napolitano firma lo scudo 81821 firme dicono no
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napolitano firma lo scudo 81821 firme dicono no
Il direttore del Tg1 ha dato una lezione di giornalismo a tutti i giornalisti che danno le notizie che lui non dà. y(7HC0D7*KSTKKQ( +;!=!"!"![ www.ilfattoquotidiano.it SANGUE E CEMENTO SANGUE E CEMENTO LI BR 12 O+D ,9 0 VD EDITORI RIUNITI EDITORI RIUNITI VD D + O 0 R B 2,9 1 LI € 1,20 – Arretrati: € 2,00 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009 Domenica 4 ottobre 2009 – Anno 1 – n° 11 Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230 NAPOLITANO FIRMA LO SCUDO 81821 FIRME DICONO NO “É Il presidente:”Tanto lo avrebbero ripresentato” DIVERSAMENTE CONCORDI di Marco Travaglio Presidente ci dispiace di Antonio Padellaro dc aro Presidente Napolitano. Ieri, in Basilicata, un cittadino le ha rispettosamente chiesto di non firmare il decreto che con il pretesto del rimpatrio dei capitali condona montagne di reati. Lei ha risposto che se anche avesse respinto quel condono, il governo l'avrebbe ripresentato lo stesso. Ci ha colpito la forza del tono oltre che, naturalmente, la sostanza, pesante, delle parole. Un segno, forse, di tensione. Come a dire: il decreto è quello che è ma non chiedetemi di fare ciò che i poteri non mi consentono. Quasi che parlando alla singola persona, lei si fosse rivolto a quella parte del Paese che ha sempre creduto nella legge che persegue i reati. E che adesso non può accettare che il reato diventi legge. Tra quei tanti che le hanno chiesto di non firmare ci sono anche gli 81821 cittadini italiani che hanno sottoscritto l'appello a lei rivolto dalle colonne di questo giornale da Bruno Tinti e condiviso da autorevoli giuristi. C’era scritto: lo scudo che permette agli evasori di rimpatriare i capitali nascosti all’estero nei paradisi fiscali, spingerà l’Italia ancora più in fondo nel precipizio di illegalità e di immoralità che ci sta separando dai Paesi civili. Quelle 81821 firme trasmesse venerdi via mail agli uffici del Quirinale non hanno meritato, però, alcun cenno di risposta. Ce ne dispiace. Non pensiamo a un silenzio infastidito poiché ben conosciamo la considerazione con cui ha sempre guardato alla libera informazione, la stessa che in queste ore manifesta a difesa della sua autonomia minacciata. Siamo sicuri che lei saprà trovare il modo per non fare sentire ancora più sole quelle persone che a lei si sono rivolte e a lei guardano con fiducia. Quella stessa solitudine che hanno avvertito dopo l'approvazione del cosiddetto lodo Alfanoche solleva dai processi le quattro più alte cariche dello Stato. Protezione di cui il presidente della Camera Gianfranco Fini ha deciso di non avvalersi nella causa intentatagli dal magistrato Woodcock (che ha ritirato la querela) e che, tra pochi giorni potrebbe essere dichiarata incostituzionale dai giudici della Consulta. Solitudine che, immaginiamo, accompagni le decisioni della più alta carica dello Stato davanti a un governo protervo. Pronto, come ci ha detto, a rispedirle sulla scrivania la stessa legge vergogna che lei avesse eventualmente respinto. Frase, riteniamo, più dura da pronunciare che da ascoltare. C É legge il condono voluto da Tremonti sul rimpatrio dei capitali nascosti all’estero I grandi evasori ringraziano Grande adesione all’appello del Fatto Feltri pag. 6 z Udi Furio Colombo Udi Massimo Fini LA FINE RIDARE DEL LA VISTA PARLAMENTO AI CIECHI hi vive dentro o vicino alle istituzioni vede per forza quello che sta accadendo. È finita la repubblica parlamentare. Camera e Senato sono luoghi di confronto e di scontro, due strani club in cui nessupag. 5 z no è titolare. C er resuscitare un morto a Cristo fu sufficiente dire: "Lazzaro, alzati e cammina". Per ridare la vista a un cieco dovette farne di tutti i colori: sputò per terra, impastò la sua santa saliva col fango, spalmò questo impasto sugli occhi pag. 13 z del cieco. P LA STAMPA RIFIUTA IL BAVAGLIO Un momento della grande manifestazione di ieri a piazza del Popolo a Roma (FOTO EMBLEMA) LODO MONDADORI x A De Benedetti 750 milioni dalla Fininvest B. deve restituire il maltolto a Finininvest dovrà pagare alla Cir di Carlo De Bendetti 750 milioni di euro. Lo stabilisce la sentenza depositata ieri al tribunale di Milano che condanna la società di Berlusconi a risarcire il danno causato dalla “corruzione giudiziaria” del lodo Mondadori. Gomez e Lillo pag. 9 z L in libreria Daniel Borrillo Omofobia Storia e critica di un pregiudizio postfazione di Stefano Fabeni CATTIVERIE Tremonti sullo scudo fiscale: “Non credo che la criminalità si servirà di questo str umento”. Sarebbero disonesti. (www.spinoza.it) Un’analisi critica dell’omofobia. Un libro che ci obbliga a prendere posizione in un dibattito politico oggi più che mai di attualità. www.edizionidedalo.it imperdonabile, ci vuole il pugno di ferro”, tuona Antonello Soro, capogruppo dell’Armata Brancaleone che si fa chiamare Pd. Il pugno dovrebbe darselo da solo, visto che il compito di un capogruppo è quello di tenere unito il gruppo. Ma l’altro giorno il gruppo non c’era, salvando Al Tappone e il suo scudo salvamafia (prontamente firmato da Giorgio Ponzio Pelato alla velocità della luce). Delle due l’una: a) Soro si dimette per palese inadeguatezza; b) quella sullo scudo salvamafia era considerata una votazione fra le tante. Ma Soro non si dimette, anzi definisce “fisiologico” il tasso di assenteismo dell’altro giorno e se la prende con un tal Gaglioni che è un po’ come Pasquale Zambuto di “Alto gradimento”: non conta nulla. Ecco, tutta colpa di Zambuto. Dunque non resta che l’opzione B. A meno che lo facciano apposta. Come dice Gianni Vattimo, “o lo fanno gratis e sono coglioni, o lo fanno a pagamento e sono mascalzoni”. E non si sa cosa sia peggio. Se l’altro giorno, anziché accampare scuse da Asilo Mariuccia (“e morta mia zia”) o certificati medici alla Totò (“quest’anno c’è stata una grande morìa delle vacche, come voi ben sapete”), se ne fosse alzato uno a dire: “non