terzo piano triennale delle ricerche 2005-2007
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terzo piano triennale delle ricerche 2005-2007
TERZO PIANO TRIENNALE DELLE RICERCHE 2005-2007 Università degli Studi di Camerino Università degli Studi di Bari Università degli Studi di Ancona Università degli Studi di Bologna Università degli Studi di Lecce Università dell’Insubria Università degli Studi di Firenze Università degli Studi di Catania Università degli Studi di Napoli “Federico II” Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Università degli Studi di Palermo Università degli Studi di Padova Università degli Studi di Messina Università degli Studi del Piemonte Orientale Università degli Studi di Pavia Università degli Studi di Ferrara Università degli Studi di Roma Tor Vergata Università degli Studi di Parma Università degli Studi di Torino Università degli Studi di Siena Università degli Studi di Trieste 2 Questo Piano Triennale delle Ricerche 2005/2007 è stato redatto da una Commissione nominata dal Consiglio Direttivo del C.I.R.C.M.S.B. in data 07/11/2003, composta dai proff.: Silvio Aime, Enzo Alessio, Enrico Bucci, Luigi Casella, Massimiliano Coletta, Claudio Ercolani, Luigi Fabbrizzi, Andrea Marchi, Ulderico Mazzi, Giovanni Natile, CarloPedone, Enrico Rizzarelli, Norberto Roveri ed Ennio Zangrando, ed approvato dal Consiglio Scientifico e dal Consiglio Direttivo nelle sedute del 29 Ottobre 2004. In esso sono contenute le linee programmatiche attraverso le quali il Consorzio intende perseguire il raggiungimento delle proprie finalità istituzionali tenendo presenti sia le linee guida dettate dal Piano Nazionale delle Ricerche del M.I.U.R. sia gli obiettivi programmatici del P.O.N. 2001-2006. 3 4 Scheda Informativa Riassuntiva Il Consorzio Interuniversitario di Ricerca in Chimica dei Metalli nei Sistemi Biologici (C.I.R.C.M.S.B.): - ha sede legale in Bari - Piazza Umberto I, 1; - ha Direzione e sede amministrativa in Bari - Via Celso Ulpiani 27; - è posto sotto la vigilanza del M.I.U.R. ed è soggetto al regime di Tesoreria Unica con conto Enti N° 151302 presso la Banca d'Italia - Sezione di Bari. Organi Statutari del Consorzio sono: Il Direttore, rappresentante legale. La Giunta Amministrativa. Il Consiglio Direttivo, presieduto dal Direttore del Consorzio, e composto da un rappresentante nominato da ciascuna delle Università consorziate. - Il Consiglio Scientifico, presieduto dal Direttore del Consorzio, e composto dai Direttori delle Unità Locali del Consorzio e da due rappresentanti del Personale. - Il Collegio dei Sindaci, composto da tre membri effettivi ed uno supplente, nominati tra funzionari delle Università afferenti. Tutti gli organi statutari sono in carica fino al 23 febbraio 2007. - Direttore responsabile é il Prof. Giovanni Natile (Università di Bari) coadiuvato da una Giunta Amministrativa costituita dai Proff. Silvio Aime (Università di Torino) con funzioni di Vice-Direttore, Massimiliano Coletta (Università di Roma Tor Vergata), Ettore Benedetti (Università di Napoli "Federico II"), Piero Zanello (Università di Siena), Ennio Zangrando (Università di Trieste). Il C.I.R.C.M.S.B. è stato costituito in Roma in data 19/11/1992 (Rep. n. 2943) a rogito notaio Maria Claudia ANDRINI e si rinnova tacitamente di quinquennio in quinquennio. Ha ottenuto il riconoscimento di personalità giuridica con Decreto M.U.R.S.T. del 3 gennaio 1995 vistato dalla Ragioneria Centrale l'l1.02.95 al n° 337 e pubblicato sulla G.U. del 29.03.95. Ha sede legale presso l'Università degli Studi di Bari - Piazza Umberto I, 1 - 70125 BARI e dispone di locali messi a disposizione dall'Università di Bari per l'attività del Consorzio presso Villa "La Rocca", via Celso Ulpiani 27, BARI - Patrimonio della stessa Università - destinata a sede di Direzione del Consorzio. E' iscritto al N° 711 del Registro Persone Giuridiche presso il Tribunale di Bari. E' iscritto al N° 29713 del Registro Società ed al N' 314319 C.C.I.A.A. di Bari. E’ iscritto all’Anagrafe Nazionale delle Ricerche con codice 51978 MHN Afferiscono al CIRCMSB ventuno Università di seguito elencate: Ancona Bari Bologna Camerino Ferrara Firenze Insubria Lecce Napoli "Federico II" Padova Palermo Parma Piemonte Orientale Roma "La Sapienza" Roma "TorVergata" Siena Trieste Catania Messina Pavia Torino Oltre alle Università sopra menzionate altre sedi Universitarie stanno completando la procedura di adesione, in particolare: Basilicata, Cagliari, Calabria, Milano, Modena, Sassari. 5 Laboratori costituiti: Bari - Laboratorio specializzato in Farmacologia preclinica su cellule; Napoli (accordo scientifico di collaborazione non oneroso tra l'Area di Ricerca C.N.R. di Napoli ed il C.I.R.C.M.S.B.) - Centro di Biocristallografia (allocazione di un Diffrattometro a raggi-X con generatore ad anodo rotante e area-detector); Torino - Laboratorio di Spettroscopia particolarmente dedicato allo studio e sviluppo di agenti di contrasto per NMR-Imaging; Trieste - Laboratorio specializzato per la cristallizzazione di Biopolimeri: Proteine e Acidi Nucleici. Sezioni disciplinari: C03 - Chimica Generale ed Inorganica C05 - Chimica Organica C02 - Chimica Fisica C06 - Chimica E05 - Biochimica E07 - Farmacologia Quota costitutiva: Euro 5.164,57 (cinquemilacentosessantaquattro/57) per ognuna delle Università Consorziate Ouota annuale: una-tantum. Dalla data di costituzione (19.11.1992) nessuna quota annuale è stata richiesta alle Università consorziate Collegio dei Sindaci: Dott. Emilio MICCOLIS (Univ. Bari) - Presidente, Rag. Alessandro DE FILIPPO (Univ. Torino) - Segretario, Dott. Stefano MANCINI (Univ. Bari) Componente, Sig. Giosafatte DE PALO (Univ. Bari) - Sindaco Supplente. Personale Dipendente: 3 unità (2 Tecnici V qual. - 1 Amministrativo VI qual.) assunti con C.C.N.L. Enti di Ricerca. Personale associato: N° 293 Unità tra cui: 4 Professori Straordinari, 66 Professori Ordinari, 73 Professori Associati, 74 Ricercatori (elenco nominativo in Appendice a pag. 133) Personale Università di Bari comandato: Sig. Racaniello Francesco (Segretario Amministrativo del Consorzio), Ordin. Rett.le del 23.2.93, che svolge anche le funzioni proprie della qualifica di appartenenza presso il Dip.to Farmaco-Chimico dell'Università di Bari. Programmi di Ricerca finanziati nell'ultimo esercizio finanziario (2003): N° 24 Borse di Studio annuali per laureati e 8 contratti di prestazione coordinata e continuativa. Fondo Consortile: Euro 108.456,14 Conto Patrimoniale al 31.12.2003: Euro 670.669,00 Direttore e Rappresentante Legale è il prof. Giovanni NATILE coadiuvato dalla Giunta Amministrativa di cui fanno parte i proff.: Silvio AIME Ettore BENEDETTI Massimiliano COLETTA Piero ZANELLO Ennio ZANGRANDO 6 Compongono il Collegio Sindacale: Dott. Emilio MICCOLIS (Presidente) Dott. Stefano MANCINI Rag. Alessandro DE FILIPPO Rag. Giosafatte DE PALO (Supplente) Compongono il Consiglio Direttivo i seguenti rappresentanti delle Università Consorziate: Prof. Giorgio TOSI (Univ. ANCONA) Prof. Giovanni NATILE (Univ. BARI) Prof. Norberto ROVERI (Univ. BOLOGNA) Prof. Alfredo BURINI (Univ. CAMERINO) Prof. Giuseppe CONDORELLI (Univ. CATANIA) Prof. Andrea MARCHI (Univ. FERRARA) Prof. Luigi MESSORI (Univ. FIRENZE) Prof. Giovanni PALMISANO (Univ. INSUBRIA) Prof. Francesco Paolo FANIZZI (Univ. LECCE) Prof. Luigi MONSU’ SCOLARO (Univ. MESSINA) Prof. Ettore BENEDETTI (Univ. NAPOLI "Federico II") Prof. Bruno LONGATO (Univ. PADOVA) Prof. Lorenzo PELLERITO (Univ. PALERMO) Prof. Maurizio LANFRANCHI (Univ. PARMA) Prof. Luigi CASELLA (Univ. PAVIA) Prof. Domenico OSELLA (Univ. PIEMONTE Orientale) Prof. Claudio ERCOLANI (Univ. ROMA "La Sapienza") Prof. Massimiliano COLETTA (Univ. ROMA "Tor Vergata") Prof. Piero ZANELLO (Univ. SIENA) Prof. Silvio AIME (Univ. TORINO) Prof. Ennio ZANGRANDO (Univ. TRIESTE) Compongono il Consiglio Scientifico i seguenti Direttori di Unità di Ricerca: Prof. Giorgio TOSI (Univ. ANCONA) Prof. Giovanni NATILE (Univ. BARI) Prof. Norberto ROVERI (Univ. BOLOGNA) Prof. Alfredo BURINI (Univ. CAMERINO) Prof. Enrico RIZZARELLI (Univ. CATANIA) Prof.ssa Paola BERGAMINI (Univ. FERRARA) Prof. Luigi MESSORI (Univ. FIRENZE) Prof. Francesco Paolo FANIZZI (Univ. LECCE) Prof. Carlo PEDONE (Univ. NAPOLI "Federico II") Prof. Ulderico MAZZI (Univ. PADOVA) Prof. Lorenzo PELLERITO (Univ. PALERMO) Prof.ssa Marisa FERRARI BELICCHI (Univ. PARMA) Prof. Luigi CASELLA (Univ. PAVIA) Prof. Domenico OSELLA (Univ. PIEMONTE Orientale) Dott.ssa Elena BORGHI (Univ. ROMA "La Sapienza") Prof. Massimiliano COLETTA (Univ. ROMA "Tor Vergata") Prof. Piero ZANELLO (Univ. SIENA) Prof. Silvio AIME (Univ. TORINO) Prof. Ennio ZANGRANDO (Univ. TRIESTE) Dott. Francesco CANNITO (Rappresentante del personale) Dott. Giuseppe TERRENO (Rappresentante del personale) 7 Presentazione del C.I.R.C.M.S.B. Il Consorzio é nato con lo scopo di fornire supporti organizzativi, tecnici e finanziari e di promuovere la partecipazione delle Università consorziate alle attività scientifiche nazionali ed internazionali nel campo della Chimica dei Metalli, dei loro Complessi e delle loro interazioni con i Sistemi Biologici. Il Consorzio é organizzato in Unità di Ricerca Locali con sedi nelle università consorziate. I Direttori delle Unità Locali, eletti dai membri delle Unità stesse, costituiscono il Consiglio Scientifico che è presieduto dal Direttore del Consorzio. Il Direttore del Consorzio é coadiuvato da una Giunta Amministrativa costituita da cinque membri e da un Consiglio Direttivo composto da un rappresentante nominato da ciascuna delle Università consorziate. Un ulteriore Organo Statutario del Consorzio é il Collegio dei Sindaci. Il personale aderente al Consorzio é riportato in Tab. I. Le Università mettono a disposizione delle ricerche coordinate gli spazi e le attrezzature disponibili e contribuiscono alle attività del Consorzio tramite la collaborazione del personale aderente. Inoltre la partecipazione al Consorzio comporta il versamento di una quota associativa di Euro 5.164,57 per il Fondo Consortile. Il Consorzio, da parte sua, contribuisce con fondi messi a disposizione dal M.I.U.R., dai contratti di ricerca con Enti pubblici e privati, dall'Unione Europea. Tabella I. Personale scientifico e tecnico-amministrativo aderente al C.I.R.C.M.S.B.(*) Ricercatori senior (PO e PA) n° Ricercatori (RU) “ Dottorandi e Borsisti “ Tecnici ed Amministrativi “ Personale proprio “ TOTALE “ (*)L'elenco dettagliato è riportato in Appendice a pag. 133 112 58 60 26 3 259 Tabella II. Risorse finanziarie dirette alle ricerche CIRCMSB (in percentuale) I dati percentuali riportati nella tabella e relativi agli ultimi 5 anni dimostrano che il rapporto tra i due valori tende sempre più al raggiungimento di un equilibrio paritario tra Finanziamento ordinario Pubblico e Finanziamento Privato. ANNO Finanziamento ord. pubblico: Finanziamento Privato: 1999 2000 2001 2002 2003 64 % 36 % 65 % 35 % 42 % 58 % 52 % 48 % 50 % 50 % Nei dati relativi al 2003 non vengono riportate le somme (97.810,00 Euro), erogate dal M.I.U.R. a titolo di anticipazione, finalizzate al finanziamento del progetto strategico F.I.R.B. “Elucidazione strutturale di bersagli proteici critici per malattie e studio delle basi molecolari della specificità dei candidati farmaci” alla cui realizzazione questo Consorzio partecipa insieme ad altri Enti Pubblici e Privati. La partecipazione del Consorzio a questo progetto strategico F.I.R.B. (approvato con Decreto Ministeriale n° 1246 del 5 settembre relativo alla Post-Genomica obiettivo 3 “Prevenzione e cura delle malattie comuni e rare: farmaci innovativi, vaccini e terapia genica”) è inerente ai “principali interventi per l’utilizzo dei fondi di ricerca” previsti dalla Tabella 4 (Asse 2) delle “Linee Guida per la politica scientifica e tecnologica del governo” varate il 19 aprile 2002. 8 Consuntivo del Piano Triennale delle Ricerche 2001-2003 Tutta l’attività svolta dal C.I.R.C.M.S.B. è in linea con i tre obiettivi proposti dal Consiglio Europeo riunitosi a Lisbona (COM 2002/14), in particolare è volta ad ”intensificare gli sforzi e gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica, nell’innovazione e nella formazione”. Gli obiettivi programmatici che il Consorzio si è dato col piano triennale si sono rivelati precorritori degli obiettivi ministeriali. Il documento attuativo (prot. 1643) del D.M. 3 settembre 2003 con il quale sono stati definiti gli obiettivi di programmazione del sistema universitario per il triennio 2004-2006, al punto I (attività di orientamento e tutorato) - obiettivo b) pone le “iniziative per il sostegno ai laureati, per l’inserimento nel mercato del lavoro e delle professioni” con “sviluppo di competenze trasversali ... che può essere realizzato da studenti e studentesse senior dopo una opportuna preparazione”. Il Consorzio, per poter più efficacemente programmare le sue attività, sta potenziando le attrezzature e convogliando i fondi per il finanziamento delle ricerche che risultano di maggiore interesse sia per l’Industria Nazionale che per lo sviluppo della Chimica dei Metalli in relazione alle Attività Produttive, all'Ambiente ed alla Salute. Le ricerche del CIRCMSB si sono svolte presso le Unità di Ricerca (in numero di 19 considerato che due Università hanno aderito al Consorzio soltanto nel 2004) istituite nelle Università consorziate. Il Consorzio ha stipulato convenzioni e svolto ricerche commissionate o in collaborazione con Industrie ed Enti di ricerca nazionali ed Internazionali, come riportato in Tabella III. Tabella III a) Unità operative Sono state costituite 19 Unità presso le Università di: Ancona, Bari, Bologna, Camerino, Catania, Ferrara, Firenze, Lecce, Napoli "Federico II”, Padova, Palermo, Parma, Pavia, Piemonte Orientale, Roma "La Sapienza", Roma "Tor Vergata", Siena, Torino, Trieste. Le Università di Messina e dell’Insubria sono di nuova afferenza portando il numero delle Unità di ricerca universitarie a 21. b) Collaborazioni e convenzioni nazionali ed internazionali Contratti con Industrie: BRACCO S.p.A., ALFAREC S.p.A., SAPIO S.p.A., OPOCRIN S.p.A., PROTEX ITALIA S.p.A., MOLINI TANDOI PELLEGRINO S.p.A., BRUKER Italia S.r.l., STELAR S.r.l., L. Molteni e C. S.r.l., CMC di RAVENNA Soc. Coop. a r.l., G.A.R.W.E.R. S.r.l. Convenzioni e collaborazioni con Enti di ricerca: Area di Ricerca di Napoli del C.N.R., Area Scienze Park di Trieste, Parco Tecnologico di Ivrea (TO), University of Southern California, A.R.P.A. Emilia Romagna, Di.S.Te.B.A. di Lecce, Consorzio Interuniversitario Risonanze Magnetiche su Metalloproteine Paramagnetiche (CIRMMP) c) Convenzioni con Istituti di istruzione secondaria: I.P.S.I.A. di Santeramo in Colle (BA) 9 Il C.I.R.C.M.S.B., consolidando e pluriennalizzando la collaborazione con industrie nazionali e multinazionali, è ormai Ente di riferimento per l’Industria Nazionale di settore per le azioni di trasferimento dei risultati della ricerca nell’ambito applicativo ed industriale. Nei tre anni il Consorzio ha attivato contratti di ricerca con PMI operanti nel settore chimicofarmaceutico a livello internazionale e nell' ambito delle attività di collaborazione con industrie nazionali ed internazionali, è stato ulteriormente sviluppato il contratto poliennale di ricerca con la Bracco S.p.A. ed accesi nuovi contratti di ricerca. Il C.I.R.C.M.S.B. partecipa al progetto di ricerca strategico F.I.R.B. relativo alla Postgenomica, cofinanziato dal M.I.U.R., dal titolo “Elucidazione strutturale di bersagli proteici critici per malattie e studio delle basi molecolari della specificità dei candidati farmaci” approvato con Decreto Ministeriale n° 1246 del 5 settembre relativo alla Post-Genomica obiettivo 3 “Prevenzione e cura delle malattie comuni e rare: farmaci innovativi, vaccini e terapia genica”. La partecipazione del Consorzio a questo progetto strategico è inerente ai “principali interventi per l’utilizzo dei fondi di ricerca” previsti dalla Tabella 4 (Asse 2) delle “Linee Guida per la politica scientifica e tecnologica del governo” varate il 19 aprile 2002. E’ in atto un contratto poliennale di ricerca consorziata con l’University of Southern California e finanziato dal National Institutes of Health degli U.S.A.. Il Consorzio ha, inoltre, intrapreso una attività di formazione per gli studenti di Istituti di Istruzione di 2° grado in seno a progetti finanziati dalla Comunità Europea. Sono stati organizzati: n° 4 Workshop on Pharmaco-Bio-Metallics (Siena 23-24 novembre 2001, 29 novembre - 1 dicembre 2002; Sorrento 7-8 novembre 2003; Lecce 29-31 ottobre 2004) cui hanno partecipato la quasi totalità dei ricercatori afferenti al Consorzio. Il C.I.R.C.M.S.B. ha preso parte e sponsorizzato: XXI Congresso Nazionale della Società Chimica Italiana (Torino 22-27 Giugno 2003), 3rd Chianti Electrochemistry Meeting on Metalcontaining Molecules (Siena 3-9 Luglio 2004). Si sono puntati gli sforzi economici prevalentemente sull'attuazione dell'attività formativa e didattica con lo sviluppo, al contempo, delle tematiche di ricerca d'interesse del C.I.R.C.M.S.B.. Sono state bandite e svolte borse di studio per laureati con un costante incremento annuale del numero delle borse bandite. Ciò ha prodotto una professionalizzazione di giovani laureati che si è realizzata con l'entrata di buona parte di essi nel mondo del lavoro pubblico e privato. Dalle indagini svolte sui livelli occupazionali di coloro che hanno avuto un rapporto di lavoro con il C.I.R.C.M.S.B. (borsisti e dipendenti) emerge che attualmente nessuno si trova nella condizione di disoccupato. Il 75% degli occupati lavora nel settore pubblico ed il 25% nell’industria. Dall’analisi dei dati ricevuti è emerso che il 57% sono occupati con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, mentre il restante 43% sta frequentando un corso di Dottorato di ricerca. Il 36% complessivo del personale ha frequentato una Scuola di Specializzazione. Il 62,5% degli occupati con rapporto di lavoro a tempo indeterminato è in possesso del titolo di Dottore di ricerca. Il 62,5% degli occupati a tempo indeterminato ha trovato lavoro entro 3 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro con il nostro Consorzio. La maggior parte delle borse di studio bandite dal Consorzio è stato assegnato a donne. Con questo il C.I.R.C.M.S.B. è stato antesignano nella realizzazione di uno degli obiettivi posti sia dal 10 Programma Nazionale di Ricerca che dal Programma Operativo Nazionale: le pari opportunità e la partecipazione delle donne nel settore della ricerca e dello sviluppo tecnologico. Il Piano delle ricerche relativo al triennio concluso ha riguardato lo sviluppo delle seguenti tematiche: a) Diagnostici innovativi in oncologia e malattie cardiovascolari; b) Metalloproteine come catalizzatori biologici; e) Biomineralizzazione e biocristallografia; d) Biosensori e Biostrumentazione; e) Nuovi farmaci inorganici in oncologia; f) Radiofarmaci nella diagnostica e radioterapia tumorale. I risultati ottenuti sono stati pubblicati su riviste scientifiche internazionali. L'elenco delle pubblicazioni è riportato in Appendice a pag. 151. 11 12 IL PIANO 2005-2007 Obiettivi del piano in sintesi Come testimoniato da recenti autorevoli pubblicazioni (Issue n° 9 di Chem. Rev. 1999, 99 di "Medicinal Inorganic Chemistry " e Issue n° 11 di J. Inorg. Biochem. 2000, 82 di "Molecular Biometallics in Japan ") e dalle numerose aggregazioni a livello europeo di laboratori chimici operanti nel settore [azioni COST Chemistry D1 (Coordination chemistry in the context of biological and environmental studies, 1992-1997), D8 (Chemistry of metals in medicine, 19962001), D18 (Lanthanide chemistry for diagnosis and therapy, 1999-2004), D20 (metal compounds in the treatment of cancer and viral diseases, 2000-2005), D21 (metallo enzymes and chemical biomimetics)] (pagina web COST Chemistry http://www.unil.ch/lcost/), il settore della farmacologia inorganica, cioè l'uso di composti a base di metalli nella diagnostica e nel trattamento di malattie, è in costante e rapida crescita. Composti inorganici vengono studiati e sperimentati a vari livelli di fase, preclinica o clinica, come agenti antitumorali, antibatterici, antivirali, antiparassitari, radiosensibilizzatori, oltre che come radiodiagnostici e radiofarmaci. A testimoniare l'interesse nel settore, negli Stati Uniti e in Canada sono sorte recentemente industrie (Geomed, Anormed, Kinetek Pharmaceutical) specializzate nello sviluppo di farmaci inorganici. Il Consorzio è nato dalla volontà di un gruppo di ricercatori di coordinare la propria attività di ricerca centrato sullo studio delle interazioni tra agenti inorganici e biomolecole e dei relativi effetti strutturali, funzionali, farmacologici ed ambientali e di avviare le azioni di trasferimento dei risultati della ricerca in questo settore all' ambito applicativo ed industriale allargando la collaborazione con industrie nazionali e internazionali interessate a questo settore di ricerca. Il coordinamento delle varie unità del Consorzio è garantito dalla adozione di Piani di ricerca triennali. A conclusione del piano di ricerca 2001-2003 è stato redatto un nuovo piano triennale che abbraccerà il triennio 2005-2007 le cui linee programmatiche generali erano state individuate ed adottate nelle riunioni del Consiglio Scientifico e del Consiglio direttivo del 24.02.2003 e 07.11.2003. Le linee programmatiche nelle quali si articola il piano triennale 2005-2007 con l'indicazione, per ciascuna di esse del/dei responsabili sono di seguito elencate: - Tematica 1: “Diagnostici innovativi in oncologia e malattie cardiovascolari” coordinatori i professori Aime e Pedone; - Tematica 2: “Metalloproteine come catalizzatori biologici” coordinatori i professori Casella e Coletta; - Tematica 3: “Biomineralizzazione e biocristallografia” coordinatori i professori Roveri e Zangrando; - Tematica 4: “Biosensori e biostrumentazione” coordinatori i professori Bucci e Fabbrizzi; - Tematica 5: “Nuovi Farmaci inorganici in oncologia” coordinatori i professori Alessio e Natile; - Tematica 6: “Radiofarmaci nella diagnostica e terapia tumorale” coordinatori i professori Marchi e Mazzi. - Tematica 7: “Ruolo degli ioni metallici nelle patologie degenerative croniche”coordinatori i professori Ercolani e Rizzarelli. Per ciascuna di queste tematiche e' stato messo a punto un progetto di ricerca dettagliato di seguito specificato. L'esecuzione del piano è affidata alle unità di ricerca operanti nelle università consorziate. I fondi impegnati verranno utilizzati per lo sviluppo delle tematiche più innovativi e per le iniziative interdisciplinari. Saranno potenziati gli accordi di collaborazione per l'accesso alle grandi infrastrutture, in particolare il laboratorio ELETTRA di Trieste. 13 Parallelamente all'esecuzione del piano triennale verranno avviate le azioni di trasferimento dei risultati della ricerca all'ambito applicativo ed industriale allargando la collaborazione, peraltro già in atto, con industrie nazionali ed internazionali interessate al settore di ricerca del C.I.R.C.M.S.B.. I proventi derivanti da tali contratti di ricerca serviranno anche a finanziare la formazione di ricercatori e personale altamente specializzato. Nessun finanziamento verrà erogato "a pioggia" ma gli sforzi economici saranno indirizzati al finanziamento delle tematiche di ricerca del "Piano programmatico" con l'organizzazione ed attivazione di laboratori consortili. Si procederà alla costituzione ed alla gestione di sezioni e di laboratori di ricerca avanzata. La messa a disposizione delle Università Consorziate e dell'intera comunità scientifica di attrezzature, laboratori e centri potrà costituire un utile supporto per l'attività di ricerca, di dottorato e di preparazione di esperti ricercatori. AZIONI DI NATURA STRUTTURALE CON RITORNO SU MEDIO-LUNGO PERIODO Rafforzamento della ricerca di base e delle infrastrutture di ricerca Nell'ambito di tale intervento il Consorzio ha già potenziato notevolmente il numero di borse di studio finanziate portandole nell'ultimo anno a 24 con particolare attenzione per lo sviluppo dei settori riconosciuti e finanziati dalla UE in quanto ritenuti portanti per lo sviluppo sociale ed economico del territorio, in particolare di quello meridionale. Nel triennio si intende sviluppare ulteriormente questo asse di intervento in sinergia con le tematiche di interesse di PMI agenti nel territorio, anche alla luce delle possibilità occupazionali offerte dal D.l.vo 297/99. Pieno sostegno sarà offerto a progetti di ricerca condotti da giovani ricercatori, favorendo il loro inserimento in network nazionali ed internazionali, stabiliti sulla base di consolidate collaborazioni esistenti tra il C.I.R.C.M.S.B. ed industrie nazionali. Il Consorzio partecipa a due progetti strategici di ricerca presentati in seno al bando “F.I.R.B. 2003” finanziato dal M.I.U.R.. Particolare attenzione sarà rivolta ad implementare nei contenuti formativi le nuove conoscenze prodotte dalla ricerca mediante un reale sforzo di integrazione tra ricerca scientifica ed alta formazione. Non verrà trascurata l'interrelazione con le realtà produttive più innovative e la sinergia con gli Enti territoriali a sostegno delle potenzialità di sviluppo, di occupazione e di miglioramento della qualità della vita. Saranno attivati Workshop e Giornate di studio nonché sarà potenziata la integrazione tra attività di ricerca e di formazione. La verifica dell'efficacia dell'azione per il raggiungimento degli obiettivi scientifici posti da questo piano si attuerà con incontri a cadenza periodica tra tutti i ricercatori consorziati partecipanti a ciascuna delle linee di ricerca. Il raggiungimento degli obiettivi potrà essere meglio garantito sviluppando e innovando adeguatamente le infrastrutture di ricerca attraverso i laboratori propri o in partecipazione con Enti e PMI. Tali progetti riguardano: Bari - Laboratorio specializzato in analisi di metalli e composti in matrici biologiche Napoli (accordo scientifico di collaborazione non oneroso tra l'Area di Ricerca C.N.R. di Napoli ed il C.I.R.C.M.S.B.) - Centro di Biocristallografia (dove è allocato un Diffrattometro a raggi-X con generatore ad anodo rotante e area-detector) Torino - Laboratorio di Spettroscopia dedicato allo studio e sviluppo di agenti di contrasto per NMR-Imaging Trieste - Laboratorio specializzato per la cristallizzazione di Biopolimeri: Proteine e Acidi Nucleici 14 - Trieste - (accordo scientifico di collaborazione con Sincrotrone ScpA - Area Science Park) per indagini chimico-fisiche e strutturali di sistemi molecolari di interesse biologico contenenti metalli Firenze – (scambio di sinergie con il Consorzio Interuniversitario Risonanze Magnetiche su Metalloproteine Paramagnetiche - CIRMMP) per l’utilizzo di strumentazione ad alto campo di Risonanza Magnetica Nucleare Risorse esistenti e risorse richieste per la realizzazione Le ricerche sono condotte da oltre 250 persone che possono usufruire, tramite le Università consorziate, di un gran numero di apparecchiature anche molto sofisticate. La spesa annua dello Stato per il personale già esistente è valutabile in circa cinque milioni di Euro calcolando al 50% della spesa totale i dipendenti universitari e i dottorandi. Finanziamenti sono necessari per incrementare la capacità del Consorzio di formare personale giovane. La situazione di partenza del piano vede il CIRCMSB disporre per il 2004 di risorse per un totale di 680.617 Euro con previsioni in entrata per ulteriori 329.388 Euro. Dai dati di Tab. II emerge la capacità progressiva del Consorzio di reperire risorse extra rispetto ai trasferimenti diretti del Ministero. Questi ultimi, comunque, consentono al Consorzio di fare investimenti sia in termini di attrezzature che di accesso ad infrastrutture al fine di sviluppare tecniche e metodologie più efficienti per accedere a fondi dell' UE e a contratti industriali. La previsione di spesa per il triennio 2005-2007 (Tab. VI) è di Euro 11,1 Milioni. Per la copertura di queste spese si sono previsti due tipi di voci. La prima è quella delle risorse esistenti e dei proventi da attività autonoma; la seconda voce prevista è quella dei trasferimenti dallo Stato e dall' Unione Europea. Il rapporto previsto tra finanziamento autonomo e trasferimenti dallo Stato, è di 5 : 4. Previsioni di entrata e di spesa Nella Tabella IV è riportato il riassunto delle Entrate previste dal presente piano per il triennio 2005-2007, mentre nella Tabella V sono aggiunte, alle risorse gestite direttamente dal C.I.R.C.M.S.B., i finanziamenti che comunque saranno a disposizione delle Unità Locali rivenienti dai PRIN e calcolate in base ai Progetti finanziati nel triennio 2001-2003. Tabella IV: Riassunto delle entrate previste per il triennio 2005-2007 (in migliaia di Euro) anno: 2005 2006 2007 Trasferimenti dallo Stato e dalla UE 900 1.000 1.000 Risorse esistenti e proventi da attività autonome 1.100 1.200 1.300 TOTALI 2.000 2.200 2.300 Tabella V: Risorse complessive nel triennio 2005-2007 (in Euro) anno: 2005 2006 2007 Risorse C.I.R.C.M.S.B. 2.000 2.200 2.300 Risorse Unità di Ricerca da PRIN, FIRB, UE 1.500 1.600 1.500 Risorse disponibili 3.500 3.800 3.800 Riassunto delle previsioni di spesa e di copertura L'ammontare delle spese previste per il triennio 2005-2007 per le attività consortili è stato valutato negli importi riportati in Tab. VI Tabella VI: Previsioni di spesa per il triennio 2005-2007 (in Euro) anno: 2005 2006 2007 Piano di Ricerca 3.400 3.660 3.660 Amministrazione e funzionamento Organi 100 140 140 15 Progetti di Ricerca L'esecuzione dei Progetti di Ricerca è affidato al lavoro delle sette sezioni tematiche: 1) “Diagnostici innovativi in oncologia e malattie cardiovascolari” (responsabili Proff. S. Aime e C. Pedone); 2) “Metalloproteine come catalizzatori biologici” (responsabili Proff. L. Casella e M. Coletta); 3) “Biomineralizzazione e biocristallografia” (responsabili Proff. N. Roveri e E. Zangrando); 4) “Biosensori e biostrumentazione” (responsabili Proff. E. Bucci e L. Fabbrizzi); 5) “Nuovi farmaci inorganici in oncologia” (responsabili Proff. E. Alessio e G. Natile); 6) “Radiofarmaci nella diagnostica e terapia tumorale” (responsabili Proff. A. Marchi e U. Mazzi); 7) “Ruolo degli ioni metallici nelle patologie degenerative croniche”( responsabili Proff. C. Ercolani ed E. Rizzarelli). L' attività delle sezioni tematiche è basata sul lavoro di un gruppo di rappresentanti di sede che fanno capo ad un coordinatore. I fondi utilizzati nell'attività sono, oltre a quelli messi a disposizione direttamente dal C.I.R.C.M.S.B., quelli dei Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale. Inoltre le unità di ricerca si avvalgono anche di fondi d'Ateneo ex-60% e di finanziamenti ottenuti dalla partecipazione a progetti europei finanziati dalla CEE. 16 PROGETTI DI RICERCA 17 18 DIAGNOSTICI INNOVATIVI IN ONCOLOGIA E MALATTIE CARDIOVASCOLARI Alla realizzazione di questo progetto di Ricerca concorreranno tre unità operative, in cui sono localizzati gruppi di ricerca con competenze specifiche e complementari, in particolare: Unità operativa di Torino, Unità operativa di Napoli, Unità operativa di Catania. Agenti di Contrasto per la Risonanza Magnetica Imaging Oggi in circa un terzo degli esami di risonanza magnetica si fa uso di complessi di Gd(III) come Agenti di Contrasto (AC) perché sono in grado di aggiungere rilevanti informazioni fisiologiche alla già elevata risoluzione anatomica che questa tecnica può offrire. Per essere considerato un potenziale AC per MRI, un complesso di Gd(III) deve possedere diverse caratteristiche tra le quali, buona solubilità in acqua, alta stabilità termodinamica (e possibilmente cinetica), tale da evitare il rilascio di Gd(III) e legante liberi in vivo, e alta relassività. L’ultima proprietà è indice della capacità di un agente paramagnetico di incrementare la velocità di rilassamento dei protoni dell’acqua ed è comunemente riferita ad una soluzione 1 mM dell’agente di rilassamento a 0.5 T e 298K. La velocità di rilassamento longitudinale osservata (R1obs) in una soluzione contenente un complesso paramagnetico è data dalla somma di tre contributi: dove R1w è la velocità di rilassamento in assenza di complesso paramagnetico, R1is rappresenta il contributo dovuto allo scambio di molecole di acqua dalla sfera di coordinazione interna dello ione metallico con l’acqua di “bulk” e R1os è il contributo delle molecole di acqua che diffondono nella sfera di coordinazione esterna del centro paramagnetico. Talvolta viene anche riconosciuto un contributo di seconda sfera di coordinazione (che viene pertanto scorporato da R1os) dovuto a molecole di acqua legate con ponti idrogeno alla superficie del complesso. Ricerca di nuovi complessi di Gd(III) con caratteristiche ottimali per l’ottenimento di alte relassività In generale, l’ottenimento di alte relassività può essere perseguito attraverso un controllo adeguato dei parametri che determinano il termine di sfera interna, cioè il numero (q) e il tempo di scambio (τM) della/e molecola/e di acqua direttamente coordinata/e al centro paramagnetico, il tempo di rilassamento elettronico (τS) e il tempo di reorientazione molecolare (τR). Mentre l’allungamento di τR viene normalmente ottenuto con la messa a punto di diversi tipi di sistemi macromolecolari, gli altri parametri devono essere ottimizzati a partire dalle caratteristiche rilassometriche dei chelati di Gd(III) di base. In linea di principio, si potrebbe raddoppiare il valore di relassività passando da complessi con q=1 a complessi con q=2. Tutti gli agenti di contrasto presenti attualmente in commercio sono complessi di Gd(III) con leganti ottadentati che quindi possiedono una sola molecola di acqua di sfera interna, il modo più semplice di aumentare q è quello di passare da leganti ottadentati a leganti eptadentati, anche se questo potrebbe portare ad eventuali problemi di tossicità associati ad una diminuzione della stabilità termodinamica del complesso o al rimpiazzamento delle due molecole di acqua coordinate da parte di anioni endogeni o gruppi carichi delle proteine. 19 Parte del lavoro dei prossimi tre anni sarà quindi dedicato alla ricerca di nuove strutture che possano dare chelati di Gd(III) con q=2 e caratterizzati da elevata stabilità termodinamica, corto valore di τM e insensibilità alla presenza di gruppi coordinanti esterni. Dal momento che recentemente è stata individuata una nuova struttura modello (AAZTA, Figura 1) che sembra possedere tutte le caratteristiche ottimali, si proseguirà nella sintesi di nuovi derivati a partire da tale struttura base, per cercare di sfruttarne a pieno le ottime proprietà. In particolare AAZTA sarà funzionalizzato in modo da dotare i suoi complessi di Gd(III) di specifiche proprietà di riconoscimento molecolare. Nell’ottica di disporre di sistemi di elevate dimensioni molecolari che possano raccogliere il maggior numero di complessi di Gd(III) possibile, si prenderanno in considerazione substrati multimerici solubili funzionalizzati con ciclodestrine (CD). Attualmente si sono presi in considerazione Chitosani funzionalizzati con β- e γ-CD (Figura 2) allo scopo di sfruttare l’interazione con i complessi MS-325 e Gd-DTPACol che, come visto in precedenza, avevano dimostrato un’elevata affinità per la cavità ciclodestrinica. Si è osservato un incremento nell’affinità del binding passando dal sistema monomerico al sistema polimerico (Ka = 5.1×105 M-1; Rb = 27.8 mM-1 s-1 per MS-325; Ka = 5×107 M-1; Rb = 21.8 mM-1 s-1 per GdDTPACol). Le relassività ottenute sono superiori a quelle misurate in presenza di semplice β-CD anche se non raggiungono i valori ottimali a causa, innanzitutto, del valore di τM troppo lungo che caratterizza i due complessi. 20 Agenti CEST I mezzi di contrasto CEST (CEST: Chemical Exchange Saturation Transfer) rappresentano una categoria emergente di agenti diagnostici per applicazioni MRI. La peculiarità di questi agenti è quella di generare un contrasto nell’immagine MR solo a seguito dell’invio di un appropriato impulso di radiofrequenza. Un agente CEST deve possedere dei protoni in scambio chimico con quelli delle molecole di acqua presenti nei tessuti in cui l’agente si distribuisce. Se la velocità di scambio tra i due set di protoni (kex) non è superiore rispetto alla loro differenza nella frequenza di risonanza (∆ω), allora la saturazione, mediante un impulso rf, dei protoni dell’agente CEST provocherà una diminuzione dell’intensità dei protoni dell’acqua di bulk e quindi un contrasto negativo nell’immagine MR. Poiché l’entità del trasferimento di saturazione, e quindi l’efficacia contrastante degli agenti CEST, è direttamente proporzionale a kex particolare attenzione è stata rivolta ai complessi metallici paramagnetici contenenti ioni lantanoidei capaci di influenzare significativamente le frequenze di risonanza dei nuclei ad essi accoppiati dipolarmente o scalarmente. Infatti, questi sistemi provocando un sensibile aumento nel valore di ∆ω consentono di poter irradiare protoni che scambiano molto rapidamente mantenendo la condizione ∆ω > kex. In un complesso lantanoideo le principali fonti di protoni mobili con elevati valori di ∆ω possono essere rappresentate sia dai protoni delle molecole di acqua coordinate al centro paramagnetico, sia da protoni mobili forniti dal legante. Un esempio di questo gruppo di complessi è costituito dalla serie [LnDOTAMGly]− (Figura 3), dove Ln può essere costituito da un qualunque metallo lantanoideo paramagnetico con l’eccezione del Gd(III). In questa serie di complessi sia i protoni delle molecole di acqua coordinata che quelli dei protoni ammidici del legante possono essere sfruttati per creare contrasto nell’immagine. Rispetto agli agenti di contrasto convenzionali basati sulla presenza di Gd(III), questi agenti hanno principalmente due vantaggi: i) quello di poter generare contrasto solo a seguito di un’irradiazione selettiva che dipende strettamente dalle proprietà dell’agente utilizzato, per cui agenti CEST diversi potrebbero essere iniettati simultaneamente in applicazioni nelle quali sia necessario seguirne il destino in vivo (es. labelling di cellule staminali o misure di permeabilità vascolare); ii) quello di consentire la misurazione di parametri chimico-fisici di rilevanza diagnostica e/o terapeutica (es. pH, temperatura, concentrazione di metaboliti, PO2, attività enzimatica, …) in modo indipendente dalla concentrazione locale di agente diagnostico. Questo importante obiettivo può essere raggiunto utilizzando un agente CEST avente due diversi set di protoni mobili irradiabili. Se il trasferimento di saturazione per i due set di protoni mostra una diversa dipendenza dal parametro diagnostico di interesse, un semplice metodo raziometrico, basato sul rapporto degli effetti misurati per i due set di protoni, permette di ottenere un effetto indipendente, entro certi limiti, dalla concentrazione assoluta del mezzo diagnostico. 21 Anche se attualmente questi agenti si trovano ancora in una fase di studio pre-clinica, questi vantaggi rendono questa categoria di composti particolarmente attraente per la diagnosi precoce di patologie cardio-vascolari. Per esempio, la progettazione di agenti CEST responsivi al pH o alla temperatura potrebbe risultare utile per la diagnosi di vulnerabilità della placca aterosclerotica. Per questo motivo verranno progettati e caratterizzati diversi agenti CEST allo scopo di rendere il loro trasferimento di saturazione sensibile al parametro diagnostico di interesse. I vantaggi degli agenti CEST rispetto ai mezzi di contrasto convenzionali sono però limitati dalla bassa sensibilità mostrata da questi sistemi. Per questo motivo particolare attenzione verrà dedicata alla progettazione di agenti CEST più sensibili cercando di sviluppare sistemi dotati di un elevato numero di protoni mobili aventi un rapporto ottimale tra ∆ω e kex. A tal scopo si potrebbero investigare le proprietà CEST di addotti supramolecolari costituiti da un substrato contenente un elevato numero di protoni mobili le cui risonanze siano opportunamente shiftate attraverso l’interazione selettiva con un reagente di shift paramagnetico. Imaging Molecolare Il lavoro sarà svolto nell’ottica di esplorare diverse vie per arrivare all’accumulo di complessi di Gd(III) in vari tipi di cellule in quantità sufficientemente grandi da permettere la visualizzazione con la tecnica MRI. In particolare, l’accumulo intracellulare di un mezzo di contrasto può avvenire per: i) Pinocitosi Per Pinocitosi (“il bere delle cellule”) si intende l’ingestione di fluido ( e di conseguenza delle specie dissolte in esso) da parte di una cellula tramite la formazione di piccole vescicole (diametro 150 nm). Quindi, l’incubazione di cellule in un mezzo contenente l’agente di contrasto in concentrazione sufficientemente elevata, porta alla sua internalizzazione e può essere sufficiente per la visualizzazione MRI. Tra i vari sistemi disponibili, per testare l’internalizzazione per pinocitosi, abbiamo considerato il composto commerciale Gd-HPDO3A (Prohance®, Bracco Imaging, Figura 4) perchè si tratta di un composto neutro e dotato di elevata stabilità termodinamica (log K~23.2). La marcatura delle cellule staminali è un obbiettivo di grande importanza in quanto la possibilità della loro visualizzazione in vivo permetterebbe di monitorarne il destino e la localizzazione in seguito al trapianto. 22 Fino ad ora, solo un tipo di agente di contrasto a base di Gd(III) è stato utilizzato per marcare le cellule staminali. Si tratta di un sistema costituito da un polimero di destrano contenente da 9 a 12 complessi di Gd(III). Come esempio rappresentativo di cellule staminali abbiamo scelto le EPCs (endothelial progenitors cells) il cui impianto dovrebbe aumentare la neovascolarizzazione di tessuti ischemici. In un tipico esperimento di uptake via pinocitosi, pochi milioni di cellule EPCs sono incubate in un mezzo contenente Gd-HPDO3A in concentrazione millimolare (10-50 mM). Per questo tipo di internalizzazione non ci si aspetta nessun effetto di saturazione, e infatti la quantità di Gd(III) captata è linearmente proporzionale alla concentrazione di Gd-HPDO3A nel terreno. E' noto inoltre che il fenomeno della pinocitosi porta alla formazione di piccoli endosomi che eventualmente possono poi fondersi in lisosomi più grandi. La distribuzione dei complessi di Gd non può essere seguita con le tecniche microscopiche correntemente usate in biologia cellulare, però l’Eu(III), elemento immediatamente precedente al Gd nella tavola periodica, possiede eccellenti proprietà di fluorescenza. Visto che Eu(III) e Gd(III) hanno proprietà chimiche molto simili, si può pensare che Eu-HPDO3A e Gd-HPDO3A vengano internalizzati con lo stesso tipo di processo. La risposta fluorescente di Eu-HPDO3A può quindi essere sfruttata per la comprensione della distribuzione intracellulare di Gd-HPDO3A. In Figura 5 è mostrata un’immagine ottenuta al microscopio confocale di cellule EPCs incubate con Eu-HPDO3A. Si notano chiaramente le vescicole endosomiali contenenti EuHPDO3A nello spazio citoplasmatico attorno al nucleo. Cellule EPCs sono state impiantate in un plug di matrigel subcutaneamente in un topo modello con angiogenesi. Dopo sette giorni il matrigel è stato vascolarizzato. Il nostro scopo era quello di vedere se le cellule (ca. 5x105 ) marcate con Gd-HPDO3A e impiantate fossero visibili in vivo. Un giorno dopo l’impianto, nell’immagine RM erano visibili delle zone iperintense all’interno del matrigel (Figura 6A); l’esame istologico ha dimostrato che le cellule erano disperse nel gel ma non si evidenziava formazione di capillari. Al contrario, sette giorni dopo (Figure 6B, 6C) si nota una fitta rete di capillari. 23 In un altro esperimento, 1x106 cellule EPCs, marcate e non, sono state impiantate nei reni di un topo SCID e 24 ore dopo sono state registrate le immagini. Come si vede in Figura 7, le cellule marcate sono visibili nella zona in cui sono state impiantate. Il programma di lavoro prevede, oltre all’approfondimento dell’uptake da parte delle EPC, la marcatura di cellule tumorali, di linfociti (per localizzare infezioni) e di insule da trapianto per soggetti diabetici. In questa linea di attività sarà anche messo a punto un metodo di marcatura delle cellule “in vivo” mediante elettroporazione. 24 ii) Fagocitosi La fagocitosi è un particolare tipo di endocitosi in cui particelle solide sono internalizzate nelle cellule attraverso la formazione di grandi vescicole endocitiche. Mentre l’internalizzazione di particelle di ossido di ferro per questa via porta solo ad una perdita di intensità del segnale RM, nel caso di particelle contenenti Gd si può passare da un agente negativo ad uno positivo. Per avere l’aumento di segnale è necessario progettare un sistema in cui il sintone insolubilizzante venga rimosso con il rilascio di un chelato di Gd(III) solubile in acqua. Ci sono diversi modi per ottenere l’incorporazione di chelati di Gd(III) all’interno di particelle biodegradabili. Una procedura che riteniamo piuttosto semplice da seguire potrebbe essere quella di preparare nanoparticelle a base di chitosano caricate con Gd-DTPA. Il complesso, portante due cariche negative, si lega agli ammino gruppi carichi positivamente del chitosano permettendo di ottenere carichi relativamente elevati di Gd per ogni particella (fino ad una consistente % in peso). Le particelle così marcate (di dimensioni di 200-400 nm) possono essere facilmente fagocitate dalle cellule e successivamente degradate ad opera degli enzimi interni alla cellula stessa. Sarà inoltre considerato un altro approccio per cui la formazione delle particelle biodegradabili è determinata dall’insolubilità degli stessi chelati di Gd. Per esempio è possibile insolubilizzare complessi tipo Gd-DTPA introducendo sulla superficie del complesso gruppi altamente idrofobici come lunghe catene idrocarburiche (Figura 8). La funzione insolubilizzante è legata al complesso tramite legami (esteri, legami peptidici, ...) che possono essere facilmente tagliati dagli enzimi intracellulari. Questo approccio permette di ottenere particelle “responsive” dell’attività enzimatica, in quanto l’incremento della velocità di rilassamento intracellulare è dipendente dall’attività dell’enzima in questione. iii) Recettori Il targeting di cellule che sfrutta il riconoscimento recettoriale è il metodo principalmente utilizzato in medicina nucleare. Il passaggio alla tecnica MRI è seriamente limitato dal fatto che la sensibilità è alcuni ordini di grandezza inferiore rispetto alla tecnica PET e SPECT. 25 Un buon modello per studiare l’internalizzazione cellulare attraverso il riconoscimento recettoriale, è costituito dal sistema Apoferritina/Gd-HPDO3A (Figura 9). Infatti l’apoferritina può essere marcata intrappolando alcune unità di complessi di Gd all’interno della sua cavità che naturalmente ha il ruolo di stoccare il ferro sotto forma di ossido polimerico. La parte esterna di questo sistema rimane inalterata e quindi il riconoscimento da parte dei recettori responsabili del trasporto della ferritina negli epatociti non dovrebbe essere variato rispetto alla proteina nativa. In questo sistema l’acqua può liberamente diffondere attraverso i canali che si formano all’intersezione delle varie subunità, mentre il Gd-HPDO3A (il cui diametro è di ca. 8-9 Å) non può. In una prova di upatke di Apoferritina/Gd-HPDO3A negli epatociti si è dimostrato che la quantità internalizzata è simile a quella riportata da Osterloch e Aisen per la proteina nativa (6.5×106 moleole per cellula in 6 h). iv) Endocitosi mediata da recettore Questa è la via più probabile per l’internalizzazione di complessi di Gd nelle cellule, in quanto ci si aspetta che avvenga ogni volta che il ligando per un determinato recettore viene modificato attraverso la funzionalizzazione con uno o più molecole di complesso metallico. Quando il ligando si lega al suo recettore sulla membrana cellulare comincia un processo che porta all’introflessione di una porzione della membrana e alla formazione di una vescicola una volta che le estremità si saldano insieme. Durante questo processo le molecole legate sulla membrana e le molecole presenti nel fluido extracellulare vengono intrappolate nella vescicola endosomiale e trasportate all’interno della cellula. L’endocitosi mediata da recettore sembra essere il meccanismo privilegiato per l’internalizzazione di sistemi polimerici contenenti un numero elevato di complessi di Gd(III). Un sistema di grande interesse è quello basato sul riconoscimento specifico di Avidina e Biotina. Infatti l’utilizzo di un anticorpo biotinilato seguito dalla ripetuta esposizione ad Avidina e complessi di Gd(III) bis-biotinilati può portare all’accumulo di un gran numero di unità contrastanti al sito di interesse. La formazione di un sistema supramolecolare multistrato di questo tipo, richiede la successiva somministrazione di Avidina e complessi di Gd(III) mono- (Gd-2) e bis-biotinilati (Gd-1) (Figura 10). 26 La costruzione del sistema a strati avviene in questo modo: dopo essersi legata alla cellula tumorale, attraverso un Ab o un qualunque vettore biotinilato, l’avidina viene saturata da due unità di Gd-2 e una di Gd-1, quindi la funzione biotinilata libera di Gd-1 viene riconosciuta da una seconda molecola di avidina e così via. Si può così pensare di costruire addotti di dimensioni sempre più grandi, fatti di 4, 8 e 16 strati di avidina. Esperimenti preliminari hanno dimostrato che è possibile costruire strati aggiungendo aliquote delle tre componenti ogni 10’ e mantenendo la temperatura a 4 °C. Una volta costruito tutto il sistema si è fatta partire l’incubazione che è proseguita per 24 h a 37 °C. In Figura 11 sono messe a confronto le nmoli di Gd(III) captato dalle cellule (SHIN3) dopo l’incubazione (37 °C, 24 h) con la stessa quantità di Gd-1 e Gd-2 ma in presenza () e in assenza di avidina ({). Si vede chiaramente che l’uptake da parte delle cellule tumorali avviene attraverso il riconoscimento specifico della molecola di avidina, infatti la quantità di Gd(III) captata quando solo Gd-1 e Gd-2 sono presenti è appena al di sopra del limite di rilevabilità. 27 In Figura 12 è riportata l’immagine di tre pellets di cellule di cui: a) cellule non trattate; b) cellule trattate con Avidina/Gd-/Gd-2; c) cellule trattate con Gd-1/Gd-2. Il grado di contrasto tra i pellets a) e b) è molto buono e promettente per i futuri esperimenti in vivo. In questo contesto, in collaborazione con gruppi di biologi, saranno preparati Ab o vettori biotinilati che riconoscano i recettori per le integrine. 28 Altri esempi di endocitosi mediata da recettore sono quelli in cui la sonda di imaging è direttamente legata a un peptide quale vettore di targeting. Piccoli peptidi sono già stati presi in considerazione come radiofarmaci sia a scopi diagnostici che terapeutici. Rispetto alle proteine, hanno il grande vantaggio di una bassa immunogenicità, buona farmacocinetica ed elevate capacità di targeting. Molte cellule tumorali iperesprimono i recettori della colecistochinina, per i quali è stato osservato che il peptide CCK8 (-Asp-Tyr-Met-Gly-Trp-Met-Asp-Phe) ha un’elevata affinità. Quindi si è considerata l’idea di utilizzare complessi di Gd(III) funzionalizzati con CCK8 per targettare i recettori delle colecistochinine espressi dalle cellule tumorali. Un prototipo di questa classe di imaging probes è riportato in Figura 13; il peptide CCK8 è legato, tramite uno spacer, ad un legante tipo DTPA. Prove preliminari hanno dimostrato che il complesso di Gd(III) di questo legante sembra avere un basso grado di internalizzazione in cellule NIH3T3Br (transfettate per l’iperespressione di recettori CCK-B) (ca. 105 / cell) (Figura 14). La quantità di Gd determinata è troppo bassa per una visualizzazione MRI. Si è perciò orientati a considerare sistemi contenenti più complessi di Gd(III) legati allo stesso vettore CCK8. Ci sono molte vie per la preparazione di strutture multimeriche di questo tipo. Si procederà innanzitutto con sistemi basati sulla polimerizzazione di unità monomeriche di Gd-DTPA-Lisina utilizzando le procedure di sintesi di catene peptidiche. La lunghezza delle catene può essere variata a piacere e la formazione del polimero può essere portata avanti per sintesi peptidica in fase solida. Come mostrato in Figura 14, nel caso di CCK8 funzionalizzato con un decamero (z) di complessi di Gd(III) la quantità di metallo paramagnetico internalizzato è dieci volte superiore a quella misurata con il monomero (). 