni una grande
attenzione è stata rivolta al materiale particellare aerodisperso (PM) per i suoi effetti sulla salute, sia
acuti che cronici, evidenziati in molti studi epidemiologici effettuati in grandi città. Come
conseguenza sono entrati in vigore, sia in Italia che all’estero, una serie di normative volte a
salvaguardare la salute dei soggetti esposti a tale materiale inquinante. Anzi, l’Organizzazione
Mondiale della Sanità ha indicato che per le particelle non sembra esserci, all’attuale stato delle
conoscenze, un livello di esposizione al di sotto del quale non siano attesi effetti avversi sulla salute
della popolazione. In altre parole le polveri, specialmente quelle fini segnalate con le sigle PM10,
PM2,5, sono dannose. Alcuni minerali, quali amianti o silice cristallina, presentano una specifica
patogenicità che provoca gravi danni al sistema respiratorio quali tumori bronchiali, asbestosi e
mesotelioma pleurico.Le proprietà chimiche e fisiche del particolato atmosferico variano fortemente
a secondo della località di raccolta.Esso può avere diversa origine e, da un punto di vista chimico,
può essere classificato in: particolato ricco di carbonio (carbonati e solfati), particolato di silice
(silicati naturali ed artificiali), particolato metallico (ossidi contenenti Al, Ti, Zn, Cr, Ni, Pb, Cu).
Per quanto riguarda le dimensioni, il particolato atmosferico può variare in grandezza da un
diametro di 10 nm fino ad un diametro di 100 µm ed è classificato in coarse (> 2,5 µm), fine (2,5
µm), ultrafine (0,1 µm). Nel decreto del 15 Aprile 1994 del Ministero dell’Ambiente, nel quale il
particolato PM10 viene indicato come uno degli inquinanti di interesse prioritario, sono definiti i
criteri di individuazione degli stati di attenzione e di allarme in base ai quali adottare provvedimenti
per prevenire episodi acuti di inquinamento atmosferico. Per la caratterizzazione chimico-fisica del
particolato aerodisperso sono disponibili diversi strumenti microanalitici, come microscopi
71
elettronici, microsonde elettroniche, laser, ma la microscopia elettronica a scansione, unita alla
microanalisi a raggi X a dispersione di energia (SEM/EDX) è la tecnica più versatile e largamente
utilizzata, in quanto permette la determinazione simultanea della morfologia e della composizione
chimica delle singole particelle costituenti il particolato. Tuttavia tale tecnica non riesce a dare
informazioni qualitative sufficienti circa la composizione chimica delle particelle fine e ultrafine,
inoltre è altresì importante la necessità di uno studio dello stato di ossidazione dei metalli presenti in
tali particelle in quanto la tossicità di questi ultimi dipende anche dal loro stato di ossidazione.
Nonostante la nocività degli amianti sia nota da lungo tempo e siano passati svariati decenni
dalla scoperta della relazione tra esposizione all’amianto e sviluppo di forme neoplastiche, il
meccanismo di azione a livello molecolare è ancora largamente sconosciuto. In passato il potenziale
patogeno venne totalmente attribuito alla sola forma fibrosa, mentre, più recentemente, i
meccanismi proposti vedono il concorso di più fattori chimici, fisici e meccanici. Nei casi di
patogenicità scatenata da particolato solido, l’individuazione del meccanismo di azione è resa più
ardua dalla complessità della reattività di superficie delle fibre, che vede diverse funzionalità
chimiche coinvolte, ciascuna delle quali strettamente legata alla “storia” chimica, termica e
meccanica del materiale in questione.
Il 95% della produzione industriale mondiale di amianto è costituita da crisotilo e molti studi
sono stati effettuati sulla struttura e sull’origine geologica di questo minerale. Tuttavia ogni
campione di crisotilo naturale differisce dagli altri, anche se solo minimamente, a causa della sua
origine geologica, per composizione chimica e struttura. Ciò rende così impossibile la disponibilità
di una campionatura di riferimento standard, per studiare il comportamento chimico – fisico e
patogeno del crisotilo.
b) Obiettivi specifici
UNITA’ DI BOLOGNA
G.Falini, E.Foresti, I.G. Lesci, N.Roveri, P.Sabatino
Il lavoro di ricerca sarà indirizzato principalmente:
a) mettere in evidenza la relazione tra la composizione chimica (anioni e cationi) della
componente inorganica, con le dimensioni delle diverse particelle aerodisperse, soprattutto per
quelle fini, che attualmente risulta essere difficoltosa con la sola tecnica di microscopia elettronica a
scansione. Per il raggiungimento di tale obiettivo verrà utilizzato un particolare campionatore nella
cui testa porta-filtri, è possibile raccogliere simultaneamente le diverse frazioni del PM in base alla
loro granulometria (PM10 PM2,5 PM0,1).
L’indagine chimico-strutturale verrà condotta attraverso tecniche diffrattometriche (DRX),
spettroscopiche (FT-IR, Raman), di caratterizzazione termometriche (DSC, TGA, DTA), analitiche
(cromatografo a scambio ionico) e microscopiche (SEM, TEM, AFM).
b) Sintetizzare e caratterizzare sia nanocristalli di crisotilo come unica fase cristallina,
stechiometrica e a morfologia controllata, al fine di ottenere un reale standard di riferimento, sia
nanocristalli di crisotilo opportunamente drogati con Fe3+, Al3+ e Ti+4 al fine di individuare i
parametri, chimici e strutturali delle diverse tipologie di amianto, responsabili del comportamento
patologico di questo minerale che lo hanno portato alla sua messa al bando. Per raggiungere questo
obiettivo verrà studiato un sistema biologico modello rappresentato da una unità proteica quale
l’albumina utilizzata come sensore per l’individuazione dei possibili meccanismi di interazione tra
la fasa inorganica ed gli organismi viventi.
L’obiettivo è di verificare, ridefinire e caratterizzare tale interazione dal punto di vista chimico
strutturale, non solo per il crisotilo naturale ma anche per quello di sintesi utilizzando tecniche come
FT-IR, AFM e TEM.
72
4 – Caratteristiche delle Unità di ricerca
Le Unità di ricerca di Ancona, Bologna, Napoli e Trieste hanno una qualificata esperienza
nello studio della struttura di cristalli, di molecole e di macromolecole ampiamente riconosciuta ed
apprezzata a livello nazionale ed internazionale. Esse metteranno a disposizione delle altre unità le
loro competenze e le relative strumentazioni per la risoluzione strutturale, a mezzo diffrazione di
RX di piccole molecole, proteine e altri sistemi biologici. L’attività viene assicurata anche dal
lavoro di giovani ricercatori, che hanno acquisito, anche con soggiorni all’estero, specifiche
competenze ad elevato livello nella purificazione di proteine, nella biocristallografia e nel computer
modelling.
L’Unità di Ancona ha esperienza specifica nelle tecniche di spettroscopia infrarossa
(Spettrometro FT-IR Perkin-Elmer Spectrum GX1 con accessori per misure in riflettanza DRIFT,
CIRCLE e ATR), NMR ed EPR.
L’Unità di Bologna ha anche esperienza nelle tecniche di diffrazione di raggi X a basso
angolo, nelle tecniche microcalorimetriche (DSC e TG) e tests meccanici e nelle tecniche di
microscopia elettronica a scansione (SEM), ed a trasmissione (TEM) e di microscopia a forza
atomica (AFM).
L’Unità di Napoli ha anche esperienza nella sintesi e caratterizzazione di peptidi, nella
modellistica molecolare, negli studi strutturali mediante spettroscopia NMR.
L'Unità di Trieste, che fa parte del Centro di Eccellenza di Biocristallografia, ha esperienza
delle seguenti tecniche necessarie per realizzare i suddetti obiettivi e che mette a disposizione anche
delle altre unità:
a) disegno, sintesi e caratterizzazione di nuovi modelli B12 e di loro derivati supramolecolari;
b) tecniche di cristallizzazione e caratterizzazione strutturale da cristallo singolo di proteine
mediante diffrazione di raggi X da sorgenti convenzionali e da radiazione di sincrotrone;
c) caratterizzazione strutturale di centri metallici mediante EXAFS;
d) analisi delle proprietà redox (voltammetria ciclica e spettroelettrochimica).
L' Unità di Trieste, è dotata, per la raccolta dati di diffrazione RX, di un area detector DIP
1030 utilizzato con diffrattometro a radiazione Mo-Kα con sistema di raccolta a bassa temperatura
fino a 100 K e di un detector CCD recentemente installato su anodo rotante con radiazione al Cu; di
un laboratorio attrezzato per l'espressione e purificazione di proteine; di un laboratorio attrezzato
per la cristallizzazione di proteine; di una rete di Silicon graphics per l'elaborazione dei dati. Alcuni
membri dell'Unità di Trieste hanno esperienza pluriennale di utilizzo della linea di diffrazione RX
del sincrotrone Elettra e di quella EXAFS al sincrotrone Lure, eseguendo regolarmente misure
previa approvazione degli appositi Comitati Scientifici. In particolare, il prof. Vlaic ha costruito e
messo a punto la nuova linea EXAFS presso Elettra, che entrerà in funzione nell’anno 2004.
5 – Attività di formazione
Per quanto riguarda le ricerche nel campo della biocristallografia le Unità di Bologna, Napoli e
Trieste svolgono attività di alta formazione di laureandi, laureati e dottorandi. In particolare i
borsisti svolgono la propria attività su tematiche di ricerca del Consorzio. In ognuna delle tre Unità
di Bologna, Napoli e Trieste hanno svolto attività di ricerca giovani ricercatori assegnatari di borse
di studio del Consorzio.
Il CIRPEB, presso cui opera l’Unità di Napoli del Consorzio, finanzia contratti di
collaborazione scientifica per giovani laureati e diplomati per la formazione di essi nell’ambito
delle biotecnologie avanzate. Inoltre la gran parte dei ricercatori del centro svolge anche attività di
ricerca nel Centro di Studio di Biocristallografia del CNR. Questo Centro svolge attività di alta
formazione documentata dalle numerose borse di studio assegnate nell'ambito di progetto POP e
Legge 41 della Regione Campania; da borse di studio europee post-dottorato nel progetto
Biotecnologie; da borse di studio per laureati nello stesso progetto. Il Centro negli anni ha assegnato
numerosi contratti di collaborazione a laureati e diplomati e ha finanziato dottorandi in Scienze
73
Chimiche e in Biochimica. Inoltre il Centro ha attivato un dottorato di ricerca tra Italia e Francia nel
campo dei Sistemi di Interesse Biologico.
6 – Finanziamenti
Le Unità di ricerca di Ancona, Bologna, Napoli e Trieste partecipano a Programmi di Ricerca
Nazionali cofinanziati dal MURST.
Il Centro di Eccellenza in Biocristallografia di Trieste, insediatosi nel giugno 2001 oltre ai
finaziamenti ottenuti all’atto della sua costituzione, partecipa a un programma di Finanziamento
FIRB.
L’Unità di Napoli ha presentato una richiesta di finanziamento alla Comunità Europea
nell’ambito di “Cell factory” area Nuovi diagnostici e terapeutici (finanziamento non gestito dal
consorzio ma dal CIRPEB). L’Unità di Bologna ha finanziamenti nell’ambito del Progetto
Finalizzato del CNR : Materiali speciali per tecnologie avanzate II – Area: Cardiovascolare e
Ortopedia e partecipa al Progetto SIMI (GRD1-2000-26823) del V Programma quadro della
Comunità Europea (finanziamenti gestiti dal Dipartimento di Chimica G.Ciamician dell’Università
di Bologna).
74
BIOSENSORI E BIOSTRUMENTAZIONE
Introduzione
La tecnologia dei biosensori, che cerca di combinare le proprietà uniche di riconoscimento
delle strutture biologiche con dispositivi trasduttori ingegnerizzati in modo da fornire avanzate
capacità di rivelazione, ha suscitato un grande interesse da parte delle comunità di ricerca mondiale.
I ricercatori hanno finora prodotto un gran numero di biosensori ibridi che utilizzano costrutti
sia acellulari (macromolecolari) che cellulari, integrati con un'ampia gamma di dispositivi
trasduttori (elettrodi amperometrici e potenziometrici, transistor a effetto di campo, cristalli
piezoelettrici, sensori optoelettronici, termistore, termopile, dispositivi per risonanza superficiale al
plasmon eccetera).
UNITÀ DI RICERCA DI NAPOLI
Obiettivi e Metodi:
Di pertinenza dell’unità operativa di Napoli sarà la biosensoristica non cellulare.
In tale campo, la ricerca da condurre può essere suddivisa in:
1- individuazione e produzione di nuove molecole atte a rilevare uno specifico analita o a
misurare qualche parametro di stato di un dato sistema (nuove sonde molecolari);
2- individuazione e produzione di nuovi sistemi di trasduzione del segnale, in modo da rivelare
l’avvenuta formazione di un complesso specifico tra analita e sonda o una modificazione
indotta nella sonda dallo stato fisico del sistema analizzato;
3- individuazione di nuovi sistemi di amplificazione del segnale, ove questo sia necessario prima
della fase di trasduzione (visto che, una volta convertito il segnale iniziale in un impulso
elettrico oppure ottico è possibile applicare i metodi classici di amplificazione ben noti in
ingegneria);
4- assemblaggio ottimale delle diverse componenti del biosensore.
5- testing del biosensore.
1.
Nuove sonde molecolari.
Presso l’Istituto di Biostrutture e Bioimmagini sono presenti diversi laboratori per la sintesi e
la modifica strutturale di peptidi e acidi nucleici. La versatilità di queste classi di molecole consente
la realizzazione di ligandi per un determinato analita bersaglio che possiedano alta selettività e
buona affinità, costituendo quindi un sistema ideale per il legame a molecole di interesse. Inoltre,
l’introduzione di modifiche strutturali rende possibile sia aumentare il repertorio di possibili sonde
sia, soprattutto, il miglioramento della resistenza alla degradazione ambientale e il conferimento
delle proprietà di solubilità opportune per la rivelazione di analiti in soluzione. Specificamente,
presso l’Istituto si intende progettare nuove molecole di PNA ed altri oligonucleotidi modificati per
il riconoscimento di specifiche sequenze oligonucleotidiche bersaglio.
I PNA sono analoghi del DNA nei quali un’unità di 2-amminoetil-glicina sostituisce il normale
backbone fosfodiestereo. Un linker metil carbonilico connette la base nucleotidica a questo
backbone attraverso l’azoto amminico (Figura 1).
75
3'
OH
NH
2
A
O
O
T
N
P
O
O
O
_
O
O
NH
C
N
O
O
G
O
P
O
O
_
O
O
G
NH
O
N
O
C
O
O
CONH
P
O
_
5'
2
Figura 1.
PNA
DNA
I PNA sono molecole non-ioniche, achirali e non sono sensibili a digestione enzimatica. La
distanza tra basi successive all’interno della catena di PNA è tale da consentire a tali molecole di
complementare sequenze di oligonucleotidi bersaglio secondo il classico schema di accoppiamento
delle basi con il contemporaneo vantaggio di avere una struttura dotata di un’ottima stabilità.1
L’elevata stabilità dei complessi PNA/RNA è stata già sfruttata per produrre molecole capaci di
riconoscere e legare complesse strutture tridimensionali di RNA.2 Le sonde a PNA, con la loro alta
sensibilità, migliore specificità, maggiore stabilità e la capacità di legare un bersaglio con maggiore
affinità e più rapidamente, sicuramente rappresentano un avanzamento che porterà all’ulteriore
sviluppo del mercato delle sonde nucleotidiche. Tuttavia, l’impiego diretto dei PNA come sonde
presenta alcuni problemi. In particolare, un serio ostacolo è rappresentato dalla bassa solubilità in
acqua di sequenze di lunghezza superiore a 10 monomeri. Poiché per ottenere la selettività richiesta
ad un biosensore basato su PNA sono necessarie sequenze di almeno 12 monomeri, è necessario
incrementare la solubilità della sonda. Si tenga presente che questo vale anche per sonde legate ad
un supporto solido, perché l’analita da rilevare (una sequenza oligonucleotidica) è in soluzione.
Fortunatamente, la versatile chimica dei PNA permette di superare il problema. E’ infatti
possibile, per esempio, inserire amminoacidi carichi sia all’interno che come pendagli, sfruttando
una sintesi di tipo Fmoc; oppure, utilizzando la chimica del linker, è possibile costruire molecole
chimeriche di tipo PNA/DNA. Le modifiche indicate non diminuiscono la selettività della sonda,
non aumentano in modo drastico la sua degradabilità e, nel caso dell’introduzione di amminoacidi
carichi positivamente, possono anche aumentare l’affinità per la sequenza bersaglio.
2.
Individuazione e produzione di nuovi sistemi di trasduzione del segnale.
La funzionalizzazione di acidi nucleici con nanocristalli d’oro (Quantum Dots) è una tecnica
usata da almeno una decina di anni in alternativa alla coniugazione con fluorofori per ottenere
sonde nucleotidiche in grado di rivelare la presenza di una sequenza complementare con alta
sensibilità. In particolare, l’elevata resa quantica dei nanocristalli, accoppiata con la presenza di
bande di eccitazione e di emissione ristrette, ha reso possibile l’impiego di sonde
DNA/nanocristallo in combinazioni diverse, in modo da rilevare simultaneamente la presenza di
bersagli diversi. La rivelazione si basa sostanzialmente sul quenching indotto dall’accoppiamento
con la sequenza bersaglio, che in condizioni di elevata stringenza corrisponde ad un segnale ottico
76
preciso. Tale segnale può essere sia direttamente rivelato da un fotomoltiplicatore sia, attraverso
ben noti effetti fotoelettrici, essere trasformato in un segnale elettrico da rivelare in quanto tale.
Questa tecnica, vista la sensibilità della rivelazione in fluorescenza, consente la rivelazione anche di
concentrazioni molto piccole di analita, ma presenta due principali svantaggi per quanto riguarda la
sua applicazione ai biosensori:
1- la necessità di una taratura preliminare, vista la dipendenza non lineare del quenching
indotto dalla concentrazione di analita;
2- la necessità dell’utilizzo di un lettore in fluorescenza, apparato di solito non facilmente
trasportabile sul campo.
Recentemente, tuttavia, si è fatto uso di una nuova proprietà dei nanocristalli d’oro –
l’assorbimento selettivo nelle radiofrequenze – per indurre in maniera reversibile e controllata
cambiamenti strutturali in un’hairpin di DNA (Nature, gennaio 2002). Tale hairpin era
funzionalizzata nel C5 di una timina del loop apicale con un nanocristallo d’oro di diametro pari a
1.4 nm; eccitando il sistema con un campo magnetico a 1.3 GHz, è stata osservata la denaturazione
termica reversibile della parte di DNA in doppia elica.
La possibilità di denaturare selettivamente regioni in doppia elica di acidi nucleici e di
controllare tale denaturazione mediante un comando a distanza è ovviamente estremamente
interessante.
L’estensione di questi concetti ai PNA consente di prevedere un’ulteriore ampliamento delle
possibilità applicative di tale tecnologia. In particolare, nel campo dei biosensori è possibile pensare
di costruire doppie eliche oligonucleotidiche di cui un filamento sia funzionalizzato con un
nanocristallo, come sarà accennato brevemente in seguito.
3.
Individuazione di nuovi sistemi di amplificazione del segnale.
Ove possibile, si intende amplificare il segnale derivante dall’interazione sonda/analita prima
della rivelazione. In particolare, è possibile immaginare di aggiungere alla soluzione da esaminare
alcuni composti fotosensibili.
Grazie alla notevole capacità dei nanocristalli di emettere fluorescenza ad una lunghezza
d’onda che dipende solo dalle dimensioni del nanocristallo stesso, sarà possibile selezionare
nanocristali da coniugare ai PNA sonda che emettano alla lunghezza d’onda ottimale per
l’eccitazione secondaria dei composti fotosensibili. La degradazione irreversibile di questi consente
l’amplificazione del segnale iniziale, se il sistema viene esposto alla lunghezza d’onda di
eccitazione dei nanocristalli. Tale evento si verificherà solo ove i nanocristalli siano a loro volta
presenti in soluzione, evento associato al riconoscimento sonda-analita.
4.
Assemblaggio ottimale delle diverse componenti del biosensore
L’assemblaggio definitivo del biosensore descritto prevede il legame del nanocristallo ad un
filamento di PNA o DNA, l’assemblaggio del filamento complementare ad un supporto solido, e
l’integrazione di questo dispositivo con un dispositivo di eccitazione nelle radiofrequenze.
Il primo passo avverrà attraverso la formazione di un legame ammidico tra un nanocristallo
opportunamente funzionalizzato e un monomero sintetizzato allo scopo, che sia facilmente
incorporabile all’interno della sequenza di PNA.
Il secondo passo avverrà attraverso la formazione di un legame covalente tra il filamento di
PNA sonda e una resina selezionata fra le molte possibili, che potrebbe eventualmente coincidere
con la stessa resina di sintesi utilizzata per la produzione della sonda.
Una volta avvenuta l’ibridazione tra sonda e filamento funzionalizzato con nanocristallo, sarà
costruito un espositore in radiofrequenze ad hoc, che sia capace di eccitare alla giusta frequenza il
nanocristallo utilizzato. Al suo interno, sarà situata la soluzione contenente il sistema sonda,
utilizzando semplici cuvette in quarzo compatibili con misure ottiche.
77
5.
Testing del biosensore.
Il biosensore costruito sarà sottoposto ad una fase di testing. In particolare, il suo
funzionamento dovrebbe essere il seguente.
Nel prototipo finale, l’eccitazione in radiofrequenza consente di denaturare la doppia elica
liberando il filamento sonda sul supporto solido (rendendolo così accessibile all’eventuale analita in
soluzione) e contemporaneamente rilasciando in soluzione il filamento funzionalizzato con il
nanocristallo.
Ove l’analita sia presente, esso si ibrida alla sonda, lasciando il filamento funzionalizzato con
il nanocristallo in soluzione ed impedendone la reibridazione al filamento sonda. Poiché il
nanocristallo è direttamente rivelabile nel visibile, si assisterà alla decolorazione del supporto solido
e alla comparsa di colore nella soluzione.
Se in soluzione sono presenti dei composti fotosensibili alla lunghezza d’onda di emissione del
nanocristallo, l’eccitazione della soluzione alla lunghezza d’onda di assorbimento del nanocristallo
ne causerà la degradazione immediata, amplificando così il segnale dovuto alla presenza anche di
quantità molto piccole di nanocristallo in soluzione.
BIBLIOGRAFIA
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UNITÀ DI RICERCA DI LECCE
Composizione: Prof. Schettino T., Lionetto M.G., Caricato, R., Soldano E.
Settore di Indagine, Obiettivi e Metodi:
Sviluppo di un metodo bioanalitico basato sull’utilizzo del metalloenzima anidrasi carbonica
per la determinazione della tossicità di campioni ambientali
L’anidrasi carbonica è un metalloenzima che catalizza la reazione reversibile di idratazione
della CO2 in HCO3- e H+. Tale enzima è ubiquitario, in quanto è presente nei batteri, nelle piante e
negli animali e svolge un ruolo fondamentale in numerosi processi fisiologici.
Precedenti studi hanno dimostrato la sensibilità dell’attività di tale enzima a inquinanti
ambientali quali il diclorodifenil-dicloro-etano (DDT) [Pocker et al., Science, 174: 1336-1339,
1971] e il cadmio [Lionetto et al., Aq. Toxicol., 48: 561-571, 2000].
L’obiettivo del presente progetto è quello di utilizzare l’anidrasi carbonica per sviluppare un
metodo bioanalitico utilizzabile come complemento alle analisi chimiche per la determinazione
della tossicità di campioni ambientali. Tale metodo si propone di essere di facile utilizzo, veloce e a
basso costo, atto allo screening di un elevato numero di campioni ambientali.
Per la realizzazione degli obiettivi del progetto si utilizzerà anidrasi carbonica bovina
(isoforma II) disponibile in commercio, di cui verrà testata la sensibilità alle principali classi di
contaminanti chimici di rilevanza ai fini della valutazione della qualità delle acque. Verrà indagata
la sensibilità non solo ai singoli contaminanti ma anche a miscele di contaminanti chimici organici e
78
inorganici al fine di standardizzare uno strumento bioanalitico che consenta di rilevare effetti
additivi e sinergici che molteplici contaminanti in tracce possono avere sui sistemi biologici.
L’attività di anidrasi carbonica verrà determinata attraverso il metodo elettrometrico descritto
da Wilbur e Anderson [J. Biol. Chem., 257: 12056-12059, 1948] secondo il quale le unità di attività
enzimatica vengono calcolate dalla velocità di produzione di H+ nella miscela di reazione
contenente CO2 come substrato dell’enzima.
Nel corso dello svolgimento del presente progetto, sulla base dei risultati ottenuti con il
metodo di Wilbur e Anderson si cercherà di snellire ulteriormente le procedure analitiche
sviluppando un metodo spettrofotometrico su micropiastra, di più semplice e rapida esecuzione e
che sia applicabile allo screening di un elevato numero di campioni ambientali.
La standardizzazione di tale metodo bioanalitico può trovare ulteriore applicazione nella messa
a punto di un biosensore della tossicità di campioni ambientali basato sull’utilizzo del
metalloenzima anidrasi carbonica.
79
80
NUOVI FARMACI INORGANICI IN ONCOLOGIA
Introduzione
Il cisplatino (cis-diamminodicloroplatino) è da numerosi anni il farmaco più ampiamente
utilizzato nel trattamento chemioterapico dei tumori, con un mercato mondiale valutato in alcuni
milioni di dollari. Le applicazioni cliniche includono in particolare, oltre al tumore dei testicoli
verso il quale il cisplatino è praticamente curativo, i tumori alle ovaie, al polmone, alla testa e al
collo, al tratto gastrointestinale superiore, l’osteosarcoma e altri.
Dalla scoperta di Rosenberg dell’attività antitumorale del cisplatino alla fine degli anni 60, più
di 3000 complessi di platino sono stati sintetizzati e saggiati con lo scopo di rendere più ampio lo
spettro di attività antitumorale del composto e/o ridurne gli effetti collaterali (tossicità). Al
momento, tuttavia, solo due ulteriori complessi di platino sono entrati nella terapia clinica
mondiale: il cis-[diammino-1,1-ciclobutanodicarbossilato platino(II)] (carboplatino) ed il cis-[1,2diamminocicloesano-ossalato platino(II)] (oxaliplatino) (Figura 1).
O
Cl
H3N
H3N
Pt
H3 N
O
C
O
C
Pt
H3N
Cl
O
Cisplatino
Carboplatino
NH2
O
O
C
Pt
O
NH2
C
O
Oxaliplatino
Figura 1. Strutture schematiche di cisplatino, carboplatino e oxaliplatino.
Nonostante il successo di questi farmaci (praticamente tutti i regimi clinici di trattamento
chemioterapico combinato contengono il cisplatino o un composto analogo), vi è ancora un ampio
margine per lo sviluppo di nuove sostanze, purchè esse presentino caratteristiche innovative rispetto
all’esistente. In particolare, composti innovativi devono possedere attività verso linee o forme
tumorali resistenti ai composti di platino convenzionali (e possibilmente anche ai chemioterapici di
natura organica) e devono presentare una tossicità sistemica limitata.
Anche dal punto di vista della comprensione dei meccanismi d’azione la ricerca è ben lontana
dall’essere esaurita. Basti pensare che, seppure il cisplatino sia utilizzato in fase clinica da circa 30
anni e sia stato ampiamente studiato in tutto il mondo, numerosi aspetti del suo meccanismo di
azione sono ancora incompresi. Soltanto i primi stadi dell’azione del cisplatino sono conosciuti con
relativa certezza; essi comprendono il trasporto all’interno della cellula, l’attivazione in seguito ad
idrolisi dei cloruri, la coordinazione al DNA con prevalente formazione di cross-link tra due siti N7
di nucleobasi puriniche adiacenti (intrastrand G,G e A,G cross-link). Tali addotti, stabili ed inerti,
provocano delle distorsioni nella doppia elica del DNA le quali, apparentemente, inducono la morte
cellulare per apoptosi tramite una complessa e non ben chiara successione di reazioni che
coinvolgono numerosi fattori (proteine HMG, enzimi di riparo e, in particolare, il gene p53, ed
altri).
Nuovi farmaci antitumorali più selettivi verso il tessuto tumorale potrebbero essere ottenuti
modificando opportunamente il cisplatino o i suoi analoghi onde sfruttare alcune caratteristiche
peculiari del tessuto tumorale come bersaglio selettivo.
81
Base di partenza scientifica
E’ importante sottolineare che la ricerca sviluppata nell’ambito del Consorzio ha già avuto
anche degli importanti riscontri applicativi: un composto non-citotossico a base di rutenio
denominato NAMI-A (Figura 2), sviluppato dall’unità di Trieste, si è dimostrato in grado di agire
efficacemente sui tumori secondari disseminati, tipicamente resistenti ai convenzionali composti di
platino. Tale composto, dopo ampi studi preclinici, ha recentemente concluso la fase di
sperimentazione clinica I presso il Netherland Cancer Institute di Amsterdam e dovrebbe presto
accedere alla fase successiva. Da sottolineare che il NAMI-A è stato il primo complesso di rutenio a
raggiungere la fase di sperimentazione clinica.
Me
S Me
O
Cl
(III)
Ru
Cl
Cl
HN
NH
+
Cl
N
NAMI-A
HN
Risulta quindi evidente come la ricerca italiana, rappresentata dai laboratori riuniti nel
Consorzio CIRCMSB, abbia le potenzialità per fornire importanti contributi allo sviluppo di nuovi
antitumorali inorganici ed alla comprensione del meccanismo di azione di quelli esistenti.
Da sottolineare infine come il Consorzio Interuniversitario, tramite anche l’istituzione di borse
di studio e contratti di ricerca, contribuisca in maniera determinante alla formazione di giovani
ricercatori, favorendo il passaggio generazionale di conoscenze e competenze nell’ambito di un
generale ringiovanimento del sistema scientifico di base.
Obiettivi del Programma di Ricerca
Gli obiettivi del programma di ricerca si possono suddividere in due punti molto ampi:
• Progettazione, sintesi e screening di nuovi composti inorganici con attività antitumorale e
individuazione delle caratteristiche chimiche alla base della loro attività
• Comprensione dei meccanismi d’azione alla base dei composti attivi ed individuazione dei
loro target biologici.