potevo votare perché stavo esportando capitali all’estero”, avrebbe almeno meritato una stretta di mano per la sincerità. Invece si son dati tutti malati, vista l’improvvisa pandemia che ha colpito le truppe dacchè si vota lo scudo. Malata la Marianna Madia, così giovane e già così cagionevole. Argentin dal medico, come pure Misiti (Idv): devono avere lo stesso dottore, che riceve solo quando si vota lo scudo. Carra bloccato da un intervento al rene, ma per fortuna l’illustre infermo s’è prontamente ripreso, riuscendo addirittura ad aggiornare il suo blog per farcelo sapere. Fioroni, segnalato contemporaneamente a un convegno a Torino e presso il medico a Roma, è ubiquo. Esclusi gl’impegni parlamentari. Secondo La Stampa, “da febbraio deve evitare di stare troppo seduto”: l’idea di dimettersi per curarsi, evitando effetti collaterali sulla collettività, non lo sfiora. Un altro stava benissimo, ma faceva la badante al fratello. La Binetti concionava alla festa per i 150 anni della Croce Rossa, ricorrenza che càpita una volta sola: “sono professoressa di medicina - spiega lei – non potevo mancare”, ma è “dispiaciutissima”. La Melandri è “in missione a Madrid per conto del Pd” con tal Pistelli: forse imparano dagli spagnoli come si fa l’opposizione. E’ della comitiva pure la Lanzillotta, non si sa se per conto di Dio (come i Blues Brothers) o di se stessa, comunque molto impegnata a sparacchiare su Annozero. “Non dico che la cosa non mi turbi”, dichiara contrita la Linda, “ma noi tre non siamo mica a spasso”. Vero: volete mettere la Global Progress Conference della Fundaciòn Ideas? Da Madrid avevano fatto sapere che, senza le ideas del trio Melandri-Pistelli-Lanzillotta, annullavano tutto. Nulla di nuovo sotto il sole: non è la prima volta che questi onorevoli granturismo che sarebbero strapagati per stare in Parlamento e invece nei momenti decisivi fanno tutt’altro, salvano la ghirba al Cainano. Sono la sua assicurazione sulla vita. Sotto il Berlusconi-2, quasi tutte le leggi vergogna potevano andare a picco sulla pregiudiziale di costituzionalità, ma passavano regolarmente perché i vuoti nella Cdl erano sempre compensati dalle voragini nel centrosinistra. Viceversa, quando governava Prodi con due soli voti in più al Senato, il centrodestra era sempre presente in forze, e se il governo durò quasi due anni fu perchè Ciampi, Scalfaro, Franca Rame e Rita Levi Montalcini – età media 90 anni – non mancarono mai una votazione, rischiando le piaghe da decubito e attirandosi gl’insulti quotidiani dei vari Schifani. Gente seria, d’altri tempi. Per quelli del Pd (per non parlare dell’Udc), il termine “oppositori” è un po’ forte. Chiamiamoli, come dice Ellekappa, “diversamente concordi”. pagina 2 Domenica 4 ottobre 2009 Enti e sindacati: chi c’era e chi mancava D GIORNALISTI E REGIME a Articolo 21 all’Unione della Stampa cattolica; dalla Cgil alle Acli; dalla Tavola della Pace alla presidente della Provincia de L’Aquila, Stefania Pezzopane. Sono state migliaia le adesioni di associazioni, enti, sindacati e singoli cittadini alla manifestazione di ieri in piazza del Popolo. Sul sito della Federazione della Stampa, nelle scorse settimane, le firme si sono moltiplicate. Sono comparsi tutti i partiti del centrosinistra (Pd, Italia dei Valori, Rifondazione Comunista, Sinistra e libertà), la Cgil, moltissimi comitati di redazione (la rappresentanza sindacale interna, ndr), compresi quelli dei cattolici Avvenire e Famiglia Cristiana o quelli delle reti Mediaset, la Rete degli Studenti medi e l’Unione degli Universitari, i partigiani della F.I.A.P., le Donne contro il razzismo. Impossibile elencarli tutti. Ma c’è anche chi si è dissociato dalla piazza: è il caso dell’associazione Lettera 22, che l’ha definita una manifestazione “con fini di propaganda politica”. Mancava anche Marco Pannella: “Quelli che hanno manifestato sono gli stessi contro i quali ho combattuto per 40 anni”. Piazza del Popolo invasa dai farabutti IN 300MILA SECONDO GLI ORGANIZZATORI di Silvia D’Onghia a piazza si comincia a riempire già intorno alle 14,30, quando arrivano i primi pullman dal nord Italia. Ai lati, gli stand di molti quotidiani, dell’associazione Articolo 21, di Emergency, di Libertà e Giustizia. E naturalmente quello della padrona di casa, la Federazione nazionale della Stampa, che ieri è riuscita a riempire piazza del Popolo, a Roma, con una manifestazione a difesa della libertà dell’informazione. Almeno 300 mila persone, secondo gli organizzatori, forse qualcuno in meno, diciamo noi, ma fatto sta che da anni non si vedeva una delle piazze più belle di Roma così gremita. L Sul palco l’Fnsi attori cantanti ma niente politici Un’iniziativa, originariamente programmata per il 19 settembre, poi rinviata a causa dell’attentato a Kabul, che ha visto l’adesione di comitati di redazione, associazioni, partiti del centrosinistra e singoli cittadini. C’è chi arriva da Milano, perchè “essere in piazza è un dovere civico”, chi dalle Marche, perchè “un presidente del Consiglio non può mettere il bavaglio all’opinione pubblica”. Ci sono signori anziani (qualcuno si è anche portato la sedia da casa), ma ci sono anche tantissimi ragazzi. Come Lorenzo, che a 14 anni legge i giornali su Internet, perchè “guardando solo i telegiornali non si capisce come va il mondo”. Ci sono anche personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo, come l’attrice Stefania Sandrelli, “emozionata ma orgogliosa di manifestare per la libertà di stampa, prima che sia troppo tardi”. Ovunque, bandiere, palloncini e striscioni, cartelli indirizzati al premier Berlusconi, come quello sul pancione di Monica: “Ora denuncia anche me”. O i tanti che ricordano la Loggia P2. Dal palco, poco dopo le 15,30, parte la musica dell’Orchestra di piazza Vittorio. Poi, prende la parola il segretario dell’Fnsi Franco Siddi, che ringrazia prima di tutto la Cgil, presente anche Gugliel- di Carlo Tecce TG4 LIVE LIBERTÀ SECONDO FEDE milio Fede è così sensibile al tema che alle 4 del pomeriggio ha trasmesso una diretta sulla manifestazione per la libertà d’informazione. In studio il pensiero liberale di Piero Ostellino, in collegamento dalla piazza (e non dal salotto di Bruno Vespa) Piero Sansonetti, direttore de l’ “Altro”. A Roma erano in 300 mila a protestare per il bavaglio, per le televisioni che da sei mesi ignorano gli scandali di Palazzo, per le querele di Silvio Berlusconi contro i quotidiani non schierati a destra o non di sua proprietà. Dallo studio del Tg 4, notoriamente imparziale, Fede ci mostrava donne fresche di parrucchiere e distinti signori in cravatta che rispondevano perplessi, a volte stupiti o infastiditi, alle domande degli inviati d’assalto: “Ma come, abbiamo tanti giornali, tante televisioni. Perché si lamentano?”