29 Altri sistemi multimerici che saranno considerati sono le micelle miste e i liposomi opportunamente funzionalizzati con vettori peptidici in grado di riconoscere il target cellulare. v) Trasportatori La via dei trasportatori sembra essere molto interessante in quanto questi sistemi sono dedicati all’internalizzazione di grandi quantità di molecole di substrato. Nel campo degli agenti di contrasto per MRI ci sono già esempi di uptake cellulare molto efficienti. Si tratta essenzialmente di composti epatotropici costituiti da complessi di Gd(III) opportunamente funzionalizzati. Questi sistemi sono internalizzati dagli epatociti attraverso proteine di trasporto come gli OATP (Organic Anion Transport Protein) presenti in grandi quantità sulle membrane cellulari degli epatociti. Anche se si possono prendere in considerazione un gran numero di trasportatori, nel caso delle cellule tumorali, i miglior sembrano essere quelli responsabili del trasporto di nutrienti e pseudonutrienti. Infatti, durante la proliferazione delle cellule, il metabolismo accelerato delle cellule tumorali, fa si che ci sia una richiesta maggiore di queste sostanze e quindi una maggiore capacità di uptake che si traduce in un’up-regulation dei corrispondenti recettori di membrana. In via preliminare, abbiamo studiato se questo sistema potesse differenziare le cellule tumorali da quelle sane utilizzando un Gd-DTPA funzionalizzato con un residuo di glutammina (Figura 15). 30 La glutammina è l’amminoacido più abbondante nel plasma ed è considerato uno dei nutrienti più importanti per il metabolismo delle cellule tumorali. Si è aggiunto Gd-DTPA-glutammina al terreno di incubazione di cellule HTC ed epatociti. Dopo poche ore di incubazione, la quantità di Gd(III) internalizzata nelle cellule tumorali (z) è risultata essere 4-5 volte superiore a quella captata dagli epatociti sani () (Figura 16). Inoltre, la specificità verso i recettori della glutammina è stata controllata aggiungendo glutammina al mezzo contenente il complesso paramagnetico; la quantità di Gd(III) internalizzato diminuisce significativamente in seguito all’aggiunta dell’amminoacido libero al mezzo di incubazione. 31 32 METALLOPROTEINE COME CATALIZZATORI BIOLOGICI Alla realizzazione di questo progetto concorreranno cinque Unità Operative, in cui sono localizzati i gruppi di ricerca con competenze specifiche e complementari, in particolare: Unità Operativa dell’Università di Roma Tor Vergata, Unità Operativa dell’Università di Pavia, Unità Operativa dell’Università di Firenze, Unità Operativa dell’Università di Napoli “Federico II”, Unità Operativa dell’Università di Roma “La Sapienza”. Unità Operativa dell’Università di Roma Tor Vergata L’Unità Operativa dell’Università di Roma Tor Vergata intende svolgere il suo progetto sulle seguenti direttrici: - Perossidasi di origine vegetale ed animale - Folding/unfolding di emoproteine - Metalloproteinasi e metallopeptidasi Perossidasi di origine vegetale ed animale L’indagine intende focalizzarsi sull’espressione della forma ricombinante dell’eosinofilo perossidasi (EPO) umana sia nella forma “wild type” che di mutanti sito-specifici. Tale proteina è di estrema importanza funzionale, in quanto svolge un ruolo di antibatterico durante i processi infiammatori, ossidando dei substrati naturali molto comuni, quali cloruri (producendo ipocloriti), bromuri (producendo ipobromiti) e tiocianati (producendo ipotiocianiti) (1). Inoltre, essa sembra essere coinvolta, tramiti questi prodotti, nell’attivazione di enzimi della matrice extracellulare, che oltre a processare molecole coinvolte nei processi infiammatori, quali citochine e chemochine, sono coinvolti in processi angiogenetici (2). Tale proteina, che agisce insieme alla mieloperossidasi (MPO), anch’essa disponibile al nostro gruppo, viene attualmente espressa in Pichia pastoris, ma si intende caratterizzare le proprietà funzionali e strutturali di questa proteina ricombinante, che noi abbiamo espresso per primi, e di caratterizzarne meglio il ruolo in sistemi cellulari modello, quali neutrofili e linfociti. In questo ambito, si prevede di effettuare un’indagine sull’evoluzione temporale di alcuni metaboliti cellulari, mediante HPLC, a seguito dell’induzione dell’attività perossidasica. Inoltre, si intende proseguire nella caratterizzazione di perossidasi fungine, di cui sono disponibili anche dei mutanti sito-specifici (3). Su tali molecole si intende completare lo studio del ruolo funzionale dei residui aminoacidici dell’intorno dell’eme. Folding/unfolding di emoproteine Si intende effettuare una serie di indagini sui processi di folding/unfolding di mioglobina e di citocromo c sia in soluzione che in matrice sol-gel. In particolare, per quanto riguarda la mioglobina, si intende indagare sull’effetto del pH, della forza ionica e di un denaturante quale la guanidina-idrocloruro sulle cinetiche di unfolding della oloproteina sia in soluzione che in sol-gel. Per quanto riguarda il citocromo c, invece l’attenzione sarà posta sulle cinetiche di “refolding” in soluzione attraverso la diluizione del denaturante o il salto di pH. Inoltre, la possibilità di avere frammenti del citocromo c e mutanti sito-specifici permetterà di indagare sul ruolo di specifici residui o domini strutturali sulla dinamica di “refolding” della proteina, così da chiarire meglio il ruolo di leganti alternativi dell’eme durante il processo di “refolding” (4). 33 Metalloproteinasi e metallopeptidasi Le MetalloProteinasi e MetalloPeptidasi sono coinvolte in molti processi sia fisiologici che patologici. In particolare, vogliamo focalizzarci su: 1) MetalloProteinasi di matrice coinvolte nei processi metastatici ed angiogenetici Le MetalloProteinasi di matrice (MMPs) sono una famiglia di enzimi coinvolti in numerosi processi fisiologici e patologici concernenti la matrice extracellulare (ECM), quali lo sviluppo, l’infiammazione, la crescita e l’invasività tumorale. Attualmente, sono state identificate 22 MMPs umane (5), le quali presentano le seguenti omologie strutturali: un peptide segnale, un dominio propeptidico, un dominio catalitico (contenente l’atomo di Zn++ catalitico coordinato a 3 His) ed un dominio emopessina-simile (collegato al dominio catalitico da una regione a cerniera). L’azione enzimatica delle MMPs è cruciale per l’attuarsi della crescita ed invasione tumorale e per qualsiasi forma di infiammazione acuta e/o cronica (6). Le MMPs sono secrete in quantità particolarmente elevata da parte delle cellule tumorali di un’ampia varietà di tumori maligni (7) e, in misura minore, anche da cellule non neoplastiche. Tuttavia, alcune MMPs, quali la MMP-13, MMP-14 e MMP-7, sono secrete solo da cellule trasformate (8), quindi sono dei marcatori specifici di trasformazione neoplastica, e la MMP-2, la cui secrezione è in genere associata ad una prognosi infausta in molti processi tumorali (9). Nel caso delle gelatinasi, sia la MMP-2 che la MMP-9 sono associate allo sviluppo angiogenetico necessario per la diffusione metastatica (10,11). Il processo di attivazione della (pro)MMP-2 si attua attraverso la formazione di un composto ternario tra la (pro)MMP-2, il TIMP-2 (un inibitore naturale delle MMPs) e la MMP-14 (12). In tale interazione il TIMP-2 funge da ponte fra la (pro)MMP-2, il cui dominio emopexinico lega il dominio C-terminale del TIMP-2 (13) e la MMP-14, che interagisce con il dominio N-terminale del TIMP-2 (14). L’attività angiogenetica della MMP-2 attivata è fortemente inibita dall’endostatina (15) e questo permette di correlare l’attività angiogenetica della MMP-2 e quella antiangiogenetica dell’endostatina (16). L’endostatina viene prodotta dal processamento del Collagene XV e del Collagene XVIII e possiede caratteristiche antiangiogenetiche molto simili a quelle dell’angiostatina (17), la quale viene prodotta dal processamento del plasminogeno. Questi processamenti sono effettuati da proteasi sia a serina che metalloproteasi; in particolare, la produzione di angiostatina da plasminogeno avviene principalmente da parte della metalloelastasi MMP-12 (18). Quindi, il processo angiogenetico è il risultato di un bilanciamento positivo e negativo fra l’attività di diverse metalloproteinasi. L’interazione fra queste metalloproteinasi e le proteine che le attivano o che fungono da substrati è estremamente importante per comprendere la regolazione e l’evoluzione dell'angiogenesi. La nostra Unità Operativa dedicherà la sua attività alla comprensione delle interazioni fra (pro)MMP-2, TIMP-2 e MMP-14 (MT1-MMP), al fine di chiarire i meccanismi di modulazione di queste interazioni nel processo di attivazione della MMP-2. Si intende investigare tali interazioni, seguendo il segnale di fluorescenza correlato al processamento di substrati sintetici fluorogenici. Lo studio prevede la determinazione dei parametri termodinamici e cinetici di tali interazioni in funzione del valore di pH in un ambito fisiologicamente ragionevole tra 5 e 10, utilizzando sia un fluorimetro che l’apparato di mescolamento rapido (stopped-flow), che sono già disponibili all’Unità. Una volta ottenute informazioni concernenti l’interazione dei complessi binari (pro)MMP-2:TIMP-2 e MMP-14:TIMP-2 si passerà all’analisi termodinamica e cinetica della formazione del complesso ternario, necessario per l’attivazione della MMP-2. Lo studio, che verrà effettuato in diverse condizioni di pH e temperatura, consisterà nel far reagire un complesso binario con il terzo componente rispettivamente (cioè (pro)MMP-2:TIMP-2 + MMP-14, MMP-14:TIMP-2 + (pro)MMP-2 e (pro)MMP-2:MMP-14 + TIMP-2), seguendo poi il processo interattivo sempre tramite la fluorescenza collegata al processamento di substrati sintetici fluorogenici. Una volta ottenute le necessarie informazioni funzionali sulla formazione del complesso ternario in soluzione, si prevede anche l’estensione alla successiva attivazione di (pro)MMP-2 a MMP-2 attivata. 34 Inoltre, si intende studiare dal punto di vista termodinamico e cinetico l’interazione, in funzione di pH e temperatura, di angiostatina ed endostatina sia con MMP-2 che con MMP-14, al fine di determinare i parametri funzionali ed il meccanismo con cui tali molecole interferiscono con l’attività delle MetalloProteinasi, inibendo il processo angiogenetico connesso con l’attività di MMP-2. Tali misure, che verranno inizialmente effettuate utilizzando substrati sintetici fluorogenici, verranno quindi estese a substrati naturali, quali collagene I, collagene IV, fibronectina, laminina V e vitronectina, in modo da evidenziare meglio su quali processi enzimatici tali molecole vanno ad interferire. 2) MetalloPeptidasi cerebrali La carnosina è un dipeptide costituito dall’unione fra β-alanina ed istidina, è localizzato ubiquitariamente con particolare abbondanza nel muscolo e nel cervello, dove può raggiungere concentrazioni fino a 20 mM (19,20). La carnosina non deriva dall’idrolisi di precursori proteici o peptidici a più alto peso molecolare, ma viene sintetizzata dall’enzima carnosin-sintetasi (21) e degradata dall’enzima carnosinasi (22). Questo enzima, che appartiene alla classe delle metalloproteinasi, è sintetizzato in due isoforme, una presente inmolti tessuti non cerebrali, ed una, che ha una specificità quasi totale per la carnosina, che è sintetizzata solo nei tessuti cerebrali (23,24). Assai recentemente si è sequenziato il cDNA dei due geni che codificano le due isoforme della carnosinasi (25), permettendo la determinazione della sequenza aminoacidica delle due proteine. Si sono così definitivamente mostrate le caratteristiche strutturali che permettono di assegnare con certezza l’appartenenza della carnosinasi alla classe delle metalloproteinasi. Infine, si intende studiare l’attività di questo enzima nei confronti della carnosina, al fine di caratterizzarne i parametri catalitici in varie condizioni di pH e temperatura. Unità Operativa dell’Università di Pavia Enzimologia di metalloproteine Nel corso del prossimo triennio verranno espansi gli studi su eme proteine e rame proteine condotti nel triennio scorso, la ricerca verrà in generale indirizzata sempre di più verso aspetti che possono avere rilevanza in campo medico o farmacologico. Come prosecuzione degli studi sulla nitrazione di proteine prodotta da specie reattive all’azoto si esaminerà la nitrazione della mioglobina umana, la cui espressione in E. coli è stata già messa a punto nel nostro laboratorio, e di suoi mutanti. Come è noto, la mioglobina umana differisce dalle altre per la presenza di un residuo di cisteina, che è esposto e può quindi essere implicato nella reazione di nitrazione. Il sistema di nitrazione studiato dal nostro gruppo si basa sulla coppia nitrito/perossido di idrogeno, che in seguito ad attivazione da parte del gruppo ferro-eme, in reazioni di tipo perossidasico, produce come specie nitranti, a seconda delle condizioni, biossido di azoto o un perossinitrito legato (26,27). La capacità nitrante viene esibita sia verso substrati esogeni sia, in assenza o a basse concentrazioni di questi, verso il gruppo eme e residui proteici quali tirosine e triptofani (26-28). Lo studio verrà esteso anche alla emoglobina umana, esaminando in particolare il comportamento delle singole catene alfa e beta che formano il tetramero. Sempre nell’ambito della chimica delle eme proteine, l’attuale studio sui mutanti della mioglobina ricostituiti con gruppi eme modificati, che incrementano in modo apprezzabile l’attività catalitica ossidativa (29,30) verrà esteso alla ricostituzione della proteina con nuovi derivati eminici, in grado di amplificare ulteriormente la capacità catalitica e gli effetti di stereoselettività nelle reazioni verso substrati esterni. Verrà infine aperto un nuovo filone di indagine sulle eme proteine, con la produzione di mutanti del citocromo c da lievito, la cui espressione in E. coli è ormai disponibile nel nostro gruppo. Si vuole verificare se l’ingegnerizzazione del citocromo c, con un diverso folding rispetto alle globine, sia potenzialmente più adatta ad ottenere proteine con attività catalitica. Come 35 è consuetudine nel nostro gruppo, gli studi sulle eme proteine verranno accoppiati a indagini su sistemi modello, che in questo caso si basano su complessi eme-peptidici sintetici o ricavati dalla digestione controllata del citocromo c (31,32). Nel campo dello studio dei rame enzimi si intende approfondire il meccanismo molecolare di azione della tirosinasi, del quale non si ha alcuna evidenza diretta. A questo scopo ci si propone di effettuare studi a temperature criogeniche in solvente misto acquoso-organico. Verranno esaminate varie miscele solventi criogeniche scegliendo quella che garantisce un optimum di funzionamento dell’enzima. Quindi si effettueranno misure spettroscopiche a basse temperature (fino a -80 °C) sulle varie forme dell’enzima (ossigenata, ossidata) in presenza e in assenza di substrati fenolici e catecolici. In queste condizioni l’attività enzimatica dovrebbe essere parzialmente o completamente bloccata, ma comunque sufficientemente lenta da consentire l’osservazione dei complessi enzimasubstrato. Queste indagini saranno accoppiate a studi paralleli, condotti nelle stesse condizioni, su sistemi modello della tirosinasi costituiti da complessi binucleari di rame con leganti poliazotati, che tradizionalmente sono uno dei punti di forza dell’attività del nostro gruppo (33-35), che dovrebbero consentire di caratterizzare in modo più dettagliato, anche a livello strutturale, il modo di legame dei substrati. Un nuovo campo di indagine che si intende aprire utilizzando la tirosinasi è quello sulla modificazione di residui di proteine da parte dei derivati chinonici prodotti dalla reazione di ossidazione della dopammina e del suo precursore L-dopa. Questo tipo di modificazione può avvenire a carico dei residui polari di lisina, istidina, cisteina, serina, tirosina e triptofano esposti della proteina bersaglio e può indurre modificazioni conformazionali locali e globali di questa, causandone l’inattivazione. Si ritiene che questa modificazione possa contribuire ai processi di misfolding e fibrillazione di alcune proteine coinvolte in patologie neurodegenerative quali i morbi di Alzheimer e di Parkinson. Per caratterizzare gli addotti chinonici delle proteine si sfrutterà inizialmente l’ossidazione enzimatica dei fluorofenoli, che risulta più facilmente controllabile a causa del sostituente fortemente elettron attrattore presente sul nucleo aromatico, la quale è stata studiata in dettaglio recentemente dal nostro gruppo (36). In alternativa alla tirosinasi altri enzimi possono partecipare alla formazione di derivati chinonici da substrati catecolici, particolarmente le eme perossidasi, in condizioni di stress ossidativo, e la ceruloplasmina. Anche in questo caso studi su modelli di basso peso molecolare potranno servire a chiarire aspetti meccanicistici e strutturali delle reazioni di modificazione delle proteine. Unità Operativa dell’Università di Firenze Il Laboratorio di Chimica Bioinorganica del Dipartimento di Chimica dell’Università di Firenze è coinvolto da svariati anni nello studio ed utilizzo di sistemi enzimatici ossidativi coinvolti in processi biodegradativi di sostanze aromatiche: ossigenasi ed ossidasi. Questi enzimi, isolati e purificati da microrganismi quali Pseudomonas, Alcaligenes, Rhodococcus, Streptomyces, Acinetobacter, Pleurotus, svolgono un ruolo chiave nella biodegradazione di sostanze xenobiotiche; ad esempio, ossigenasi idrossilanti trasformano composti aromatici in dioli rendendo l’anello aromatico suscettibile al successivo attacco di ossigenasi “ring cleaving” che aprendo l’anello determinano la completa detossificazione di una grande varietà di composti altamente nocivi per l’ambiente (37-40). La nostra unità operativa è coinvolta nella caratterizzazione strutturale e meccanicistica di alcuni di questi enzimi mediante tecniche cinetiche, spettroscopiche e cristallografiche, fondamentale per la comprensione dei meccanismi di biodegradazione e bioconversione di composti organici e per l’ottimizzazione di tali processi. Oltre ad un forte interesse per le problematiche legate al disinquinamento ambientale mediante tecniche biologiche, ha recentemente assunto particolare rilevanza il possibile utilizzo dei sistemi enzimatici ossigenanti presenti in questi microorganismi nella produzione di “fine chemicals” di difficile sintesi chimica. Quest’ultimo aspetto e’ principalmente legato al fatto che questi sistemi enzimatici catalizzano la trasformazione di una varietà di sostanze aromatiche in composti chirali ad 36 alta purezza enantiomerica di estremo valore per la sintesi asimmetrica ed utili per la produzione di una varietà di nuove molecole di interesse farmaceutico ecc. (41). Molti nostri studi sono stati focalizzati sull’ottimizzazione di reattori microstrutturati che hanno permesso di ottenere alte velocità di conversione ed alte rese finali per i prodotti ossigenati da svariati idrocarburi quali naftalene, antracene, fenantrene, toluene, xileni ecc utilizzando ceppi batterici naturali o geneticamente modificati esprimenti le ossigenasi d’interesse. Tali sistemi hanno consentito di misurare con alte riproducibilità e precisione l’influenza di ciascun fattore che controlla il processo (concentrazione delle cellule, loro vitalità, livello di espressione enzimatica, concentrazione del substrato ecc.) e quindi ottimizzare il valore di ciascun parametro. Si è inoltre evidenziato e razionalizzato l’effetto protettivo di vari tensioattivi non ionici nei confronti della documentata tossicità di molti idrocarburi aromatici sui microrganismi investigati (42). Un secondo gruppo di enzimi, le ossidasi fungine, posseggono, in termini di capacità ossidative, proprietà catalitiche complementari a quelle delle ossigenasi batteriche (43). Sono coinvolte in una moltitudine di processi di biotrasformazione che spaziano dalla conversione di una varietà di molecole tossiche in composti utili (a tossicità altamente ridotta) a processi di detossificazione coinvolgenti la formazione di polimeri stabili. L’utilizzazione di ossidasi (in particolare le ossidasi fungine) per la biodegradazione di pesticidi, fenoli, coloranti ecc. è un argomento di crescente interesse. Recenti studi del nostro laboratorio sono tesi ad ottimizzare processi che sfruttano l’uso combinato di laccasi fungine da Pleurotus ostreatus e monoossigenasi batteriche in sistemi microcompartimentalizzati per biodegradazioni ad ampio spettro di azione. Unità Operativa dell’Università di Napoli “Federico II” Gli obiettivi di questo programma di ricerca sono : 1) progettazione, sintesi e caratterizzazione di peptidi/peptidomimetici capaci di interferire con il riconoscimento molecolare tra MMP-2, TIMP-2 e MMP14; 2) progettazione, sintesi e caratterizzazione di peptidi/peptidomimetici capaci di interferire con il riconoscimento molecolare tra MMP-2 (e/o MMP-14) e angiostatina (e/o endostatina); 3) progettazione, sintesi e caratterizzazione di peptidi/peptidomimetici carnosina-simili; 4) caratterizzazione strutturale in soluzione (NMR) e/o allo stato solido (diffrazione di raggi x) dei complessi binari e/o ternari tra MMP-2, TIMP-2 e MMP14; 5) caratterizzazione strutturale in soluzione (NMR) e/o allo stato solido (diffrazione di raggi x) dei complessi tra MMP-2 (e/o MMP-14) e angiostatina (e/o endostatina); 6) caratterizzazione strutturale in soluzione (NMR) e/o allo stato solido (diffrazione di raggi x) dell’enzima carnosinasi; 7) caratterizzazione strutturale in soluzione (NMR) e/o allo stato solido (diffrazione di raggi x) dei complessi tra i peptidi sintetici ed i loro target. La ricerca sarà articolata nelle seguenti fasi I Fase Nella prima parte inizierà la progettazione delle molecole peptidiche per quei sistemi molecolari di cui sono disponibili in letteratura i dati strutturali e funzionali. In particolare, verrà analizzato il riconoscimento molecolare tra MMP-2, TIMP-2 e MMP14 al fine di determinare le proprietà strutturali e chimico-fisiche delle proteina target, dei suoi inibitori naturali e sintetici, e dell’interfaccia di riconoscimento proteina-proteina. Queste informazioni permetteranno di definire diverse famiglie di sequenze peptidiche e di costruire i corrispondenti modelli molecolari. Questi ultimi verranno raffinati mediante cicli di minimizzazione energetica e dinamica molecolare, in solvente in presenza del recettore, così da verificare la tenuta conformazionale delle nuove molecole. Contemporaneamente inizierà lo studio dei sistemi MMP-2 (e/o MMP-14) e angiostatina (e/o endostatina). 37 La prima serie di composti per il sistema MMP-2/TIMP-2/MMP14 verranno, quindi, sintetizzate in fase solida. La strategia sintetica verrà opportunamente modificata rispetto alle procedure standard qualora si dovessero sintetizzare sequenze che causano l’aggregazione del peptide in crescita sulla resina o nel caso in cui gli accoppiamenti siano particolarmente difficili. I peptidi verranno analizzati e purificati mediante HPLC a fase inversa e l’identità verrà accertata mediante spettrometria di massa MALDI-ToF. Le molecole con promettente attività biologica saranno sintetizzate in quantità sufficienti per effettuare gli studi di tipo strutturale. Per quei sistemi di cui non è nota la struttura tridimensionale, eventualmente, si cercherà di ottenere dei modelli tridimensionali teorici a bassa risoluzione, ricorrendo a metodiche di homology modeling, che permetteranno di formulare delle ipotesi per il riconoscimento molecolare. II Fase In questo periodo verranno sintetizzati i peptidi angiostatina- ed endostatina-simili progettati nella fase precedente. I vari peptidi sintetizzati saranno preliminarmente caratterizzati in soluzione mediante tecniche spettroscopiche come dicroismo circolare e spettrofluorimetria. In particolare, il dicroismo circolare potrà fornire informazioni sulla conformazione assunta dalle varie molecole in soluzione. Se l’interazione tra macromolecola e il peptide avviene con una variazione conformazionale sarà possibile eseguire delle titolazioni per determinare le costanti di legame. Analogamente l’interazione potrà essere monitorata mediante spettrofluorimetria se avviene con variazione della fluorescenza di cromofori intrinseci. In questa fase si prevede di iniziare gli studi strutturali in soluzione (NMR) ed allo stato solido (diffrazione di raggi x). In soluzione saranno effettuati esperimenti in diversi sistemi solvente, sulle proteine purificate e marcate con 15N e/o 13C, mettendo anche a punto sequenze mono e bidimensionali. La caratterizzazione strutturale allo stato solido sarà eseguita effettuando esperimenti di cristallizzazione in condizioni controllate di pH e di temperatura in vari sistemi tampone. Una volta effettuato lo screening ed ottenuto cristalli di dimensioni adatte saranno eseguite raccolte di dati di diffrazione di raggi-X anche a bassa temperatura, utilizzando un diffrattometro quattro cerchi o un diffrattometro anodo rotante con image plate in dipendenza della complessità della molecola studiata. Quindi, si procederà alla risoluzione della struttura con diverse tecniche ed approcci metodologici e al successivo raffinamento deidati. In tutti i casi in cui non sarà sufficiente per la raccolta dei dati la potenza fornita dal generatore ad anodo rotante si utilizzerà il tempo macchina presso la linea di luce di sincrotrone ELETTRA, Trieste, cui questa unità ha accesso. Gli studi strutturali saranno effettuati anche sul sistema MMP-2 (e/o MMP-14) e angiostatina (e/o endostatina). Analogamente, saranno effettuate le cristallizzazioni dei complessi delle molecole di natura peptidica, per i quali è stata dimostrata la formazione di addotti stabili, con i propri target proteici. I risultati dell’ indagine strutturale insieme alle informazione di carattere biologico forniranno la base per modificare le molecole bioattive, permettendo sia di migliorare la capacità di binding sia di variare le proprietà chimico-fisiche (solubilità, stabilità in vivo) lasciando inalterate le proprietà biologiche. III Fase Nell’ultima fase di questo progetto verranno progettati e sintetizzati dei nuovi peptidi carnosina-simili. Se possibile si cercherà di cristallizzare l’enzima carnosinasi. In questa fase si completerà la caratterizzazione strutturale in soluzione e/o allo stato solido dei complessi tra i peptidi sintetizzati ed i loro target. Per quei sistemi peptidici per i quali fossero disponibili le informazioni strutturali e/o funzionali si procederà alla fase di ottimizzazione del ligando e quindi di sintesi delle nuove molecole in modo che siano più specifiche e che abbiano una maggiore affinità. In tale fase le molecole bioattive saranno modificate, sulla base delle informazioni di tipo strutturale e dei saggi biologici, utilizzando amminoacidi non naturali, sintetizzando derivati ciclici, ramificati, retroinversi e peptidi in cui il legame peptidico è modificato. 38 Unità Operativa dell’Università di Roma “La Sapienza” Sistemi Tetraazoporfirinici come Modelli per Studi di Problematiche attinenti alla Biochimica E’ da lungo tempo che il gruppo si occupa dello studio di sistemi macrociclici tetrapirrolici ad alta delocalizzazione elettronica quali le porfirine ed analoghi tetraazaporfirinici (ftalocianine, porfirazine, etc.). Una delle linee di lavoro di maggiore interesse attuale, che fa seguito a sviluppi già presenti nella letteratura più e meno recente (44), è quello di avere nuovi sistemi macrociclici che abbiano buone proprietà di solubilità in acqua, premessa necessaria per poter affrontare processi di tipo biochimico per i quali il mezzo acquoso costituisce la sede naturale di svolgimento. Il gruppo di lavoro si è di recente interessato alla costruzione in laboratorio di molecole macrocicliche di tipo tetraazaporfirinico che per la loro struttura di base permettono di subire trasformazioni chimiche adatte a renderle solubili in acqua. Un esempio di molecola di recente studiata in modo approfondito è l’ottapiridinotetrapirazinoporfirazina, I, una macromolecola che è costituita da un sistema centrale tetrapirazinoporfirazinico ad alta delocalizzazione elettronica con anelli piridinici agganciati all’esterno. Attraverso processi di quaternarizzazione degli N atomi piridinici si è potuto giungere alla specie supercarica ottacationica II. Sia la specie I che la specie II (M = 2H), come i loro derivati metallici di metalli bivalenti di transizione e non, sono state approfonditamente studiate in termini di stabilità come materiali solidi ed in soluzione; ne è stato esaminato il comportamento spettroscopico UV-visibile per una interpretazione della loro struttura elettronica ed è stato compiuto un approfondito studio del loro comportamento elettrochimico (quest’ultimo solo per la specie I e relativi metallo-derivati). Della specie II e suoi metalloderivati è prevista a breve un’indagine elettrochimica per evidenziare un comportamento redox che sarà interessante confrontare con quello dei corrispondenti prodotti non quaternarizzati. N N N N N H3C H3C N N N N N + N N N + N I CH3 N N N N N N N N CH3 N M N N NH + N N N N N N N HN N+ H3C N + N N CH3 N N N N N + N N N + N CH3 H3C + N II Le specie quaternarizzate acquosolubili sono molto interessanti per una prossima programmazione di studi di possibili forme di contatto con biomolecole quali le metalloproteine o gli acidi nucleici. E’ in corso uno studio preliminare per una rappresentazione completa di ciò che è stato fatto in letteratura al riguardo, limitatamente ai sistemi porfirinici o ad analoghi macrocicli porfirazinici. E’ recente un’indagine condotta su un sistema supercarico di tipo porfirazinico, il 2,3,7,8,12,13,17,18-ottakis(N-metil-4-piridiniumil)porfirazina (45), ed il suo binding al double stranded calf thymus (CT) DNA (46), studi nei quali è stato messo in evidenza un forte legame del macrociclo supercarico con lo stesso DNA. Nell’esperienza del gruppo di lavoro rientrano anche progetti riguardanti la sintesi di cosiddetti “sistemi a bassa simmetria “, dei quali è riportato un esempio qui di seguito. 39 + N CH 3 + H3C N N N N + N CH3 N CH3 + N N N N N N + N M N N H3C N N N N N Se N + CH3 III I tentativi di giungere alla sintesi di questo macrociclo sono stati iniziati già da tempo. Da essi emerge una grande difficoltà nell’isolamento e purificazione della corrispondente specie non quaternarizzata, la tris(dipiridinopirazino)mono(seleno-diazolo)porfirazina. Il superamento delle difficoltà di purificazione possono aprire la strada al processo di deselenazione dell’anello selenodiazolico, con formazione di un gruppo esterno di tipo cis-diamminico in grado di coordinare PtCl2 con l’ottenimento di un sistema di tipo cis-platino. Il successivo processo di quaternarizzazione dei sei anelli piridinici esterni a dare la specie III, avente caratteristiche di solubilità in H2O, risulterebbe nella formazione di una specie rappresentata schematicamente qui di seguito (IV, M = 2H o metallo bivalente). Tale specie potrebbe essere adatta ad affrontare alcune problematiche legate all’esame della sua risposta biochimica come agente anticancro. N N N N N M N N NH 2 N H2N Pt Cl Cl (IV) Il gruppo di lavoro si propone altresì, nell’arco del triennio 2005-2007, di verificare la possibilità di sviluppare una chimica innovativa legata alla presenza dei gruppi cis-diamminici sul macrociclo porfirazinico per la preparazione di ulteriori specie macrocicliche solubili nel mezzo acquoso. 40 L'uso della Spettroscopia d'Assorbimento dei raggi X (XAS) come mezzo utile ed unico per la caratterizzazione strutturale di metalloproteine o proteine attivate da metallo e di composti modello correlati. La caratterizzazione strutturale e l'accurata determinazione delle proprietà geometriche dei siti attivi delle proteine sono fondamentali per la comprensione della funzione e del meccanismo catalitico presente. Per le metalloproteine o per i composti biologici attivati da metalli è importante descrivere le correlazioni tra lo stato di coordinazione del metallo, lo stato elettronico del metallo e la funzione della proteina o macromolecola. Con campioni cristallini la Diffrazione a raggi X (XRD) può lasciare ambiguità sulla coordinazione del metallo, specialmente alla presenza di piccole molecole leganti, o non legate o parzialmente legate, e non può provare lo stato redox del metallo. L'uso della Radiazione di Sincrotrone (SR) ha permesso la determinazione delle strutture XRD di proteine a risoluzione atomica (dove i legami C-C sono visibili), ma è difficile l'applicazione della XRD a studi conformazionali legati a fattori redox, di pH, di solvente, ed allosterici. Con campioni non cristallini, tuttavia, è difficile estrarre accurate informazioni sui dettagli strutturali dello stato di coordinazione anche con le usuali spettroscopie. Infatti, la spettroscopia UV/Vis può essere poco sensibile alla presenza di una simmetria assiale e l'interpretazione strutturale è dipendente dalla temperatura a causa delle vibrazioni nucleari. La correlata spettroscopia di Risonanza Elettronica Paramagnetica (EPR) può rilevare dettagli strutturali solo a bassa temperatura. La Spettroscopia di Risonanza Raman può essere molto sensibile all'intorno del metallo, ma le frequenze Raman di stretching e bending metallo-legante ed i loro shifts solo in pochi casi sono stati assegnati e correlati, senza ambiguità, con i legami e con variazioni della loro lunghezza. La Spettroscopia d'Assorbimento dei raggi X (XAS) è un'importante tecnica di SR che con lo studio dello spettro d'assorbimento consente di investigare la struttura locale dei centri metallici nei materiali. XAS comprende sia la spettroscopia XANES (X-ray Absorption Near Edge Structure), che studia lo spettro d'assorbimento X della soglia fino a 50-100 eV, sia la spettroscopia EXAFS (Extended X-ray Absorption Fine Structure), che analizza un'estesa regione d'energia sopra la soglia. L'estensione della regione d'energia degli spettri XAS da 50-100 eV è limitata dal rapporto segnale-rumore dei dati raccolti. Le proprietà della sorgente di SR sono uniche e rendono la spettroscopia XAS unica. Di seguito sono riportate le proprietà del mezzo XAS. 1) XAS è adoperabile in ogni stato fisico del campione. 2) XAS è adoperabile in qualsiasi condizione di intorno. 3) XAS può essere applicata a qualsiasi elemento (in principio) ed è elemento-specifica. 4) Elementi, silenti o difficili per le spettroscopie UV/Vis o EPR e NMR, sono accessibili a XAS. 5) XAS è sensibile allo stato redox dell'elemento. 6) XAS è molto sensibile ai dettagli strutturali (coordinazione, simmetria complessiva, distanze ed angoli di legame) ed è un indicatore di strutturale locale. 7) Gli spettri XAS alla soglia (regione XANES) non hanno diretta dipendenza dalla temperatura (nessun effetto di vibrazione nucleare). Per tutte queste ragioni XAS può essere applicata per studiare sia la struttura geometrica ed elettronica sia il comportamento dinamico di molti sistemi biologici e di composti modello correlati. L'approccio XAS permette di determinare la struttura dei centri metallici a risoluzione subatomica e permette di distinguere lo stato redox del centro metallico. Cambiando le condizioni di intorno, differenti conformazioni del metallo modulate da stati d'equilibrio possono essere caratterizzate. Dall'analisi dei dati sperimentali della regione EXAFS e maggiormente dalla regione XANES, essendo le strutture XANES indicatori dell'ossidazione e dello stato di spin del metallo e della 41 struttura locale metallo-legante, è possibile ottenere la struttura geometrica del sito assorbitore entro 5-6 Å. Molti dei primi studi EXAFS sono stati condotti con l'approccio dell'approssimazione a singola diffusione (single scattering, SS), una teoria che è stata dimostrata essere errata specialmente nel caso di siti attivi circondati da istidine. Per questo motivo negli anni sono apparse delle difformità tra i risultati EXAFS e XRD. Il recente sviluppo di nuovi approcci analitici, basati sulla teoria a diffusione multipla (multiple scattering, MS) di onde sferiche, permette di migliorare lo studio degli spettri XAS e, oggi, parecchi avanzati programmi sono capaci di analizzare la regione EXAFS degli spettri in modo soddisfacente (47-54). Lo studio della regione XANES è difficile, dal momento che piccole differenze nella geometria di coordinazione (cioè differenti conformazioni legate a variazioni d'angoli di legame o movimenti di legante assiale attorno al centro metallico) possono produrre importanti cambiamenti nella forma e nell'intensità delle strutture di soglia. Quindi, per razionalizzare quantitativamente i segnali XAS nella regione di soglia degli spettri sperimentali d'assorbimento è necessario usare la teoria di MS completo. Le difficoltà di un'analisi quantitativa completa degli spettri XANES derivano, principalmente, dall'approssimazione teorica usata per il potenziale. Per questo motivo l'analisi XANES è stata usata, in modo qualitativo, come un supporto agli studi EXAFS e correlata a composti a struttura nota. Negli ultimi anni calcoli MS nella regione di soglia sono stati resi possibili da differenti programmi di calcolo. L'abilità di analizzare in modo quantitativo o semiquantitativo la parte XANES di uno spettro XAS permette di ottenere una rappresentazione strutturale completa del campione determinandone i dati strutturali come gli angoli di legame che sono molto difficili da ottenere con l'EXAFS ed ad una risoluzione paragonabile a quella degli studi di XRD. Molte applicazioni d'analisi XAS, con entrambi gli approcci EXAFS e XANES, sono state presentate in questi anni (55-60). Tuttavia solo recentemente con una nuova procedura di calcolo, chiamata MXAN (61), è stato possibile ottenere un completo fit geometrico anche per questa regione in tempi di calcolo ragionevoli. Recentemente abbiamo considerato e risolto alcuni aspetti fondamentali del sito binucleare a rame di tipo 3 per i derivati met- e met-azide d'emocianine (Hcs) da Octopus vulgaris (mollusco) e Carcinus aestuarii (artropode) a pH 7.5 (cioè corretti valori delle distanze Cu-Cu, distorsione assiale se presente al sito a rame, presenza e tipo di gruppi a ponte) (62). In quel lavoro abbiamo riportato risultati EXAFS di SS con il metodo a filtro di Fourier per la prima shell e risultati parziali di un'analisi EXAFS di MS dell'intero spettro. Per confermare l'analisi della regione EXAFS è stato anche riportato un approccio XANES qualitativo. L'accuratezza dell'analisi dei dati è stata testata con i correlati composti modello dei sistemi leganti a poli(benzoimidazolo) 2-BB (63), L-5,5 e L6,6 (64), mononucleari e binucleari rispettivamente. Per il problema biologico connesso alla caratterizzazione strutturale di questi derivati di Hcs e per le implicazioni biofisiche dei risultati XAS ottenuti si rimanda a quello studio. In un lavoro in pubblicazione (65) abbiamo presentato e focalizzato l'attenzione sui calcoli MS che sono stati usati per raggiunger i risultati EXAFS delle forme met-Hc dei due phyla a pH 7.5 e sulle possibilità aperte dai calcoli MS nella regione XANES (66). Per rifinire la modulazione EXAFS dello spettro d'assorbimento abbiamo utilizzato un approccio composito ed avanzato con il cui è stato possibile superare alcuni complessi problemi dovuti sia alla presenza di due atomi assorbitori sia al fatto che nello spettro il contributo metallo-metallo si sovrappone ai segnali CuHis. Con calcoli XANES di MS è possibile estrarre informazioni quantitative dalla zona di soglia dello spettro in modo da rifinire la struttura del sito anche nel caso di un centro binucleare. Alla luce dei risultati attenuti con le simulazioni XANES di MS sulle forme met-Hc (65), abbiamo iniziato ad usare il programma MXAN per ottenere il fit della regione XANES dello spettro sperimentale della forma met-Hc da O. vulgaris a partire dalla struttura 1LL1 del codice PDB. I risultati preliminari dei fit geometrico della regione XANES di questo spettro sono stati pubblicati (67). Questi dati preliminari sono il primo tentativo di ottenere risultati quantitativi con la spettroscopia XANES applicata al sito binucleare a rame di tipo 3 di una forma met-Hc da O. vulgaris. Il raffinamento del best-fit dei due centri a Cu(II) della forma met-Hc da O. vulgaris è in 42 corso, ma è importante rilevare che le due minimazzioni (ottenute con procedure differenti) portano a due differenti strutture per i due siti a Cu(II) ma allo stesso minimo per la distanza Cu-Cu. Ciò è in accordo con il fatto che l'applicazione di questo codice di calcolo a parecchi casi-test ha mostrato che la soluzione di best-fit è indipendente dalle condizioni di partenza e dalla strategia di minimizzazione. Prima di iniziare questa serie di fits, abbiamo testato l'accuratezza dell'applicazione dell'analisi con MXAN sullo spettro del complesso cationico mononucleare [Cu(2BB)-N3]+ (63) con dati XRD (dati da pubblicare). Una simile procedura di best-fit è anche in corso per la forma met-Hc di C. aestuarii a pH 7.5. Le simulazioni XANES MS ed i fits saranno estesi ai derivati met- e met-azide di Hcs degli stessi phyla a pH 5.5 ed ai composti modello binucleari dei leganti L-5,5 e L-6,6 (64) da noi considerati (62). Partendo dai calcoli MS (dati da pubblicare) che sono stati usati per ottenere i risultati EXAFS per questi siti binucleari a rame 3 (62), vogliamo raggiungere, con l'applicazione della spettroscopia XANES MS, un'accurata determinazione quantitativa dei contributi strutturali locali e quindi la caratterizzazione della struttura fine del sito. I derivati met- delle proteine manifestano un'effettiva interazione di superscambio tra i centri metallici vicini (no EPR). Per i complessi bis(idrosso)- dei leganti L-5,5 e L-6,6 (64) che sono dei buoni modelli di queste forme delle proteine Hcs, lo spettro NMR di protone è osservabile. In alcuni casi sono stati osservati segnali stretti, indicativi di un effettivo forte accoppiamento antiferromagnetico, in altri casi dai segnali NMR relativamente stretti si può supporre la presenza di gruppi a ponte tra i due ioni metallici. Le caratteristiche XANES dei complessi bis(idrosso)- e bis(aquo)- sono molto diverse (62) e, quindi, si possono ipotizzare diversità nella disposizione degli orbitali magnetici del rame. Con calcoli MS nella regione di soglia, sarà possibile dedurre per la struttura dello stato fondamentale lo stato (tripletto o singoletto) della polarizzazione di spin e la separazione energetica tra i due stati. Nel caso degli addotti con azide, tramite la caratterizzazione XAS della struttura e la descrizione, in termini di spin polarizzazione, del modo specifico di legame dell'azide si può arrivare ad un'interpretazione delle proprietà magnetiche della loro unità binucleare. L'esperienza maturata sarà messa a disposizione dei ricercatori delle unità del CIRCMSB qualora siano interessati a risolvere, quantitativamente, la coordinazione e la geometria di centri metallo-leganti in sistemi biologici ed in composti modello correlati. Gli esperimenti potrebbero essere eseguiti, dopo presentazione di progetto, presso la struttura ESRF dove abbiamo condotto il progetto sulle Hcs (ESRF proposal LS-861). BIBLIOGRAFIA 1) van Dalen, C.J., and Kettle, A.J. (2001) Biochem. J. 358, 233-239. 2) Fu, X., Kassim, S.Y., Parks, W.C., and Heinecke, J.W. (2001) J. Biol. Chem. 276, 41279-41287. 3) Ciaccio, C., Rosati, A., De Sanctis, G., Sinibaldi, F., Marini, S., Santucci, R., Ascenzi, P., Welinder, K.G., and Coletta, M. (2003) J. Biol. Chem. 278, 18730-18737. 4) Yeh, S.R., Takahashi, S., Fan, B., and Rousseau, D.L. (1997) Nature Struct. Biol. 4, 51-56. 5) Sternlicht, M.D., and Werb, Z. (2001) Ann. Rev. Cell Dev. Biol. 17, 463-516. 6) Liotta, L.A., Tryggvason, K., Garbisa, S., Hart, I., Foltz, C.M., and Shafie, S. (1980) Nature 284, 67-71. 7) Shapiro, S.D. (1998) Curr. Opin. Cell Biol. 10, 602-608. 8) Johansson, N., Airola, K., Grénman, R.,Kariniemi, A.-L., Saarialho-Kere, U., and Kähäri, V.-M. (1997) Am. J. 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(2004) Micron 35, 81-86. 45 46 BIOMINERALIZZAZIONE, BIOCRISTALLOGRAFIA E BIOCRISTALLOGRAFIA AMBIENTALE I progetti di questa linea di ricerca sono diretti allo studio avanzato, soprattutto di tipo strutturale, di sistemi biologici con lo scopo principale di riuscire a simulare i processi naturali per progettare e preparare nuovi materiali strutturali e materiali biocompatibili, nonchè di accumulare le conoscenze scientifiche indispensabili per sviluppare applicazioni biotecnologiche nei diversi settori da quello ambientale a quello farmacologico ed agro-industriale. 