Risulta evidente come i due settori siano fra loro connessi in modo sinergico. Infatti, la
comprensione dei meccanismi d’azione e l’individuazione dei target biologici può portare allo
sviluppo ragionato di nuovi composti più attivi.
I due punti verranno di seguito analizzati in maggior dettaglio.
1. Progettazione, sintesi e screening di nuovi composti inorganici con attività antitumorale e
individuazione delle caratteristiche chimiche alla base della loro attività
La maggior parte dei composti di platino saggiati finora sono stati sintetizzati seguendo alcune
ben precise correlazioni struttura-attività stabilite fin dai primi studi sul cisplatino, e che hanno
portato ai derivati di seconda (carboplatino) e terza generazione (oxaliplatino): complessi neutri,
geometria cis, due leganti anionici relativamente labili (gruppi uscenti, cloruri o carbossilati
chelanti), due leganti neutri e inerti (ammine primarie o secondarie). Composti sviluppati secondo
queste regole sono molto probabilmente attivi, tuttavia l’esperienza ha dimostrato che tale attività
non è solitamente molto dissimile da quella del cisplatino.
Si è quindi delineata la convinzione che, per trovare composti che presentino attività su linee
tumorali attualmente resistenti al cisplatino (le quali comprendono purtroppo alcuni dei tumori
umani a maggiore incidenza), sia necessario esplorare strutture non convenzionali, cioè che non
82
seguano le regole di struttura-attività precedentemente elencate. Tale convinzione è supportata da
numerose evidenze sperimentali, quali la scoperta di elevata attività antitumorale in composti di- e
tri-nucleari di platino e in complessi recanti i gruppi uscenti in posizione trans anziché cis (in
questo settore l’unità di Bari ha dato dei contributi molto importanti). Alcune caratteristiche di
questi nuovi composti attivi, ad esempio la carica positiva delle specie di- e trinucleari o la
geometria trans, sono completamente inattese in quanto non rispettano i criteri di correlazione
struttura/attività stabiliti a suo tempo per il cisplatino. Inoltre, molti dei nuovi composti di platino
sono attivi su linee resistenti al cisplatino.
In generale, per composti antitumorali non convenzionali (o non-classici) si intendono
complessi di platino con principi strutturali diversi rispetto al cisplatino e composti a base di altri
metalli.
In particolare, fra le linee di ricerca delle varie unità del Consorzio, possiamo elencare:
1. Complessi di Pt(II) a geometria trans e/o con leganti carrier non-classici (non
amminici, e. g. complessi fosfinici) o in grado di impartire selettività d'azione al
derivato;
2. Composti a base di Ru(II) e Ru(III) e, in particolare:
•
composti tipo-NAMI-A
•
composti nitrosilici
•
composti con carbossilati chelanti
3. Composti a base di Pd(II),
4. Composti a base di Cu(I) e Cu(II),
5. Composti di coordinazione e organometallici a base di Re e Tc,
6. Composti a base di Au(III),
7. Composto di organo-stagno(IV),
8. Derivati di metalli di transizione di consolidato valore farmacologico (Pt e anche altri
metalli) aventi come leganti biomolecole opportunamente derivatizzate (es purine,
tiopurine, acidi biliari naturali e modificati, dipeptidi, antibiotici, acidi carbossilici,
steroidi, carboidrati, porfirine).
9. Per composti selezionati fra le classi sopra elencate verrà condotto uno studio delle
interazioni con biomolecole e del rapporto struttura-proprietà chimico fisicheattività.
Maggiore dettaglio viene riportato nei programmi di ricerca delle singole unità.
2. Comprensione dei meccanismi d’azione alla base dei composti attivi ed individuazione dei
loro target biologici
Nell’ambito di questo settore è possibile individuare alcune tematiche di ricerca specifiche, sia
per quanto riguarda la natura dei bersagli biologici che le ipotesi sul meccanismo di azione di queste
classe di composti. In particolare:
1) Studio delle interazioni dei composti antitumorali con le principali proteine plasmatiche, che
potrebbero fungere da sequestranti o da carrier.
2) Distribuzione intracellulare dei composti, valutazione di eventuali alterazioni del ciclo
cellulare, valutazione della capacità di indurre morte cellulare per apoptosi ed eventuali
effetti preapoptotici.
3) Messa a punto di test biologici atti a valutare l’attività ed a fornire informazioni sul possibile
meccanismo d'azione di composti inorganici attivi (anche di tipo non convenzionale, ad
esempio non-citotossici). Considerata la varietà dei composti che dovranno essere analizzati
è assolutamente necessario disporre di opportuni test di valutazione biologica di prima
istanza per la selezione dei composti più attivi.
4) Verifica della capacità dei composti metallici di inibire l’attività telomerasica. Consistenti
dati sperimentali dimostrano il coinvolgimento dell’enzima telomerasi nel processo
83
oncogenetico e nella proliferazione delle cellule tumorali. Nella maggioranza delle cellule
tumorali e in quelle metastatiche, la lunghezza del telomero (la parte terminale dei
cromosomi) viene preservata grazie ad alti livelli di attività telomerasica. Questa
caratteristica permette alle cellule tumorali di eludere la senescenza replicativa e di
proliferare in modo indefinito. Le cellule somatiche al contrario riducono la lunghezza dei
telomeri durante i cicli successivi di duplicazione fino ad innescare quei fenomeni di crisi
che portano alla morte programmata della cellula (apoptosi). Queste caratteristiche fanno
della telomerasi un target biochimico ideale per una lotta ai tumori "mirata". In particolare,
l’individuazione di sostanze specificatamente reattive nei confronti dell’enzima ed in grado
di inibirne la funzionalità, permetterebbe di intervenire selettivamente su un processo
metabolico preferenzialmente localizzato sul tessuto tumorale, con conseguenze ridotte per i
tessuti sani.
5) Studio del meccanismo di azione delle classi di composti più attivi tramite test di tipo
biologico (ad esempio valutazione del danno al DNA con tecniche di biologia molecolare
come il test COMET) e studi spettroscopici di interazione in vitro con biomolecole (DNA,
oligonucleotidi, proteine, peptidi).
6) Valutazione dell’attività anti-angiogenica, in particolare per i composti di Ru, e studio
dell’interazione con l’ossido d’azoto (NO). E’ noto infatti che, a livello biologico, l’ossido
di azoto funge anche da mediatore nei processi angiogenici e che, d’altra parte, alcuni
composti di Ru interagiscono facilmente con NO, anche in vivo, generando addotti stabili.
La possibilità che i complessi attivi e non-citotossici di Ru interferiscano con il meccanismo
angiogenico tramite la loro coordinazione all’NO è dunque una plausibile ipotesi di lavoro
da verificare.
7) Studio dell’accumulo cellulare attivo dei diversi composti (ad esempio l’accumulo del
rutenio mediato dalla transferrina). Uno degli obiettivi più ambiziosi della chemioterapia è
quello di ottenere selettività nel danno cellulare; ogni processo di trasporto attivo in grado di
favorire le cellule tumorali rispetto a quelle sane è potenzialmente utile per aumentare
selettivamente la concentrazione del farmaco all’interno delle cellule tumorali.
8) Valutazione della selettività d'azione citotossica di derivati ormonali con composti metallici
reattivi. Alcuni tumori, detti ormone-dipendenti, esprimono alti livelli di recettori
estrogenici (ER+). Ormoni derivatizzati attraverso un composto metallico reattivo
potrebbero amplificare selettivamente l'effetto citotossico nelle cellule tumorali che sovraesprimono il corrispondente recettore. L'addotto ormone-recettore potrebbe infatti
indirizzare la reattività del citotossico sul DNA. Questa strategia si basa sull’assunto che il
complesso ormone-metallo rimanga efficacemente riconosciuto dal sistema recettoriale della
cellula target e poi rilasciato nel nucleo.
Il Consorzio Interuniversitario CIRCMSB riunisce le maggiori Unità di Ricerca italiane
operanti da anni in questo ambito; il ruolo di alcune di esse è ben riconosciuto anche a livello
internazionale, come testimoniato dalla loro attiva presenza nei progetti di collaborazione a livello
Europeo, quali l’Azione COST D20 “Metal compounds in the treatment of cancer and viral
diseases”, attualmente presieduta dal Prof. E. Alessio dell’Unità di Trieste.
Le unità di ricerca, inoltre, presentano competenze tipicamente interdisciplinari, sia di tipo
chimico che di tipo biologico e farmacologico, che si integrano e si rafforzano con sinergie positive
nell’ambito del Consorzio. Oltre ad un fattivo scambio di conoscenza, sono già in corso fra le unità
del Consorzio numerose collaborazioni su progetti di interesse comune.
Di seguito verranno riportati in maggior dettaglio i progetti specifici delle singole Unità di
Ricerca, evidenziandone anche la composizione, il settore specifico di indagine e le collaborazioni
(già esistenti o in fase di realizzazione) all’interno del Consorzio. Come già sottolineato, le unità
afferenti al CIRCMSB, tutte attive da anni nel settore e comprendenti chimici, biologi, medici e
farmacologi, sono fra loro complementari e sinergiche ed in grado di affrontare con competenza le
84
diverse tematiche del progetto; inoltre, esistono già fra le varie unità rapporti di collaborazione ben
definiti e motivati da comuni interessi scientifici.
UNITÀ DI RICERCA DI BARI
Composizione e Settore di Indagine
L’Unità di Ricerca di Bari è composta principalmente da due gruppi di ricercatori che
afferiscono rispettivamente al Dipartimento Farmaco-Chimico ed al Dipartimento di Scienze
Biomediche ed Oncologia Umana. Il primo gruppo di ricercatori coordinato dal Prof. G. Natile ha
competenze di tipo prevalentemente chimico e da diversi anni è attivo nel settore dei chemioterapici
inorganici ed ha sviluppato in questo ambito numerosi derivati del platino “non convenzionali”,
alcuni dei quali sono prossimi ad entrare in fase di sperimentazione clinica. Il secondo gruppo di
ricercatori coordinato dal Prof. M. Coluccia è composto da biologi e medici ed è attivo da molti
anni nel settore degli antitumorali di platino e rutenio con riferimento sia all’aspetto terapeutico che
a quello della farmacologia molecolare.
Collaborazioni: UR di Trieste, Firenze e Siena
Obiettivi e Metodi:
Sviluppo di composti antitumorali di platino “non convenzionali”
E’ stato dimostrato che leganti iminoeterei (HN=C(OR)R’) aventi proprietà intermedie tra gli
N-eterocicli aromatici quali la piridina (atomo di azoto donatore ibridizzato sp2, estensione planare)
e le ammine (presenza di un atomo di idrogeno sull’atomo donatore) sono in grado di conferire
attività antitumorale a composti di platino a geometria trans. E’ sufficiente la presenza di un solo
legante iminoetere per avere una sorprendente attività antitumorale. Pertanto questa classe di
composti è particolarmente idonea per uno studio di tipo combinatoriale potendo intervenire su tre
diversi elementi: a) geometria del complesso (cis o trans), b) numero di leganti iminoetere (1 o 2),
c) natura dei sostituenti R e R’dell’iminoetere.
Oltre ai composti con iminoetere, i quali hanno dimostrato avere una certa labilità
configurazionale, soprattutto in soluzione fisiologica, lo studio verrà esteso a leganti iminoeterimimetici configurazionalmente stabili. In Figura sono mostrati alcuni substrati scelti per questo
ruolo: il 5-metossi-3,4-diidropirrolo ed il 5-metil-2,3-diidro-4-ossazolo (1 e 2 in Figura 1). La
sintesi dei complessi di platino con 5-metossi-3,4-diidropirrolo non è stata mai riportata prima
mentre per la sintesi di 5-alchil-2,3-diidro-4-ossazolo ci sono già alcuni esempi (U. Belluco, R.
Bertani, F. Meneghetti, R.A. Michelin,; M. Mozzon, A. Dolmella, Inorg. Chim. Acta, 2000, 300302, 912-921).
85
Un terzo obbiettivo sarà quello di estendere l’indagine a composti, analoghi degli iminoeteri
ma che, al posto dell’ossigeno, hanno un metilene. Sono questi leganti le chetimmine. Le chetimine,
così come gli iminoeteri, sono instabili come leganti liberi ma anche per questi leganti, così come
per gli iminoeteri, il diidropirrolo ed il diidroossazolo, è possibile la loro sintesi nella sfera di
coordinazione del platino per modifica di un legante già coordinato.
Proprietà di interazione con il DNA
Verrà studiata la natura degli addotti formati dai complessi di platino con DNA ad alto peso
molecolare, con frammenti di DNA e con oligonucleotidi selettivamente modificati e purificati. Le
modificazioni strutturali e funzionali derivanti dall’interazione dei complessi con il DNA verranno
studiate con tecniche chimico-fisiche (spettroscopia ad assorbimento atomico, fluorescenza e NMR)
e di biologia molecolare (mappatura trascrizionale e replicativa) come descritto altrove (G. Natile,
M. Coluccia, Metallopharmaceuticals, J Clarke and PJ Sadler eds., Springer Verlag, Berlin. 1999,
pp 73-98). Particolare attenzione sarà dedicata all’identificazione della struttura capace di interagire
preferenzialmente con la sequenza telomerica TTAGGG, e gli studi biochimici correlati verranno
eseguiti in collaborazione con l’UR del Piemonte Orientale. I risultati permetteranno una più
approfondita comprensione delle interazioni farmaco-DNA alla base dell’attività biologica dei
complessi-guida trans-[PtCl2{Z-HN=C(OMe)Me}(NH3)] e cis-[PtCl2{E-HN=C(OMe)Me}(NH3)]
(1 e 2 in Figura 2) e degli analoghi composti con chetimmine.
Accumulo intracellulare e formazione di addotti col DNA
L’accumulo intracellulare di platino e la platinazione del DNA verranno determinati mediante
spettroscopia ad assorbimento atomico, GFAAS, dopo esposizione delle cellule a concentrazioni
equimolari di complesso. Il platino sarà espresso come mmoli Pt/mg proteine, queste ultime
determinate secondo Lowry (O.H. Lowry et al, J. Biol. Chem. 1951, 1193, 265). La formazione di
addotti col DNA verrà determinato allo stesso modo con campioni di DNA isolato da cellule
tumorali come altrove descritto (M. Coluccia et al, J. lnorg. Biochem., 1999, 77, 31). I risultati ci
consentiranno di correlare la potenza citotossica dei complessi con i parametri di accumulo cellulare
e di formazione di addotti col DNA.
Alterazioni nella progressione attraverso il ciclo cellulare
Le cellule tumorali verranno esposte a concentrazioni equitossiche dei complessi di platino
(IC50 per 2 h di trattamento) e l’effetto sul ciclo cellulare verrà studiato mediante citometria a flusso
(analisi biparametrica con ioduro di propidio e bromodesossiuridina). I risultati permetteranno di
86
caratterizzare le modificazioni di ciclo indotte dai complessi di platino e di correlarle alla
formazione di addotti col DNA cellulare.
Induzione dell’apoptosi
Il meccanismo di morte (apoptosi o necrosi) delle cellule tumorali trattate con i complessi di
platino verrà verificato dopo esposizione a concentrazioni equitossiche di complesso, allo scopo di
comparare la cinetica delle alterazioni di ciclocellulare con la cinetica di morte cellulare. L’apoptosi
verrà valutata mediante analisi morfologica (microscopia a fluorescenza) e frammentazione del
DNA (gel elettroforesi). Le alterazioni precoci della membrana cellulare verranno valutate con
metodi citofluorimetrici (analisi biparametrica con annessina V e propidio ioduro) allo scopo di
differenziare l’apoptosi dalla necrosi.
Modificazioni del profilo di espressione genica
I profili di espressione genica relativi a processi cellulari specifici (ciclo cellulare, danno del
DNA, apoptosi, trasduzione del segnale, e metabolismo dei farmaci) caratterizzanti la risposta
cellulare al trattamento con i complessi di platino in esame verranno valutati utilizzando cDNA
microarray a bassa densità allo scopo di evitare i potenziali artefatti dei microarray ad alta densità.
Mediante questo studio caratterizzeremo in maniera complessiva le modificazioni dei profili di
espressione genica delle cellule trattate per quanto riguarda i seguenti processi cellulari: i) Ciclo
cellulare (chinasi ciclino-dipendenti, cicline, inibitori delle chinasi ciclino-dipendenti, fosfatasi,
check points del danno sul DNA e del fuso mitotico); ii) Apoptosi (famiglia Bcl-2, famiglie delle
caspasi e regolatori delle caspasi, TNF, Fas, TRAIL, p53, NFkB); iii) Vie di trasduzione del segnale
(Via mitogenica, Jak-Stat, chinasi P13, geni della via NFkB); iv) metabolismo dei farmaci
(trasportatori, enzimi del metabolismo fasi I e II). Poiché valuteremo le modificazioni del profilo di
espressione di specifiche funzioni geniche e la loro cinetica, i risultati ottenuti ci consentiranno di
identificare e caratterizzare i principali marcatori molecolari della risposta cellulare ai complessi di
platino.
Efficacia farmacologica in vivo
L’attività antitumorale in vivo dei derivati più promettenti sarà in fine valutata mediante
xenotrapianti di cellule SKOV-3, A2780, o A278OcisR, in accordo alle Leggi e ai Regolamenti
nazionali e internazionali (EEC Council Directive 86/109, OJL 358, December 1987, and NIH
publication 85-23, 1985). In breve, le cellule tumorali in sospensione verranno iniettate sottocute in
topi nudi CD-1 (nu/nu) (Charles River, Italy), e il trattamento verrà eseguito per via
intraperitoneale. L’attività antitumorale verrà quindi misurata dalla riduzione della massa tumorale,
e i risultati analizzati con il test non parametrico di Mann-Whitney, come descritto altrove (M. Leng
et al, Mol. Pharmacol. 2000, 58, 1525).
UNITÀ DI RICERCA DI FERRARA
Composizione e Settore di Indagine
L’unità di Ferrara è composta essenzialmente da chimici inorganici esperti di sintesi e da
cristallografi la cui attività di ricerca si sviluppa sia nel settore di nuovi farmaci inorganici in
oncologia, sia nel campo delle metodologie diagnostiche innovative.
87
Per quanto riguarda il primo aspetto il nostro gruppo opera in collaborazione con il Dipartimento di
Biochimica di Ferrara, con cui è in atto da diversi anni una collaborazione che assicura lo screening
dell’attività citotossica in vitro dei complessi preparati, con il Dipartimento di Scienze
Farmaceutiche di Ferrara per lo sviluppo di opportune biomolecole e di test di binding dei
corrispondenti complessi sintetizzati e con l’Università di Almeria, Spagna, per quanto riguarda la
sintesi dei leganti.
Collaborazioni: UR Siena.
Obiettivi e metodi:
Gli obiettivi del progetto sono:
a) la progettazione di biomolecole opportunamente derivatizzate adatte ad agire da leganti per i
metalli di transizione di consolidato valore farmacologico.
b) la preparazione e screening di composti di coordinazione ad attività farmacologica (platino e
renio); studio delle loro interazioni con biomolecole e del rapporto struttura-proprietà
chimico fisiche-attività.
L’utilizzo di complessi di metalli di transizione in campo farmacologico è ormai consolidato
sia come antitumorali che nella medicina nucleare come radioterapeutici e/o radiodiagnostici.
I composti del platino (cisplatino, carboplatino) trovano una estesa applicazione come farmaci
antitumorali. Per quanto riguarda il rutenio, un suo complesso è in fase sperimentale clinica come
antimetastastico, mentre l'utilizzo di complessi "freddi” di renio promettono interessanti sviluppi
come farmaci chemioterapici. La biodistribuzione e l’attività biologica dei complessi degli elementi
citati è spesso determinata sia dalla natura del metallo considerato, dal suo stato di ossidazione,
dalla geometria di coordinazione e dal tipo di leganti in essi presenti e riteniamo quindi che ci sia
ancora spazio per la ricerca chimica in questo settore.
Per questi motivi siamo interessati allo sviluppo della chimica dei composti di coordinazione
di renio, rutenio, tecnezio e platino allo scopo di verificarne l’applicabilità in campo farmacologico.
Descrizione della ricerca
Il progetto intende articolarsi nei seguenti punti:
1) Complessi di renio e tecnezio e rutenio
Intendiamo proporre un sistema per l’ottenimento del precursore di Re(I) del tipo
[Re(triphos)(CO)2(OTf)] (triphos = 1,1,1-tris(difenilfosfinometil)etano, MeC(CH2PPh2)3), cercando
di mettere a punto una procedura sintetica veloce e semplice a partire da ReO4− onde renderla
potenzialmente sfruttabile a livello dei generatori di Tc-99m e Re-188. Un altro aspetto del progetto
è costituito dalla preparazione ed utilizzo di leganti aventi gruppi funzionali idonei sia a coordinare
il metallo stabilizzando frammenti coordinativamente insaturi a geometria ottaedrica (Re, Ru, Tc)
che a legarsi a molecole naturali di interesse biologico. Verranno pertanto prese in considerazione
molecole biologiche dotate di gruppi funzionali nucleofili, idonei a coordinarsi al frammento
elettrofilo [M(triphos)]n+ (M =Re, n=1; M= Ru, n=2).
Visto il crescente interesse nei confronti di complessi organometallici coinvolti nell’ambito di
studi riguardanti l’interazione di metalli con sistemi biologici, nel corso del prossimo triennio 20052007 si continuerà lo studio relativo alla sintesi di complessi organometallici, in particolare di
renio(I), a partire da [(triphos)(CO)2Re(=C=C=CPh2)](OSO2CF3). Tale scelta è motivata dalle
caratteristiche del substrato: grazie all’alternarsi di centri nucleofili ed elettrofili sulla catena
allenilidenica, il complesso risulta particolarmente adatto ad interagire con sistemi dotati di
eteroatomi donatori contenenti un atomo di idrogeno acido, con ottenimento di anelli
88
polieteronucleari generati da reazioni di 1,2,3-dieterociclizzazione. In questo modo si ottengono
sistemi eterociclici coordinati a centri metallici che riscuotono notevole interesse per potenziali usi
terapeutici come antitumorali, battericidi o antivirali.
2) Complessi di platino a potenziale attività antitumorale
Si intende sviluppare la preparazione di complessi di platino contenenti leganti di origine
naturale o loro derivati variamente funzionalizzati (es purine, tiopurine, acidi biliari naturali e
modificati) allo scopo di ottenere farmaci con un meccanismo d’azione e/o una biodistribuzione non
completamente sovrapponibili a quelli del cisplatino. Si sottoporranno i complessi ottenuti a test di
attività antiproliferativa e si studierà il rapporto tra questa e le proprietà chimico-fisiche (es.
polarità, idrosolubilità, ingombro sterico) dei leganti.
O
6
Me
5
1N
H
N7
SR
8
O
2
N3
4
N9
Me
1:
2:
3:
4:
5:
6:
R = H,
= Me,
= 8TTH,
= CH28TTH
= (CH2)28TTH
= (CH2)38TTH
8TTH2
Nel triennio 2005-2007 verrà ulteriormente esteso il progetto relativo al design e sintesi di
complessi di Pt(II) con alcuni derivati dell’ 8-tioteofillina (forniti dal gruppo del Prof. A.Romerosa,
dell’Università di Almeria) con l’obiettivo di mettere a punto composti ad attività antitumorale.
Nei complessi che abbiamo isolato, tali leganti coordinano al platino attraverso l’N7
deprotonato, e la coordinazione è completata da due leganti neutri (piridina o fosfine a varia
idrofilicità).
Una serie di questi composti è stata sottoposta a test di attività antiproliferativa su cellule
tumorali cisplatino sensibili e cisplatino resistenti (presso il Dip. di Biochimica, Prof. Gavioli): sono
stati testati tre gruppi di complessi fosfinici dell’8-MTTH (2) in cui la solubilità in acqua è stata
modulata attraverso la scelta delle fosfine; il primo gruppo presentava esclusivamente la fosfina
lipofila PPh3, il secondo la fosfina idrosolubile PTA e il terzo è misto (un PPh3 e un PTA). La
valutazione dei risultati ottenuti ha mostrato che la più alta attività inibitoria si ottiene con questi
ultimi: i complessi che presentano un PTA e una PPh3 come leganti neutri sul platino hanno una
idrosolubilità intermedia rispetto a quelli con due PTA (più idrofili) e a quelli con due PPh3 (più
idrofobi). Questo risultato potrebbe essere dovuto al fatto che i complessi misti soddisfano le
caratteristiche necessarie perché il farmaco da un lato si sciolga nei liquidi cellulari a base acquosa,
dall’altro sia in grado di superare la membrana cellulare lipofila.
La scarsa attività dei complessi contenenti PTA, piuttosto inaspettata, potrebbe essere dovuta a
processi inattivanti di protonazione dell’azoto del PTA coordinato.
Tra gli obiettivi che ci proponiamo per il futuro c’è quello di confermare la relazione tra
idrolipofilicità e attività antiproliferativa in un gruppo di complessi analoghi, sia introducendo altre
fosfine idrofiliche, ma non protonabili, sia valutando il comportamento chimico-fisico dei composti
in sistemi più complessi.
89
UNITÀ DI RICERCA DI FIRENZE
Composizione dell’Unità
L’Unità di Ricerca di Firenze comprende i seguenti componenti: Prof. Pierluigi Orioli, Prof.
Andrea Scozzafava, Dr. Luigi Messori, Dr. Marta Ferraroni, Dr. Bruno Bruni, Dr. Roberto
Monnanni, Dr. Francesca Piccioli, Dr. Giordana Marcon, Dr. Claudia Temperini.
Collaborazioni:
L’UR di Firenze ha sviluppato nel tempo numerose collaborazioni con vari gruppi di ricerca
nazionali ed internazionali. L’Unità di Firenze ha anche stabilito strette collaborazioni con gruppi di
ricerca presenti all’interno del CIRMSB. In particolare l’UR di Firenze collabora da vari anni con
l’UR di Trieste, sia con la componente chimica rappresentata dal gruppo del Prof. E. Alessio che
con la componente farmacologica del Prof. G. Sava. In anni recenti si è stabilita una stretta
collaborazione con l’UR di Siena. Sono in atto anche collaborazioni con le UR di Bari, di Parma,
del Piemonte Orientale e di Padova.
Obiettivi e metodi
Il progetto di ricerca sviluppato dall’UR di Firenze riguarda in generale lo studio di vari
complessi metallici ad attività citotossica ed antitumorale. L’attenzione in particolar modo si
concentra su due famiglie di complessi metallici ad attività antitumorale, precisamente i complessi
di oro(III) ed i complessi di rutenio(III).
Gli obiettivi primari del progetto di ricerca, fra loro strettamente connessi, sono:
1. lo sviluppo di nuovi composti metallici farmacologicamente promettenti per il
trattamento di varie forme tumorali.
2. la comprensione del meccanismo di azione di complessi metallici che siano già in
clinica oppure in fase sperimentale.
La ricerca si svilupperà mediante l’utilizzo e l’integrazione di varie metodologie. Si
utilizzeranno metodi chimici e chimico-fisici per la sintesi e caratterizzazione di complessi, metodi
spettroscopici e diffrattometrici per gli studi bioinorganici e biofisici, metodi tipici della
farmacologia per la caratterizzazione biologica dei composti di interesse.
Descrizione della ricerca e risultati attesi
La ricerca sarà così articolata:
Complessi di oro(III)
• Valutazione critica dei risultati chimico fisici e biologici ottenuti con i complessi di
oro(III) finora preparati e considerati.
• Definizioni di preliminari relazioni struttura funzione
• Progettazione e sintesi di nuovi complessi di oro(III) con ottimizzazione delle proprietà
chimico fisiche e farmacologiche.
• Screening biologico in vitro e selezione dei migliori composti per uno studio più
approfondito delle proprietà farmacologiche.
90
•
Identificazione di nuovi target biomolecolari. In particolare stiamo valutando gli effetti
dei complessi di oro(III) sull’enzima tioredossina reduttasi e sulla funzione mitocondriale.
Complessi di rutenio(III)
• Valutazione della reattività con proteine modello di NAMI-A e di analoghi.
• Studio delle proprietà di NO scavenging di complessi di rutenio sia dal punto di vista
chimico che biologico.
UNITÀ DI RICERCA DI LECCE
Composizione e Settore di Indagine
L’Unità di Ricerca di Lecce è composta essenzialmente da chimici inorganici esperti di sintesi
e da biologi, la cui attività di ricerca si sviluppa nel settore di nuovi farmaci inorganici in oncologia,
nello studio del ruolo degli ioni metallici nelle patologie degenerative croniche e nel campo dei
biosensori e biostrumentazione.
Collaborazioni: UR di Bari e Parma
Obiettivi e Metodi:
1. Gruppo di ricerca del Prof. Francesco Paolo Fanizzi
Composizione del gruppo: Prof. Fanizzi F.P., Prof.ssa Ciccarese A., Benedetti M., Papadia P.,
Migoni D., De Pascali S.A., Marsigliante S., Muscella, A.
Base di partenza scientifica:
E’ stato dimostrato che i retro modelli di platino contenenti derivati guaninici (cis-PtA2G2),
ottenuti da addotti di analoghi del cisplatino, dove A2 è un particolare legante carrier diamminico
1
opportunamente scelto, producono delle specifiche interazioni con le nucleobasi. Come risultato di
questo approccio, in diversi sistemi basati sui derivati chelati di N,N'-dimetilpiperazine o 2,2'bipiridile ed 1,10-fenantrolina, quali leganti carrier diamminici, l'ingombro sterico introdotto nel
piano di coordinazione del platino si è rivelato un potente strumento per rallentare i movimenti
2,3
dinamici delle nucleobasi legate al metallo. Per tutti gli analoghi del cisplatino sintetizzati
secondo questo criterio, la sostituzione dei labili leganti cloruro con derivati guaninici (G) ha dato
complessi cis-PtA2G2, presenti in soluzione con due maggiori atropisomeri HT ed un atropisomero
4
minore HH, che non interconvertono nella scala dei tempi NMR. Inoltre, nel caso del complesso
[PtCl2(Me2ppz)] è stato osservato un impedimento nel movimento dinamico e più conformeri (due e
tre rispettivamente) nei retro modelli Me2ppzPt(GpG) e Me2ppzPt(d(GpG)) contenenti le nucleobasi
legate dal ponte fosfodiesterico. Questo risultato ha anche rappresentato la prima caratterizzazione
riportata in letteratura di tre abbondanti conformeri per un addotto cis-PtA2(d(GpG)). L'analisi delle
abbondanze relative dei conformeri, comparata con altri sistemi in cui la stabilizzazione di uno
specifico conformero potrebbe essere attribuita al legame idrogeno tra l'O6 (G) ed i gruppi NH (A2)
e la considerazione che tali legami idrogeno non sono possibili per il legante Me2ppz hanno portato
alla conclusione inequivocabile che il legame H con l'O6(G) deve essere generalmente debole e che
gli effetti sterici presenti nello step di paia di basi di Lippard (vicino allo step distorto G*G*,
5
contenente l’adiacente cross-link intrastrand cisplatino-DNA) facilmente prevalgono. Inoltre, è
91
stato evidenziato che la presenza in brevi oligonucleotidi a singolo filamento di un qualsiasi residuo
in posizione 5’, adiacente alla lesione G*G*, ha un drammatico effetto sulla distribuzione dei
6
conformeri di retro modelli del cross-link cisplatino-DNA.