. Niente di falso, soltanto la negazione della realtà. Chapeau, in materia Fede è un maestro. E mo Epifani. Dalla piazza piovono fischi, invece, quando vengono nominate Cisl e Uil, che hanno deciso di non aderire; ma tra le migliaia di persone sventolano anche le loro bandiere. “I giornalisti non vogliono e non cercano nemici -ha detto Siddi dal palco- gli unici nemici sono quelli che attentano alla libertà. Berlusconi ritiri il ddl Alfano sulle intercettazioni e le cause temerarie intentate contro i giornalisti”. “Una libera informazione è il presupposto per una società libera -gli ha fatto eco il presidente emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida- il cittadino meno informato, o scorrettamente informato, è meno libero”. Piazza del Popolo si riempie nuovamente di fischi quando viene nominato il direttore de Il Giornale Vittorio Feltri. Nel backstage c’è In alto una immagine della piazza concitazione, parte al centro Saviano anche qualche spin- tone: la scorta di Roberto Saviano non permette ai colleghi di avvicinarsi troppo. Ma quando Saviano sale sul palco, un boato si leva dalla folla: “In Italia non vengono chiusi i giornali dalla polizia politica nè vengono arrestati i giornalisti, ma non siamo liberi di raccontare senza temere ritorsioni. L’economia criminale viene vista come un problema marginale per il paese, nessuno si appassiona a questi temi. E scrivere di mafie diventa sempre più difficile. La libertà di espressione dovrebbe essere un fondamento del dibattito politico, non un risultato”. “Verità e potere non coincidono mai”, conclude Saviano tra gli applausi. E poi ancora musica, con Teresa De Sio, Simone Cristicchi, Marina Rei. Intorno a piazza del Popolo, il traffico è impazzito: nessuno ha previsto deviazioni o chiusura delle strade, forse nessuno si aspettava una partecipazione così alta. Che cresce ancora quando in piazza giunge anche una parte del corteo dei precari della scuola e dell’università, che decidono di fare un cordone per consentire il deflusso ai lati. “Siamo pronti allo sciopero per difendere Annozero”, assicura dal palco l’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai. “Siamo in un regime di libertà vigilata”, annuncia l’attore Neri Marcorè, che legge un brano di de Tocqueville. E Jasmine Trinca riporta le parole di Anna Politkovskaja. “La stampa non può essere lo zerbino del potere”, scrive il direttore di Famiglia Cristiana Don Sciortino, in un messaggio letto dal palco. “Siamo tutti farabutti”, gridano le persone in piazza, mentre la sera cala su Roma. Lo stesso slogan urlato dalle oltre mille persone che si sono ritrovate in piazza dei Mercanti, a Milano, per un sit in spontaneo. ANDREA CAMILLERI “IL PD? CAVALIERI INESISTENTI” di Stefano Ferrante personaggi del centrosinistra? Vi“I sconti dimezzati quando hanno assunto la leadership, cavalieri inesistenti quando sono riusciti a raggiungere il potere”. Non può stupire che parlando di politica Andrea Camilleri torni sempre e comunque ai libri. Così ricorre a Italo Calvino per tracciare il suo ritratto dei capi mancati dell’attuale opposizione. Ma a quali personaggi possono essere paragonati , Prodi, D’Alema, Veltroni, Rutelli, Fassino, Cofferati? “Come soggetti letterari sarebbero impresentabili. E poi il destino dei protagonisti dei romanzi è tutto nelle mani dell’autore, il destino dei politici dipende dall’elettorato e soprattutto da loro stessi. Però mi sembra giusto il riferimento al protagonista de Il rosso e il nero, Julien Sorel (all’interno del libro “Il fantasma del leader” di Alessandra Sardoni, ndr) perduto nel suo sogno bonapartista di scalare il potere, un sogno continuamente contraddetto e disdetto. Sono tutte sfaccettature di Julien, perché prima ancora di dover combattere contro gli avversari politici o i concorrenti nel partito sembrano dover combattere a priori contro se stessi, contro le loro contraddizioni. E’ una specie di peccato originale”. Insomma non ce la fanno perché non sanno chi sono? “ Per quelli che vengono dal partito che aveva un pater familias duro e severo in cui tutti si riconoscevano, la perdita del padre e la sua damnatio memoriae hanno prodotto una repellenza viscerale per quel modello. Hanno insomma rinnegato i padri. E così sono leader dimezzati sin dall’inizio”. Un problema di crisi d’identità… “Guardi, mi viene in mente una vignetta del New Yorker che mostra un paziente disteso sul lettino e lo psicoanalista che con un’espressione di contentezza sul volto gli dice: ‘Ho da darle una buona notizia. Lei non ha nessun complesso d’inferiorità lei è realmente inferiore’. Difficile essere in crisi d’identità quando non si ha un’identità”. Ma se non sanno più da dove vengono sapranno almeno dove vanno… “E invece no. E questo vale sia per quelli che vengono dal centro che per quelli che vengono dalla sinistra. Sono in mezzo al guado. Hanno lasciato una sponda che aveva tratti precisi e tentano di raggiungere la sponda opposta che nella realtà non esiste perché essi stessi ne devono definire l’aspetto, devono crearselo, via via che si avvicinano”. Un po’ frustrante… “Sì perché il procedere dei guadanti non è mai stato omogeneo. Quelli che sono stati di volta in volta i capofila hanno avuto idee diverse sul percorso. E il risultato è stato