1 – Biomineralizzazione a) Base scientifica e tecnologica: La biomineralizzazione è il processo mediante il quale gli organismi formano dei materiali compositi, costituiti da macromolecole e minerali, con una grande varietà di proprietà adeguate alle funzioni che debbono svolgere. I processi di biomineralizzazione consistono nella conversione di ioni in soluzione in composti solidi attraverso attività cellulari che rendono possibili i cambiamenti chimico fisici necessari per la formazione dei biominerali e la loro crescita cristallina. La funzione più ovvia dei biominerali è quella di costituire strutture di supporto e protezione, tuttavia vengono anche ampiamente utilizzati in diversi organismi come sensori, oltre che come regolatori della concentrazione di ioni liberi. Gli studi sulla struttura dei tessuti biologici e sui meccanismi di formazione dei biominerali sono estremamente importanti per la progettazione di nuovi biomateriali. Nei tessuti biologici non viene spesa energia per modificare materiali e strutture non funzionanti, ma piuttosto per ottimizzare le microstrutture di quelle operanti. Inoltre i tessuti mineralizzati sono per lo più materiali compositi sofisticati in cui i componenti e le interfacce fra di essi sono stati definiti ed ottimizzati. Pertanto questi sistemi rappresentano modelli ideali a cui ispirarsi per la progettazione e sviluppo di nuovi biomateriali. La comprensione delle diversità morfologiche dei tessuti biologici mineralizzati, dal rivestimento microscopico degli organismi unicellulari fino ai gusci macroscopici di organismi marini, ed all'osso e ai denti dei vertebrati, hanno stimolato da secoli l'immaginazione e la curiosità dei ricercatori. Non meno stimolanti sono le particolari proprietà meccaniche che posseggono molti di questi materiali. La chiave per la comprensione delle proprietà meccaniche risiede chiaramente nella struttura sviluppata dagli organismi stessi. L'architettura di questi materiali coinvolge alcune delle comuni strategie usate nei materiali sintetici quali compositi a fibre rinforzate o a strati. Un'altra strategia fondamentale che molti organismi impiegano nella costruzione di questi materiali consiste nel controllo del minerale depositato. Ben noti esempi sono: le conchiglie dei molluschi e gli aculei del riccio di mare per quanto riguarda i tessuti contenenti come minerale il carbonato di calcio, oppure l'osso ed i denti dei vertebrati nel caso dei tessuti contenenti come fase minerale i fosfati di calcio. In questi tessuti le macromolecole sono organizzate in modo da formare una matrice polimerica sulla quale sono adsorbite glicoproteine acide. La matrice controlla la crescita della fase minerale interagendo sia con gli ioni inorganici che con le glicoproteine acide, influenzando anche le proprietà meccaniche del composito. Lo strato madreperlaceo delle conchiglie dei molluschi è stato il primo tessuto mineralizzato in cui è stata determinata la relazione spaziale tra cristalli e matrice organica. I cristalli sono di aragonite, il polimorfo del carbonato di calcio di poco meno stabile della calcite, che è il polimorfo termodinamicamente più stabile dei quattro polimorfi cristallini del carbonato di calcio. Le differenze strutturali fra calcite ed aragonite sono molto piccole e sono principalmente confinate alle posizioni degli ioni carbonato. Malgrado queste piccole differenze molti organismi controllano a livello genetico la formazione di uno dei due polimorfi. Esistono diversi esempi in cui la calcite si forma in un sito e l’aragonite in un altro sito dello stesso organismo. La vaterite e la monoidrocalcite sono gli altri due polimorfi cristallini del carbonato di calcio. Ambedue sono relativamente instabili, ma si formano e sono stabilizzati in alcuni organismi. Esistono anche, in 47 biologia, esempi di formazione di carbonato di calcio amorfo stabile. La comprensione del controllo del polimorfismo del carbonato di calcio in biologia richiede la soluzione di problemi connessi alla nucleazione controllata, ma soprattutto la risposta a domande ancora più interessanti relative ai vantaggi, che un polimorfo più di un altro può arrecare all’organismo. Uno degli obiettivi di questo programma di ricerca è quello di tentare di capire le basi molecolari per la deposizione di uno o di un altro di questi polimorfi con assoluta fedeltà. La matrice polimerica dello strato madreperlaceo delle conchiglie dei molluschi è costituita da uno strato interno di beta-chitina posto tra due strati polimerici di macromolecole simili alla fibroina della seta, ricoperti da glicoproteine acide su cui avviene la nucleazione dell’aragonite. E’ stato anche mostrato che esiste una relazione spaziale fra gli orientamenti dei componenti della matrice e degli assi cristallografici dell’aragonite. Un modello della matrice è stato costruito usando la βchitina della penna di calamaro e la fibroina della seta. Aggiungendo a questo substrato le macromolecole acide estratte dagli strati aragonitici o calcitici delle conchiglie di mollusco, è stato dimostrato che le macromolecole estratte dallo strato aragonitico inducono riproducibilmente la cristallizzazione dell’aragonite e quelle estratte dallo strato calcitico la cristallizzazione della calcite. Questi studi hanno dimostrato che l’induzione della cristallizzazione dell’aragonite o della calcite è interamente dipendente dalle proprietà strutturali del substrato. Recenti studi hanno anche dimostrato che il polimorfismo del carbonato di calcio può essere controllato facendo avvenire la cristallizzazione su matrici collagenose contenenti poli-L-aspartato. L’impiego di queste matrici hanno anche permesso di dimostrare che il microambiente, in cui avviene la cristallizzazione all’interno della matrice, condiziona l’assemblaggio dei cristalli. Nel tessuto osseo, il processo di biomineralizzazione consiste nella deposizione ordinata di cristalli di idrossiapatite su una matrice collagenosa. Studi condotti prevalentemente con tecniche di diffrazione di raggi X e di microscopia elettronica hanno permesso di evidenziare una stretta relazione strutturale tra i due componenti ed hanno portato alla formazione di un modello per la calcificazione delle fibre collagene. Secondo questo modello, in un primo stadio del processo di biomineralizzazione l’apatite è nucleata nella regione a minore densità elettronica della struttura fibrillare del collageno formando dei blocchi inorganici la cui densità elettronica aumenta all’avanzare del processo. In uno stadio successivo la deposizione va ad interessare anche gli spazi interfibrillari, dove si localizzano cristalli allungati e preferenzialmente orientati con il loro asse c parallelamente all’asse delle fibre collagene. La notevole influenza della organizzazione strutturale del collagene sulle modalità di deposizione della fase apatitica appare evidente anche dai risultati dello studio eseguito sulla calcificazione in vitro di tendini decalcificati. La fase che si deposita in seguito all’esposizione dei tendini a soluzioni metastabili di calcio e fosfato è una carbonato apatite poco cristallina, le cui caratteristiche morfologiche e strutturali sono molto simili a quelle proprie delle apatiti biologiche. Inoltre, i cristalli crescono con il loro asse cristallografico c preferenzialmente orientato in direzione parallela a quella delle fibrille collagene. Inoltre, i dati di diffrazione di raggi X a basso angolo dei campioni trattati con soluzioni a basso grado di sovrasaturazione indicano che la deposizione della fase apatitica provoca modificazioni della distribuzione di densità elettronica, che possono essere attribuite alla deposizione dei cristalli inorganici nella regione “gap” della struttura fibrillare del collagene. Il grado relativo di orientazione dei cristalliti apatitici e delle fibre collagene nei tessuti calcificati puo' essere valutato rispettivamente dall'analisi della distribuzione dell'intensita' del riflesso 002 dell'idrossiapatite e dei riflessi meridionali a basso angolo del collageno. Questo approccio, utilizzato in diversi tessuti biologici calcificati sottoposti o meno a deformazione meccanica, ha permesso di determinare l’orientazione relativa dei due componenti strutturali e correlare le diverse proprieta' meccaniche alle diverse organizzazioni strutturali dei tessuti esaminati. In particolare, sono state studiate le modificazioni strutturali indotte in osteoni singoli da cicli successivi di carico/rimozione del carico. E’ stato verificato che il ciclaggio provoca una riduzione del grado di orientazione dei cristalli apatitici, specialmente negli osteoni a struttura longitudinale, in cui le lamelle longitudinali sono predominanti e non sono protette dall’azione contenitiva delle lamelle trasversali come negli osteoni a struttura alterna. D’altra parte, il ciclaggio 48 non sembra alterare l’orientazione delle fibrille collagene, probabilmente perché il loro disorientamento è un processo reversibile. Su queste basi, la degradazione meccanica degli osteoni in seguito a ciclaggio è stata attribuita ad una separazione dei cristalli dalle fibrille collagene. Un simile approccio è stato utilizzato per studiare l’organizzazione morfologica dei componenti strutturali nella tibia di coniglio, che viene spesso utilizzato per testare la risposta del tessuto osseo a materiali da impianto. I risultati, confrontati con quelli parallelamente ottenuti con tecniche di microscopia ottica, indicano che sia i cristalli apatitici sia le fibrille collagene presentano una preferenziale orientazione in direzione parallela all’asse lungo della tibia. Le differenze riscontrate nella direzione dello spessore rispetto al piano delle lamelle parallele all’asse lungo della tibia, indicano che entrambi i componenti giacciono preferenzialmente nel piano lamellare dove seguono un percorso obliquo. Inoltre il grado di orientazione dei cristalli apatitici è maggiore nella faccia laterale della tibia, rispetto alla caudale ed alla media, cosa di cui è bene tener conto nella valutazione delle modificazioni strutturali dovute all’eventuale inserimento di una protesi. Lo sviluppo di nuovi materiali che possano essere utilizzati per riparare difetti nel sistema scheletrico rappresenta un importante obiettivo nella scienza dei biomateriali. I materiali in oggetto dovrebbero essere in grado di espletare una quantità di funzioni, da quella cementante, a quella strutturale a quella bioattiva. Allo stato attuale delle ricerche, i biomateriali utilizzati come sostituti del tessuto osseo sono per lo più materiali ceramici ottenuti con processi ad elevate temperature, che raramente sono in grado di interagire efficacemente con il tessuto osseo. La formazione di questi legami è un obiettivo scientifico e tecnologico di notevole interesse. A questo scopo, e più in generale per mettere a punto la preparazione di nuovi materiali con particolari proprietà tecnologiche, sempre più attenzione viene rivolta alle soluzioni adottate dagli organismi viventi durante i processi di biomineralizzazione per sviluppare materiali in cui la funzione viene controllata dalla forma. Infatti gli organismi viventi hanno costruito scheletri mineralizzati per gli ultimi 550 milioni di anni sviluppando una moltitudine di strategie, spesso diverse da quelle utilizzate dall’ingegneria, per ottimizzare questi materiali. Processi biomimetici che simulano quelli propri della biomineralizzazione sono stati utilizzati con successo per preparare materiali, quali ossidi di ferro, apatite, solfuro di cadmio, che trovano impiego in diversi settori tecnologici. I biominerali sono in genere compositi assemblati da materiali facilmente disponibili, di solito in mezzo acquoso, a temperatura ambiente ed in modo da ottenere forme definite. L’idrossiapatite sintetica, riveste quindi un notevole interesse come biomateriale per la sua elevata biocompatibilità. In particolare, l’utilizzo di idrossiapatite nanocristallina, di dimensioni paragonabili a quelle dei cristalli apatitici dell’osso, risulta particolarmente auspicabile in quanto l’elevata area superficiale dovrebbe implicare una migliore adesione alla matrice ossea. Un ulteriore miglioramento può essere ottenuto dall’utilizzo di compositi idrossiapatite/polimeri, le cui proprietà meccaniche possono essere modulate attraverso un opportuno dosaggio dei due componenti. La presenza della componente polimerica può migliorare notevolmente il legame interfacciale con il tessuto osseo. Ottimizzare il legame interfacciale con il tessuto biologico significa ottimizzare l’adesione, la diffusione, la migrazione e la proliferazione della componente cellulare. Tale obiettivo può essere raggiunto anche attraverso la messa a punto di superfici nanostrutturate in grado di controllare la nucleazione e crescita della fase inorganica. BIBLIOGRAFIA 1. Stupp, I, Ciegler, W, J. Biomed. Mater. Res. (1996) 26, 169 2. Huer, AH, Fink, DJ, Laraia, VJ, Arias JL, Calvert, PD, Kendal K., Messing, GL, Blackwell, J., Rieke, PC, Thompson, DH, Wheeler, AP, Veis, A, Caplan, AI, Science (1992) 255, 1098 3. Bunker, BC, Rieke, PC, Tarasevich, BJ, Campbell, AA, Fryxell, GE, Graff, G, Song, L, Liu, J, Virden, J, Mc Vay G, Science (1994) 264, 48 4. Bigi, A, Foresti, E, Gregorini, R, Ripamonti, A, Roveri, N and Shah,JS, Calcif. Tissue Int., (1992) 50, 439 49 5. Bigi, A and Roveri, N,in Handbook on Synchrotron Radiation, vol. 4 (S. Ebashi, M. Koch and E. Rubenstein, eds.) North Holland, Amsterdam, pp. 199-240 (1991) 6. Tanner, KE, Doyle, C and Bonfield, W, in Clinical implants materials: advances in biomaterials, Vol. 9, Elsevier Science, Amsterdam, 1990, p.149 7. Verheyen, CCPM, De Wijn, JR, Van Blitterswijk, CA, Rozing, PM and De Groot, K, in Bone bonding biomaterials, Ducheyne, P, Kokubo, T and van Bliytterswijk, CA, eds., Reed Healthcare Communications, Leiderdorp, Netherlands, 1992, p.153 8. Weiner, S and Addadi, L, J. Mat. Chem., (1997) 7, 689 9. Falini, G, Albeck, S, Weiner, S, Addadi, L, Science (1996) 271, 67 10.Falini, G, Int. J. Inorg. Mat. (2000) 2, 455 11.Falini, G, Fermani, S, Gazzano, M, Ripamonti, A, Chem. Eur. J. (1997) 3, 1807; (1998) 6, 1408; J. Mat. Chem. (1998) 8, 1061 b) Obiettivi specifici: UNITA’ DI BOLOGNA 1) Biomimetics and Material Chemistry A. Bigi, E. Boanini, S.Panzavolta La chimica biomimetica è una scienza relativamente giovane indirizzata alla progettazione ed alla realizzazione di nuovi materiali sintetici, utilizzando le strategie adottate dagli organismi viventi per produrre i materiali biologici. Infatti, i compositi inorganici/organici sintetizzati dagli organismi viventi spesso presentano peculiari proprietà morfologiche, strutturali e meccaniche, non facilmente riproducibili con i metodi di sintesi convenzionali [1-3]. Pertanto possono essere considerati modelli ideali a cui ispirarsi per la progettazione di materiali funzionali complessi. Gli approcci biomimetici generalmente prevedono la simulazione di una o più delle diverse strategie utilizzate dagli organismi viventi per controllare in modo selettivo la deposizione della fase minerale al fine di ottenere un materiale appropriato per le specifiche esigenze biologiche [4]. Un principio basilare nei processi di biomineralizzazione è il coinvolgimento delle macromolecole presenti nella matrice organica nel controllo della nucleazione e crescita della fase inorganica [5,6]. Nel tessuto osseo, cosi come in moltri altri tessuti mineralizzati, la matrice organica comprende macromolecole “strutturali” e macromolecole “acide”. La principale funzione delle macromolecole strutturali, come il collagene nell’osso, è quella di agire da templato per la deposizione della fase inorganica. Le macromolecole acide, grazie alla presenza dei gruppi carichi negativamente, come il carbossilato, il fosfato ed il solfato, possono interagire con le superfici cariche dei cristalli e condizionare la cristallizzazione e la crescita della fase minerale. La fase inorganica dell’osso e dei denti viene descritta come una carbonato apatite poco cristallina, non stechiometrica, caratterizzata da un rapporto Ca/P minore del valore stechiometrico di 1.67 e da cristalli di dimensioni insolitamente piccole. Inoltre, si ritiene che le apatiti biogeniche rappresentino la fase finale di un processo in cui altri fosfati di calcio fungono da precursori [7]. E’ evidente che la produzione di materiali compositi a base di fosfati di calcio riveste un notevole interesse per lo sviluppo di nuovi materiali, ed in particolare di biomateriali innovativi in grado di riparare difetti nel sistema scheletrico. In questo ambito, nel triennio 2005-2007 verranno sviluppate le seguenti linee di ricerca: 1. Sintesi di ibridi a base di fosfati di calcio e di molecole biologicamente attive: 50 L’utilizzo di molecole e macromolecole biologicamente attive durante la sintesi di fosfati di calcio permette di modulare la cristallinità, la morfologia e la stabilità dei cristalli inorganici, e la biodegradabilità, la bioattività e le proprietà meccaniche dei prodotti finali [8,9]. In particolare saranno utilizzati aminoacidi, poliaminoacidi e polielettroliti, cosi come altre molecole e macromolecole ricche di gruppi carichi, quali sistemi modello delle macromolecole acide coinvolte nei processi di calcificazione. Queste molecole verranno introdotte come additivi durante la sintesi in soluzione acquosa di idrossiapatite, Ca10(PO4)6(OH)2 (HA), e di altri fosfati di calcio di interesse biologico. Verranno utilizzate anche reazioni di idrolisi in presenza di polimeri sintetici e/o biologici in soluzione allo scopo di verificare il ruolo di macromolecole ricche in gruppi carichi sulla stabilità relativa dei fosfati di calcio e sui processi di conversione di fase in soluzione acquosa, e metodi alternativi di sintesi, come la sintesi sol-gel. Le proprietà chimico-fisiche dei prodotti ottenuti saranno caratterizzate utilizzando tecniche di diffrazione di raggi X, di microscopia elettronica a scansione e/o a trasmissione, tecniche spettroscopiche e spettrofotometriche. 2. Deposizione di fosfati di calcio su matrici microstrutturate: E’ noto che la stessa molecola che in soluzione può inibire la nucleazione e crescita di una fase inorganica, può agire invece da promotore della nucleazione se adsorbita su un substrato. Inoltre la struttura del substrato stesso condiziona notevolmente le modalità di deposizione della fase inorganica [10]. Verrà pertanto studiata la nucleazione e crescita in vitro di fosfati di calcio su matrici funzionalizzate, come polimeri arricchiti con gruppi carichi, e superfici polimeriche e metalliche microstrutturate contenenti domini in grado di promuovere la nucleazione e crescita ordinata di nanocristalli di fosfato di calcio. L’esposizione delle matrici al contatto con soluzioni contenenti ioni calcio e ioni fosfato per periodi di tempo diversi, e la loro successiva completa caratterizzazione strutturale e morfologica, permetterà di valutarne l’influenza sulla nucleazione e crescita di fosfati di interesse biologico. Inoltre, la calcificazione di tali matrici permetterà di ottenere una microstruttura di fosfato di calcio, e quindi un materiale composito microstrutturato che unisce alle proprietà della matrice microstrutturata quelle osteoinduttive del fosfato di calcio. 3. Caratterizzazione chimica e strutturale di tessuti calcificati: Verrà analizzata la relazione strutturale tra fibre collagene e cristalliti inorganici, e le caratteristiche chimiche, morfologiche e strutturali dei cristalli biogenici, in tessuti calcificati di diversa origine e funzione al fine di acquisire ulteriori informazioni sui meccanismi coinvolti nei processi di biomineralizzazione. In particolare questi studi saranno effettuati utilizzando tecniche di diffrazione di raggi X ad alto e basso angolo con sorgenti convenzionali e luce di sincrotrone [11]. 4. Nuovi biomateriali per applicazioni nel settore ortopedico. I fosfati di calcio rivestono un notevole interesse come biomateriali per applicazioni nel settore ortopedico grazie alla loro capacità di formare legami con i tessuti circostanti [12]. In questo ambito verranno studiati: a) Cementi ossei a base di fosfati di calcio. I cementi ossei a base di fosfati di calcio sono biocompatibili, bioattivi, facilmente modellabili, e possono essere utilizzati in un ampio spettro di applicazioni chirurgiche. Verranno ottimizzate le condizioni di preparazione di cementi ossei apatitici, e verrà studiata l’influenza di alcuni parametri sulla reazione di indurimento e sulle proprietà chimico fisiche dei cementi. b) Compositi fosfati di calcio-polimeri biodegradabili Materiali compositi inorganici/polimerici trovano ampie applicazioni come materiali sostitutivi del tessuto osseo. In particolare, i materiali più studiati sono a base di idrossiapatite e polimeri biodegradabili, in cui la stabilità, la degradabilità e le proprietà meccaniche sono determinate dalla composizione e dalla 51 struttura del composito. La ricerca prevede la messa a punto della preparazione dei compositi, utilizzando fosfati di calcio e polimeri e copolimeri biodegradabili, e la caratterizzazione delle loro proprietà chimiche, strutturali, morfologiche e meccaniche. c) Rivestimenti di substrati a base di Ti. I materiali a base di Ti trovano largo impiego nel settore delle protesi ortopediche e dentarie, grazie anche alle ottime proprietà meccaniche del Titanio e delle sue leghe metalliche. La qualità degli impianti può essere migliorata tramite rivestimenti in grado di accelerare il processo di osteointegrazione e di controllare la formazione di legami con il tessuto connettivo circostante la protesi. A tal fine verranno messi a punto metodi biomimetici di rivestimento di substrati di Ti o di leghe di Ti con fosfati di calcio aventi specifiche proprietà chimiche, morfologiche e strutturali. Inoltre saranno sintetizzati nanocristalli di HA e cristalli di ottacalcio fosfato, Ca8H2(PO4)6•5H2O (OCP), variamente modificati, da utilizzare per effettuare rivestimenti tramite tecniche fisiche, quali la Pulsed Laser Deposition. I risultati di queste ricerche forniranno informazioni utili non solo per la preparazione di materiali innovativi, ma anche per acquisire nuove conoscenze sulle proprietà chimiche e strutturali dei fosfati di calcio e sui meccanismi che regolano i processi di biomineralizzazione. BIBLIOGRAFIA [1] H.A. Lowenstam, S. Weiner On Biomineralization, Oxford University Press, Oxford, 1989. [2] A.H. Heuer, D.J. Fink, V.J. Laraia, J.L. Arias, P.D. Calvert, K. Kendal, G.L. Messing, J. Blackwell, P.C. Rieke, D.H. Thompson, A.P. Wheeler, A. Veis, A.I. Caplan, Science 1992, 255, 1098-1105. [3] B.C. Bunker, P.C. Rieke, B.J. Tarasevich, A.A. Campbell, G.E. Fryxell, G. Graff, L. Song, J. Liu, J. Virden, G. Mc Vay, Science 1994, 264, 48-55. [4] S. Mann, Biomineralization. Principles and Concepts in Bioinorganic Materials Chemistry,Oxford University Press, Oxford, UK, 2001. [5] S. Weiner, L., Addadi, J. Mater. Chem. 1997, 7, 689-702. [6] AL. Boskey, Calcif. Tissue Int.1998;63, 179-182. [7] J.C. Elliott, Structure and Chemistry of the Apatites and Other Calcium Orthophosphates; Elsevier Sci.; The Neitherlands, 1994. [8] A. Bigi, E. Boanini, D. Walsh, S. Mann, Angew. Chem. Int. Ed. 41 (2002) 2163-2166. [9] S.I. Stupp, P.V. Braun, Science, 1997, 227, 1242-1248. [10] A. Bigi, E. Boanini, S. Panzavolta and N. Roveri, Biomacromolecules 1 (2000) 752-756. [11] MG Ascenzi, A Ascenzi, A Benvenuti, M Burghammer, S Panzavolta, A Bigi, J Struct Biol 141 (2003) 22-33. [12] W Suchanec, M Yoshimura, J Mater Res 13 (1998) 94-117. 2) Environmental and Biological Structural Chemistry G. Falini, E. Foresti, B. Palazzo, N. Roveri, M.C. Sidoti I progetti di questa linea di ricerca sono diretti allo studio avanzato, soprattutto di tipo strutturale, di sistemi biologici con lo scopo principale di riuscire a simulare i processi naturali per progettare e preparare nuovi materiali strutturali e materiali biocompatibili, nonché di accumulare le conoscenze scientifiche indispensabili per sviluppare applicazioni biotecnologiche nei diversi settori da quello ambientale a quello farmacologico ed agro-industriale. 52 1) Interazione chitina-seta: rilevanza nella formazione del carbonato di calcio negli invertebrati (G. Falini) Nei tessuti mineralizzati, quali le conchiglie, la chitina è sempre associata a proteine, molte delle quali hanno delle sequenze in grado di riconoscere questo polisaccaride. Inoltre, nella matrice organica associata alla conchiglia dei molluschi è stata osservata una relazione strutturale ben definita tra gli assi cristallografici dei cristalli e le fibrille di chitina. Questo implica che il substrato a base di chitina funziona, direttamente o indirettamente, come templato per la nucleazione della fase minerale. E’ quindi di notevole interesse capire l’esatta natura dell’interfaccia tra chitina e proteine nei tessuti mineralizzati a livello molecolare. La matrice organica della conchiglia dei molluschi contiene due differenti classi di proteine. Una classe, ricca di glicina e alanina, adotta una conformazione beta e possiede una sequenza di amminoacidi simile alla fibrina della seta. L’altra classe è un complesso insieme di glicoproteine idrofiliche, molte delle quali sono ricche in residui aspartici. Tale matrice organica, secondo un modello ottenuto tramite studi di microscopia elettronica a trasmissione in condizioni criogeniche, è costituita da un idrogel di seta intrappolato in una struttura costituita da chitina. Un simile assemblaggio sintetico è stato prodotto utilizzando della chitina beta estratta dalla penna di calamaro (Loligo vulgaris), della fibrina della seta estratta dai bozzoli di Bombyx mori e le glicoproteine acide estratte da diversi tessuti mineralizzati. Si è dimostrato come questo assemblaggio supramolecolare sia in grado di controllare il polimorfismo del carbonato di calcio. Tutti i componenti dell’assemblaggio hanno un ruolo specifico e solo la loro ordinata e definita associazione permettere di ottenere la funzione di controllo. Misure di fluorescenza hanno dimostrato come la seta sia intimamente associata alle fibre di chitina, sebbene il meccanismo di interazione non era stato ben definito, sia nell’assemblaggio artificiale che nel sistema in vivo. L’importanza dell’interazione tra la chitina e le proteine è stata dimostrata mediante la sintesi di un assemblaggio nel quale si è variata la composizione relativa dei componenti e si è resa massima la loro interazione a livello molecolare. Tale studio ha dimostrato come la chitina conservi la sua struttura fibrillare e come la seta sia effettivamente presente in uno stato di gel, in accordo con il modello proposto. L’obiettivo principale delle ricerche in programma è di chiarire il ruolo della matrice macromolecolare sulla deposizione e crescita di sali di calcio durante i processi di mineralizzazione attraverso lo studio della nucleazione e crescita in vitro di fasi minerali su matrici, che simulino i sistemi naturali. Il significato di questo studio inizialmente consisterà nel miglioramento delle conoscenze dei problemi più stimolanti della biomineralizzazione. L’attesa, però, è di utilizzare tali conoscenze, in particolare quelle riguardanti il modo di ottimizzare la crescita di minerali, per progettare, preparare e caratterizzare biomateriali a base di sali inorganici e macromolecole biologiche con proprietà meccaniche e strutturali prestabilite. Obiettivi specifici. Verranno analizzate la struttura, le proprietà meccaniche e la stabilità di alcuni polimeri biologici, quali collageno, gelatina, fibrina, chitina, fibroina della seta. Verrà inoltre valutata l’influenza dell’orientamento, ottenuto per deformazione meccanica, e della reticolazione con agenti chimici e fisici su questi parametri. I dati ottenuti verranno utilizzati per la realizzazione di matrici composite del tipo collageno o gelatina e polielettroliti, capaci di simulare la matrice macromolecolare su cui avviene la deposizione biologica di fosfati di calcio, o del tipo chitina e fibrina della seta, capaci di simulare la deposizione di carbonato di calcio negli organismi marini. Particolare attenzione verrà posta agli aspetti strutturali della matrice in vivo, tramite studi di diffrazione di raggi X utilizzando sorgenti di sincrotrone con micro-fascio. Tale studio si avvarrà dell’esperienza fornita dalla collaborazione con vari gruppi stranieri, per la scelta delle matrici di maggior rilevanza biologica sia dal punto di vista evoluzionistico che strutturale. 53 2) Sintesi biomimetiche e autoassemblaggio molecolare G.Falini, E.Foresti, B.Palazzo, N.Roveri, M.C.Sidoti Il termine biomineralizzazione si riferisce al processo mediante il quale gli organismi biologici, da quelli unicellulari all’uomo formano minerali in grado di svolgere funzioni biologiche specifiche. La formazione del tessuto osseo nei vertebrati superiori e’ sicuramente uno dei processi di biomineralizzazione piu’ interessanti e piu’ studiati. Il tessuto osseo e’ costituito da fibre di collagene I associate in modo ordinato con cristalli di fosfato di calcio. Processi di mineralizzazione analoghi a quello che si ha nell’osso si osservano anche in altri sistemi quali la dentina e il tendine mineralizzato. Sebbene vi siano differenze nell’ organizzazione ultrastrutturale di questi tessuti, essi sembrano avere molte proprieta’ comuni nell’ organizzazione molecolare. Inoltre durante il loro processo di formazione essi seguono tutti lo stesso meccanismo: il componente organico (collagene) viene sintetizzato, estruso dalla cellula, e si auto-assembla nella matrice extracellulare prima che abbia inizio il processo di biomineralizzazione. Per questa ragione, l’osso e’ un ottimo esempio di processo di mineralizzazione mediato da matrice organica (collagene).1 Sono stati identificati almeno 19 tipi di collagene geneticamente diversi tuttavia il tipo I e’ il piu’ abbondante e rappresenta il maggior costituente proteico dei tendini e delle ossa, mentre quello di tipo II e’ il costituente proteico principale della cartilagine sinoviale.2 La molecola di collagene e’ costituita da tre catene polipetidiche , ciascuna avvolta in un’ elica sinistrorsa, stabilizzata da legami idrogeno e con molecole d’acqua a ponte intercatena. Le tre eliche sono avvolte in una superelica destrorsa per formare la caratteristica struttura coiled-coil, stabilizzata da reticolazioni inter e intramolecolari. Le molecole di collagene hanno un peso di circa 300000 Dalton, una lunghezza di circa 300 nm e un diametro di 1,3 nm. La conformazione a tripla elica e’ dovuta alla regolarita’ della sequenza amminoacidica, dove ogni terza posizione e’ occupata da una glicina ; questo porta alla ripetizione lungo l’elica dell’unita’ tripeptidica Gly-X-Y, dove le posizioni X ed Y sono frequentemente occupate dalla prolina e dall’idrossiprolina. Alle estremita’ delle singole eliche questa sequenza non e’ rispettata, per cui le tre catene non possono avvolgersi e assumere la tipica conformazione a tripla elica: queste regioni disordinate sono dette telopeptidiche. Le molecole di collagene si assemblano per dare microfibrille che a loro volta si assemblano in fibrille che formano infine la fibra collagene. Le fibrille sono stabilizzate da legami di natura elettrostatica e da legami covalenti, formando reticolazioni che conferiscono alle fibre collagene specifiche proprieta’ meccaniche, tra cui una forza tensile particolarmente elevata, che rende il collagene il componente del tessuto connettivo a piu’ alto modulo elastico. Sono stati ampiamente utilizzati approcci biomimetici per sintetizzare fosfati di calcio su matrici macromolecolari che agiscono da templanti e inducono la deposizione del minerale lungo direzioni preferenziali.3-9 I sistemi biologici sono in grado di conservare e processare le informazioni a livello molecolare: sono state impiegate molecole di collagene I, private delle regioni telopeptidiche come sorgente di informazioni per nucleare nanocristalli di idrossiapatite all’ interno delle fibre di collagene autoassemblate.10 A partire da molecole di collagene di tipo I estratte da tendine equino private delle regioni telopeptidiche sono stati preparati e caratterizzati film dal punto di vista meccanico, morfologico, chimico e strutturale impiegando tecniche di Microscopia a Forza Atomica (AFM), Microscopia Elettronica a Scansione (SEM) e Trasmissione (TEM), Analisi Termogravimetrica (TGA), Calorimetria Differenziale a Scansione (DSC), Test meccanici, Diffrazione di Raggi X (XRD). I risultati ottenuti hanno indicato la presenza di informazioni a livello molecolare che consentono alla tripla elica del collagene di autoassemblarsi, ripristinando le reticolazioni intermolecolari che rendono i film insolubili e caratterizzati da notevoli proprieta’ meccaniche. Attraverso la deformazione meccanica (prestiro) e’ stato possibile ottenere films con proprieta’ 54 termiche, strutturali e meccaniche molto vicine a quelle del tendine, ottenendo un livello di rinaturazione pari al 93% per film al massimo grado di prestiro.11 Questi film possono essere impiegati come substrati per i processi di biomineralizzazione. A questo scopo i film sono stati immersi in una soluzione metastabile di calcio e fosfato e a tempi definiti sono state monitorate le concentrazioni di calcio e fosfato in soluzione: i risultati preliminari mettono in evidenza un effetto della matrice sulla formazione di una fase minerale. Infatti, in presenza di matrice si rileva un rapporto Ca/P pari a 1,69 molto vicino all’ 1,67 che si riscontra nell’idrossiapatite, mentre in assenza di matrice questo rapporto assume il valore di 1,53. In futuro ci si propone di: • Studiare l’ interazione tra fase minerale e collagene mediante FT-IR Imaging • Studiare la cristallinita’ dell’apatite mediante Diffrattometria a Raggi X • Studiare i processi di biomineralizzazione impiegando come matrici film di collagene I sottoposti ad un prestiro, per valutare l’effetto della deformazione meccanica sulla formazione dei cristalli di fase minerale • Studiare i processi di biomineralizzazione impiegando come matrici film di collagene con telopeptidi per studiare l’effetto delle regioni telopeptidiche sul processo di biomineralizzazione. • Caratterizzare film di collagene di tipo II con e senza telopeptidi. • Impiegare membrane di collagene di tipo II come matrici per i processi di biomineralizzazione. • Valutare l’eventuale azione inibitrice del collagene II, estratto da cartilagine (tessuto non mineralizzato), relativamente al processo di nucleazione di fase minerale. BIBLIOGRAFIA [1] H.A. Lowestam, S. Weiner, On Biomineralization, Oxford Univ. Press, New York, 1989. [2] M.E. Nimni (Ed.), Collagen, CRC Press, Boca Raton, FL, 1988. [3] A.L. Boskey, Calcif. Tissue Int. 63 (1998) 179– 182. [4] A. Bigi, E. Boanini, S. Panzavolta, N. Roveri, Biomacromolecules 1 (4) (2000) 752– 756. [5] M. Kikuchi, S. Itoh, S. Ichinose, K. Shinomiya, J. Tanaka, Biomaterials 22 (13) (2001) 1705– 1711. [6] J.D. Hartgerink, E. Beniash, S.I. Stupp, Science 294 (2001) 1684– 1688. [7] H.K. Varma, Y. Yokogawa, F.F. Espinosa, Y. Kawamoto, K. Nishizawa, F. Nagata, T. Kameyama, J. Mater. Sci., Mater. Med. 10 (1999) 395–400. [8] J.H. Bradt, M. Mertig, A. Teresiak, W. Pompe, Chem. Mater. 11 (1999) 2694– 2701. [9] F. Miyaji, H.M. Kim, S. Handa, T. Kokubo, T. Nakamura, Biomaterials 20 (1999) 913– 919. [10] N. Roveri, G. Falini, M.C. Sidoti, A. Tampieri, E. Landi, M. Sandri, B. Parma, Materials Science and Engineering C, 23 (2003) 441-446. [11] G. Falini, S. Fermani, E. Foresti, B. Parmaa, K. Rubini, M. C. Sidoti and N. Roveri, in stampa: Journal of Materials Chemistry. 3) Biomateriali costituiti da fosfati di calcio e xerogeli di silice con funzioni di dispensatori di farmaci E.Foresti, B.Palazzo, N.Roveri, P. Sabatino, M.C.Sidoti Le funzionalità richieste ai biomateriali di terza generazione sono non soltanto la biocompatibilità e la bioriassorbibilità ma anche la bioattività. Fra i materiali bioattivi si collocano quelli in grado di agire come dispensatori di farmaci ovvero di rilasciare sostanze farmacologicamente attive nell’intorno dell’impianto.1 55 La necessità di realizzare dispensatori di farmaci ad azione locale nasce dall’esigenza di superare alcuni effetti negativi legati ai metodi di somministrazione tradizionali quali l’instabilità del principio attivo e gli effetti tossici dovuti al sovradosaggio. Il target funzionale nella realizzazione dei dispensatori è quello di raggiungere una velocità di rilascio programmabile in virtù delle esigenze terapeutiche cui il farmaco è preposto e prolungata, tale da assicurare una concentrazione di farmaco costante, efficace ma non tossica ed in grado di permanere nell’organismo per il lasso di tempo desiderato.2 In questo ambito si colloca questa parte dell’ attività di ricerca che si è indirizzata verso la sintesi di fosfati di calcio e xerogel di silice da utilizzare come “drug delivery agent”. Entrambi i materiali trovano applicazione in chirurgia ortopedica e maxillo-facciale. Essi risultano infatti essere osteoconduttivi in quanto su di essi preesiste 3 o, nel caso dei biovetri, viene formato al momento del loro utilizzo nell’impianto, uno strato superficiale apatitico, condizione necessaria alla formazione di nuovo osso.4 Inoltre i gel di silice trovano applicazione anche nella preparazione di organi artificiali e risultano nuovi biomateriali da utilizzare per il rilascio controllato di molecole bioattive.5 Sulla base di queste premesse sono in fase di sviluppo diverse strategie sperimentalied in particolare: a) Sintesi di fosfati di calcio (precursori di idrossiapatite) in “mild condition” e studio delle condizioni di idrolisi in HA. Tali metodiche verranno utilizzate al fine di incorporare nella matrice inorganica, in fase di sintesi, complessi di Pt e Au che agiscono come antitumorali, i quali risultano instabili a temperature più elevate della temperatura ambiente ed a pH maggiori del pH fisiologico. L’incorporazione dei suddetti antitumorali potrebbe anche esser fatta avvenire durante l’idrolisi dei fosfati di calcio (ad esempio brushite ) in HA . b) Sintesi di nanocristalli di HA di dimensione, area superficiale e cristallinità modulabili al variare dei parametri di sintesi su cui verrà effettuato l’adsorbimento di complessi di Pt e Au con funzione di antitumorali. c) Funzionalizzazione superficiale di nanocristalli di HA con amminoacidi. Fino ad ora gli amminoacidi sono stati usati per aumentare la bioattività dell’idrossiapatite sintetica 6, in virtù del fatto che la presenza di proteine (e dunque di amminoacidi ) nei materiali biologici è intrinseca nella bioattività della HA.7 Nel nostro caso tale funzionalizzazione avrà anche e soprattutto il fine di modulare le proprietà della HA come “drug-delivery” agent. Gli amminoacidi fungerebbero da ponte fra la molecola di antitumorale ed il carrier idrossiapatitico. d) Sintesi di xerogel di silice mediante tecnica “sol-gel”. Sono stati utilizzati dei catalizzatori al fine di ridurre il tempo dei processi di gelificazione e maturazione del gel. Infatti si è recentemente dimostrato come le proprietà di rilascio dei suddetti materiali varino in maniera significativa con il tempo di “storage”, in un modo che è proporzionale al tempo richiesto per la gelificazione. La riduzione dei tempi richiesti per la gelificazione e maturazione del gel è necessario al fine di ottenere matrici con proprietà di rilascio stabili.8 Anche il profilo di rilascio del farmaco intrappolato è influenzato dall’aggiunta del catalizzatore ed in particolare si è visto come all’aumentare del rapporto molare cat/alcox aumenta la velocità di rilascio come conseguenza dell’ aumentata area superficiale. In virtù di tali considerazioni verrà sfruttata la possibilità di modulare il rilascio in funzione di parametri di sintesi e di processo. Le matrici di cui sopra potranno essere studiate come carrier, di antitumorali a base di Au e di composti di Pt contenenti leganti amminobisfosfonati (antitumorali selettivi nei confronti dei tumori ossei in virtù dell’affinità del gruppo fosfonato per gli ioni calcio). Gli xerogels ottenuti verranno inoltre studiati come carrier di un farmaco ad alto PM: l’eparina. L'Eparina é una definizione di Farmacopea e viene valutata per la sua attività anticoagulante .In realtà "Eparina" é un "family appellation" ossia, dal punto di vista chimico, essa é una popolazione di molecole aventi diverse masse molecolari e microeterogeneità strutturale, cui sono associati diversi livelli di attività biologica. E’ prevedibile che frazioni epariniche a basso PM vengano rilasciate più velocemente di frazioni epariniche ad alto PM. 56 E’ auspicabile dunque che si riesca a modulare nel tempo non solo la concentrazione di farmaco presente nei liquidi fisiologici, ma anche la sua attività stessa. BIBLIOGRAFIA [1] M. J. Mahoney, W.M.Saltzman, Nature Biotechnol. 19, (2001), 934. [2] K. E. Uhrich, S.M. Cannizzaro, R.S. Langer, K.M. Shakesheffe,, Chem. Rev. 99, (1999), 3181. [3] J.W.Wilson, Science, 226, (1984), 630 [4] Radin, Falaize, Lee, Ducheyne Biomaterials 23 (2002) 3113-3122 [5] Santos EM, Radin, Ducheyne,. Biomaterials 20 (1999);20:1695-700] [6] S. Koutsopoulus, E. Dalas, Hydrixyapatite crystallisation in the Presence of aminoacids with uncharged Polar Side Groups : Glycine, Cysteine, Cystine and Glutamine., Langmuir, 2001:17:1074-1079. [7] D. Worms, S. Weiner , J. Exp. Zool., 1986:237:11-20. [8] Morpurgo, Teoli, Palazzo, Bergamin, Realdon, Guglielmi Silica Xerogels for the sustained release of drugs: the release properties depends on synthesis and processing parameters. Submitted to Journal of controlled release UNITA’ DI ANCONA Applicazione di metodi spettrometrici e diffrattometrici nello studio di materiali polimerici sintetici e naturali (biomolecole). P. Bruni, G. Tosi, E. Giorgini, M. Pisani, C. Conti La spettroscopia infrarossa a trasformata di Fourier è da considerare una tecnica di fondamentale importanza per le sue applicazioni nel campo della biologia, della medicina e nello studio dei materiali. La spettroscopia di ‘micro chemical imaging’ è da qualche anno considerata una formidabile tecnica diagnostica in grado di analizzare modi vibrazionali ottenendo informazioni spaziali e spettrali su un campione con grande facilità, rapidità e ottima risoluzione spaziale. L’utilizzo di adeguati metodi di indagine statistica e chemometrica può ulteriormente aumentare l’utilità di queste mappe chimiche per ‘clusterizzazione’ dei dati e con possibilità di estrarre informazioni analiticamente utili. 1. Microspettroscopia FT-IR imaging su materiale proveniente da operazioni chirurgiche e da ago aspirato. Vengono studiate le caratteristiche vibrazionali, anche a livello di singola cellula, di campioni derivanti da operazioni chirurgiche o da ago aspirato come potenziale mezzo diagnostico da accoppiare a quelli tradizionalmente utilizzati in istologia, citologia e immunocitochimica e come strumento per la diagnosi precoce. In particolare vengono analizzate lesioni del collo, del cavo orale e della tiroide nonché le caratteristiche evolutive di placche ateromasiche. 2. Applicazioni della Spettroscopia del Medio e Vicino infrarosso nel campo di materiali plastici. a) Ottimizzazione dell’utilizzo di resine fotosensibili in campo odontoiatrico. La Spettroscopia del Medio e Vicino Infrarosso viene impiegata per studiare l’influenza dell’intensità di varie lampade e della durata dell’esposizione sul grado di conversione, sulla morfologia e sulle proprietà meccaniche di resine e compositi fotopolimerizabili di largo impiego in Odontoiatria. 57 b) Studio di materiali polimerici per protesi. La Microscopia ATR FT-IR, insieme a determinazioni della micro durezza e a simulazioni FEM, si rivelano strumenti idonei per lo studio di materiali plastici di impiego nella medicina ed in particolare per le protesi d’anca. I risultati permettono di meglio chiarire la morfologia e la distribuzione di zone cristalline che possono causare logorio e granulomatosi e quindi insuccesso dell’impianto. c) Impiego del Chitosano e dell’ossichitina in rivestimenti prostatici. Il Chitosano può essere rigenerato attraverso spray-drying, sotto forma di microsfere senza che si verificano processi di acilazione e di depolimerizzazione. E’ stata dimostrata la formazione di complessi polielettrolitici (potenziali trasportatori di farmaci) in miscele Chitosano-polisaccaridi anionici. 3. Studio di Complessi ternari Liposomi - DNA- Ioni Metallici. Proseguendo lo studio dei processi a trasferimento di carica, il nostro gruppo di ricerca ha incominciato, e su questa strada intende proseguire, ad utilizzare l’esperienza maturata in anni di ricerche, trasferendola allo studio di complessi di mimi cellulari, quali i liposomi, con polimeri sintetici e naturali, con particolare riguardo al DNA. Si tratta di un settore di ricerca di grande attualità, che ha come prospettiva anche l’identificazione di nuovi strumenti atti a realizzare processi di terapia genica. In particolare, gli studi fino ad ora realizzati, riguardano l’interazione di DNA con liposomi in presenza di metalli. I complessi ternari ottenuti sono stati studiati con tecniche R-X, TEM, FT-IR che ne hanno evidenziato interessanti caratteristiche e proprietà. I dati ottenuti hanno permesso inoltre di proporre un meccanismo di formazione del complesso che prevede la disaggregazione delle vescicole di fosfolipidi e la riaggregazione in nuove strutture lamellari che caratterizzavano i complessi ternari. Tali complessi sono poi risultati intermedi significativi nella reazione di perossidazione di lipidi in presenza di DNA. Lo studio finora effettuato presenta notevoli prospettive sia per ulteriori studi di base (struttura e reattività), che per le applicazioni in terapia genica. Lo sviluppo delle ricerche iniziate in questo settore prevede l’utilizzo di diverse tecniche strumentali che vanno dalla diffrattometria, alle spettroscopie ottiche e magnetiche (NMR, EPR). Nell’ambito di questo progetto ci si propone di effettuare determinazioni spettroscopiche sia nel medio che nel vicino infrarosso su materiali provenienti da sintesi biomimetiche e di autoassembleggio molecolare con l’obiettivo di contribuire ad una migliore conoscenza della morfologia , della cristallinità nonché alla reologia per esempio su matrici film di collagene I prestirati. Molta importanza potrà avere l’impiego della Microscopia FT-IR imaging nello studio delle interazioni minerale-collagene. Nel campo della Biocristallografia ambientale, di particolare rilevanza è la caratterizzazione chimico-fisica del articolato aerodisperso ed in particolare di polveri di amianto che hanno forte incidenza su alcune forme tumorali con meccanismo di azione ancora poco chiaro. Insieme ad alcune tecniche come la microscopia ottica, la microscopia ai raggi X, la microscopia elettronica a scansione (SEM) e trasmissione (TEM), la Spettroscopia FT-IR riveste un ruolo importante nella valutazione e caratterizzazione delle interazioni dal punto di vista chimico strutturale. Tra l’altro, questo ha portato alla stesura di Banche Dati di spettri IR di materiali fibrosi scelti appositamente per una corretta gestione dei rifiuti. Di particolare importanza appare l’accoppiamento della tecnica FT-IR (supportata da opportuna Banca Dati) con la microscopia ottica, che può essere considerato una valida alternativa alla microscopia elettronica e alla diffrattometria ai raggi X con tempi di esecuzione notevolmente ridotti. 58 BIBLIOGRAFIA 1) P. Bruni, M. Iacussi, G. Tosi. FT-IR Investigation on Interactions between Sugars and Metal ions. J. Mol. Struct., 408/409, 171 (1997). 2) P. Bruni, C. Conti, E. Giorgini, M. Iacussi, E. Maurelli, G. Tosi. A Reinvestigation on Complexes of Substituted Aromatic Hydrocarbons with Tetracyanoethylene Gazz. Chim. Ital., 127, 255 (1997). 3) P. Bruni, G.C. Gobbi, G. Morganti, M. Iacussi, E. Maurelli, G. Tosi. Use and Activity of Metals in Biological Systems.I. The Interaction of Bivalent Metal Cations with Double Stranded Polynucleotides and Phospholipids. Gazz. Chim. Ital., 127, 513 (1997). 4) P. Bruni, G. Tosi. Selected Topics on Organic Electron Donor-Acceptor Complexes of Tetracyanoethylene. Research report. Gazz. Chim. Ital., 127, 435 (1997). 5) P. Bruni, C. Conti, A. Mar'in, Yu. A. Shlyapnikov, G. Tosi. Effect of Polymer Precipitation on Chemical reactions - I. Changes of Antioxidant Efficiency in the Polyethylene melt. Eur. Polym. J., 33, 1665 (1997). 6) G. Fava, G. Moriconi, G. Tosi. Adsorption of Cadmium ions on natural kaolin. Proceedings of EUROSOLID 4, European Coference on transformation kinetics and reactivity of solids, pag. 188, Ed. Politecnico Torino, St. Vincent, 1997. 7) P. Bruni, C. Conti, A. Mar'in, Yu. A. Shlyapnikov, G. Tosi. Effect of Polymer Precipitation on Chemical reactions - II. Changes in the Equilibrium Constant in the Reaction between Tetracyanoethylene and Hexamethylbenzene in Solid Polyethylene. Eur. Polym. J., 34, 109 (1998). 8) P. Bruni, F. Alò, E. Giorgini, G. Tosi. Fourier Transform Infrared Spectroscopy. Characterisation of carotid plaques. Proceedings of the 11th ICOFTS, International Conference on Fourier Transform Spectroscopy. Am. Inst. of Phys., 298 (1998). 9) P. Bruni, C. Conti, E. Giorgini, Alexander Mar’in, G. Tosi. Polymer chain disorder. Effect on chemical and spectroscopic properties. Proceedings of the 11th ICOFTS, International Conference on Fourier Transform Spectroscopy. Am. Inst. of Phys., 564 (1998). 10) P. Bruni, C. Conti, E. Giorgini, M. Iacussi, E. Maurelli, G. Tosi. Cylindrical Internal Reflectance FT-IR. Interactions between components of biological molecules and metal ions. II. Proceedings of the 11th ICOFTS, International Conference on Fourier Transform Spectroscopy. Am. Inst. of Phys., 344 (1998). 11) R.A.A. Muzzarelli, V.Ramos, V. Stanic, B. Dubini, M. Mattioli-Belmonte, G. Tosi, R. Giardino. Osteogenesis promoted by calcium phosphate N,N-dicarboxymethyl chitosan Carbohydrate Polymers, 36, 267 (1998). 12) P. Bruni, F. Alò, C. Conti, E. Giorgini, C. Rubini, G. Tosi. Fourier transform infrared spectroscopy characterization of carotid plaques. II Mol. Struct., in press (1998). 13) R.A. Muzzarelli, M. Milani, M. Cartolari, R. Tarsi, G. Tosi, C. Muzzarelli. Polyuronans obtained by regiospecific oxidation of polysaccharides from Aspergillus niger,Trichoderma reesei and Saprolegnia sp. Carbohydrate Polymers, 43, 55 (1999). 14) R.A.A. Muzzarelli, G. Biagini, A. De Benedittis, P. Mengucci; G. Majni, G. Tosi. Chitosanoxychitin coatings for prosthetic materials. Carbohydrate Polymers, 45, 35 (2000). 15) P. Bruni, C. Conti, A. Corvi, M. Rocchi, G. Tosi. Damaged Polyethylene Acetabular Cups. Microscopy FT-IR and Mechanical Determinations. Vibrational Spectroscopy, 876, 781 (2001). 16) P.Bruni, F.Cingolani, M.Iacussi, F. Pierfederici, G. Tosi. The effect of bivalent metal ions on complexes DNA-liposomes: a FT-IR study. J. Mol. Struct., 565-66, 237 (2001). 17) P. Bruni, F. Cingolani, M. Iacussi, F. Pierfederici, G. Tosi. The effect of bivalent metal ions on complexes DNA-Liposomes. A FT-IR study. J. Molecular Struct., 565-566, 237 (2001). 18) J. Dresner, K. Kwapisz, I. DJ. Prochorow, P. Bruni, A. Giardinà, G. Tosi. Photoinduced Charge-Transfer reactions of tricyanoethylene with aromatic hydrocarbons electron donors. I. Emission studies of naphtalene-tricyanoethylene exciplex. Acta Phys. Polonica, 102, 351 (2002). 19) F. Alò, P. Bruni, A. Cavalleri, C. Conti, E. Giorgini, C. Rubini, G. Tosi. Infrared Microscopy. Characterization of carotid plaques and thyroid tissue biopies. J. Mol. Struct., 651-653, 419 (2003). 59 20) G. Francescangeli, V. Stanic, L. Gobbi, P. Bruni, M. Iacussi, G. Tosi, S. Bernstorff. Structure of Self-Assembled Liposome-DNA-Metal Complexes. Physical Reviews E, 67, 011904 (2003). 21) Muzzarelli R.A.A., Tosi G., Francescangeli O. and Muzzarelli C. Alkaline chitosan solutions. Carbohydrate Research, 338, 2247-2255 (2003). 22) P. Bruni, C. Conti, E. Giorgini, M. Pisani, C. Rubini, G. Tosi. Histological and microscopy FTIR imaging study on the proliferative activity and angiogenesis in head and neck tumours. RSC Faraday Division. Faraday Discussion 126. Nottingham 2003. Preprint (2003). 23) O. Francescangeli, V. Stanic, D.E. Lucchetta, P. Bruni, M. Incussi, F. Cingolani. X-Ray Diffraction Study of Dioleylphosphatidylcholine-DNA-Mn2+ Complexes. Mol. Cryst. Liq. Cryst., 398, 259-267 (2003). c) Partecipanti alle ricerche sulla biomineralizzazione: Unità di Bologna Dipartimento di Chimica “G. Ciamician” – Via Selmi n. 2 – 40126 BOLOGNA – Alma Mater Studiorum: Adriana Bigi Elisabetta Foresti Silvana Morselli Silvia Parmeggiani Katia Rubini Giuseppe Falini Massimo Gandolfi Silvia Panzavolta Alberto Ripamonti Piera Sabatino Simona Fermani Isidoro Giorgio Lesci Barbara Palazzo Norberto Roveri Maria Chiara Sidoti Unità di Ancona Dipartimento di Scienze dei Materiali e della Terra - Facoltà di Ingegneria, Università Politecnica delle Marche. Paolo Bruni Michela Pisani Giorgio Tosi Carla Conti Elisabetta Giorgini 2 - Biocristallografia a) Base scientifica e tecnologica: La potenza esplicativa della cristallografia a raggi X (integrata dal molecular modelling) permette di capire a livello molecolare la struttura e la funzione di molti enzimi, in particolare essa è in grado di studiare le interazioni con substrati e inibitori, con notevoli applicazioni sia in campo farmaceutico che in quello ambientale. Nell'era post-genomica la determinazione della struttura molecolare delle proteine è il punto di partenza per la conoscenza della funzione di nuove proteine ed è di vitale importanza per lo sviluppo del "protein engineering" e del "de novo design" di proteine sintetiche di interesse tecnologico. Il "folding" delle proteine attorno al sito attivo ed i gruppi prostetici (quando presenti) determinano la funzione biocatalitica degli enzimi e svolgono un ruolo importante nei processi fisiologici e patologici. Tali “motivi” strutturali evolvono spesso in modo tale da figurare come unità strutturali indipendenti. Ciò li rende adatti al “design” razionale, permettendo lo sviluppo di molecole relativamente piccole, le cosiddette "proteine miniaturizzate", che sono generalmente più facili da studiare e modificare per particolari scopi, rispetto ai sistemi naturali [H. W. Hellinger, “Protein Engineering: Principles and Practice”, Cleland & Craik, Eds., Wiley, N.Y., pg. 369, 1996]. Lo studio di sistemi naturali e sintetici rappresenta la via migliore per una conoscenza dettagliata delle molecole biologiche per lo sviluppo di nuove molecole con proprietà predeterminate utili alla progettazione di farmaci, biosensori, catalizzatori, ed agenti detossificanti. 60 b) Obiettivi principali e significato della ricerca: Il lavoro di ricerca sarà indirizzato principalmente: a) all'isolamento e caratterizzazione strutturale di nuove proteine (specialmente metallo-proteine) ed alla loro miniaturizzazione a scopi applicativi; b) allo studio della struttura di coenzimi e di coenzimi modificati ed alla loro interazione con l’apoenzima; c) allo sviluppo di nuove metodologie di cristallizzazione di proteine, d) all’uso di programmi di calcolo per il trattamento dei dati di diffrazione di raggi X sia da sorgenti convenzionali, che da luce di sincrotrone per la risoluzione della struttura. Questa proposta ha fra i suoi obiettivi principali, oltre quello di svolgere progetti di ricerca di elevato contenuto scientifico e con potenziali ricadute applicative nell’ambito ambientale, biomedico e biotecnologico, la formazione dei giovani nel campo della biocristallografia e computer modelling per le Lauree specialistiche, i Dottorati di ricerca e le Scuole di Specializzazione, e per corsi specialistici di breve durata, sia di carattere nazionale che internazionale. Il lavoro sarà svolto anche in collaborazione con le istituzioni scientifiche presenti nel territorio offrendo un servizio di ricerca per la determinazione e la caratterizzazione della struttura di biomolecole alle industrie interessate, come quelle farmaceutica, biotecnologica e agroalimentare. Infatti, i risultati provenienti dagli studi biocristallografici consentiranno di applicare le tecniche di modellismo molecolare alla progettazione e alla successiva preparazione di substrati ottimali per la sintesi biocatalizzata di composti di interesse farmaceutico e industriale. c) Obiettivi specifici: UNITA’ DI TRIESTE Il contributo dell’Unità di ricerca di Trieste verterà principalmente su: a) Struttura e funzioni di modelli supramolecolari di metalloproteine L’approccio supramolecolare1 alla costruzione di modelli di metalloproteine prevede l’individuazione di building blocks relativamente semplici in grado di autoassemblarsi o di organizzarsi realizzando sistemi capaci di riprodurre, almeno in parte, l’attività e le proprietà delle metalloproteine stesse. In questa ottica appare fondamentale, da un lato, la conoscenza strutturale e funzionale del target prescelto e, dall’altro, la capacità di controllare, in base alla conoscenza della struttura e del tipo di interazioni coinvolte, il fenomeno di autoassemblaggio o di organizzazione dei building blocks. Alla base di queste conoscenze vi è una accurata analisi strutturale delle proteine target, dei building blocks e dei modelli supramolecolari che ne derivano. L’unità di Trieste, che fa parte del Centro di Eccellenza di Biocristallografia, è leader nell’utilizzo e nello sviluppo di strumenti necessari all’isolamento, alla purificazione, cristallizzazione e determinazione della struttura di proteine e di loro modelli supramolecolari ed ha notevole esperienza nella raccolta dati di diffrazione a raggi X sia con sorgenti convenzionali che con luce di sincrotrone. Di conseguenza il contributo maggiore al progetto da parte dell’unita di Trieste sarà l’analisi strutturale delle proteine target, dei building blocks e degli addotti supramolecolari che verranno preparati dalle altre unità e anche dalla stessa unità di Trieste. Gli studi strutturali saranno complementati da quelli elettrochimici sui centri metallici. Verranno esaminati due tematiche di ricerca volte allo studio di due aspetti fondamentali dell’interazione tra ioni metallici e proteine. Le proteine, infatti, possono interagire con ioni metallici quali cofattori (catalisi) o per il loro trasporto. In ambedue i casi il riconoscimento degli stessi è il fattore fondamentale che determina la reattività del sistema. Il primo filone di ricerca sarà incentrato sullo sviluppo e sullo studio di modelli delle proteine B12 e in particolare dei suoi cofattori (alchilcobalamine) mentre il secondo sarà volto alla realizzazione di modelli di proteine che alterano la permeabilità di membrane nei confronti di ioni metallici. 