Obiettivi e metodi del progetto:
Sintesi di complessi di Pt con piperazine e β-dichetonati ed interazione con nucleobasi
L’Unità di ricerca di Lecce si prefigge di studiare la sintesi di nuovi composti analoghi del
cisplatino, contenenti come leganti carrier N-metilpiperazine e piperazine, che presentano diverse
possibilità di formare legame idrogeno nella interazione con il DNA, rispettivamente un solo
legame per il complesso con un solo metile e due legami per il complesso con la piperazina non
metilata. Saranno, inoltre, investigati nuovi composti di platino, contenenti β-diketonati come
leganti carrier. In questi sistemi, contrariamente a quanto avviene per i gruppi NH dei leganti
amminici, gli atomi di ossigeno donatori dovrebbero eventualmente agire da controparte nucleofila
nella formazione di un legame idrogeno. Ci si attende una validazione, attraverso gli esperimenti su
cellule tumorali, dei risultati ottenuti dalla caratterizzazione NMR dei composti di Pt con
nucleobasi, in particolare la non importanza del legame idrogeno nell’interazione del platino con il
DNA, ed il ruolo determinante di fattori sterici presenti nello step di paia di basi di Lippard. Sarà
pertanto esaminata la eventuale correlazione tra le proprietà strutturali e l’attività biologica di tali
composti, allo scopo di determinare il ruolo che essi hanno nel meccanismo antitumorale del
cisplatino.
H3 C
N
N
HN
CH3
CH3
Cl
Pt
Cl
Cl
NH
HN
Pt
Pt
Cl
N
Cl
Cl
Effetto citotossico ed induzione dell’apoptosi
Una volta sintetizzati e caratterizzati, i composti di Pt saranno utilizzati per gli studi di
valutazione dell’attività antitumorale su sistemi cellulari differenti, quali quelli di endometrio, della
mammella e della tiroide, come di seguito descritto. Le cellule HeLa derivate da endometrio
tumorale umano rappresentano un sistema ideale di analisi del comportamento biologico delle
molecole di nuova sintesi, in quanto le applicazioni terapeutiche del cisplatino interessano
innanzitutto i tumori solidi dell’apparato urogenitale. Per quanto concerne la mammella, allo scopo
di avere un sistema che seppur in vitro possa assomigliare alla biologia delle cellule in situ verranno
utilizzate colture primarie sia di cellule tumorali che di cellule sane prelevate dalla stessa paziente.
L’uso di epitelio sano e della sua controparte tumorale permetterà di valutare l’efficacia dei nuovi
composti contemporaneamente su entrambi i tipi cellulari. Per la tiroide invece verranno utilizzati
sia modelli sperimentali costituiti da linee cellulari tiroidee continue e trasformate da vari oncogeni
e derivate dal ratto, che modelli di linee cellulari derivate da carcinomi tiroidei umani. La
metodologia da applicare alle cellule utilizzate si baserà sulla valutazione di curve di crescita in
condizioni standard in presenza ed in assenza di varie concentrazioni delle molecole a base di
platino, fornite alle cellule per opportuni tempi. Accanto alla determinazione degli IC50, si
valuteranno anche le quantità di platino accumulate in cellula e legate al DNA.
Inoltre, sarà valutato il ruolo del cisplatino nell’attivazione di alcune vie intracellulari di
trasduzione del segnale, che hanno come effetto finale l’induzione dell’apoptosi. In particolare, sarà
determinata la relazione tra l’azione citotossica del cisplatino e dei suoi analoghi di nuova sintesi e
l’attivazione della MAPK ERK. Le MAPK (Mitogen Activated Protein Kinase) sono proteine
92
serina-treonina chinasi attivate in risposta ad una varietà di stimoli extracellulari coinvolti nella
proliferazione cellulare, la trasformazione, il differenziamento e la morte cellulare. Esse sono
suddivise in quattro sottofamiglie, tra le quali è compresa ERK, vale a dire la chinasi regolata da
segnali extracellulari. La sottofamiglia ERK svolge un ruolo importante nella regolazione della
crescita e del differenziamento cellulare, essendo indotta in risposta ai fattori di crescita, quali
7,8,9
citochine ed esteri del forbolo.
E’ anche attivata da alcune condizioni di stress, quali quelle
conseguenti alla somministrazione di composti citotossici. Recenti evidenze sperimentali hanno
però dimostrato che la suramina, un inibitore dei fattori di crescita, può prevenire l'attivazione di
ERK e l’effetto apoptotico del cisplatino: ciò fa supporre un ruolo determinante dei recettori per i
10
fattori di crescita nell’innesco di questo tipo di processi.
Quindi, anche se rimangono ancora non del tutto chiare le modalità con cui il farmaco attiva
processi e proteine intracellulari che portano alla morte cellulare, sono ormai numerose le evidenze
sperimentali che dimostrano che l'interazione tra il cisplatino ed il DNA non è l’unico evento in
grado di avviare l’apoptosi e che anche i recettori per i fattori di crescita, posti sulla membrana
plasmatica, svolgono un’azione significativa
Bibliografia
1 Sullivan S.T., Ciccarese A., Fanizzi F.P., Marzilli L.G. Inorg. Chem. 2001, 40, 455-463.
2 Sullivan ST, Ciccarese A, Fanizzi F.P., Marzilli LG., J. Am. Chem. Soc. 2001, 123, 9345-9355.
3 Margiotta N., Papadia P., Fanizzi F.P., Natile G. Eur. J. Inorg. Chem. 2003, 6, 1136-1144.
4 Sullivan S.T, Ciccarese A., Fanizzi F.P., Marzilli L.G. Inorg. Chem. 2000, 39, 836-840.
5 Ohndorf U.-M., Rould M.A., He Q., Pabo C.O., Lippard S.J. Nature, 1999, 399, 708-712.
6 Sullivan S.T., Saad J.S., Fanizzi F.P., Marzilli L.G., J. Am. Chem. Soc. 2002; 124(8), 1558-1559.
7 Johnson G.L., Vaillancourt L.L. Curr. Opin. Cell. Biol. 1994, 6, 230.
8 Robinson M.J., Cobb M.H. Curr. Opin. Cell. Biol. 1997, 9, 180.
9 He H., Wang X., Gorospe M., Holbrook N.J., Trush M.A. Cell. Growth Differ. 1999, 10, 307.
10 Wang X., Martindale J.L., Holbrook N.J. J. Bio. Chem. 2000, 275, 39435.
2. Gruppo di ricerca della Prof.ssa Luciana Dini
Composizione del gruppo: Prof.ssa Luciana Dini, Elisa Panzarini, Patrizia Tarantino, Bernadette
Tenuzzo, Alfonsina Chionna
Base di partenza scientifica:
Una modalità di trattamento che in anni recenti ha avuto un crescente interesse, in particolare
per patologie neoplastiche, è la terapia fotodinamica (PDT). La PDT si basa sull’azione di molecole
fotosensibilizzanti (PS), capaci di esplicare una azione citotossica quando sono eccitate dalla luce
ad una opportuna lunghezza d’onda. Queste molecole mostrano una capacità di legame
preferenziale alle cellule tumorali. La PDT determina morte cellulare che si esplica sia per necrosi
che per apoptosi. Fino ad ora la maggior parte degli studi è stata focalizzata alla comprensione dei
processi metabolici che permettono ai PS di indurre la cellula bersaglio a morte apoptotica, cioè
essenzialmente ai processi di induzione apoptotica, mentre poco è stato ancora studiato
relativamente alle modificazioni della superficie delle cellule apoptotiche generate dopo PDT ed al
loro destino finale. In particolare, l’efficacia della fase di clearance è infatti cruciale per la riuscita
in vivo della PDT, ed è strettamente dipendente dalle modificazioni (entità e tipologia) che la
superficie cellulare subisce durante il fotodanno. È importante ricordare che l’efficacia di questa
fase protegge l’integrità strutturale dei tessuti sani, e limita l’insorgenza dei fenomeni autoimmuni
frequenti in situazioni di rimozione deficitaria od alterata.
93
Obiettivi e metodi del progetto:
Il gruppo di ricerca si propone di studiare il processo di rimozione delle cellule apoptotiche
generate in seguito alla terapia fotodinamica (DPT). I substrati fluorogenici degradabili da specifici
enzimi cellulari che verranno utilizzati per indurre apoptosi in varie linee cellulari sono forme
modificate dell’ipocrellina A (HypA): HypA acetato (HypA Ac). Macrofagi epatici e peritoneali
oltre a cellule U937 differenziate saranno usati come modelli in vitro per gli studi di fagocitosi a cui
si affiancheranno modelli in vivo rappresentati da tumori sperimentali (fibrosarcoma MS-2) nel
topo. Le cellule apoptotiche saranno di diversa provenienza: si impiegheranno, infatti, diverse linee
cellulari: linfociti umani isolati da sangue periferico fibroblasti normali umani e di topo, cellule da
fibrosarcoma di topo, cellule Hep-2 (da carcinoma laringeo) e cellule Hep-G2. Le condizioni di
coltura, crescita a bassa densità cellulare, o ad alta densità fino a confluenza, ed i trattamenti con
HypA Ac e il successivo irraggiamento (lunghezza d’onda di 600 nm proveniente da una lampada a
vapori di Xe da 75 Watt) per una dose totale di 0.1/3 J/cm2 seguiranno protocolli già messi a punto.
Come regola generale, i metodi saranno quelli di uso più comune, descritti ampiamente negli studi
pubblicati dal nostro e da altri gruppi di ricerca. La scelta di metodologie ampiamente utilizzate e
standardizzate invece di quelle non ampiamente sperimentate, permetterà una valutazione
attendibile e riproducibile dei risultati. In particolare, verranno utilizzate tecniche di microscopia
ottica ed electtronica, citochimica ed immunocitochimica, blotting, citofluorimetria e preparazione
di linfociti umani e macrofagi murini epatici isolati in coltura primaria.
In particolare verranno analizzati:
A) le modificazioni morfologiche delle cellule rese apoptotiche dopo trattamento fotodinamico
verranno studiate a livello ultrastrutturale sia mediante TEM che SEM per evidenziare eventuali
variazioni sia superficiali che citoplasmatiche;
B) le modificazioni della superficie cellulare (asimmetria dei lipidi di membrana ed
espressione di PS, residui saccaridici) in cellule rese apoptotiche dopo trattamento fotodinamico.
Verranno utilizzate tecniche di cito/istochimica, citofluorimetria con marcatori fluorescenti. In
particolare le modificazioni dell’espressione di fosfatidilserina verranno valutate in relazione alla
intensità di colorazione con Annexina V coniugata con FITC. Le modificazioni degli zuccheri di
superficie mediante l’uso di un pannello di lectine coniugate con FITC o con TRICT per permettere
anche doppie marcature;
C) lo studio dei meccanismi molecolari di riconoscimento tra macrofagi epatici e peritoneali in
coltura primaria e le cellule apoptotiche indotte dalla PDT usando le tecniche di inibizione della
fagocitosi. Il contributo di ciascuna molecola ‘eat-flag’ verrà presa in esame. L’ampio pannello di
molecole coinvolte nei processi di riconoscimento e fagocitosi delle cellule apoptotiche da DPT
verranno saggiate utilizzando test di inibizione del legame incubando le cellule apoptotiche ed i
fagociti contemporaneamente con inibitori dei recettori in test di adesione.
UNITÀ DI RICERCA DI PADOVA
Composizione dell’unità
L'unita' e' composta da chimici esperti nella sintesi di composti di coordinazione (Prof.ssa G.
Faraglia, Proff. G. Pilloni, e B. Longato, Dr.ssa D. Fregona, operanti presso il Dip. di Scienze
Chimiche), di specialisti in cristallografia operanti presso il medesimo Dipartimento (Prof. R.
Graziani) e presso il Dip, di Scienze Farmaceutiche (Prof. G. Bandoli e Dr. A. Dolmella). Fa inoltre
parte dell’Unità la Dr.ssa C. Marzano, del Dip. di Scienze Farmaceutiche, specializzata nello studio
dell’attività antitumorale, in vitro e in vivo, dei composti sintetizzati.
94
Collaborazioni:
L’unità di Padova collabora con l’unità di Trieste per la determinazione della struttura di
composti per i quali necessita la bassa temperatura o nel caso di cristalli particolarmente piccoli.
Base di partenza scientifica
Da vari anni, presso questa Unità vengono sviluppate due linee di ricerca:
a) Sintesi, caratterizzazione chimico-fisica e studio delle propietà citotossiche di composti di
coordinazione, in particolare di Pt(II) e Pd(II), Cu(I e II) con l’intento di ottenere dei farmaci in
grado di coniugare attività antitumorale e bassa tossicità.[1] Recentemente la ricerca è stata
indirizzata verso complessi quadrato-planari di Au(III) contenenti l’anione ditiocarbammato
(YCS2)¯, di formula generale:
S
Y
X
Au
C
S
X
In particolare per i complessi in cui Y è il gruppo EtO2CCH2N(CH3) e X sono Cl o Br, è stato
messo a punto un processo di sintesi di tipo templato caratterizzato da ottima riproducibilità. I
composti isolati sono caratterizzati da elevata stabilità in condizioni fisiologiche, e la loro attività
antitumorale, testata in vitro su un ampio pannello di linee cellulari di origine umana, è risultata
significativamente più elevata rispetto a quella del cisplatino. Questi risultati sono stati oggetto di
un brevetto depositato dall’Università di Padova (N. MI2003A 000600, 26/03/2003).
b) Studio sull'interazione di complessi fosfinici di Pt(II) con nucleobasi modello, con
l’obiettivo di analizzare il ruolo dei leganti ancillari nella coordinazione al centro metallico di
queste importanti biomolecole.[2] Recenti risultati hanno riguardato la caratterizzazione di nuovi
complessi dell’adenina e citosina il cui modo di coordinazione non trova riscontro nella chimica di
coordinazione di queste nucleobasi nei confronti di centri metallici stabilizzati dai leganti NH3 o
poliammine. I composti ottenuti, risultanti dalla reazione degli idrossocomplessi cis-[L2Pt(µOH)]22+ (L= PMe3, PMe2Ph, PMePh2) con 9-metiladenina e 1-metilcitosina, hanno formula generale
cis-[L2Pt(nucleobase(-H)]nn+, (n = 1, 2, 3) e contengono la nucleobase deprotonata coordinata
attraverso gli atomi N(1),N(6) nel caso dell’adenina e N(3),N(4) per la citosina. La loro nuclearità,
sia allo stato solido che in soluzione, dipende dalla natura della fosfina.[3]
Obiettivi e metodi del progetto di ricerca
Con il presente progetto si intendono approfondire gli studi riguardanti la sintesi di nuovi
complessi di metalli di transizione, in particolare Pt(II), Pd(II), Au(III) e Ru(III), contenenti leganti
misti quali ditiocarbammato, piridina, ammine (alifatiche e aromatiche) e alogenuri. Questi ultimi
dovrebbero favorire il meccanismo idrolitico del complesso responsabile della formazione nel
citosol cellulare di speci attive nei confronti del DNA. I leganti con atomi donatori allo zolfo sono
in grado di chelare efficacemente il centro metallico così da impedirne la reazione con i siti solforati
delle proteine. Oltre ai ditiocarbammati derivati della sarcosina, i cui complessi con Pt(II) già hanno
mostrato una interessante attività biologica,[4] unitamente ad una bassa nefrotossicità, anche nei
confronti di linee cellulari resistenti al cisplatino, verranno studiati complessi dell’anione
95
pirrolidinoditiocarbammato il quale, a differenza di altri ditiocarbammati, ha mostrato proprietà
antiossidanti e antivirali.[5] Infine, la presenza di leganti aventi uno o più atomi di azoto (ammine
e/o poliammine) dovrebbe rendere possibile il cambiamento della nuclearità dei complessi
risultanti.
L’obiettivo è quello di trovare composti aventi attività antitumorale paragonabile o superiore a
quella del cisplatino, una selettività verso i tumori resistenti a questo farmaco e/o una specifica
affinità verso alcuni target biologici come i mitocondri e/o il DNA, accompagnati da una tossicità
sistemica non significativa. La valutazione delle potenziali proprietà biologiche dei complessi
preparati sarà preceduta da un’adeguata caratterizzazione chimico-fisica, in particolare per quanto
riguarda la loro struttura in soluzione, mediante tecniche spettroscopiche (IR e NMR
multinucleare).
Lo studio di complessi fosfinici di Pt(II) con nucleobasi modello verra' esteso a nucleosidi e,
possibilmente, nucleotidi con l'obiettivo di isolare e caratterizzare gli addotti platino-biomolecola.
BIBLIOGRAFIA
[1] V. Scarcia, A. Furlani, , D. Fregona, G. Faraglia, and S. Sitran, Polyhedron 1999, 18, 28272837;G. Faraglia, D. Fregona, S. Sitran, L. Giovagnini, C. Marzano, F. Baccichetti, U. Casellato, R.
Graziani. Inorg. Biochem 2001, 83, 31-40; C. Marzano, A. Trevisan, L. Giovagnini, D. Fregona,
Toxicology in vitro, 2002, 16, 43-49; G. Faraglia, M.A. Fedrigo, S. Sitran, Trans. Met. Chem. 2002,
27, 200; L. Ronconi, C. Marzano, U. Russo, S. Sitran, R. Graziani and D. Fregona, J. Inorg.
Biochem., 2002, 91, 413-420; D. Fregona, L. Giovagnini, L. Ronconi, C. Marzano, A. Trevisan, S.
Sitran, B. Biondi and F. Bordin, J. Inorg. Biochem. 2003, 93,181-189.
[2] G. Bandoli, G. Trovo', A. Dolmella, B. Longato, Inorg. Chem. 1992, 31, 45-51; G. Trovo', G.
Valle, B. Longato, J. Chem. Soc. Dalton Trans. 1993, 669-673; G. Trovo`, G. Bandoli, M. Nicolini,
B. Longato, Inorg. Chim. Acta 1993, 211, 95-99; L. Schenetti, G. Bandoli, A. Dolmella, G. Trovo`,
B. Longato, Inorg. Chem. 1994, 33, 3169-3176; B. Longato, G. Bandoli, G. Trovo`, E. Marasciulo,
G. Valle, Inorg. Chem. 1995, 34, 1745-1750; L. Schenetti, A. Mucci, B. Longato, J. Chem. Soc.
Dalton Trans. 1996, 299-303; B. Longato, G. Bandoli, A. Mucci, L. Schenetti, Eur. J. Inorg. Chem.
2001, 3021-3029;
[3] B. Longato, L. Pasquato, A. Mucci, L. Schenetti, Eur. J. Inorg. Chem. 2003, 128-137. B.
Longato, G. Bandoli, A. Dolmella, Eur. J. Inorg. Chem. 2004, 0000. B. Longato, L. Pasquato, A.
Mucci, L. Schenetti, E. Zangrando Inorg. Chem. 2003, 42, 7861-7871. B. Longato, G.Bandoli, A.
Dolmella, E. Fiorio, 3° Workshop on Pharmaco-Bio-Metallics. Sorrento, 7-8 Nov. 2003, p. 10.
[4] C. Marzano, D. Fregona, F. Baccichetti, A. Trevisan, L. Giovagnini D. Fregona, Chem.-Biol.
Int. 2002, 140, 215-219; A. Trevisan, C. Marzano, P. Cristofori, M. Borella Venturini, L.
Giovagnini, D. Fregona, Archives of Toxicology 2002, 76, 262-268.
[5] E. Gaudernak, et al., J. Vir.2002, 76, 200; S. Cuzzocrea et al, British J. Pharmacol.2002, 135,
496.
UNITÀ DI RICERCA DI PALERMO
Composizione dell’unità
L’unità di Palermo è costituita dal seguente personale: Proff. N. Bertazzi, R. De Lisi, A.
Gianguzza, M. Gianguzza, C. Mansueto, S. Milioto, L. Pellerito, G.C. Stocco, R. Triolo; D.ri. T.
Fiore, C. Pellerito, D. Piazzese, R. Pitturi; sig. F. Di Prima, M. Di Prima, N. Tomasello, M. Uccello.
96
Descrizione della ricerca
Introduzione
Gli organostagno(IV) derivati mostrano un ampio spettro di attività biologiche. Essi sono stati
frequentemente studiati come funghicidi, battericidi, acaricidi, preservanti del legno, etc. Brown e
collaboratori già nel 1972, hanno studiato le proprietà antitumorali del Ph3Sn(IV)acetato. Oggi è
noto che molti derivati di diorganostagno(IV) presentano la più elevata attività antitumorale,
combinata con la più bassa tossicità nei confronti dei mammiferi.
Composti dialchilstagno(IV) di formula R2Sn(IV)L2 (L2=legante bidentato), e in particolare
Bu2Sn(IV)L2, hanno mostrato un’attività antitumorale verso il tumore a cellule ascitiche di Ehrlich,
la leucemia linfatica P-388 e il sarcoma 180, nei topi.
Un'altra classe di derivati di organostagno(IV) che possiede attività contro la leucemia
linfatica P-388 nei topi ha formula generale R2SnX2L2 (R = alchile, X = alogeno e L2 = legante
bidentato, con atomi donatori ossigeno e/o azoto).Questi composti presentano geometria ottaedrica.
Il legante bidentato assicura una configurazione cis ai due atomi di alogeno, richiesta per l’attività
antitumorale in analogia al composto cis-platino, in cui la microsimmetria quadrata planare attorno
al platino è fondamentale per la sua attività carcinostatica.
E’ stato inoltre riscontrato che è necessaria la presenza di atomi donatori quali l’azoto e
l’ossigeno, affinché il complesso eserciti attività antitumorale ed inoltre che la lunghezza di legame
media tra l’atomo di stagno e l’atomo donatore sia maggiore di 2.39Å.
Tutto ciò ha suggerito che i composti del tipo R2SnX2L2 hanno legami Sn-L relativamente deboli e
facilmente idrolizzabili, che vanno incontro ad un meccanismo di predissociazione prima di
espletare l’effetto antitumorale.
Per cui il legante organico (L2), coordinato allo stagno(IV), agisce da trasportatore verso le
cellule tumorali della specie attiva R2Sn2+ che si lega ai siti del DNA, formando legami
interfilamento con conseguente alterazione della struttura a doppia elica.
Da tutto ciò è stato possibile concludere che nei composti organostagno(IV) la porzione R2Sn2+ è
responsabile dell’attività antitumorale.
Base di partenza scientifica
Recentemente sono stati sintetizzati alcune serie di derivati di- e tri-organostagno(IV) con
molecole biologiche quali dipeptidi, antibiotici, acidi carbossilici, steroidi, carboidrati, porfirine,
etc., ed indagate sia allo stato solido con spettroscopia FT-IR, Raman, Mössbauer, diffrazione ai
raggi X, etc., che in soluzione mediante spettroscopia 1H, 13C, 119Sn NMR, EPR, CD). Indagini su
equilibri in soluzione, soprattutto mediante misure pH-metriche e calorimetriche, sono state
effettuate sulla formazione di complessi con molecole biologicamente attive. Sono state determinate
le costanti di formazione e le curve di distribuzione ottenute sono state valutate per ottenere
informazioni sulle specie che esistono nel range di pH fisiologico.
Successivamente tali complessi sono stati usati per valutare:
a) la loro attività citotossica nei confronti dello sviluppo di bioindicatori quali alcuni tunicati
(Ciona intestinalis, Ascidiella aspersa,Ascidia malaca), echinodermi (Paracentrotus lividus
and Sphaerechinus granularis, etc.
b) i danni causati dalla loro citotossicità su cromosomi di Truncatella subcilindrica (mollusca,
mesogastropoda), Anilocra physodes (crustacea, isopoda), Aphanius fasciatus (pisces,
cyprinodentiformes) , etc.
c) i danni morfologici causati su cellule previamente trattate con soluzioni diluite dei
complessi sintetizzati, mediante T.E.M. (transmission electron microscopy).
d) la loro attività antitumorale nei confronti di alcuni linee di cellule tumorali umane (HeLa),
in vitro, mediante citometria a flusso.
97
Programma di ricerca
Verranno preparate alcune classi di di- e triorganostagno(IV) composti con leganti
caratterizzati dalla presenza di catene poliossoalchiliche, calixareni con gruppi funzionali atti a
fornire caratteristiche chimico-fisiche differenti al composto o resorcinareni che dovrebbero
aumentare considerevolmente la loro idrofilicità.
Si intendono inoltre indagare di- e triorganostagno(IV) derivati di carboidrati (D-galactosio, Dglucosio) e di loro acidi carbossilici quali per esempio acidi D-galatturonico, D- galattonico, Dglucuronico e D-gluconico; di- e triorganostagno(IV) derivati di lipidi, lipidi di membrana,
antibiotici e porfirine.
Successivamente verrà indagata la loro stereochimica sia allo stato solido che in soluzione,
mediante tecniche spettroscopiche opportune (FT-IR, Mössbauer, 1H, 13C, 119Sn NMR), raggi-X e la
loro stabilità in soluzione acquosa, mediante metodi potenziometrici, e mediante spettroscopia
Mössbauer in soluzione acquosa congelata.
Fasi della ricerca e risultati attesi
Le fasi di sviluppo del progetto possono essere differenziate nelle seguenti tre parti :
1.
2.
3.
Sintesi e caratterizzazione, allo stato solido ed in soluzione dei nuovi complessi ottenuti
per reazione delle metà metalliche ed organometalliche con molecole presenti nei sistemi
biologici, naturalmente o per esposizione.
Determinazione dell’attività citotossica, in vitro e/o in vivo, dei complessi
precedentemente indagati.
Tentativo di correlare tale attività con le caratteristiche strutturali.
In particolare, la nostra unità operativa intende sviluppare, oltre che l’aspetto strutturale dei
composti di nuova sintesi, la determinazione delle seguenti caratteristiche:
Citotossicità
Gli effetti citotossici dei complessi di nuova sintesi verranno analizzati, in soluzione acquosa,
nei confronti dei seguenti bioindicatori: Echinodermi (Paracentrotus lividus, Sphaerechinus
granularis etc.; Ascidiacee (Ciona intestinalis, Ascidiella aspersa, Ascidia malaca, etc.); molluschi
(Brachidontes pharaonis, Truncatella subcilindrica), pesci (Aphanius fasciatus, Rutilus rubilio,
etc.).
Screening antitumorale
Tutti i composti verrano testati, in vitro, in collaborazione con alcuni ricercatori dell’Istituto di
Biomedicina e Immunologia Molecolare del C.N.R. di Palermo, nei confronti di linee cellulari di
melanoma A375, HT144, Mel1, le quali esprimono in modo costitutivo le molecole del complesso
maggiore di istocompatibilita' di classe II (MHC class II) e linee cellulari, M75 e 42/95, pure esse di
melanoma, che esprimono classe II solo dopo induzione con interferon gamma.
UNITÀ DI RICERCA DI PARMA
Composizione e Settore di Indagine
Composta da chimici inorganici attivi nel settore della sintesi, della caratterizzazione
spettroscopica, dello studio degli equilibri in soluzione e da cristallografi, l’Unità di Ricerca svolge
la propria attività nel settore della chimica bioinoganica, interessandosi in particolare di composti ad
98
attività antitumorale. L’attività biologica è valutata da biologi e medici dei Dipartimenti di
“Medicina Sperimentale” e di “Clinica Medica, Nefrologia e Scienze della Prevenzione”
dell’Università di Parma che effettuano saggi in vitro allo scopo di individuare il meccanismo di
azione dei composti su diverse linee leucemiche umane ed altre linee tumorali.
Collaborazioni: UR di Trieste, Firenze e Lecce.
Obiettivi e metodi
a) Studi su derivati triazolici e idrossammici
Leganti a tripode appartenenti alla famiglia degli idro-tris(pirazolil)borati (Tp) sono stati
studiati in modo esteso nella chimica di coordinazione dei metalli di transizione e dei gruppi
principali. I leganti a tripode hanno trovato applicazioni in diversi campi chimici che spaziano dalla
biomimetica alla catalisi. Nell’ambito della ricerca triennale, verranno sintetizzati nuovi leganti
triazolici borocentrici con atomi donatori sia ‘soft’ che ‘hard’ in modo da poter modulare la
coordinazione a centri metallici. Verrà anche studiata l’influenza dell’ingombro sterico. Un altro
aspetto ambizioso che verrà trattato sarà la sintesi di leganti a tripode con due o tre sostituenti
differenti aventi siti coordinativi diversi al fine di mimare siti attivi a geometria tetraedrica di
diversi enzimi presenti in metalloproteine adibite al trasporto elettronico.
Il secondo aspetto concernente la ricerca che verrà intrapresa riguarderà la sintesi chimica e la
caratterizzazione e lo studio degli equilibri in soluzione di complessi inorganici, utilizzando come
centri metallici principalmente Pt(II), Pd(II), Ru(II), Ru(III) senza trascurare alcuni metalli 3d come
Co, Fe, Ni, Cu e Zn. Come leganti verranno utilizzati derivati s-triazolici variamente sostituiti
(Figura).
La formazione di complessi in soluzione acquosa verrà studiata con tecniche potenziometriche
e spettofotometriche per individuare il tipo di specie presenti e determinarne la stabilità
termodinamica. Al procedere delle sintesi e delle caratterizzazioni verranno effettuate prove in vitro
di citotossicità su colture di cellule normali di mammifero (umane e non) e colture di linee cellulari
derivate da tumori spontanei (umani e non). L’effetto citotossico dei vari composti sintetizzati sarà
valutato con il saggio MTT e con nuovi metodi più semplici e specifici basati sull’uso di probes
fluorescenti. Si potrà verificare se l’eventuale efficacia dei composti in studio debba essere
attribuita all’induzione di morte per apoptosi, fenomeno dimostrabile con tecniche molecolari e
visualizzabile dal punto di vista morfologico con microscopia confocale.