ritardare il viaggio con continue deviazioni, ritorni indietro, ripensamenti, soste. E poi c’è un’altra questione…” Cioè? “ Una volta i capi carismatici nei grandi comizi riuscivano a sintonizzarsi perfettamente col respiro di milioni di seguaci. Seducevano più che per l’ideologia per una granitica autoconvinzione, che era cieca passione. Oggi invece si è sostituita la passione politica con la ragione politica, ma la ragione non corroborata dalla passione non è altro che l’esercizio del dubbio. E il dubbio si riflette nella capacità di comunicare, diminuita, in un era in cui i media si moltiplicano. E hanno capito troppo tardi l’importanza della Tv… Del congresso del Pd che idea si è fatto? Uscirà fuori un vero leader? “Alla fine la polemica interna finirà col danneggiare tutti e tre. Rivolgersi al concorrente dello stesso partito come se si fosse in campagna elettorale è uno sbaglio, che indebolisce la leadership”. Ma il centrosinistra ha bisogno di un leader carismatico per battere Berlusconi… “Certe notti sogno il capo carismatico, certe altre ne ho una paura fottuta. Ma c’è un’altra domanda che mi frulla in testa in questi giorni visto quello che è successo in parlamento sullo scudo fiscale”. Quale? “Ma c’è davvero la volontà politica di far cadere Berlusconi oppure no, magari perché non si sa cosa viene dopo? Credo che più che l’opposizione Berlusconi debba temere l’elettorato. E se stesso”. Domenica 4 ottobre 2009 pagina 3 Onida inneggia a Feltri E Santoro e Travaglio se ne vanno via S GIORNALISTI E REGIME ono lì anche per la loro libertà. La squadra di Annozero al completo scende dal lato destro di piazza del Popolo, dal vialone di Villa Borghese. La gente riconosce Michele Santoro, Marco Travaglio e Vauro, si apre un varco all’improvviso e i tre passano in mezzo alla folla: applausi, foto con i bambini, autografi. Giovanna studia Giurisprudenza, viene da Crotone, dieci ore di pullman: “Resistere, resistere, vi prego non fatevi zittire, fate capire agli italiani da chi siamo governati”. Gli autori e i redattori di Annozero sono dietro al palco, si aspettano un’altra settimana di passione per la puntata di giovedì prossimo che parlerà di mafia e politici, della stagione delle stragi e della trattativa con lo Stato. Potrebbe intervenire Massimo Ciancimino, figlio di Vito, il sindaco di Palermo condannato per mafia e morto nel 2002. E intanto la festa continua, fin quando l’ex giudice costituzionale Valerio Onida elogia Vittorio Feltri. Proprio ieri che il Giornale titolava: “Chiudete Annozero e che sia finita”. Troppo. Santoro, Travaglio e Vauro se ne vanno. ARRABBIATI & SORRIDENTI Aclisti, comunisti, interisti-leninisti, piddini, fan di Belushi E anche l’Udc: da secoli l’opposizione non si ritrovava unita di Luca Telese re amiche, Grazia, Mariella e Patrizia, sono venute insieme, dalla Toscana. Tutte e tre con una cerniera da lampo rossa stretta davanti alla bocca. E raccontano: “Ci siamo chieste: ma noi, come ci sentiamo oggi? Ci siamo risposte: imbavagliate. Bene, eccoci qua”. E' la prima foto che ho scattato, con il telefonino, e la trovate qui al lato. Due ragazzi di Roma, invece, si sono appesi dei cartelli al collo: “Utilizzatore finale” lui, “letteronza” lei. Ridono: “Abbiamo voluto rispettare la divisione dei ruoli della nuova Italia...”. Cristina, da Vasto, si è disegnata un cartello: “Tutti, tutti/ Siamo tutti farabutti”, e lei – invece - non ride affatto: “Lo vorrei dare in testa a chi so io...”.. C'era molto bricolage, molta fantasia, ieri T Un’immagine di ieri in piazza () SCUOLA I PRECARI SI RITROVANO IN PIAZZA, MA SENZA ONDA di Marina Boscaino che punto siamo con il precariato scolastico non lo dice solo la grande manifestazione di ieri, che ha visto sfilare il mondo della scuola democratica per le strade di Roma. Lo dice la situazione di mobilitazione più o meno continua che ha caratterizzato queste prime settimane di scuola. Lo dicono i presìdi ostinati, nonostante i riflettori dei media si siano già spenti, annoiati, su questa vicenda. L'anno scorso di questi tempi avvenivano le prove tecniche di trasmissione dell'Onda, che sarebbero sfociate nelle straordinarie, vulcaniche manifestazioni del 30 ottobre. L'anno scorso, però, i tagli erano annunci, tristi promesse. Si protestava contro uno scellerato progetto di distruzione programmatica della scuola pubblica. Quest'anno quei tagli hanno il volto di donne e uomini e toccano la loro vita. Spesso non sono volti giovanissimi: l'età media di un precario della scuola è oggi 41 anni. Ma sono i volti di un mondo che sta perdendo progressivamente capacità di indignarsi e di esercitare vigilanza sui diritti collettivi. Perché i precari saranno coloro che pagheranno di più gli 8 miliardi di tagli (che si stanno traducendo anche nell'eliminazione di 140.000 posti di lavoro, di cui 80.000 docenti e 40.000 del personale Tecnico-Ausiliario) inflitti dai promotori dello scudo fiscale a chi dovrebbe essere paradossalmente (il sense of humor di chi ci governa non ha mai fine!) uno dei beneficiari dell'ignobile provvedimento tradotto in legge qualche giorno fa: la scuola dello Stato. Ciò che sta accadendo ai precari non significa solo relegare definitivamente esistenze individuali nell'incertezza del diritto; non significa solo umiliarle con la messinscena demagogica dei contratti A di solidarietà (una sorta di graduatoria nelle graduatorie per chi si spartirà le briciole); non significa solo indebolire ulteriormente una categoria già vessata da stipendi da fame e incertezza esistenziale (iniziare a lavorare, quando va bene, a ottobre; e finire – quando va meglio – con gli scrutini estivi o alla chiusura dell'anno scolastico). iò che sta accadendo ai precari è anCquesto che il senso di una manovra sottile di governo: l'innesco di guerre tra poveri. Come fare fuori i precari lo stanno spiegando, infatti, tutte quelle scuole che, costrette da necessità economiche e rette da dirigenti più realisti del re, attribuiscono segmenti (in gergo "spezzoni") di cattedre – tradizionalmente assegnati ai supplenti – a personale interno docente di ruolo, che andrà a svolgere un numero di ore superiore a quelle previste dal contratto e a rendere possibile l'espulsione degli altri. Ciò che sta accadendo ai precari, infine, è il senso di un attacco violentissimo al diritto allo studio. Perché comporta conseguenze gravissime (diminuzione degli insegnanti di sostegno; impossibilità per le scuole di convogliare risorse umane su attività che le rendono presidio di educazione alla cittadinanza; e, infine, incapacità di istituire l'insegnamento alternativo alla religione cattolica, previsto dalla legge, ma ormai impossibile da attuare, con gravissima lesioni dei diritti fondamentali della persona) coniugandosi con altri provvedimenti, come l'aumento del rapporto docente/alunni – previsto nella Finanziaria – che, oltre a rendere le classi sempre più numerose, viola in moltissimi casi qualunque norma di sicurezza, in scuole che – come è stato evidenziato in un recentissimo studio – sono tutt'altro che a norma. in piazza (e, scusate l'orgoglio, moltissime copie de Il Fatto). Leader marcati a uomo. Ci sono tanti modi in cui puoi raccontare una manifestazione, ma c'è sempre un segno, un ricordo nitido che ti resta impresso nel taccuino e nella memoria. Di questa piazza, tutti quelli che ci sono stati ricorderanno che non se ne usciva più. Tutti pigiati come sardine, tutti incastonati in piazza del Popolo, sudori, cappellini, striscioni bandiere, e persino palloncini: quelli dell'Arci, quelli della Cgil, quelli de l'Unità.... E poi i gazebo, le bandiere, gli “interisti leninisti” (giuro, esistono davvero, con tanto di gagliardetto), le bandiere delle Acli, Sinistra e libertà, i Blues Brothers (con un vaffa anti-Cavaliere attribuito a Belushi) il Partito Comunista dei Lavoratori di Marco Ferrando, i sindacalisti della Cisl (che temerariamente sono venuti anche se il loro sindacato non ha aderito), tantissime bandiere dell'Udc, del Pdci, di Rifondazione, e anche la falce e martello nel quadrato di Marco Rizzo. C'erano proprio tutti, e tutte le vie di uscita erano intasate: un muro umano sbarra via del Corso, un vortice turbina in direzione piazzale Flaminio e verso il fiume i vigili hanno dovuto transennare perché la marea umana straripava sul Lungotevere. Cose mai viste, così come i muraglioni stipati di arrampicatori temerari, che hanno rischiato pur di avere un posto con vista sul palco. “Rob-berto! Rob-berto!”, boato assordante quando Andrea Vianello fa capire che Roberto Saviano sta per materializzarsi sul palco. Gaia, di quattro anni, sulle spalle della madre. Prima manifestazione? “Ma che dice? E' in piazza contro Berlusconi da quando è nata!”. “In parlamento votate”. Quando Pierluigi Bersani la attraversa, questa muraglia umana incandescente, si becca anche qualche tirata d'orecchie: “Andate a votare in Parlamento!”. Sull'altro lato, pochi minuti dopo, Dario Franceschini (che malgrado l'apripista della vigilanza non riesce ad uscire) esclama costernato: “Hai capito? Siamo finiti in mezzo ai precari della scuola!” (Già, perché c'erano pure loro: hanno finito il loro corteo e sono venuti ad aggiungersi, con le loro bandiere viola). Walter Veltroni fa capire di sentirsi anche lui arrabbiato: “Molta gente qui pensa che le assenze in aula siano state gravi? Bene, anche io sono tra loro”. “Indignati con i nostri”. Ma quanti sono in tutto? Centomila, o trecentomila, poco importa: l'unica cosa certa è che erano stipati come sardine, non accadeva da secoli. La seconda cosa che non si scorda facilmente è questo strano stato d'animo che attraversa il corteo: un po' scanzonato, un po' furibondo. Come un ruggito sotto la pelle, una tensione comune. Chiedo a due signori anziani molto teneri (i capelli bianchi, entrambi con il bastone, i giornali sotto braccio) che si tengono per mano, in bilico sul cornicione. Come vi sentite? E i due – Paola ex insegnante, e Mauro, ex dirigente d'azienda – all'unisono rispondono: “Noi siamo incazzatissimi, grazie”. Sorridono, però. Aldo e Donatella, dalle Marche, quasi mi placcano: “Scusa, sei de Il Fatto, no? Scrivilo che siamo indignati con il partito che votiamo! Scrivilo che li vorremmo votare ancora, ma che devono finirla con le loro beghe congressuali!”.Massimo D'Alema arriva senza cravatta. Ironico, affilato, molto poco inciucista: “Io credo che questa gente sia qui per dire qualcosa di chiaro. Non deve essere il governo a decidere chi sono gli ospiti dei talk show. Sono qui perché lo spazio della libertà in Italia si va restringendo sempre di più”. Poi anche lui parla della questione dei parlamentari del Pd “assenti” in Aula: “Mi spiace, ma dire che con venti deputati in più avremmo vinto è una falsità. Abbiamo perso, capita che anche in Parlamento si finisca per avere cento voti in meno...”. Però aggiunge: “Sicuramente si pone un problema di conduzione del gruppo, questo sì”. Vuol dire che va cambiato il capogruppo? Occhi spalancati: “Ecco, scrivete: questo lo ha detto un giornalista. Io ho detto un'altra cosa”. Abbracci a sorpresa. Anche sotto il palco c'è un po' di tutto. Pressato come una sardina anche lui, arriva Roberto Saviano. Si infila in una roulotte, poi viene scortato da un plotone di Tra Di Pietro e De Magistris abbraccio nel retropalco guardie del colpo e di telecamere fin sopra il palco. Sotto, a sentirlo, c'è tutta la famiglia Sandrelli: Stefania, Amanda, e il nipotino. Paolo Ferrero stringe serafico la mano a Nichi Vendola (vuol dire che è proprio una giornata epocale), e D'Alema nega di voler far fuori il presidente della Puglia: “Ma come, sono cinque anni che lo tengo su...”. Sarà una magìa? Sarà che questa piazza riesce ad azzerare le tante guerriglie del centrosinistra? Miracolo. Di sicuro l'occasione serve a mettere da parte le voci di guerra fratricida fra Antonio Di Pietro e Luigi De Magistris. Il tutto accade molto teatralmente, proprio in piazza, quando il leader dell'Italia dei valori si mette a gridare: “Giiiigggììì! Giiigggììì! Vietti a fare la foto!”