61 b) Modelli di proteine vitamina B12 Gli enzimi B12 sono gli unici, finora noti, i cui cofattori contengono un legame metallocarbonio (Co-C). I cofattori appartengono alla famiglia delle alchilcobalammine (RCbl).2,3 Tutte le reazioni, catalizzate da enzimi B12 e finora note, coinvolgono la rottura e la formazione di un legame Co-C.2-4 AdoCbl ( 5'-deossi-5'-adenosilcobalammina) è il cofattore di molte mutasi ed eliminasi, che catalizzano lo shift 1,2 intramolecolare di un atomo di idrogeno con un gruppo X elettronegativo2,3, come nel caso della metilmalonil-CoA mutasi umana, che isomerizza reversibilmente un residuo metilmalonile a succinile. Le metiltrasferasi, contenenti il cofattore metilcobalammina (MeCbl), catalizzano il trasferimento di un gruppo metilico legato ad un atomo di N alla specie cob(I)alammina per formare MeCbl(metilcobalammina), da cui il metile è successivamente trasferito ad un atomo di zolfo della omocisteina per formare metionina, come nel caso della metionina sintetasi umana. Il ciclo catalitico è basato sulla rottura eterolitica reversibile del legame Co-Me, con formazione di un carbocatione metilico e di cob(I)alammina.4 Fino al 1994, a causa della mancanza di informazioni sul 'binding' del cofattore negli enzimi, la maggior parte delle ipotesi, concernente l'omolisi negli enzimi con cofattore adoCbl, era basata essenzialmente sullo studio delle cobalammine3,5 e dei semplici modelli, in particolare le alchilcobalossime, LCo[(DH)2]R (L = base neutra e R = alchile, coordinati assialmente, e (DH)2 = bisdimetilgliossimato.6 La recente determinazione della struttura delle prime proteine B127 ha aperto una nuova era nella chimica e nella biochimica degli enzimi B12, ponendo nuovi problemi a livello molecolare riguardo alla relazione struttura/funzione in questi enzimi. Come nel caso degli enzimi a base di eme, le particolari proprietà di quelli B12 primariamente derivano dalle interazioni tra il metallo e il macrociclo, anche se la loro attività di base e le loro funzioni possono essere significativamente alterate dal legame alla proteina. Questo è il caso di AdoCbl, che presenta uno notevole aumento di ca. 12 ordini di grandezza della velocità dell'omolisi del legame Co-C, quando è legato all'apoenzima. Ciononostante, la conoscenza delle proprietà dei nuovi modelli semplici, tra cui quelli recentemente proposti dall’Unità di Trieste, contenenti leganti tridentati ammino-ossimici, deve essere ancora approfondita8 per capire poi in che modo l'interazione con la catena polipeptidica le modifichi. L'Unità di Trieste ha anche dimostrato che un interessante sviluppo dei modelli del tipo cobalossime è la possibilità di ottenere composti metallorganici supramolecolari per reazione con acidi difenilboronici funzionalizzati.9 c) Modelli di proteine che alterano la permeabilità di membrane. Il controllo della permeazione di ioni metallici attraverso membrane è alla base di importanti processi biochimici oltre che regolare la disponibilità degli ioni metallici stessi.10 Nei sistemi biologici queste funzioni sono spesso svolte da strutture peptidiche. Ad esempio la diffusione di ioni sodio, potassio e calcio attraverso le membrane dei tessuti nervosi e muscolari viene regolata da proteine che formano canali attraverso l’assemblamento di alcune subunità proteiche arrangiate radialmente attorno ad una zona idrofilica.11 La parte di proteina transmembrana si ritiene essere strutturata in alfa-elica e, ad esempio, nel caso del “acetylcholine receptor channel” il canale è formato da cinque alfa-eliche eguali che contengono numerosi residui di serina i cui ossidrili si allineano lungo le pareti del canale stesso.12 Esistono inoltre anche polipeptidi relativamente meno complessi che alterano la permeabilità delle membrane come, ad esempio, la Gramicidina A.13 I peptidi, quindi, e in particolare le proprietà che derivano dalla loro struttura tridimensionale sono fondamentali in questo tipo di attività biologica. Esempi in tal senso sono stati proposti da Mutter14, Schreiber15 e DeGrado16. Strutture elicoidali, in particolare eliche 310, si possono ottenere in sequenze peptidiche anche sensibilmente più corte di quelle ottenibili con amminoacidi proteinogenici utilizzando amminoacidi C-alfa-tetrasostituiti.17 In natura questi amminoacidi sono presenti nei peptidi peptaibolici e lipopeptaibolici, un gruppo di piccoli peptidi (6-19 residui) biosintetizzati da alcuni funghi, del genere Trichoderma, dotati di attività antibiotica.18 Questi peptidi, tra cui i più noti sono l’alameticina19 e la tricogina20, alterano la 62 permeabilità di membrane fosfolipidiche in modo molto efficiente.21 Sfruttando le caratteristiche degli amminoacidi C-alfa-tetrasostituiti sono stati realizzati modelli sintetici dei peptidi peptaibolici22 e, ad esempio, in un lavoro svolto in collaborazione tra l’Università di TS e PD è stato preparato un sistema contenente tre analoghi della tricogina in grado di alterare efficacemente la permeabilità di membrane liposomiche in modo controllabile mediante la complessazione di uno ione Zn(II) in un sito allosterico.23 d) Paired domain del fattore regolatorio di trascrizione Pax8 co-cristallizzate con sequenze consensus di DNA La Pax8 appartiene alla famiglia delle proteine Pax.24 Queste sono dei regolatori trascrizionali che svolgono ruoli importanti nella crescita e nello sviluppo di un’ampia varietà di specie. La Pax8 in particolare è molto importante per uno sviluppo corretto della ghiandola tiroidea; l’inattivazione del gene della Pax8 determina la mancanza di cellule follicolari e quindi l’assenza dell’ormone tiroideo. Le proteine Pax legano specifiche sequenze di DNA attraverso un dominio conservato nell’evoluzione chiamato paired domain (Prd domain) formato da 128 amminoacidi.25 Il paired domain è costituito da due unità strutturali indipendenti definiti come subdomini PAI e RED, localizzati rispettivamente all’estremità N- e C-terminale. Ciascuno di questi è formato da un motivo elica-giro-elica legato da una sequenza di congiunzione.26 E’ stato ipotizzato che la presenza di questi due subdomini possa determinare differenti modalità di riconoscimento della catena di DNA.27 Questa possibilità potrebbe venire analizzata direttamente da studi strutturali del complesso. Sono già state individuate le condizioni alle quali il complesso Prd domain e la sequenza consensus di DNA, formata da 26 basi appaiate, possono formare dei cristalli. L’analisi ai RX mediante luce di Sincrotrone, ha rilevato che questi cristalli diffrangono ad una risoluzione massima di 6 Å, non adatta a fornire informazioni utili per la struttura del complesso. L’obiettivo che sarà perseguito consiste nell’individuare nuove condizioni di cristallizzazione al fine di influire nel processo di sviluppo del cristallo e regolarne l’accrescimento. e) Studi strutturali dell’interazione tra recettore immunoglobulinico e antigeni HCV Questo lavoro nasce da un progetto con il Centro di Riferimento Oncologico (CRO) di Aviano (PN), che da diversi anni si occupa di problematiche inerenti alle complicanze associate all’infezioni da virus dell’epatite C (HCV) in collaborazione con gruppi di lavoro del Policlinico di Udine e di Bari. Da alcune evidenze sperimentali si è ipotizzato che l’infezione da HCV sia fortemente associata alla crioglobulinemia mista di tipo II (CM), una malattia cronica di tipo autoimmunitario caratterizzata da proliferazioni oligoclonali di linfociti B, che in un significativo numero di casi esita ad un linfoma non Hodgkin (NHL) conclamato. Gli studi riguardanti le interazioni fra recettori dell’immunoglobulina M (IgM) ed antigeni specifici di HCV sono utili per lo sviluppo di nuove e specifiche terapie immunologiche. Per comprendere le origini molecolari della risposta autoimmune conseguente all’infezione da HCV è essenziale conoscere il modello strutturale del sistema anticorpo-antigene.28 Tra le diverse tecniche utilizzabili, la biocristallografia può fornire direttamente una rappresentazione tridimensionale degli immunocomplessi ed i dettagli dei siti specifici di interazione tra il recettore e l’antigene. Accanto alle linee indicate sopra e che seguono filoni tradizionali di ricerca del gruppo di Trieste, si svilupperanno nuove tematiche in collaborazione con ricercatori dell’Università di Trieste afferenti al Centro di Eccellenza in Biocristallografia. Gli obiettivi che si propone di realizzare l'Unità di Trieste sono: 1. disegno, sintesi, struttura e reattività di complessi del Co con leganti tridentati ossimoamminici e basi di Schiff di complessi supramolecolari di modelli B12. 2. sintesi, caratterizzazione strutturale e reattività di cobalammine. 63 3. preparazione in situ di cristalli singoli, per reazione di peptidi e di porfirine con ioni metallici in diverse condizioni, e determinazione strutturale mediante analisi dei dati di diffrazione RX da sorgenti convenzionali e da sincrotrone (Trieste, Lure e Grenoble) ed EXAFS. 4. espressione, cristallizzazione e caratterizzazione strutturale di transcobalammine umana e bovina (in collaborazione con il Prof. T. Petersen dell'Università di Aarhus, Danimarca); 5. disegno, sintesi, struttura e studio di modelli a base peptidica di proteine che alterano la permeabilità di membrane fosfolipidiche a ioni metallici. In particolare verranno utilizzati peptidi a forte contenuto di amminoacidi Cα-tetrasostituti per indurre conformazioni elicoidali stabili anche in sequenze amminoacidiche relativamente corte e verranno inseriti siti allosterici per modulare l’attività di membrana in funzione di diversi parametri (presenza di ioni metallici, irraggiamento, etc.) Gli scopi finali che si prefigge riguardano la comprensione dei fattori che determinano la funzione, il trasporto e la reattività degli enzimi B12; e inoltre lo sviluppo di sistemi peptidici in grado di alterare la permeabilità di membrane fosfolipidiche in modo controllabile per lo sviluppo di nuovi catalizzatori di interesse chimico e applicativo. BIBLIOGRAFIA [1] Supramolecular Chemistry, J.M. Lehn, VCH Weinheim, 1995. 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Corper, Maninder K. Sohi, et al., Nature and Structure Biology, vol. 4, num. 5, 374380, (1997). UNITA’ DI NAPOLI L’attività dell’Unità di ricerca di Napoli, che opera presso il Centro Interuniversitario di Ricerca sui Peptidi Bioattivi dell’Università di Napoli (CIRPEB) verterà sui seguenti temi: a) caratterizzazione strutturale, mediante diffrazione di raggi X, di macromolecole di interesse biotecnologico e medico; b) Sviluppo di tools molecolari per la progettazione di peptidi bioattivi. I sistemi proteici e peptidici oggetto di questo studio saranno di seguito brevemente descritti. 1. Caratterizzazione strutturale di esterasi ellipasi Esterasi e lipasi appartengono ad una grande famiglia di proteine filogeneticamente relazionate con elementi rappresentativi negli eucarioti e nei batteri. Sulla base della loro omologia di sequenza, queste proteine sono state suddivise in tre sottogruppi: il gruppo C, che include colin-esterasi e lipasi da funghi, il gruppo L, che include lipasi lipoproteiche e batteriche, ed il gruppo H che comprende numerose esterasi e lipasi sia eucariotiche che batteriche. In passato, studi strutturali erano stati focalizzati su proteine appartenenti ai gruppi C ed L ed avevano rivelato la presenza di un arrangiamento strutturale di tipo α/β conosciuto come “α/β hydrolase fold”. Questo arrangiamento strutturale è caratterizzato da una struttura a foglietto β centrale, circondata da connessioni elicoidali. Inoltre, gli studi strutturali avevano evidenziato che il sito catalitico di questi enzimi contiene una triade di amminoacidi (Ser-His-Asp/Glu), che ricorda quella delle proteasi a serina ed è responsabile dell’attacco nucleofilo al legame estereo scissile. Di contro poche sono le informazioni strutturali note su esterasi e lipasi appartenenti al gruppo H. Solo di recente presso i laboratori del CIRPEB sono state risolte le strutture di due esterasi appartenenti a questo gruppo: EST2 dal batterio termofilo Alyciclobacillus acidocaladarius e AFEST dall’ipertermofilo Archeoglobus fulgidus. Lo studio dettagliato di queste due strutture ha permesso un’analisi preliminare degli elementi strutturali responsabili della termostabilità all’interno di questa famiglia di enzimi, fornendo utili informazioni da utilizzarsi per la progettazione di nuove molecole termostabili. All’interno di questa linea di ricerca e con lo scopo di ottenere informazioni più dettagliate sulla termostabilità di questa classe di enzimi sono stati programmati studi strutturali, da svolgersi mediante diffrazione di raggi X, su altre esterasi appartenenti alla classe ma isolate da organismi mesofili. Inoltre per meglio caratterizzare il meccanismo catalitico di queste molecole studi strutturali saranno effettuati anche su complessi enzima-inibitore. 65 2. Studi strutturali su complessi di PNA-DNA. I PNA (Peptide Nucleic Acids) rappresentano una classe di oligonucleotidi modificati, che, in sostituzione del normale backbone oligonucleotidico, presentano uno scheletro formato da unità di 2-amminoetil-glicina, al quale sono legate le basi nucleotidiche mediante un linker metilcarbonilico. Queste molecole sono dotate di elevata stabilità e di una notevole resistenza all’azione delle proteasi e delle nucleasi. Inoltre, sono in grado di legare in maniera estremamente specifica filamenti di DNA o RNA complementari, sia in modo parallelo che antiparallelo, attraverso un appaiamento delle basi di tipo Watson-Crick. Dal momento che i dati strutturali attualmente noti su queste molecole evidenziano che i PNA canonici non riproducono il DNA in maniera ottimale, e dato che tali molecole, essendo prive di cariche, hanno una bassa solubilità in acqua e mostrano una certa tendenza ad autoaggregare, diverse modifiche ai classici PNA sono state effettuate. Tra queste una di quelle piu’ interessanti sembra essere l’introduzione di un centro chirale. In particolare la glicina presente nel backbone dei PNA è stata sostituita con amminoacidi D o L. Le molecole ottenute in questo modo hanno presentato interessanti proprietà conformazionali e di affinità verso i DNA target. Recentemente presso i centri di ricerca del CIRPEB, è stata risolta la struttura dell’eteroduplex formato da un filamento di PNA chirale, contenente monomeri di PNA derivati da amminoacidi d, e il suo filamento di DNA complementare. L’analisi di tale struttura ha evidenziato che l’eteroduplex adotta una conformazione denominata elica-P, caratteristica dei PNA. I dati strutturali hanno, inoltre, mostrato che i PNA sono delle molecole molto poco flessibili, e che nella formazione di duplex è il filamento di DNA ad adattarsi alle preferenze conformazionali del PNA. L’introduzione dei centri chirali sembra limitare ulteriormente la libertà conformazionale del PNA, aumentandone di conseguenza la rigidità. Allo scopo di chiarire meglio l’influenza dei centri chirali sulla conformazione assunta dai PNA, presso i laboratori del CIRPEB si intende procedere con lo studio strutturale di duplex PNADNA contenenti sia monomeri achirali che monomeri di chiralità L. 3. Studi strutturali sull’amminoacilasi (ACY1). L’amminoacilasi (ACY1) è una metalloproteasi che catalizza l’idrolisi di Nα-acil-amminoacidi e che risulta coinvolta nelle reazioni finali di degradazione di proteine N-acilate assieme all’acilpeptide idrolasi (APH). Quest’ultima, infatti, è in grado di idrolizzare Nα-acil-peptidi e Nαacil-proteine generando Nα-acil-amminoacidi che, a loro volta, sono idrolizzati dall’amminoacilasi. ACY1 e APH sono state clonate nel maiale e nell’uomo e localizzate in quest’ultimo sul cromosoma 3p21.1 e 3p21.3. Tali regioni presentano una considerevole perdita di eterozigosi in tumori al rene e al polmone. Livelli di espressione alterati ed una totale mancanza di attività enzimatica per queste due proteine sono stati descritti in tessuti di soggetti affetti da carcinoma renale e polmonare. La coesistenza dei geni di ACY1 e APH sul cromosoma 3p21 è di notevole interesse in quanto questi enzimi sono funzionalmente legati nella degradazione sequenziale di peptidi acilati. Questa osservazione ha portato all’ipotesi che una totale perdita del sistema deacilante APH/ACY1 possa portare all’aumento delle concentrazioni di peptidi acetilati come, ad esempio, l’ormone stimolante i melanociti, le cui proprietà sono state associate ad una crescita cellulare anormale. Nessun dato è stato finora pubblicato sulla struttura di queste proteasi. Questa mancanza è rilevante non solo per una completa comprensione della specificità dei due enzimi, che spiegherebbe le loro differenze funzionali, ma anche perchè ACY1 e APH sono esempi di due classi di proteasi la cui struttura tridimensionale è stata scarsamente studiata. APH, infatti, fa parte della famiglia delle proteasi S9 la cui organizzazione strutturale è stata determinata solo nel caso della prolil-oligopeptidasi; ACY1, invece, appartiene alla famiglia delle proteasi M20, il cui folding generale è stato ipotizzato sulla base della sola struttura della carbossipeptidasi G2 da Pseudomonas 66 sp.. Studi di omologia di sequenza hanno suggerito che a quest’ultima famiglia appartengono, oltre ad ACY1 da diversi mammiferi, alcune succinil-diamminopimelato desuccinilasi e acetil-ornitina deacetilasi batteriche. Questi enzimi sono proteasi dimeriche zinco- o cobalto-dipendenti con proprietà biochimiche simili e tre motivi di sequenza conservati. Al fine di definire le proprietà strutturali di ACY1, sarà realizzato uno studio dettagliato della struttura della proteina mediante studi cristallografici. L’analisi della struttura tridimensionale consentirà di formulare relazioni struttura-funzione essenziali per ricerche volte alla definizione dei meccanismi in cui la proteina ed i suoi substrati potrebbero essere coinvolti, con attenzione ai risvolti associati alla neoplasia. Sulla base della struttura tridimensionale, inoltre, potrà essere realizzata una progettazione molecolare di inibitori dell’enzima da usare in futuri studi biochimici. 4. Molecular tools per il design di sistemi di peptidi bioattivi. La specificità dei meccanismi di riconoscimento molecolare, fenomeno basilare per l'attività biologica di molti sistemi quali complessi enzima-substrato o antigene-anticorpo e per l'interazione tra un recettore ed un substrato, è legata alla conformazione assunta da uno o da entrambi i sistemi interagenti. Individuare in un sistema consenso la conformazione responsabile di uno specifico effetto è, quindi, uno dei principali obiettivi nel campo dello studio di sistemi bioattivi. E' da rilevare che la completa descrizione delle relazioni struttura-attività per tali biomolecole è spesso difficile da ottenere, essendo esse dotate di elevata flessibilità e presentando in soluzione numerose conformazioni in equilibrio tra loro. Per la definizione delle relazioni tra sequenza amminoacidica, conformazione, attività biologica e selettività, uno degli approcci più utilizzati nello studio di peptidi e proteine consiste nel design e nella sintesi di analoghi caratterizzati da una ben definita struttura tridimensionale. Il de novo design di sistemi peptidici è reso oggi possibile grazie all'utilizzo di particolari tool molecolari che, opportunamente inseriti nella sequenza, siano in grado di stabilizzare una specifica conformazione. Questa strategia consente di ottenere sistemi modello con rigide strutture secondarie che possano fungere da impalcature su cui costruire un particolare sito, ed è quindi vantaggiosamente applicata al modelling di enzimi e proteine. Si intendono condurre studi in questo campo di ricerca nell'intento di: a) sviluppare nuovi tools molecolari che, inseriti opportunamente nella sequenza del peptide bioattivo, possano bloccarlo in una predeterminata e rigida conformazione tale da favorire il riconoscimento del peptide da parte di proteine, anticorpi e metalli; b) sviluppare metodologie di sintesi e caratterizzazione strutturale di peptidi e peptidomimetici. UNITA’ DI BOLOGNA L’attività dell’ Unità di ricerca di Bologna verterà sui seguenti temi: 1. Cristallizzazione di macromolecole biologiche su superfici funzionalizzate Il successo nella determinazione della struttura cristallina di una macromolecola biologica, mediante diffrazione a raggi X, è fortemente correlato alla possibilità di ottenere cristalli singoli d’alta qualità. Per questa ragione molti studi sono stati indirizzati allo sviluppo e progettazione di nuove tecniche di cristallizzazione. Film polimerici contenenti gruppi ionizzabili sono stati utilizzati con successo per la cristallizzazione di proteine. Questi film permettono, rispetto ai convenzionali vetrini siliconati, di abbassare alcuni parametri critici della cristallizzazione quali la concentrazione iniziale della soluzione proteica ed il tempo di cristallizzazione. La scelta dei film è un parametro critico. Questa scelta è stata ispirata dall’osservazione dei sistemi biologici. Sono stati preparati, caratterizzati ed utilizzati film costituiti da biopolimeri, quali collageno, seta e chitina, contenenti polipeptidi 67 sintetici con gruppi ionizzabili (come il poli-aspartato). Questi film sono molto versatili e permettono di variare molteplici parametri sia a livello di carica superficiale (contenuto e tipo di polipeptide) che di organizzazione superstrutturale (grado d’orientamento). Il loro limite è rappresentato dalla difficoltà di controllo sulla topografia superficiale. Per questo, talvolta, non è facile valutare quale sia il parametro critico che controlla la cristallizzazione. Per ovviare a questi effetti tipografici è stata preparata una nuova famiglia di superfici funzionalizzate: film di mica modificati chimicamente. Queste superfici, con una ridotta idrofilicità ed e con differente densità di gruppi ionizzabili, sono stati preparati tramite una reazione di silanizzazione usando npropiltrietossisilano e 3-amminopropil-trietossisilano singolarmente o in miscele con differenti percentuali. Gli esperimenti di cristallizzazione sulle superfici, sia biopolimeriche che di mica, sono stati effettuati con la tecnica della goccia pendente a diffusione di vapore utilizzando come proteine modello lisozima, concanavalina A e taumatina. I risultati ottenuti mostrano come il tempo di induzione e la concentrazione iniziale di proteina per la nucleazione dei cristalli diminuiscano passando dal vetrino siliconato, utilizzato come riferimento, alle superfici con contenuto crescente di gruppi ionizzabili. Per la concanavalina A e la taumatina l’aumento della densità di carica corrisponde ad un aumento della densità di nucleazione e ad una riduzione della dimensione dei cristalli. Il lisozima si comporta in modo diverso rispetto alla densità di nucleazione, la quale rimane invariata all’aumentare della carica superficiale sulla superficie. Questi risultati forniscono utili informazioni sul meccanismo d’interazione tra macromolecole biologiche e superfici, utilizzabili nella progettazione di nuove superfici potenzialmente in grado di controllare la crescita dei cristalli di macromolecole biologiche. L’obiettivo principale delle ricerche in programma è quello di capire il meccanismo che controlla la nucleazione e crescita di cristalli di macromolecole biologiche su superfici. La ricerca di nuove superfici enucleanti facilmente funzionalizzabili sarà il principale indirizzo di questa linea di ricerca. Verranno utilizzate superfici di minerali (e.g. mica) e funzionalizzate con vari silani. Il controllo dell’idrofilicità superficiale e la variazione dei gruppi ionizzabili presenti potrebbe permettere la formulazione di un meccanismo di interazione tra la macromolecola e la superficie. Verranno inoltre fatte delle prove di cristallizzazione di proteine fin ora non cristallizzate. 2. RIP: Proteine Inattivanti il Ribosoma Numerose proteine isolate da una varietà di tessuti vegetali sono simili alla catena A della ricina e, in modo analogo a queste, inattivano il ribosoma eucariotico mediante un meccanismo enzimatico. Il loro meccanismo di azione è stato identificato come un’attività N-glicosidica che rompe in modo idrolitico il legame N-glicosidico del A4324 del 28 S rRNA. La denominazione proteine inattivanti il ribosoma (RIP) tipo 1 (a differenza del tipo 2, tra le quali la ricina e tossine simili a doppia catena) è utilizzata per indicare le proteine a catena singola con le proprietà descritte sopra. Le RIP mostrano un’alta omologia di sequenza amminoacidica e sembrano avere una simile attività enzimatica. Tuttavia, esse agiscono in modo diverso su ribosoma di piante, protozoa e animali. Per questa ragione sono uno strumento utile per lo studio delle proprietà del ribosoma. Inoltre, l’interesse verso le RIP è in crescita da quando esse sono utilizzate come “immunotossine”, molecole ibride costituite da un motivo tossico legato ad un anticorpo, il quale riconosce in modo specifico cellule malate, neoplasti, immunocomponenti e cellule di parassiti. Lo studio strutturale di varie e nuove RIP è essenziale per la risoluzione di alcuni problemi che si incontrano nella preparazione di immunotossine. L’attività di ricerca del gruppo è ricolta allo studio di RIP tipo I. Queste sono: la lichnina (dai semi del Lychnis chalcedonica, 26,6 kDa, pI > 9), la diantina 30 (Dianthus caryophyllus, 32,0 kDa) e la momorcochina-S (dai semi del Momordica cochinchinesis, 30,7 kDa). 68 La diantina 30 e la lychnina sono state cristallizzate e la loro struttura è stata risolta tramite “molecular replacement”. Sono ancora in corso esperimenti di cristallizzazione della momorcochina-S per ottenere dei cristalli adatti ad uno studio strutturale a raggi X. Lo studio continuerà, come obiettivo, con dei tentativi di cristallizzazione di altre proteine appartenenti alla famiglia delle RIP, quali buganina e momorchina e con la determinazione della struttura delle due proteine già cristallizzate. E’ inoltre in programma la sintesi di varie forme ricombinanti al fine di chiarire il meccanismo di inibizione dell’attività ribosomiale. 3. Gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi fotosintetica Le gliceraldeidi-3-fosfato deidrogenasi (GAPDH) sono enzimi implicati nella glicolisi, nella glucosogenesi e nel ciclo della riduzione del carbonio di organismi fotosintetici. Le GAPDH fotosintetiche, localizzate nei cloroplasti, sono formate da una (A) oppure due (A e B) subunità e sono in grado di utilizzare come coenzima sia il NAD che il NADP, con preferenza per quest’ultimo. Le subunità A (36 kDa) e B (39 kDa) delle GAPDH dei cloroplasti sono omologhe e altamente conservate. L’estensione C terminale nella subunità B (CTE) include 31 residui assenti nella subunità A. Sono conosciute due isoforme della GAPDH plastidiale: l’isoforma principale contiene subunità A e B in quantità stechiometriche le quali si associano sia in un tetramero A2B2, stabilizzato dal NADP, o in un esadecamero A8B8, stabilizzato dal NAD. Questa forma è definita come quella GAPDH regolatrice in quanto numerosi substrati e altri effettori possono modulare la sua attività e struttura quaternaria; la seconda isoforma è un omotetramero formato di tipo A molto attivo con il NADP e meno efficiente con il NAD, il quale non provoca variazioni nella struttura quaternaria. Il gruppo di ricerca ha recentemente pubblicato, per la prima volta, la struttura cristallografica di una GAPDH fotosintetica (la forma non regolatrice A4 estratta dalle foglie degli spinaci) complessata con il NADP. Le caratteristiche basilari di questa struttura sono molto simili alla GAPDH glicolitica, già conosciuta. Tuttavia delle differenze sostanziali sono state osservate nel dominio di legame col cofattore. Anche la struttura cristallina della forma ricombinante A4-GAPDH da Spinacia oleracea, espressa in E.coli, complessata con NAD è stata risolta dal gruppo di ricerca. Dal confronto tra le strutture dei due complessi si osservano, nell’organizzazione tridimensionale, delle differenze minime quando la GAPDH ospita nel dominio di legame il NAD o il NADP. La struttura cristallina del A4-GAPDH complessata con il NADP ha mostrato che i residui conservati, Thr33 e Ser188, interagiscono tramite legami ad idrogeno con il 2-fosfato del NADP, suggerendo che questi residui conservati possano essere implicati nella definizione della specificità del coenzima nella GAPDH fotosintetica. Come obiettivo, sulla base di queste informazioni ed avendo disponibile la forma ricombinante, verranno prodotte e cristallizzate due forme mutanti del A4-GAPDH, T33A e S188A. La struttura di questi due mutanti sarà stata risolta. Questa sarà la base scientifica per la preparazione di eventuali altri mutanti. 4. Amelogenina Le proteine che costituiscono la famiglia dell’amelogenina sono la principale entità strutturale della matrice extracellulare da cui si sviluppa lo smalto dentario. Esse vengono prodotte da cellule ameloblaste nella parte interna dell’epitelio dello smalto. Nello smalto l’assemblaggio della matrice è concomitante con la crescita e la maturazione dei cristalliti di idrossiapatite che lo costituiscono e forse uno dei fattori chiave che controllano alcuni stadi della crescita dei cristalli. La sequenza ammino e carbossi terminale delle amelogenine è altamente conservata tra le varie specie, suggerendo che queste regioni svolgono un qualche ruolo specifico durante il processo di biomineralizzazione dello smalto controllato dalla matrice. Una caratterizzazione microstrutturale della matrice, associata allo smalto in fase di sviluppo è critica sia per determinare la struttura dell’amelogenina che per determinare la sua specifica 69 funzione nella formazione dello smalto. Dei notevoli progressi sono stati svolti nella biochimica dell’amelogenina da quando, dalla fine degli anni 80, è stata determinata la struttura primaria di varie amelogenine. Tuttavia, le informazioni strutturali ottenute tramite una serie di tecniche spettroscopiche sono state, fin oggi, inconclusive nella formulazione di un modello strutturale. La conformazione dell’amelogenina è fortemente dipendente dalla temperatura, dal pH e dalla forza ionica. Si è visto che in specifiche condizioni la forma ricombinante dell’amelogenina di ratto rm179 si autoassembla per formare delle nanosfere del diametro di circa 20-30 nm. Sulla base di queste informazioni saranno fatti una serie di tentativi di cristallizzazione, al fine di ottenere delle strutture orinate che potranno essere successivamente calcificate in modo da simulare una parte dei complessi meccanismi che sono coinvolti nella formazione dello smalto. BIBLIOGRAFIA 1) L. Randaccio. 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Prediction and experimental testing of Bacillus acidocaldarius thioredoxin stability Biochem. J. (1999) 339, 309. 10) L. De Napoli, S. De Luca, G. Di Fabio, A. Messere, D. Montesarchio, G. Morelli, G. Piccialli, D. Tesauro. A facile solid phase strategy for the synthesis of oligonucleotide-tetraphenylporphyrin conjugates. Eur. J. Org. Chem (2000) 1013. 11) R. Ragone, S. De Luca, D. Tesauro, C. Pedone, G. Morelli. Fluorescence studies on the binding between 1-47 fragment of cholecystokinin receptor CCKA-R(1-47) and nonsulfated cholecystokinin octapeptide CCK8. Biopolymers, (2000) in press. 12) G. De Simone, S. Galdiero, G. Manco, D. Lang, M. Rossi and C. Pedone. A snapshot of a transition state analogue of a novel Thermophilic esterase belonging to the suBfamily of mammalian hormone-sensitive lipase. J. Mol Biol.(2000) 303. 13) S. Fermani, G. Falini, M. Minnucci, A. Ripamonti. Protein Crystallization on Polymeric Films Surfaces. J. Cryst. Growth , in press. 70 14) P. Sabatino, S. Fermani, A. Ripamonti, A. Cassetta, S. Scagliarini, P. Trost. Crystallization and preliminary X-ray Study of Chloroplast Glyceraldheyde-3-phophate dehydrogenase. Acta Cryst. (1999) D55, 566. c) Partecipanti alle ricerche di biocristallografia Unità di ricerca di Trieste Prof. Calligaris Mario Prof. Zangrando Ennio Dr. Jochen Wuerges Unità di ricerca di Napoli Prof. Carlo Pedone Prof. Giancarlo Morelli Dr. Filomena Rossi Dr. Carla Isernia Unità di ricerca di Bologna Dr. Giuseppe Falini Dr. Piera Sabatino Prof. Randaccio Lucio Prof. Geremia Silvano Prof. Nardin Giorgio Dr.ssa Mara Campagnolo Prof. Ettore Benedetti Prof. Maria Grimaldi Dr. Diego Tesauro Dr. Roberto Fattorusso Prof. Benedetto Di Blasio Dr. Michele Saviano Dr. Stefania Galdiero Dr. Simona Fermani Prof. Alberto Ripamonti 3 - Biocristallografia Ambientale a) base scientifica e tecnologica L’atmosfera urbana è caratterizzata dalla presenza di un insieme vasto ed eterogeneo di materiale solido in forma di piccole particelle, il cosiddetto “particolato”, che qualora inalato e trattenuto a livello dei bronchi e degli alveoli polmonari è dannoso.Negli ultimi anni una grande attenzione è stata rivolta al materiale particellare aerodisperso (PM) per i suoi effetti sulla salute, sia acuti che cronici, evidenziati in molti studi epidemiologici effettuati in grandi città. Come conseguenza sono entrati in vigore, sia in Italia che all’estero, una serie di normative volte a salvaguardare la salute dei soggetti esposti a tale materiale inquinante. Anzi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha indicato che per le particelle non sembra esserci, all’attuale stato delle conoscenze, un livello di esposizione al di sotto del quale non siano attesi effetti avversi sulla salute della popolazione. In altre parole le polveri, specialmente quelle fini segnalate con le sigle PM10, PM2,5, sono dannose. Alcuni minerali, quali amianti o silice cristallina, presentano una specifica patogenicità che provoca gravi danni al sistema respiratorio quali tumori bronchiali, asbestosi e mesotelioma pleurico.Le proprietà chimiche e fisiche del particolato atmosferico variano fortemente a secondo della località di raccolta.Esso può avere diversa origine e, da un punto di vista chimico, può essere classificato in: particolato ricco di carbonio (carbonati e solfati), particolato di silice (silicati naturali ed artificiali), particolato metallico (ossidi contenenti Al, Ti, Zn, Cr, Ni, Pb, Cu). Per quanto riguarda le dimensioni, il particolato atmosferico può variare in grandezza da un diametro di 10 nm fino ad un diametro di 100 µm ed è classificato in coarse (> 2,5 µm), fine (2,5 µm), ultrafine (0,1 µm). Nel decreto del 15 Aprile 1994 del Ministero dell’Ambiente, nel quale il particolato PM10 viene indicato come uno degli inquinanti di interesse prioritario, sono definiti i criteri di individuazione degli stati di attenzione e di allarme in base ai quali adottare provvedimenti per prevenire episodi acuti di inquinamento atmosferico. Per la caratterizzazione chimico-fisica del particolato aerodisperso sono disponibili diversi strumenti microanalitici, come microscopi 71 elettronici, microsonde elettroniche, laser, ma la microscopia elettronica a scansione, unita alla microanalisi a raggi X a dispersione di energia (SEM/EDX) è la tecnica più versatile e largamente utilizzata, in quanto permette la determinazione simultanea della morfologia e della composizione chimica delle singole particelle costituenti il particolato. Tuttavia tale tecnica non riesce a dare informazioni qualitative sufficienti circa la composizione chimica delle particelle fine e ultrafine, inoltre è altresì importante la necessità di uno studio dello stato di ossidazione dei metalli presenti in tali particelle in quanto la tossicità di questi ultimi dipende anche dal loro stato di ossidazione. Nonostante la nocività degli amianti sia nota da lungo tempo e siano passati svariati decenni dalla scoperta della relazione tra esposizione all’amianto e sviluppo di forme neoplastiche, il meccanismo di azione a livello molecolare è ancora largamente sconosciuto. In passato il potenziale patogeno venne totalmente attribuito alla sola forma fibrosa, mentre, più recentemente, i meccanismi proposti vedono il concorso di più fattori chimici, fisici e meccanici. Nei casi di patogenicità scatenata da particolato solido, l’individuazione del meccanismo di azione è resa più ardua dalla complessità della reattività di superficie delle fibre, che vede diverse funzionalità chimiche coinvolte, ciascuna delle quali strettamente legata alla “storia” chimica, termica e meccanica del materiale in questione. Il 95% della produzione industriale mondiale di amianto è costituita da crisotilo e molti studi sono stati effettuati sulla struttura e sull’origine geologica di questo minerale. Tuttavia ogni campione di crisotilo naturale differisce dagli altri, anche se solo minimamente, a causa della sua origine geologica, per composizione chimica e struttura. Ciò rende così impossibile la disponibilità di una campionatura di riferimento standard, per studiare il comportamento chimico – fisico e patogeno del crisotilo. b) Obiettivi specifici UNITA’ DI BOLOGNA G.Falini, E.Foresti, I.G. Lesci, N.Roveri, P.Sabatino Il lavoro di ricerca sarà indirizzato principalmente: a) mettere in evidenza la relazione tra la composizione chimica (anioni e cationi) della componente inorganica, con le dimensioni delle diverse particelle aerodisperse, soprattutto per quelle fini, che attualmente risulta essere difficoltosa con la sola tecnica di microscopia elettronica a scansione. Per il raggiungimento di tale obiettivo verrà utilizzato un particolare campionatore nella cui testa porta-filtri, è possibile raccogliere simultaneamente le diverse frazioni del PM in base alla loro granulometria (PM10 PM2,5 PM0,1). L’indagine chimico-strutturale verrà condotta attraverso tecniche diffrattometriche (DRX), spettroscopiche (FT-IR, Raman), di caratterizzazione termometriche (DSC, TGA, DTA), analitiche (cromatografo a scambio ionico) e microscopiche (SEM, TEM, AFM). b) Sintetizzare e caratterizzare sia nanocristalli di crisotilo come unica fase cristallina, stechiometrica e a morfologia controllata, al fine di ottenere un reale standard di riferimento, sia nanocristalli di crisotilo opportunamente drogati con Fe3+, Al3+ e Ti+4 al fine di individuare i parametri, chimici e strutturali delle diverse tipologie di amianto, responsabili del comportamento patologico di questo minerale che lo hanno portato alla sua messa al bando. Per raggiungere questo obiettivo verrà studiato un sistema biologico modello rappresentato da una unità proteica quale l’albumina utilizzata come sensore per l’individuazione dei possibili meccanismi di interazione tra la fasa inorganica ed gli organismi viventi. L’obiettivo è di verificare, ridefinire e caratterizzare tale interazione dal punto di vista chimico strutturale, non solo per il crisotilo naturale ma anche per quello di sintesi utilizzando tecniche come FT-IR, AFM e TEM. 72 4 – Caratteristiche delle Unità di ricerca Le Unità di ricerca di Ancona, Bologna, Napoli e Trieste hanno una qualificata esperienza nello studio della struttura di cristalli, di molecole e di macromolecole ampiamente riconosciuta ed apprezzata a livello nazionale ed internazionale. Esse metteranno a disposizione delle altre unità le loro competenze e le relative strumentazioni per la risoluzione strutturale, a mezzo diffrazione di RX di piccole molecole, proteine e altri sistemi biologici. L’attività viene assicurata anche dal lavoro di giovani ricercatori, che hanno acquisito, anche con soggiorni all’estero, specifiche competenze ad elevato livello nella purificazione di proteine, nella biocristallografia e nel computer modelling. L’Unità di Ancona ha esperienza specifica nelle tecniche di spettroscopia infrarossa (Spettrometro FT-IR Perkin-Elmer Spectrum GX1 con accessori per misure in riflettanza DRIFT, CIRCLE e ATR), NMR ed EPR. L’Unità di Bologna ha anche esperienza nelle tecniche di diffrazione di raggi X a basso angolo, nelle tecniche microcalorimetriche (DSC e TG) e tests meccanici e nelle tecniche di microscopia elettronica a scansione (SEM), ed a trasmissione (TEM) e di microscopia a forza atomica (AFM). L’Unità di Napoli ha anche esperienza nella sintesi e caratterizzazione di peptidi, nella modellistica molecolare, negli studi strutturali mediante spettroscopia NMR. L'Unità di Trieste, che fa parte del Centro di Eccellenza di Biocristallografia, ha esperienza delle seguenti tecniche necessarie per realizzare i suddetti obiettivi e che mette a disposizione anche delle altre unità: a) disegno, sintesi e caratterizzazione di nuovi modelli B12 e di loro derivati supramolecolari; b) tecniche di cristallizzazione e caratterizzazione strutturale da cristallo singolo di proteine mediante diffrazione di raggi X da sorgenti convenzionali e da radiazione di sincrotrone; c) caratterizzazione strutturale di centri metallici mediante EXAFS; d) analisi delle proprietà redox (voltammetria ciclica e spettroelettrochimica). L' Unità di Trieste, è dotata, per la raccolta dati di diffrazione RX, di un area detector DIP 1030 utilizzato con diffrattometro a radiazione Mo-Kα con sistema di raccolta a bassa temperatura fino a 100 K e di un detector CCD recentemente installato su anodo rotante con radiazione al Cu; di un laboratorio attrezzato per l'espressione e purificazione di proteine; di un laboratorio attrezzato per la cristallizzazione di proteine; di una rete di Silicon graphics per l'elaborazione dei dati. Alcuni membri dell'Unità di Trieste hanno esperienza pluriennale di utilizzo della linea di diffrazione RX del sincrotrone Elettra e di quella EXAFS al sincrotrone Lure, eseguendo regolarmente misure previa approvazione degli appositi Comitati Scientifici. In particolare, il prof. Vlaic ha costruito e messo a punto la nuova linea EXAFS presso Elettra, che entrerà in funzione nell’anno 2004. 5 – Attività di formazione Per quanto riguarda le ricerche nel campo della biocristallografia le Unità di Bologna, Napoli e Trieste svolgono attività di alta formazione di laureandi, laureati e dottorandi. In particolare i borsisti svolgono la propria attività su tematiche di ricerca del Consorzio. In ognuna delle tre Unità di Bologna, Napoli e Trieste hanno svolto attività di ricerca giovani ricercatori assegnatari di borse di studio del Consorzio. Il CIRPEB, presso cui opera l’Unità di Napoli del Consorzio, finanzia contratti di collaborazione scientifica per giovani laureati e diplomati per la formazione di essi nell’ambito delle biotecnologie avanzate. Inoltre la gran parte dei ricercatori del centro svolge anche attività di ricerca nel Centro di Studio di Biocristallografia del CNR. Questo Centro svolge attività di alta formazione documentata dalle numerose borse di studio assegnate nell'ambito di progetto POP e Legge 41 della Regione Campania; da borse di studio europee post-dottorato nel progetto Biotecnologie; da borse di studio per laureati nello stesso progetto. Il Centro negli anni ha assegnato numerosi contratti di collaborazione a laureati e diplomati e ha finanziato dottorandi in Scienze 73 Chimiche e in Biochimica. Inoltre il Centro ha attivato un dottorato di ricerca tra Italia e Francia nel campo dei Sistemi di Interesse Biologico. 6 – Finanziamenti Le Unità di ricerca di Ancona, Bologna, Napoli e Trieste partecipano a Programmi di Ricerca Nazionali cofinanziati dal MURST. Il Centro di Eccellenza in Biocristallografia di Trieste, insediatosi nel giugno 2001 oltre ai finaziamenti ottenuti all’atto della sua costituzione, partecipa a un programma di Finanziamento FIRB. L’Unità di Napoli ha presentato una richiesta di finanziamento alla Comunità Europea nell’ambito di “Cell factory” area Nuovi diagnostici e terapeutici (finanziamento non gestito dal consorzio ma dal CIRPEB). L’Unità di Bologna ha finanziamenti nell’ambito del Progetto Finalizzato del CNR : Materiali speciali per tecnologie avanzate II – Area: Cardiovascolare e Ortopedia e partecipa al Progetto SIMI (GRD1-2000-26823) del V Programma quadro della Comunità Europea (finanziamenti gestiti dal Dipartimento di Chimica G.Ciamician dell’Università di Bologna). 74 BIOSENSORI E BIOSTRUMENTAZIONE Introduzione La tecnologia dei biosensori, che cerca di combinare le proprietà uniche di riconoscimento delle strutture biologiche con dispositivi trasduttori ingegnerizzati in modo da fornire avanzate capacità di rivelazione, ha suscitato un grande interesse da parte delle comunità di ricerca mondiale. I ricercatori hanno finora prodotto un gran numero di biosensori ibridi che utilizzano costrutti sia acellulari (macromolecolari) che cellulari, integrati con un'ampia gamma di dispositivi trasduttori (elettrodi amperometrici e potenziometrici, transistor a effetto di campo, cristalli piezoelettrici, sensori optoelettronici, termistore, termopile, dispositivi per risonanza superficiale al plasmon eccetera). UNITÀ DI RICERCA DI NAPOLI Obiettivi e Metodi: Di pertinenza dell’unità operativa di Napoli sarà la biosensoristica non cellulare. In tale campo, la ricerca da condurre può essere suddivisa in: 1- individuazione e produzione di nuove molecole atte a rilevare uno specifico analita o a misurare qualche parametro di stato di un dato sistema (nuove sonde molecolari); 2- individuazione e produzione di nuovi sistemi di trasduzione del segnale, in modo da rivelare l’avvenuta formazione di un complesso specifico tra analita e sonda o una modificazione indotta nella sonda dallo stato fisico del sistema analizzato; 3- individuazione di nuovi sistemi di amplificazione del segnale, ove questo sia necessario prima della fase di trasduzione (visto che, una volta convertito il segnale iniziale in un impulso elettrico oppure ottico è possibile applicare i metodi classici di amplificazione ben noti in ingegneria); 4- assemblaggio ottimale delle diverse componenti del biosensore. 5- testing del biosensore. 1. Nuove sonde molecolari. Presso l’Istituto di Biostrutture e Bioimmagini sono presenti diversi laboratori per la sintesi e la modifica strutturale di peptidi e acidi nucleici. La versatilità di queste classi di molecole consente la realizzazione di ligandi per un determinato analita bersaglio che possiedano alta selettività e buona affinità, costituendo quindi un sistema ideale per il legame a molecole di interesse. Inoltre, l’introduzione di modifiche strutturali rende possibile sia aumentare il repertorio di possibili sonde sia, soprattutto, il miglioramento della resistenza alla degradazione ambientale e il conferimento delle proprietà di solubilità opportune per la rivelazione di analiti in soluzione. Specificamente, presso l’Istituto si intende progettare nuove molecole di PNA ed altri oligonucleotidi modificati per il riconoscimento di specifiche sequenze oligonucleotidiche bersaglio. I PNA sono analoghi del DNA nei quali un’unità di 2-amminoetil-glicina sostituisce il normale backbone fosfodiestereo. Un linker metil carbonilico connette la base nucleotidica a questo backbone attraverso l’azoto amminico (Figura 1). 75 3' OH NH 2 A O O T N P O O O _ O O NH C N O O G O P O O _ O O G NH O N O C O O CONH P O _ 5' 2 Figura 1. PNA DNA I PNA sono molecole non-ioniche, achirali e non sono sensibili a digestione enzimatica. La distanza tra basi successive all’interno della catena di PNA è tale da consentire a tali molecole di complementare sequenze di oligonucleotidi bersaglio secondo il classico schema di accoppiamento delle basi con il contemporaneo vantaggio di avere una struttura dotata di un’ottima stabilità.1 L’elevata stabilità dei complessi PNA/RNA è stata già sfruttata per produrre molecole capaci di riconoscere e legare complesse strutture tridimensionali di RNA.2 Le sonde a PNA, con la loro alta sensibilità, migliore specificità, maggiore stabilità e la capacità di legare un bersaglio con maggiore affinità e più rapidamente, sicuramente rappresentano un avanzamento che porterà all’ulteriore sviluppo del mercato delle sonde nucleotidiche. Tuttavia, l’impiego diretto dei PNA come sonde presenta alcuni problemi. In particolare, un serio ostacolo è rappresentato dalla bassa solubilità in acqua di sequenze di lunghezza superiore a 10 monomeri. Poiché per ottenere la selettività richiesta ad un biosensore basato su PNA sono necessarie sequenze di almeno 12 monomeri, è necessario incrementare la solubilità della sonda. Si tenga presente che questo vale anche per sonde legate ad un supporto solido, perché l’analita da rilevare (una sequenza oligonucleotidica) è in soluzione. Fortunatamente, la versatile chimica dei PNA permette di superare il problema. E’ infatti possibile, per esempio, inserire amminoacidi carichi sia all’interno che come pendagli, sfruttando una sintesi di tipo Fmoc; oppure, utilizzando la chimica del linker, è possibile costruire molecole chimeriche di tipo PNA/DNA. Le modifiche indicate non diminuiscono la selettività della sonda, non aumentano in modo drastico la sua degradabilità e, nel caso dell’introduzione di amminoacidi carichi positivamente, possono anche aumentare l’affinità per la sequenza bersaglio. 2. Individuazione e produzione di nuovi sistemi di trasduzione del segnale. La funzionalizzazione di acidi nucleici con nanocristalli d’oro (Quantum Dots) è una tecnica usata da almeno una decina di anni in alternativa alla coniugazione con fluorofori per ottenere sonde nucleotidiche in grado di rivelare la presenza di una sequenza complementare con alta sensibilità. In particolare, l’elevata resa quantica dei nanocristalli, accoppiata con la presenza di bande di eccitazione e di emissione ristrette, ha reso possibile l’impiego di sonde DNA/nanocristallo in combinazioni diverse, in modo da rilevare simultaneamente la presenza di bersagli diversi. La rivelazione si basa sostanzialmente sul quenching indotto dall’accoppiamento con la sequenza bersaglio, che in condizioni di elevata stringenza corrisponde ad un segnale ottico 76 preciso. Tale segnale può essere sia direttamente rivelato da un fotomoltiplicatore sia, attraverso ben noti effetti fotoelettrici, essere trasformato in un segnale elettrico da rivelare in quanto tale. Questa tecnica, vista la sensibilità della rivelazione in fluorescenza, consente la rivelazione anche di concentrazioni molto piccole di analita, ma presenta due principali svantaggi per quanto riguarda la sua applicazione ai biosensori: 1- la necessità di una taratura preliminare, vista la dipendenza non lineare del quenching indotto dalla concentrazione di analita; 2- la necessità dell’utilizzo di un lettore in fluorescenza, apparato di solito non facilmente trasportabile sul campo. Recentemente, tuttavia, si è fatto uso di una nuova proprietà dei nanocristalli d’oro – l’assorbimento selettivo nelle radiofrequenze – per indurre in maniera reversibile e controllata cambiamenti strutturali in un’hairpin di DNA (Nature, gennaio 2002). Tale hairpin era funzionalizzata nel C5 di una timina del loop apicale con un nanocristallo d’oro di diametro pari a 1.4 nm; eccitando il sistema con un campo magnetico a 1.3 GHz, è stata osservata la denaturazione termica reversibile della parte di DNA in doppia elica. La possibilità di denaturare selettivamente regioni in doppia elica di acidi nucleici e di controllare tale denaturazione mediante un comando a distanza è ovviamente estremamente interessante. L’estensione di questi concetti ai PNA consente di prevedere un’ulteriore ampliamento delle possibilità applicative di tale tecnologia. In particolare, nel campo dei biosensori è possibile pensare di costruire doppie eliche oligonucleotidiche di cui un filamento sia funzionalizzato con un nanocristallo, come sarà accennato brevemente in seguito. 3. Individuazione di nuovi sistemi di amplificazione del segnale. Ove possibile, si intende amplificare il segnale derivante dall’interazione sonda/analita prima della rivelazione. In particolare, è possibile immaginare di aggiungere alla soluzione da esaminare alcuni composti fotosensibili. Grazie alla notevole capacità dei nanocristalli di emettere fluorescenza ad una lunghezza d’onda che dipende solo dalle dimensioni del nanocristallo stesso, sarà possibile selezionare nanocristali da coniugare ai PNA sonda che emettano alla lunghezza d’onda ottimale per l’eccitazione secondaria dei composti fotosensibili. La degradazione irreversibile di questi consente l’amplificazione del segnale iniziale, se il sistema viene esposto alla lunghezza d’onda di eccitazione dei nanocristalli. Tale evento si verificherà solo ove i nanocristalli siano a loro volta presenti in soluzione, evento associato al riconoscimento sonda-analita. 4. Assemblaggio ottimale delle diverse componenti del biosensore L’assemblaggio definitivo del biosensore descritto prevede il legame del nanocristallo ad un filamento di PNA o DNA, l’assemblaggio del filamento complementare ad un supporto solido, e l’integrazione di questo dispositivo con un dispositivo di eccitazione nelle radiofrequenze. Il primo passo avverrà attraverso la formazione di un legame ammidico tra un nanocristallo opportunamente funzionalizzato e un monomero sintetizzato allo scopo, che sia facilmente incorporabile all’interno della sequenza di PNA. Il secondo passo avverrà attraverso la formazione di un legame covalente tra il filamento di PNA sonda e una resina selezionata fra le molte possibili, che potrebbe eventualmente coincidere con la stessa resina di sintesi utilizzata per la produzione della sonda. Una volta avvenuta l’ibridazione tra sonda e filamento funzionalizzato con nanocristallo, sarà costruito un espositore in radiofrequenze ad hoc, che sia capace di eccitare alla giusta frequenza il nanocristallo utilizzato. Al suo interno, sarà situata la soluzione contenente il sistema sonda, utilizzando semplici cuvette in quarzo compatibili con misure ottiche. 