H
N N
S
N
NH2
N N
NH2
N
H
N N
NH2
S
NH2
N N
N
N
NH2
S
N
N
NH2
Verranno inoltre studiati leganti idrossammici che possono presentare importanti proprietà
biologiche dipendenti principalmente dalla loro capacità di formare complessi con metalli di
transizione. Particolare interesse presentano i leganti idrossammici che contengono anche un gruppo
donatore adiacente (es. amminico o fenolico), capace di formare un anello chelato con l’azoto
idrossammico deprotonato, comportandosi come bis-chelanti a ponte (N,N)-(O,O) per formare
metallamacrocicli noti come “metallacrown”. Gli studi in soluzione acquosa degli equilibri di
Cu(II) con acidi alfa- e beta-amminoidrossammici hanno stabilito che l’unica specie polinucleare
formata dalle due classi di leganti è del tipo 12-metallacrown-4. La presente ricerca si propone
inizialmente lo studio calorimetrico in soluzione di questi sistemi, in modo da ottenere i valori di
entalpia ed entropia di formazione delle varie specie, essenziali per definirne la struttura in
99
soluzione. In un secondo tempo verranno presi in esame gli equilibri relativi ai sistemi ternari
Cu2+/Mn+/acidi alfa- o beta-amminoidrossammici (Mn+ = Ca2+, Ln3+, UO22+), impiegando
tecniche potenziometriche, spettroscopiche (VIS, CD), calorimetriche e ES-MS. I risultati delle
speciazioni permetteranno di valutare la selettività del metallamacrociclo nei confronti dei vari
cationi Mn+.
b) Studio di nuovi composti di coordinazione ad attività antitumorale non cisplatino simili
Verranno sintetizzati, caratterizzati chimicamente e valutati in relazione alle proprietà
biologiche nuovi composti di coordinazione con leganti contenenti il frammento
tiosemicarbazonico. Questi complessi, strutturalmente differenti dal cis-platino, sono di interesse
farmacologico perché possono affiancarsi o sostituirsi come farmaci a base metallica alla terapia
fondata sui composti cis-platino simili in quei casi in cui questi risultano inefficaci, o dove gli
effetti collaterali annullano gli effetti positivi della terapia. Partendo da precedenti studi sul rapporto
fra struttura molecolare ed attività biologica, il programma di ricerca si propone di continuare lo
studio di complessi di metalli della prima serie di transizione, in particolare rame e nichelio, con
leganti SN bidentati derivati da aldeidi naturali a diverso grado di insaturazione e lunghezza
variabile della catena di atomi di carbonio quali retinale, eptanale ed eptenale, decanale, undecanale
etc. per valutare l’influenza di queste variabili strutturali sull’attività biologica. Si cercherà inoltre
di approfondire lo studio di complessi di Cu(II) con tiosemicarbazoni SN bidentati o con leganti
tetradentati, ottenuti per condensazione tra dichetoni asimmetrici e tiosemicarbazidi, che possono
determinare intorni coordinativi di tipo S2N2 a struttura planare analoghi a quelli presenti in
complessi di Cu(II) con bis(tiosemicarbazoni) che, già noti per le loro proprietà antitumorali, hanno
di recente suscitato interesse grazie alla selettività per l’ipossia. In questi nuovi complessi si potrà
variare la lipofilia ed il potenziale redox della coppia Cu(II)/Cu(I) in funzione dei sostituenti
sull’azoto amminico o idrazinico e in tal modo facilitare il loro ingresso all’interno delle cellule
attraverso un meccanismo di diffusione passiva, e renderli selettivi per le cellule in stato di ipossia.
OH
O
O
N
N
H3C N
O
NH
F
S
NH2
In parallelo si sintetizzeranno leganti SNO tridentati per valutare se la presenza dell’atomo di
ossigeno rende i composti maggiormente attivi. Essi verranno preparati per opportuna
funzionalizzazione del fluorouracile. Il fluorouracile, analogo della pirimidina, è un farmaco
antineoplastico, usato soprattutto nel trattamento di carcinomi della mammella e del tratto
gastrointestinale. Verranno poi sintetizzati i corrispondenti complessi metallici che assocerebbero
all’attività biologica propria del fluorouracile quella dei complessi metallici di tiosemicarbazoni e le
due porzioni potrebbero agire cooperativamente.
Molti leganti e complessi verranno poi saggiati in vitro su linee cellulari leucemiche umane
(U937, K562, CEM) per valutare il grado di inibizione della proliferazione cellulare attraverso
l’individuazione della concentrazione ottimale per mezzo di prove dose/risposta. Si verificherà
anche la capacità dei composti di indurre apoptosi e verrà fatta l’analisi degli effetti sul ciclo
cellulare; si verificherà inoltre la capacità inibente dell’enzima telomerasi sia estratto dalle linee
cellulari che direttamente durante le fasi di crescita cellulare in cultura. Per alcuni dei composti
sintetizzati verranno anche studiate le interazioni con substrati biologici quali CT-DNA e plasmide.
100
Gli studi biologici sui composti più attivi saranno integrati da prove condotte in collaborazione
con l’Unità di Trieste. Si cercherà inoltre di individuare ed approfondire il meccanismo d’azione dei
composti maggiormente attivi per stabilire una correlazione struttura molecolare – attività biologica
allo scopo di finalizzare al meglio la progettazione di nuove molecole.
BIBLIOGRAFIA
1) F. Dallavalle, F. Gaccioli, R. Franchi-Gazzola, M. Lanfranchi, L. Marchiò, M. A. Pellinghelli, M.
Tegoni “Synthesis, molecular structure, solution equilibrium, and antiproliferative activity of
thioxotriazoline and thioxotriazole complexes of copper(II) and palladium(II)”. J. of Inorganic
Biochemistry, 2002, 92, 95-104.
2) Belicchi Ferrari M., Bisceglie F., Pelosi G., Tarasconi P., Albertini R., Dall’Aglio P.P., Pinelli S.,
Bergamo A., Sava G. “Synthesis, characterization and biological activity of copper complexes with
pyridoxal thiosemicarbazone derivatives. X-ray crystal structure of three dimeric complexes”. J.
Inorg. Biochem., 98, 301-312, 2004.
UNITÀ DI RICERCA DEL PIEMONTE ORIENTALE
Composizione dell’Unità di Ricerca
Domenico Osella (Direttore), Ilario Viano, Mauro Botta, Mauro Ravera, Claudio Cassino,
Marco Bottaro, Elisabetta Gabano, AnnaRita Ghezzi, Donato Colangelo, AnnaLisa Ghiglia, Homa
Mahboobi, Giovanni Battista Giovenzana.
Descrizione della ricerca
Introduzione e base di partenza scientifica
Dalla scoperta di Rosenberg del cisplatino (cis-diamminodicloroplatino) alla fine degli anni 60,
circa 3000 complessi analoghi del cisplatino sono stati sintetizzati con lo scopo di rendere più
ampio lo spettro di attività antitumorale del cisplatino e ridurre i suoi effetti collaterali. Solo due
complessi hanno mostrato un buon compromesso tra l’attività antitumorale e gli effetti collaterali e
sono entrati nella terapia clinica mondiale: il cis-[diammino-1,1-ciclobutanodicarbossilato
platino(II)] (carboplatino) ed il cis-[1,2-diamminocicloesano-ossalato platino(II)] (oxaliplatino).
Nuovi farmaci antitumorali più selettivi verso il tessuto tumorale potrebbero essere ottenuti
modificando opportunamente il cisplatino o i suoi analoghi onde sfruttare alcune caratteristiche
peculiari del tessuto tumorale come bersaglio selettivo. Obiettivo dei sistemi “drug targeting and
delivery” è quello di individuare metodi grazie ai quali un farmaco possa raggiungere in modo
selettivo il tumore sfruttando le poche differenze biochimiche e metaboliche fra cellule tumorali e
normali. Il “selective tumor targeting” può essere attivo o passivo. Il primo riguarda anticorpi
monoclonali o ligandi di recettori associati al tumore, che raggiungono il bersaglio sfruttando
l’affinità anticorpo-antigene o ligando-recettore. Il secondo sistema può essere ottenuto sfruttando il
cosiddetto effetto EPR (enhanced permeability and retention effect) grazie al quale molecole ad alto
peso molecolare raggiungono e si accumulano nell’ambiente peritumorale.
Obiettivi, fasi del programma di ricerca e risultati attesi:
• Telomerasi come bersaglio
I telomeri consistono in una breve sequenza nucleotidica, ripetuta (per un totale di circa 15000
paia di basi), a singolo filamento, ricca in guanina (TTAGGG nell’uomo); questa porzione del
101
cromosoma, composta da sequenze di nucleotidi prive di significato genetico, viene consumata ad
ogni ciclo di replicazione del DNA (difetto di replicazione terminale). Ad ogni divisione cellulare i
telomeri umani subiscono una perdita di circa 100 b.p. dal loro DNA (16 ripetizioni TTAGGG),
andando incontro ad un progressivo accorciamento. Dopo un certo numero di divisioni cellulari,
quando il telomero raggiunge una lunghezza critica, la cellula si avvia verso la senescenza.
L’accorciamento dei telomeri è un meccanismo importante, che regola la normale o anormale
proliferazione negli organismi pluricellulari. La telomerasi è un enzima in grado di allungare la
porzione telomerica del DNA aggiungendo unità esameriche (TTAGGG) contrastando così il
naturale accorciamento dei telomeri. L’attività di questo enzima è riscontrabile in più dell’85%
delle cellule neoplastiche: la telomerasi viene ripristinata proprio per sfuggire al meccanismo della
“senescenza di tipo replicativo”. Quando l’enzima entra in funzione, però, i telomeri sono già stati
accorciati, perciò la telomerasi non può far altro che mantenere questa lunghezza costante: questo
garantisce comunque alla cellula la possibilità di dividersi illimitatamente.
Una strategia antitumorale specifica è dunque volta all’inibizione dell’attività telomerasica con
conseguente ripristino del comportamento normale di senescenza e morte per apoptosi. Gli agenti
anti-telomerasi mirano cioè a limitare la capacità proliferativa delle cellule tumorali. Ciò si
dovrebbe tradurre in una massima azione antitumorale con una minima tossicità.
• Veicolazione mediante 17α-etinilestradiolo
Le linee cellulari dei tumori estrogeno responsivi (ER+) come il carcinoma mammario
sovraesprimono recettori estrogenici.1 Perciò, ancorando un derivato di un metallo citotossico
all’estradiolo, si potrebbe ottenere una nuova famiglia di farmaci antitumorali in grado di
raggiungere il target nelle cellule e rimanervi per un tempo sufficiente a danneggiarle. L’ormone
steroideo estradiolo, modificato in modo tale da coordinare il platino, potrebbe essere un vettore per
il trasporto selettivo del frammento elettrofilo PtX2 all’interno delle cellule tumorali. Tutto ciò a
patto che i complessi risultanti dalla coordinazione del platino all’ormone siano ancora riconosciuti
dal sistema recettoriale e quindi veicolati nel nucleo della cellula tumorale. La strategia di sintesi
prevede la funzionalizzazione del 17α-etinilestradiolo con diversi leganti bidentati in grado di
coordinare stabilmente il platino con geometria cis. L’uso del 17α-etinilestradiolo lascia inalterati i
gruppi ossidrilici in posizione 3 e 17β fondamentali per il riconoscimento dell’ormone da parte del
recettore e permette una facile funzionalizzazione per la presenza del gruppo acetiluro reattivo che,
inoltre, può funzionare da spaziatore rigido allontanando il sito di coordinazione del platino
dall’ormone. Il legante bidentato da legare all’etiniliestradiolo può essere di tipo amminico o
dicarbossilico. Un legante di tipo amminico lega in modo irreversibile il platino, cosicché tutto il
complesso si lega al DNA. Per favorire invece la formazione dell’addotto cis-Pt(NH3)2d(GpG) il
carrier può essere legato al platino mediante un leaving group.2 Per questo si è scelto di puntare
l’attenzione sui leganti di tipo dicarbossilico, nell’ottica del rilascio del platino a seguito
dell’idrolisi del carbossilato, una volta che il complesso si trovi all’interno della cellula. La sintesi
prevede perciò la funzionalizzazione dell’etinilestradiolo con un gruppo chelante dicarbossilico ad
idrolisi lenta (malonato) che agisca da leaving group rilasciando il frammento citotossico all’interno
della cellula stessa in modo da raggiungere il DNA e svolgere la sua azione antitumorale.
• Veicolazione mediante macromolecole polimeriche
Nei tumori solidi il tessuto, essendo in crescita incontrollata, è caratterizzato da vasi sanguigni
molto permeabili e da un sistema di drenaggio linfatico poco efficiente o del tutto inesistente. Un
sistema vascolare incompleto permette la fuoriuscita di macromolecole dai vasi sanguigni; per
questo, molecole ad alto peso molecolare (≥ 60 KDa), raggiungono e si accumulano nell’ambiente
peritumorale dove sono trattenute per lungo tempo (effetto EPR, Enhanced Permeability
Retention).3 A questo va aggiunto che la maggior parte dei tumori solidi produce un ambiente
peritumorale acido, infatti, il pH nei tessuti peritumorali è inferiore di circa un’unità rispetto i
tessuti normali.4 Le cellule tumorali in rapida crescita e con scarsa funzionalità vascolare spesso
non hanno quantità di ossigeno sufficienti (ipossia) al loro metabolismo e sono costrette a ricorrere
102
alla glicolisi anaerobia per soddisfare il loro fabbisogno energetico. Ne segue una notevole
produzione di acido lattico con conseguente acidificazione dell’ambiente peritumorale. Questo
porta ad un gradiente di pH tumore-selettivo che può essere sfruttato terapeuticamente con agenti
antitumorali che contengano gruppi idrolizzabili. Da qui nasce l’idea di coordinare un frammento
cisplatino-simile a macromolecole sintetiche, solubili in acqua, biocompatibili e biodegradabili,
opportunamente modificati per comportiarsi come carrier selettivi del frammento citotossico al
tessuto tumorale dove verrà accumulato per effetto EPR. Una volta raggiunto il tessuto tumorale, il
frammento metallico deve essere rilasciato dal polimero per poter esercitare la propria azione
antitumorale. Per questo occorre che tra il sito di coordinazione del Pt e il polimero ci sia un braccio
spaziatore contenente un gruppo idrolizzabile. Quando il complesso macromolecolare è entrato
nella cellula per endocitosi, il rilascio intracellulare del frammento citotossico potrebbe essere
determinato o dalla scissione di un legame idrolizzabile al pH delle cellule tumorali o dalla
scissione di un legame ammidico a seguito dell’attacco degli enzimi idrolitici presenti nei lisosomi.
Questo braccio spaziatore deve terminare con una funzionalità in grado di ancorare un frammento di
Pt al polimero. Per questo si possono seguire due strade: si può scegliere di coordinare un
frammento di platino PtX2 con un gruppo chelante o sfruttare un’interazione elettrostatica tra un
complesso di Pt(II) carico e bracci del polimero aventi carica opposta.
O
HO
C O
C
C
Braccio
spaziatore
HO
CH
N
Pt
C
O
O
NH
NH2
N
Gruppo
idrolizzabile
Frammento
citotossico
Sistema di trasporto
macromolecolare
Estradiolo
come carrier
Pt
Cl
Cl
Frammento
citotossico
BIBLIOGRAFIA
1) E. von Angerer, in: B. K. Keppler (Ed.) Metal Complexes in Cancer Chemotherapy, VCH,
Weinheim, 1993, pp. 75-83.
2) D. Gibson, I. Binyamin, M. Haj, I. Ringel, A. Ramu, J. Katzhendler, Eur. J. Med. Chem. 1997,
32, 823-831.
3) Y. Takakura, R.I. Mahato, M. Hashida, Adv. Drug Deliv. Rev. 1998, 34, 93; H. Maeda, Advan.
Enzyme Regul., 2001, 41, 189-207.
4) L.E. Gerweck, K. Seetharaman, Cancer Research, 1996, 56, 1194; I.F. Tannock, D. Rotin,
Cancer research, 1989, 49, 4373-4384.
UNITÀ DI RICERCA DI SIENA
Composizione e Settore di Indagine
L’Unità di Ricerca di Siena è composta da quattro distinti Gruppi di ricerca, ciascuno con
proprie competenze nel settore di interesse del consorzio interuniversitario CIRCMSB. Di questi
quattro gruppi, due gruppi di ricerca svolgono attività di ricerca attinente il presente progetto, anche
in collaborazione con varie altre Unità afferenti.
Collaborazioni: UR di Bari, Firenze e Ferrara
Obiettivi e Metodi:
103
1. Gruppo di ricerca del Prof. Piero Zanello
Questo Gruppo si occupa della caratterizzazione ossido-riduttiva per via elettrochimica di
molecole di potenziale interesse biomedico o mimetiche di funzioni biologiche. In particolare, per
quanto concerne l’attività svolta nel settore dei metallo-complessi come potenziali antitumorali, è
noto che l’ambiente riducente cellulare, può modificare (in positivo o negativo, dal punto di vista
farmacologico) la costituzione molecolare dei farmaci. A tal riguardo, proprio l’insorgenza di cicli
ossido-riduttivi a livello cellulare si è mostrata efficace nel combattere forme carcinogenetiche.1
Riveste pertanto una certa importanza conoscere il potenziale redox di nuove molecole a
potenziale azione farmacologica, onde valutare se componenti cellulari siano appunto in grado di
innescare meccanismi di tipo redox, e se, come conseguenza di tali processi, la molecola originaria
resti inalterata o si frammenti.
Tale tipo di indagine è stato in precedenza più volte affrontato2,3, per cui compito di questa
Unità per il prossimo triennio sarà quello di proseguire in questa linea di ricerca esaminando tutti
quei derivati che le varie Unità riterranno utile sottoporre al vaglio ossido-riduttivo.
2. Gruppo di ricerca del Prof. Renzo Cini
Questo Gruppo si occupa della messa a punto di tecniche di sintesi e caratterizzazione
strutturale di composti di coordinazione con nucleotidi e con farmaci attivi come leganti.
I composti sintetizzati da questo Gruppo hanno potenziali attività farmacologiche vuoi per
l’azione del legante una volta avvenuta la dissociazione del legame di coordinazione all’interno
dell’organismo, vuoi per le interazioni del metallo con biomolecole come acidi nucleici e proteine.
Esistono già in letteratura esempi di farmaci, approvati dalle autorità sanitarie di alcuni Paesi,
costituiti da molecole di coordinazione con farmaci attivi, con proprietà curative superiori a quelle
delle molecole organiche libere. Per questa via si possono preparare composti adatti per
multiterapie che includano anche fototerapie (basta inserire opportuni farmaci nella stessa molecola
di coordinazione).
I complessi di questo tipo, con metalli del “blocco d”, preparati in passato da questo gruppo
hanno mostrato interessanti proprietà di abbattimento di radicali ossigenati (di interesse come
antiinfiammatori ed antireumatici) e con proprietà citostatiche verso linee cellulari di tumori
umani.3-5
Come avvenuto per la determinazione strutturale e teorica dei complessi di Platino con
iminoeteri e nucleotidi preparati nella UR di Bari6, questo gruppo è disponibile per lo studio
strutturale (mediante diffrattometria di raggi X e metodi teorici DFT e MO) di composti preparati
da altre Unità afferenti.
BIBLIOGRAFIA
1. D. Osella, M. Ferrali, P. Zanello, F. Laschi, M. Fontani, C. Nervi, and G. Cavigliolo, “On the
mechanism of the antitumor activity of ferrocenium derivatives”, Inorg. Chim. Acta, 306, 42
(2000).
2. L. Messori, F. Abbate, G. Marcon, P. Orioli, M. Fontani, E. Mini, T. Mazzei, S. Carotti, T.
O’Donnell, and P. Zanello, “Gold(III) complexes as potential antitumor agents: solution chemistry
and cytotoxic properties of some selected gold(III) compounds”, J. Med. Chem., 43, 3541 (2000).
3. R. Cini, G. Tamasi, S. Defazio, M. Corsini, P. Zanello, L. Messori, G. Marcon, F. Piccioli, and P.
Orioli, “Study of ruthenium(II) complexed with anticancer drugs as ligands. Design of metal-based
phototherapeutic agents”, Inorg. Chem., 42, 8038 (2003).
4. S. Defazio and R. Cini, “Synthesis, X-ray structural characterization and molecular modelling
analysysis of cobalt(II), nichel(II), zinc(II) and cadmium(II) complexes of the widely used antiinflammatory drug meloxicam”, J. Chem. Soc., Dalton Trans., 1888 (2002).
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purine-purine base pairing in a new organo-rhodium(III) compound containing the antileukemic
104
drug purine-6-thione. Synthesis, X-ray structure of trans(C,N7), trans (S,S), trans (P,N7)[Rh(C6H5)(H1,H9-H2TP)2(PPH3)][Rh(C6H5)(H1,H9-H2TP)(H9-HTP)(PPH3)]CL3•HCL•6H2O,
and density functional analysis of the {H2TP…HTP}- Base Pair”, Inorg. Chem., 39, 5874 (2000).
6. M. Benedetti, R. Cini, G. Tamasi, G. Natile, “Crystal and Molecular Structure of [bis-(guanosine
5’-monophosphate
(-1))(λ-N,N,N,N-tetramethyl-cyclohexyl-1,2-diamine)platinum(II)]
decahydrate and [bis-(guanosine 5’-monophosphate (-1))(δ-N,N,N,N-tetramethyl-cyclohexyl-1,2diamine)platinum(II)] tetradeca-hydrate”, Chem.Eur.J., 9, 6122 (2003).
UNITÀ DI RICERCA DI TRIESTE
Composizione e Settore di Indagine
Composta essenzialmente da chimici inorganici esperti di sintesi e da cristallografi, l’Unità di
Ricerca è attiva ormai da anni nel settore dei chemioterapici inorganici ed ha sviluppato in questo
ambito numerosi derivati di rutenio, tra cui il NAMI-A, che possiedono buona attività
antimetastatica. Il gruppo di chimici opera poi in stretta collaborazione con un’unità composta da
biologi e farmacologi, appartenenti sia all’Università di Trieste che alla Fondazione Callerio; tale
unità, coordinata dal Prof. G. Sava, è anch’essa attiva da molti anni nel settore degli antitumorali di
rutenio ed ha dato un fondamentale contributo allo sviluppo in fase clinica del NAMI-A.
Collaborazioni: UR di Bari, Firenze e Parma.
Obiettivi e Metodi:
a) Valutazione dell’attività di nuovi derivati nitrosilici di Ru-dmso.
Uno dei possibili meccanismi alternativi ipotizzati per spiegare l’attività dei composti non
citotossici di Ru(III) (tipo NAMI-A) riguarda la loro attività anti-angiogenica. In questa ipotesi
sono state studiate le interazioni di alcuni composti attivi e dei loro precursori con NO. E’ noto
infatti che, a livello biologico, l’ossido di azoto funge da mediatore anche in alcuni processi
angiogenici indotti da tumori e che, in generale, numerosi composti di Ru interagiscono facilmente
con NO, anche in vivo, generando addotti stabili. I complessi nitrosilici di rutenio sono anche
studiati come potenziali agenti antitumorali: se si riuscisse ad indurre il rilascio controllato di NO,
citotossico, all'interno delle cellule tumorali questo porterebbe alla loro morte. In generale, il
rilascio controllato di NO può essere indotto da una riduzione monoelettronica (NO+→ NO· ), o per
fotolisi (photodynamic therapy).
In questo ambito sono stati recentemente sintetizzati nell’unità di Trieste una serie di nuovi
derivati nitrosilici di Ru(II)-dmso di formula generale [Ru(dmso-O)xCl5-x(NO)](x-2) (x = 2 - 5)
(Figura).
O
Cl
Ru
Cl
O
Cl
Cl
N
O
Cl
Ru
Cl
O
Cl
N
O
+
O
O
Ru
Cl
O
Cl
N
O
2+
O
O
Ru
Cl
O
O
N
O
O
Ru
O
Nuovi derivati nitrosilici di Ru-dmso; O = dmso-O.
105
3+
O
O
O
N
O
Tutti i nuovi derivati, caratterizzati sia spettroscopicamente che tramite strutture ai raggi X,
contengono l'unità lineare RuII(NO+). Inoltre, studi elettrochimici hanno evidenziato che in DMF
tutti i composti presentano un processo di riduzione monoelettronico irreversibile, che è stato
associato alla riduzione del NO+ coordinato a NO·, seguita dalla rapida dissociazione del nitrosile. Il
potenziale di riduzione diventa progressivamente più positivo al procedere della sostituzione dei
cloruri con dmso, così che il potenziale dei derivati di- e tri-cationici risulta accessibile ai riducenti
biologici.
Verrà ora studiato il comportamento chimico della serie di nuovi nitrosili in soluzione acquosa
e in ambiente fisiologico, e si valuterà l’effetto dell’aggiunta di riducenti bilogici (e.g. acido
ascorbico).
b) Sintesi di derivati di Ru-dmso con dicarbossilati chelanti.
L’unità di Trieste ha finora sviluppato numerosi complessi del tipo rutenio-dmso-alogeno (sia
di Ru(II) che Ru(III)) dotati di attività antitumorale in vivo; fra questi il NAMI-A è risultato essere
finora il più promettente. La chimica in soluzione acquosa di tali complessi è largamente
determinata dall’idrolisi dei cloruri coordinati. Per questo motivo intendiamo preparare nel
prossimo triennio nuovi derivati di Ru-dmso in cui i cloruri siano sostituiti da carbossilati e
dicarbossilati chelanti. E’ ragionevole ipotizzare che, in analogia a quanto osservato con i complessi
di Pt(II), cambiando la natura dei gruppi anionici uscenti possa cambiare sostanzialmente il
comportamento dei complessi in soluzione acquosa e, di conseguenza, la loro biodistribuzione ed
attività biologica.
In letteratura è noto un solo esempio di derivato di Ru(II)-dmso con carbossilati, fac-Ru(dmsoS)3(CH3COO)2(H2O), mentre non sono noti esempi con dicarbossilati chelanti. I dicarbossilati
chelanti che verranno esaminati per primi sono: ossalato, malonato e 1,1-ciclobutandicarbossilato (il
gruppo uscente del carboplatino).
c) Valutazione dell’attività antitumorale e antimetastatica in vitro ed in vivo dei nuovi
composti di rutenio
Verranno condotti una serie di esperimenti in vitro ed in vivo, utilizzando linee cellulari sia
murine che umane caratterizzate da diverso potenziale metastatico per valutare l’attività
antitumorale e antimetastatica dei nuovi composti di rutenio. In particolare, in vitro verrà studiato
l’effetto dei composti di rutenio sulla capacità di adattamento delle cellule tumorali alla matrice
extracellulare, sulla inibizione della capacità invasiva e sulle alterazioni del ciclo cellulare, e in vivo
verrà esaminato l’effetto sulla prevenzione e sulla inibizione della crescita di metastasi di tumori
solidi metastatizzanti dei roditori.
d) Individuazione dei meccanismi molecolari che sottendono l’attività antimetastatica dei
composti di rutenio.
Verranno effettuati studi, focalizzati sul composto NAMI-A ma che riguarderanno anche altri
selezionati composti di rutenio, per ampliare le conoscenze esistenti sui rapporti struttura/attività
antitumorale. Un obiettivo di questa ricerca è quello di mettere a punto un sistema in vitro capace di
predire se il composto in esame avrà attività antitumorale o antimetastatica in vivo. Lo scopo
indiretto di questo sistema è quello di individuare in maniera più mirata i complessi da studiare sui
modelli animali, realizzando sia un risultato etico che un contenimento dei costi della ricerca
farmacologica preclinica.
106
RADIOFARMACI NELLA DIAGNOSTICA E TERAPIA TUMORALE
UNITÀ DI RICERCA DI PADOVA
Composizione e Settore di Indagine
L’Unità di Padova, sezione radiofarmaci, è strutturata per portare un contributo alla ricerca in
vari aspetti inerenti la progettazione, la sintesi, la caratterizzazione chimico fisica e la
determinazione delle proprietà biologiche di radiofarmaci.
Il gruppo di ricerca opera nel Dipartimento di Scienze Farmaceutiche e nel Dipartimento di
Farmacologia ed Anestesiologia dell’Università di Padova e collabora con diverse istituzioni sia
padovane che italiane ed europee. In particolare, all’interno del CIRCMSB porta avanti
collaborazioni con l’Unita di Ricerca di Ferrara e di Napoli.
Descrizione della ricerca
I radiofarmaci sono composti marcati con isotopi radioattivi impiegati in medicina nucleare a
scopo diagnostico (imaging) o terapeutico (radioterapia) in funzione delle proprietà nucleari del
radionuclide. Negli ultimi anni sono molto studiati e sperimentati i cosìdetti radiofarmaci targetspecifici. Essi derivano dalla marcatura di biomolecole che presentano alta affinità e selettività per
siti biologici implicati in forme patologiche e che svolgono la funzione di veicolare il radionuclide
(molecola direzionatrice).
Oggetto delle ricerche dell’Unità di Padova sono i radiofarmaci marcati con il tecnezio-99m
ed il renio-186/188, due metalli di transizione del blocco d (VII) che giocano un ruolo importante in
ambito, rispettivamente, diagnostico e terapeutico. A differenza di isotopi di atomi naturalmente
presenti nelle molecole biologiche (O, C, N), che possono essere incorporati nelle molecole
direzionatrici attraverso la formazione di un legame covalente, gli isotopi di natura metallica
devono essere stabilizzati da un sistema chelante.
Nell’ultimo decennio è stata sviluppata un’ampia gamma di tecniche per la marcatura di
biomolecole con radiometalli, ma la metodica più ampiamente studiata e impiegata consiste
nell’approccio con un chelante bifunzionale (Bifunctional Chelating Agent, BFCA). Il chelante
bifunzionale presenta da un lato un set coordinativo in grado di stabilizzare il metallo, dall’altro un
gruppo funzionale per l’ancoraggio covalente della biomolecola, che può essere diretto oppure
mediato da uno spaziatore (linker), a dare il derivato BFCA(-linker)-BM. La scelta accurata del
BFCA è uno degli aspetti fondamentali nella progettazione di radiofarmaci target-specifici.