. Gigi arriva, Di Pietro lo incravatta con il braccio, si gira verso i fotografi e sorride: “Siamo amici fraterni”. De Magistris aggiunge: “Facciamo opposizione insieme, presto governeremo insieme”. Potrebbe essere un slogan buono per tutti quelli che sono qui. In fondo, a pensarci bene, è la prima volta che, dai tempi dell'Unione (da prima della campagna elettorale che ha diviso il centrosinistra) una grande folla variopinta, si è ritrovata nella stessa piazza. Mille anime, mille colori, tanta voglia di cambiare. Stipati come sardine, sorridenti, ma anche incazzati neri. Eppure, per un giorno, felici di essere tornati insieme. pagina 4 Domenica 4 ottobre 2009 Con i voti mancanti l’opposizione avrebbe fermato lo scudo P PD NELLA BUFERA er ben due volte questa settimana mentre si votava lo scudo fiscale, le assenze nell’opposizione sono state decisive. Martedì la maggioranza stava per andare sotto con 267 voti, ma l’opposizione si è fermata su 215 (dei 279 che aveva sulla carta). Mancavano 59 del Pd, 8 dell’Udc, 2 dell’Idv. In particolare, all’interno del Partito democratico spiccavano le assenze dei leader Bersani e Franceschini, evidentemente “sovraccarichi” per la durezza del confronto congressuale. La scena, però, si è ripetuta venerdì, durante il voto finale di Montecitorio. Il provvedimento è passato con 270 voti contro 250. Solo di 20, dunque, lo scarto. Mancavano 25 deputati del Pd, 7 dell’Udc, 1 dell’Idv. In tutto 13 in più di quanti sarebbero stati necessari all’opposizione per battere la maggioranza. A questo punto Antonello Soro, capogruppo del Pd a Montecitorio ha annunciato sanzioni per 11 assenti ingiustificati. “Dimettetevi tutti” IL NOSTRO BLOG E LE ASSENZE IN AULA i proponiamo alcuni dei commenti dei nostri lettori, piovuti sul nostro blog (www.antefatto.it) a seguito della pubblicazione dei nomi dei deputati dell'opposizione che, con le loro assenze più o meno giustificate, hanno di fatto permesso allo scudo fiscale di diventare legge dello Stato. Per ben due volte di seguito. Giuseppe Musina Io mi indigno ancora di più quando sono quelli di sinistra a comportarsi in questo modo, perché sono quelli che ho votato e pretendo che lavorino per bloccare certe vergogne. Chi non ha una giustificazione più che valida per l'assenza deve dimettersi immediatamente. È ora di finirla con i soliti giochetti. M.Santon Tutti lo avevano affermato. Lo scudo fiscale era una battaglia di idee sulla legalità e l'onestà. E queste battaglie si combattono anche contro i numeri. Nessuno ricorda più Enrico Toti? I malati dovevano andare alla Camera anche con la flebo attaccata. Fosse V solo per l'onore di prendere uno stipendio da parlamentare! giovanni arixi Lo scudo fiscale è passato a colpi di minoranza! Grazie opposizione! Fabio Secondo me c'è un malinteso di fondo, e vi state tutti scaldando per nulla, non è OPPOSIZIONE, ma 0 POSIZIONE, zero posizione, cioè nessuna posizione! Pensateci, bastava infatti mantenere la posizione per non far passare questa legge. Ma in questo sono stati coerenti. Daniela Agli elettori del Pd che criticano la scelta di pubblicare i nomi dei parlamentari non presenti in aula, dico solo che se ci fossero stati tutti e lo scudo fosse passato, per lo meno avrebbero la coscienza di aver fatto il loro dovere (rappresentare i loro elettori) e non di essersi pilatescamente lavati le mani. Gaber diceva: "Libertà è partecipazione”. E io aggiungo che i numeri contano. Smettiamola di fare come gli elettori del Pdl che as- “La mia tessera del Pd è sempre più vicina al bidone” solvono Berlusconi in ogni circostanza. Cerchiamo di avere più dignità e senso critico. Paulreds Io non ho veramente parole per esprimere lo sconcerto e l'avvilimento. Due volte su due votazioni l'opposizione (sic!) non partecipa compatta al voto ed evita così di far cadere uno schifo di decreto che viene additato e deriso in tutto il mondo. L'elenco degli assenteisti (Camera e Senato) DEVE essere pubblicato perché ogni elettore sappia chi c'era e chi no. Lo sconforto però raddoppia pensando che con questa Legge elettorale (SIC!) non possiamo neanche consolarci dicendoci "la prossima volta non ti voto!"...Che schifo! Andrea Gente pagata 15.000 euro al mese per lavorare 2 o 3 gg a settimana per fare opposizione e non si presenta su un provvedimento importantissimo! Che dire? Non giustificabili neanche gli ammalati, a meno di problemi enormi dovevano essere lì. La Levi Montalcini presenziava a quasi 100 anni e non faceva mai mancare il suo voto. Sono delusissimo, alle primarie non mi vedranno più e il mio voto lo riavranno solo dopo un cambio di rotta totale!!! dario Ma come può questo PD così "sgarrupato" impensierire il "re". Mauro Del Nero Con che coraggio i vari Franceschini, Bersani & Co. vanno poi nelle varie trasmissioni a criticare lo scudo? A casa Giuseppe Fioroni (FOTO MASSIMO DI VITA) Nella foto in alto, una manifestazione dei militanti del Partito democratico (FOTO ANSA) mia questa si chiama connivenza. Altro che sanzioni: dovreste dimettervi tutti, immediatamente. Senza ma e senza se. Non vi abbiamo mandato in Parlamento per fare questi sfracelli. Dimissioni, subito. E vergogna ancora! Giuseppe Ho votato Pd nella speranza di essere artefice e invece mi ritrovo ad essere complice. Questa cosa non l'accetto. Non c'è nessuna giustificazione che può esimerli dal vergognarsi. mf63 Anche al primo vero autogol del Governo (paragonabile al nostro sull'indulto), riusciamo a far passare nel paese l'idea che lo scudo fiscale ci sarà per colpa dell'opposizione.Complimenti! Bella operazione d'immagine. Manuel Sono veramente nauseato. Questo paese non cambierà mai! Malati? Quando ero piccolo i miei genitori mi mandavano a scuola anche con la febbre quando c'erano i compiti in classe! Ma non scherziamo! fabio Gli evasori fiscali hanno un nuovo inno: “Meno male che il Pd c’è!” 1alpam Quello che è successo oggi in Parlamento è di una gravità inaudita. Il minimo che un elettore del Pd o dell'Udc dovrebbe chiedere agli assenti è di