77 5. Testing del biosensore. Il biosensore costruito sarà sottoposto ad una fase di testing. In particolare, il suo funzionamento dovrebbe essere il seguente. Nel prototipo finale, l’eccitazione in radiofrequenza consente di denaturare la doppia elica liberando il filamento sonda sul supporto solido (rendendolo così accessibile all’eventuale analita in soluzione) e contemporaneamente rilasciando in soluzione il filamento funzionalizzato con il nanocristallo. Ove l’analita sia presente, esso si ibrida alla sonda, lasciando il filamento funzionalizzato con il nanocristallo in soluzione ed impedendone la reibridazione al filamento sonda. Poiché il nanocristallo è direttamente rivelabile nel visibile, si assisterà alla decolorazione del supporto solido e alla comparsa di colore nella soluzione. Se in soluzione sono presenti dei composti fotosensibili alla lunghezza d’onda di emissione del nanocristallo, l’eccitazione della soluzione alla lunghezza d’onda di assorbimento del nanocristallo ne causerà la degradazione immediata, amplificando così il segnale dovuto alla presenza anche di quantità molto piccole di nanocristallo in soluzione. BIBLIOGRAFIA 1) Nielsen, P.E., “Peptide nucleic acid: a versatile tool in genetic diagnostics and molecular biology.”, Curr Opin Biotechnol. 2001 Feb;12(1):16-20. 2) Good L., Nielsen P.E., Inhibition of translation and bacterial growth by peptide nucleic acid targeted to ribosomal RNA., Proc Natl Acad Sci U S A. 1998 Mar 3;95(5):2073-6. UNITÀ DI RICERCA DI LECCE Composizione: Prof. Schettino T., Lionetto M.G., Caricato, R., Soldano E. Settore di Indagine, Obiettivi e Metodi: Sviluppo di un metodo bioanalitico basato sull’utilizzo del metalloenzima anidrasi carbonica per la determinazione della tossicità di campioni ambientali L’anidrasi carbonica è un metalloenzima che catalizza la reazione reversibile di idratazione della CO2 in HCO3- e H+. Tale enzima è ubiquitario, in quanto è presente nei batteri, nelle piante e negli animali e svolge un ruolo fondamentale in numerosi processi fisiologici. Precedenti studi hanno dimostrato la sensibilità dell’attività di tale enzima a inquinanti ambientali quali il diclorodifenil-dicloro-etano (DDT) [Pocker et al., Science, 174: 1336-1339, 1971] e il cadmio [Lionetto et al., Aq. Toxicol., 48: 561-571, 2000]. L’obiettivo del presente progetto è quello di utilizzare l’anidrasi carbonica per sviluppare un metodo bioanalitico utilizzabile come complemento alle analisi chimiche per la determinazione della tossicità di campioni ambientali. Tale metodo si propone di essere di facile utilizzo, veloce e a basso costo, atto allo screening di un elevato numero di campioni ambientali. Per la realizzazione degli obiettivi del progetto si utilizzerà anidrasi carbonica bovina (isoforma II) disponibile in commercio, di cui verrà testata la sensibilità alle principali classi di contaminanti chimici di rilevanza ai fini della valutazione della qualità delle acque. Verrà indagata la sensibilità non solo ai singoli contaminanti ma anche a miscele di contaminanti chimici organici e 78 inorganici al fine di standardizzare uno strumento bioanalitico che consenta di rilevare effetti additivi e sinergici che molteplici contaminanti in tracce possono avere sui sistemi biologici. L’attività di anidrasi carbonica verrà determinata attraverso il metodo elettrometrico descritto da Wilbur e Anderson [J. Biol. Chem., 257: 12056-12059, 1948] secondo il quale le unità di attività enzimatica vengono calcolate dalla velocità di produzione di H+ nella miscela di reazione contenente CO2 come substrato dell’enzima. Nel corso dello svolgimento del presente progetto, sulla base dei risultati ottenuti con il metodo di Wilbur e Anderson si cercherà di snellire ulteriormente le procedure analitiche sviluppando un metodo spettrofotometrico su micropiastra, di più semplice e rapida esecuzione e che sia applicabile allo screening di un elevato numero di campioni ambientali. La standardizzazione di tale metodo bioanalitico può trovare ulteriore applicazione nella messa a punto di un biosensore della tossicità di campioni ambientali basato sull’utilizzo del metalloenzima anidrasi carbonica. 79 80 NUOVI FARMACI INORGANICI IN ONCOLOGIA Introduzione Il cisplatino (cis-diamminodicloroplatino) è da numerosi anni il farmaco più ampiamente utilizzato nel trattamento chemioterapico dei tumori, con un mercato mondiale valutato in alcuni milioni di dollari. Le applicazioni cliniche includono in particolare, oltre al tumore dei testicoli verso il quale il cisplatino è praticamente curativo, i tumori alle ovaie, al polmone, alla testa e al collo, al tratto gastrointestinale superiore, l’osteosarcoma e altri. Dalla scoperta di Rosenberg dell’attività antitumorale del cisplatino alla fine degli anni 60, più di 3000 complessi di platino sono stati sintetizzati e saggiati con lo scopo di rendere più ampio lo spettro di attività antitumorale del composto e/o ridurne gli effetti collaterali (tossicità). Al momento, tuttavia, solo due ulteriori complessi di platino sono entrati nella terapia clinica mondiale: il cis-[diammino-1,1-ciclobutanodicarbossilato platino(II)] (carboplatino) ed il cis-[1,2diamminocicloesano-ossalato platino(II)] (oxaliplatino) (Figura 1). O Cl H3N H3N Pt H3 N O C O C Pt H3N Cl O Cisplatino Carboplatino NH2 O O C Pt O NH2 C O Oxaliplatino Figura 1. Strutture schematiche di cisplatino, carboplatino e oxaliplatino. Nonostante il successo di questi farmaci (praticamente tutti i regimi clinici di trattamento chemioterapico combinato contengono il cisplatino o un composto analogo), vi è ancora un ampio margine per lo sviluppo di nuove sostanze, purchè esse presentino caratteristiche innovative rispetto all’esistente. In particolare, composti innovativi devono possedere attività verso linee o forme tumorali resistenti ai composti di platino convenzionali (e possibilmente anche ai chemioterapici di natura organica) e devono presentare una tossicità sistemica limitata. Anche dal punto di vista della comprensione dei meccanismi d’azione la ricerca è ben lontana dall’essere esaurita. Basti pensare che, seppure il cisplatino sia utilizzato in fase clinica da circa 30 anni e sia stato ampiamente studiato in tutto il mondo, numerosi aspetti del suo meccanismo di azione sono ancora incompresi. Soltanto i primi stadi dell’azione del cisplatino sono conosciuti con relativa certezza; essi comprendono il trasporto all’interno della cellula, l’attivazione in seguito ad idrolisi dei cloruri, la coordinazione al DNA con prevalente formazione di cross-link tra due siti N7 di nucleobasi puriniche adiacenti (intrastrand G,G e A,G cross-link). Tali addotti, stabili ed inerti, provocano delle distorsioni nella doppia elica del DNA le quali, apparentemente, inducono la morte cellulare per apoptosi tramite una complessa e non ben chiara successione di reazioni che coinvolgono numerosi fattori (proteine HMG, enzimi di riparo e, in particolare, il gene p53, ed altri). Nuovi farmaci antitumorali più selettivi verso il tessuto tumorale potrebbero essere ottenuti modificando opportunamente il cisplatino o i suoi analoghi onde sfruttare alcune caratteristiche peculiari del tessuto tumorale come bersaglio selettivo. 81 Base di partenza scientifica E’ importante sottolineare che la ricerca sviluppata nell’ambito del Consorzio ha già avuto anche degli importanti riscontri applicativi: un composto non-citotossico a base di rutenio denominato NAMI-A (Figura 2), sviluppato dall’unità di Trieste, si è dimostrato in grado di agire efficacemente sui tumori secondari disseminati, tipicamente resistenti ai convenzionali composti di platino. Tale composto, dopo ampi studi preclinici, ha recentemente concluso la fase di sperimentazione clinica I presso il Netherland Cancer Institute di Amsterdam e dovrebbe presto accedere alla fase successiva. Da sottolineare che il NAMI-A è stato il primo complesso di rutenio a raggiungere la fase di sperimentazione clinica. Me S Me O Cl (III) Ru Cl Cl HN NH + Cl N NAMI-A HN Risulta quindi evidente come la ricerca italiana, rappresentata dai laboratori riuniti nel Consorzio CIRCMSB, abbia le potenzialità per fornire importanti contributi allo sviluppo di nuovi antitumorali inorganici ed alla comprensione del meccanismo di azione di quelli esistenti. Da sottolineare infine come il Consorzio Interuniversitario, tramite anche l’istituzione di borse di studio e contratti di ricerca, contribuisca in maniera determinante alla formazione di giovani ricercatori, favorendo il passaggio generazionale di conoscenze e competenze nell’ambito di un generale ringiovanimento del sistema scientifico di base. Obiettivi del Programma di Ricerca Gli obiettivi del programma di ricerca si possono suddividere in due punti molto ampi: • Progettazione, sintesi e screening di nuovi composti inorganici con attività antitumorale e individuazione delle caratteristiche chimiche alla base della loro attività • Comprensione dei meccanismi d’azione alla base dei composti attivi ed individuazione dei loro target biologici. Risulta evidente come i due settori siano fra loro connessi in modo sinergico. Infatti, la comprensione dei meccanismi d’azione e l’individuazione dei target biologici può portare allo sviluppo ragionato di nuovi composti più attivi. I due punti verranno di seguito analizzati in maggior dettaglio. 1. Progettazione, sintesi e screening di nuovi composti inorganici con attività antitumorale e individuazione delle caratteristiche chimiche alla base della loro attività La maggior parte dei composti di platino saggiati finora sono stati sintetizzati seguendo alcune ben precise correlazioni struttura-attività stabilite fin dai primi studi sul cisplatino, e che hanno portato ai derivati di seconda (carboplatino) e terza generazione (oxaliplatino): complessi neutri, geometria cis, due leganti anionici relativamente labili (gruppi uscenti, cloruri o carbossilati chelanti), due leganti neutri e inerti (ammine primarie o secondarie). Composti sviluppati secondo queste regole sono molto probabilmente attivi, tuttavia l’esperienza ha dimostrato che tale attività non è solitamente molto dissimile da quella del cisplatino. Si è quindi delineata la convinzione che, per trovare composti che presentino attività su linee tumorali attualmente resistenti al cisplatino (le quali comprendono purtroppo alcuni dei tumori umani a maggiore incidenza), sia necessario esplorare strutture non convenzionali, cioè che non 82 seguano le regole di struttura-attività precedentemente elencate. Tale convinzione è supportata da numerose evidenze sperimentali, quali la scoperta di elevata attività antitumorale in composti di- e tri-nucleari di platino e in complessi recanti i gruppi uscenti in posizione trans anziché cis (in questo settore l’unità di Bari ha dato dei contributi molto importanti). Alcune caratteristiche di questi nuovi composti attivi, ad esempio la carica positiva delle specie di- e trinucleari o la geometria trans, sono completamente inattese in quanto non rispettano i criteri di correlazione struttura/attività stabiliti a suo tempo per il cisplatino. Inoltre, molti dei nuovi composti di platino sono attivi su linee resistenti al cisplatino. In generale, per composti antitumorali non convenzionali (o non-classici) si intendono complessi di platino con principi strutturali diversi rispetto al cisplatino e composti a base di altri metalli. In particolare, fra le linee di ricerca delle varie unità del Consorzio, possiamo elencare: 1. Complessi di Pt(II) a geometria trans e/o con leganti carrier non-classici (non amminici, e. g. complessi fosfinici) o in grado di impartire selettività d'azione al derivato; 2. Composti a base di Ru(II) e Ru(III) e, in particolare: • composti tipo-NAMI-A • composti nitrosilici • composti con carbossilati chelanti 3. Composti a base di Pd(II), 4. Composti a base di Cu(I) e Cu(II), 5. Composti di coordinazione e organometallici a base di Re e Tc, 6. Composti a base di Au(III), 7. Composto di organo-stagno(IV), 8. Derivati di metalli di transizione di consolidato valore farmacologico (Pt e anche altri metalli) aventi come leganti biomolecole opportunamente derivatizzate (es purine, tiopurine, acidi biliari naturali e modificati, dipeptidi, antibiotici, acidi carbossilici, steroidi, carboidrati, porfirine). 9. Per composti selezionati fra le classi sopra elencate verrà condotto uno studio delle interazioni con biomolecole e del rapporto struttura-proprietà chimico fisicheattività. Maggiore dettaglio viene riportato nei programmi di ricerca delle singole unità. 2. Comprensione dei meccanismi d’azione alla base dei composti attivi ed individuazione dei loro target biologici Nell’ambito di questo settore è possibile individuare alcune tematiche di ricerca specifiche, sia per quanto riguarda la natura dei bersagli biologici che le ipotesi sul meccanismo di azione di queste classe di composti. In particolare: 1) Studio delle interazioni dei composti antitumorali con le principali proteine plasmatiche, che potrebbero fungere da sequestranti o da carrier. 2) Distribuzione intracellulare dei composti, valutazione di eventuali alterazioni del ciclo cellulare, valutazione della capacità di indurre morte cellulare per apoptosi ed eventuali effetti preapoptotici. 3) Messa a punto di test biologici atti a valutare l’attività ed a fornire informazioni sul possibile meccanismo d'azione di composti inorganici attivi (anche di tipo non convenzionale, ad esempio non-citotossici). Considerata la varietà dei composti che dovranno essere analizzati è assolutamente necessario disporre di opportuni test di valutazione biologica di prima istanza per la selezione dei composti più attivi. 4) Verifica della capacità dei composti metallici di inibire l’attività telomerasica. Consistenti dati sperimentali dimostrano il coinvolgimento dell’enzima telomerasi nel processo 83 oncogenetico e nella proliferazione delle cellule tumorali. Nella maggioranza delle cellule tumorali e in quelle metastatiche, la lunghezza del telomero (la parte terminale dei cromosomi) viene preservata grazie ad alti livelli di attività telomerasica. Questa caratteristica permette alle cellule tumorali di eludere la senescenza replicativa e di proliferare in modo indefinito. Le cellule somatiche al contrario riducono la lunghezza dei telomeri durante i cicli successivi di duplicazione fino ad innescare quei fenomeni di crisi che portano alla morte programmata della cellula (apoptosi). Queste caratteristiche fanno della telomerasi un target biochimico ideale per una lotta ai tumori "mirata". In particolare, l’individuazione di sostanze specificatamente reattive nei confronti dell’enzima ed in grado di inibirne la funzionalità, permetterebbe di intervenire selettivamente su un processo metabolico preferenzialmente localizzato sul tessuto tumorale, con conseguenze ridotte per i tessuti sani. 5) Studio del meccanismo di azione delle classi di composti più attivi tramite test di tipo biologico (ad esempio valutazione del danno al DNA con tecniche di biologia molecolare come il test COMET) e studi spettroscopici di interazione in vitro con biomolecole (DNA, oligonucleotidi, proteine, peptidi). 6) Valutazione dell’attività anti-angiogenica, in particolare per i composti di Ru, e studio dell’interazione con l’ossido d’azoto (NO). E’ noto infatti che, a livello biologico, l’ossido di azoto funge anche da mediatore nei processi angiogenici e che, d’altra parte, alcuni composti di Ru interagiscono facilmente con NO, anche in vivo, generando addotti stabili. La possibilità che i complessi attivi e non-citotossici di Ru interferiscano con il meccanismo angiogenico tramite la loro coordinazione all’NO è dunque una plausibile ipotesi di lavoro da verificare. 7) Studio dell’accumulo cellulare attivo dei diversi composti (ad esempio l’accumulo del rutenio mediato dalla transferrina). Uno degli obiettivi più ambiziosi della chemioterapia è quello di ottenere selettività nel danno cellulare; ogni processo di trasporto attivo in grado di favorire le cellule tumorali rispetto a quelle sane è potenzialmente utile per aumentare selettivamente la concentrazione del farmaco all’interno delle cellule tumorali. 8) Valutazione della selettività d'azione citotossica di derivati ormonali con composti metallici reattivi. Alcuni tumori, detti ormone-dipendenti, esprimono alti livelli di recettori estrogenici (ER+). Ormoni derivatizzati attraverso un composto metallico reattivo potrebbero amplificare selettivamente l'effetto citotossico nelle cellule tumorali che sovraesprimono il corrispondente recettore. L'addotto ormone-recettore potrebbe infatti indirizzare la reattività del citotossico sul DNA. Questa strategia si basa sull’assunto che il complesso ormone-metallo rimanga efficacemente riconosciuto dal sistema recettoriale della cellula target e poi rilasciato nel nucleo. Il Consorzio Interuniversitario CIRCMSB riunisce le maggiori Unità di Ricerca italiane operanti da anni in questo ambito; il ruolo di alcune di esse è ben riconosciuto anche a livello internazionale, come testimoniato dalla loro attiva presenza nei progetti di collaborazione a livello Europeo, quali l’Azione COST D20 “Metal compounds in the treatment of cancer and viral diseases”, attualmente presieduta dal Prof. E. Alessio dell’Unità di Trieste. Le unità di ricerca, inoltre, presentano competenze tipicamente interdisciplinari, sia di tipo chimico che di tipo biologico e farmacologico, che si integrano e si rafforzano con sinergie positive nell’ambito del Consorzio. Oltre ad un fattivo scambio di conoscenza, sono già in corso fra le unità del Consorzio numerose collaborazioni su progetti di interesse comune. Di seguito verranno riportati in maggior dettaglio i progetti specifici delle singole Unità di Ricerca, evidenziandone anche la composizione, il settore specifico di indagine e le collaborazioni (già esistenti o in fase di realizzazione) all’interno del Consorzio. Come già sottolineato, le unità afferenti al CIRCMSB, tutte attive da anni nel settore e comprendenti chimici, biologi, medici e farmacologi, sono fra loro complementari e sinergiche ed in grado di affrontare con competenza le 84 diverse tematiche del progetto; inoltre, esistono già fra le varie unità rapporti di collaborazione ben definiti e motivati da comuni interessi scientifici. UNITÀ DI RICERCA DI BARI Composizione e Settore di Indagine L’Unità di Ricerca di Bari è composta principalmente da due gruppi di ricercatori che afferiscono rispettivamente al Dipartimento Farmaco-Chimico ed al Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana. Il primo gruppo di ricercatori coordinato dal Prof. G. Natile ha competenze di tipo prevalentemente chimico e da diversi anni è attivo nel settore dei chemioterapici inorganici ed ha sviluppato in questo ambito numerosi derivati del platino “non convenzionali”, alcuni dei quali sono prossimi ad entrare in fase di sperimentazione clinica. Il secondo gruppo di ricercatori coordinato dal Prof. M. Coluccia è composto da biologi e medici ed è attivo da molti anni nel settore degli antitumorali di platino e rutenio con riferimento sia all’aspetto terapeutico che a quello della farmacologia molecolare. Collaborazioni: UR di Trieste, Firenze e Siena Obiettivi e Metodi: Sviluppo di composti antitumorali di platino “non convenzionali” E’ stato dimostrato che leganti iminoeterei (HN=C(OR)R’) aventi proprietà intermedie tra gli N-eterocicli aromatici quali la piridina (atomo di azoto donatore ibridizzato sp2, estensione planare) e le ammine (presenza di un atomo di idrogeno sull’atomo donatore) sono in grado di conferire attività antitumorale a composti di platino a geometria trans. E’ sufficiente la presenza di un solo legante iminoetere per avere una sorprendente attività antitumorale. Pertanto questa classe di composti è particolarmente idonea per uno studio di tipo combinatoriale potendo intervenire su tre diversi elementi: a) geometria del complesso (cis o trans), b) numero di leganti iminoetere (1 o 2), c) natura dei sostituenti R e R’dell’iminoetere. Oltre ai composti con iminoetere, i quali hanno dimostrato avere una certa labilità configurazionale, soprattutto in soluzione fisiologica, lo studio verrà esteso a leganti iminoeterimimetici configurazionalmente stabili. In Figura sono mostrati alcuni substrati scelti per questo ruolo: il 5-metossi-3,4-diidropirrolo ed il 5-metil-2,3-diidro-4-ossazolo (1 e 2 in Figura 1). La sintesi dei complessi di platino con 5-metossi-3,4-diidropirrolo non è stata mai riportata prima mentre per la sintesi di 5-alchil-2,3-diidro-4-ossazolo ci sono già alcuni esempi (U. Belluco, R. Bertani, F. Meneghetti, R.A. Michelin,; M. Mozzon, A. Dolmella, Inorg. Chim. Acta, 2000, 300302, 912-921). 85 Un terzo obbiettivo sarà quello di estendere l’indagine a composti, analoghi degli iminoeteri ma che, al posto dell’ossigeno, hanno un metilene. Sono questi leganti le chetimmine. Le chetimine, così come gli iminoeteri, sono instabili come leganti liberi ma anche per questi leganti, così come per gli iminoeteri, il diidropirrolo ed il diidroossazolo, è possibile la loro sintesi nella sfera di coordinazione del platino per modifica di un legante già coordinato. Proprietà di interazione con il DNA Verrà studiata la natura degli addotti formati dai complessi di platino con DNA ad alto peso molecolare, con frammenti di DNA e con oligonucleotidi selettivamente modificati e purificati. Le modificazioni strutturali e funzionali derivanti dall’interazione dei complessi con il DNA verranno studiate con tecniche chimico-fisiche (spettroscopia ad assorbimento atomico, fluorescenza e NMR) e di biologia molecolare (mappatura trascrizionale e replicativa) come descritto altrove (G. Natile, M. Coluccia, Metallopharmaceuticals, J Clarke and PJ Sadler eds., Springer Verlag, Berlin. 1999, pp 73-98). Particolare attenzione sarà dedicata all’identificazione della struttura capace di interagire preferenzialmente con la sequenza telomerica TTAGGG, e gli studi biochimici correlati verranno eseguiti in collaborazione con l’UR del Piemonte Orientale. I risultati permetteranno una più approfondita comprensione delle interazioni farmaco-DNA alla base dell’attività biologica dei complessi-guida trans-[PtCl2{Z-HN=C(OMe)Me}(NH3)] e cis-[PtCl2{E-HN=C(OMe)Me}(NH3)] (1 e 2 in Figura 2) e degli analoghi composti con chetimmine. Accumulo intracellulare e formazione di addotti col DNA L’accumulo intracellulare di platino e la platinazione del DNA verranno determinati mediante spettroscopia ad assorbimento atomico, GFAAS, dopo esposizione delle cellule a concentrazioni equimolari di complesso. Il platino sarà espresso come mmoli Pt/mg proteine, queste ultime determinate secondo Lowry (O.H. Lowry et al, J. Biol. Chem. 1951, 1193, 265). La formazione di addotti col DNA verrà determinato allo stesso modo con campioni di DNA isolato da cellule tumorali come altrove descritto (M. Coluccia et al, J. lnorg. Biochem., 1999, 77, 31). I risultati ci consentiranno di correlare la potenza citotossica dei complessi con i parametri di accumulo cellulare e di formazione di addotti col DNA. Alterazioni nella progressione attraverso il ciclo cellulare Le cellule tumorali verranno esposte a concentrazioni equitossiche dei complessi di platino (IC50 per 2 h di trattamento) e l’effetto sul ciclo cellulare verrà studiato mediante citometria a flusso (analisi biparametrica con ioduro di propidio e bromodesossiuridina). I risultati permetteranno di 86 caratterizzare le modificazioni di ciclo indotte dai complessi di platino e di correlarle alla formazione di addotti col DNA cellulare. Induzione dell’apoptosi Il meccanismo di morte (apoptosi o necrosi) delle cellule tumorali trattate con i complessi di platino verrà verificato dopo esposizione a concentrazioni equitossiche di complesso, allo scopo di comparare la cinetica delle alterazioni di ciclocellulare con la cinetica di morte cellulare. L’apoptosi verrà valutata mediante analisi morfologica (microscopia a fluorescenza) e frammentazione del DNA (gel elettroforesi). Le alterazioni precoci della membrana cellulare verranno valutate con metodi citofluorimetrici (analisi biparametrica con annessina V e propidio ioduro) allo scopo di differenziare l’apoptosi dalla necrosi. Modificazioni del profilo di espressione genica I profili di espressione genica relativi a processi cellulari specifici (ciclo cellulare, danno del DNA, apoptosi, trasduzione del segnale, e metabolismo dei farmaci) caratterizzanti la risposta cellulare al trattamento con i complessi di platino in esame verranno valutati utilizzando cDNA microarray a bassa densità allo scopo di evitare i potenziali artefatti dei microarray ad alta densità. Mediante questo studio caratterizzeremo in maniera complessiva le modificazioni dei profili di espressione genica delle cellule trattate per quanto riguarda i seguenti processi cellulari: i) Ciclo cellulare (chinasi ciclino-dipendenti, cicline, inibitori delle chinasi ciclino-dipendenti, fosfatasi, check points del danno sul DNA e del fuso mitotico); ii) Apoptosi (famiglia Bcl-2, famiglie delle caspasi e regolatori delle caspasi, TNF, Fas, TRAIL, p53, NFkB); iii) Vie di trasduzione del segnale (Via mitogenica, Jak-Stat, chinasi P13, geni della via NFkB); iv) metabolismo dei farmaci (trasportatori, enzimi del metabolismo fasi I e II). Poiché valuteremo le modificazioni del profilo di espressione di specifiche funzioni geniche e la loro cinetica, i risultati ottenuti ci consentiranno di identificare e caratterizzare i principali marcatori molecolari della risposta cellulare ai complessi di platino. Efficacia farmacologica in vivo L’attività antitumorale in vivo dei derivati più promettenti sarà in fine valutata mediante xenotrapianti di cellule SKOV-3, A2780, o A278OcisR, in accordo alle Leggi e ai Regolamenti nazionali e internazionali (EEC Council Directive 86/109, OJL 358, December 1987, and NIH publication 85-23, 1985). In breve, le cellule tumorali in sospensione verranno iniettate sottocute in topi nudi CD-1 (nu/nu) (Charles River, Italy), e il trattamento verrà eseguito per via intraperitoneale. L’attività antitumorale verrà quindi misurata dalla riduzione della massa tumorale, e i risultati analizzati con il test non parametrico di Mann-Whitney, come descritto altrove (M. Leng et al, Mol. Pharmacol. 2000, 58, 1525). UNITÀ DI RICERCA DI FERRARA Composizione e Settore di Indagine L’unità di Ferrara è composta essenzialmente da chimici inorganici esperti di sintesi e da cristallografi la cui attività di ricerca si sviluppa sia nel settore di nuovi farmaci inorganici in oncologia, sia nel campo delle metodologie diagnostiche innovative. 87 Per quanto riguarda il primo aspetto il nostro gruppo opera in collaborazione con il Dipartimento di Biochimica di Ferrara, con cui è in atto da diversi anni una collaborazione che assicura lo screening dell’attività citotossica in vitro dei complessi preparati, con il Dipartimento di Scienze Farmaceutiche di Ferrara per lo sviluppo di opportune biomolecole e di test di binding dei corrispondenti complessi sintetizzati e con l’Università di Almeria, Spagna, per quanto riguarda la sintesi dei leganti. Collaborazioni: UR Siena. Obiettivi e metodi: Gli obiettivi del progetto sono: a) la progettazione di biomolecole opportunamente derivatizzate adatte ad agire da leganti per i metalli di transizione di consolidato valore farmacologico. b) la preparazione e screening di composti di coordinazione ad attività farmacologica (platino e renio); studio delle loro interazioni con biomolecole e del rapporto struttura-proprietà chimico fisiche-attività. L’utilizzo di complessi di metalli di transizione in campo farmacologico è ormai consolidato sia come antitumorali che nella medicina nucleare come radioterapeutici e/o radiodiagnostici. I composti del platino (cisplatino, carboplatino) trovano una estesa applicazione come farmaci antitumorali. Per quanto riguarda il rutenio, un suo complesso è in fase sperimentale clinica come antimetastastico, mentre l'utilizzo di complessi "freddi” di renio promettono interessanti sviluppi come farmaci chemioterapici. La biodistribuzione e l’attività biologica dei complessi degli elementi citati è spesso determinata sia dalla natura del metallo considerato, dal suo stato di ossidazione, dalla geometria di coordinazione e dal tipo di leganti in essi presenti e riteniamo quindi che ci sia ancora spazio per la ricerca chimica in questo settore. Per questi motivi siamo interessati allo sviluppo della chimica dei composti di coordinazione di renio, rutenio, tecnezio e platino allo scopo di verificarne l’applicabilità in campo farmacologico. Descrizione della ricerca Il progetto intende articolarsi nei seguenti punti: 1) Complessi di renio e tecnezio e rutenio Intendiamo proporre un sistema per l’ottenimento del precursore di Re(I) del tipo [Re(triphos)(CO)2(OTf)] (triphos = 1,1,1-tris(difenilfosfinometil)etano, MeC(CH2PPh2)3), cercando di mettere a punto una procedura sintetica veloce e semplice a partire da ReO4− onde renderla potenzialmente sfruttabile a livello dei generatori di Tc-99m e Re-188. Un altro aspetto del progetto è costituito dalla preparazione ed utilizzo di leganti aventi gruppi funzionali idonei sia a coordinare il metallo stabilizzando frammenti coordinativamente insaturi a geometria ottaedrica (Re, Ru, Tc) che a legarsi a molecole naturali di interesse biologico. Verranno pertanto prese in considerazione molecole biologiche dotate di gruppi funzionali nucleofili, idonei a coordinarsi al frammento elettrofilo [M(triphos)]n+ (M =Re, n=1; M= Ru, n=2). Visto il crescente interesse nei confronti di complessi organometallici coinvolti nell’ambito di studi riguardanti l’interazione di metalli con sistemi biologici, nel corso del prossimo triennio 20052007 si continuerà lo studio relativo alla sintesi di complessi organometallici, in particolare di renio(I), a partire da [(triphos)(CO)2Re(=C=C=CPh2)](OSO2CF3). Tale scelta è motivata dalle caratteristiche del substrato: grazie all’alternarsi di centri nucleofili ed elettrofili sulla catena allenilidenica, il complesso risulta particolarmente adatto ad interagire con sistemi dotati di eteroatomi donatori contenenti un atomo di idrogeno acido, con ottenimento di anelli 88 polieteronucleari generati da reazioni di 1,2,3-dieterociclizzazione. In questo modo si ottengono sistemi eterociclici coordinati a centri metallici che riscuotono notevole interesse per potenziali usi terapeutici come antitumorali, battericidi o antivirali. 2) Complessi di platino a potenziale attività antitumorale Si intende sviluppare la preparazione di complessi di platino contenenti leganti di origine naturale o loro derivati variamente funzionalizzati (es purine, tiopurine, acidi biliari naturali e modificati) allo scopo di ottenere farmaci con un meccanismo d’azione e/o una biodistribuzione non completamente sovrapponibili a quelli del cisplatino. Si sottoporranno i complessi ottenuti a test di attività antiproliferativa e si studierà il rapporto tra questa e le proprietà chimico-fisiche (es. polarità, idrosolubilità, ingombro sterico) dei leganti. O 6 Me 5 1N H N7 SR 8 O 2 N3 4 N9 Me 1: 2: 3: 4: 5: 6: R = H, = Me, = 8TTH, = CH28TTH = (CH2)28TTH = (CH2)38TTH 8TTH2 Nel triennio 2005-2007 verrà ulteriormente esteso il progetto relativo al design e sintesi di complessi di Pt(II) con alcuni derivati dell’ 8-tioteofillina (forniti dal gruppo del Prof. A.Romerosa, dell’Università di Almeria) con l’obiettivo di mettere a punto composti ad attività antitumorale. Nei complessi che abbiamo isolato, tali leganti coordinano al platino attraverso l’N7 deprotonato, e la coordinazione è completata da due leganti neutri (piridina o fosfine a varia idrofilicità). Una serie di questi composti è stata sottoposta a test di attività antiproliferativa su cellule tumorali cisplatino sensibili e cisplatino resistenti (presso il Dip. di Biochimica, Prof. Gavioli): sono stati testati tre gruppi di complessi fosfinici dell’8-MTTH (2) in cui la solubilità in acqua è stata modulata attraverso la scelta delle fosfine; il primo gruppo presentava esclusivamente la fosfina lipofila PPh3, il secondo la fosfina idrosolubile PTA e il terzo è misto (un PPh3 e un PTA). La valutazione dei risultati ottenuti ha mostrato che la più alta attività inibitoria si ottiene con questi ultimi: i complessi che presentano un PTA e una PPh3 come leganti neutri sul platino hanno una idrosolubilità intermedia rispetto a quelli con due PTA (più idrofili) e a quelli con due PPh3 (più idrofobi). Questo risultato potrebbe essere dovuto al fatto che i complessi misti soddisfano le caratteristiche necessarie perché il farmaco da un lato si sciolga nei liquidi cellulari a base acquosa, dall’altro sia in grado di superare la membrana cellulare lipofila. La scarsa attività dei complessi contenenti PTA, piuttosto inaspettata, potrebbe essere dovuta a processi inattivanti di protonazione dell’azoto del PTA coordinato. Tra gli obiettivi che ci proponiamo per il futuro c’è quello di confermare la relazione tra idrolipofilicità e attività antiproliferativa in un gruppo di complessi analoghi, sia introducendo altre fosfine idrofiliche, ma non protonabili, sia valutando il comportamento chimico-fisico dei composti in sistemi più complessi. 89 UNITÀ DI RICERCA DI FIRENZE Composizione dell’Unità L’Unità di Ricerca di Firenze comprende i seguenti componenti: Prof. Pierluigi Orioli, Prof. Andrea Scozzafava, Dr. Luigi Messori, Dr. Marta Ferraroni, Dr. Bruno Bruni, Dr. Roberto Monnanni, Dr. Francesca Piccioli, Dr. Giordana Marcon, Dr. Claudia Temperini. Collaborazioni: L’UR di Firenze ha sviluppato nel tempo numerose collaborazioni con vari gruppi di ricerca nazionali ed internazionali. L’Unità di Firenze ha anche stabilito strette collaborazioni con gruppi di ricerca presenti all’interno del CIRMSB. In particolare l’UR di Firenze collabora da vari anni con l’UR di Trieste, sia con la componente chimica rappresentata dal gruppo del Prof. E. Alessio che con la componente farmacologica del Prof. G. Sava. In anni recenti si è stabilita una stretta collaborazione con l’UR di Siena. Sono in atto anche collaborazioni con le UR di Bari, di Parma, del Piemonte Orientale e di Padova. Obiettivi e metodi Il progetto di ricerca sviluppato dall’UR di Firenze riguarda in generale lo studio di vari complessi metallici ad attività citotossica ed antitumorale. L’attenzione in particolar modo si concentra su due famiglie di complessi metallici ad attività antitumorale, precisamente i complessi di oro(III) ed i complessi di rutenio(III). Gli obiettivi primari del progetto di ricerca, fra loro strettamente connessi, sono: 1. lo sviluppo di nuovi composti metallici farmacologicamente promettenti per il trattamento di varie forme tumorali. 2. la comprensione del meccanismo di azione di complessi metallici che siano già in clinica oppure in fase sperimentale. La ricerca si svilupperà mediante l’utilizzo e l’integrazione di varie metodologie. Si utilizzeranno metodi chimici e chimico-fisici per la sintesi e caratterizzazione di complessi, metodi spettroscopici e diffrattometrici per gli studi bioinorganici e biofisici, metodi tipici della farmacologia per la caratterizzazione biologica dei composti di interesse. Descrizione della ricerca e risultati attesi La ricerca sarà così articolata: Complessi di oro(III) • Valutazione critica dei risultati chimico fisici e biologici ottenuti con i complessi di oro(III) finora preparati e considerati. • Definizioni di preliminari relazioni struttura funzione • Progettazione e sintesi di nuovi complessi di oro(III) con ottimizzazione delle proprietà chimico fisiche e farmacologiche. • Screening biologico in vitro e selezione dei migliori composti per uno studio più approfondito delle proprietà farmacologiche. 90 • Identificazione di nuovi target biomolecolari. In particolare stiamo valutando gli effetti dei complessi di oro(III) sull’enzima tioredossina reduttasi e sulla funzione mitocondriale. Complessi di rutenio(III) • Valutazione della reattività con proteine modello di NAMI-A e di analoghi. • Studio delle proprietà di NO scavenging di complessi di rutenio sia dal punto di vista chimico che biologico. UNITÀ DI RICERCA DI LECCE Composizione e Settore di Indagine L’Unità di Ricerca di Lecce è composta essenzialmente da chimici inorganici esperti di sintesi e da biologi, la cui attività di ricerca si sviluppa nel settore di nuovi farmaci inorganici in oncologia, nello studio del ruolo degli ioni metallici nelle patologie degenerative croniche e nel campo dei biosensori e biostrumentazione. Collaborazioni: UR di Bari e Parma Obiettivi e Metodi: 1. Gruppo di ricerca del Prof. Francesco Paolo Fanizzi Composizione del gruppo: Prof. Fanizzi F.P., Prof.ssa Ciccarese A., Benedetti M., Papadia P., Migoni D., De Pascali S.A., Marsigliante S., Muscella, A. Base di partenza scientifica: E’ stato dimostrato che i retro modelli di platino contenenti derivati guaninici (cis-PtA2G2), ottenuti da addotti di analoghi del cisplatino, dove A2 è un particolare legante carrier diamminico 1 opportunamente scelto, producono delle specifiche interazioni con le nucleobasi. Come risultato di questo approccio, in diversi sistemi basati sui derivati chelati di N,N'-dimetilpiperazine o 2,2'bipiridile ed 1,10-fenantrolina, quali leganti carrier diamminici, l'ingombro sterico introdotto nel piano di coordinazione del platino si è rivelato un potente strumento per rallentare i movimenti 2,3 dinamici delle nucleobasi legate al metallo. Per tutti gli analoghi del cisplatino sintetizzati secondo questo criterio, la sostituzione dei labili leganti cloruro con derivati guaninici (G) ha dato complessi cis-PtA2G2, presenti in soluzione con due maggiori atropisomeri HT ed un atropisomero 4 minore HH, che non interconvertono nella scala dei tempi NMR. Inoltre, nel caso del complesso [PtCl2(Me2ppz)] è stato osservato un impedimento nel movimento dinamico e più conformeri (due e tre rispettivamente) nei retro modelli Me2ppzPt(GpG) e Me2ppzPt(d(GpG)) contenenti le nucleobasi legate dal ponte fosfodiesterico. Questo risultato ha anche rappresentato la prima caratterizzazione riportata in letteratura di tre abbondanti conformeri per un addotto cis-PtA2(d(GpG)). L'analisi delle abbondanze relative dei conformeri, comparata con altri sistemi in cui la stabilizzazione di uno specifico conformero potrebbe essere attribuita al legame idrogeno tra l'O6 (G) ed i gruppi NH (A2) e la considerazione che tali legami idrogeno non sono possibili per il legante Me2ppz hanno portato alla conclusione inequivocabile che il legame H con l'O6(G) deve essere generalmente debole e che gli effetti sterici presenti nello step di paia di basi di Lippard (vicino allo step distorto G*G*, 5 contenente l’adiacente cross-link intrastrand cisplatino-DNA) facilmente prevalgono. Inoltre, è 91 stato evidenziato che la presenza in brevi oligonucleotidi a singolo filamento di un qualsiasi residuo in posizione 5’, adiacente alla lesione G*G*, ha un drammatico effetto sulla distribuzione dei 6 conformeri di retro modelli del cross-link cisplatino-DNA. Obiettivi e metodi del progetto: Sintesi di complessi di Pt con piperazine e β-dichetonati ed interazione con nucleobasi L’Unità di ricerca di Lecce si prefigge di studiare la sintesi di nuovi composti analoghi del cisplatino, contenenti come leganti carrier N-metilpiperazine e piperazine, che presentano diverse possibilità di formare legame idrogeno nella interazione con il DNA, rispettivamente un solo legame per il complesso con un solo metile e due legami per il complesso con la piperazina non metilata. Saranno, inoltre, investigati nuovi composti di platino, contenenti β-diketonati come leganti carrier. In questi sistemi, contrariamente a quanto avviene per i gruppi NH dei leganti amminici, gli atomi di ossigeno donatori dovrebbero eventualmente agire da controparte nucleofila nella formazione di un legame idrogeno. Ci si attende una validazione, attraverso gli esperimenti su cellule tumorali, dei risultati ottenuti dalla caratterizzazione NMR dei composti di Pt con nucleobasi, in particolare la non importanza del legame idrogeno nell’interazione del platino con il DNA, ed il ruolo determinante di fattori sterici presenti nello step di paia di basi di Lippard. Sarà pertanto esaminata la eventuale correlazione tra le proprietà strutturali e l’attività biologica di tali composti, allo scopo di determinare il ruolo che essi hanno nel meccanismo antitumorale del cisplatino. H3 C N N HN CH3 CH3 Cl Pt Cl Cl NH HN Pt Pt Cl N Cl Cl Effetto citotossico ed induzione dell’apoptosi Una volta sintetizzati e caratterizzati, i composti di Pt saranno utilizzati per gli studi di valutazione dell’attività antitumorale su sistemi cellulari differenti, quali quelli di endometrio, della mammella e della tiroide, come di seguito descritto. Le cellule HeLa derivate da endometrio tumorale umano rappresentano un sistema ideale di analisi del comportamento biologico delle molecole di nuova sintesi, in quanto le applicazioni terapeutiche del cisplatino interessano innanzitutto i tumori solidi dell’apparato urogenitale. Per quanto concerne la mammella, allo scopo di avere un sistema che seppur in vitro possa assomigliare alla biologia delle cellule in situ verranno utilizzate colture primarie sia di cellule tumorali che di cellule sane prelevate dalla stessa paziente. L’uso di epitelio sano e della sua controparte tumorale permetterà di valutare l’efficacia dei nuovi composti contemporaneamente su entrambi i tipi cellulari. Per la tiroide invece verranno utilizzati sia modelli sperimentali costituiti da linee cellulari tiroidee continue e trasformate da vari oncogeni e derivate dal ratto, che modelli di linee cellulari derivate da carcinomi tiroidei umani. La metodologia da applicare alle cellule utilizzate si baserà sulla valutazione di curve di crescita in condizioni standard in presenza ed in assenza di varie concentrazioni delle molecole a base di platino, fornite alle cellule per opportuni tempi. Accanto alla determinazione degli IC50, si valuteranno anche le quantità di platino accumulate in cellula e legate al DNA. Inoltre, sarà valutato il ruolo del cisplatino nell’attivazione di alcune vie intracellulari di trasduzione del segnale, che hanno come effetto finale l’induzione dell’apoptosi. In particolare, sarà determinata la relazione tra l’azione citotossica del cisplatino e dei suoi analoghi di nuova sintesi e l’attivazione della MAPK ERK. Le MAPK (Mitogen Activated Protein Kinase) sono proteine 92 serina-treonina chinasi attivate in risposta ad una varietà di stimoli extracellulari coinvolti nella proliferazione cellulare, la trasformazione, il differenziamento e la morte cellulare. Esse sono suddivise in quattro sottofamiglie, tra le quali è compresa ERK, vale a dire la chinasi regolata da segnali extracellulari. La sottofamiglia ERK svolge un ruolo importante nella regolazione della crescita e del differenziamento cellulare, essendo indotta in risposta ai fattori di crescita, quali 7,8,9 citochine ed esteri del forbolo. E’ anche attivata da alcune condizioni di stress, quali quelle conseguenti alla somministrazione di composti citotossici. Recenti evidenze sperimentali hanno però dimostrato che la suramina, un inibitore dei fattori di crescita, può prevenire l'attivazione di ERK e l’effetto apoptotico del cisplatino: ciò fa supporre un ruolo determinante dei recettori per i 10 fattori di crescita nell’innesco di questo tipo di processi. Quindi, anche se rimangono ancora non del tutto chiare le modalità con cui il farmaco attiva processi e proteine intracellulari che portano alla morte cellulare, sono ormai numerose le evidenze sperimentali che dimostrano che l'interazione tra il cisplatino ed il DNA non è l’unico evento in grado di avviare l’apoptosi e che anche i recettori per i fattori di crescita, posti sulla membrana plasmatica, svolgono un’azione significativa Bibliografia 1 Sullivan S.T., Ciccarese A., Fanizzi F.P., Marzilli L.G. Inorg. Chem. 2001, 40, 455-463. 2 Sullivan ST, Ciccarese A, Fanizzi F.P., Marzilli LG., J. Am. Chem. Soc. 2001, 123, 9345-9355. 3 Margiotta N., Papadia P., Fanizzi F.P., Natile G. Eur. J. Inorg. Chem. 2003, 6, 1136-1144. 4 Sullivan S.T, Ciccarese A., Fanizzi F.P., Marzilli L.G. Inorg. Chem. 2000, 39, 836-840. 5 Ohndorf U.-M., Rould M.A., He Q., Pabo C.O., Lippard S.J. Nature, 1999, 399, 708-712. 6 Sullivan S.T., Saad J.S., Fanizzi F.P., Marzilli L.G., J. Am. Chem. Soc. 2002; 124(8), 1558-1559. 7 Johnson G.L., Vaillancourt L.L. Curr. Opin. Cell. Biol. 1994, 6, 230. 8 Robinson M.J., Cobb M.H. Curr. Opin. Cell. Biol. 1997, 9, 180. 9 He H., Wang X., Gorospe M., Holbrook N.J., Trush M.A. Cell. Growth Differ. 1999, 10, 307. 10 Wang X., Martindale J.L., Holbrook N.J. J. Bio. Chem. 2000, 275, 39435. 2. Gruppo di ricerca della Prof.ssa Luciana Dini Composizione del gruppo: Prof.ssa Luciana Dini, Elisa Panzarini, Patrizia Tarantino, Bernadette Tenuzzo, Alfonsina Chionna Base di partenza scientifica: Una modalità di trattamento che in anni recenti ha avuto un crescente interesse, in particolare per patologie neoplastiche, è la terapia fotodinamica (PDT). La PDT si basa sull’azione di molecole fotosensibilizzanti (PS), capaci di esplicare una azione citotossica quando sono eccitate dalla luce ad una opportuna lunghezza d’onda. Queste molecole mostrano una capacità di legame preferenziale alle cellule tumorali. La PDT determina morte cellulare che si esplica sia per necrosi che per apoptosi. Fino ad ora la maggior parte degli studi è stata focalizzata alla comprensione dei processi metabolici che permettono ai PS di indurre la cellula bersaglio a morte apoptotica, cioè essenzialmente ai processi di induzione apoptotica, mentre poco è stato ancora studiato relativamente alle modificazioni della superficie delle cellule apoptotiche generate dopo PDT ed al loro destino finale. In particolare, l’efficacia della fase di clearance è infatti cruciale per la riuscita in vivo della PDT, ed è strettamente dipendente dalle modificazioni (entità e tipologia) che la superficie cellulare subisce durante il fotodanno. È importante ricordare che l’efficacia di questa fase protegge l’integrità strutturale dei tessuti sani, e limita l’insorgenza dei fenomeni autoimmuni frequenti in situazioni di rimozione deficitaria od alterata. 93 Obiettivi e metodi del progetto: Il gruppo di ricerca si propone di studiare il processo di rimozione delle cellule apoptotiche generate in seguito alla terapia fotodinamica (DPT). I substrati fluorogenici degradabili da specifici enzimi cellulari che verranno utilizzati per indurre apoptosi in varie linee cellulari sono forme modificate dell’ipocrellina A (HypA): HypA acetato (HypA Ac). Macrofagi epatici e peritoneali oltre a cellule U937 differenziate saranno usati come modelli in vitro per gli studi di fagocitosi a cui si affiancheranno modelli in vivo rappresentati da tumori sperimentali (fibrosarcoma MS-2) nel topo. Le cellule apoptotiche saranno di diversa provenienza: si impiegheranno, infatti, diverse linee cellulari: linfociti umani isolati da sangue periferico fibroblasti normali umani e di topo, cellule da fibrosarcoma di topo, cellule Hep-2 (da carcinoma laringeo) e cellule Hep-G2. Le condizioni di coltura, crescita a bassa densità cellulare, o ad alta densità fino a confluenza, ed i trattamenti con HypA Ac e il successivo irraggiamento (lunghezza d’onda di 600 nm proveniente da una lampada a vapori di Xe da 75 Watt) per una dose totale di 0.1/3 J/cm2 seguiranno protocolli già messi a punto. Come regola generale, i metodi saranno quelli di uso più comune, descritti ampiamente negli studi pubblicati dal nostro e da altri gruppi di ricerca. La scelta di metodologie ampiamente utilizzate e standardizzate invece di quelle non ampiamente sperimentate, permetterà una valutazione attendibile e riproducibile dei risultati. In particolare, verranno utilizzate tecniche di microscopia ottica ed electtronica, citochimica ed immunocitochimica, blotting, citofluorimetria e preparazione di linfociti umani e macrofagi murini epatici isolati in coltura primaria. In particolare verranno analizzati: A) le modificazioni morfologiche delle cellule rese apoptotiche dopo trattamento fotodinamico verranno studiate a livello ultrastrutturale sia mediante TEM che SEM per evidenziare eventuali variazioni sia superficiali che citoplasmatiche; B) le modificazioni della superficie cellulare (asimmetria dei lipidi di membrana ed espressione di PS, residui saccaridici) in cellule rese apoptotiche dopo trattamento fotodinamico. Verranno utilizzate tecniche di cito/istochimica, citofluorimetria con marcatori fluorescenti. In particolare le modificazioni dell’espressione di fosfatidilserina verranno valutate in relazione alla intensità di colorazione con Annexina V coniugata con FITC. Le modificazioni degli zuccheri di superficie mediante l’uso di un pannello di lectine coniugate con FITC o con TRICT per permettere anche doppie marcature; C) lo studio dei meccanismi molecolari di riconoscimento tra macrofagi epatici e peritoneali in coltura primaria e le cellule apoptotiche indotte dalla PDT usando le tecniche di inibizione della fagocitosi. Il contributo di ciascuna molecola ‘eat-flag’ verrà presa in esame. L’ampio pannello di molecole coinvolte nei processi di riconoscimento e fagocitosi delle cellule apoptotiche da DPT verranno saggiate utilizzando test di inibizione del legame incubando le cellule apoptotiche ed i fagociti contemporaneamente con inibitori dei recettori in test di adesione. UNITÀ DI RICERCA DI PADOVA Composizione dell’unità L'unita' e' composta da chimici esperti nella sintesi di composti di coordinazione (Prof.ssa G. Faraglia, Proff. G. Pilloni, e B. Longato, Dr.ssa D. Fregona, operanti presso il Dip. di Scienze Chimiche), di specialisti in cristallografia operanti presso il medesimo Dipartimento (Prof. R. Graziani) e presso il Dip, di Scienze Farmaceutiche (Prof. G. Bandoli e Dr. A. Dolmella). Fa inoltre parte dell’Unità la Dr.ssa C. Marzano, del Dip. di Scienze Farmaceutiche, specializzata nello studio dell’attività antitumorale, in vitro e in vivo, dei composti sintetizzati. 94 Collaborazioni: L’unità di Padova collabora con l’unità di Trieste per la determinazione della struttura di composti per i quali necessita la bassa temperatura o nel caso di cristalli particolarmente piccoli. Base di partenza scientifica Da vari anni, presso questa Unità vengono sviluppate due linee di ricerca: a) Sintesi, caratterizzazione chimico-fisica e studio delle propietà citotossiche di composti di coordinazione, in particolare di Pt(II) e Pd(II), Cu(I e II) con l’intento di ottenere dei farmaci in grado di coniugare attività antitumorale e bassa tossicità.[1] Recentemente la ricerca è stata indirizzata verso complessi quadrato-planari di Au(III) contenenti l’anione ditiocarbammato (YCS2)¯, di formula generale: S Y X Au C S X In particolare per i complessi in cui Y è il gruppo EtO2CCH2N(CH3) e X sono Cl o Br, è stato messo a punto un processo di sintesi di tipo templato caratterizzato da ottima riproducibilità. I composti isolati sono caratterizzati da elevata stabilità in condizioni fisiologiche, e la loro attività antitumorale, testata in vitro su un ampio pannello di linee cellulari di origine umana, è risultata significativamente più elevata rispetto a quella del cisplatino. Questi risultati sono stati oggetto di un brevetto depositato dall’Università di Padova (N. MI2003A 000600, 26/03/2003). b) Studio sull'interazione di complessi fosfinici di Pt(II) con nucleobasi modello, con l’obiettivo di analizzare il ruolo dei leganti ancillari nella coordinazione al centro metallico di queste importanti biomolecole.