Un BFCA ideale dovrebbe garantire la formazione di un complesso con alta resa e a
concentrazioni molto basse del coniugato BFCA-BM. Tale complesso non dovrebbe sottostare a
reazioni di ossidoriduzione, dovrebbe essere termodinamicamente stabile e cineticamente inerte e
presentare un basso numero di isomeri, in quanto tutte questi parametri possono influenzare
notevolmente le caratteristiche biologiche e farmacocinetiche del coniugato BFCA-BM. Infine,
l’attacco del BFCA alla biomolecola dovrebbe essere facilmente realizzabile.
La selezione del BFCA dipende dal tipo di radiometallo e dal suo stato di ossidazione. Il core
[M=O]3+ viene largamente impiegato per la marcatura di biomolecole con 99mTc e 186/188Re e negli
ultimi 15 anni sono stati sintetizzati e valutati molti chelanti bifunzionali, la maggior parte dei quali
possiede un set coordinativo di tipo NxS(4-x). Questi chelanti, sebbene abbiano trovato applicazione,
soffrono di alcune limitazioni quali l’elevata lipofilia, una bassa flessibilità strutturale, più forme
isomeriche spesso difficili da separare e limitata stabilità in vivo. Inoltre la loro marcatura richiede
107
spesso condizioni drastiche. Lo sviluppo di BFCA più efficienti resta quindi uno degli interessi
principali nell’ambito della medicina nucleare.
Recentemente il nostro gruppo di ricerca ha scoperto e studiato chelanti bifunzionali
tetradentati contenenti un gruppo fosfinico che hanno dimostrato di produrre complessi di Re-oxo e
99m
Tc-oxo di elevata stabilità. Tra di essi, il chelante di natura peptidica N-[N-(3difenilfosfinopropionil)glicil]-S-benzil-L-cisteina metilestere contenente un set PN2S ha dimostrato
alta affinità per il core [Me=O]3+ (Me = Re, Tc), ed il complesso esacoordinato ReOCl[PN2S(Bzl)]OMe è stato isolato e ampiamente caratterizzato. Studi di massa hanno indicato che in realtà il
complesso più stabile è l’analogo pentacoordinato ReO[PN2S]-OMe, nel quale lo zolfo è coordinato
non come tioetere ma come tiolo. Il gruppo benzile è stato quindi sostituito con il tritile, più
facilmente rimovibile, ottenendo l’analogo N-[N-(3-difenilfosfinopropionil)glicil]-S-tritil-L-cisteina
(PN2S(Trt)-OH). Gli studi di coordinazione con renio hanno però fatto supporre una competizione
tra il gruppo carbossilico libero e lo zolfo nella coordinazione al centro metallico, in quanto il
complesso con il COOH esterno alla sfera di coordinazione, constatato con studi di massa, non è
risultato isolabile.
Sulla base di queste premesse, negli ultimi anni è stato studiato e caratterizzato il legante
esterificato N-[N-(3-difenilfosfinopropionil)glicil]-S-tritil-L-cisteina metilestere (PN2S(Trt)-OMe),
sintetizzato al fine di dimostrare ed ovviare la competizione fra il gruppo tiolico e quello
carbossilico. La complessazione del legante PN2S(Trt)-OMe con 185/187renio non radioattivo, ha
portato alla determinazione della presenza di isomeri. Infatti, in seguito alla coordinazione, il
gruppo metilestere può assumere una configurazione syn o anti rispetto all’ossigeno del gruppo oxo.
Un altro problema riguardante lo sviluppo di radiofarmaci target-specifici riguarda la reazione
di marcatura. Il BFCA deve garantire una marcatura rapida ed efficiente, con alta resa in una
singola specie. Sebbene gli studi di complessazione con renio possano essere predittivi del
comportamento dello stesso chelante con il 99mTc ed il 186/188Re, è anche vero che la chimica di
coordinazione per lo stesso chelante può essere diversa a livello macroscopico o in condizioni di
marcatura: condizioni n.c.a. (non carrier added). Potrebbe essere, ad esempio, che la competizione
osservata per il chelante PN2S-OH tra il COOH e lo zolfo sia sfavorita a livello n.c.a., come pure
che la marcatura favorisca una sola forma isomerica del complesso finale, cosa spesso osservata per
complessi del [99mTcO]3+. La formazione di un solo isomero è molto importante, in quanto
l’isomeria può variamente influenzare la farmacocinetica di un radiofarmaco.
Sono in corso di studio le procedure e le condizioni di marcatura dei chelanti detritilati PN2SOH e PN2S-OMe con 99mTc. Gli studi sono condotti al fine di definire le condizioni migliori per una
marcatura efficiente, in grado di garantire la formazione di una sola forma isomerica con alta
purezza radiochimica, e infine per identificare e caratterizzare le specie marcate e la determinazione
dell’attività specifica (MBq/µmol) dei chelanti.
Come precedentemente detto, un BFCA deve stabilizzare il radiometallo cosicché il complesso
finale possegga alta stabilità alle reazioni redox e/o alla transchelazione con altri chelanti presenti
nei sistemi biologici. Inoltre, un altro aspetto cruciale nello sviluppo di un radiofarmaco targetspecifico riguarda la farmacocinetica del BFCA marcato che può seriamente influenzare quella
della molecola direzionatrice, soprattutto nel caso in cui questa abbia dimensioni ridotte (piccoli
peptidi).
Gli studi di biodistribuzione di un nuovo BFCA marcato sono fondamentali al fine di valutare
il livello di tale influenza e l’eventuale necessità di apportare delle modifiche chimiche al BFCA.
Verranno quindi sviluppati studi in vitro, effettuati in plasma umano per determinare la stabilità
metabolica delle specie marcate derivate dai chelanti PN2S, e gli studi in animale, per valutare sia la
stabilità vivo che la farmacocinetica delle stesse specie. La biodistribuzione verrà determinata in
topo tramite analisi scintigrafica e conteggio della radioattività negli organi ex-vivo. L’analisi
scintigrafica verrà condotta, come ormai si fa usualmente nei nostri laboratori, con una YAPcamera, γ-camera di recente sviluppo avente una risoluzione di 1.0-1.2 mm e un campo di vista
40x40 mm2, utile per studi di biodistribuzione in topo.
108
Un altro aspetto rilevante nella progettazione di radiofarmaci target-specifici è la scelta della
biomolecola direzionatrice. Piccoli peptidi sono ampiamente considerati in quanto offrono alcuni
vantaggi, quali elevata affinità per uno specifico recettore, bassa immunogenicità, elevata clearance
plasmatica, resistenza a condizioni di marcatura abbastanza drastiche. Una premessa indispensabile
per il loro impiego in medicina nucleare è la sovraespressione dei loro recettori nei siti patologici.
Tra i vari target biologici, i recettori della colecistochinina (CCK) CCKA-R e CCKB-R sono molto
promettenti in quanto sovraespressi in diverse forme tumorali. Il tetrapeptide C-terminale CCK4 è il
frammento più piccolo della CCK in grado di legarsi ad entrambi i recettori, mentre l’ottapeptide Cterminale ammide CCK8 è quello che dimostra più alta affinità. Recentemente, studi di NMR ad
alta risoluzione e studi di molecular modeling hanno indicato che modifiche chimiche indotte sulla
porzione N-terminale della CCK8 per introduzione di un chelante bifunzionale e del suo complesso
non dovrebbero alterare l’interazione con il recettore CCKA-R. In collaborazione con l’Unità di
Napoli del CIRCMSB diretta dal prof. Carlo Pedone, si sta portando avanti uno studio che riguarda
la sintesi e la caratterizzazione del coniugato PN2S-CCK8 e gli studi di coordinazione con renio-oxo
volti a valutare la possibilità di impiegare il set PN2S nella marcatura di peptidi dopo la
coniugazione. NelSono stati inoltre eseguiti gli studi di molecular modeling riguardanti il
frammento CCK8 e il complesso ReO[PN2S]-CCK8 al fine di determinare le modalità di
interazione del coniugato con il recettore CCKA-R e la stabilità del complesso con renio. Infine, il
Sono stati infine effettuati tentativi per coniugare il complesso preformato ReO[PN2S]-OH al
frammento CCK4, al fine di valutare il possibile impiego del set PN2S nella marcatura prima della
coniugazione.
In un radiofarmaco target-specifico basato sull’approccio bifunzionale la biomolecola può
essere coniugata al BFCA attraverso uno spaziatore, che generalmente agisce come modulatore
della farmacocinetica del composto finale. Tentativi effettuati per superare problemi legati alla
biodistribuzione dei radiofarmaci in vivo includono l’uso di linker polimerici, dato che spesso la
farmacocinetica del coniugato BFCA-linker-BM coincide con quella del polimero. Tra i polimeri
disponibili, il poli(etilenglicole) (PEG) è ampiamente considerato in quanto in grado di trasferire le
sue caratteristiche chimico-fisiche, quali solubilità, non immunogenicità e biodistribuzione, alle
biomolecole a cui è legato, senza però alterare le loro funzioni biologiche, quali il riconoscimento
recettoriale. Essendo disponibili i dati relativi alla biodistribuzione di PEG a diverso peso
molecolare, è possibile scegliere il PEG-linker più idoneo per modulare il tempo di residenza in
circolo del radiofarmaco. In base a queste considerazioni, sarà oggetto dei nostri futuri studi la
modifica del set PN2S per coniugazione a metossi-PEG-ammina monofunzionali (MW = 5000 e
20000), gli studi di coordinazione dei derivati PN2S-PEG con renio e la loro marcatura con
99m
tecnezio. Inoltre, verrà sviluppato e ottimizzato un nuovo metodo di marcatura con 99mTc basato
sulle proprietà anfifiliche dei coniugati PN2S-PEG, già osservato in studi preliminari, che si è
rivelato molto interessante interessante in quanto consente di evitare l’uso di un agente riducente
esterno. Saranno infine eseguiti gli studi in vitro e in vivo per valutare le variazioni di stabilità e di
biodistribuzione indotte dal PEG sul set PN2S marcato impiegando il nuovo metodo.
Un'altra biomolecola con proprietà di biodistribuzione interessanti per la loro
biospecificità verso le cellule tumorali è l’acido Ialuronico (HA).
HA è un polisaccaride ubiquitario nei tessuti umani ad alta affinità per i recettori di membrana
specifici, i CD44, che sono sovraespressi in molti tumori solidi. Per interazioni con tali recettori HA
viene internalizzato nella cellula e quindi metabolizzato. Per aumentare la specificità sulle cellule
neoplastiche, è stato progettato un bioconiugato (HA-But) costituito dall’acido ialuronico (HA)
esterificato con residui di acido butirrico (HBut). Il sodio butirrato, infatti, è un inibitore
dell’enzima istonedeacetilasi, presenta una rilevante attività farmacologica in un’ampia varietà di
linee cellulari di tumori umani. Sfortunatamente però, l’applicazione clinica del solo butirrato è
limitata dalla sua breve emivita plasmatica. HA-But è dunque un profarmaco costituito da un agente
109
di targeting recettore specifico (HA) e un farmaco antitumorale (HBut) che viene liberato nel
citoplasma.
HA-But è stato marcato con 99mTc attraverso la procedura della marcatura diretta, ovvero
quella che non comporta l’utilizzo del BFCA. I risultati sono stati soddisfacenti e quindi,
la’approccio del legante bifunzionale sarà oggetto di studi futuri. Al momento è stata messa a punto
una metodologia di purificazione del 99mTc-HA-But che consente una resa del 99% in prodotto
marcato.
Il 99mTc-HA-But è stato somministrato per varie vie, quella orale, la sottocutanea,
l’intraperitoneale e quella rettale per verificare le capacità di assimilazione. Il passaggio in circolo
sanguigno è sempre stata molto lenta.
Il 99mTc-HA-But è stato infine somministrato in vivo per via endovenosa, per poterne seguire
la biodistribuzione all’interno dell’organismo, e verificarne la capacità di accumulo nei vari organi.
L’organo di accumulo praticamente istantaneo è stato il fegato.
Fig.1 Immagine topo iniettato nella
arteria caudale con 99mTc-HA-But non
pretrattato HA.
(Immagine raccolta nell’intervallo 30-35min
dall’iniezione)
E’ nostra intenzione proseguire gli studi per evidenziare le capacità di utilizzo del 99mTc-HABut quale diagnostico di tumori e metastasi epatiche.
Inoltre, vista la possibilità di approvvigionamento ed impiego del generatore 188W/188Re, è
nostra intenzione trasferire gli esperimenti di marcatura dell’HA e suoi derivati al 188Re ed eseguire
gli studi di biodistribuzione al fine di utilizzare i 188Re-HA derivati a scopo radioterapeutico.
Progetto Tantalio
E’ nostra intenzione proseguire nella ricerca chimica di complessi stabili di Tantalio allo scopo
di produrre radiofarmaci marcati con 178Ta, un nuovo radionuclide adatto alla rilevazione con le
camere MWGC (Multiwire Gamma Camera).
In questi ultimi anni, infatti, è in corso di progettazione e sviluppo questa nuova generazione di
gamma-camere. Tra i vantaggi che le MWGC presentano nei confronti delle tecniche tomografiche
attualmente in utilizzo, vi sono:
- velocità di conteggio più elevata;
- superiore risoluzione;
- minor peso e dimensioni ridotte che ne consentono una maggior facilità di trasporto.
Una sola limitazione ha precluso lo sviluppo e la diffusione di tali rivelatori dalle potenzialità
così elevate. I detector gassosi mostrano un’efficienza ridotta a 140KeV. Tale valore corrisponde
all’energia dell’emissione g del Tc-99m (149 KeV) che resta a tutt’oggi il più diffuso tra i nuclidi
utilizzati in radiodiagnostica. L’efficienza tipica per una MWGC è del 25% a 140 KeV del 70% a
80 KeV e dell’ 80% a 60 KeV.
110
Si è quindi di fronte alla necessità di utilizzare isotopi radioattivi caratterizzati da emissioni
energia. a più bassa.
Il Ta-178 è un candidato con eccellenti proprietà. Tale radionuclide è caratterizzato da
emissioni X con energia comprese tra i 55 ed i 65 KeV, quindi ottimali per la rivelazione con
MWGC. Altri importanti vantaggi sono invece correlati alla suo breve tempo di emivita di soli 9.3
minuti. Altri radionuclidi utilizzati in Medicina Nucleare quali 99mTc o 201Tl hanno tempi di emivita
superiori alle 6 ore i quali impongono differenti limitazioni dal punto di vista clinico sia per l’alta
dose di radiazioni somministrata, sia per l’assenza di un decadimento fisico durante il tempo di una
rapida analisi clinica. La massima dose iniettabile risulta essere di 30mCi per il 99mTc e di 3mCi per
201
Tl, mentre il tempo di emivita relativamente lungo non rende possibili analisi multiple
Il Ta-178 viene prodotto dal generatore 178W/178 Ta per decadimento del 178W (t1/2=21.7
giorni). Il W-178 viene prodotto tramite reazione 181Ta(p,4n)178W per bombardamento con un fascio
di protoni a 24MeV di fogli di Ta-181 isotopo freddo del Tantalio. Il generatore è costituito da una
colonna a scambio ionico in cui viene legato il W-178 sottoforma di tungstenato. Si procede quindi
all’eluizione del Ta-178 tramite una soluzione acquosa contenente HCl 0.1N e l’1% di H2O2.
Fino ad oggi non è stato condotto alcun tentativo per determinare la forma chimica in cui il Ta178 viene eluito dal generatore. E’ possibile che in soluzione di acido cloridrico il metallo si
presenti sottoforma di ossidi ed idrossidi polinucleari i quali verrebbero eluiti con difficoltà dalla
resina a scambio ionico. Nelle condizioni in cui opera il generatore tuttavia, il Tantalio viene a
trovarsi in soluzione in concentrazione estremamente bassa. E’ possibile che le specie in soluzione
possano essere Ta(OH)4+ e/o Ta(OH)5 che mostrano scarsa affinità per la resina a scambio ionico.
Come proposto da Babko et al. queste sono le principali specie in cui si presenta il Tantalio in una
soluzione a pH inferiore a 2 in assenza di complessi polinucleari.
La chimica del Tantalio comprende differenti stati di ossidazione, sono noti composti in tutti
gli stati di ossidazione tra il +V ed il -III con la sola eccezione del –II. Sono tuttavia molto più
comuni stati di ossidazione elevati , in particolare il +V.
Il Tantalio presenta un’elevatissima affinità per l’ossigeno, la chimica in soluzione acquosa è
dominata dalla formazione di ossidi ed idrossidi del metallo sottoforma di polianioni[4]. La grande
affinità del Tantalio nei confronti dell’ossigeno viene evidenziata in reazioni di estrazione di
ossigeno da molecole quali acidi carbossilici, alcoli, chetoni, dimetilsolfossido ed altri composti
contenenti ossigeno.
Sono noti in letteratura numerosi complessi con leganti donatori all’ossigeno, fra questi gli
alcossidi di Tantalio rivestono una grande importanza. Questi vengono sintetizzati a partire dal
pentacloruro del metallo per reazione diretta con alcoli. La reazione porta alla formazione di
complessi di formula generale TaClx(OR)5-x (x=1-3), la sostituzione completa degli atomi di cloro
da parte dei gruppi alcossidici può essere ottenuta, per gli alcoli a più basso peso molecolare,
tramite l’utilizzo di un accettore di protoni quale l’ammoniaca
La letteratura, in particolare quella più recente, riguardante la chimica di coordinazione del
tantalio riporta studi di complessi utilizzabili come precursori per tecniche di deposizione di strati
sottili in particolare di ossido di tantalio. Non sono noti fino ad ora studi mirati alla sintesi di
complessi che possiedano una chimica in soluzione acquosa.
UNITÀ DI RICERCA DI FERRARA
Composizione e Settore di Indagine
L’unità di Ferrara è composta essenzialmente da chimici inorganici esperti di sintesi e da
cristallografi. La ricerca si sviluppa sia nel settore di nuovi radiofarmaci inorganici in oncologia, sia
nel campo delle metodologie diagnostiche innovative.
111
Il nostro gruppo opera in collaborazione con il Dipartimento di Farmacia di Ferrara per lo
sviluppo di opportune biomolecole e di test di binding dei corrispondenti complessi sintetizzati.
Recentemente si è avviata una collaborazione con il Laboratorio di Medicina Nucleare,
Dipartimento di Medicina Clinica & Sperimentale dell’Università di Ferrara per quanto riguarda la
sintesi e caratterizzazione di complessi contenenti radionuclidi.
Collaborazioni: Unità di Ricerca di Padova
Obiettivi e metodi
Il programma di ricerca si articola secondo i seguenti punti:
• sintesi di leganti ottenuti dalla condensazione di semplici amminoacidi con opportuni agenti
chelanti;
• sintesi e caratterizzazione dei corrispondenti complessi di renio e tecnezio a livello
macromolecolare;
• trasferimento della sintesi a complessi di tecnezio-99m a livello nanomolare e confronti con
quelli ottenuti al punto precedente;
• dopo avere verificato la validità della procedura, si intende estendere la sintesi a leganti
ottenuti da peptidi biologicamente attivi funzionalizzati con l’agente chelante;
• sintesi e caratterizzazione dei corrispondenti complessi su scala macromolare (renio freddo e
tecnezio-99);
• la marcatura di questi leganti con Tc-99m e gli opportuni confronti con quelli ottenuti con
Tc-99.
L’utilizzo esteso nella medicina nucleare dell’isomero metastabile 99mTc, (nuclear imaging), ed
il recente sviluppo di radionuclidi β-emettitori quali 186,188Re come candidati futuri per applicazioni
radioterapeutiche di malattie degenerative, hanno aumentato l’interesse verso lo studio della loro
chimica di coordinazione. Il fine di queste ricerche è descrivere la struttura molecolare degli agenti
basati sul 99mTc e 186/188Re che essendo ottenuti su scala micro o nanomolare non può essere
determinata direttamente. Ciò può essere facilmente compiuto attraverso il confronto delle loro
proprietà chimiche e fisiche con quelle dei composti preparatati su scala macromolare dall’isotopo a
lunga vita 99Tc e dal renio freddo.
Negli ultimi anni, la chimica dei radiofarmaci di 99mTc è stata allargata grazie all’introduzione
di un efficiente metodo di produzione di specie di 99mTc contenenti il core [99mTc(N)]+2.
La stabilità dei nitruro-composti, osservata in un ampio intervallo di pH, fa di questi complessi
candidati interessanti nelle applicazioni di medicina nucleare.
Attualmente, la procedura di maggior successo è quella conosciuta come “approccio
bifunzionale”, consiste nel legare ad una biomolecola un raggruppamento in grado di coordinare il
metallo. Condizione essenziale è che il gruppo chelante si leghi alla biomolecola in un punto
irrilevante così da preservarne le sue proprietà biologiche. Questo metodo è stato applicato con
successo nella produzione di nuovi radiofarmaci di 99mTc coordinato a molecole aventi diverse
funzioni biologiche.
Sarà la scelta dell’agente chelante a determinare lo stato di ossidazione del metallo, la
geometria di coordinazione, la carica del complesso finale e quindi il suo maggiore o minore
carattere lipofilico e conseguentemente la sua biodistribuzione.
Sulla base di queste considerazioni il programma di ricerca prevede la sintesi, di peptidi
funzionalizzati con frammenti di natura diversa. in grado di coordinare il metallo in diversi stati di
ossidazione e contenenti “cori” diversi come ad esempio [M=O]3+, [M≡N]2+ (M=Tc, Re), o
complessi carbonilici con il metallo nello stato di ossidazione +1.
I leganti saranno sintetizzati in collaborazione con il Prof. G. Vertuani del Dipartimento di
Scienze Farmaceutiche dell’Università di Ferrara, mentre tutte le reazioni a livello di Tc-99m ed
eventuali biodistribuzioni saranno eseguite in collaborazione con il Prof: A. Duatti del Laboratorio
112
di Medicina Nucleare, Dipartimento di Medicina Clinica & Sperimentale dell’Università di Ferrara
e con il Prof. U. Mazzi del Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università di Padova.
113
RUOLO DEGLI IONI METALLICI NELLE PATOLOGIE DEGENERATIVE
CRONICHE
FOLDING E AGGREGAZIONE DI PROTEINE:
METALLI E BIOMOLECOLE NELLE MALATTIE CONFORMAZIONALI
Descrizione della ricerca
Base di partenza scientifica
La comprensione della seconda parte del codice genetico, il folding proteico, è di enorme
importanza intellettuale, in quanto esso consentirà di trovare l’anello mancante nel flusso delle
informazione che va dalla sequenza genica alla struttura tridimensionale delle proteine. In una serie
di esperimenti, Anfisen e coll. ha provato che tutte le informazioni che sono necessarie affinché una
proteina si avvolga nella maniera corretta sono contenute nella struttura primaria. Sicuramente vero
per una molecola proteica isolata, ragionevoli dubbi sorgono se ciò sia del tutto vero in presenza di
altre biomolecole, di membrane, di metalli o di altri fattori ambientali.
E’noto, già dal 1980, che nell’ambiente cellulare molte proteine per essere avvolte
correttamente necessitano della presenza di molecole “assistenti”, che sono note come
“chaperones”. Ciò non contraddice l’osservazione di Anfisen che descriveva il folding come un
evento spontaneo, ma, precisa, che nella cellula, il processo è assistito. In altre parole, il folding
proteico può essere descritto come l’effetto sinergico di due processi, nel primo l’informazione è
contenuta nella sequenza primaria della proteina, mentre nel secondo, l’informazione viene
acquisita dall’ambiente circostante attraverso l’azione di molecole assistenti (“helper”).
Perchè il folding in vivo è così difficile? Innanzitutto il folding e la biosintesi proteica sono dei
processi intimamente accoppiati, e la catena polipeptidica nascente può iniziare ad avvolgersi
ancora prima che la biosintesi sia completa. Per sequenze brevi, ciò potrebbe coinvolgere la
struttura secondaria, ma per sequenze più lunghe la mancanza di un informazione completa della
sequenza porterebbe ad una struttura terziaria scorretta. Un secondo problema è legato all'elevato
"affollamento" dell'ambiente cellulare in queste condizioni, la concentrazione di stati parzialmente
avvolti è aumentato da 10 a 100 volte, portando ad un incremento di probabilità di aggregazione
durante il folding.
L’idea che molecole stampo (metalli o altre piccole molecole) possano creare siti di
nucleazione o propagare una certa conformazione da una regione ordinata (stampo), ad una regione
disordinata (catena polipeptidica), per formare alfa-eliche o foglietti beta, non è un’idea nuova.
Recentemente, è andato crescendo l’interesse nella comprensione e nella possibilità di manipolare
le interazioni proteina-proteina e proteina peptidi.
Ci sono evidenze che l’efficienza del folding proteico nella cellula è fortemente correlato con
la stabilità proteica. Infatti, c'è ora accordo sul fatto che non c’è un singolo specifico modello di
folding, così come veniva suggerito dai primi modelli, ma che si è in presenza di un sistema
energetico multidimensionale (folding funnel) che descrive il processo di folding. Secondo questo
nuovo e sofisticato punto di vista, una proteina all’inizio non avvolta, potrebbe arrivare allo stato
nativo attraverso una miriade di strade diverse, alcune delle quali prevedono stati di transizione
intermedi (con un minimo di energia locale), mentre altre coinvolgono significative trappole
cinetiche (stati di misfolding).
Molti fattori ambientali possono contribuire alla destabilizzazione delle molecole native, e
presumibilmente, incrementano la popolazione degli stati misfolded. Così è divenuto sempre più
evidente che i sistemi biologici hanno messo a punto elaborate procedure sia per assicurare che le
proteine si avvolgano correttamente, che, per degradarle, prima che possano arrecare seri danni
all’organismo ospite qualora il processo porti a conformazioni scorrette. Infatti, il fallimento o la
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perdita di un folding corretto sono fenomeni che stanno all’origine di un’ampia varietà di
stati/condizioni patologici.
Negli ultimi anni, è stato dimostrato che numerose malattie dipendono dall’alterazione del
folding proteico, ed esse sono raggruppate insieme come Malattie Conformazionali Proteiche (PCD,
Protein Conformational Disorders). Questo gruppo comprende la malattia di Alzheimer (AD), le
encefalopatie spongiformi, la corea di Huntington, il morbo di Parkinson, il diabete di tipo II,
l’amiloidosi da dialisi, la sclerosi laterale amiotrofica e più di altre 15 malattie, meno note. L’evento
chiave delle PCD è un cambiamento nella struttura secondaria e/o terziaria di una proteina normale
o di un suo frammento, non accompagnato da alterazione della struttura primaria. In tutti i casi, c’è
una progressiva transizione dalla proteina normale, correttamente avvolta, ad uno stato aggregato,
ricco di strutture in conformazione beta.
Il processo dettagliato attraverso il quale proteine solubili (o loro frammenti) subiscono un
parziale svolgimento e un riavvolgimento scorretto (che porta ad oligomeri altamente stabili e a
polimeri con nuove proprietà) costituisce la principale e irrisolta questione. Tre differenti ipotesi
sono state proposte per descrivere le relazioni tra stati conformazionali e aggregazione. Nella ipotesi
della polimerizzazione (A), l’aggregazione induce cambiamenti nella conformazione proteica,
mentre nell’ipotesi conformazionale (B), il misfolding proteico è indipendente dall’aggregazione,
che non rappresenta un necessario punto d’arrivo del cambiamento conformazionale. Il modello C,
conformazione/oligomerizzazione, rappresenta una visione intermedia, nella quale deboli/piccoli
cambiamenti conformazionali innescano l’oligomerizzazione che è essenziale per la stabilizzazione
del misfolding proteico.
Una questione centrale nella ipotesi conformazionale è l’identificazione dei fattori che
inducono i cambiamenti del folding proteico. Alcuni cambiamenti delle condizioni ambientali sono
stati individuati come fattori determinanti, fra questi il pH, gli ioni metallici, lo stress ossidativo,
l’influenza di certe proteine (metallopeptidasi, apolipoproteina E, proteina X) e l’interazione con
membrane cellulari. Quest’ultimo è di particolare rilevanza; infatti, si stanno accumulando evidenze
che specifici lipidi, normalmente presenti nelle membrane cellulari, possono partecipare come
molecole “chaperon” (lipochaperons) nel processo di avvolgimento, e probabilmente, nello
svolgimento di proteine.
Il folding (o il misfolding) proteico assistito dai metalli è un’altra ampia tematica di grande
interesse. E’stato dimostrato che il folding proteico è un processo a più stadi, caratterizzato dalla
formazione di stati intermedi (Molten Globules or MG) senza una specifica stechiometria dello
stato nativo ed in cui gli ioni metallici svolgono una funzione di grande rilevanza come riportato in
alcune recenti note concernenti la struttura in soluzione di Cu/Zn Superossidodismutasi e alcune
metallo chaperone. Dati sperimentali sempre più numerosi mostrano che l’interazione di alcuni ioni
metallici del gruppo d (Fe, Cu, Zn, Mn e Al) con le proteine potrebbe essere il denominatore
comune delle PCD.
Vi sono almeno due generiche reazioni con i metalli che devono essere prese in
considerazione. L'alluminio merita una particolare attenzione anche in merito al fatto che la sua
attività neurotossica è nota già da un centinaio d'anni. La prima è relativa all'associazione di un
metallo ad una proteina che porta ad aggregazione proteica, questa reazione può coinvolgere ioni
metallici non redox come l’Al(III) e lo Zn(II), o metallo redox attivi come il Cu(II), il Fe(III) e il
Mn(II) (Bush 2003). La seconda è relativa all’ossidazione proteica che catalizzata dai metalli può
dar luogo ad un danno proteico o alla denaturazione; questa reazione coinvolge solo metalli redox.
Sono stati riportati risultati contradditori su: i) speciazione, ii) costanti di stabilità, iii) siti di legame
e ambienti di coordinazione, iv) strutture conformazionali di complessi dell’Al e di metalli del
gruppo d con le proteine o con loro frammenti peptidici coinvolti nelle PCD.