dare le dimissioni e di non farsi più vedere dalle parti di una sezione del proprio partito. Queste sono occasioni storiche in quanto il valore morale del "no" alla legge sullo scudo fiscale è tale che sarebbe rimasto indelebile nella memoria della cronaca parlamentare, così come resteranno nella memoria i nomi degli assenti che lo hanno impedito. DanCo Adesso darei ai parlamentari assenti il 5% del loro stipendio. Ringraziamo anche Napolitano per la sua firma. Pertini e Berlinguer si stanno rivoltando nella tomba. max La mia tessera del Pd è sempre più drasticamente vicina al bidone della plastica da riciclare, non c'è veramente molto altro da dire, specie dopo le lunari giustificazioni di Bersani. Giovanni Cairone Resto basito... È sì vero che il governo avrebbe richiamato la sua maggioranza, ma almeno l'opposizione, mostrandosi presente, avrebbe dimostrato di esserci in un momento importante. Il messaggio che passa è che le chiacchiere restano tali, nel momento in cui servono i fatti spariscono tutti... Poi sento l'intervento di Bersani in radio... "..tanto il governo avrebbe ripresentato la legge sottoponendola alla fiducia..". E meno male che dovrebbe essere la persona più accreditata a guidare l'opposizione nel prossimo futuro... GIUSTIFICAZIONI PD/ FIORONI MALATO, MA IN CONFERENZA STAMPA di Caterina Perniconi 22 parlamentari del Pd assenti ieri in occaIdividono sione del voto finale sullo scudo fiscale si in due liste: i malati e gli ingiustificati. Beppe Fioroni compare nella prima lista, dichiara alla stampa che “combatte da tre mesi con una peritonite” , che aveva un impegno a Torino, ma “come capita ai medici la mia situazione di salute si è complicata da febbraio ad oggi e mi hanno appena detto che devo fare un terzo intervento di addomino-plastica”. Nessuno vuole mettere in discussione la situazione fisica di Fioroni, ma ci permettiamo di porre una domanda: come mai l’onorevole, giustificato perché malato, non può recarsi in aula ma invece a Torino ci va davvero e presenzia ad una conferenza stampa? Il giornalista dell’Ansa di Torino, Renato Botto, che ha firmato i lanci di agenzia usciti venerdì, conferma a Il Fatto di aver incontrato Fioroni tra le dodici e le tredici, proprio nel momento in cui si svolgeva il voto finale in aula, per mezz’ora. “Era lui – scherza – a meno che non abbia un gemello…”. In effetti venerdì a Torino era previsto un incontro tra l’ex ministro e gli operatori della scuola, che Fioroni non menzionerà mai tra le sue giustificazioni. Anzi, si farà inserire nella lista dei “meno cattivi” per malattia. “Da quando è stato formato il governo Berlusconi – dichiara Fioroni da Torino - stiamo assistendo a una campagna denigratoria della scuola senza eguali, nell'indifferenza generale del Paese”. Ma perché, anche lui, è stato indifferente al suo compito di parlamentare, se la malattia gli permetteva un viaggio in Piemonte? La lista dei malati del Pd comprende Ileana Argentin (visita medica), Enzo Carra (intervento ai reni), Angelo Capodicasa (ricoverato da Agrigento), Lucia Codurelli (anche lei in ospedale), Sergio D’Antoni (ricoverato d’ur- genza), Antonio La Forgia (malattia) e Marianna Madia (importanti accertamenti medici). Indirettamente malato anche Massimo Pompili, assisteva il fratello ricoverato. Considerati ingiustificati, anche se affermano di aver avuto il via libera dal partito, Giovanna Melandri, Linda Lanzillotta e Lapo Pistelli che erano “in missione per il Pd” a Madrid, alla “Global Progress Conference” promossa dalla Fondazione Ideas. Arrabbiatissima Paola Binetti, sospettata di essere assente per una scelta interna ai rutelliani, che non accetta le accuse: “Non pensavo si approfittassero di questa situazione per fare campagna elettorale per il congresso – dichiara la Binetti – sono molto delusa e non so cosa succederà al quadro politico e al Pd”. E sfoga il suo malumore in un post sul suo blog dove dichiara di aver preso un impegno con la Croce Rossa di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, venerdì mattina perché so- litamente è un giorno non impegnato da voti, e di avere l’83,19% di presenze in aula. Ci lascia anche intendere che il suo compagno di banco, invece, è un assenteista seriale “che potrebbe anche dimettersi, perché nella vita bisogna fare delle scelte”. Non ci vuol dire il suo nome, ma non è difficile rintracciarlo in Antonio Gaglione, già sottosegretario alla Salute nel governo Prodi, cardiologo interventista di Brindisi, praticamente sconosciuto ai frequentatori di Montecitorio. Martedì alle 12.30 si riunirà alla Camera il Comitato direttivo del gruppo, allargato ai capigruppo di commissione, che dovrà “processare” gli assenti e decidere se infliggere sanzioni. Gli imputati non potranno nemmeno appellarsi alla scusa che suggeriva Bersani in conferenza stampa: “Se fossimo stati in numero maggiore noi, sarebbero stati di più anche loro”, perché venerdì il Pdl era in seria difficoltà e aveva già richiamato urgentemente in aula i Ministri. Domenica 4 ottobre 2009 pagina 5 15 leggi di iniziativa parlamentare in questa legislatura O CRISI DELLE ISTITUZIONI norevoli fannulloni. Lavorano poco sia alla Camera che al Senato, un po’ per il congelamento del Parlamento, un po’ per visite mediche e missioni all’estero. A Montecitorio i deputati lavorano tre giorni alla settimana per una media di 16 ore. A Palazzo Madama i senatori sfiorano i quattro giorni (3,7 per l’esattezza), ma sono più veloci e sbrigativi, sugli scranni ci restano scarse dieci ore. Se questa è la quantità, anche la qualità lascia a desiderare. È vero che dall’inizio della legislatura i 945 parlamentari hanno presentato ben 4.200 proposte di legge, ma ne sono state approvate soltanto 15. Che sono poche anche rispetto alle leggi di iniziativa governativa già promulgate (87, di cui 25 passate con la fiducia). Ma se in Parlamento c’è poco da fare o quel che si fa risulta vano, in compenso sono tutti rinchiusi nelle commissioni permanenti: da inizio legislatura ci sono state oltre 5.000 