[2] Recenti risultati hanno riguardato la caratterizzazione di nuovi complessi dell’adenina e citosina il cui modo di coordinazione non trova riscontro nella chimica di coordinazione di queste nucleobasi nei confronti di centri metallici stabilizzati dai leganti NH3 o poliammine. I composti ottenuti, risultanti dalla reazione degli idrossocomplessi cis-[L2Pt(µOH)]22+ (L= PMe3, PMe2Ph, PMePh2) con 9-metiladenina e 1-metilcitosina, hanno formula generale cis-[L2Pt(nucleobase(-H)]nn+, (n = 1, 2, 3) e contengono la nucleobase deprotonata coordinata attraverso gli atomi N(1),N(6) nel caso dell’adenina e N(3),N(4) per la citosina. La loro nuclearità, sia allo stato solido che in soluzione, dipende dalla natura della fosfina.[3] Obiettivi e metodi del progetto di ricerca Con il presente progetto si intendono approfondire gli studi riguardanti la sintesi di nuovi complessi di metalli di transizione, in particolare Pt(II), Pd(II), Au(III) e Ru(III), contenenti leganti misti quali ditiocarbammato, piridina, ammine (alifatiche e aromatiche) e alogenuri. Questi ultimi dovrebbero favorire il meccanismo idrolitico del complesso responsabile della formazione nel citosol cellulare di speci attive nei confronti del DNA. I leganti con atomi donatori allo zolfo sono in grado di chelare efficacemente il centro metallico così da impedirne la reazione con i siti solforati delle proteine. Oltre ai ditiocarbammati derivati della sarcosina, i cui complessi con Pt(II) già hanno mostrato una interessante attività biologica,[4] unitamente ad una bassa nefrotossicità, anche nei confronti di linee cellulari resistenti al cisplatino, verranno studiati complessi dell’anione 95 pirrolidinoditiocarbammato il quale, a differenza di altri ditiocarbammati, ha mostrato proprietà antiossidanti e antivirali.[5] Infine, la presenza di leganti aventi uno o più atomi di azoto (ammine e/o poliammine) dovrebbe rendere possibile il cambiamento della nuclearità dei complessi risultanti. L’obiettivo è quello di trovare composti aventi attività antitumorale paragonabile o superiore a quella del cisplatino, una selettività verso i tumori resistenti a questo farmaco e/o una specifica affinità verso alcuni target biologici come i mitocondri e/o il DNA, accompagnati da una tossicità sistemica non significativa. La valutazione delle potenziali proprietà biologiche dei complessi preparati sarà preceduta da un’adeguata caratterizzazione chimico-fisica, in particolare per quanto riguarda la loro struttura in soluzione, mediante tecniche spettroscopiche (IR e NMR multinucleare). Lo studio di complessi fosfinici di Pt(II) con nucleobasi modello verra' esteso a nucleosidi e, possibilmente, nucleotidi con l'obiettivo di isolare e caratterizzare gli addotti platino-biomolecola. BIBLIOGRAFIA [1] V. Scarcia, A. Furlani, , D. Fregona, G. Faraglia, and S. Sitran, Polyhedron 1999, 18, 28272837;G. Faraglia, D. Fregona, S. Sitran, L. Giovagnini, C. Marzano, F. Baccichetti, U. Casellato, R. Graziani. Inorg. Biochem 2001, 83, 31-40; C. Marzano, A. Trevisan, L. Giovagnini, D. Fregona, Toxicology in vitro, 2002, 16, 43-49; G. Faraglia, M.A. Fedrigo, S. Sitran, Trans. Met. Chem. 2002, 27, 200; L. Ronconi, C. Marzano, U. Russo, S. Sitran, R. Graziani and D. Fregona, J. Inorg. Biochem., 2002, 91, 413-420; D. Fregona, L. Giovagnini, L. Ronconi, C. Marzano, A. Trevisan, S. Sitran, B. Biondi and F. Bordin, J. Inorg. Biochem. 2003, 93,181-189. [2] G. Bandoli, G. Trovo', A. Dolmella, B. Longato, Inorg. Chem. 1992, 31, 45-51; G. Trovo', G. Valle, B. Longato, J. Chem. Soc. Dalton Trans. 1993, 669-673; G. Trovo`, G. Bandoli, M. Nicolini, B. Longato, Inorg. Chim. Acta 1993, 211, 95-99; L. Schenetti, G. Bandoli, A. Dolmella, G. Trovo`, B. Longato, Inorg. Chem. 1994, 33, 3169-3176; B. Longato, G. Bandoli, G. Trovo`, E. Marasciulo, G. Valle, Inorg. Chem. 1995, 34, 1745-1750; L. Schenetti, A. Mucci, B. Longato, J. Chem. Soc. Dalton Trans. 1996, 299-303; B. Longato, G. Bandoli, A. Mucci, L. Schenetti, Eur. J. Inorg. Chem. 2001, 3021-3029; [3] B. Longato, L. Pasquato, A. Mucci, L. Schenetti, Eur. J. Inorg. Chem. 2003, 128-137. B. Longato, G. Bandoli, A. Dolmella, Eur. J. Inorg. Chem. 2004, 0000. B. Longato, L. Pasquato, A. Mucci, L. Schenetti, E. Zangrando Inorg. Chem. 2003, 42, 7861-7871. B. Longato, G.Bandoli, A. Dolmella, E. Fiorio, 3° Workshop on Pharmaco-Bio-Metallics. Sorrento, 7-8 Nov. 2003, p. 10. [4] C. Marzano, D. Fregona, F. Baccichetti, A. Trevisan, L. Giovagnini D. Fregona, Chem.-Biol. Int. 2002, 140, 215-219; A. Trevisan, C. Marzano, P. Cristofori, M. Borella Venturini, L. Giovagnini, D. Fregona, Archives of Toxicology 2002, 76, 262-268. [5] E. Gaudernak, et al., J. Vir.2002, 76, 200; S. Cuzzocrea et al, British J. Pharmacol.2002, 135, 496. UNITÀ DI RICERCA DI PALERMO Composizione dell’unità L’unità di Palermo è costituita dal seguente personale: Proff. N. Bertazzi, R. De Lisi, A. Gianguzza, M. Gianguzza, C. Mansueto, S. Milioto, L. Pellerito, G.C. Stocco, R. Triolo; D.ri. T. Fiore, C. Pellerito, D. Piazzese, R. Pitturi; sig. F. Di Prima, M. Di Prima, N. Tomasello, M. Uccello. 96 Descrizione della ricerca Introduzione Gli organostagno(IV) derivati mostrano un ampio spettro di attività biologiche. Essi sono stati frequentemente studiati come funghicidi, battericidi, acaricidi, preservanti del legno, etc. Brown e collaboratori già nel 1972, hanno studiato le proprietà antitumorali del Ph3Sn(IV)acetato. Oggi è noto che molti derivati di diorganostagno(IV) presentano la più elevata attività antitumorale, combinata con la più bassa tossicità nei confronti dei mammiferi. Composti dialchilstagno(IV) di formula R2Sn(IV)L2 (L2=legante bidentato), e in particolare Bu2Sn(IV)L2, hanno mostrato un’attività antitumorale verso il tumore a cellule ascitiche di Ehrlich, la leucemia linfatica P-388 e il sarcoma 180, nei topi. Un'altra classe di derivati di organostagno(IV) che possiede attività contro la leucemia linfatica P-388 nei topi ha formula generale R2SnX2L2 (R = alchile, X = alogeno e L2 = legante bidentato, con atomi donatori ossigeno e/o azoto).Questi composti presentano geometria ottaedrica. Il legante bidentato assicura una configurazione cis ai due atomi di alogeno, richiesta per l’attività antitumorale in analogia al composto cis-platino, in cui la microsimmetria quadrata planare attorno al platino è fondamentale per la sua attività carcinostatica. E’ stato inoltre riscontrato che è necessaria la presenza di atomi donatori quali l’azoto e l’ossigeno, affinché il complesso eserciti attività antitumorale ed inoltre che la lunghezza di legame media tra l’atomo di stagno e l’atomo donatore sia maggiore di 2.39Å. Tutto ciò ha suggerito che i composti del tipo R2SnX2L2 hanno legami Sn-L relativamente deboli e facilmente idrolizzabili, che vanno incontro ad un meccanismo di predissociazione prima di espletare l’effetto antitumorale. Per cui il legante organico (L2), coordinato allo stagno(IV), agisce da trasportatore verso le cellule tumorali della specie attiva R2Sn2+ che si lega ai siti del DNA, formando legami interfilamento con conseguente alterazione della struttura a doppia elica. Da tutto ciò è stato possibile concludere che nei composti organostagno(IV) la porzione R2Sn2+ è responsabile dell’attività antitumorale. Base di partenza scientifica Recentemente sono stati sintetizzati alcune serie di derivati di- e tri-organostagno(IV) con molecole biologiche quali dipeptidi, antibiotici, acidi carbossilici, steroidi, carboidrati, porfirine, etc., ed indagate sia allo stato solido con spettroscopia FT-IR, Raman, Mössbauer, diffrazione ai raggi X, etc., che in soluzione mediante spettroscopia 1H, 13C, 119Sn NMR, EPR, CD). Indagini su equilibri in soluzione, soprattutto mediante misure pH-metriche e calorimetriche, sono state effettuate sulla formazione di complessi con molecole biologicamente attive. Sono state determinate le costanti di formazione e le curve di distribuzione ottenute sono state valutate per ottenere informazioni sulle specie che esistono nel range di pH fisiologico. Successivamente tali complessi sono stati usati per valutare: a) la loro attività citotossica nei confronti dello sviluppo di bioindicatori quali alcuni tunicati (Ciona intestinalis, Ascidiella aspersa,Ascidia malaca), echinodermi (Paracentrotus lividus and Sphaerechinus granularis, etc. b) i danni causati dalla loro citotossicità su cromosomi di Truncatella subcilindrica (mollusca, mesogastropoda), Anilocra physodes (crustacea, isopoda), Aphanius fasciatus (pisces, cyprinodentiformes) , etc. c) i danni morfologici causati su cellule previamente trattate con soluzioni diluite dei complessi sintetizzati, mediante T.E.M. (transmission electron microscopy). d) la loro attività antitumorale nei confronti di alcuni linee di cellule tumorali umane (HeLa), in vitro, mediante citometria a flusso. 97 Programma di ricerca Verranno preparate alcune classi di di- e triorganostagno(IV) composti con leganti caratterizzati dalla presenza di catene poliossoalchiliche, calixareni con gruppi funzionali atti a fornire caratteristiche chimico-fisiche differenti al composto o resorcinareni che dovrebbero aumentare considerevolmente la loro idrofilicità. Si intendono inoltre indagare di- e triorganostagno(IV) derivati di carboidrati (D-galactosio, Dglucosio) e di loro acidi carbossilici quali per esempio acidi D-galatturonico, D- galattonico, Dglucuronico e D-gluconico; di- e triorganostagno(IV) derivati di lipidi, lipidi di membrana, antibiotici e porfirine. Successivamente verrà indagata la loro stereochimica sia allo stato solido che in soluzione, mediante tecniche spettroscopiche opportune (FT-IR, Mössbauer, 1H, 13C, 119Sn NMR), raggi-X e la loro stabilità in soluzione acquosa, mediante metodi potenziometrici, e mediante spettroscopia Mössbauer in soluzione acquosa congelata. Fasi della ricerca e risultati attesi Le fasi di sviluppo del progetto possono essere differenziate nelle seguenti tre parti : 1. 2. 3. Sintesi e caratterizzazione, allo stato solido ed in soluzione dei nuovi complessi ottenuti per reazione delle metà metalliche ed organometalliche con molecole presenti nei sistemi biologici, naturalmente o per esposizione. Determinazione dell’attività citotossica, in vitro e/o in vivo, dei complessi precedentemente indagati. Tentativo di correlare tale attività con le caratteristiche strutturali. In particolare, la nostra unità operativa intende sviluppare, oltre che l’aspetto strutturale dei composti di nuova sintesi, la determinazione delle seguenti caratteristiche: Citotossicità Gli effetti citotossici dei complessi di nuova sintesi verranno analizzati, in soluzione acquosa, nei confronti dei seguenti bioindicatori: Echinodermi (Paracentrotus lividus, Sphaerechinus granularis etc.; Ascidiacee (Ciona intestinalis, Ascidiella aspersa, Ascidia malaca, etc.); molluschi (Brachidontes pharaonis, Truncatella subcilindrica), pesci (Aphanius fasciatus, Rutilus rubilio, etc.). Screening antitumorale Tutti i composti verrano testati, in vitro, in collaborazione con alcuni ricercatori dell’Istituto di Biomedicina e Immunologia Molecolare del C.N.R. di Palermo, nei confronti di linee cellulari di melanoma A375, HT144, Mel1, le quali esprimono in modo costitutivo le molecole del complesso maggiore di istocompatibilita' di classe II (MHC class II) e linee cellulari, M75 e 42/95, pure esse di melanoma, che esprimono classe II solo dopo induzione con interferon gamma. UNITÀ DI RICERCA DI PARMA Composizione e Settore di Indagine Composta da chimici inorganici attivi nel settore della sintesi, della caratterizzazione spettroscopica, dello studio degli equilibri in soluzione e da cristallografi, l’Unità di Ricerca svolge la propria attività nel settore della chimica bioinoganica, interessandosi in particolare di composti ad 98 attività antitumorale. L’attività biologica è valutata da biologi e medici dei Dipartimenti di “Medicina Sperimentale” e di “Clinica Medica, Nefrologia e Scienze della Prevenzione” dell’Università di Parma che effettuano saggi in vitro allo scopo di individuare il meccanismo di azione dei composti su diverse linee leucemiche umane ed altre linee tumorali. Collaborazioni: UR di Trieste, Firenze e Lecce. Obiettivi e metodi a) Studi su derivati triazolici e idrossammici Leganti a tripode appartenenti alla famiglia degli idro-tris(pirazolil)borati (Tp) sono stati studiati in modo esteso nella chimica di coordinazione dei metalli di transizione e dei gruppi principali. I leganti a tripode hanno trovato applicazioni in diversi campi chimici che spaziano dalla biomimetica alla catalisi. Nell’ambito della ricerca triennale, verranno sintetizzati nuovi leganti triazolici borocentrici con atomi donatori sia ‘soft’ che ‘hard’ in modo da poter modulare la coordinazione a centri metallici. Verrà anche studiata l’influenza dell’ingombro sterico. Un altro aspetto ambizioso che verrà trattato sarà la sintesi di leganti a tripode con due o tre sostituenti differenti aventi siti coordinativi diversi al fine di mimare siti attivi a geometria tetraedrica di diversi enzimi presenti in metalloproteine adibite al trasporto elettronico. Il secondo aspetto concernente la ricerca che verrà intrapresa riguarderà la sintesi chimica e la caratterizzazione e lo studio degli equilibri in soluzione di complessi inorganici, utilizzando come centri metallici principalmente Pt(II), Pd(II), Ru(II), Ru(III) senza trascurare alcuni metalli 3d come Co, Fe, Ni, Cu e Zn. Come leganti verranno utilizzati derivati s-triazolici variamente sostituiti (Figura). La formazione di complessi in soluzione acquosa verrà studiata con tecniche potenziometriche e spettofotometriche per individuare il tipo di specie presenti e determinarne la stabilità termodinamica. Al procedere delle sintesi e delle caratterizzazioni verranno effettuate prove in vitro di citotossicità su colture di cellule normali di mammifero (umane e non) e colture di linee cellulari derivate da tumori spontanei (umani e non). L’effetto citotossico dei vari composti sintetizzati sarà valutato con il saggio MTT e con nuovi metodi più semplici e specifici basati sull’uso di probes fluorescenti. Si potrà verificare se l’eventuale efficacia dei composti in studio debba essere attribuita all’induzione di morte per apoptosi, fenomeno dimostrabile con tecniche molecolari e visualizzabile dal punto di vista morfologico con microscopia confocale. H N N S N NH2 N N NH2 N H N N NH2 S NH2 N N N N NH2 S N N NH2 Verranno inoltre studiati leganti idrossammici che possono presentare importanti proprietà biologiche dipendenti principalmente dalla loro capacità di formare complessi con metalli di transizione. Particolare interesse presentano i leganti idrossammici che contengono anche un gruppo donatore adiacente (es. amminico o fenolico), capace di formare un anello chelato con l’azoto idrossammico deprotonato, comportandosi come bis-chelanti a ponte (N,N)-(O,O) per formare metallamacrocicli noti come “metallacrown”. Gli studi in soluzione acquosa degli equilibri di Cu(II) con acidi alfa- e beta-amminoidrossammici hanno stabilito che l’unica specie polinucleare formata dalle due classi di leganti è del tipo 12-metallacrown-4. La presente ricerca si propone inizialmente lo studio calorimetrico in soluzione di questi sistemi, in modo da ottenere i valori di entalpia ed entropia di formazione delle varie specie, essenziali per definirne la struttura in 99 soluzione. In un secondo tempo verranno presi in esame gli equilibri relativi ai sistemi ternari Cu2+/Mn+/acidi alfa- o beta-amminoidrossammici (Mn+ = Ca2+, Ln3+, UO22+), impiegando tecniche potenziometriche, spettroscopiche (VIS, CD), calorimetriche e ES-MS. I risultati delle speciazioni permetteranno di valutare la selettività del metallamacrociclo nei confronti dei vari cationi Mn+. b) Studio di nuovi composti di coordinazione ad attività antitumorale non cisplatino simili Verranno sintetizzati, caratterizzati chimicamente e valutati in relazione alle proprietà biologiche nuovi composti di coordinazione con leganti contenenti il frammento tiosemicarbazonico. Questi complessi, strutturalmente differenti dal cis-platino, sono di interesse farmacologico perché possono affiancarsi o sostituirsi come farmaci a base metallica alla terapia fondata sui composti cis-platino simili in quei casi in cui questi risultano inefficaci, o dove gli effetti collaterali annullano gli effetti positivi della terapia. Partendo da precedenti studi sul rapporto fra struttura molecolare ed attività biologica, il programma di ricerca si propone di continuare lo studio di complessi di metalli della prima serie di transizione, in particolare rame e nichelio, con leganti SN bidentati derivati da aldeidi naturali a diverso grado di insaturazione e lunghezza variabile della catena di atomi di carbonio quali retinale, eptanale ed eptenale, decanale, undecanale etc. per valutare l’influenza di queste variabili strutturali sull’attività biologica. Si cercherà inoltre di approfondire lo studio di complessi di Cu(II) con tiosemicarbazoni SN bidentati o con leganti tetradentati, ottenuti per condensazione tra dichetoni asimmetrici e tiosemicarbazidi, che possono determinare intorni coordinativi di tipo S2N2 a struttura planare analoghi a quelli presenti in complessi di Cu(II) con bis(tiosemicarbazoni) che, già noti per le loro proprietà antitumorali, hanno di recente suscitato interesse grazie alla selettività per l’ipossia. In questi nuovi complessi si potrà variare la lipofilia ed il potenziale redox della coppia Cu(II)/Cu(I) in funzione dei sostituenti sull’azoto amminico o idrazinico e in tal modo facilitare il loro ingresso all’interno delle cellule attraverso un meccanismo di diffusione passiva, e renderli selettivi per le cellule in stato di ipossia. OH O O N N H3C N O NH F S NH2 In parallelo si sintetizzeranno leganti SNO tridentati per valutare se la presenza dell’atomo di ossigeno rende i composti maggiormente attivi. Essi verranno preparati per opportuna funzionalizzazione del fluorouracile. Il fluorouracile, analogo della pirimidina, è un farmaco antineoplastico, usato soprattutto nel trattamento di carcinomi della mammella e del tratto gastrointestinale. Verranno poi sintetizzati i corrispondenti complessi metallici che assocerebbero all’attività biologica propria del fluorouracile quella dei complessi metallici di tiosemicarbazoni e le due porzioni potrebbero agire cooperativamente. Molti leganti e complessi verranno poi saggiati in vitro su linee cellulari leucemiche umane (U937, K562, CEM) per valutare il grado di inibizione della proliferazione cellulare attraverso l’individuazione della concentrazione ottimale per mezzo di prove dose/risposta. Si verificherà anche la capacità dei composti di indurre apoptosi e verrà fatta l’analisi degli effetti sul ciclo cellulare; si verificherà inoltre la capacità inibente dell’enzima telomerasi sia estratto dalle linee cellulari che direttamente durante le fasi di crescita cellulare in cultura. Per alcuni dei composti sintetizzati verranno anche studiate le interazioni con substrati biologici quali CT-DNA e plasmide. 100 Gli studi biologici sui composti più attivi saranno integrati da prove condotte in collaborazione con l’Unità di Trieste. Si cercherà inoltre di individuare ed approfondire il meccanismo d’azione dei composti maggiormente attivi per stabilire una correlazione struttura molecolare – attività biologica allo scopo di finalizzare al meglio la progettazione di nuove molecole. BIBLIOGRAFIA 1) F. Dallavalle, F. Gaccioli, R. Franchi-Gazzola, M. Lanfranchi, L. Marchiò, M. A. Pellinghelli, M. Tegoni “Synthesis, molecular structure, solution equilibrium, and antiproliferative activity of thioxotriazoline and thioxotriazole complexes of copper(II) and palladium(II)”. J. of Inorganic Biochemistry, 2002, 92, 95-104. 2) Belicchi Ferrari M., Bisceglie F., Pelosi G., Tarasconi P., Albertini R., Dall’Aglio P.P., Pinelli S., Bergamo A., Sava G. “Synthesis, characterization and biological activity of copper complexes with pyridoxal thiosemicarbazone derivatives. X-ray crystal structure of three dimeric complexes”. J. Inorg. Biochem., 98, 301-312, 2004. UNITÀ DI RICERCA DEL PIEMONTE ORIENTALE Composizione dell’Unità di Ricerca Domenico Osella (Direttore), Ilario Viano, Mauro Botta, Mauro Ravera, Claudio Cassino, Marco Bottaro, Elisabetta Gabano, AnnaRita Ghezzi, Donato Colangelo, AnnaLisa Ghiglia, Homa Mahboobi, Giovanni Battista Giovenzana. Descrizione della ricerca Introduzione e base di partenza scientifica Dalla scoperta di Rosenberg del cisplatino (cis-diamminodicloroplatino) alla fine degli anni 60, circa 3000 complessi analoghi del cisplatino sono stati sintetizzati con lo scopo di rendere più ampio lo spettro di attività antitumorale del cisplatino e ridurre i suoi effetti collaterali. Solo due complessi hanno mostrato un buon compromesso tra l’attività antitumorale e gli effetti collaterali e sono entrati nella terapia clinica mondiale: il cis-[diammino-1,1-ciclobutanodicarbossilato platino(II)] (carboplatino) ed il cis-[1,2-diamminocicloesano-ossalato platino(II)] (oxaliplatino). Nuovi farmaci antitumorali più selettivi verso il tessuto tumorale potrebbero essere ottenuti modificando opportunamente il cisplatino o i suoi analoghi onde sfruttare alcune caratteristiche peculiari del tessuto tumorale come bersaglio selettivo. Obiettivo dei sistemi “drug targeting and delivery” è quello di individuare metodi grazie ai quali un farmaco possa raggiungere in modo selettivo il tumore sfruttando le poche differenze biochimiche e metaboliche fra cellule tumorali e normali. Il “selective tumor targeting” può essere attivo o passivo. Il primo riguarda anticorpi monoclonali o ligandi di recettori associati al tumore, che raggiungono il bersaglio sfruttando l’affinità anticorpo-antigene o ligando-recettore. Il secondo sistema può essere ottenuto sfruttando il cosiddetto effetto EPR (enhanced permeability and retention effect) grazie al quale molecole ad alto peso molecolare raggiungono e si accumulano nell’ambiente peritumorale. Obiettivi, fasi del programma di ricerca e risultati attesi: • Telomerasi come bersaglio I telomeri consistono in una breve sequenza nucleotidica, ripetuta (per un totale di circa 15000 paia di basi), a singolo filamento, ricca in guanina (TTAGGG nell’uomo); questa porzione del 101 cromosoma, composta da sequenze di nucleotidi prive di significato genetico, viene consumata ad ogni ciclo di replicazione del DNA (difetto di replicazione terminale). Ad ogni divisione cellulare i telomeri umani subiscono una perdita di circa 100 b.p. dal loro DNA (16 ripetizioni TTAGGG), andando incontro ad un progressivo accorciamento. Dopo un certo numero di divisioni cellulari, quando il telomero raggiunge una lunghezza critica, la cellula si avvia verso la senescenza. L’accorciamento dei telomeri è un meccanismo importante, che regola la normale o anormale proliferazione negli organismi pluricellulari. La telomerasi è un enzima in grado di allungare la porzione telomerica del DNA aggiungendo unità esameriche (TTAGGG) contrastando così il naturale accorciamento dei telomeri. L’attività di questo enzima è riscontrabile in più dell’85% delle cellule neoplastiche: la telomerasi viene ripristinata proprio per sfuggire al meccanismo della “senescenza di tipo replicativo”. Quando l’enzima entra in funzione, però, i telomeri sono già stati accorciati, perciò la telomerasi non può far altro che mantenere questa lunghezza costante: questo garantisce comunque alla cellula la possibilità di dividersi illimitatamente. Una strategia antitumorale specifica è dunque volta all’inibizione dell’attività telomerasica con conseguente ripristino del comportamento normale di senescenza e morte per apoptosi. Gli agenti anti-telomerasi mirano cioè a limitare la capacità proliferativa delle cellule tumorali. Ciò si dovrebbe tradurre in una massima azione antitumorale con una minima tossicità. • Veicolazione mediante 17α-etinilestradiolo Le linee cellulari dei tumori estrogeno responsivi (ER+) come il carcinoma mammario sovraesprimono recettori estrogenici.1 Perciò, ancorando un derivato di un metallo citotossico all’estradiolo, si potrebbe ottenere una nuova famiglia di farmaci antitumorali in grado di raggiungere il target nelle cellule e rimanervi per un tempo sufficiente a danneggiarle. L’ormone steroideo estradiolo, modificato in modo tale da coordinare il platino, potrebbe essere un vettore per il trasporto selettivo del frammento elettrofilo PtX2 all’interno delle cellule tumorali. Tutto ciò a patto che i complessi risultanti dalla coordinazione del platino all’ormone siano ancora riconosciuti dal sistema recettoriale e quindi veicolati nel nucleo della cellula tumorale. La strategia di sintesi prevede la funzionalizzazione del 17α-etinilestradiolo con diversi leganti bidentati in grado di coordinare stabilmente il platino con geometria cis. L’uso del 17α-etinilestradiolo lascia inalterati i gruppi ossidrilici in posizione 3 e 17β fondamentali per il riconoscimento dell’ormone da parte del recettore e permette una facile funzionalizzazione per la presenza del gruppo acetiluro reattivo che, inoltre, può funzionare da spaziatore rigido allontanando il sito di coordinazione del platino dall’ormone. Il legante bidentato da legare all’etiniliestradiolo può essere di tipo amminico o dicarbossilico. Un legante di tipo amminico lega in modo irreversibile il platino, cosicché tutto il complesso si lega al DNA. Per favorire invece la formazione dell’addotto cis-Pt(NH3)2d(GpG) il carrier può essere legato al platino mediante un leaving group.2 Per questo si è scelto di puntare l’attenzione sui leganti di tipo dicarbossilico, nell’ottica del rilascio del platino a seguito dell’idrolisi del carbossilato, una volta che il complesso si trovi all’interno della cellula. La sintesi prevede perciò la funzionalizzazione dell’etinilestradiolo con un gruppo chelante dicarbossilico ad idrolisi lenta (malonato) che agisca da leaving group rilasciando il frammento citotossico all’interno della cellula stessa in modo da raggiungere il DNA e svolgere la sua azione antitumorale. • Veicolazione mediante macromolecole polimeriche Nei tumori solidi il tessuto, essendo in crescita incontrollata, è caratterizzato da vasi sanguigni molto permeabili e da un sistema di drenaggio linfatico poco efficiente o del tutto inesistente. Un sistema vascolare incompleto permette la fuoriuscita di macromolecole dai vasi sanguigni; per questo, molecole ad alto peso molecolare (≥ 60 KDa), raggiungono e si accumulano nell’ambiente peritumorale dove sono trattenute per lungo tempo (effetto EPR, Enhanced Permeability Retention).3 A questo va aggiunto che la maggior parte dei tumori solidi produce un ambiente peritumorale acido, infatti, il pH nei tessuti peritumorali è inferiore di circa un’unità rispetto i tessuti normali.4 Le cellule tumorali in rapida crescita e con scarsa funzionalità vascolare spesso non hanno quantità di ossigeno sufficienti (ipossia) al loro metabolismo e sono costrette a ricorrere 102 alla glicolisi anaerobia per soddisfare il loro fabbisogno energetico. Ne segue una notevole produzione di acido lattico con conseguente acidificazione dell’ambiente peritumorale. Questo porta ad un gradiente di pH tumore-selettivo che può essere sfruttato terapeuticamente con agenti antitumorali che contengano gruppi idrolizzabili. Da qui nasce l’idea di coordinare un frammento cisplatino-simile a macromolecole sintetiche, solubili in acqua, biocompatibili e biodegradabili, opportunamente modificati per comportiarsi come carrier selettivi del frammento citotossico al tessuto tumorale dove verrà accumulato per effetto EPR. Una volta raggiunto il tessuto tumorale, il frammento metallico deve essere rilasciato dal polimero per poter esercitare la propria azione antitumorale. Per questo occorre che tra il sito di coordinazione del Pt e il polimero ci sia un braccio spaziatore contenente un gruppo idrolizzabile. Quando il complesso macromolecolare è entrato nella cellula per endocitosi, il rilascio intracellulare del frammento citotossico potrebbe essere determinato o dalla scissione di un legame idrolizzabile al pH delle cellule tumorali o dalla scissione di un legame ammidico a seguito dell’attacco degli enzimi idrolitici presenti nei lisosomi. Questo braccio spaziatore deve terminare con una funzionalità in grado di ancorare un frammento di Pt al polimero. Per questo si possono seguire due strade: si può scegliere di coordinare un frammento di platino PtX2 con un gruppo chelante o sfruttare un’interazione elettrostatica tra un complesso di Pt(II) carico e bracci del polimero aventi carica opposta. O HO C O C C Braccio spaziatore HO CH N Pt C O O NH NH2 N Gruppo idrolizzabile Frammento citotossico Sistema di trasporto macromolecolare Estradiolo come carrier Pt Cl Cl Frammento citotossico BIBLIOGRAFIA 1) E. von Angerer, in: B. K. Keppler (Ed.) Metal Complexes in Cancer Chemotherapy, VCH, Weinheim, 1993, pp. 75-83. 2) D. Gibson, I. Binyamin, M. Haj, I. Ringel, A. Ramu, J. Katzhendler, Eur. J. Med. Chem. 1997, 32, 823-831. 3) Y. Takakura, R.I. Mahato, M. Hashida, Adv. Drug Deliv. Rev. 1998, 34, 93; H. Maeda, Advan. Enzyme Regul., 2001, 41, 189-207. 4) L.E. Gerweck, K. Seetharaman, Cancer Research, 1996, 56, 1194; I.F. Tannock, D. Rotin, Cancer research, 1989, 49, 4373-4384. UNITÀ DI RICERCA DI SIENA Composizione e Settore di Indagine L’Unità di Ricerca di Siena è composta da quattro distinti Gruppi di ricerca, ciascuno con proprie competenze nel settore di interesse del consorzio interuniversitario CIRCMSB. Di questi quattro gruppi, due gruppi di ricerca svolgono attività di ricerca attinente il presente progetto, anche in collaborazione con varie altre Unità afferenti. Collaborazioni: UR di Bari, Firenze e Ferrara Obiettivi e Metodi: 103 1. Gruppo di ricerca del Prof. Piero Zanello Questo Gruppo si occupa della caratterizzazione ossido-riduttiva per via elettrochimica di molecole di potenziale interesse biomedico o mimetiche di funzioni biologiche. In particolare, per quanto concerne l’attività svolta nel settore dei metallo-complessi come potenziali antitumorali, è noto che l’ambiente riducente cellulare, può modificare (in positivo o negativo, dal punto di vista farmacologico) la costituzione molecolare dei farmaci. A tal riguardo, proprio l’insorgenza di cicli ossido-riduttivi a livello cellulare si è mostrata efficace nel combattere forme carcinogenetiche.1 Riveste pertanto una certa importanza conoscere il potenziale redox di nuove molecole a potenziale azione farmacologica, onde valutare se componenti cellulari siano appunto in grado di innescare meccanismi di tipo redox, e se, come conseguenza di tali processi, la molecola originaria resti inalterata o si frammenti. Tale tipo di indagine è stato in precedenza più volte affrontato2,3, per cui compito di questa Unità per il prossimo triennio sarà quello di proseguire in questa linea di ricerca esaminando tutti quei derivati che le varie Unità riterranno utile sottoporre al vaglio ossido-riduttivo. 2. Gruppo di ricerca del Prof. Renzo Cini Questo Gruppo si occupa della messa a punto di tecniche di sintesi e caratterizzazione strutturale di composti di coordinazione con nucleotidi e con farmaci attivi come leganti. I composti sintetizzati da questo Gruppo hanno potenziali attività farmacologiche vuoi per l’azione del legante una volta avvenuta la dissociazione del legame di coordinazione all’interno dell’organismo, vuoi per le interazioni del metallo con biomolecole come acidi nucleici e proteine. Esistono già in letteratura esempi di farmaci, approvati dalle autorità sanitarie di alcuni Paesi, costituiti da molecole di coordinazione con farmaci attivi, con proprietà curative superiori a quelle delle molecole organiche libere. Per questa via si possono preparare composti adatti per multiterapie che includano anche fototerapie (basta inserire opportuni farmaci nella stessa molecola di coordinazione). I complessi di questo tipo, con metalli del “blocco d”, preparati in passato da questo gruppo hanno mostrato interessanti proprietà di abbattimento di radicali ossigenati (di interesse come antiinfiammatori ed antireumatici) e con proprietà citostatiche verso linee cellulari di tumori umani.3-5 Come avvenuto per la determinazione strutturale e teorica dei complessi di Platino con iminoeteri e nucleotidi preparati nella UR di Bari6, questo gruppo è disponibile per lo studio strutturale (mediante diffrattometria di raggi X e metodi teorici DFT e MO) di composti preparati da altre Unità afferenti. BIBLIOGRAFIA 1. D. Osella, M. Ferrali, P. Zanello, F. Laschi, M. Fontani, C. Nervi, and G. Cavigliolo, “On the mechanism of the antitumor activity of ferrocenium derivatives”, Inorg. Chim. Acta, 306, 42 (2000). 2. L. Messori, F. Abbate, G. Marcon, P. Orioli, M. Fontani, E. Mini, T. Mazzei, S. Carotti, T. O’Donnell, and P. Zanello, “Gold(III) complexes as potential antitumor agents: solution chemistry and cytotoxic properties of some selected gold(III) compounds”, J. Med. Chem., 43, 3541 (2000). 3. R. Cini, G. Tamasi, S. Defazio, M. Corsini, P. Zanello, L. Messori, G. Marcon, F. Piccioli, and P. Orioli, “Study of ruthenium(II) complexed with anticancer drugs as ligands. Design of metal-based phototherapeutic agents”, Inorg. Chem., 42, 8038 (2003). 4. S. Defazio and R. Cini, “Synthesis, X-ray structural characterization and molecular modelling analysysis of cobalt(II), nichel(II), zinc(II) and cadmium(II) complexes of the widely used antiinflammatory drug meloxicam”, J. Chem. Soc., Dalton Trans., 1888 (2002). 5. R. Cini, M. Corsini, A. Cavaglioni, “Supramoleular aggregates of complex cations via unusual purine-purine base pairing in a new organo-rhodium(III) compound containing the antileukemic 104 drug purine-6-thione. Synthesis, X-ray structure of trans(C,N7), trans (S,S), trans (P,N7)[Rh(C6H5)(H1,H9-H2TP)2(PPH3)][Rh(C6H5)(H1,H9-H2TP)(H9-HTP)(PPH3)]CL3•HCL•6H2O, and density functional analysis of the {H2TP…HTP}- Base Pair”, Inorg. Chem., 39, 5874 (2000). 6. M. Benedetti, R. Cini, G. Tamasi, G. Natile, “Crystal and Molecular Structure of [bis-(guanosine 5’-monophosphate (-1))(λ-N,N,N,N-tetramethyl-cyclohexyl-1,2-diamine)platinum(II)] decahydrate and [bis-(guanosine 5’-monophosphate (-1))(δ-N,N,N,N-tetramethyl-cyclohexyl-1,2diamine)platinum(II)] tetradeca-hydrate”, Chem.Eur.J., 9, 6122 (2003). UNITÀ DI RICERCA DI TRIESTE Composizione e Settore di Indagine Composta essenzialmente da chimici inorganici esperti di sintesi e da cristallografi, l’Unità di Ricerca è attiva ormai da anni nel settore dei chemioterapici inorganici ed ha sviluppato in questo ambito numerosi derivati di rutenio, tra cui il NAMI-A, che possiedono buona attività antimetastatica. Il gruppo di chimici opera poi in stretta collaborazione con un’unità composta da biologi e farmacologi, appartenenti sia all’Università di Trieste che alla Fondazione Callerio; tale unità, coordinata dal Prof. G. Sava, è anch’essa attiva da molti anni nel settore degli antitumorali di rutenio ed ha dato un fondamentale contributo allo sviluppo in fase clinica del NAMI-A. Collaborazioni: UR di Bari, Firenze e Parma. Obiettivi e Metodi: a) Valutazione dell’attività di nuovi derivati nitrosilici di Ru-dmso. Uno dei possibili meccanismi alternativi ipotizzati per spiegare l’attività dei composti non citotossici di Ru(III) (tipo NAMI-A) riguarda la loro attività anti-angiogenica. In questa ipotesi sono state studiate le interazioni di alcuni composti attivi e dei loro precursori con NO. E’ noto infatti che, a livello biologico, l’ossido di azoto funge da mediatore anche in alcuni processi angiogenici indotti da tumori e che, in generale, numerosi composti di Ru interagiscono facilmente con NO, anche in vivo, generando addotti stabili. I complessi nitrosilici di rutenio sono anche studiati come potenziali agenti antitumorali: se si riuscisse ad indurre il rilascio controllato di NO, citotossico, all'interno delle cellule tumorali questo porterebbe alla loro morte. In generale, il rilascio controllato di NO può essere indotto da una riduzione monoelettronica (NO+→ NO· ), o per fotolisi (photodynamic therapy). In questo ambito sono stati recentemente sintetizzati nell’unità di Trieste una serie di nuovi derivati nitrosilici di Ru(II)-dmso di formula generale [Ru(dmso-O)xCl5-x(NO)](x-2) (x = 2 - 5) (Figura). O Cl Ru Cl O Cl Cl N O Cl Ru Cl O Cl N O + O O Ru Cl O Cl N O 2+ O O Ru Cl O O N O O Ru O Nuovi derivati nitrosilici di Ru-dmso; O = dmso-O. 105 3+ O O O N O Tutti i nuovi derivati, caratterizzati sia spettroscopicamente che tramite strutture ai raggi X, contengono l'unità lineare RuII(NO+). Inoltre, studi elettrochimici hanno evidenziato che in DMF tutti i composti presentano un processo di riduzione monoelettronico irreversibile, che è stato associato alla riduzione del NO+ coordinato a NO·, seguita dalla rapida dissociazione del nitrosile. Il potenziale di riduzione diventa progressivamente più positivo al procedere della sostituzione dei cloruri con dmso, così che il potenziale dei derivati di- e tri-cationici risulta accessibile ai riducenti biologici. Verrà ora studiato il comportamento chimico della serie di nuovi nitrosili in soluzione acquosa e in ambiente fisiologico, e si valuterà l’effetto dell’aggiunta di riducenti bilogici (e.g. acido ascorbico). b) Sintesi di derivati di Ru-dmso con dicarbossilati chelanti. L’unità di Trieste ha finora sviluppato numerosi complessi del tipo rutenio-dmso-alogeno (sia di Ru(II) che Ru(III)) dotati di attività antitumorale in vivo; fra questi il NAMI-A è risultato essere finora il più promettente. La chimica in soluzione acquosa di tali complessi è largamente determinata dall’idrolisi dei cloruri coordinati. Per questo motivo intendiamo preparare nel prossimo triennio nuovi derivati di Ru-dmso in cui i cloruri siano sostituiti da carbossilati e dicarbossilati chelanti. E’ ragionevole ipotizzare che, in analogia a quanto osservato con i complessi di Pt(II), cambiando la natura dei gruppi anionici uscenti possa cambiare sostanzialmente il comportamento dei complessi in soluzione acquosa e, di conseguenza, la loro biodistribuzione ed attività biologica. In letteratura è noto un solo esempio di derivato di Ru(II)-dmso con carbossilati, fac-Ru(dmsoS)3(CH3COO)2(H2O), mentre non sono noti esempi con dicarbossilati chelanti. I dicarbossilati chelanti che verranno esaminati per primi sono: ossalato, malonato e 1,1-ciclobutandicarbossilato (il gruppo uscente del carboplatino). c) Valutazione dell’attività antitumorale e antimetastatica in vitro ed in vivo dei nuovi composti di rutenio Verranno condotti una serie di esperimenti in vitro ed in vivo, utilizzando linee cellulari sia murine che umane caratterizzate da diverso potenziale metastatico per valutare l’attività antitumorale e antimetastatica dei nuovi composti di rutenio. In particolare, in vitro verrà studiato l’effetto dei composti di rutenio sulla capacità di adattamento delle cellule tumorali alla matrice extracellulare, sulla inibizione della capacità invasiva e sulle alterazioni del ciclo cellulare, e in vivo verrà esaminato l’effetto sulla prevenzione e sulla inibizione della crescita di metastasi di tumori solidi metastatizzanti dei roditori. d) Individuazione dei meccanismi molecolari che sottendono l’attività antimetastatica dei composti di rutenio. Verranno effettuati studi, focalizzati sul composto NAMI-A ma che riguarderanno anche altri selezionati composti di rutenio, per ampliare le conoscenze esistenti sui rapporti struttura/attività antitumorale. Un obiettivo di questa ricerca è quello di mettere a punto un sistema in vitro capace di predire se il composto in esame avrà attività antitumorale o antimetastatica in vivo. Lo scopo indiretto di questo sistema è quello di individuare in maniera più mirata i complessi da studiare sui modelli animali, realizzando sia un risultato etico che un contenimento dei costi della ricerca farmacologica preclinica. 106 RADIOFARMACI NELLA DIAGNOSTICA E TERAPIA TUMORALE UNITÀ DI RICERCA DI PADOVA Composizione e Settore di Indagine L’Unità di Padova, sezione radiofarmaci, è strutturata per portare un contributo alla ricerca in vari aspetti inerenti la progettazione, la sintesi, la caratterizzazione chimico fisica e la determinazione delle proprietà biologiche di radiofarmaci. Il gruppo di ricerca opera nel Dipartimento di Scienze Farmaceutiche e nel Dipartimento di Farmacologia ed Anestesiologia dell’Università di Padova e collabora con diverse istituzioni sia padovane che italiane ed europee. In particolare, all’interno del CIRCMSB porta avanti collaborazioni con l’Unita di Ricerca di Ferrara e di Napoli. Descrizione della ricerca I radiofarmaci sono composti marcati con isotopi radioattivi impiegati in medicina nucleare a scopo diagnostico (imaging) o terapeutico (radioterapia) in funzione delle proprietà nucleari del radionuclide. Negli ultimi anni sono molto studiati e sperimentati i cosìdetti radiofarmaci targetspecifici. Essi derivano dalla marcatura di biomolecole che presentano alta affinità e selettività per siti biologici implicati in forme patologiche e che svolgono la funzione di veicolare il radionuclide (molecola direzionatrice). Oggetto delle ricerche dell’Unità di Padova sono i radiofarmaci marcati con il tecnezio-99m ed il renio-186/188, due metalli di transizione del blocco d (VII) che giocano un ruolo importante in ambito, rispettivamente, diagnostico e terapeutico. A differenza di isotopi di atomi naturalmente presenti nelle molecole biologiche (O, C, N), che possono essere incorporati nelle molecole direzionatrici attraverso la formazione di un legame covalente, gli isotopi di natura metallica devono essere stabilizzati da un sistema chelante. Nell’ultimo decennio è stata sviluppata un’ampia gamma di tecniche per la marcatura di biomolecole con radiometalli, ma la metodica più ampiamente studiata e impiegata consiste nell’approccio con un chelante bifunzionale (Bifunctional Chelating Agent, BFCA). Il chelante bifunzionale presenta da un lato un set coordinativo in grado di stabilizzare il metallo, dall’altro un gruppo funzionale per l’ancoraggio covalente della biomolecola, che può essere diretto oppure mediato da uno spaziatore (linker), a dare il derivato BFCA(-linker)-BM. La scelta accurata del BFCA è uno degli aspetti fondamentali nella progettazione di radiofarmaci target-specifici. Un BFCA ideale dovrebbe garantire la formazione di un complesso con alta resa e a concentrazioni molto basse del coniugato BFCA-BM. Tale complesso non dovrebbe sottostare a reazioni di ossidoriduzione, dovrebbe essere termodinamicamente stabile e cineticamente inerte e presentare un basso numero di isomeri, in quanto tutte questi parametri possono influenzare notevolmente le caratteristiche biologiche e farmacocinetiche del coniugato BFCA-BM. Infine, l’attacco del BFCA alla biomolecola dovrebbe essere facilmente realizzabile. La selezione del BFCA dipende dal tipo di radiometallo e dal suo stato di ossidazione. Il core [M=O]3+ viene largamente impiegato per la marcatura di biomolecole con 99mTc e 186/188Re e negli ultimi 15 anni sono stati sintetizzati e valutati molti chelanti bifunzionali, la maggior parte dei quali possiede un set coordinativo di tipo NxS(4-x). Questi chelanti, sebbene abbiano trovato applicazione, soffrono di alcune limitazioni quali l’elevata lipofilia, una bassa flessibilità strutturale, più forme isomeriche spesso difficili da separare e limitata stabilità in vivo. Inoltre la loro marcatura richiede 107 spesso condizioni drastiche. Lo sviluppo di BFCA più efficienti resta quindi uno degli interessi principali nell’ambito della medicina nucleare. Recentemente il nostro gruppo di ricerca ha scoperto e studiato chelanti bifunzionali tetradentati contenenti un gruppo fosfinico che hanno dimostrato di produrre complessi di Re-oxo e 99m Tc-oxo di elevata stabilità. Tra di essi, il chelante di natura peptidica N-[N-(3difenilfosfinopropionil)glicil]-S-benzil-L-cisteina metilestere contenente un set PN2S ha dimostrato alta affinità per il core [Me=O]3+ (Me = Re, Tc), ed il complesso esacoordinato ReOCl[PN2S(Bzl)]OMe è stato isolato e ampiamente caratterizzato. Studi di massa hanno indicato che in realtà il complesso più stabile è l’analogo pentacoordinato ReO[PN2S]-OMe, nel quale lo zolfo è coordinato non come tioetere ma come tiolo. Il gruppo benzile è stato quindi sostituito con il tritile, più facilmente rimovibile, ottenendo l’analogo N-[N-(3-difenilfosfinopropionil)glicil]-S-tritil-L-cisteina (PN2S(Trt)-OH). Gli studi di coordinazione con renio hanno però fatto supporre una competizione tra il gruppo carbossilico libero e lo zolfo nella coordinazione al centro metallico, in quanto il complesso con il COOH esterno alla sfera di coordinazione, constatato con studi di massa, non è risultato isolabile. Sulla base di queste premesse, negli ultimi anni è stato studiato e caratterizzato il legante esterificato N-[N-(3-difenilfosfinopropionil)glicil]-S-tritil-L-cisteina metilestere (PN2S(Trt)-OMe), sintetizzato al fine di dimostrare ed ovviare la competizione fra il gruppo tiolico e quello carbossilico. La complessazione del legante PN2S(Trt)-OMe con 185/187renio non radioattivo, ha portato alla determinazione della presenza di isomeri. Infatti, in seguito alla coordinazione, il gruppo metilestere può assumere una configurazione syn o anti rispetto all’ossigeno del gruppo oxo. Un altro problema riguardante lo sviluppo di radiofarmaci target-specifici riguarda la reazione di marcatura. Il BFCA deve garantire una marcatura rapida ed efficiente, con alta resa in una singola specie. Sebbene gli studi di complessazione con renio possano essere predittivi del comportamento dello stesso chelante con il 99mTc ed il 186/188Re, è anche vero che la chimica di coordinazione per lo stesso chelante può essere diversa a livello macroscopico o in condizioni di marcatura: condizioni n.c.a. (non carrier added). Potrebbe essere, ad esempio, che la competizione osservata per il chelante PN2S-OH tra il COOH e lo zolfo sia sfavorita a livello n.c.a., come pure che la marcatura favorisca una sola forma isomerica del complesso finale, cosa spesso osservata per complessi del [99mTcO]3+. La formazione di un solo isomero è molto importante, in quanto l’isomeria può variamente influenzare la farmacocinetica di un radiofarmaco. Sono in corso di studio le procedure e le condizioni di marcatura dei chelanti detritilati PN2SOH e PN2S-OMe con 99mTc. Gli studi sono condotti al fine di definire le condizioni migliori per una marcatura efficiente, in grado di garantire la formazione di una sola forma isomerica con alta purezza radiochimica, e infine per identificare e caratterizzare le specie marcate e la determinazione dell’attività specifica (MBq/µmol) dei chelanti. Come precedentemente detto, un BFCA deve stabilizzare il radiometallo cosicché il complesso finale possegga alta stabilità alle reazioni redox e/o alla transchelazione con altri chelanti presenti nei sistemi biologici. Inoltre, un altro aspetto cruciale nello sviluppo di un radiofarmaco targetspecifico riguarda la farmacocinetica del BFCA marcato che può seriamente influenzare quella della molecola direzionatrice, soprattutto nel caso in cui questa abbia dimensioni ridotte (piccoli peptidi). Gli studi di biodistribuzione di un nuovo BFCA marcato sono fondamentali al fine di valutare il livello di tale influenza e l’eventuale necessità di apportare delle modifiche chimiche al BFCA. Verranno quindi sviluppati studi in vitro, effettuati in plasma umano per determinare la stabilità metabolica delle specie marcate derivate dai chelanti PN2S, e gli studi in animale, per valutare sia la stabilità vivo che la farmacocinetica delle stesse specie. La biodistribuzione verrà determinata in topo tramite analisi scintigrafica e conteggio della radioattività negli organi ex-vivo. L’analisi scintigrafica verrà condotta, come ormai si fa usualmente nei nostri laboratori, con una YAPcamera, γ-camera di recente sviluppo avente una risoluzione di 1.0-1.2 mm e un campo di vista 40x40 mm2, utile per studi di biodistribuzione in topo. 108 Un altro aspetto rilevante nella progettazione di radiofarmaci target-specifici è la scelta della biomolecola direzionatrice. Piccoli peptidi sono ampiamente considerati in quanto offrono alcuni vantaggi, quali elevata affinità per uno specifico recettore, bassa immunogenicità, elevata clearance plasmatica, resistenza a condizioni di marcatura abbastanza drastiche. Una premessa indispensabile per il loro impiego in medicina nucleare è la sovraespressione dei loro recettori nei siti patologici. Tra i vari target biologici, i recettori della colecistochinina (CCK) CCKA-R e CCKB-R sono molto promettenti in quanto sovraespressi in diverse forme tumorali. Il tetrapeptide C-terminale CCK4 è il frammento più piccolo della CCK in grado di legarsi ad entrambi i recettori, mentre l’ottapeptide Cterminale ammide CCK8 è quello che dimostra più alta affinità. Recentemente, studi di NMR ad alta risoluzione e studi di molecular modeling hanno indicato che modifiche chimiche indotte sulla porzione N-terminale della CCK8 per introduzione di un chelante bifunzionale e del suo complesso non dovrebbero alterare l’interazione con il recettore CCKA-R. In collaborazione con l’Unità di Napoli del CIRCMSB diretta dal prof. Carlo Pedone, si sta portando avanti uno studio che riguarda la sintesi e la caratterizzazione del coniugato PN2S-CCK8 e gli studi di coordinazione con renio-oxo volti a valutare la possibilità di impiegare il set PN2S nella marcatura di peptidi dopo la coniugazione. NelSono stati inoltre eseguiti gli studi di molecular modeling riguardanti il frammento CCK8 e il complesso ReO[PN2S]-CCK8 al fine di determinare le modalità di interazione del coniugato con il recettore CCKA-R e la stabilità del complesso con renio. Infine, il Sono stati infine effettuati tentativi per coniugare il complesso preformato ReO[PN2S]-OH al frammento CCK4, al fine di valutare il possibile impiego del set PN2S nella marcatura prima della coniugazione. In un radiofarmaco target-specifico basato sull’approccio bifunzionale la biomolecola può essere coniugata al BFCA attraverso uno spaziatore, che generalmente agisce come modulatore della farmacocinetica del composto finale. Tentativi effettuati per superare problemi legati alla biodistribuzione dei radiofarmaci in vivo includono l’uso di linker polimerici, dato che spesso la farmacocinetica del coniugato BFCA-linker-BM coincide con quella del polimero. Tra i polimeri disponibili, il poli(etilenglicole) (PEG) è ampiamente considerato in quanto in grado di trasferire le sue caratteristiche chimico-fisiche, quali solubilità, non immunogenicità e biodistribuzione, alle biomolecole a cui è legato, senza però alterare le loro funzioni biologiche, quali il riconoscimento recettoriale. Essendo disponibili i dati relativi alla biodistribuzione di PEG a diverso peso molecolare, è possibile scegliere il PEG-linker più idoneo per modulare il tempo di residenza in circolo del radiofarmaco. In base a queste considerazioni, sarà oggetto dei nostri futuri studi la modifica del set PN2S per coniugazione a metossi-PEG-ammina monofunzionali (MW = 5000 e 20000), gli studi di coordinazione dei derivati PN2S-PEG con renio e la loro marcatura con 99m tecnezio. Inoltre, verrà sviluppato e ottimizzato un nuovo metodo di marcatura con 99mTc basato sulle proprietà anfifiliche dei coniugati PN2S-PEG, già osservato in studi preliminari, che si è rivelato molto interessante interessante in quanto consente di evitare l’uso di un agente riducente esterno. Saranno infine eseguiti gli studi in vitro e in vivo per valutare le variazioni di stabilità e di biodistribuzione indotte dal PEG sul set PN2S marcato impiegando il nuovo metodo. Un'altra biomolecola con proprietà di biodistribuzione interessanti per la loro biospecificità verso le cellule tumorali è l’acido Ialuronico (HA). HA è un polisaccaride ubiquitario nei tessuti umani ad alta affinità per i recettori di membrana specifici, i CD44, che sono sovraespressi in molti tumori solidi. Per interazioni con tali recettori HA viene internalizzato nella cellula e quindi metabolizzato. Per aumentare la specificità sulle cellule neoplastiche, è stato progettato un bioconiugato (HA-But) costituito dall’acido ialuronico (HA) esterificato con residui di acido butirrico (HBut). Il sodio butirrato, infatti, è un inibitore dell’enzima istonedeacetilasi, presenta una rilevante attività farmacologica in un’ampia varietà di linee cellulari di tumori umani. Sfortunatamente però, l’applicazione clinica del solo butirrato è limitata dalla sua breve emivita plasmatica. HA-But è dunque un profarmaco costituito da un agente 109 di targeting recettore specifico (HA) e un farmaco antitumorale (HBut) che viene liberato nel citoplasma. HA-But è stato marcato con 99mTc attraverso la procedura della marcatura diretta, ovvero quella che non comporta l’utilizzo del BFCA. I risultati sono stati soddisfacenti e quindi, la’approccio del legante bifunzionale sarà oggetto di studi futuri. Al momento è stata messa a punto una metodologia di purificazione del 99mTc-HA-But che consente una resa del 99% in prodotto marcato. Il 99mTc-HA-But è stato somministrato per varie vie, quella orale, la sottocutanea, l’intraperitoneale e quella rettale per verificare le capacità di assimilazione. Il passaggio in circolo sanguigno è sempre stata molto lenta. Il 99mTc-HA-But è stato infine somministrato in vivo per via endovenosa, per poterne seguire la biodistribuzione all’interno dell’organismo, e verificarne la capacità di accumulo nei vari organi. L’organo di accumulo praticamente istantaneo è stato il fegato. Fig.1 Immagine topo iniettato nella arteria caudale con 99mTc-HA-But non pretrattato HA. (Immagine raccolta nell’intervallo 30-35min dall’iniezione) E’ nostra intenzione proseguire gli studi per evidenziare le capacità di utilizzo del 99mTc-HABut quale diagnostico di tumori e metastasi epatiche. Inoltre, vista la possibilità di approvvigionamento ed impiego del generatore 188W/188Re, è nostra intenzione trasferire gli esperimenti di marcatura dell’HA e suoi derivati al 188Re ed eseguire gli studi di biodistribuzione al fine di utilizzare i 188Re-HA derivati a scopo radioterapeutico. Progetto Tantalio E’ nostra intenzione proseguire nella ricerca chimica di complessi stabili di Tantalio allo scopo di produrre radiofarmaci marcati con 178Ta, un nuovo radionuclide adatto alla rilevazione con le camere MWGC (Multiwire Gamma Camera). In questi ultimi anni, infatti, è in corso di progettazione e sviluppo questa nuova generazione di gamma-camere. Tra i vantaggi che le MWGC presentano nei confronti delle tecniche tomografiche attualmente in utilizzo, vi sono: - velocità di conteggio più elevata; - superiore risoluzione; - minor peso e dimensioni ridotte che ne consentono una maggior facilità di trasporto. Una sola limitazione ha precluso lo sviluppo e la diffusione di tali rivelatori dalle potenzialità così elevate. I detector gassosi mostrano un’efficienza ridotta a 140KeV. Tale valore corrisponde all’energia dell’emissione g del Tc-99m (149 KeV) che resta a tutt’oggi il più diffuso tra i nuclidi utilizzati in radiodiagnostica. L’efficienza tipica per una MWGC è del 25% a 140 KeV del 70% a 80 KeV e dell’ 80% a 60 KeV. 110 Si è quindi di fronte alla necessità di utilizzare isotopi radioattivi caratterizzati da emissioni energia. a più bassa. Il Ta-178 è un candidato con eccellenti proprietà. Tale radionuclide è caratterizzato da emissioni X con energia comprese tra i 55 ed i 65 KeV, quindi ottimali per la rivelazione con MWGC. Altri importanti vantaggi sono invece correlati alla suo breve tempo di emivita di soli 9.3 minuti. Altri radionuclidi utilizzati in Medicina Nucleare quali 99mTc o 201Tl hanno tempi di emivita superiori alle 6 ore i quali impongono differenti limitazioni dal punto di vista clinico sia per l’alta dose di radiazioni somministrata, sia per l’assenza di un decadimento fisico durante il tempo di una rapida analisi clinica. La massima dose iniettabile risulta essere di 30mCi per il 99mTc e di 3mCi per 201 Tl, mentre il tempo di emivita relativamente lungo non rende possibili analisi multiple Il Ta-178 viene prodotto dal generatore 178W/178 Ta per decadimento del 178W (t1/2=21.7 giorni). Il W-178 viene prodotto tramite reazione 181Ta(p,4n)178W per bombardamento con un fascio di protoni a 24MeV di fogli di Ta-181 isotopo freddo del Tantalio. Il generatore è costituito da una colonna a scambio ionico in cui viene legato il W-178 sottoforma di tungstenato. Si procede quindi all’eluizione del Ta-178 tramite una soluzione acquosa contenente HCl 0.1N e l’1% di H2O2. Fino ad oggi non è stato condotto alcun tentativo per determinare la forma chimica in cui il Ta178 viene eluito dal generatore. E’ possibile che in soluzione di acido cloridrico il metallo si presenti sottoforma di ossidi ed idrossidi polinucleari i quali verrebbero eluiti con difficoltà dalla resina a scambio ionico. Nelle condizioni in cui opera il generatore tuttavia, il Tantalio viene a trovarsi in soluzione in concentrazione estremamente bassa. E’ possibile che le specie in soluzione possano essere Ta(OH)4+ e/o Ta(OH)5 che mostrano scarsa affinità per la resina a scambio ionico. Come proposto da Babko et al. queste sono le principali specie in cui si presenta il Tantalio in una soluzione a pH inferiore a 2 in assenza di complessi polinucleari. La chimica del Tantalio comprende differenti stati di ossidazione, sono noti composti in tutti gli stati di ossidazione tra il +V ed il -III con la sola eccezione del –II. Sono tuttavia molto più comuni stati di ossidazione elevati , in particolare il +V. Il Tantalio presenta un’elevatissima affinità per l’ossigeno, la chimica in soluzione acquosa è dominata dalla formazione di ossidi ed idrossidi del metallo sottoforma di polianioni[4]. La grande affinità del Tantalio nei confronti dell’ossigeno viene evidenziata in reazioni di estrazione di ossigeno da molecole quali acidi carbossilici, alcoli, chetoni, dimetilsolfossido ed altri composti contenenti ossigeno. Sono noti in letteratura numerosi complessi con leganti donatori all’ossigeno, fra questi gli alcossidi di Tantalio rivestono una grande importanza. Questi vengono sintetizzati a partire dal pentacloruro del metallo per reazione diretta con alcoli. La reazione porta alla formazione di complessi di formula generale TaClx(OR)5-x (x=1-3), la sostituzione completa degli atomi di cloro da parte dei gruppi alcossidici può essere ottenuta, per gli alcoli a più basso peso molecolare, tramite l’utilizzo di un accettore di protoni quale l’ammoniaca La letteratura, in particolare quella più recente, riguardante la chimica di coordinazione del tantalio riporta studi di complessi utilizzabili come precursori per tecniche di deposizione di strati sottili in particolare di ossido di tantalio. Non sono noti fino ad ora studi mirati alla sintesi di complessi che possiedano una chimica in soluzione acquosa. UNITÀ DI RICERCA DI FERRARA Composizione e Settore di Indagine L’unità di Ferrara è composta essenzialmente da chimici inorganici esperti di sintesi e da cristallografi. La ricerca si sviluppa sia nel settore di nuovi radiofarmaci inorganici in oncologia, sia nel campo delle metodologie diagnostiche innovative. 