Per rispondere a queste problematiche aperte è importante comprendere quali specie sono
coinvolte nella reazione anormale tra proteine e uno ione metallico. E’particolarmente interessante
comprendere come l’attività catalitica antiossidante della Cu/Zn superossidodismutasi si possa
convertire in un’attività pro-ossidante. Le attuali terapie farmacologiche per le PCD sono indirizzate
ad alleviare i sintomi, ma non a bloccare le cause che scatenano il processo patologico. Al contrario,
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il moderno approccio nello sviluppo di farmaci per le PCD sono indirizzate a bloccare il
meccanismo molecolare della malattia, tentando sia di prevenire l’aggregazione proteica, sia di
rimuovere gli aggregati proteici. Comunque vi sono crescenti evidenze che molte, se non tutte, le
proteine coinvolte nelle PCD possono non aggregare in assenza di legame col metallo. in questo
contesto molti gruppi hanno approfondito la ricerca di chelanti metallici per il controllo
dell'omeostasi di rame e zinco.
Molte altre sostanze sono state trovate efficaci nello spegnimento della costruzione di depositi
proteici in alcuni sistemi in vitro: questi includono il Congo rosso, l’amfotericina B, derivati delle
antracicline, solfati poianionici, pentosan polisolfato, i recettori beta; solubili delle linfotossine, le
porfirine, le poliammidi ramificate e alcuni peptidi. Tutte queste sostanze si suppone interagiscano
direttamente con gli aggregati proteici alterandone la conformazione. Comunque nessuno di questi
composti si è dimostrato efficace nella terapia su animali malati.
L’osservazione che piccoli peptidi parzialmente omologhi alla sequenza proteica tendente
all’aggregazione (e contenenti residui cha agiscono rompendo i foglietti a struttura beta), possano
inibire l’aggregazione proteica e/o la formazione di amiloide in vitro, induce a pensare che questa
possa essere una ulteriore promettente strategia per una approccio terapeutico. Tuttavia, quando
questi peptidi sono iniettati, in vivo, vengono degradati dalle peptidasi. Allo scopo di superare
questa limitazione, si possono progettare specifiche molecole bioconiugate per "ingannare" il pool
di peptidasi presenti nelle cellule, allungando così l’emivita della molecola attiva nell’organismo.
Un’altra caratteristica evidenziata nelle PCD è l’ossidazione dei tessuti mediata
dall’interazione di metalli con attività redox nei confronti di una molecola proteica bersaglio. In
riferimento a quanto detto, risultano particolarmente interessanti le proprietà della carnosina (betaalanina-L-istidina) e di altri peptidi strutturalmente correlati che posseggono specifiche proprietà
antiossidanti e proprietà chelanti che prevengono l’accumulo di prodotti del metabolismo ossidativo
della cellula. Particolarmente interessante è il dato che il livello dell’enzima responsabile della
degradazione della carnosina, la carnosinasi, aumenta nel sangue con l’età, suggerendo una stretta
connessione tra l’età, l’ossidazione, il legame di metalli, l’aggregazione di proteine e questa classe
di dipeptidi. Inoltre recenti risultati mostrano una relazione tra enzimi degradanti l’insulina (IDE) e
due differenti PCD come l’Alzheimer e il diabete di tipo II, ed il ruolo potenzialmente dannoso di
alcune specifiche metalloproteasi nello sviluppo delle malattie richiede ulteriori chiarimenti.
L’aver trovato che proteine globulari che non sono associate alle PCD possano subire processi
di aggregazione in vitro, diventando citotossiche, conferma l'ipotesi che la tossicità di specie
aggregate possa essere un fenomeno generale, e che la patogenicità delle PCD possa essere
correlata con la struttura di aggregati indipendentemente dalla specifica sequenza proteica dalla
quale si sono originati.
L’attenzione dei ricercatori, in un primo momento focalizzata sulla tossicità delle fibrille di
amiloide mature, è stata recentemente spostata su specie intermedie del processo fibrillogenico: gli
oligomeri solubili mostrano una comune struttura, conformazione-dipendente, tra le diverse PCD.
Anticorpi anti-oligomeri inibiscono in vivo la tossicità di beta-amiloide di sintesi, di betasinucleina, di amilina, del frammento prionico 106-126, etc. Comunque, almeno nei cervelli dei
pazienti deceduti che mostravano solo un debole danno cognitivo (la fase prodromica
dell’Alzheimer), la quantità di oligomeri Abeta era correlato col danno sinaptico. Se gli oligomeri o
le specie più mature, o entrambe, sono tossiche, ci si può chiedere come le forme proteiche
"misfolded" influenzino la vitalità delle cellule. Poiché alcune forme amiloidi, come l’Abeta, sono
presenti nello spazio extracellulare, mentre altre come l'alfa-sinucleina sono citosoliche, sembra
ragionevole ipotizzare che le forme proteiche "misfolded" possano interagire con un ampio numero
di componenti cellulari.
Così la diversità di manifestazioni cliniche delle PCD può dipendere: i) dalla suscettibilità dei
differenti tipi cellulari ai vari tipi di aggregati, ii) dalla localizzazione delle diverse proteine, e iii)
dalle differenze del microambiente (es. presenza di ioni metallici) nel quale il misfolding ha luogo.
Inoltre è ancora oscuro come il misfolding proteico sia correlato con tossicità cellulare in tutti i
modelli di amiloidosi: quella organo-limitato, quella intracellulare e quella sistemica.
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La deposizione di amilina nel pancreas nel diabete di tipo II e la deposizione di Abeta, nel
cervello di pazienti affetti dal morbo di Alzheimer, sono esempi di amiloidosi organo-limitato. Un
altro esempio importante di amiloidosi organo-limitato è quello delle proteine prione nelle
encefalopatie spongiformi. E’molto interessante il fatto che la proteina prione normale (PrPc) possa
essere sottoposta ad un cambiamento conformazionale che dà origine ad una specie capace a sua
volta di convertire un’altra forma nativa nella forma patologica (PrPsc). Depositi intraneuronali
(corpi di Lewy) di beta-sinucleina nei cervelli di pazienti affetti da Parkinson, sono un significativo
esempio di amiloidosi intracellulare. Infine nell’amiloidosi da emodialisi si riscontra la deposizione
di beta2 alfa-microglobulina a livello sistemico.
Il progetto affronterà le tematiche sopra descritte, focalizzando la ricerca su quattro argomenti:
a) l’identificazione di processi molecolari e cellulari che portano al misfolding proteico;
b) la determinazione delle relazioni esistenti tra misfolding proteico assistito dai metalli e
tossicità cellulare;
c) la determinazione della specificità della tossicità della proteina sottoposta a misfolding;
d) la valutazione degli effetti dei bioconiugati sul misfolding proteico e sulla tossicità.
Obiettivi scientifici e risultati attesi
Il seguente progetto ha permesso di costituire un gruppo composto da chimici con differenti
specializzazioni, biochimici, farmacologi e medici, con il comune obiettivo di studiare un
argomento di elevata rilevanza scientifica e di grande impatto sociale. Inoltre consentirà a giovani
laureati e studenti di dottorato, di compiere ricerche scientifiche ad alto livello mediante l'istituzione
di corsi di dottorato internazionali e la collaborazione con istituti di ricerca privati e industrie come
Whyeth-Lederle, Serono e Tecnogen. Un esempio di questa collaborazione è fornito dal corso di
dottorato in Neurobiologia dell'Università di Catania, già attivato e finanziato dal MIUR.
L'attività scientifica proposta è rivolta alla caratterizzazione dei meccanismi molecolari del
folding/misfolding delle proteine, utilizzando una molteplicità di metodologie biochimiche,
chimico-fisiche e biologiche, in accordo con un tipo di approccio multidisciplinare per la
risoluzione di uno specifico problema.
Lo scopo principale della ricerca è quello di capire in dettaglio come le interazioni tra residui
amminoacidici appartenenti ad una data catena polipeptidica, e fattori esterni come molecole
chaperone, metalli, membrane e pH, possano controllare cineticamente e termodinamicamente il
folding delle proteine. E' essenziale investigare le differenti interazioni che avvengono tra i gruppi
coinvolti nei processi di legame e verificare gli effetti di queste reazioni sulla cooperatività e la
dinamica delle proteine, allo scopo di ottenere una comprensione esaustiva del riconoscimento
molecolare e quindi la progettazione razionale ed efficiente dei leganti sia per scopi terapeutici che
biotecnologici. Infatti la comprensione delle leggi che governano il riconoscimento molecolare è di
importanza cruciale per la progettazione razionale dei farmaci.
I sistemi specifici presi in esame dai nostri laboratori sono: beta amiloide, alfa-sinucleina,
prione, amilina, insieme con altre proteine modello e frammenti peptidici ad essi correlati. Gli
obiettivi specifici delle differenti attività, perseguiti utilizzando metodi chimico-fisici, colture
cellulari, cavie animali e materiali clinici, sono riassunte di seguito:
1) Studio del folding delle proteine e dei loro processi di aggregazione.
Lo scopo è quello di contribuire alla risoluzione del difficile problema del folding delle
proteine. L’identificazione e quantificazione delle proteine amiloidogeniche misfolded, come
potenziali marker biologici, potrebbe permettere la diagnosi precoce di malattie neurodegenerative
(es. AD e PD). Lo studio del percorso di refolding di proteine mutate può contribuire ad evidenziare
le basi molecolari della malattia. E' stato pianificato di ottenere sufficienti quantità di proteine
ricombinanti WT e mutate, così come loro frammenti per poter effettuare uno studio dettagliato dei
loro aspetti strutturali.
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2) Valutazione dei fattori esterni che condizionano il folding delle proteine.
Lo scopo è quello di studiare il ruolo svolto dagli ioni metallici, membrane, altre proteine e
variazioni di pH, nei processi di misfolding delle proteine amiloidogeniche, e quale rilevanza possa
avere da un punto di vista biologico.
3) Determinare il ruolo dello stress ossidativo nei processi di degradazione e aggregazione
delle proteine.
Lo studio dei frammenti proteici originati dagli agenti ossidativi (ROS), può chiarire l'attività
protettiva svolta da nuovi bioconiugati in grado di complessare ioni metallici e di svolgere una
attività antiossidante. Inoltre questi studi potranno permettere di ricercare quale sia il ruolo svolto,
nei processi di aggregazione delle proteine amiloidi, dai complessi delle proteine con gli ioni
metallici che si accumulano durante l’invecchiamento. In questa ottica verrà sviluppato un modello
cellulare per studiare il processo di invecchiamento e la sua correlazione con i processi
neurodegenerativi.
4) L'effetto degli stati conformazionali sulla tossicità in vitro ed in vivo.
Lo scopo è quello di stabilire se la formazione di complessi tra gli ioni metallici e le proteine
possa indurre il misfolding, l'aggregazione e la morte dei neuroni, in colture cellulari ed in cavie
animali. Lo studio di modelli cellulari con una espressione alterata delle proteine implicate nel
metabolismo del ferro, potrebbe fornire significative evidenze sul ruolo del metallo nella tossicità e
nei processi neurodegenerativi, e cosa ancora più importante di esaminare in dettaglio le proteine
coinvolte nei differenti stadi coinvolti nella citoprotezione. Determinati i fattori in grado di indurre
variazioni conformazionali, è possibile stabilire una relazione tra tali fattori e la tossicità cellulare.
In particolare, ci aspettiamo di poter chiarire il ruolo del metallo e/o AGE nell'indurre il misfolding
proteico nella degenerazione cellulare e di chiarire se la tossicità di specie proteiche aggregate
segue un meccanismo comune anche in differenti tipi di cellule.
Relativamente alla malattia di AD, gli esperimenti da effettuare sui topi 3XTG-AD forniranno
una migliore comprensione del ciclo vizioso per il quale l'aggregazione della proteina beta-amiloide
potrebbe innescare lo stress ossidativi, inibire il riassorbimento del glutammato, aumentare la
concentrazione di ioni calcio e zinco nel citosol e nei mitocondri, ed inoltre promuovere la propria
aggregazione in quelle condizioni sperimentali che mimano i processi degenerativi che avvengono
in vivo.
In relazione all'argomento ALS, gli esperimenti proposti da effettuare sui topi transgenici
SOD1G93A, contribuiranno a chiarire il ruolo degli ioni metallici Cu e Zn sui meccanismi implicati
nella formazione degli aggregati proteici nei motoneuroni. Variando la concentrazione di questi
ioni, ci aspettiamo di interferire con la tossicità della SOD1 mutata nei topi transeginici che la
esprimono. Complessivamente i risultati ottenuti contribuiranno a comprendere meglio gli effetti
micro-ambientali sul misfolding delle proteine, e quindi a verificare le attuali ipotesi sui
meccanismi patogenici delle PCD. Saranno controllate le differenze nei recettori del glutammato
nelle colture neuronali 3XGT-AD e campioni cerebrali, mediante Ca e Zn imaging. Gli effetti del
Ca e dello Zn sulla funzione mitocondriale saranno studiati tramite sonde fluorescenti e
registrazioni elettrofisiologiche nei mitoplasti. Inoltre verrà testata la resistenza delle colture
cellulari ottenute dai topi 3XGT-AD, alla neurotossicità indotta dal glutammato (e dal Ca e/o Zn).
In questo modo ci proponiamo di comprendere il ciclo continuo di autoproduzione dei ROS, il
rilascio di glutammato, la sovrastimolazione dei recettori del glutammato e la disfunzione nella
omeostasi dei cationi, che portano alla aggregazione del beta-amiloide ed alla morte neuronale.
Utilizzando sia colture cellulari che campioni di cervello, speriamo di colmare la differenza
esistente tra i risultati ottenuti in vivo e in vitro, e di identificare i fattori chiave che contribuiscono
allo sviluppo dell’ AD e di altre malattie neurodegenerative. Infine ci aspettiamo di evidenziare il
ruolo benefico della modulazione farmacologia dei livelli di Ca e Zn, nella protezione dei danni
neuronali e nella formazione dei depositi di aggregati beta-amiloidi.
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5) Controllo della integrità conformazionale per mezzo di molecole endogene ed esogene:
sviluppo di nuovi farmaci.
Esistono buone prospettive che una terapia basata sulla chelazione degli ioni metallici possa
prevenire la formazione degli aggregati amiloidi. Le interazioni di piccole molecole contenenti
specifiche sequenze delle proteine in esame, potrebbero competere con quelle che stabilizzano le
fibrille. Tra le molecole progettate e sintetizzate dal gruppo di chimica, ci aspettiamo di identificare
una tipologia di derivati in grado di svolgere attività farmacologia in uno o più PCDs.
Alla realizzazione di questo progetto concorreranno cinque Unità Operative, in cui sono
localizzati i gruppi di ricerca con competenze specifiche e complementari, in particolare:
Unità Operativa dell’Università di Catania,
Unità Operativa dell’Università di Pavia.
Descrizione della struttura e dei compiti dell'Unità di Ricerca
Unità Operativa dell’Università di Catania
L'unità di ricerca (UR) si è occupata del differente ruolo di rame(II) e zinco(II) nella
formazione di alfa-eliche, della speciazione e correlazione attività-struttura di composti ad attività
SOD-like, della termodinamica dei processi di folding in presenza di membrane artificiali,
dell’interazione dei metalli di transizione con beta-amiloide, amilina e frammenti della proteina
prione, dell’effetto degli ioni metallici sulle conformazioni delle proteine coinvolte nelle cosiddette
patologie conformazionali, dello stress ossidativo e nitrosativo in sistemi biologici e degli effetti
tossici di aggregati.
Utilizzando le competenze dei componenti il gruppo di ricerca saranno condotte le seguenti
attività :
1) Indagini sul folding di proteine e loro frammenti mediante AFM e studi termodinamici e
spettroscopici sui fattori ambientali che condizionano i processi di folding e di
aggregazione;
2) Determinazione del ruolo dei processi di ossidazione nel misfolding di proteine coinvolte
nelle patologie conformazionali;
3) Progettazione e sintesi di bioconiugati e piccole molecole con potenziale attività
antifibrillogenica, antiossidante e chelante;
4) Studio sperimentale delle interazioni di proteine con bioconiugati e piccole molecole;
5) Uso combinato di metodi computazionali (ab initio, MM, MD, molecular modelling, 3DQSAR) per l’ottimizzazione dei risultati;
6) Determinazione dell’attività neurotossica delle proteine e dei loro frammenti in vitro, ed in
vivo nonchè dell'azione protettiva dei bioconiugati e delle piccole molecole.
L’U.R. si propone di studiare i meccanismi che guidano i processi di folding/misfolding e
dell'aggregazione dell'amilina e altre proteine amilodi come il prione, la alfa-nucleina e beta-2microglobulina, anche in presenza di ioni metallici e molecole con attività antiaggreganti e con
proprietà sheet-breackers.
Saranno condotte indagini cinetiche e strutturali utilizzando tecniche spettroscopiche e a
singola molecola (AFM) delle proteine e loro frammenti. Processi di folding/unfolding del prione
full-lenght SHaPrP29-231 saranno studiati utilizzando principalmente la tecnica DSC, anche in
funzione della composizione lipidica di membrane modello.
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I risultati sperimentali ottenuti saranno utilizzati per lo sviluppo di un modello teorico che
spieghi il comportamento di proteine e/o loro frammenti in membrana. La stabilità, la struttura dei
complessi di Cu(II), Mn(II) e Zn(II) con le proteine saranno determinate mediante tecniche
potenziometriche e spettroscopiche. Sarà anche studiata la interazione tra l'ubiquitina e il Cu(II) in
modo da evidenziare possibili siti di attacco.
Tra i vari radicali liberi prodotti dal metabolismo cellulare il radicale idrossilico è tra i più
pericolosi a causa della sua reattività e la sua limitata diffusione. Esistono due rilevanti reazioni,
assistite da metalli, nei processi neurodegenerativi: la prima relativa all'associazione tra metallo e
proteina che conduce alla aggregazione e la seconda che, a causa della ossidazione della proteina,
catalizzata dal metallo, dà luogo alla formazione di aggregati costituiti da frammenti vari. Il ruolo
del Cu(II) sul cross-linking delle proteine del prione (da pollo) e suoi frammenti sarà indagato
mediante l'uso di H2O2.
Un considerevole numero di composti, quali polianioni solfatati, amfotericina B, Congo rosso,
iododoxirubicina etc., sono stati testati su modelli cellulari e animali. Sebbene questi composti siano
in grado di contrastare la propagazione del prione sia in vitro che in vivo, il loro utilizzo in terapia è
limitato dalla scarsa capacità di attraversare la barriera ematoencefalica e, in alcuni casi, dalla
tossicità.
E' stato provato che alcuni peptidi sono capaci di interagire con la beta-amiloide, in modo da
inibire la formazione di aggregati. In vivo, le peptidasi degradono questi composti; per garantire la
“sopravvivenza” di questi peptidi saranno quindi sintetizzati dei coniugati con trealosio, che
recentemente ha mostrato significative proprietà antiossidanti, antiaggreganti e di esser in grado di
attraversare la barriera ematoencefalica. Bioconiugati di carnosina e suoi omologhi con
ciclodestrine o trealosio saranno sintetizzati per le loro capacità chelanti, antiaggreganti,
antiossidanti ed antiglicanti, i cui primi risultati sono riportati nel brevetto citato in bibliografia.
Sarà studiata l'affinità di peptidi e bioconiugati verso le proteine mediante FT-SPR e misure
calorimetriche. Inoltre, i risultati ottenuti insieme a dati CD, NMR e fluorescenza saranno utilizzati
per lo start-up di simulazioni di dinamica molecolare.
La tossicità e la formazione di aggregati intracellulari saranno indagati in vitro ed in modelli
animali (3XTG-AD mice) che sviluppano la alfa-sinucleina. In particolare, saranno utilizzati le
proteine native complete o loro sequenze modificate di beta-amiloide (1-42), PrP106-126, beta 2
microglobulina e amilina. Variazioni di Ca(II) e Zn(II) prodotte da stimoli fisiologici e patologici
saranno indotti su neuroni di topi transgenici 3XTG-AD. Sugli stessi modelli verrà provato l'effetto
protettivo delle piccole molecole e bioconiugati sintetizzati.
Unità Operativa dell’Università di Pavia
I compiti della UR si possono riassumere come segue.
1) alfa-Sinucleina (aSyn), metabolismo della dopamina e basi molecolari del morbo di
Parkinson
Evidenze recenti indicano che i chinoni derivati dalla dopamina (DAQ) sono coinvolti nella
formazione di protofibrille di aSyn. Si è finora assunto che i DAQ generino specie reattive
ossigenate e che queste inducano il folding non corretto e l’aggregazione della proteina. Questo
studio si propone di stabilire le variazioni strutturali e funzionali indotte dalla modificazione
covalente di aSyn da parte di DAQ. Si studieranno sia la produzione di DAQ da parte di vari
metalloenzimi, sia le caratteristiche di folding, il legame di metalli e l’aggregazione degli addotti
DAQ-aSyn, sia l’eventuale interferenza da parte di specie derivate da NO in questi processi. Si
costruiranno anticorpi per rilevare proteine DAQ-modificate in vivo. Nel gruppo esistono
competenze e strumentazione per determinare elementi in tracce in materiali biologici, inclusi
tessuti cerebrali , che saranno disponibili per altre UR del progetto.
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2) Attività beta-secretasi beta-amiloidogenica, attività proteolitica del peptide beta-amiloide
(Ab) e morbo di Alzheimer
L’attività proteolitica di una beta-secretasi sulla proteina precursore amiloide favorisce la
formazione del peptide tossico Ab. Questa attività è controllata dall’aspartil proteasi BACE-1. E’
stato inoltre dimostrato che l’enzima che degrada l’insulina (IDE) è in grado di degradare il peptide
Ab e quindi può agire da effettore positivo nella patogenesi del morbo di Alzheimer. Ci si propone
di chiarire il mecanismo catalitico e la modulazione di BACE-1 e IDE e gli effetti strutturali e
funzionali che determinano la loro attività enzimatica. In particolare si vogliono studiare molecole
che modulano o inibiscono i due enzimi, con l’importante obiettivo di trovare composti che siano in
grado di aumentare l’attività amiloidolitica di IDE e siano compatibili con gli inibitori di BACE-1.
L’azione combinata di tali molecole costituirebbe una nuova strategia per ridurre drasticamente
l’insorgenza di fibrille amiloidi.
3) Proteina prionica di pollo: legame dei metalli e caratterizzazione strutturale
Il prione da uccelli (APP) differisce dalle proteine da mammiferi (PrP) in quanto non sembra
dar luogo a patologie neurodegenerative. APP si differenzia dalle PrP nelle regioni ammino- e
carbossil-terminali, particolarmente nei residui tandem repeat N-terminali. Mentre l’octarepeat Nterminale dei PrP da mammifero lega il rame, i dati sia su APP sia su tandem repeat N-terminali
sintetici sono controversi. La caratterizzazione strutturale e le proprietà di legame del rame di APP
sarebbero perciò di estrema utilità per la comprensione dell’attività fisiologica dei PrP. Uno degli
obiettivi principali di questo studio è perciò la determinazione della struttura di APP e dei suoi
frammenti tramite tecniche NMR e se possibile per diffrazione dei raggi X. Lo studio affronterà
anche il problema del legame di ioni metallici e delle modificazioni strutturali indotte da questi
nella proteina.
4) Studi NMR sul ruolo dei metalli nell’amiloidogenesi e nella formazione di fibrille amiloidi
Secondo un modello sequenziale nei processi di folding delle proteine precursore betaamiloide (betaAP) e prionica cellulare (PrPc) vi è competizione cinetica tra il folding e la reazione
che genera intermedi con folding non corretto e successivamente aggregati delle proteine.
L’aggregazione è causata da interazioni intermolecolari tra regioni idrofobiche esposte dagli
intermedi. I metalli influenzano questo processo perchè stabilizzano gli intermedi. Questo studio si
propone di chiarire le caratteristiche strutturali del legame dei metalli a betaAP e PrPc e a loro
frammenti peptidici tramite NMR. Verranno inoltre determinati i parametri cinetici e termodinamici
di formazione di fibrille amiloidi e gli effetti di agenti esterni quali lipoproteine e membrane. In
modo analogo si studierà il comportamento dell’alfa-sinucleina.
5) Caratterizzazione strutturale del complesso maggiore di istocompatibilità I (MHC-I), dei
suoi mutanti e di loro complessi di rame
I danni renali sono accompagnati da un aumento anomalo di beta2-microglobulina (b2m), il
prodotto di rilascio di MHC-I nel plasma che causa la formazione di fibrille amiloidi e una varietà
di artropatie. E’ stato dimostrato che ioni rame promuovono la formazione di fibrille di b2m tramite
parziale unfolding della proteina. Per comprendere le basi strutturali delle patologie si procederà
all’espressione, alla cristallizzazione e alla caratterizzazione strutturale ai raggi X di MHC-I
contenente b2m mutate. Si cercherà inoltre di caratterizzare i derivati proteici con rame legato sia di
MHC-I che di b2m mutate. Le competenze del gruppo di Biocristallografia e la sorgente di
sincrotrone all’Elettra di Trieste saranno a disposizione delle altre UR partecipanti al progetto.
121
5) Ruolo di ioni metallici e inibitori nei processi di folding di anidrasi carbonica (alfaCA,
gammaCA) e acilfosfatasi (AcP)
Il processo di folding degli isoenzimi della alfaCA è di notevole interesse perchè il folding di
gammaCA mostra forti analogie con le proteine prioniche. I metalli influenzano il processo di
folding di alfaCA, mentre l’effetto di inibitori inorganici e solfonammidici non è noto. Quindi lo
studio del folding degli isoenzimi della alfaCA in presenza di metalli e/o inibitori può fornire
dettagli utili per la comprensione dei processi di folding delle proteine coinvolte nelle patologie
umane. Queste indagini consentiranno di disegnare nuovi inibitori o promotori delle alfaCA per
applicazioni biomediche e anche nuove molecole che possano interferire nei processi di folding dei
prioni. Lo studio verrà esteso alle proprietà di aggregazione di AcP in presenza di metalli.
Descrizione della Ricerca
Unità Operativa dell’Università di Catania
L'attività di questa unità sarà centrata sui parametri strutturali, conformazionali, termodinamici
e cinetici che controllano il folding di alcune proteine coinvolte nei disordini conformazionali, cioè
prione, beta-amiloide, amilina, beta 2-microglobulina ed alfa-sinucleina.
Il principale scopo della ricerca è comprendere il ruolo dei fattori ambientali (metalli, piccole
molecole, membrane e variazioni di pH) sui processi di folding/misfolding.
Differenti costrutti proteici saranno sintetizzati e misure su singole molecole saranno fatte dal
gruppo associato del Prof. Samorì. Le caratteristiche cinetiche di questi processi saranno anche
delucidate mediante indagini di light scattering(gruppo associato del Prof. Monsù Scolaro).
L'approccio termodinamico, precedentemente utilizzato nel nostro laboratorio per la
caratterizzazione della proteina prione e dei suoi frammenti sarà esteso alle altre proteine, prima
citate, a loro mutanti e frammenti peptidici contenenti domini critici per detti processi, determinati
sulla base dei risultati AFM, NMR e dei test cellulari.
La speciazione, la stabilità, le caratteristiche di coordinazione e conformazionali dei complessi
con i metalli di transizione (Cu, Zn, Mn e Fe) delle proteine e dei frammenti saranno ottenute per
mezzo di misure potenziometriche, ESI-MS, UV-Vis, EPR, CD ed NMR. I dati sperimentali
saranno utilizzati nelle simulazioni condotte dal gruppo associato del Prof. Zannoni.
La tossicità di protofibrille e depositi amiloidi sarà provata in vitro ed in vivo. In particolare, si
indagherà sull'interazione amilina-RAGE nelle cellule di tipo beta e si misureranno i livelli della
peptidasi IDE (insulin degrading enzyme) nei pazienti affetti da Alzheimer, vista la correlazione,
indicata in letteratura, con i malati di diabete di tipo 2.
Biomolecole con attività antiossidante, antiaggregante, chelante ed antiglicante (carnosine ed i
suoi omologhi coniugati con trealosio, peptidi con proprietà beta-sheet breakers funzionalizzati con
trealosio, complessi del manganese e beta-ciclodestrine funzionalizzate con FANS) saranno
progettate e sintetizzate sulla base della precedente esperienza. La loro affinità per proteine ed i loro
diversi domini, così come per i metalli, sarà determinata mediante FT-SPR e calorimetria, mentre le
loro potenziali attività protettive, insieme con la capacità di attraversare la barriera ematoencefalica,
saranno provate in vitro ed in vivo.
Unità Operativa dell’Università di Pavia
Le attività dell'UR si svilupperanno lungo le seguenti linee:
1. alfa-Sinucleina, metabolismo delle catecolammine e basi molecolari della malattia di
Parkinson
122
Lo scopo di questo studio è la comprensione degli effetti strutturali, aggregativi e dovuti al
legame col metallo determinati dalla modificazione covalente dell'alpha-sinucleina ad
opera di specie chinoniche derivate dalla dopamina generate sia enzimaticamente che
chimicamente. Verrà inoltre valutata in questi processi l'interferenza di specie derivanti
dall'NO. Al fine di rivelare in vivo la presenza di proteine modificate da chinoni verranno
sintetizzati degli anticorpi.
2. Attività della alpha-secretasi beta-amiloidogenica, attività proteolitica sul peptide betaamiloide e la malattia di Alzheimer
Il meccanismo e la regolazione di queste attività enzimatiche ad opera di opportune
molecole od inibitori sarà investigata al fine di escogitare una strategia per ridurre la
formazione di fibrille basata sulla promozione simultanea dell'attività amiloidolitica
dell'enzima degradante l'insulina e l'inibizione dell'attività alpha-secretasica del BACE-1.
3. Studi NMR sul ruolo degli ioni metallici sull'amiloidogenesi e sulla formazione di fibrille.
La caratterizzazione strutturali di siti di legame per i metalli sia nelle proteine intere che nei
frammenti peptidici del precursore della proteina beta-amiloide, del prione e dell'alphasinucleina, e gli effetti del metallo ed altri fattori esterni sulla formazione di fibrille amiloidi
sarà effettuata usando NMR ad alto campo e tecniche avanzate di NMR.
4. Proteina prionica aviaria struttura e legame con i metalli
La caratterizzazione strutturale e funzionale della proteina prionica del pollo verrà effettuata
usando NMR ad alto campo e tecniche avanzate di NMR. Lo scopo dello studio è la
comparazione tra le caratteristiche strutturali e le proprietà di legare del rame di questa
proteina o del suo dominio globulare e quelle di altre corrispondenti proteine dei mammiferi.
Cristallizzazione e caratterizzazione strutturale del principale complesso proteico di
istocompatibilità I, i suoi mutanti e i loro complessi di rame. Questa informazione
permetterà di conoscere il meccanismo di rilascio della beta2-microglobulina, una proteina
amiloidogenica che causa artropatie varie allorquando il suo livello plasmatico aumenta.
L'esperienza del gruppo di Biocristallografia e la strumentazione disponibile all'Elettra di
Trieste in cui vi è la sorgente sincrotronica per analisi strutturali ai raggi X risponderà alle
esigenze delle altre UR.
5. Ruolo dei metalli e di inibitori anionici sui processi di folding dell'anidrasi carbonica alpha e
beta, e dell'acilfosfatasi
Lo scopo di questi studi è la progettazione di nuovi inibitori o attivatori dell'apha-anidrasi
carbonica per applicazioni biomediche e per quanto riguarda la alpha-anidrasi carbonica
batterica e l'acilfosfatasi, il chiarimento del meccanismo di folding e delle proprietà di
aggregazione, in relazione ai processi corrispondenti che avvengono ad esempio nel prione.
Descrizione dettagliata delle attività
Dal folding alla aggregazione delle proteine
Per raggiungere questo obiettivo è necessario acquisire dati rilevanti sia da un punto di vista
teorico che sperimentale utilizzando sistemi modello, i quali possono essere poi trasferiti a sistemi
più complessi. I sistemi per i quali verranno caratterizzati i fattori che regolano i processi di folding
sono le proteine beta-amiloide, beta2-microglobulina, prione, amilina e sistemi modello (Cu-Zn
SOD e loro mutanti nella patologia FALS, beta-lactoglobuline e Liver basic FABP).
Studi NMR saranno effettuati su proteine isotopicamente marcate, mentre la tecnica EXAFS,
verrà impiegata sui sistemi contenenti il metallo. I fattori termodinamici che regolano la stabilità
degli stati folded e unfolded delle proteine, saranno studiati mediante tecnica DSC. Misure NMR,
123
tramite l’analisi del NOE e dei chemical shifts protonici in catena laterale, permettono di rilevare
clusters idrofobici nelle proteine in acqua e in presenza di denaturanti. Un parametro NMR utile per
individuare i residui coinvolti questi clusters nella proteina denaturata è la velocità di rilassamento
trasversale R2, di un residuo ammidico parte della catena peptidica, misurata mediante NMR 15N1
H. La spettroscopia di fluorescenza, grazie all’impiego di probes esterni come coloranti specifici o
aspecifici oggi commercialmente disponibili, può amche essere utilizzata in modalità time resolved
quando il tempo di decadimento (inferiore ai nanosecondi) della fluorescenza relativa al complesso
proteina-colorante può essere correlata ad agenti perturbanti esterni.
Verranno condotti diversi studi teorici complementari agli esperimenti, per investigare le
dinamiche conformazionali dei sistemi in esame e le loro interazioni con piccole molecole, peptidi
ed acqua. Lo scopo di questo tipo di approccio è di chiarire, a risoluzione atomica, i differenti
aspetti del folding, misfolding delle proteine e metallo-proteine studiate. In questo ambito vi
saranno tre linee principali di ricerca. A) Simulazioni all-atom MD saranno utilizzate per studiare la
dinamica molecolare delle proteine in differenti condizioni. B) Caratterizzazione di modelli dei
processi del folding/unfolding proteico. C) Creazione di modelli per lo studio della scala dei tempi
dei processi di folding/unfolding. E’ stata sviluppata una nuova strategia per l’analisi
conformazionale delle proteine, basata sull’uso combinato di una parziale proteolisi e la
caratterizzazione mediante ESI-MS dei frammenti così generati. Lo scopo è quello di evidenziare
come la struttura 3-D delle proteine possa determinare delle barriere stereochimiche agli attacchi
enzimatici, indirizzando quindi in maniera selettiva l’attività proteolitica dell’enzima verso specifici
residui. Quando questi esperimenti vengono condotti utilizzando una varietà di proteasi, si può
utilizzare questa strategia per descrivere le variazioni conformazionali che avvengono nella struttura
proteica in diverse condizioni. Il risultato della proteolisi, dipenderà dalle variazioni
conformazionali, indicando quindi le regioni coinvolte in tali variazioni.
Dati complementari saranno ottenuti mediante lo studio di cinetiche di scambio isotopico,
effettuato tramite NMR e MS. Inoltre saranno effettuate misure di AFM e ligth scattering sul prione
e relativi constructs. Un approccio particolarmente utile è quello di studiare frammenti che possono
strutturarsi ed associarsi in conformazioni analoghe a quelle della proteina nativa. Lo studio di
questi frammenti può essere utilizzato per individuare lo stato iniziale, intermedio e finale del
folding proteico. In particolare saranno analizzati frammenti del citocromo c, della apomioglobina e
dell’ormone della crescita umano. Inoltre la neuroferritinapatia sarà uno dei modelli da analizzare.
Risultati attesi
Lo scopo di questa attività è quello di contribuire a risolvere il difficile problema del folding
delle proteine. Infatti definire la natura delle conformazioni riscontrate nelle proteine non native, è
essenziale per poter comprendere le origini di diversi fenomeni biologici, che vanno dalla
regolazione dell’attività cellulare alle cause iniziali delle malattie neurodegenerative. L’uso
combinato della spettroscopia NMR con gli esperimenti di mutagenesi sito-diretta, sarà applicato
per lo studio degli stati unfolded delle proteine: in effetti la rilevazione di strutture durature negli
intorni dei clusters idrofobici, ad elevate concentrazioni di agenti denaturanti, potrà essere utilizzata
per identificare i residui determinanti nel processo di folding della proteina.
L’importanza nei processi di folding dei differenti stati di unfolded, molten globule,
parzialmente folded, caratterizzati mediante NMR, risulterà evidente dagli studi di fluorescenza
time-resolved. Nelle simulazioni molecolari saranno analizzati e confrontati fra di loro i possibili
percorsi conformazionali, con lo scopo di identificare: i) i siti essenziali per la conservazione della
struttura nativa, fold, della proteina; ii) i siti essenziali per esplicare una data attivià biologica; iii)
regioni altamente flessibili possibilmente coinvolte nell’inizio delle transizioni conformazionali che
portano al misfolding. I processi di unfolding/misfolding saranno caratterizzati mediante la
variazione di alcuni parametri fisici come la temperatura, e tramite l’uso di modelli basati sulla
topologia, in grado quindi di riprodurre stati conformazionali simili a quelli dello stato nativo della
proteina. Questi dati saranno utilizzati per cercare di identificare quelle interazioni tra i residui,
124
essenziali per il folding. I risultati ottenuti mediante AFM ed i parametri termodinamici ricavati
tramite misure di DSC, contribuiranno a descrivere i parametri energetici dei processi di
folding/unfolding.
I frammenti proteici più utili da studiare sono quelli in grado di strutturarsi in una
conformazione stabile ed analoga a quella della proteina nativa. L’uso di questi sistemi modello più
semplici, potrebbe rendere possibile l’analisi dei diversi stadi del folding proteico. Inoltre, la
parziale proteolisi di una proteina sembra essere una delle cause in grado di determinare le malattie
di tipo amiloide. Potrebbe essere possibile identificare quelle regioni di una proteina che più
facilmente possono causare fenomeni di aggregazione e quindi sviluppare nuovi modelli
sperimentali per poter meglio analizzare il complesso fenomeno della fibrillogenesi. Dal momento
che studi MS possono misurare l’aumento della massa causato dallo scambio idrogeno/deuterio
mentre l’NMR può monitorare la scomparsa di un segnale relativo ad un dato atomo di idrogeno, le
cinetiche di scambio H/D possono essere messe in relazione alle variazioni conformazionali delle
proteine in soluzione durante il processo di folding/unfolding o in differenti condizioni
sperimentali. E’ stato programmato di ottenere sufficienti quantità di proteine ricombinante WT, di
proteine mutate e di loro frammenti peptidici per uno studio dettagliato dei loro diversi aspetti
strutturali. Le proteine WT e ricombinate saranno purificate e se risulteranno insolubili, rinaturate in
vitro.
Fattori esterni in grado di condizionare il folding proteico
Questa attività è indirizzata a capire il ruolo svolto da fattori esterni (metalli, piccole molecole,
membrane e variazioni di pH) sui processi di folding/misfolding delle proteine. In letteratura sono
riportati risultati contrastanti sia relativamente al numero di ioni metallici legati alle proteine
(prione umano ed aviario, beta-amiloide, acetil-fosfatasi, alfasinucleina, beta2-microglobulina e
suoi mutanti), che alla speciazione, costanti di stabilità ed intorno di coordinazione delle differenti
specie complesse, tutti dati essenziali per determinare il ruolo fisiologico dello ione metallico legato
ad una data proteina. Inoltre l’incertezza sulle specie esistenti ad una data concentrazione non
permette di poter correlare le variazioni conformazionali indotte dagli ioni metallici con il loro
intorno di coordinazione. Le costanti di stabilità e gli aspetti conformazionali delle specie
complesse del Cu(II), Mn(II), Fe(II) e Zn(II), con le proteine sopra citate e dei relativi peptidici,
saranno studiati mediante potenziometria, ESI-MS, UV-vis, EPR, CD e NMR.
Diversi dati supportano fortemente l’ipotesi secondo cui una interazione anormale tra le
proteine coinvolte nel PCDs, e le membrane lipidiche, potrebbe essere alla base del processo di
misfolding. Quindi per approfondire questo aspetto, saranno condotti studi in vivo ed in vitro
utilizzando quei peptidi corrispondenti alle regioni proteiche ritenute responsabili della patogenesi
in base alla loro provata citotossicità nelle colture cellulari neuronali. Esperimenti DSC saranno
eseguiti per determinare le interazioni dei diversi frammenti con le membrane modello.
Il comportamento termotropico dei sistemi membrane/peptide sarà anche analizzato in
funzione dei differenti protocolli di preparazione. I meccanismi di interazione del beta2-m e dei
suoi mutanti (es. H31Y, H31S) con MHCI heavy chain e con il collagene, durante i processi di
refolding e unfolding, saranno investigati tramite SPR, EPR, MS NMR, cristallografia X-ray e
tecniche ottiche. Le fibrille naturali e sintetiche sono specificatamente riconosciute da due
biomolecole, il componente P dell’amiloide del siero (SAP) e la aprotinina, che sono utilizzate con
successo come traccianti per la rilevazione dei depositi amiloidi in vivo. Nel caso della aprotinina si
può delineare una strategia nella quale diversi peptidi, rappresentativi di differenti regioni
dell’intera molecola, possono essere testati per la capacità di riconoscere le fibrille. Questa attività è
stata intrapresa in collaborazione con una compagnia privata (Technogen), e dati preliminari
indicano che uno di questi peptidi, dopo una opportuna modifica chimica, esplica una affinità per le
fibrille nell’ordine del micromolare.
125
Il metabolismo dell’alfa-sinucleina, della catecolammina e le basi molecolari della malattia di
Parkinson, saranno studiati per chiarire come la modifica covalente dell’alfa-sinucleina, tramite
specie chinoniche derivate dalla dopammina, determini variazioni strutturali, effetti di aggregazione
capacità di complessazione degli ioni metallici. L’esperienza del gruppo di biocristallografia e la
possibilità dell’utilizzo di una sorgente al sincrotrone ad Elettra-Trieste, consentiranno le analisi a
raggi X dei complessi del rame con le proteine o dei frammenti di sintesi come gli octa, esa-repeats
delle molecole prione, così come dei complessi delle proteine e dei loro partner.
Sarà studiato il ruolo svolto da metalli e da inibitori anionici sui processi di folding dell’alfa e
gamma-anidrasi carbonica, e dell’acilfosfatasi. Lo scopo di questi studi è quello di progettare nuovi
inibitori o attivatori delle anidrasi carboniche in relazione ai processi di aggregazione che
avvengono nelle proteine prione.
Risultati attesi
Il principale scopo di questa attività è di comprendere il ruolo svolto dai ioni metallici,
membrane, proteine e variazioni nei valori di pH, nei processi di misfolding delle proteine
amiloidogeniche, e quale rilevanza possa avere da un punto di vista biologico. Dati termodinamici,
potenziometrici ed ESI-MS saranno ottenuti per definire la speciazione dei complessi metallici con
le proteine. In alcuni casi, la determinazione della stabilità e dei siti di legame sarà effettuata
mediante studi su modelli di natura peptidica.
Con l’obiettivo di esplorare diversi rapporti metallo-peptidi, è necessario disporre di frammenti
peptidici solubili in ambiente acquoso. A tale scopo saranno progettati e sintetizzati frammenti
peptidici coniugati con catene di polietilenglicole. Questo approccio permetterà di ottenere dei dati
attendibili circa le proprietà conformazionali e di complessazione per mezzo di tecniche
sperimentali che richiedono concentrazioni dell’ordine del millimolare.
Dati sulla stabilità di membrane artificiali in presenza di peptici, capaci di interagire con le
stesse, saranno ottenuti mediante esperimenti di DSC già pianificati. Questi studi forniranno utili
dettagli per la comprensione dei fenomeni molecolari che stanno alla base della neurotossicità di tali
peptici. Infatti nonostante non sia ancora stata dimostrata una diretta correlazione tra
amiloidogenicità e neurotossicità, recenti evidenze sperimentali suggeriscono che gli aggregati
proteici possono non rappresentare la specie effettivamente tossica, ma al contrario, responsabili
della tossicità possano essere gli stadi oligomerici intermedi che si formano durante il processo di
fibrillogenesi (protofibrille). L’analisi DSC di sistemi membrana/peptide condotte a differenti
rapporti molari potranno fornire utili informazioni su questo importante aspetto.
Frammenti peptidici originati da proteolisi parziale saranno identificati per mezzo di
spettrometria di massa ESI-MS, ed il meccanismo della loro formazione sarà determinato medianti
esperimenti NMR. La determinazione dei cambiamenti conformazionali nei frammenti peptidici
studiati, aiuteranno ad individuare differenti domini proteici ed i residui coinvolti nei processi di
misfolding e di aggregazione. Inoltre tramite studi di SPR sarà valutata l’affinità dei costrutti di
aprotinina con fibrille di natura sintetica o naturale. I risultati ottenuti permetteranno la
progettazione e la sintes di nuovi derivati in grado di inibire la formazione di fibrille con un alto
grado di affinità verso specifiche regioni della proteina. Lo stesso approccio permetterà di
determinare la interazione dell’amilina e suoi frammenti solubili, con la IDE sia in presenza che in
assenza di ioni metallici. L’ analisi ai raggi X dei complessi molecolari permetterà di evidenziare i
fattori critici che guidano il riconoscimento molecolare.
Lo stress ossidativo nell’aggregazione proteica
Lo stress ossidativo è intrinsecamente associato ai processi neodegenerativi, ed è fortemente
aumentato da una anormale omeostasi dei metalli nella cellula. E’ interessante che il cervello pur
rappresentando solo il 2-3 % della massa corporea totale, utilizza il 20 % dell’ossigeno totale
consumato, generando H2O2 tramite le ossidasi, oltre a vari conseguenti ROS. Tra i diversi ROS
126
prodotti, il radicale OH è il più dannoso a causa della sua elevata reattività e della conseguente
limitata diffusione.
La maggior parte dei radicali OH si origina a causa della reazione di Fenton tra metalli di
transizione ridotti (ferro(II) o rame(I)) e H2O2; l’acido ascorbico o altri riducenti presenti nella
cellula rigenerano la forma ridotta del metallo, portando alla produzione catalitica dei ROS tramite
un ciclo redox. Metallo-enzimi come la Cu-ZnSOD citosolica e la MnSOD mitocondriale
convertono il radicale superossido ad O2 e H2O2, proteggendo dal danno ossidativo. Dal momento
che questi enzimi contengono ioni, esiste un delicato bilancio all’interno delle cellule tra specie
dannose e protettive. Si studierà l’effetto del più comune dei ROS (H2O2 e O2) sull’integrità delle
proteine coinvolte nelle malattie conformazionali.
La frammentazione delle catene polipeptidiche catalizzate dagli ioni dei metalli di transizione
(Cu, Mn e Fe) legati alle proteine (beta-amiloide, beta2-microglobulina, prione ed alfa-sinucleina)
ed in presenza di H2O2 sarà investigata mediante ESI-MS ed altre tecniche (cromatografia,
elettroforesi). Quindi l’effetto ossidativo su di un singolo aminoacido, tirosina, metionina o istidina,
sarà studiato per mezzo di costrutti proteici con variazioni puntiformi di questi amminoacidi.
Gli aspetti conformazionali dei frammenti identificati saranno determinati e confrontati con
quelli della proteina WT. Il contributo del beta-amiloide all’ossidazione dell’alfa-sinucleina sarà
studiata in presenza di Cu(II) e di agenti riducenti (acido ascorbico).
Negli ultimi anni sono stati scoperti antiossidanti in grado di diminuire il danno cerebrale
indotto dai ROS in differenti modelli sperimentali. La carnosina (b-alanil-L-istidina) ed i composti
ad essa correlati, sono presenti nel sistema nervoso centrale in concentrazioni che variano da 0.7 a
10 mM, nel cervello dei mammiferi in base alle sue differenti regioni. Il metabolismo della
carnosina è strettamente controllato: viene prodotta dall’enzima carnosin-sintetasi e degradata
attraverso l’idrolisi del suo legame peptidico dalla carnosinasi. Solo di recente è stata ottenuta
tramite cDNA, la struttura primaria della carnosinasi, e poco è noto sul suo ruolo e sulla sua
possibile regolazione, insieme alla carnosina sintetasi, dei livelli cerebrali di carnosina. In base a
nostri precedenti risultati sull’attività antiossidante, antiglicante e chelante dei coniugati carnosinaciclodestrina, nuovi derivati contenenti carnosina saranno sintetizzati. Il trealosio sostituirà la
ciclodestrina, alla luce dei risultati relativi alla sua capacità di agire da antiaggregante. I nuovi
composti saranno utilizzati come protettivi contro lo stress ossidativo causato da ROS. Saranno
determinate le proprietà antiossidanti dei complessi del manganese con i derivati del SALEN,
rispetto ai radicali idrossile prodotti da H2O2 e dai metalli legati alle proteine (rame legato al prione,
beta2-microglobulina, beta-amiloide ed alfa-sinucleina), cercando di migliorare, tramite la
coniugazione con opportune biomolecole, la solubilità di questi composti che sono in fase clinica II
per il trattamento di AD. Per cercare di trovare una correlazione tra l’insulto ossidativo e
l’invecchiamento, verrano analizzate l’inibizione dell’attività di ferrochelatasi ed il livello di
carnosinasi, che è noto diminuire con l’età.
Risultati attesi
Ci si aspetta di determinare quali frammenti proteici siano originati dalle specie reattive
dell’ossigeno (ROS), di mettere in risalto l’attività di protezione di nuove molecole di sintesi e
bioconiugati con proprietà antiossidanti e chelanti di ioni metallici, e di stabilire il ruolo svolto sulla
aggregazione di proteine amiloidogeniche, dai complessi ioni-proteine che si accumulano con
l’invecchiamento. I frammenti proteici originati dagli agenti ossidanti (ROS) saranno identificati
tramite ESI-MS ed altre tecniche analitiche (cromatografia ed elettroforesi). Verrà messa in luce
mediante studi NMR e di spettroscopia ottica, l’attività ossidante di H2O2 catalizzata dalla presenza
di ioni metallici quali Cu, Zn e Fe, su sistemi proteici con modifiche puntuali dei residui di tirosina
e metionina (presenti nelle proteine beta-amiloide e prione).
La propensione all’aggregazione dei frammenti peptidici in seguito all’azione dei ROS sarà
determinata tramite studi di light scattering, mentre modifiche sito-specifiche in diversi domini
della proteina, forniranno una mappa dei breaking point presenti lunga la catena polipeptidica. Le
127
variazioni coformazionali delle proteine in seguito alla modifica dell’atomo di zolfo nel residuo
della metionina o del gruppo ossidrilico della tirosina, saranno determinate mediante misure CD.
Saranno sintetizzati nuovi bioconiugati del trealosio con attività antiossidante, antiaggregante,
antiglicante e con attività chelante rispetto ai metalli. Il loro fattore di protezione sarà testato nei
confronti della frammentazione, aggregazione e glicazione delle proteine indotte per via ossidativa,
e misurato tramite misure CD e di light scattering. Saranno progettati e sintetizzati inibitori di
specifiche proteasi (carnosinasi e ferrochelatasi), controllando la loro efficienza in test tubes.
Stati conformazionali e tossicità in vitro ed in vivo
Più di 21 malattie sono indicate come PCD, a causa di modifiche conformazionali delle catene
polipeptidiche nel passaggio da stati fisiologici a patologici. La tossicità è stata attribuita alla
formazione di aggregati ed in alcuni casi ai depositi amiloidi. Quest’attività studia gli effetti
determinati dai complessi tra ioni metallici e proteine sull’attività del proteosoma, sul processo di
aggregazione di proteine amiloidogeniche e sulla degenerazione neuronale, nelle colture cellulari.
Verranno utilizzate proteine WT, mutanti, e frammenti del beta-amiloide, prione, beta2microglobulina, e amilina, in colture cellulari in grado di riprodurre le condizioni che hanno
mostrato di favorire il misfolding proteico nei saggi cell-free (es. metalli e/o AGEs). La tossicità del
peptide sarà valutata con saggi standard della morte cellulare e con studi specifici per l’apoptosi.
Questi studi permetteranno di determinare gli effetti del ferro sul folding intracellulare
dell’alfa-sinucleina, in cellule che sviluppano inclusioni in funzione del tempo e della presenza di
dopammina endogena. Anticorpi contro DAQ saranno utilizzati per chiarire il ruolo delle DAQ
nella modifica covalente dell’alfa-sinucleina.
L’amiloide e suoi frammenti a più basso peso molecolare, esercitano i loro effetti attraverso il
legame con specifici recettori. Recentemente il recettore RAGE (recettore per AGEs-Advanced
Glycation Endproducts) è stato riconosciuto capace di legare fibrille con caratteristiche
amiloidogeniche. RAGE è controllato dai suoi propri leganti, con conseguente amplificazione dei
loro effetti. Si studierà se l’amilina si lega al RAGE nelle cellule-beta e se questo influenza la loro
vitalità mediante l’attivazione dei processi di segnale intracellulare mediati dai RAGE.
A questo fine saranno utilizzate colture di cellule beta e valutati gli effetti degli oligomeri
dell’amilina, in presenza o in assenza di RAGE solubili (sRAGE). E’ stato ipotizzato che il RAGE
sia coinvolto nel AD. Inoltre il RAGE si lega al HMGB1.
Quindi verrà valutato se l’ HMGB1 influenza gli effetti dell’amilina nelle colture di cellulebeta mediante il legame con lo stesso recettore (RAGE). E’ stato dimostrato che il beta-amiloide è
in grado di legare ioni metallici (Cu, Fe e Zn). Non è chiaro se questo determina una protezione
dallo stress ossidativo, impedendo la partecipazione di tali ioni al ciclo redox con altri leganti, o se
viceversa aumenta l’apoptosi cellulare.
Abbiamo già dimostrato che il Cu può proteggere le cellule-beta dalla IL-1. E’ stato progettato
di valutare se gli ioni influenzano gli effetti dell’amilina nelle cellule beta. E’ stato recentemente
dimostrato che i peptidi beta-amiloidi competono per il legame dell’insulina con IR, riducendo
quindi la sua attività. Si valuterà se l’amilina influenzi la vitalità delle cellule-beta, mediante
l’interferenza con l’attivita del IR.
Per comprendere il ruolo del ferro nel misfolding delle proteine e nella tossicità cellulare, si
svilupperanno delle linee di cellule neuronali nelle quali le principali proteine coinvolte nel
metabolismo del ferro, sono inibite tramite siRNA. Saranno impiegati modelli animali transgenici
sia di AD che FALS, per eplorare la dinamica di aggregazione delle proteine endogene. Verranno
indotte variazioni in Ca e Zn sia con stimoli fisiologici che patologici, in neuroni ottenuti dal topo
triplo transgenico 3XTG-AD. In aggiunta al glutammato e alla variazione in Zn tramite
depolarizzation-evoked, si studieranno differenze tra le colture neuronali ottenute da 3XTG-AD e
cavie di controllo, cosicché la quantità e la dinamica di rilascio intracellulare dello Zn possa essere
attivato dallo stress ossidativo o attraverso la depolarizzazione mitocondriale.
128
Risultati attesi
Ci si aspetta di stabilire se i complessi tra i metalli e le proteine siano in grado di indurre
misfolding, aggregazione e morte neuoronale, in colture cellulari ed in cavie animali. Lo studio dei
modelli cellulari aventi un’espressione alterata delle proteine coinvolte nel metabolismo del ferro,
fornirà evidenze sperimentali sul ruolo di questo metallo nella tossicità e nei processi
neurodegenerativi, e, aspetto ancora più importante, di fornire dettagli sulle proteine e sui
meccanismi coinvolti nella citoprotezione. Individuati i fattori in grado di indurre variazioni nel
folding della proteina, si determinerà la relazione che esiste tra misfolding e tossicità cellulare. In
particolare, chiarire il ruolo del metallo e/o degli AGE nell’indurre il misfolding proteico nella
degenerazione cellulare e di chiarire se la tossicità di specie proteiche aggregate segue un
meccanismo comune anche in differenti tipi di cellule.
Relativamente alla malattia di AD, gli esperimenti proposti da effettuare sui topi 3XTG-AD
forniranno una migliore comprensione del ciclo vizioso per il quale l’aggregazione della proteina
beta-amiloide potrebbe innescare lo stress ossidativo, inibire il riassorbimento del glutammato,
aumentare l’attivazione dei recettori, la concentrazione di ioni calcio e zinco nel citosol e nei
mitocondri, ed inoltre promuovere la propria aggregazione in quelle condizioni sperimentali che
mimano i processi degenerativi che avvengono in vivo. Per verificare il ruolo dello Zn e/o del Cu
nella formazione delle inclusioni di SOD1, verranno analizzati i relativi livelli di Zn libero nei
motoneuroni di SOD1G93A, e saranno acquisiti nei topi transgenici gli effetti determinati da una
dieta supplementare o da una deficienza di zinco e/o rame, durante il decorso della malattia e la
formazione degli aggregati. Gli esperimenti proposti da effettuare sui topi transgenici SOD1G93A,
contribuiranno a chiarire il ruolo degli ioni Zn e Cu nei meccanismi che stanno alla base della
formazione degli aggregati proteici nei motoneuroni. Variando i livelli di questi ioni, ci si aspetta di
interferire con la tossicità di SOD1 mutante nel topo mutante transgenico SOD1.
I risultati della ricerca consentiranno una migliore comprensione degli effetti delle condizioni
microambientali sul “misfolding” proteico, contribuendo a chiarire le attuali ipotesi sui meccanismi
patogeni del PCD. Inoltre, mediante l’imaging degli ioni Ca e Zn, si investigheranno le differenze
indotte dai siti cationici del glutammato nelle culture neuronali 3XGT-AD e campioni di cervello.
Gli effetti di Ca e Zn sulle funzioni mitocondriali saranno studiate attraverso sonde fluorescenti e
misure elettrofisiologiche nei mitoplasti.
Le culture di 3XGT-AD saranno inoltre testate per la loro vulnerabilità al glutammato e
neurotossicità dipendente da Ca e/o Zn. Lo scopo della ricerca è la comprensione del ciclo di
produzione auto-propagante di ROS, del rilascio di glutammato, la sovrastimolazione dei recettori
del glutammato e la disomeostasi cationica, che evolve nell’aggregazione beta-amiloide, e la morte
neuronale. Mediante l’uso di culture cellulari e campioni cerebrali ci si aspetta di colmare le
differenze tra misure in vivo ed in vitro, e di identificare i fattori chiave che contribuiscono allo AD
e altre malattie neurodegenerative.
Un ulteriore obiettivo è quello di evidenziare il ruolo benefico della modulazione
farmacologica dei livelli degli ioni Ca e Zn nella protezione dalla deposizione dei beta-amiloidi e
danni neuronali. Infine, ci si propone di chiarire se l’amilina lega RAGE nelle beta-cellule e se
influenza la loro vitalità cellulare attivando meccanismi si signaling intercellulari mediati da RAGE.
Infine, saranno anche investigati gli effetti biologici degli ioni metallici sull’amilina nelle cellulebeta pancreatiche.
Controllo della integrità conformazionale attraverso molecole endogene ed esogene
E’ stato proposto che piccole molecole possano inibire la fibrillogenesi. Tuttavia se le specie
intermedie nei processi fibrillogenici causano la maggior parte del danno cellulare, tali molecole
potrebbero peggiorare la patologia. Quindi è fondamentale capire se le molecole proposte (in grado
di modificare la conformazione delle proteine in vitro) siano in grado o meno di ridurre la patologia.
129
L’uso di sequenze peptidiche in grado di inibire l’aggregazione, è stato considerato una strategia
promettente per un approccio faramacologico.
La scelta appropriata di un peptide, solubile in acqua con potenziale attività antiaggregante,
inizia dall’osservazione che peptidi omologhi alla sequenza della proteina e in grado di rompere i
beta-sheet, possano inibire l’aggregazione proteica in vitro. Inoltre questi peptidi in vivo sono
suscettibili ad essere degradati dalle peptidasi. Quindi verranno progettati dei bioconiugati specifici
capaci di contrastare l’azione delle peptidasi e quindi aumentare il tempo di vita delle molecole
nell’organismo. A tale scopo verranno investigati in vitro beta-ciclodestrine/trealosio
funzionalizzati con specifici farmaci o inibitori AGE e specifici peptidi. I successivi test in vivo
forniranno informazioni circa l’effetto protettivo dei bioconiugati selezionati, consentendo di
dimostrare se le fibrille, o piuttosto i loro precursori solubili detti protofibrille, siano gli agenti
tossici.