111 Il nostro gruppo opera in collaborazione con il Dipartimento di Farmacia di Ferrara per lo sviluppo di opportune biomolecole e di test di binding dei corrispondenti complessi sintetizzati. Recentemente si è avviata una collaborazione con il Laboratorio di Medicina Nucleare, Dipartimento di Medicina Clinica & Sperimentale dell’Università di Ferrara per quanto riguarda la sintesi e caratterizzazione di complessi contenenti radionuclidi. Collaborazioni: Unità di Ricerca di Padova Obiettivi e metodi Il programma di ricerca si articola secondo i seguenti punti: • sintesi di leganti ottenuti dalla condensazione di semplici amminoacidi con opportuni agenti chelanti; • sintesi e caratterizzazione dei corrispondenti complessi di renio e tecnezio a livello macromolecolare; • trasferimento della sintesi a complessi di tecnezio-99m a livello nanomolare e confronti con quelli ottenuti al punto precedente; • dopo avere verificato la validità della procedura, si intende estendere la sintesi a leganti ottenuti da peptidi biologicamente attivi funzionalizzati con l’agente chelante; • sintesi e caratterizzazione dei corrispondenti complessi su scala macromolare (renio freddo e tecnezio-99); • la marcatura di questi leganti con Tc-99m e gli opportuni confronti con quelli ottenuti con Tc-99. L’utilizzo esteso nella medicina nucleare dell’isomero metastabile 99mTc, (nuclear imaging), ed il recente sviluppo di radionuclidi β-emettitori quali 186,188Re come candidati futuri per applicazioni radioterapeutiche di malattie degenerative, hanno aumentato l’interesse verso lo studio della loro chimica di coordinazione. Il fine di queste ricerche è descrivere la struttura molecolare degli agenti basati sul 99mTc e 186/188Re che essendo ottenuti su scala micro o nanomolare non può essere determinata direttamente. Ciò può essere facilmente compiuto attraverso il confronto delle loro proprietà chimiche e fisiche con quelle dei composti preparatati su scala macromolare dall’isotopo a lunga vita 99Tc e dal renio freddo. Negli ultimi anni, la chimica dei radiofarmaci di 99mTc è stata allargata grazie all’introduzione di un efficiente metodo di produzione di specie di 99mTc contenenti il core [99mTc(N)]+2. La stabilità dei nitruro-composti, osservata in un ampio intervallo di pH, fa di questi complessi candidati interessanti nelle applicazioni di medicina nucleare. Attualmente, la procedura di maggior successo è quella conosciuta come “approccio bifunzionale”, consiste nel legare ad una biomolecola un raggruppamento in grado di coordinare il metallo. Condizione essenziale è che il gruppo chelante si leghi alla biomolecola in un punto irrilevante così da preservarne le sue proprietà biologiche. Questo metodo è stato applicato con successo nella produzione di nuovi radiofarmaci di 99mTc coordinato a molecole aventi diverse funzioni biologiche. Sarà la scelta dell’agente chelante a determinare lo stato di ossidazione del metallo, la geometria di coordinazione, la carica del complesso finale e quindi il suo maggiore o minore carattere lipofilico e conseguentemente la sua biodistribuzione. Sulla base di queste considerazioni il programma di ricerca prevede la sintesi, di peptidi funzionalizzati con frammenti di natura diversa. in grado di coordinare il metallo in diversi stati di ossidazione e contenenti “cori” diversi come ad esempio [M=O]3+, [M≡N]2+ (M=Tc, Re), o complessi carbonilici con il metallo nello stato di ossidazione +1. I leganti saranno sintetizzati in collaborazione con il Prof. G. Vertuani del Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università di Ferrara, mentre tutte le reazioni a livello di Tc-99m ed eventuali biodistribuzioni saranno eseguite in collaborazione con il Prof: A. Duatti del Laboratorio 112 di Medicina Nucleare, Dipartimento di Medicina Clinica & Sperimentale dell’Università di Ferrara e con il Prof. U. Mazzi del Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università di Padova. 113 RUOLO DEGLI IONI METALLICI NELLE PATOLOGIE DEGENERATIVE CRONICHE FOLDING E AGGREGAZIONE DI PROTEINE: METALLI E BIOMOLECOLE NELLE MALATTIE CONFORMAZIONALI Descrizione della ricerca Base di partenza scientifica La comprensione della seconda parte del codice genetico, il folding proteico, è di enorme importanza intellettuale, in quanto esso consentirà di trovare l’anello mancante nel flusso delle informazione che va dalla sequenza genica alla struttura tridimensionale delle proteine. In una serie di esperimenti, Anfisen e coll. ha provato che tutte le informazioni che sono necessarie affinché una proteina si avvolga nella maniera corretta sono contenute nella struttura primaria. Sicuramente vero per una molecola proteica isolata, ragionevoli dubbi sorgono se ciò sia del tutto vero in presenza di altre biomolecole, di membrane, di metalli o di altri fattori ambientali. E’noto, già dal 1980, che nell’ambiente cellulare molte proteine per essere avvolte correttamente necessitano della presenza di molecole “assistenti”, che sono note come “chaperones”. Ciò non contraddice l’osservazione di Anfisen che descriveva il folding come un evento spontaneo, ma, precisa, che nella cellula, il processo è assistito. In altre parole, il folding proteico può essere descritto come l’effetto sinergico di due processi, nel primo l’informazione è contenuta nella sequenza primaria della proteina, mentre nel secondo, l’informazione viene acquisita dall’ambiente circostante attraverso l’azione di molecole assistenti (“helper”). Perchè il folding in vivo è così difficile? Innanzitutto il folding e la biosintesi proteica sono dei processi intimamente accoppiati, e la catena polipeptidica nascente può iniziare ad avvolgersi ancora prima che la biosintesi sia completa. Per sequenze brevi, ciò potrebbe coinvolgere la struttura secondaria, ma per sequenze più lunghe la mancanza di un informazione completa della sequenza porterebbe ad una struttura terziaria scorretta. Un secondo problema è legato all'elevato "affollamento" dell'ambiente cellulare in queste condizioni, la concentrazione di stati parzialmente avvolti è aumentato da 10 a 100 volte, portando ad un incremento di probabilità di aggregazione durante il folding. L’idea che molecole stampo (metalli o altre piccole molecole) possano creare siti di nucleazione o propagare una certa conformazione da una regione ordinata (stampo), ad una regione disordinata (catena polipeptidica), per formare alfa-eliche o foglietti beta, non è un’idea nuova. Recentemente, è andato crescendo l’interesse nella comprensione e nella possibilità di manipolare le interazioni proteina-proteina e proteina peptidi. Ci sono evidenze che l’efficienza del folding proteico nella cellula è fortemente correlato con la stabilità proteica. Infatti, c'è ora accordo sul fatto che non c’è un singolo specifico modello di folding, così come veniva suggerito dai primi modelli, ma che si è in presenza di un sistema energetico multidimensionale (folding funnel) che descrive il processo di folding. Secondo questo nuovo e sofisticato punto di vista, una proteina all’inizio non avvolta, potrebbe arrivare allo stato nativo attraverso una miriade di strade diverse, alcune delle quali prevedono stati di transizione intermedi (con un minimo di energia locale), mentre altre coinvolgono significative trappole cinetiche (stati di misfolding). Molti fattori ambientali possono contribuire alla destabilizzazione delle molecole native, e presumibilmente, incrementano la popolazione degli stati misfolded. Così è divenuto sempre più evidente che i sistemi biologici hanno messo a punto elaborate procedure sia per assicurare che le proteine si avvolgano correttamente, che, per degradarle, prima che possano arrecare seri danni all’organismo ospite qualora il processo porti a conformazioni scorrette. Infatti, il fallimento o la 114 perdita di un folding corretto sono fenomeni che stanno all’origine di un’ampia varietà di stati/condizioni patologici. Negli ultimi anni, è stato dimostrato che numerose malattie dipendono dall’alterazione del folding proteico, ed esse sono raggruppate insieme come Malattie Conformazionali Proteiche (PCD, Protein Conformational Disorders). Questo gruppo comprende la malattia di Alzheimer (AD), le encefalopatie spongiformi, la corea di Huntington, il morbo di Parkinson, il diabete di tipo II, l’amiloidosi da dialisi, la sclerosi laterale amiotrofica e più di altre 15 malattie, meno note. L’evento chiave delle PCD è un cambiamento nella struttura secondaria e/o terziaria di una proteina normale o di un suo frammento, non accompagnato da alterazione della struttura primaria. In tutti i casi, c’è una progressiva transizione dalla proteina normale, correttamente avvolta, ad uno stato aggregato, ricco di strutture in conformazione beta. Il processo dettagliato attraverso il quale proteine solubili (o loro frammenti) subiscono un parziale svolgimento e un riavvolgimento scorretto (che porta ad oligomeri altamente stabili e a polimeri con nuove proprietà) costituisce la principale e irrisolta questione. Tre differenti ipotesi sono state proposte per descrivere le relazioni tra stati conformazionali e aggregazione. Nella ipotesi della polimerizzazione (A), l’aggregazione induce cambiamenti nella conformazione proteica, mentre nell’ipotesi conformazionale (B), il misfolding proteico è indipendente dall’aggregazione, che non rappresenta un necessario punto d’arrivo del cambiamento conformazionale. Il modello C, conformazione/oligomerizzazione, rappresenta una visione intermedia, nella quale deboli/piccoli cambiamenti conformazionali innescano l’oligomerizzazione che è essenziale per la stabilizzazione del misfolding proteico. Una questione centrale nella ipotesi conformazionale è l’identificazione dei fattori che inducono i cambiamenti del folding proteico. Alcuni cambiamenti delle condizioni ambientali sono stati individuati come fattori determinanti, fra questi il pH, gli ioni metallici, lo stress ossidativo, l’influenza di certe proteine (metallopeptidasi, apolipoproteina E, proteina X) e l’interazione con membrane cellulari. Quest’ultimo è di particolare rilevanza; infatti, si stanno accumulando evidenze che specifici lipidi, normalmente presenti nelle membrane cellulari, possono partecipare come molecole “chaperon” (lipochaperons) nel processo di avvolgimento, e probabilmente, nello svolgimento di proteine. Il folding (o il misfolding) proteico assistito dai metalli è un’altra ampia tematica di grande interesse. E’stato dimostrato che il folding proteico è un processo a più stadi, caratterizzato dalla formazione di stati intermedi (Molten Globules or MG) senza una specifica stechiometria dello stato nativo ed in cui gli ioni metallici svolgono una funzione di grande rilevanza come riportato in alcune recenti note concernenti la struttura in soluzione di Cu/Zn Superossidodismutasi e alcune metallo chaperone. Dati sperimentali sempre più numerosi mostrano che l’interazione di alcuni ioni metallici del gruppo d (Fe, Cu, Zn, Mn e Al) con le proteine potrebbe essere il denominatore comune delle PCD. Vi sono almeno due generiche reazioni con i metalli che devono essere prese in considerazione. L'alluminio merita una particolare attenzione anche in merito al fatto che la sua attività neurotossica è nota già da un centinaio d'anni. La prima è relativa all'associazione di un metallo ad una proteina che porta ad aggregazione proteica, questa reazione può coinvolgere ioni metallici non redox come l’Al(III) e lo Zn(II), o metallo redox attivi come il Cu(II), il Fe(III) e il Mn(II) (Bush 2003). La seconda è relativa all’ossidazione proteica che catalizzata dai metalli può dar luogo ad un danno proteico o alla denaturazione; questa reazione coinvolge solo metalli redox. Sono stati riportati risultati contradditori su: i) speciazione, ii) costanti di stabilità, iii) siti di legame e ambienti di coordinazione, iv) strutture conformazionali di complessi dell’Al e di metalli del gruppo d con le proteine o con loro frammenti peptidici coinvolti nelle PCD. Per rispondere a queste problematiche aperte è importante comprendere quali specie sono coinvolte nella reazione anormale tra proteine e uno ione metallico. E’particolarmente interessante comprendere come l’attività catalitica antiossidante della Cu/Zn superossidodismutasi si possa convertire in un’attività pro-ossidante. Le attuali terapie farmacologiche per le PCD sono indirizzate ad alleviare i sintomi, ma non a bloccare le cause che scatenano il processo patologico. Al contrario, 115 il moderno approccio nello sviluppo di farmaci per le PCD sono indirizzate a bloccare il meccanismo molecolare della malattia, tentando sia di prevenire l’aggregazione proteica, sia di rimuovere gli aggregati proteici. Comunque vi sono crescenti evidenze che molte, se non tutte, le proteine coinvolte nelle PCD possono non aggregare in assenza di legame col metallo. in questo contesto molti gruppi hanno approfondito la ricerca di chelanti metallici per il controllo dell'omeostasi di rame e zinco. Molte altre sostanze sono state trovate efficaci nello spegnimento della costruzione di depositi proteici in alcuni sistemi in vitro: questi includono il Congo rosso, l’amfotericina B, derivati delle antracicline, solfati poianionici, pentosan polisolfato, i recettori beta; solubili delle linfotossine, le porfirine, le poliammidi ramificate e alcuni peptidi. Tutte queste sostanze si suppone interagiscano direttamente con gli aggregati proteici alterandone la conformazione. Comunque nessuno di questi composti si è dimostrato efficace nella terapia su animali malati. L’osservazione che piccoli peptidi parzialmente omologhi alla sequenza proteica tendente all’aggregazione (e contenenti residui cha agiscono rompendo i foglietti a struttura beta), possano inibire l’aggregazione proteica e/o la formazione di amiloide in vitro, induce a pensare che questa possa essere una ulteriore promettente strategia per una approccio terapeutico. Tuttavia, quando questi peptidi sono iniettati, in vivo, vengono degradati dalle peptidasi. Allo scopo di superare questa limitazione, si possono progettare specifiche molecole bioconiugate per "ingannare" il pool di peptidasi presenti nelle cellule, allungando così l’emivita della molecola attiva nell’organismo. Un’altra caratteristica evidenziata nelle PCD è l’ossidazione dei tessuti mediata dall’interazione di metalli con attività redox nei confronti di una molecola proteica bersaglio. In riferimento a quanto detto, risultano particolarmente interessanti le proprietà della carnosina (betaalanina-L-istidina) e di altri peptidi strutturalmente correlati che posseggono specifiche proprietà antiossidanti e proprietà chelanti che prevengono l’accumulo di prodotti del metabolismo ossidativo della cellula. Particolarmente interessante è il dato che il livello dell’enzima responsabile della degradazione della carnosina, la carnosinasi, aumenta nel sangue con l’età, suggerendo una stretta connessione tra l’età, l’ossidazione, il legame di metalli, l’aggregazione di proteine e questa classe di dipeptidi. Inoltre recenti risultati mostrano una relazione tra enzimi degradanti l’insulina (IDE) e due differenti PCD come l’Alzheimer e il diabete di tipo II, ed il ruolo potenzialmente dannoso di alcune specifiche metalloproteasi nello sviluppo delle malattie richiede ulteriori chiarimenti. L’aver trovato che proteine globulari che non sono associate alle PCD possano subire processi di aggregazione in vitro, diventando citotossiche, conferma l'ipotesi che la tossicità di specie aggregate possa essere un fenomeno generale, e che la patogenicità delle PCD possa essere correlata con la struttura di aggregati indipendentemente dalla specifica sequenza proteica dalla quale si sono originati. L’attenzione dei ricercatori, in un primo momento focalizzata sulla tossicità delle fibrille di amiloide mature, è stata recentemente spostata su specie intermedie del processo fibrillogenico: gli oligomeri solubili mostrano una comune struttura, conformazione-dipendente, tra le diverse PCD. Anticorpi anti-oligomeri inibiscono in vivo la tossicità di beta-amiloide di sintesi, di betasinucleina, di amilina, del frammento prionico 106-126, etc. Comunque, almeno nei cervelli dei pazienti deceduti che mostravano solo un debole danno cognitivo (la fase prodromica dell’Alzheimer), la quantità di oligomeri Abeta era correlato col danno sinaptico. Se gli oligomeri o le specie più mature, o entrambe, sono tossiche, ci si può chiedere come le forme proteiche "misfolded" influenzino la vitalità delle cellule. Poiché alcune forme amiloidi, come l’Abeta, sono presenti nello spazio extracellulare, mentre altre come l'alfa-sinucleina sono citosoliche, sembra ragionevole ipotizzare che le forme proteiche "misfolded" possano interagire con un ampio numero di componenti cellulari. Così la diversità di manifestazioni cliniche delle PCD può dipendere: i) dalla suscettibilità dei differenti tipi cellulari ai vari tipi di aggregati, ii) dalla localizzazione delle diverse proteine, e iii) dalle differenze del microambiente (es. presenza di ioni metallici) nel quale il misfolding ha luogo. Inoltre è ancora oscuro come il misfolding proteico sia correlato con tossicità cellulare in tutti i modelli di amiloidosi: quella organo-limitato, quella intracellulare e quella sistemica. 116 La deposizione di amilina nel pancreas nel diabete di tipo II e la deposizione di Abeta, nel cervello di pazienti affetti dal morbo di Alzheimer, sono esempi di amiloidosi organo-limitato. Un altro esempio importante di amiloidosi organo-limitato è quello delle proteine prione nelle encefalopatie spongiformi. E’molto interessante il fatto che la proteina prione normale (PrPc) possa essere sottoposta ad un cambiamento conformazionale che dà origine ad una specie capace a sua volta di convertire un’altra forma nativa nella forma patologica (PrPsc). Depositi intraneuronali (corpi di Lewy) di beta-sinucleina nei cervelli di pazienti affetti da Parkinson, sono un significativo esempio di amiloidosi intracellulare. Infine nell’amiloidosi da emodialisi si riscontra la deposizione di beta2 alfa-microglobulina a livello sistemico. Il progetto affronterà le tematiche sopra descritte, focalizzando la ricerca su quattro argomenti: a) l’identificazione di processi molecolari e cellulari che portano al misfolding proteico; b) la determinazione delle relazioni esistenti tra misfolding proteico assistito dai metalli e tossicità cellulare; c) la determinazione della specificità della tossicità della proteina sottoposta a misfolding; d) la valutazione degli effetti dei bioconiugati sul misfolding proteico e sulla tossicità. Obiettivi scientifici e risultati attesi Il seguente progetto ha permesso di costituire un gruppo composto da chimici con differenti specializzazioni, biochimici, farmacologi e medici, con il comune obiettivo di studiare un argomento di elevata rilevanza scientifica e di grande impatto sociale. Inoltre consentirà a giovani laureati e studenti di dottorato, di compiere ricerche scientifiche ad alto livello mediante l'istituzione di corsi di dottorato internazionali e la collaborazione con istituti di ricerca privati e industrie come Whyeth-Lederle, Serono e Tecnogen. Un esempio di questa collaborazione è fornito dal corso di dottorato in Neurobiologia dell'Università di Catania, già attivato e finanziato dal MIUR. L'attività scientifica proposta è rivolta alla caratterizzazione dei meccanismi molecolari del folding/misfolding delle proteine, utilizzando una molteplicità di metodologie biochimiche, chimico-fisiche e biologiche, in accordo con un tipo di approccio multidisciplinare per la risoluzione di uno specifico problema. Lo scopo principale della ricerca è quello di capire in dettaglio come le interazioni tra residui amminoacidici appartenenti ad una data catena polipeptidica, e fattori esterni come molecole chaperone, metalli, membrane e pH, possano controllare cineticamente e termodinamicamente il folding delle proteine. E' essenziale investigare le differenti interazioni che avvengono tra i gruppi coinvolti nei processi di legame e verificare gli effetti di queste reazioni sulla cooperatività e la dinamica delle proteine, allo scopo di ottenere una comprensione esaustiva del riconoscimento molecolare e quindi la progettazione razionale ed efficiente dei leganti sia per scopi terapeutici che biotecnologici. Infatti la comprensione delle leggi che governano il riconoscimento molecolare è di importanza cruciale per la progettazione razionale dei farmaci. I sistemi specifici presi in esame dai nostri laboratori sono: beta amiloide, alfa-sinucleina, prione, amilina, insieme con altre proteine modello e frammenti peptidici ad essi correlati. Gli obiettivi specifici delle differenti attività, perseguiti utilizzando metodi chimico-fisici, colture cellulari, cavie animali e materiali clinici, sono riassunte di seguito: 1) Studio del folding delle proteine e dei loro processi di aggregazione. Lo scopo è quello di contribuire alla risoluzione del difficile problema del folding delle proteine. L’identificazione e quantificazione delle proteine amiloidogeniche misfolded, come potenziali marker biologici, potrebbe permettere la diagnosi precoce di malattie neurodegenerative (es. AD e PD). Lo studio del percorso di refolding di proteine mutate può contribuire ad evidenziare le basi molecolari della malattia. E' stato pianificato di ottenere sufficienti quantità di proteine ricombinanti WT e mutate, così come loro frammenti per poter effettuare uno studio dettagliato dei loro aspetti strutturali. 117 2) Valutazione dei fattori esterni che condizionano il folding delle proteine. Lo scopo è quello di studiare il ruolo svolto dagli ioni metallici, membrane, altre proteine e variazioni di pH, nei processi di misfolding delle proteine amiloidogeniche, e quale rilevanza possa avere da un punto di vista biologico. 3) Determinare il ruolo dello stress ossidativo nei processi di degradazione e aggregazione delle proteine. Lo studio dei frammenti proteici originati dagli agenti ossidativi (ROS), può chiarire l'attività protettiva svolta da nuovi bioconiugati in grado di complessare ioni metallici e di svolgere una attività antiossidante. Inoltre questi studi potranno permettere di ricercare quale sia il ruolo svolto, nei processi di aggregazione delle proteine amiloidi, dai complessi delle proteine con gli ioni metallici che si accumulano durante l’invecchiamento. In questa ottica verrà sviluppato un modello cellulare per studiare il processo di invecchiamento e la sua correlazione con i processi neurodegenerativi. 4) L'effetto degli stati conformazionali sulla tossicità in vitro ed in vivo. Lo scopo è quello di stabilire se la formazione di complessi tra gli ioni metallici e le proteine possa indurre il misfolding, l'aggregazione e la morte dei neuroni, in colture cellulari ed in cavie animali. Lo studio di modelli cellulari con una espressione alterata delle proteine implicate nel metabolismo del ferro, potrebbe fornire significative evidenze sul ruolo del metallo nella tossicità e nei processi neurodegenerativi, e cosa ancora più importante di esaminare in dettaglio le proteine coinvolte nei differenti stadi coinvolti nella citoprotezione. Determinati i fattori in grado di indurre variazioni conformazionali, è possibile stabilire una relazione tra tali fattori e la tossicità cellulare. In particolare, ci aspettiamo di poter chiarire il ruolo del metallo e/o AGE nell'indurre il misfolding proteico nella degenerazione cellulare e di chiarire se la tossicità di specie proteiche aggregate segue un meccanismo comune anche in differenti tipi di cellule. Relativamente alla malattia di AD, gli esperimenti da effettuare sui topi 3XTG-AD forniranno una migliore comprensione del ciclo vizioso per il quale l'aggregazione della proteina beta-amiloide potrebbe innescare lo stress ossidativi, inibire il riassorbimento del glutammato, aumentare la concentrazione di ioni calcio e zinco nel citosol e nei mitocondri, ed inoltre promuovere la propria aggregazione in quelle condizioni sperimentali che mimano i processi degenerativi che avvengono in vivo. In relazione all'argomento ALS, gli esperimenti proposti da effettuare sui topi transgenici SOD1G93A, contribuiranno a chiarire il ruolo degli ioni metallici Cu e Zn sui meccanismi implicati nella formazione degli aggregati proteici nei motoneuroni. Variando la concentrazione di questi ioni, ci aspettiamo di interferire con la tossicità della SOD1 mutata nei topi transeginici che la esprimono. Complessivamente i risultati ottenuti contribuiranno a comprendere meglio gli effetti micro-ambientali sul misfolding delle proteine, e quindi a verificare le attuali ipotesi sui meccanismi patogenici delle PCD. Saranno controllate le differenze nei recettori del glutammato nelle colture neuronali 3XGT-AD e campioni cerebrali, mediante Ca e Zn imaging. Gli effetti del Ca e dello Zn sulla funzione mitocondriale saranno studiati tramite sonde fluorescenti e registrazioni elettrofisiologiche nei mitoplasti. Inoltre verrà testata la resistenza delle colture cellulari ottenute dai topi 3XGT-AD, alla neurotossicità indotta dal glutammato (e dal Ca e/o Zn). In questo modo ci proponiamo di comprendere il ciclo continuo di autoproduzione dei ROS, il rilascio di glutammato, la sovrastimolazione dei recettori del glutammato e la disfunzione nella omeostasi dei cationi, che portano alla aggregazione del beta-amiloide ed alla morte neuronale. Utilizzando sia colture cellulari che campioni di cervello, speriamo di colmare la differenza esistente tra i risultati ottenuti in vivo e in vitro, e di identificare i fattori chiave che contribuiscono allo sviluppo dell’ AD e di altre malattie neurodegenerative. Infine ci aspettiamo di evidenziare il ruolo benefico della modulazione farmacologia dei livelli di Ca e Zn, nella protezione dei danni neuronali e nella formazione dei depositi di aggregati beta-amiloidi. 118 5) Controllo della integrità conformazionale per mezzo di molecole endogene ed esogene: sviluppo di nuovi farmaci. Esistono buone prospettive che una terapia basata sulla chelazione degli ioni metallici possa prevenire la formazione degli aggregati amiloidi. Le interazioni di piccole molecole contenenti specifiche sequenze delle proteine in esame, potrebbero competere con quelle che stabilizzano le fibrille. Tra le molecole progettate e sintetizzate dal gruppo di chimica, ci aspettiamo di identificare una tipologia di derivati in grado di svolgere attività farmacologia in uno o più PCDs. Alla realizzazione di questo progetto concorreranno cinque Unità Operative, in cui sono localizzati i gruppi di ricerca con competenze specifiche e complementari, in particolare: Unità Operativa dell’Università di Catania, Unità Operativa dell’Università di Pavia. Descrizione della struttura e dei compiti dell'Unità di Ricerca Unità Operativa dell’Università di Catania L'unità di ricerca (UR) si è occupata del differente ruolo di rame(II) e zinco(II) nella formazione di alfa-eliche, della speciazione e correlazione attività-struttura di composti ad attività SOD-like, della termodinamica dei processi di folding in presenza di membrane artificiali, dell’interazione dei metalli di transizione con beta-amiloide, amilina e frammenti della proteina prione, dell’effetto degli ioni metallici sulle conformazioni delle proteine coinvolte nelle cosiddette patologie conformazionali, dello stress ossidativo e nitrosativo in sistemi biologici e degli effetti tossici di aggregati. Utilizzando le competenze dei componenti il gruppo di ricerca saranno condotte le seguenti attività : 1) Indagini sul folding di proteine e loro frammenti mediante AFM e studi termodinamici e spettroscopici sui fattori ambientali che condizionano i processi di folding e di aggregazione; 2) Determinazione del ruolo dei processi di ossidazione nel misfolding di proteine coinvolte nelle patologie conformazionali; 3) Progettazione e sintesi di bioconiugati e piccole molecole con potenziale attività antifibrillogenica, antiossidante e chelante; 4) Studio sperimentale delle interazioni di proteine con bioconiugati e piccole molecole; 5) Uso combinato di metodi computazionali (ab initio, MM, MD, molecular modelling, 3DQSAR) per l’ottimizzazione dei risultati; 6) Determinazione dell’attività neurotossica delle proteine e dei loro frammenti in vitro, ed in vivo nonchè dell'azione protettiva dei bioconiugati e delle piccole molecole. L’U.R. si propone di studiare i meccanismi che guidano i processi di folding/misfolding e dell'aggregazione dell'amilina e altre proteine amilodi come il prione, la alfa-nucleina e beta-2microglobulina, anche in presenza di ioni metallici e molecole con attività antiaggreganti e con proprietà sheet-breackers. Saranno condotte indagini cinetiche e strutturali utilizzando tecniche spettroscopiche e a singola molecola (AFM) delle proteine e loro frammenti. Processi di folding/unfolding del prione full-lenght SHaPrP29-231 saranno studiati utilizzando principalmente la tecnica DSC, anche in funzione della composizione lipidica di membrane modello. 119 I risultati sperimentali ottenuti saranno utilizzati per lo sviluppo di un modello teorico che spieghi il comportamento di proteine e/o loro frammenti in membrana. La stabilità, la struttura dei complessi di Cu(II), Mn(II) e Zn(II) con le proteine saranno determinate mediante tecniche potenziometriche e spettroscopiche. Sarà anche studiata la interazione tra l'ubiquitina e il Cu(II) in modo da evidenziare possibili siti di attacco. Tra i vari radicali liberi prodotti dal metabolismo cellulare il radicale idrossilico è tra i più pericolosi a causa della sua reattività e la sua limitata diffusione. Esistono due rilevanti reazioni, assistite da metalli, nei processi neurodegenerativi: la prima relativa all'associazione tra metallo e proteina che conduce alla aggregazione e la seconda che, a causa della ossidazione della proteina, catalizzata dal metallo, dà luogo alla formazione di aggregati costituiti da frammenti vari. Il ruolo del Cu(II) sul cross-linking delle proteine del prione (da pollo) e suoi frammenti sarà indagato mediante l'uso di H2O2. Un considerevole numero di composti, quali polianioni solfatati, amfotericina B, Congo rosso, iododoxirubicina etc., sono stati testati su modelli cellulari e animali. Sebbene questi composti siano in grado di contrastare la propagazione del prione sia in vitro che in vivo, il loro utilizzo in terapia è limitato dalla scarsa capacità di attraversare la barriera ematoencefalica e, in alcuni casi, dalla tossicità. E' stato provato che alcuni peptidi sono capaci di interagire con la beta-amiloide, in modo da inibire la formazione di aggregati. In vivo, le peptidasi degradono questi composti; per garantire la “sopravvivenza” di questi peptidi saranno quindi sintetizzati dei coniugati con trealosio, che recentemente ha mostrato significative proprietà antiossidanti, antiaggreganti e di esser in grado di attraversare la barriera ematoencefalica. Bioconiugati di carnosina e suoi omologhi con ciclodestrine o trealosio saranno sintetizzati per le loro capacità chelanti, antiaggreganti, antiossidanti ed antiglicanti, i cui primi risultati sono riportati nel brevetto citato in bibliografia. Sarà studiata l'affinità di peptidi e bioconiugati verso le proteine mediante FT-SPR e misure calorimetriche. Inoltre, i risultati ottenuti insieme a dati CD, NMR e fluorescenza saranno utilizzati per lo start-up di simulazioni di dinamica molecolare. La tossicità e la formazione di aggregati intracellulari saranno indagati in vitro ed in modelli animali (3XTG-AD mice) che sviluppano la alfa-sinucleina. In particolare, saranno utilizzati le proteine native complete o loro sequenze modificate di beta-amiloide (1-42), PrP106-126, beta 2 microglobulina e amilina. Variazioni di Ca(II) e Zn(II) prodotte da stimoli fisiologici e patologici saranno indotti su neuroni di topi transgenici 3XTG-AD. Sugli stessi modelli verrà provato l'effetto protettivo delle piccole molecole e bioconiugati sintetizzati. Unità Operativa dell’Università di Pavia I compiti della UR si possono riassumere come segue. 1) alfa-Sinucleina (aSyn), metabolismo della dopamina e basi molecolari del morbo di Parkinson Evidenze recenti indicano che i chinoni derivati dalla dopamina (DAQ) sono coinvolti nella formazione di protofibrille di aSyn. Si è finora assunto che i DAQ generino specie reattive ossigenate e che queste inducano il folding non corretto e l’aggregazione della proteina. Questo studio si propone di stabilire le variazioni strutturali e funzionali indotte dalla modificazione covalente di aSyn da parte di DAQ. Si studieranno sia la produzione di DAQ da parte di vari metalloenzimi, sia le caratteristiche di folding, il legame di metalli e l’aggregazione degli addotti DAQ-aSyn, sia l’eventuale interferenza da parte di specie derivate da NO in questi processi. Si costruiranno anticorpi per rilevare proteine DAQ-modificate in vivo. Nel gruppo esistono competenze e strumentazione per determinare elementi in tracce in materiali biologici, inclusi tessuti cerebrali , che saranno disponibili per altre UR del progetto. 120 2) Attività beta-secretasi beta-amiloidogenica, attività proteolitica del peptide beta-amiloide (Ab) e morbo di Alzheimer L’attività proteolitica di una beta-secretasi sulla proteina precursore amiloide favorisce la formazione del peptide tossico Ab. Questa attività è controllata dall’aspartil proteasi BACE-1. E’ stato inoltre dimostrato che l’enzima che degrada l’insulina (IDE) è in grado di degradare il peptide Ab e quindi può agire da effettore positivo nella patogenesi del morbo di Alzheimer. Ci si propone di chiarire il mecanismo catalitico e la modulazione di BACE-1 e IDE e gli effetti strutturali e funzionali che determinano la loro attività enzimatica. In particolare si vogliono studiare molecole che modulano o inibiscono i due enzimi, con l’importante obiettivo di trovare composti che siano in grado di aumentare l’attività amiloidolitica di IDE e siano compatibili con gli inibitori di BACE-1. L’azione combinata di tali molecole costituirebbe una nuova strategia per ridurre drasticamente l’insorgenza di fibrille amiloidi. 3) Proteina prionica di pollo: legame dei metalli e caratterizzazione strutturale Il prione da uccelli (APP) differisce dalle proteine da mammiferi (PrP) in quanto non sembra dar luogo a patologie neurodegenerative. APP si differenzia dalle PrP nelle regioni ammino- e carbossil-terminali, particolarmente nei residui tandem repeat N-terminali. Mentre l’octarepeat Nterminale dei PrP da mammifero lega il rame, i dati sia su APP sia su tandem repeat N-terminali sintetici sono controversi. La caratterizzazione strutturale e le proprietà di legame del rame di APP sarebbero perciò di estrema utilità per la comprensione dell’attività fisiologica dei PrP. Uno degli obiettivi principali di questo studio è perciò la determinazione della struttura di APP e dei suoi frammenti tramite tecniche NMR e se possibile per diffrazione dei raggi X. Lo studio affronterà anche il problema del legame di ioni metallici e delle modificazioni strutturali indotte da questi nella proteina. 4) Studi NMR sul ruolo dei metalli nell’amiloidogenesi e nella formazione di fibrille amiloidi Secondo un modello sequenziale nei processi di folding delle proteine precursore betaamiloide (betaAP) e prionica cellulare (PrPc) vi è competizione cinetica tra il folding e la reazione che genera intermedi con folding non corretto e successivamente aggregati delle proteine. L’aggregazione è causata da interazioni intermolecolari tra regioni idrofobiche esposte dagli intermedi. I metalli influenzano questo processo perchè stabilizzano gli intermedi. Questo studio si propone di chiarire le caratteristiche strutturali del legame dei metalli a betaAP e PrPc e a loro frammenti peptidici tramite NMR. Verranno inoltre determinati i parametri cinetici e termodinamici di formazione di fibrille amiloidi e gli effetti di agenti esterni quali lipoproteine e membrane. In modo analogo si studierà il comportamento dell’alfa-sinucleina. 5) Caratterizzazione strutturale del complesso maggiore di istocompatibilità I (MHC-I), dei suoi mutanti e di loro complessi di rame I danni renali sono accompagnati da un aumento anomalo di beta2-microglobulina (b2m), il prodotto di rilascio di MHC-I nel plasma che causa la formazione di fibrille amiloidi e una varietà di artropatie. E’ stato dimostrato che ioni rame promuovono la formazione di fibrille di b2m tramite parziale unfolding della proteina. Per comprendere le basi strutturali delle patologie si procederà all’espressione, alla cristallizzazione e alla caratterizzazione strutturale ai raggi X di MHC-I contenente b2m mutate. Si cercherà inoltre di caratterizzare i derivati proteici con rame legato sia di MHC-I che di b2m mutate. Le competenze del gruppo di Biocristallografia e la sorgente di sincrotrone all’Elettra di Trieste saranno a disposizione delle altre UR partecipanti al progetto. 121 5) Ruolo di ioni metallici e inibitori nei processi di folding di anidrasi carbonica (alfaCA, gammaCA) e acilfosfatasi (AcP) Il processo di folding degli isoenzimi della alfaCA è di notevole interesse perchè il folding di gammaCA mostra forti analogie con le proteine prioniche. I metalli influenzano il processo di folding di alfaCA, mentre l’effetto di inibitori inorganici e solfonammidici non è noto. Quindi lo studio del folding degli isoenzimi della alfaCA in presenza di metalli e/o inibitori può fornire dettagli utili per la comprensione dei processi di folding delle proteine coinvolte nelle patologie umane. Queste indagini consentiranno di disegnare nuovi inibitori o promotori delle alfaCA per applicazioni biomediche e anche nuove molecole che possano interferire nei processi di folding dei prioni. Lo studio verrà esteso alle proprietà di aggregazione di AcP in presenza di metalli. Descrizione della Ricerca Unità Operativa dell’Università di Catania L'attività di questa unità sarà centrata sui parametri strutturali, conformazionali, termodinamici e cinetici che controllano il folding di alcune proteine coinvolte nei disordini conformazionali, cioè prione, beta-amiloide, amilina, beta 2-microglobulina ed alfa-sinucleina. Il principale scopo della ricerca è comprendere il ruolo dei fattori ambientali (metalli, piccole molecole, membrane e variazioni di pH) sui processi di folding/misfolding. Differenti costrutti proteici saranno sintetizzati e misure su singole molecole saranno fatte dal gruppo associato del Prof. Samorì. Le caratteristiche cinetiche di questi processi saranno anche delucidate mediante indagini di light scattering(gruppo associato del Prof. Monsù Scolaro). L'approccio termodinamico, precedentemente utilizzato nel nostro laboratorio per la caratterizzazione della proteina prione e dei suoi frammenti sarà esteso alle altre proteine, prima citate, a loro mutanti e frammenti peptidici contenenti domini critici per detti processi, determinati sulla base dei risultati AFM, NMR e dei test cellulari. La speciazione, la stabilità, le caratteristiche di coordinazione e conformazionali dei complessi con i metalli di transizione (Cu, Zn, Mn e Fe) delle proteine e dei frammenti saranno ottenute per mezzo di misure potenziometriche, ESI-MS, UV-Vis, EPR, CD ed NMR. I dati sperimentali saranno utilizzati nelle simulazioni condotte dal gruppo associato del Prof. Zannoni. La tossicità di protofibrille e depositi amiloidi sarà provata in vitro ed in vivo. In particolare, si indagherà sull'interazione amilina-RAGE nelle cellule di tipo beta e si misureranno i livelli della peptidasi IDE (insulin degrading enzyme) nei pazienti affetti da Alzheimer, vista la correlazione, indicata in letteratura, con i malati di diabete di tipo 2. Biomolecole con attività antiossidante, antiaggregante, chelante ed antiglicante (carnosine ed i suoi omologhi coniugati con trealosio, peptidi con proprietà beta-sheet breakers funzionalizzati con trealosio, complessi del manganese e beta-ciclodestrine funzionalizzate con FANS) saranno progettate e sintetizzate sulla base della precedente esperienza. La loro affinità per proteine ed i loro diversi domini, così come per i metalli, sarà determinata mediante FT-SPR e calorimetria, mentre le loro potenziali attività protettive, insieme con la capacità di attraversare la barriera ematoencefalica, saranno provate in vitro ed in vivo. Unità Operativa dell’Università di Pavia Le attività dell'UR si svilupperanno lungo le seguenti linee: 1. alfa-Sinucleina, metabolismo delle catecolammine e basi molecolari della malattia di Parkinson 122 Lo scopo di questo studio è la comprensione degli effetti strutturali, aggregativi e dovuti al legame col metallo determinati dalla modificazione covalente dell'alpha-sinucleina ad opera di specie chinoniche derivate dalla dopamina generate sia enzimaticamente che chimicamente. Verrà inoltre valutata in questi processi l'interferenza di specie derivanti dall'NO. Al fine di rivelare in vivo la presenza di proteine modificate da chinoni verranno sintetizzati degli anticorpi. 2. Attività della alpha-secretasi beta-amiloidogenica, attività proteolitica sul peptide betaamiloide e la malattia di Alzheimer Il meccanismo e la regolazione di queste attività enzimatiche ad opera di opportune molecole od inibitori sarà investigata al fine di escogitare una strategia per ridurre la formazione di fibrille basata sulla promozione simultanea dell'attività amiloidolitica dell'enzima degradante l'insulina e l'inibizione dell'attività alpha-secretasica del BACE-1. 3. Studi NMR sul ruolo degli ioni metallici sull'amiloidogenesi e sulla formazione di fibrille. La caratterizzazione strutturali di siti di legame per i metalli sia nelle proteine intere che nei frammenti peptidici del precursore della proteina beta-amiloide, del prione e dell'alphasinucleina, e gli effetti del metallo ed altri fattori esterni sulla formazione di fibrille amiloidi sarà effettuata usando NMR ad alto campo e tecniche avanzate di NMR. 4. Proteina prionica aviaria struttura e legame con i metalli La caratterizzazione strutturale e funzionale della proteina prionica del pollo verrà effettuata usando NMR ad alto campo e tecniche avanzate di NMR. Lo scopo dello studio è la comparazione tra le caratteristiche strutturali e le proprietà di legare del rame di questa proteina o del suo dominio globulare e quelle di altre corrispondenti proteine dei mammiferi. Cristallizzazione e caratterizzazione strutturale del principale complesso proteico di istocompatibilità I, i suoi mutanti e i loro complessi di rame. Questa informazione permetterà di conoscere il meccanismo di rilascio della beta2-microglobulina, una proteina amiloidogenica che causa artropatie varie allorquando il suo livello plasmatico aumenta. L'esperienza del gruppo di Biocristallografia e la strumentazione disponibile all'Elettra di Trieste in cui vi è la sorgente sincrotronica per analisi strutturali ai raggi X risponderà alle esigenze delle altre UR. 5. Ruolo dei metalli e di inibitori anionici sui processi di folding dell'anidrasi carbonica alpha e beta, e dell'acilfosfatasi Lo scopo di questi studi è la progettazione di nuovi inibitori o attivatori dell'apha-anidrasi carbonica per applicazioni biomediche e per quanto riguarda la alpha-anidrasi carbonica batterica e l'acilfosfatasi, il chiarimento del meccanismo di folding e delle proprietà di aggregazione, in relazione ai processi corrispondenti che avvengono ad esempio nel prione. Descrizione dettagliata delle attività Dal folding alla aggregazione delle proteine Per raggiungere questo obiettivo è necessario acquisire dati rilevanti sia da un punto di vista teorico che sperimentale utilizzando sistemi modello, i quali possono essere poi trasferiti a sistemi più complessi. I sistemi per i quali verranno caratterizzati i fattori che regolano i processi di folding sono le proteine beta-amiloide, beta2-microglobulina, prione, amilina e sistemi modello (Cu-Zn SOD e loro mutanti nella patologia FALS, beta-lactoglobuline e Liver basic FABP). Studi NMR saranno effettuati su proteine isotopicamente marcate, mentre la tecnica EXAFS, verrà impiegata sui sistemi contenenti il metallo. I fattori termodinamici che regolano la stabilità degli stati folded e unfolded delle proteine, saranno studiati mediante tecnica DSC. Misure NMR, 123 tramite l’analisi del NOE e dei chemical shifts protonici in catena laterale, permettono di rilevare clusters idrofobici nelle proteine in acqua e in presenza di denaturanti. Un parametro NMR utile per individuare i residui coinvolti questi clusters nella proteina denaturata è la velocità di rilassamento trasversale R2, di un residuo ammidico parte della catena peptidica, misurata mediante NMR 15N1 H. La spettroscopia di fluorescenza, grazie all’impiego di probes esterni come coloranti specifici o aspecifici oggi commercialmente disponibili, può amche essere utilizzata in modalità time resolved quando il tempo di decadimento (inferiore ai nanosecondi) della fluorescenza relativa al complesso proteina-colorante può essere correlata ad agenti perturbanti esterni. Verranno condotti diversi studi teorici complementari agli esperimenti, per investigare le dinamiche conformazionali dei sistemi in esame e le loro interazioni con piccole molecole, peptidi ed acqua. Lo scopo di questo tipo di approccio è di chiarire, a risoluzione atomica, i differenti aspetti del folding, misfolding delle proteine e metallo-proteine studiate. In questo ambito vi saranno tre linee principali di ricerca. A) Simulazioni all-atom MD saranno utilizzate per studiare la dinamica molecolare delle proteine in differenti condizioni. B) Caratterizzazione di modelli dei processi del folding/unfolding proteico. C) Creazione di modelli per lo studio della scala dei tempi dei processi di folding/unfolding. E’ stata sviluppata una nuova strategia per l’analisi conformazionale delle proteine, basata sull’uso combinato di una parziale proteolisi e la caratterizzazione mediante ESI-MS dei frammenti così generati. Lo scopo è quello di evidenziare come la struttura 3-D delle proteine possa determinare delle barriere stereochimiche agli attacchi enzimatici, indirizzando quindi in maniera selettiva l’attività proteolitica dell’enzima verso specifici residui. Quando questi esperimenti vengono condotti utilizzando una varietà di proteasi, si può utilizzare questa strategia per descrivere le variazioni conformazionali che avvengono nella struttura proteica in diverse condizioni. Il risultato della proteolisi, dipenderà dalle variazioni conformazionali, indicando quindi le regioni coinvolte in tali variazioni. Dati complementari saranno ottenuti mediante lo studio di cinetiche di scambio isotopico, effettuato tramite NMR e MS. Inoltre saranno effettuate misure di AFM e ligth scattering sul prione e relativi constructs. Un approccio particolarmente utile è quello di studiare frammenti che possono strutturarsi ed associarsi in conformazioni analoghe a quelle della proteina nativa. Lo studio di questi frammenti può essere utilizzato per individuare lo stato iniziale, intermedio e finale del folding proteico. In particolare saranno analizzati frammenti del citocromo c, della apomioglobina e dell’ormone della crescita umano. Inoltre la neuroferritinapatia sarà uno dei modelli da analizzare. Risultati attesi Lo scopo di questa attività è quello di contribuire a risolvere il difficile problema del folding delle proteine. Infatti definire la natura delle conformazioni riscontrate nelle proteine non native, è essenziale per poter comprendere le origini di diversi fenomeni biologici, che vanno dalla regolazione dell’attività cellulare alle cause iniziali delle malattie neurodegenerative. L’uso combinato della spettroscopia NMR con gli esperimenti di mutagenesi sito-diretta, sarà applicato per lo studio degli stati unfolded delle proteine: in effetti la rilevazione di strutture durature negli intorni dei clusters idrofobici, ad elevate concentrazioni di agenti denaturanti, potrà essere utilizzata per identificare i residui determinanti nel processo di folding della proteina. L’importanza nei processi di folding dei differenti stati di unfolded, molten globule, parzialmente folded, caratterizzati mediante NMR, risulterà evidente dagli studi di fluorescenza time-resolved. Nelle simulazioni molecolari saranno analizzati e confrontati fra di loro i possibili percorsi conformazionali, con lo scopo di identificare: i) i siti essenziali per la conservazione della struttura nativa, fold, della proteina; ii) i siti essenziali per esplicare una data attivià biologica; iii) regioni altamente flessibili possibilmente coinvolte nell’inizio delle transizioni conformazionali che portano al misfolding. I processi di unfolding/misfolding saranno caratterizzati mediante la variazione di alcuni parametri fisici come la temperatura, e tramite l’uso di modelli basati sulla topologia, in grado quindi di riprodurre stati conformazionali simili a quelli dello stato nativo della proteina. Questi dati saranno utilizzati per cercare di identificare quelle interazioni tra i residui, 124 essenziali per il folding. I risultati ottenuti mediante AFM ed i parametri termodinamici ricavati tramite misure di DSC, contribuiranno a descrivere i parametri energetici dei processi di folding/unfolding. I frammenti proteici più utili da studiare sono quelli in grado di strutturarsi in una conformazione stabile ed analoga a quella della proteina nativa. L’uso di questi sistemi modello più semplici, potrebbe rendere possibile l’analisi dei diversi stadi del folding proteico. Inoltre, la parziale proteolisi di una proteina sembra essere una delle cause in grado di determinare le malattie di tipo amiloide. Potrebbe essere possibile identificare quelle regioni di una proteina che più facilmente possono causare fenomeni di aggregazione e quindi sviluppare nuovi modelli sperimentali per poter meglio analizzare il complesso fenomeno della fibrillogenesi. Dal momento che studi MS possono misurare l’aumento della massa causato dallo scambio idrogeno/deuterio mentre l’NMR può monitorare la scomparsa di un segnale relativo ad un dato atomo di idrogeno, le cinetiche di scambio H/D possono essere messe in relazione alle variazioni conformazionali delle proteine in soluzione durante il processo di folding/unfolding o in differenti condizioni sperimentali. E’ stato programmato di ottenere sufficienti quantità di proteine ricombinante WT, di proteine mutate e di loro frammenti peptidici per uno studio dettagliato dei loro diversi aspetti strutturali. Le proteine WT e ricombinate saranno purificate e se risulteranno insolubili, rinaturate in vitro. Fattori esterni in grado di condizionare il folding proteico Questa attività è indirizzata a capire il ruolo svolto da fattori esterni (metalli, piccole molecole, membrane e variazioni di pH) sui processi di folding/misfolding delle proteine. In letteratura sono riportati risultati contrastanti sia relativamente al numero di ioni metallici legati alle proteine (prione umano ed aviario, beta-amiloide, acetil-fosfatasi, alfasinucleina, beta2-microglobulina e suoi mutanti), che alla speciazione, costanti di stabilità ed intorno di coordinazione delle differenti specie complesse, tutti dati essenziali per determinare il ruolo fisiologico dello ione metallico legato ad una data proteina. Inoltre l’incertezza sulle specie esistenti ad una data concentrazione non permette di poter correlare le variazioni conformazionali indotte dagli ioni metallici con il loro intorno di coordinazione. Le costanti di stabilità e gli aspetti conformazionali delle specie complesse del Cu(II), Mn(II), Fe(II) e Zn(II), con le proteine sopra citate e dei relativi peptidici, saranno studiati mediante potenziometria, ESI-MS, UV-vis, EPR, CD e NMR. Diversi dati supportano fortemente l’ipotesi secondo cui una interazione anormale tra le proteine coinvolte nel PCDs, e le membrane lipidiche, potrebbe essere alla base del processo di misfolding. Quindi per approfondire questo aspetto, saranno condotti studi in vivo ed in vitro utilizzando quei peptidi corrispondenti alle regioni proteiche ritenute responsabili della patogenesi in base alla loro provata citotossicità nelle colture cellulari neuronali. Esperimenti DSC saranno eseguiti per determinare le interazioni dei diversi frammenti con le membrane modello. Il comportamento termotropico dei sistemi membrane/peptide sarà anche analizzato in funzione dei differenti protocolli di preparazione. I meccanismi di interazione del beta2-m e dei suoi mutanti (es. H31Y, H31S) con MHCI heavy chain e con il collagene, durante i processi di refolding e unfolding, saranno investigati tramite SPR, EPR, MS NMR, cristallografia X-ray e tecniche ottiche. Le fibrille naturali e sintetiche sono specificatamente riconosciute da due biomolecole, il componente P dell’amiloide del siero (SAP) e la aprotinina, che sono utilizzate con successo come traccianti per la rilevazione dei depositi amiloidi in vivo. Nel caso della aprotinina si può delineare una strategia nella quale diversi peptidi, rappresentativi di differenti regioni dell’intera molecola, possono essere testati per la capacità di riconoscere le fibrille. Questa attività è stata intrapresa in collaborazione con una compagnia privata (Technogen), e dati preliminari indicano che uno di questi peptidi, dopo una opportuna modifica chimica, esplica una affinità per le fibrille nell’ordine del micromolare. 125 Il metabolismo dell’alfa-sinucleina, della catecolammina e le basi molecolari della malattia di Parkinson, saranno studiati per chiarire come la modifica covalente dell’alfa-sinucleina, tramite specie chinoniche derivate dalla dopammina, determini variazioni strutturali, effetti di aggregazione capacità di complessazione degli ioni metallici. L’esperienza del gruppo di biocristallografia e la possibilità dell’utilizzo di una sorgente al sincrotrone ad Elettra-Trieste, consentiranno le analisi a raggi X dei complessi del rame con le proteine o dei frammenti di sintesi come gli octa, esa-repeats delle molecole prione, così come dei complessi delle proteine e dei loro partner. Sarà studiato il ruolo svolto da metalli e da inibitori anionici sui processi di folding dell’alfa e gamma-anidrasi carbonica, e dell’acilfosfatasi. Lo scopo di questi studi è quello di progettare nuovi inibitori o attivatori delle anidrasi carboniche in relazione ai processi di aggregazione che avvengono nelle proteine prione. Risultati attesi Il principale scopo di questa attività è di comprendere il ruolo svolto dai ioni metallici, membrane, proteine e variazioni nei valori di pH, nei processi di misfolding delle proteine amiloidogeniche, e quale rilevanza possa avere da un punto di vista biologico. Dati termodinamici, potenziometrici ed ESI-MS saranno ottenuti per definire la speciazione dei complessi metallici con le proteine. In alcuni casi, la determinazione della stabilità e dei siti di legame sarà effettuata mediante studi su modelli di natura peptidica. Con l’obiettivo di esplorare diversi rapporti metallo-peptidi, è necessario disporre di frammenti peptidici solubili in ambiente acquoso. A tale scopo saranno progettati e sintetizzati frammenti peptidici coniugati con catene di polietilenglicole. Questo approccio permetterà di ottenere dei dati attendibili circa le proprietà conformazionali e di complessazione per mezzo di tecniche sperimentali che richiedono concentrazioni dell’ordine del millimolare. Dati sulla stabilità di membrane artificiali in presenza di peptici, capaci di interagire con le stesse, saranno ottenuti mediante esperimenti di DSC già pianificati. Questi studi forniranno utili dettagli per la comprensione dei fenomeni molecolari che stanno alla base della neurotossicità di tali peptici. Infatti nonostante non sia ancora stata dimostrata una diretta correlazione tra amiloidogenicità e neurotossicità, recenti evidenze sperimentali suggeriscono che gli aggregati proteici possono non rappresentare la specie effettivamente tossica, ma al contrario, responsabili della tossicità possano essere gli stadi oligomerici intermedi che si formano durante il processo di fibrillogenesi (protofibrille). L’analisi DSC di sistemi membrana/peptide condotte a differenti rapporti molari potranno fornire utili informazioni su questo importante aspetto. Frammenti peptidici originati da proteolisi parziale saranno identificati per mezzo di spettrometria di massa ESI-MS, ed il meccanismo della loro formazione sarà determinato medianti esperimenti NMR. La determinazione dei cambiamenti conformazionali nei frammenti peptidici studiati, aiuteranno ad individuare differenti domini proteici ed i residui coinvolti nei processi di misfolding e di aggregazione. Inoltre tramite studi di SPR sarà valutata l’affinità dei costrutti di aprotinina con fibrille di natura sintetica o naturale. I risultati ottenuti permetteranno la progettazione e la sintes di nuovi derivati in grado di inibire la formazione di fibrille con un alto grado di affinità verso specifiche regioni della proteina. Lo stesso approccio permetterà di determinare la interazione dell’amilina e suoi frammenti solubili, con la IDE sia in presenza che in assenza di ioni metallici. L’ analisi ai raggi X dei complessi molecolari permetterà di evidenziare i fattori critici che guidano il riconoscimento molecolare. Lo stress ossidativo nell’aggregazione proteica Lo stress ossidativo è intrinsecamente associato ai processi neodegenerativi, ed è fortemente aumentato da una anormale omeostasi dei metalli nella cellula. E’ interessante che il cervello pur rappresentando solo il 2-3 % della massa corporea totale, utilizza il 20 % dell’ossigeno totale consumato, generando H2O2 tramite le ossidasi, oltre a vari conseguenti ROS. Tra i diversi ROS 126 prodotti, il radicale OH è il più dannoso a causa della sua elevata reattività e della conseguente limitata diffusione. La maggior parte dei radicali OH si origina a causa della reazione di Fenton tra metalli di transizione ridotti (ferro(II) o rame(I)) e H2O2; l’acido ascorbico o altri riducenti presenti nella cellula rigenerano la forma ridotta del metallo, portando alla produzione catalitica dei ROS tramite un ciclo redox. Metallo-enzimi come la Cu-ZnSOD citosolica e la MnSOD mitocondriale convertono il radicale superossido ad O2 e H2O2, proteggendo dal danno ossidativo. Dal momento che questi enzimi contengono ioni, esiste un delicato bilancio all’interno delle cellule tra specie dannose e protettive. Si studierà l’effetto del più comune dei ROS (H2O2 e O2) sull’integrità delle proteine coinvolte nelle malattie conformazionali. La frammentazione delle catene polipeptidiche catalizzate dagli ioni dei metalli di transizione (Cu, Mn e Fe) legati alle proteine (beta-amiloide, beta2-microglobulina, prione ed alfa-sinucleina) ed in presenza di H2O2 sarà investigata mediante ESI-MS ed altre tecniche (cromatografia, elettroforesi). Quindi l’effetto ossidativo su di un singolo aminoacido, tirosina, metionina o istidina, sarà studiato per mezzo di costrutti proteici con variazioni puntiformi di questi amminoacidi. Gli aspetti conformazionali dei frammenti identificati saranno determinati e confrontati con quelli della proteina WT. Il contributo del beta-amiloide all’ossidazione dell’alfa-sinucleina sarà studiata in presenza di Cu(II) e di agenti riducenti (acido ascorbico). Negli ultimi anni sono stati scoperti antiossidanti in grado di diminuire il danno cerebrale indotto dai ROS in differenti modelli sperimentali. La carnosina (b-alanil-L-istidina) ed i composti ad essa correlati, sono presenti nel sistema nervoso centrale in concentrazioni che variano da 0.7 a 10 mM, nel cervello dei mammiferi in base alle sue differenti regioni. Il metabolismo della carnosina è strettamente controllato: viene prodotta dall’enzima carnosin-sintetasi e degradata attraverso l’idrolisi del suo legame peptidico dalla carnosinasi. Solo di recente è stata ottenuta tramite cDNA, la struttura primaria della carnosinasi, e poco è noto sul suo ruolo e sulla sua possibile regolazione, insieme alla carnosina sintetasi, dei livelli cerebrali di carnosina. In base a nostri precedenti risultati sull’attività antiossidante, antiglicante e chelante dei coniugati carnosinaciclodestrina, nuovi derivati contenenti carnosina saranno sintetizzati. Il trealosio sostituirà la ciclodestrina, alla luce dei risultati relativi alla sua capacità di agire da antiaggregante. I nuovi composti saranno utilizzati come protettivi contro lo stress ossidativo causato da ROS. Saranno determinate le proprietà antiossidanti dei complessi del manganese con i derivati del SALEN, rispetto ai radicali idrossile prodotti da H2O2 e dai metalli legati alle proteine (rame legato al prione, beta2-microglobulina, beta-amiloide ed alfa-sinucleina), cercando di migliorare, tramite la coniugazione con opportune biomolecole, la solubilità di questi composti che sono in fase clinica II per il trattamento di AD. Per cercare di trovare una correlazione tra l’insulto ossidativo e l’invecchiamento, verrano analizzate l’inibizione dell’attività di ferrochelatasi ed il livello di carnosinasi, che è noto diminuire con l’età. Risultati attesi Ci si aspetta di determinare quali frammenti proteici siano originati dalle specie reattive dell’ossigeno (ROS), di mettere in risalto l’attività di protezione di nuove molecole di sintesi e bioconiugati con proprietà antiossidanti e chelanti di ioni metallici, e di stabilire il ruolo svolto sulla aggregazione di proteine amiloidogeniche, dai complessi ioni-proteine che si accumulano con l’invecchiamento. I frammenti proteici originati dagli agenti ossidanti (ROS) saranno identificati tramite ESI-MS ed altre tecniche analitiche (cromatografia ed elettroforesi). Verrà messa in luce mediante studi NMR e di spettroscopia ottica, l’attività ossidante di H2O2 catalizzata dalla presenza di ioni metallici quali Cu, Zn e Fe, su sistemi proteici con modifiche puntuali dei residui di tirosina e metionina (presenti nelle proteine beta-amiloide e prione). La propensione all’aggregazione dei frammenti peptidici in seguito all’azione dei ROS sarà determinata tramite studi di light scattering, mentre modifiche sito-specifiche in diversi domini della proteina, forniranno una mappa dei breaking point presenti lunga la catena polipeptidica. Le 127 variazioni coformazionali delle proteine in seguito alla modifica dell’atomo di zolfo nel residuo della metionina o del gruppo ossidrilico della tirosina, saranno determinate mediante misure CD. Saranno sintetizzati nuovi bioconiugati del trealosio con attività antiossidante, antiaggregante, antiglicante e con attività chelante rispetto ai metalli. Il loro fattore di protezione sarà testato nei confronti della frammentazione, aggregazione e glicazione delle proteine indotte per via ossidativa, e misurato tramite misure CD e di light scattering. Saranno progettati e sintetizzati inibitori di specifiche proteasi (carnosinasi e ferrochelatasi), controllando la loro efficienza in test tubes. Stati conformazionali e tossicità in vitro ed in vivo Più di 21 malattie sono indicate come PCD, a causa di modifiche conformazionali delle catene polipeptidiche nel passaggio da stati fisiologici a patologici. La tossicità è stata attribuita alla formazione di aggregati ed in alcuni casi ai depositi amiloidi. Quest’attività studia gli effetti determinati dai complessi tra ioni metallici e proteine sull’attività del proteosoma, sul processo di aggregazione di proteine amiloidogeniche e sulla degenerazione neuronale, nelle colture cellulari. Verranno utilizzate proteine WT, mutanti, e frammenti del beta-amiloide, prione, beta2microglobulina, e amilina, in colture cellulari in grado di riprodurre le condizioni che hanno mostrato di favorire il misfolding proteico nei saggi cell-free (es. metalli e/o AGEs). La tossicità del peptide sarà valutata con saggi standard della morte cellulare e con studi specifici per l’apoptosi. Questi studi permetteranno di determinare gli effetti del ferro sul folding intracellulare dell’alfa-sinucleina, in cellule che sviluppano inclusioni in funzione del tempo e della presenza di dopammina endogena. Anticorpi contro DAQ saranno utilizzati per chiarire il ruolo delle DAQ nella modifica covalente dell’alfa-sinucleina. L’amiloide e suoi frammenti a più basso peso molecolare, esercitano i loro effetti attraverso il legame con specifici recettori. Recentemente il recettore RAGE (recettore per AGEs-Advanced Glycation Endproducts) è stato riconosciuto capace di legare fibrille con caratteristiche amiloidogeniche. RAGE è controllato dai suoi propri leganti, con conseguente amplificazione dei loro effetti. Si studierà se l’amilina si lega al RAGE nelle cellule-beta e se questo influenza la loro vitalità mediante l’attivazione dei processi di segnale intracellulare mediati dai RAGE. A questo fine saranno utilizzate colture di cellule beta e valutati gli effetti degli oligomeri dell’amilina, in presenza o in assenza di RAGE solubili (sRAGE). E’ stato ipotizzato che il RAGE sia coinvolto nel AD. Inoltre il RAGE si lega al HMGB1. Quindi verrà valutato se l’ HMGB1 influenza gli effetti dell’amilina nelle colture di cellulebeta mediante il legame con lo stesso recettore (RAGE). E’ stato dimostrato che il beta-amiloide è in grado di legare ioni metallici (Cu, Fe e Zn). Non è chiaro se questo determina una protezione dallo stress ossidativo, impedendo la partecipazione di tali ioni al ciclo redox con altri leganti, o se viceversa aumenta l’apoptosi cellulare. Abbiamo già dimostrato che il Cu può proteggere le cellule-beta dalla IL-1. E’ stato progettato di valutare se gli ioni influenzano gli effetti dell’amilina nelle cellule beta. E’ stato recentemente dimostrato che i peptidi beta-amiloidi competono per il legame dell’insulina con IR, riducendo quindi la sua attività. Si valuterà se l’amilina influenzi la vitalità delle cellule-beta, mediante l’interferenza con l’attivita del IR. Per comprendere il ruolo del ferro nel misfolding delle proteine e nella tossicità cellulare, si svilupperanno delle linee di cellule neuronali nelle quali le principali proteine coinvolte nel metabolismo del ferro, sono inibite tramite siRNA. Saranno impiegati modelli animali transgenici sia di AD che FALS, per eplorare la dinamica di aggregazione delle proteine endogene. Verranno indotte variazioni in Ca e Zn sia con stimoli fisiologici che patologici, in neuroni ottenuti dal topo triplo transgenico 3XTG-AD. In aggiunta al glutammato e alla variazione in Zn tramite depolarizzation-evoked, si studieranno differenze tra le colture neuronali ottenute da 3XTG-AD e cavie di controllo, cosicché la quantità e la dinamica di rilascio intracellulare dello Zn possa essere attivato dallo stress ossidativo o attraverso la depolarizzazione mitocondriale. 128 Risultati attesi Ci si aspetta di stabilire se i complessi tra i metalli e le proteine siano in grado di indurre misfolding, aggregazione e morte neuoronale, in colture cellulari ed in cavie animali. Lo studio dei modelli cellulari aventi un’espressione alterata delle proteine coinvolte nel metabolismo del ferro, fornirà evidenze sperimentali sul ruolo di questo metallo nella tossicità e nei processi neurodegenerativi, e, aspetto ancora più importante, di fornire dettagli sulle proteine e sui meccanismi coinvolti nella citoprotezione. Individuati i fattori in grado di indurre variazioni nel folding della proteina, si determinerà la relazione che esiste tra misfolding e tossicità cellulare. In particolare, chiarire il ruolo del metallo e/o degli AGE nell’indurre il misfolding proteico nella degenerazione cellulare e di chiarire se la tossicità di specie proteiche aggregate segue un meccanismo comune anche in differenti tipi di cellule. Relativamente alla malattia di AD, gli esperimenti proposti da effettuare sui topi 3XTG-AD forniranno una migliore comprensione del ciclo vizioso per il quale l’aggregazione della proteina beta-amiloide potrebbe innescare lo stress ossidativo, inibire il riassorbimento del glutammato, aumentare l’attivazione dei recettori, la concentrazione di ioni calcio e zinco nel citosol e nei mitocondri, ed inoltre promuovere la propria aggregazione in quelle condizioni sperimentali che mimano i processi degenerativi che avvengono in vivo. Per verificare il ruolo dello Zn e/o del Cu nella formazione delle inclusioni di SOD1, verranno analizzati i relativi livelli di Zn libero nei motoneuroni di SOD1G93A, e saranno acquisiti nei topi transgenici gli effetti determinati da una dieta supplementare o da una deficienza di zinco e/o rame, durante il decorso della malattia e la formazione degli aggregati. Gli esperimenti proposti da effettuare sui topi transgenici SOD1G93A, contribuiranno a chiarire il ruolo degli ioni Zn e Cu nei meccanismi che stanno alla base della formazione degli aggregati proteici nei motoneuroni. Variando i livelli di questi ioni, ci si aspetta di interferire con la tossicità di SOD1 mutante nel topo mutante transgenico SOD1. I risultati della ricerca consentiranno una migliore comprensione degli effetti delle condizioni microambientali sul “misfolding” proteico, contribuendo a chiarire le attuali ipotesi sui meccanismi patogeni del PCD. Inoltre, mediante l’imaging degli ioni Ca e Zn, si investigheranno le differenze indotte dai siti cationici del glutammato nelle culture neuronali 3XGT-AD e campioni di cervello. Gli effetti di Ca e Zn sulle funzioni mitocondriali saranno studiate attraverso sonde fluorescenti e misure elettrofisiologiche nei mitoplasti. Le culture di 3XGT-AD saranno inoltre testate per la loro vulnerabilità al glutammato e neurotossicità dipendente da Ca e/o Zn. Lo scopo della ricerca è la comprensione del ciclo di produzione auto-propagante di ROS, del rilascio di glutammato, la sovrastimolazione dei recettori del glutammato e la disomeostasi cationica, che evolve nell’aggregazione beta-amiloide, e la morte neuronale. Mediante l’uso di culture cellulari e campioni cerebrali ci si aspetta di colmare le differenze tra misure in vivo ed in vitro, e di identificare i fattori chiave che contribuiscono allo AD e altre malattie neurodegenerative. Un ulteriore obiettivo è quello di evidenziare il ruolo benefico della modulazione farmacologica dei livelli degli ioni Ca e Zn nella protezione dalla deposizione dei beta-amiloidi e danni neuronali. Infine, ci si propone di chiarire se l’amilina lega RAGE nelle beta-cellule e se influenza la loro vitalità cellulare attivando meccanismi si signaling intercellulari mediati da RAGE. Infine, saranno anche investigati gli effetti biologici degli ioni metallici sull’amilina nelle cellulebeta pancreatiche. Controllo della integrità conformazionale attraverso molecole endogene ed esogene E’ stato proposto che piccole molecole possano inibire la fibrillogenesi. Tuttavia se le specie intermedie nei processi fibrillogenici causano la maggior parte del danno cellulare, tali molecole potrebbero peggiorare la patologia. Quindi è fondamentale capire se le molecole proposte (in grado di modificare la conformazione delle proteine in vitro) siano in grado o meno di ridurre la patologia. 129 L’uso di sequenze peptidiche in grado di inibire l’aggregazione, è stato considerato una strategia promettente per un approccio faramacologico. La scelta appropriata di un peptide, solubile in acqua con potenziale attività antiaggregante, inizia dall’osservazione che peptidi omologhi alla sequenza della proteina e in grado di rompere i beta-sheet, possano inibire l’aggregazione proteica in vitro. Inoltre questi peptidi in vivo sono suscettibili ad essere degradati dalle peptidasi. Quindi verranno progettati dei bioconiugati specifici capaci di contrastare l’azione delle peptidasi e quindi aumentare il tempo di vita delle molecole nell’organismo. A tale scopo verranno investigati in vitro beta-ciclodestrine/trealosio funzionalizzati con specifici farmaci o inibitori AGE e specifici peptidi. I successivi test in vivo forniranno informazioni circa l’effetto protettivo dei bioconiugati selezionati, consentendo di dimostrare se le fibrille, o piuttosto i loro precursori solubili detti protofibrille, siano gli agenti tossici. Gli effetti di queste molecole saranno studiati sia in termini dell’attività tossica degli analoghi peptidi sintetici, che relativamente alla formazione di aggregati intracellulari di alfa-sinucleine. Una volta testata l’assenza di tossicità intrinseca per le molecole in esame, e gli effetti protettivi di queste verso la tossicità di proteine misfolded, mediante la tecnica della microdialisi in animali si investigherà la possibilità che questi composti attraversino la BBB. Quindi, i topi 3XTG-AD o topi in grado di sviluppare inclusioni di alfa-sinucleine a seguito di un trattamento cronico con metaanfetamine, saranno adoperati per studiare glie effetti delle molecole candidate sull’aggregazione e la tossicità delle proteine. Chelanti selezionati sulla base delle loro costanti di stabilità verso diversi ioni metallici (es. Cu, Zn, Mn, Fe, Al) e sulla base degli esperimenti CD riguardanti la loro capacità di conservare la conformazione delle proteine native o dei loro frammenti, saranno testati sia su modelli cellulari che su topi transegenici per rilevare i loro effetti sul misfolding/aggregazione/tossicità delle proteine e nella formazione delle placche. L’identificazione delle principali differenze nelle proteine folded/unfolded/misfolded è alla base della progettazione di opportune probes. L’approccio del Molecular Imaging sarà finalizzato nella messa a punto di probes NMR Imaging basate sulla coniugazione di un sintone di ricognizione con una alta affinità di legame con i domini strutturali delle proteine in esame, rappresentato da un chelato Gd-paramagnetico. La visualizzazione della glicoproteina mielina oligodendrocita (MOG), le cui struttura e funzionalità sono incognite, sarà utilizzata come modello, poiché anche una parte del peptide extracellulare è sufficiente a produrre segni clinico-patogenici MS-like negli animali. Studi NMR e CD in soluzione dimostrano che rMOG (1-117) adotta differenti strutture in funzione del microintorno. Il monitoraggio della demielinazione sarà determinato dalla misura dei cambiamenti conformazionali del MOG risultanti da attacchi patogeni di rilievo per MS. Inoltre saranno anche investigati i livelli e l’attività di insulisina nei pazienti affetti da Alzheimer e diabete tipoII, nonché la correlazione con la resistenza all’insulina. Risultati attesi Verranno sintetizzati frammenti peptidici coniugati con il trealosio, in grado di mimare specifiche regioni dell’amilina, del prione e del beta-amiloide, e progettati in modo tale da permettere anche un approccio di tipo computazionale. Il loro effetto protettivo sui processi di aggregazione e di variazione conformazionale delle proteine in esame, sarà studiato per mezzo di misure CD e di light scattering. L’attività protettiva di questi nuovi beta-sheet breaker sarà verificata in modelli cellulari e topi transgenici. Ci si aspetta da questi risultati di ottenere un modo per discriminare la tossicità delle protofibrille e/o dei depositi amiloidi. L’attività chelante di diversi bioconiugati sarà determinata sia in vitro che in vivo, e ci si attende che la determinazione dell’interazione tra l’insulina e l’amilina fornisca informazioni utili per l’eventuale correlaione tra il morbo di Alzheimer ed il diabete di Tipo 2. Infine i dati NMR ottenuti anche con l’utilizzo di specifiche molecole, forniranno informazioni sul loro potenziale uso come sonde diagnostiche. 130 UNITÀ DI RICERCA DI LECCE Composizione: Prof. Maffia M., Acerno R., Urso E., Rizzello A. Collaborazioni: UR di Napoli, UR di Catania Settore di Indagine, Obiettivi e Metodi: Le Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili sono un gruppo di patologie neurodegenerative, riscontrate sia nell'uomo che negli animali. L'agente ritenuto responsabile dell'insorgenza di tali patologie è una glicoproteina denominata PrPsc, che si configura come un'isoforma conformazionale aberrante della proteina prionica cellulare PrPc (33-35 kDa). Quest'ultima è ancorata al versante esterno delle membrane cellulari tramite interazione con il glicosilfosfatidilinositolo e, benchè ubiquitaria, è espressa in modo preponderante a livello dei neuroni. La PrPsc condivide con la PrPc la sequenza primaria, ma se ne differenzia per una struttura secondaria di tipo prevalentemente β-sheet e per la parziale resistenza alla proteolisi (Prusiner, 1998). Nella regione N-terminale della proteina prionica cellulare sono presenti un nonapeptide e quattro sequenze ottameriche ritenute in grado di legare ioni metallici ed in particolar modo il rame (Cu2+) con una stechiometria di quattro o sei ioni per molecola. Questa proprietà induce a supporre ragionevolmente che la PrPc possa essere coinvolta nel metabolismo del rame e nei meccanismi di difesa della cellula contro lo stress ossidativo presumibilmente mediante la modulazione dell'attività della Cu/Zn superossido-dismutasi (Brown e Besinger, 1998). Allo scopo di mettere in luce i meccanismi di neurotossicità legati al misfolding anomalo della PrPsc, abbiamo adoperato come modello di studio la linea cellulare di neuroblastoma di ratto B104 e l'abbiamo sottoposta per diversi intervalli di tempo a concentrazioni crescenti di diversi frammenti peptidici riproducenti porzioni di proteina prionica umana. In particolare, esaminando la neurotossicità del peptide PrP[173-195]Ac. Am., corrispondente all'elica-2 della proteina prionica e presumibilmente coinvolto nella transizione conformazionale della PrPc per via della sua flessibilità strutturale, ne è risultato un effetto neurotossico dose e tempo-dipendente. Abbiamo inoltre confermato i dati esistenti in letteratura circa la tossicità del frammento PrP[106-126], supportandoli con i risultati relativi alla misurazione dell’attività enzimatica della Na+/K+ ATPasi, marker del metabolismo cellulare. Le B104 sono state poste ad incubare in presenza di concentrazioni crescenti del peptide per 24 ore, intervallo di tempo non sufficiente ad indurre morte neuronale. Si è potuta conseguentemente rilevare una riduzione concentrazione-dipendente dell’attività enzimatica della Na+/K+ ATPasi. Ci si propone, ora, di valutare la neurotossicità dei peptidi dosando altri enzimi markers della funzionalità neuronale e monitorando l’accumulo di rame nelle cellule, oltrechè i flussi transmembrana del metallo. In una seconda fase, si procederà a determinare le interferenze della proteina prionica e di alcuni suoi frammenti con i meccanismi di trasporto del rame a livello di tessuti intestinali di ratto o topo. 131 132 APPENDICE AL PIANO TRIENNALE DELLE RICERCHE 2005-2007 del C.I.R.C.M.S.B. 133 134 PERSONALE AFFERENTE 135 136 Personale Afferente al C.I.R.C.M.S.B. Anno 2004 UNITA’ LOCALE DI ANCONA Personale Qualifica Dipartimento Bruni Paolo Tosi Giorgio Giorgini Elisabetta Conti Carla Iacussi Marco Prof. Ordinario Prof. Ordinario Ricercatore Tecnico Tecnico Dip. di Scienz. Mat. e Terra Dip. di Scienz. Mat. e Terra Dip. di Scienz. Mat. e Terra Dip. di Scienz. Mat. e Terra Dip. di Scienz. Mat. e Terra UNITA’ LOCALE DI BARI Personale Qualifica Dipartimento Giordano Domenico Landriscina Clemente Marcotrigiano Giuseppe Maresca Luciana Natile Giovanni Coluccia Mauro Pacifico Concetta Storelli Maria Maddalena Boccarelli Angelina Casalino Elisabetta Di Benedetto Angela Garofalo Rita Intini Francesco Paolo Margiotta Nicola Laforgia Maria Rita Lorusso Giuseppe Pastore Carlo Pellicani Zoe Raffaella Ranaldo Rosa Sasanelli Rossella Boccaletti Giovanni Cerasino Leonardo Busco Vito Pietro Giampietro Antonio Sblano Cesare Storelli Arianna Cannito Francesco Racaniello Francesco Bottalico Simona Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Associato Prof. Associato Ricercatore Ricercatore Ricercatore Ricercatrice Ricercatore Ricercatore Ricercatore Dottoranda Dottorando Dottorando Dottoranda Dottoranda Dottoranda Assegnista di ricerca Assegnista di ricerca Tecnico Tecnico Tecnico Tecnico Tecnico laureato Responsabile Amministrativo Coll.re d’Amm.ne Dip. Scienze Biomed. E Oncol. Ist. Chimica MED. VET. Ist. Chimica MED. VET Dip. Farmaco-chimico Dip. Farmaco-chimico Dip. Scienze Biomed. E Oncol. Dip. Farmaco-chimico Ist. Chimica MED. VET Dip. Scienze Biomed. E Oncol. Ist. Chimica MED. VET Dip. di Chimica Ist. Chimica MED. VET Dip. Farmaco-chimico Dip. Farmaco-chimico Dip. Farmaco-chimico Dip. Farmaco-chimico Dip.di Chimica Dip. Farmaco-chimico Dip. Farmaco-chimico Dip. Scienze Biomed. E Oncol. Dip. Farmaco-chimico Dip. Farmaco-chimico Ist. Chimica MED. VET. Ist. Chimica MED. VET Ist. Chimica MED. VET Ist. Chimica MED. VET C.I.R.C.M.S.B. Dip. Farmaco-chimico C.I.R.C.M.S.B. 137 UNITÀ LOCALE DI BOLOGNA Personale Qualifica Dipartimento Roveri Norberto Bigi Adriana Foresti Elisabetta Falini Giuseppe Panzavolta Silvia Boanini E. Lesci G.I. Giorgini E. Fermani Simona Rubini K. Parmeggiani S. Marascio G. Valdre’ G. Morselli S. Gandolfi Massimo Prof. Ordinario Prof. Associato Prof. Associato Ricercatore Dottoranda Assegnista Assegnista Assegnista Borsista Borsista Tecnico Tecnico Tecnico Tecnico Tecnico Dip. Chimica “Ciamician” Dip. Chimica “Ciamician” Dip. Chimica “Ciamician” Dip. Chimica “Ciamician” Dip. Chimica “Ciamician” Dip. Chimica “Ciamician” Dip. Chimica “Ciamician” Dip. Chimica “Ciamician” Dip. Chimica “Ciamician” Dip. Chimica “Ciamician” Dip. Chimica “Ciamician” Dip. Chimica “Ciamician” Dip. Chimica “Ciamician” Dip. Chimica “Ciamician” Dip. Chimica “Ciamician” UNITA’ LOCALE DI CAMERINO Personale Qualifica Dipartimento Cingolani Augusto Gioia Lobbia Giancarlo Fioretti Evandro Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Ordinario Burini Alfredo Lorenzotti Adriana Marchetti Fabio Pettinari Claudio Pietroni Bianca Rosa Angeletti Mauro Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Ricercatore Galassi Rossana Lupidi Giulio Santini Carlo Pellei Maura Ricercatore Ricercatore Ricercatore Tecnico Scienze Chimiche Scienze Chimiche Biologia Molecolare Cellulare Animale Scienze Chimiche Scienze Chimiche Scienze Chimiche Scienze Chimiche Scienze Chimiche Biologia Molecolare Cellulare Animale Scienze Chimiche Scienze Chimiche Scienze Chimiche Scienze Chimiche UNITÀ LOCALE DI CATANIA Personale Docente Qualifica Dipartimento Arena Giuseppe Bonomo Raffaele Condorelli Giuseppe Costanzo Lucia Laura Purrello Roberto Rizzarelli Enrico Calì Rosario Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Associato Scienze Chimiche Scienze Chimiche Scienze Chimiche Scienze Chimiche Scienze Chimiche Scienze Chimiche Scienze Chimiche 138 D’Alessandro Franca De Guidi Guido Giuffrida Salvatore Impellizzeri Giuseppe Maccarone Giuseppe Sciotto Domenico Sortino Salvatore Spoto G. Vecchio Graziella D’Agata Roberta Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Borsista CIRCMSB Scienze Chimiche Scienze Chimiche Scienze Chimiche Scienze Chimiche Scienze Chimiche Scienze Chimiche Scienze Chimiche Scienze Chimiche Scienze Chimiche CIRCMSB UNITÀ LOCALE DI FERRARA Personale Docente Qualifica Dipartimento Maldotti Andrea Marchi Andrea Medici Alessandro Rossi Roberto Bergamini Paola Marvelli Lorenza Marchesi Elena Fratta Marcello Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Ricercatore Ricercatore Borsista CIRCMSB Tecnico Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica CIRCMSB Dip. di Chimica UNITA’ LOCALE DI FIRENZE Personale Qualifica Dipartimento Marzocchi Mario Orioli Pierluigi Scozzafava Andrea Briganti Fabrizio Smulevich Giulietta Ferraroni Marta Messori Luigi Barbaro Pierluigi Bianchini Claudio Oberhauser Werner Vizza Francesco Barry Howse Casini Angela Piccioli Francesca Temperini Claudia Vullo Daniela Abbate Francesco Bruni Bruno Monnanni Roberto Gabbiani Chiara Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Associato Prof. Associato Ricercatore Ricercatore Ricercatore CNR Ricercatore CNR Ricercatore CNR Ricercatore CNR Borsista Borsista Borsista Borsista Borsista Assegnista Tecnico Tecnico Borsista CIRCMSB Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica CNR Firenze CNR Firenze CNR Firenze CNR Firenze Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica CIRCMSB 139 UNITA’ LOCALE DI LECCE Personale Qualifica Dipartimento Dini Luciana Prof. Ordinario Fanizzi Francesco Paolo Prof. Ordinario Schettino Trifone Prof. Ordinario Ciccarese Antonella Prof. Associato Maffia Michele Prof. Associato Marsigliante Santo Prof. Associato Benedetti Michele Ricercatore Lionetto Giulia Ricercatrice Pagliara Patrizia Ricercatrice Papadia Paride Assegnista Caricato Roberto Dottorando De Pascali Sandra Angelica Migoni Danilo Dottoranda XVI Ciclo Dip. di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali Dip. di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali Dip. di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali Dip. di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali Dip. di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali Dip. di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali Dip. di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali Dip. di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali Dip. di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali Dip. di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali Dip. di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali Dip. di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali Dip. di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali Dottorando UNITA’ LOCALE DI NAPOLI Personale Qualifica Dipartimento Busico Vincenzo Benedetti Ettore Di Blasio Benedetto Paolillo Livio Pavone Vincenzo Pedone Carlo Vitagliano Aldo Abrescia Paolo Prof. Straordinario Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Ordinario Professore Ordinario Auricchio Salvatore Botte Virgilio Carteni’ Marilena Ciarcia Gaetano Colonna Giovanni De Rosa Mario Pucci Pietro Professore Ordinario Professore Ordinario Professore Ordinario Professore Ordinario Professore Ordinario Professore Ordinario Professore Ordinario Dip. Chimica Dip. Chimica Biologica Fac. Scienze Ambientali Dip. Chimica Dip. Chimica Dip. Chimica Biologica Dip. Chimica Dip. di Fisiologia Generale ed Ambientale Dip. di Pediatria Dip. di Zoologia Dip. di Medicina Sperimentale Dip. di Zoologia Dip. di Biochimica e Biofisica Dip. di Medicina Sperimentale Dip. Chimica Organica e Biochimica 140 Rastogi Rakesh Rossi Mosè Sannia Giovanni Santoianni Pietro Staiano Norma Professore Ordinario Professore Ordinario Professore Ordinario Professore Ordinario Professore Ordinario Marino Gennaro Budillon Gabriele Professore Ordinario Professore Associato Capuano Gaetano Professore Associato De Falco Sandro Professore Associato Rossi Franco Falcigno Lucia Galdiero Massimiliano D’Auria Gabriella Fattorusso Roberto Isernia Carla Lombardi Angelina Professore Associato Professore Associato Professore Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Morelli Giancarlo Pedone Paolo Vincenzo Rossi Filomena Ruffo Francesco Ruvo Menotti Saviano Michele Bucci Enrico D’Andrea Luca Domenico De Simone Giuseppina Improta Roberto Maglio Ornella Menchise Valeria Monti Simona Maria Palumbo Rosanna Zaccaro Laura Dathan Nina Cipullo Roberta Cucciolito Maria Elena Galdiero Stefania Tesauro Diego Aloj Luigi Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Primo Ricercatore CNR Primo Ricercatore CNR Ricercatore CNR Ricercatore CNR Ricercatore CNR Ricercatore CNR Ricercatore CNR Ricercatore CNR Ricercatore CNR Ricercatore CNR Ricercatore CNR Tecnologo CNR Ricercatore Ricercatore Ricercatore Ricercatore Ricercatore Di Gaetano Sonia Ricercatore Luongo Delia Ricercatore Messere Anna Panico Mariarosaria Ricercatore Ricercatore Trifuoggi Marco Ricercatore 141 Dip. di Zoologia Dip. Chimica Biologica Dip. Chimica Organica e Biochimica Dip. di Patologia Sistematica Dip. di Strutture, Funzioni e Tecnologie Biologiche Dip. Chimica Organica e Biochimica Dip. di Medicina Clinica e Sperimentale Dip. di Medicina Clinica e Sperimentale CNR Istit. di Biostrutture e di Bioimmagini Dip. di Medicina Sperimentale Dip. di Chimica Dip. di Medicina Sperimentale Dip. Chimica Fac. Scienze Ambientali Fac. Scienze Ambientali Dip. Chimica Dip. Chimica Biologica Fac. Scienze Ambientali Dip. Chimica Biologica Dip. Chimica Ist. Di Biostrutture e Bioimmagini Ist. Di Biostrutture e Bioimmagini Ist. Di Biostrutture e Bioimmagini Ist. Di Biostrutture e Bioimmagini Ist. Di Biostrutture e Bioimmagini Ist. Di Biostrutture e Bioimmagini Ist. Di Biostrutture e Bioimmagini Ist. Di Biostrutture e Bioimmagini Ist. Di Biostrutture e Bioimmagini Ist. Di Biostrutture e Bioimmagini Ist. Di Biostrutture e Bioimmagini Ist. Di Biostrutture e Bioimmagini Dip. Chimica Dip. Chimica Dip. Chimica Biologica Dip. Chimica Biologica CNR Istit. di Biostrutture e Bioimmagini CNR Istit. di Biostrutture e Bioimmagini CNR Istit. di Biostrutture e Bioimmagini Fac. di Scienze Ambientali CNR Istit. di Biostrutture e Bioimmagini Dip. di Chimica di di di di Troncone Riccardo Vitagliano Luigi Ricercatore Ricercatore Talarico Giovanni Assegnista di Ricerca Dip. di Pediatria CNR Istit. di Biostrutture e di Bioimmagini Dip. Chimica UNITA’ LOCALE DI PADOVA Personale Qualifica Dipartimento Bandoli Giuliano Vidali Maurizio Faraglia Giuseppina Graziani Rodolfo Longato Bruno Marzotto Armando Mazzi Ulderigo Pilloni Giuseppe Tallandini Laura Dolmella Alessandro Fregona Dolores Guantieri Valeria Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Ricercatore Ricercatore Ricercatore Dip. Scienze Farm. Dip. Chim. Inorg. Metal. Anal. Dip. Chim. Inorg. Metal. Anal. Dip. Chim. Inorg. Metal. Anal. Dip. Chim. Inorg. Metal. Anal. Dip. Chim. Inorg. Metal. Anal. Dip. Scienze Farm. Dip. Chim. Inorg. Metal. Anal. Dip. Chim. Inorg. Metal. Anal. Dip. Scienze Farm. Dip. Chim. Inorg. Metal. Anal. Dip. Chim. Inorg. Metal. Anal. UNITA’ LOCALE DI PALERMO Personale Qualifica Dipartimento Bertazzi Nuccio De Lisi Rosario Pellerito Lorenzo Stocco Giancarlo Gianguzza Antonio Gianguzza Mario Mansueto Caterina Milioto Stefania Vitturi Roberto Pellerito Claudia Di Prima Filippa Di Prima Maria Tomasello Nicolò Uccello Maria Saporetti Claudia Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Ricercatore Ricercatore Ricercatore Tecnico Tecnico Tecnico Tecnico Borsista CIRCMSB Chimica Inorganica Chimica Fisica Chimica Inorganica Chimica Inorganica Chimica Inorganica Biologia-Medicina Zoologia Chimico Fisica Zoologia Chimica Inorganica e Analitica Chimica Inorganica Chimica Inorganica Chimica Inorganica Chimica Inorganica CIRCMSB UNITÀ LOCALE DI PARMA Personale Qualifica Dipartimento Lanfranchi Maurizio Ugozzoli Franco Lanfredi-Manotti Anna Prof. Straordinario Prof. Straordinario Prof. Ordinario Chimica Gen. E Inorg., etc Chimica Gen. E Inorg., etc Chimica Gen. E Inorg., etc 142 Maria Pellinghelli Maria Angela Dallavalle Francesco Ferrari-Belicchi Marisa Pelosi Giorgio Tarasconi Pieralberto Marchiò Luciano Massera Chiara Tegoni Matteo Bisceglie Franco Albertini Roberto Prof. Ordinario Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Ricercatore Ricercatore Ricercatore Borsista CIRCMSB Funzionario Tecnico Pinelli Silvana Assistente tecnico Chimica Gen. E Inorg., etc Chimica Gen. E Inorg., etc Chimica Gen. E Inorg., etc Chimica Gen. E Inorg., etc Chimica Gen. E Inorg., etc Chimica Gen. E Inorg., etc Chimica Gen. E Inorg., etc Chimica Gen. E Inorg., etc CIRCMSB Dip. di Clinica Medica, Nefrologia e Scienze della prevenzione Dip. di Clinica Medica, Nefrologia e Scienze della prevenzione UNITA’ LOCALE DI PAVIA Personale Qualifica Dipartimento Bisi Castellani Carla Perotti Angelo Casella Luigi Fabbrizzi Luigi Licchelli Maurizio Poggi Antonio Carugo Oliviero Monzani Enrico Pallavicini Piersandro Taglietti Angelo Amendola Valeria Granata Alessandro Prof. Ordinario Fuori Ruolo Prof. Ordinario Fuori Ruolo Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Associato Prof. Associato Ricercatore Ricercatore Ricercatore Ricercatore Ricercatore Borsista CIRCMSB Dip. Chimica Generale Dip. Chimica Generale Dip. Chimica Generale Dip. Chimica Generale Dip. Chimica Generale Dip. Chimica Generale Dip. Chimica Generale Dip. Chimica Generale Dip. Chimica Generale Dip. Chimica Generale Dip. Chimica Generale CIRCMSB UNITA’ LOCALE DEL PIEMONTE ORIENTALE Personale Osella Domenico Qualifica Prof. Ordinario Viano Ilario Prof. Ordinario Botta Mauro Prof. Associato Colangelo Donato Ravera Mauro Ricercatore Ricercatore Giovenzana Giovanni Battista Ricercatore non confermato Bottaro Marco PhD student Cassino Claudio PhD student 143 Dipartimento Dip. di Scienze e Tecnologie Avanzate Dip. di Scienze e Tecnologie Avanzate Dip. di Scienze e Tecnologie Avanzate Dip. di Scienze Mediche Dip. di Scienze e Tecnologie Avanzate Dip. di Scienze Chimiche, Alimentari, Farmaceutiche e Farmacologiche Dip. di Scienze e Tecnologie Avanzate Dip. di Scienze e Tecnologie Avanzate Gabano Elisabetta Mahboobi Homa Dottoranda in Chimiche Assegnista di Ricerca Ghiglia Annalisa Ghezzi Anna Rita Borsista Borsista CIRCMSB Scienze Dip. di Scienze e Avanzate Dip. di Scienze e Avanzate Dip. Scienze Mediche CIRCMSB Tecnologie Tecnologie UNITA’ LOCALE DI ROMA “LA SAPIENZA” Personale Qualifica Dipartimento Ercolani Claudio Prof. Straordinario Dipartimento di Chimica Monacelli Fabrizio Borghi Elena Prof. Associato Dipartimento di Chimica Donzello Maria Pia Ricercatore Ricercatore Dipartimento di Chimica Dipartimento di Chimica Bergami Costanza Dottoranda Dipartimento di Chimica Galli Paola Funzionario Tecnico EP3 Dipartimento di Chimica Bellugi Linalda Coordinatore Tecnico Dipartimento di Chimica UNITA’ LOCALE DI ROMA “TOR VERGATA” Personale Qualifica Dipartimento Ascoli Marchetti Franca Coletta Massimo Rotilio Giuseppe Santucci Roberto Battistoni Andrea Gambacurta Alessandra Rossi Luisa Ciaccio Chiara Sinibaldi Federica Marini Stefano Fasciglione Giovanni Francesco Piro Maria Cristina Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Associato Ricercatore Ricercatore Ricercatore Dottoranda Dottoranda Funzionario Tecnico Assistente Tecnico Fac. Medicina e Chirurgia Fac. Medicina e Chirurgia Fac. SS.MM.FF.NN. Dip. Biologia Fac. Medicina e Chirurgia Fac. SS.MM.FF.NN. Dip. Biologia Fac. Medicina e Chirurgia Fac. SS.MM.FF.NN. Dip. Biologia Fac. Medicina e Chirurgia Fac. Medicina e Chirurgia Fac. Medicina e Chirurgia Fac. Medicina e Chirurgia Assistente Tecnico Fac. Medicina e Chirurgia UNITA' LOCALE DI SIENA Personle Qualifica Dipartimento Valensin Gianni Zanello Piero Cini Renzo Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Associato Cinquantini Arnaldo Ferrali Marco Prof. Associato Prof. Associato Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Scienze e Tecnologie Chimiche e dei Biosistemi Dip. di Chimica Dip. di Fisiopatologia e Medicina Sperimentale 144 Laschi Franco Fabrizi de Biani Fabrizia Fontani Marco Gaggelli Nicola Tamasi Gabriella Prof. Associato Ricercatrice Tecnico Tecnico Borsista CIRCMSB Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica Dip. di Chimica CIRCMSB UNITA’ LOCALE DI TORINO Personale Qualifica Dipartimento Aime Silvio Fubini Bice Dastrù Walter Terreno Enzo Barge Alessandro Gianolio Eliana Cravoto Giancarlo Geninatti Crich Simonetta Prof. Ordinario Prof. Associato Ricercatore Ricercatore Assegnista Assegnista Tecnico Tecnico Dip. di Chimica IFM Dip. di Chimica IFM Dip. di Chimica IFM Dip. di Chimica IFM Dip. di Chimica IFM Dip. di Chimica IFM UNITA’ LOCALE DI TRIESTE Personale Qualifica Dipartimento Calligaris Mario Mestroni Giovanni Randaccio Lucio Alessio Enzo Dreos Renata Geremia Silvano Nardin Giorgio Tauzher Giovanni Vlaic Gilberto Zangrando Ennio Milani Barbara Tavagnacco Claudio Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Ordinario Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Prof. Associato Ricercatore Ricercatore Dip. Scienze Chimiche Dip. Scienze Chimiche Dip. Scienze Chimiche Dip. Scienze Chimiche Dip. Scienze Chimiche Dip. Scienze Chimiche Dip. Scienze Chimiche Dip. Scienze Chimiche Dip. Scienze Chimiche Dip. Scienze Chimiche Dip. Scienze Chimiche Dip. Scienze Chimiche 145 146 BREVETTI 147 148 I. Boccarelli A., Coluccia M., Natile G., Intini F. P., "Processo di Sintesi di complessi di platino con iminoeteri e loro utilizzo come farmaci antitumorali ed agenti modificanti le basi nucleotidiche", Italia MI98A 001696, Europa 99114163, Nord-America 09/357,974. II. Mazzi U., Veronesse F., Pasut G., Visentin R. “Coniugati polimerici per diagnostica e terapia”. Brevetto Nazionale Prot. 20523- Inv. n. PD2003A 173. 2 Agosto 2003. III. Roveri N., Falini G., Tampieri A., Landi E., Sandri M., MI 2003 A000186- 05/02/2003 IV. Roveri N., Tampieri A., Goso C., MEN 16007 (in progress) 149 150 PUBBLICAZIONI 151 152 ANNO 2001 153 154 1) Aime S., Botta M., Bruce J. 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Porphyrins Phthalocyanines, 5, 881, 2001. 22) Annibale G., Bergamini P., Cattabriga M. “[PtOTf(triphos)]OTf and [PtMe2(triphos-P,P’)] as versatile synthons of platinum(II)-triphos species”. Inorg. Chimica Acta, 316, 25, 2001. 23) Arduini A., Giorgo G., Pochini A., Secchi A., Ugozzoli F. “Interactions of the aromatic cavity of rigid calix[4]arene cone conformers with acid CH3 and CH2 containing guests in apolar solvents”. Tetrahedron, 57, 2411-2417, 2001. Bachechi F., Burini A., Fontani M., Galassi R., Macchioni A., Pietroni B.R., Zanello P., 24) Zuccaccia C. "Solid state and solution investigation of derivatives of group II metal ions with 1benzyl-2-imidazolyldiphenilphosphine (L). Electrochemical behavior of [M2L3]2+ (M=CuI; AgI) and [AuL2]+ complexes". Inorg. Chim. Acta , 323, 45-54, 2001. 25) Badraoui B., Bigi A., Debbabi M., Gazzano M., Roveri N., and Thouvenot R. “X-Ray Powder Diffraction and Solid-State NMR Investigations in Cadmium-Lead Hydroxyapatites”. Eur. J. Inorg. 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