Gli effetti di queste molecole saranno studiati sia in termini dell’attività tossica degli analoghi
peptidi sintetici, che relativamente alla formazione di aggregati intracellulari di alfa-sinucleine. Una
volta testata l’assenza di tossicità intrinseca per le molecole in esame, e gli effetti protettivi di
queste verso la tossicità di proteine misfolded, mediante la tecnica della microdialisi in animali si
investigherà la possibilità che questi composti attraversino la BBB. Quindi, i topi 3XTG-AD o topi
in grado di sviluppare inclusioni di alfa-sinucleine a seguito di un trattamento cronico con
metaanfetamine, saranno adoperati per studiare glie effetti delle molecole candidate
sull’aggregazione e la tossicità delle proteine. Chelanti selezionati sulla base delle loro costanti di
stabilità verso diversi ioni metallici (es. Cu, Zn, Mn, Fe, Al) e sulla base degli esperimenti CD
riguardanti la loro capacità di conservare la conformazione delle proteine native o dei loro
frammenti, saranno testati sia su modelli cellulari che su topi transegenici per rilevare i loro effetti
sul misfolding/aggregazione/tossicità delle proteine e nella formazione delle placche.
L’identificazione delle principali differenze nelle proteine folded/unfolded/misfolded è alla
base della progettazione di opportune probes. L’approccio del Molecular Imaging sarà finalizzato
nella messa a punto di probes NMR Imaging basate sulla coniugazione di un sintone di ricognizione
con una alta affinità di legame con i domini strutturali delle proteine in esame, rappresentato da un
chelato Gd-paramagnetico. La visualizzazione della glicoproteina mielina oligodendrocita (MOG),
le cui struttura e funzionalità sono incognite, sarà utilizzata come modello, poiché anche una parte
del peptide extracellulare è sufficiente a produrre segni clinico-patogenici MS-like negli animali.
Studi NMR e CD in soluzione dimostrano che rMOG (1-117) adotta differenti strutture in funzione
del microintorno. Il monitoraggio della demielinazione sarà determinato dalla misura dei
cambiamenti conformazionali del MOG risultanti da attacchi patogeni di rilievo per MS. Inoltre
saranno anche investigati i livelli e l’attività di insulisina nei pazienti affetti da Alzheimer e diabete
tipoII, nonché la correlazione con la resistenza all’insulina.
Risultati attesi
Verranno sintetizzati frammenti peptidici coniugati con il trealosio, in grado di mimare
specifiche regioni dell’amilina, del prione e del beta-amiloide, e progettati in modo tale da
permettere anche un approccio di tipo computazionale. Il loro effetto protettivo sui processi di
aggregazione e di variazione conformazionale delle proteine in esame, sarà studiato per mezzo di
misure CD e di light scattering.
L’attività protettiva di questi nuovi beta-sheet breaker sarà verificata in modelli cellulari e topi
transgenici. Ci si aspetta da questi risultati di ottenere un modo per discriminare la tossicità delle
protofibrille e/o dei depositi amiloidi. L’attività chelante di diversi bioconiugati sarà determinata sia
in vitro che in vivo, e ci si attende che la determinazione dell’interazione tra l’insulina e l’amilina
fornisca informazioni utili per l’eventuale correlaione tra il morbo di Alzheimer ed il diabete di
Tipo 2. Infine i dati NMR ottenuti anche con l’utilizzo di specifiche molecole, forniranno
informazioni sul loro potenziale uso come sonde diagnostiche.
130
UNITÀ DI RICERCA DI LECCE
Composizione: Prof. Maffia M., Acerno R., Urso E., Rizzello A.
Collaborazioni: UR di Napoli, UR di Catania
Settore di Indagine, Obiettivi e Metodi:
Le Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili sono un gruppo di patologie neurodegenerative,
riscontrate sia nell'uomo che negli animali. L'agente ritenuto responsabile dell'insorgenza di tali
patologie è una glicoproteina denominata PrPsc, che si configura come un'isoforma
conformazionale aberrante della proteina prionica cellulare PrPc (33-35 kDa). Quest'ultima è
ancorata al versante esterno delle membrane cellulari tramite interazione con il
glicosilfosfatidilinositolo e, benchè ubiquitaria, è espressa in modo preponderante a livello dei
neuroni. La PrPsc condivide con la PrPc la sequenza primaria, ma se ne differenzia per una struttura
secondaria di tipo prevalentemente β-sheet e per la parziale resistenza alla proteolisi (Prusiner,
1998).
Nella regione N-terminale della proteina prionica cellulare sono presenti un nonapeptide e
quattro sequenze ottameriche ritenute in grado di legare ioni metallici ed in particolar modo il rame
(Cu2+) con una stechiometria di quattro o sei ioni per molecola. Questa proprietà induce a supporre
ragionevolmente che la PrPc possa essere coinvolta nel metabolismo del rame e nei meccanismi di
difesa della cellula contro lo stress ossidativo presumibilmente mediante la modulazione dell'attività
della Cu/Zn superossido-dismutasi (Brown e Besinger, 1998).
Allo scopo di mettere in luce i meccanismi di neurotossicità legati al misfolding anomalo
della PrPsc, abbiamo adoperato come modello di studio la linea cellulare di neuroblastoma di ratto
B104 e l'abbiamo sottoposta per diversi intervalli di tempo a concentrazioni crescenti di diversi
frammenti peptidici riproducenti porzioni di proteina prionica umana. In particolare, esaminando la
neurotossicità del peptide PrP[173-195]Ac. Am., corrispondente all'elica-2 della proteina prionica e
presumibilmente coinvolto nella transizione conformazionale della PrPc per via della sua flessibilità
strutturale, ne è risultato un effetto neurotossico dose e tempo-dipendente. Abbiamo inoltre
confermato i dati esistenti in letteratura circa la tossicità del frammento PrP[106-126],
supportandoli con i risultati relativi alla misurazione dell’attività enzimatica della Na+/K+ ATPasi,
marker del metabolismo cellulare. Le B104 sono state poste ad incubare in presenza di
concentrazioni crescenti del peptide per 24 ore, intervallo di tempo non sufficiente ad indurre morte
neuronale. Si è potuta conseguentemente rilevare una riduzione concentrazione-dipendente
dell’attività enzimatica della Na+/K+ ATPasi.
Ci si propone, ora, di valutare la neurotossicità dei peptidi dosando altri enzimi markers
della funzionalità neuronale e monitorando l’accumulo di rame nelle cellule, oltrechè i flussi transmembrana del metallo. In una seconda fase, si procederà a determinare le interferenze della proteina
prionica e di alcuni suoi frammenti con i meccanismi di trasporto del rame a livello di tessuti
intestinali di ratto o topo.
131
132
APPENDICE
AL PIANO TRIENNALE DELLE RICERCHE
2005-2007
del C.I.R.C.M.S.B.
133
134
PERSONALE AFFERENTE
135
136
Personale Afferente al C.I.R.C.M.S.B.
Anno 2004
UNITA’ LOCALE DI ANCONA
Personale
Qualifica
Dipartimento
Bruni Paolo
Tosi Giorgio
Giorgini Elisabetta
Conti Carla
Iacussi Marco
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Ricercatore
Tecnico
Tecnico
Dip. di Scienz. Mat. e Terra
Dip. di Scienz. Mat. e Terra
Dip. di Scienz. Mat. e Terra
Dip. di Scienz. Mat. e Terra
Dip. di Scienz. Mat. e Terra
UNITA’ LOCALE DI BARI
Personale
Qualifica
Dipartimento
Giordano Domenico
Landriscina Clemente
Marcotrigiano Giuseppe
Maresca Luciana
Natile Giovanni
Coluccia Mauro
Pacifico Concetta
Storelli Maria Maddalena
Boccarelli Angelina
Casalino Elisabetta
Di Benedetto Angela
Garofalo Rita
Intini Francesco Paolo
Margiotta Nicola
Laforgia Maria Rita
Lorusso Giuseppe
Pastore Carlo
Pellicani Zoe Raffaella
Ranaldo Rosa
Sasanelli Rossella
Boccaletti Giovanni
Cerasino Leonardo
Busco Vito Pietro
Giampietro Antonio
Sblano Cesare
Storelli Arianna
Cannito Francesco
Racaniello Francesco
Bottalico Simona
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Associato
Prof. Associato
Ricercatore
Ricercatore
Ricercatore
Ricercatrice
Ricercatore
Ricercatore
Ricercatore
Dottoranda
Dottorando
Dottorando
Dottoranda
Dottoranda
Dottoranda
Assegnista di ricerca
Assegnista di ricerca
Tecnico
Tecnico
Tecnico
Tecnico
Tecnico laureato
Responsabile Amministrativo
Coll.re d’Amm.ne
Dip. Scienze Biomed. E Oncol.
Ist. Chimica MED. VET.
Ist. Chimica MED. VET
Dip. Farmaco-chimico
Dip. Farmaco-chimico
Dip. Scienze Biomed. E Oncol.
Dip. Farmaco-chimico
Ist. Chimica MED. VET
Dip. Scienze Biomed. E Oncol.
Ist. Chimica MED. VET
Dip. di Chimica
Ist. Chimica MED. VET
Dip. Farmaco-chimico
Dip. Farmaco-chimico
Dip. Farmaco-chimico
Dip. Farmaco-chimico
Dip.di Chimica
Dip. Farmaco-chimico
Dip. Farmaco-chimico
Dip. Scienze Biomed. E Oncol.
Dip. Farmaco-chimico
Dip. Farmaco-chimico
Ist. Chimica MED. VET.
Ist. Chimica MED. VET
Ist. Chimica MED. VET
Ist. Chimica MED. VET
C.I.R.C.M.S.B.
Dip. Farmaco-chimico
C.I.R.C.M.S.B.
137
UNITÀ LOCALE DI BOLOGNA
Personale
Qualifica
Dipartimento
Roveri Norberto
Bigi Adriana
Foresti Elisabetta
Falini Giuseppe
Panzavolta Silvia
Boanini E.
Lesci G.I.
Giorgini E.
Fermani Simona
Rubini K.
Parmeggiani S.
Marascio G.
Valdre’ G.
Morselli S.
Gandolfi Massimo
Prof. Ordinario
Prof. Associato
Prof. Associato
Ricercatore
Dottoranda
Assegnista
Assegnista
Assegnista
Borsista
Borsista
Tecnico
Tecnico
Tecnico
Tecnico
Tecnico
Dip. Chimica “Ciamician”
Dip. Chimica “Ciamician”
Dip. Chimica “Ciamician”
Dip. Chimica “Ciamician”
Dip. Chimica “Ciamician”
Dip. Chimica “Ciamician”
Dip. Chimica “Ciamician”
Dip. Chimica “Ciamician”
Dip. Chimica “Ciamician”
Dip. Chimica “Ciamician”
Dip. Chimica “Ciamician”
Dip. Chimica “Ciamician”
Dip. Chimica “Ciamician”
Dip. Chimica “Ciamician”
Dip. Chimica “Ciamician”
UNITA’ LOCALE DI CAMERINO
Personale
Qualifica
Dipartimento
Cingolani Augusto
Gioia Lobbia Giancarlo
Fioretti Evandro
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Burini Alfredo
Lorenzotti Adriana
Marchetti Fabio
Pettinari Claudio
Pietroni Bianca Rosa
Angeletti Mauro
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Ricercatore
Galassi Rossana
Lupidi Giulio
Santini Carlo
Pellei Maura
Ricercatore
Ricercatore
Ricercatore
Tecnico
Scienze Chimiche
Scienze Chimiche
Biologia Molecolare Cellulare
Animale
Scienze Chimiche
Scienze Chimiche
Scienze Chimiche
Scienze Chimiche
Scienze Chimiche
Biologia
Molecolare
Cellulare
Animale
Scienze Chimiche
Scienze Chimiche
Scienze Chimiche
Scienze Chimiche
UNITÀ LOCALE DI CATANIA
Personale Docente
Qualifica
Dipartimento
Arena Giuseppe
Bonomo Raffaele
Condorelli Giuseppe
Costanzo Lucia Laura
Purrello Roberto
Rizzarelli Enrico
Calì Rosario
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Associato
Scienze Chimiche
Scienze Chimiche
Scienze Chimiche
Scienze Chimiche
Scienze Chimiche
Scienze Chimiche
Scienze Chimiche
138
D’Alessandro Franca
De Guidi Guido
Giuffrida Salvatore
Impellizzeri Giuseppe
Maccarone Giuseppe
Sciotto Domenico
Sortino Salvatore
Spoto G.
Vecchio Graziella
D’Agata Roberta
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Borsista CIRCMSB
Scienze Chimiche
Scienze Chimiche
Scienze Chimiche
Scienze Chimiche
Scienze Chimiche
Scienze Chimiche
Scienze Chimiche
Scienze Chimiche
Scienze Chimiche
CIRCMSB
UNITÀ LOCALE DI FERRARA
Personale Docente
Qualifica
Dipartimento
Maldotti Andrea
Marchi Andrea
Medici Alessandro
Rossi Roberto
Bergamini Paola
Marvelli Lorenza
Marchesi Elena
Fratta Marcello
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Ricercatore
Ricercatore
Borsista CIRCMSB
Tecnico
Dip. di Chimica
Dip. di Chimica
Dip. di Chimica
Dip. di Chimica
Dip. di Chimica
Dip. di Chimica
CIRCMSB
Dip. di Chimica
UNITA’ LOCALE DI FIRENZE
Personale
Qualifica
Dipartimento
Marzocchi Mario
Orioli Pierluigi
Scozzafava Andrea
Briganti Fabrizio
Smulevich Giulietta
Ferraroni Marta
Messori Luigi
Barbaro Pierluigi
Bianchini Claudio
Oberhauser Werner
Vizza Francesco
Barry Howse
Casini Angela
Piccioli Francesca
Temperini Claudia
Vullo Daniela
Abbate Francesco
Bruni Bruno
Monnanni Roberto
Gabbiani Chiara
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Associato
Prof. Associato
Ricercatore
Ricercatore
Ricercatore CNR
Ricercatore CNR
Ricercatore CNR
Ricercatore CNR
Borsista
Borsista
Borsista
Borsista
Borsista
Assegnista
Tecnico
Tecnico
Borsista CIRCMSB
Dip. di Chimica
Dip. di Chimica
Dip. di Chimica
Dip. di Chimica
Dip. di Chimica
Dip. di Chimica
Dip. di Chimica
CNR Firenze
CNR Firenze
CNR Firenze
CNR Firenze
Dip. di Chimica
Dip. di Chimica
Dip. di Chimica
Dip. di Chimica
Dip. di Chimica
Dip. di Chimica
Dip. di Chimica
Dip. di Chimica
CIRCMSB
139
UNITA’ LOCALE DI LECCE
Personale
Qualifica
Dipartimento
Dini Luciana
Prof. Ordinario
Fanizzi Francesco Paolo
Prof. Ordinario
Schettino Trifone
Prof. Ordinario
Ciccarese Antonella
Prof. Associato
Maffia Michele
Prof. Associato
Marsigliante Santo
Prof. Associato
Benedetti Michele
Ricercatore
Lionetto Giulia
Ricercatrice
Pagliara Patrizia
Ricercatrice
Papadia Paride
Assegnista
Caricato Roberto
Dottorando
De Pascali Sandra
Angelica
Migoni Danilo
Dottoranda XVI Ciclo
Dip. di Scienze e Tecnologie
Biologiche e Ambientali
Dip. di Scienze e Tecnologie
Biologiche e Ambientali
Dip. di Scienze e Tecnologie
Biologiche e Ambientali
Dip. di Scienze e Tecnologie
Biologiche e Ambientali
Dip. di Scienze e Tecnologie
Biologiche e Ambientali
Dip. di Scienze e Tecnologie
Biologiche e Ambientali
Dip. di Scienze e Tecnologie
Biologiche e Ambientali
Dip. di Scienze e Tecnologie
Biologiche e Ambientali
Dip. di Scienze e Tecnologie
Biologiche e Ambientali
Dip. di Scienze e Tecnologie
Biologiche e Ambientali
Dip. di Scienze e Tecnologie
Biologiche e Ambientali
Dip. di Scienze e Tecnologie
Biologiche e Ambientali
Dip. di Scienze e Tecnologie
Biologiche e Ambientali
Dottorando
UNITA’ LOCALE DI NAPOLI
Personale
Qualifica
Dipartimento
Busico Vincenzo
Benedetti Ettore
Di Blasio Benedetto
Paolillo Livio
Pavone Vincenzo
Pedone Carlo
Vitagliano Aldo
Abrescia Paolo
Prof. Straordinario
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Professore Ordinario
Auricchio Salvatore
Botte Virgilio
Carteni’ Marilena
Ciarcia Gaetano
Colonna Giovanni
De Rosa Mario
Pucci Pietro
Professore Ordinario
Professore Ordinario
Professore Ordinario
Professore Ordinario
Professore Ordinario
Professore Ordinario
Professore Ordinario
Dip. Chimica
Dip. Chimica Biologica
Fac. Scienze Ambientali
Dip. Chimica
Dip. Chimica
Dip. Chimica Biologica
Dip. Chimica
Dip. di Fisiologia Generale ed
Ambientale
Dip. di Pediatria
Dip. di Zoologia
Dip. di Medicina Sperimentale
Dip. di Zoologia
Dip. di Biochimica e Biofisica
Dip. di Medicina Sperimentale
Dip. Chimica Organica e Biochimica
140
Rastogi Rakesh
Rossi Mosè
Sannia Giovanni
Santoianni Pietro
Staiano Norma
Professore Ordinario
Professore Ordinario
Professore Ordinario
Professore Ordinario
Professore Ordinario
Marino Gennaro
Budillon Gabriele
Professore Ordinario
Professore Associato
Capuano Gaetano
Professore Associato
De Falco Sandro
Professore Associato
Rossi Franco
Falcigno Lucia
Galdiero Massimiliano
D’Auria Gabriella
Fattorusso Roberto
Isernia Carla
Lombardi Angelina
Professore Associato
Professore Associato
Professore Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Morelli Giancarlo
Pedone Paolo Vincenzo
Rossi Filomena
Ruffo Francesco
Ruvo Menotti
Saviano Michele
Bucci Enrico
D’Andrea Luca Domenico
De Simone Giuseppina
Improta Roberto
Maglio Ornella
Menchise Valeria
Monti Simona Maria
Palumbo Rosanna
Zaccaro Laura
Dathan Nina
Cipullo Roberta
Cucciolito Maria Elena
Galdiero Stefania
Tesauro Diego
Aloj Luigi
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Primo Ricercatore CNR
Primo Ricercatore CNR
Ricercatore CNR
Ricercatore CNR
Ricercatore CNR
Ricercatore CNR
Ricercatore CNR
Ricercatore CNR
Ricercatore CNR
Ricercatore CNR
Ricercatore CNR
Tecnologo CNR
Ricercatore
Ricercatore
Ricercatore
Ricercatore
Ricercatore
Di Gaetano Sonia
Ricercatore
Luongo Delia
Ricercatore
Messere Anna
Panico Mariarosaria
Ricercatore
Ricercatore
Trifuoggi Marco
Ricercatore
141
Dip. di Zoologia
Dip. Chimica Biologica
Dip. Chimica Organica e Biochimica
Dip. di Patologia Sistematica
Dip. di Strutture, Funzioni e
Tecnologie Biologiche
Dip. Chimica Organica e Biochimica
Dip. di Medicina Clinica e
Sperimentale
Dip. di Medicina Clinica e
Sperimentale
CNR Istit. di Biostrutture e di
Bioimmagini
Dip. di Medicina Sperimentale
Dip. di Chimica
Dip. di Medicina Sperimentale
Dip. Chimica
Fac. Scienze Ambientali
Fac. Scienze Ambientali
Dip. Chimica
Dip. Chimica Biologica
Fac. Scienze Ambientali
Dip. Chimica Biologica
Dip. Chimica
Ist. Di Biostrutture e Bioimmagini
Ist. Di Biostrutture e Bioimmagini
Ist. Di Biostrutture e Bioimmagini
Ist. Di Biostrutture e Bioimmagini
Ist. Di Biostrutture e Bioimmagini
Ist. Di Biostrutture e Bioimmagini
Ist. Di Biostrutture e Bioimmagini
Ist. Di Biostrutture e Bioimmagini
Ist. Di Biostrutture e Bioimmagini
Ist. Di Biostrutture e Bioimmagini
Ist. Di Biostrutture e Bioimmagini
Ist. Di Biostrutture e Bioimmagini
Dip. Chimica
Dip. Chimica
Dip. Chimica Biologica
Dip. Chimica Biologica
CNR Istit. di Biostrutture e
Bioimmagini
CNR Istit. di Biostrutture e
Bioimmagini
CNR Istit. di Biostrutture e
Bioimmagini
Fac. di Scienze Ambientali
CNR Istit. di Biostrutture e
Bioimmagini
Dip. di Chimica
di
di
di
di
Troncone Riccardo
Vitagliano Luigi
Ricercatore
Ricercatore
Talarico Giovanni
Assegnista di Ricerca
Dip. di Pediatria
CNR Istit. di Biostrutture e di
Bioimmagini
Dip. Chimica
UNITA’ LOCALE DI PADOVA
Personale
Qualifica
Dipartimento
Bandoli Giuliano
Vidali Maurizio
Faraglia Giuseppina
Graziani Rodolfo
Longato Bruno
Marzotto Armando
Mazzi Ulderigo
Pilloni Giuseppe
Tallandini Laura
Dolmella Alessandro
Fregona Dolores
Guantieri Valeria
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Ricercatore
Ricercatore
Ricercatore
Dip. Scienze Farm.
Dip. Chim. Inorg. Metal. Anal.
Dip. Chim. Inorg. Metal. Anal.
Dip. Chim. Inorg. Metal. Anal.
Dip. Chim. Inorg. Metal. Anal.
Dip. Chim. Inorg. Metal. Anal.
Dip. Scienze Farm.
Dip. Chim. Inorg. Metal. Anal.
Dip. Chim. Inorg. Metal. Anal.
Dip. Scienze Farm.
Dip. Chim. Inorg. Metal. Anal.
Dip. Chim. Inorg. Metal. Anal.
UNITA’ LOCALE DI PALERMO
Personale
Qualifica
Dipartimento
Bertazzi Nuccio
De Lisi Rosario
Pellerito Lorenzo
Stocco Giancarlo
Gianguzza Antonio
Gianguzza Mario
Mansueto Caterina
Milioto Stefania
Vitturi Roberto
Pellerito Claudia
Di Prima Filippa
Di Prima Maria
Tomasello Nicolò
Uccello Maria
Saporetti Claudia
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Ricercatore
Ricercatore
Ricercatore
Tecnico
Tecnico
Tecnico
Tecnico
Borsista CIRCMSB
Chimica Inorganica
Chimica Fisica
Chimica Inorganica
Chimica Inorganica
Chimica Inorganica
Biologia-Medicina
Zoologia
Chimico Fisica
Zoologia
Chimica Inorganica e Analitica
Chimica Inorganica
Chimica Inorganica
Chimica Inorganica
Chimica Inorganica
CIRCMSB
UNITÀ LOCALE DI PARMA
Personale
Qualifica
Dipartimento
Lanfranchi Maurizio
Ugozzoli Franco
Lanfredi-Manotti Anna
Prof. Straordinario
Prof. Straordinario
Prof. Ordinario
Chimica Gen. E Inorg., etc
Chimica Gen. E Inorg., etc
Chimica Gen. E Inorg., etc
142
Maria
Pellinghelli Maria Angela
Dallavalle Francesco
Ferrari-Belicchi Marisa
Pelosi Giorgio
Tarasconi Pieralberto
Marchiò Luciano
Massera Chiara
Tegoni Matteo
Bisceglie Franco
Albertini Roberto
Prof. Ordinario
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Ricercatore
Ricercatore
Ricercatore
Borsista CIRCMSB
Funzionario Tecnico
Pinelli Silvana
Assistente tecnico
Chimica Gen. E Inorg., etc
Chimica Gen. E Inorg., etc
Chimica Gen. E Inorg., etc
Chimica Gen. E Inorg., etc
Chimica Gen. E Inorg., etc
Chimica Gen. E Inorg., etc
Chimica Gen. E Inorg., etc
Chimica Gen. E Inorg., etc
CIRCMSB
Dip. di Clinica Medica, Nefrologia e
Scienze della prevenzione
Dip. di Clinica Medica, Nefrologia e
Scienze della prevenzione
UNITA’ LOCALE DI PAVIA
Personale
Qualifica
Dipartimento
Bisi Castellani Carla
Perotti Angelo
Casella Luigi
Fabbrizzi Luigi
Licchelli Maurizio
Poggi Antonio
Carugo Oliviero
Monzani Enrico
Pallavicini Piersandro
Taglietti Angelo
Amendola Valeria
Granata Alessandro
Prof. Ordinario Fuori Ruolo
Prof. Ordinario Fuori Ruolo
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Associato
Prof. Associato
Ricercatore
Ricercatore
Ricercatore
Ricercatore
Ricercatore
Borsista CIRCMSB
Dip. Chimica Generale
Dip. Chimica Generale
Dip. Chimica Generale
Dip. Chimica Generale
Dip. Chimica Generale
Dip. Chimica Generale
Dip. Chimica Generale
Dip. Chimica Generale
Dip. Chimica Generale
Dip. Chimica Generale
Dip. Chimica Generale
CIRCMSB
UNITA’ LOCALE DEL PIEMONTE ORIENTALE
Personale
Osella Domenico
Qualifica
Prof. Ordinario
Viano Ilario
Prof. Ordinario
Botta Mauro
Prof. Associato
Colangelo Donato
Ravera Mauro
Ricercatore
Ricercatore
Giovenzana Giovanni
Battista
Ricercatore non confermato
Bottaro Marco
PhD student
Cassino Claudio
PhD student
143
Dipartimento
Dip. di Scienze e Tecnologie
Avanzate
Dip. di Scienze e Tecnologie
Avanzate
Dip. di Scienze e Tecnologie
Avanzate
Dip. di Scienze Mediche
Dip. di Scienze e Tecnologie
Avanzate
Dip. di Scienze Chimiche,
Alimentari, Farmaceutiche e
Farmacologiche
Dip. di Scienze e Tecnologie
Avanzate
Dip. di Scienze e Tecnologie
Avanzate
Gabano Elisabetta
Mahboobi Homa
Dottoranda
in
Chimiche
Assegnista di Ricerca
Ghiglia Annalisa
Ghezzi Anna Rita
Borsista
Borsista CIRCMSB
Scienze Dip. di Scienze e
Avanzate
Dip. di Scienze e
Avanzate
Dip. Scienze Mediche
CIRCMSB
Tecnologie
Tecnologie
UNITA’ LOCALE DI ROMA “LA SAPIENZA”
Personale
Qualifica
Dipartimento
Ercolani Claudio
Prof. Straordinario
Dipartimento di Chimica
Monacelli Fabrizio
Borghi Elena
Prof. Associato
Dipartimento di Chimica
Donzello Maria Pia
Ricercatore
Ricercatore
Dipartimento di Chimica
Dipartimento di Chimica
Bergami Costanza
Dottoranda
Dipartimento di Chimica
Galli Paola
Funzionario Tecnico EP3
Dipartimento di Chimica
Bellugi Linalda
Coordinatore Tecnico
Dipartimento di Chimica
UNITA’ LOCALE DI ROMA “TOR VERGATA”
Personale
Qualifica
Dipartimento
Ascoli Marchetti Franca
Coletta Massimo
Rotilio Giuseppe
Santucci Roberto
Battistoni Andrea
Gambacurta Alessandra
Rossi Luisa
Ciaccio Chiara
Sinibaldi Federica
Marini Stefano
Fasciglione
Giovanni
Francesco
Piro Maria Cristina
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Associato
Ricercatore
Ricercatore
Ricercatore
Dottoranda
Dottoranda
Funzionario Tecnico
Assistente Tecnico
Fac. Medicina e Chirurgia
Fac. Medicina e Chirurgia
Fac. SS.MM.FF.NN. Dip. Biologia
Fac. Medicina e Chirurgia
Fac. SS.MM.FF.NN. Dip. Biologia
Fac. Medicina e Chirurgia
Fac. SS.MM.FF.NN. Dip. Biologia
Fac. Medicina e Chirurgia
Fac. Medicina e Chirurgia
Fac. Medicina e Chirurgia
Fac. Medicina e Chirurgia
Assistente Tecnico
Fac. Medicina e Chirurgia
UNITA' LOCALE DI SIENA
Personle
Qualifica
Dipartimento
Valensin Gianni
Zanello Piero
Cini Renzo
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Associato
Cinquantini Arnaldo
Ferrali Marco
Prof. Associato
Prof. Associato
Dip. di Chimica
Dip. di Chimica
Dip. di Scienze e Tecnologie
Chimiche e dei Biosistemi
Dip. di Chimica
Dip. di Fisiopatologia e Medicina
Sperimentale
144
Laschi Franco
Fabrizi de Biani Fabrizia
Fontani Marco
Gaggelli Nicola
Tamasi Gabriella
Prof. Associato
Ricercatrice
Tecnico
Tecnico
Borsista CIRCMSB
Dip. di Chimica
Dip. di Chimica
Dip. di Chimica
Dip. di Chimica
CIRCMSB
UNITA’ LOCALE DI TORINO
Personale
Qualifica
Dipartimento
Aime Silvio
Fubini Bice
Dastrù Walter
Terreno Enzo
Barge Alessandro
Gianolio Eliana
Cravoto Giancarlo
Geninatti Crich Simonetta
Prof. Ordinario
Prof. Associato
Ricercatore
Ricercatore
Assegnista
Assegnista
Tecnico
Tecnico
Dip. di Chimica IFM
Dip. di Chimica IFM
Dip. di Chimica IFM
Dip. di Chimica IFM
Dip. di Chimica IFM
Dip. di Chimica IFM
UNITA’ LOCALE DI TRIESTE
Personale
Qualifica
Dipartimento
Calligaris Mario
Mestroni Giovanni
Randaccio Lucio
Alessio Enzo
Dreos Renata
Geremia Silvano
Nardin Giorgio
Tauzher Giovanni
Vlaic Gilberto
Zangrando Ennio
Milani Barbara
Tavagnacco Claudio
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Ordinario
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Prof. Associato
Ricercatore
Ricercatore
Dip. Scienze Chimiche
Dip. Scienze Chimiche
Dip. Scienze Chimiche
Dip. Scienze Chimiche
Dip. Scienze Chimiche
Dip. Scienze Chimiche
Dip. Scienze Chimiche
Dip. Scienze Chimiche
Dip. Scienze Chimiche
Dip. Scienze Chimiche
Dip. Scienze Chimiche
Dip. Scienze Chimiche
145
146
BREVETTI
147
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Boccarelli A., Coluccia M., Natile G., Intini F. P., "Processo di Sintesi di complessi di
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IV.
Roveri N., Tampieri A., Goso C., MEN 16007 (in progress)
149
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PUBBLICAZIONI
151
152
ANNO 2001
153
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