sedute per 4.300 ore alla Camera, 1877 sedute per un totale di 1.791 ore al Senato. La fine del Parlamento Il Governo accentra tutto il potere, le due Camere sono svuotate di Furio Colombo hi vive dentro o vicino alle istituzioni vede per forza quello che sta accadendo. È finita la repubblica parlamentare. Camera e Senato sono luoghi di confronto e di scontro, due strani club in cui nessuno è titolare di niente, due tifoserie in cui tieni per l'opposizione o per il governo, ma ti è proibita ogni invasione di campo. L'opposizione, quando riusciamo a farla, avviene, se avviene, nelle manifestazioni dei partiti e, di più, dovunque i cittadini si automobilitano, come nelle due grande manifestazioni di ieri a Roma, per la libertà di stampa e per salvare la scuola. La maggioranza di governo si autocelebra in grandi eventi costosi nei palasport, su e giù lungo la penisola. Ma in quelle celebrazioni nessuno discute, nessuna vota, nessuno propone, uno solo dispone e tutti lo acclamano. Il personaggio acclamato è un punto di potere itinerante. Stiamo parlando del capo del Governo, che passa dal pubblico al privato, dal dentro al fuori delle istituzioni, toccando e piegando tanti vertici diversi secondo le sue decisioni, i suoi umori, le sue esigenze, le sue voglie. Se avesse incorporato un chip che consentisse di seguire i movimenti, quel capo del Governo traccerebbero sullo schermo un groviglio di linee, come un quadro di Cy Twombly, il celebre pittore americano autore di bellissimi scarabocchi. tito di Berlusconi tranne la mafia e Guzzanti. E il partito di Berlusconi ha ingoiato, con un "anschluss" rapidissimo, il partito amico di Fini. L'altra è la bolla mediatica, una camera stagna con le pareti imbottite che tende a impedire ogni filtraggio di informazione. C ui il problema non è se Qscerebbe siano belli i segni che lail chip incorporato in Berlusconi. Il problema è che quei segni mostrerebbero il connettersi di ogni punto di potere con l'altro. Restano fuori un po' di giornalisti e un po' di giudici. Non restano fuori di questo frenetico andare e venire del capo del governo e del potere italiano né la Camera, né il Senato. Anzi, se ci fosse quel chip rivelatore, si vedrebbero un fitto incrocio di cellule fotoelettriche che impediscono ogni altro movimento, come nel caveau di una banca. Infatti la tenace resistenza del presidente Fini non basta a ridare dignità e funzione parlamentare alla Camera. Il controllo è altrove. Una cosa va detta per onestà. Questo spostamento del potere dal Parlamento al Governo, in un sistema costituzionale che non è presidenziale e che dovrebbe essere fondato sulle Camere, utto ciò, come un immenTrantito so tendone da circo, gadai cavi d'acciaio del- (ILLUSTRAZIONE MANOLO FUCECCHI) Berlusconi è riuscito nel suo intento, ma la responsabilità è anche dei partiti non è cominciato con Berlusconi, come dice e ricorda tante volte l'instancabile Marco Pannella. Prima vengono le segreterie dei partiti, poi viene l'illusione del bipartitismo con leader contrapposti e un sistema elettorale che ci siamo illusi fosse maggioritario. Poi si scrivono i nomi non dei partiti ma dei candidati premier sulle schede, deviando non tanto il sistema politico quanto la percezione del sistema. Ed è a questo punto che esplode lo squilibrio incurabile e il furto continuato (già iniziato o tentato ma adesso inarrestabile) di potere del Parlamento, che diventa istituzione sempre più onoraria. Tanto che deputati e senatori non sono più scelti dai cittadini ma dall'autocrazia dei partiti. conflitto di interessi, Qbrareuicheilsoltanto a molti poteva semuna anomalia, una deformazione ai margini, esplode al centro del sistema politico. Sotto le macerie si scopre la struttura solida di un potere forte destinato a durare. Ecco come è successo nell'alternan- za Berlusconi- Prodi-Berlusconi -Prodi -Berlusconi. Uno dei due (Prodi), privo di altri strumenti, ha cercato la forza e il sostegno in politica, cioè nel Parlamento. l Parlamento gli si è franIpeso tumato due volte sotto il di interessi divergenti, tutto ciò perché non c'era alcuna forza economica o ideologica per trattenere insieme gli alleati indispensabili. L'aria avvelenata del conflitto di interessi ha cominciato a diventare irrespirabile. Infatti il capo dell'altro schieramento, (Berlusconi), aveva iniziato la circolazione extra corporea del sistema del potere italiano. Il partito è una finzione, il Parlamento un non luogo, la disciplina garantita dal doppio involucro di una doppia bolla economica. Una garantisce attraverso cooptazione e affiliazione una compattezza granitica alla messa in scena politica di un partito che non è un partito e di una maggioranza che è resa stabile dai legami intessuti con rigore al suo interno. Infatti mai nessuno si è allontanato dal par- le connessioni bancarie, finanziarie, editoriali, assicurative, immobiliari, italiane e straniere (governo del fare vuol dire governo d'affari) con crescenti legami in Russia e in Libia, e crescente distacco, per naturale mancanza di affinità, verso America ed Europa occidentale. D'accordo, il Parlamento era in crisi da tempo, tormentato da divisioni senza fine sul sistema elettorale che, riguarda, appunto, il sistema del Parlamento. Berlusconi lo ha sterilizzato. La sua maggioranza ubbidiente aspetta e approva le sue leggi. Quando un deputato della maggioranza interviene, ripete alla lettera le parole del capo. Il sistema della "fiducia" accorcia i tempi ed elimina discussioni. Niente può accadere, tranne dimostrazioni, alla Camera e al Senato. Strano che i colleghi Paolo Foschi e Roberto Zuccolini, in una pagina intera sul Corriere della Sera (2 ottobre) si siano accorti del problema (il Parlamento lavora a far passare tutte e solo le leggi del governo) ma non si siano chiesti perché, associandosi al dubbio popolare che il Parlamento sia tutta una massa di mascalzoni o incapaci. Certo non era ciò che volevano gli attenti colleghi. Ma è esattamente la mossa finale e "popolare" di Berlusconi. Eliminare, anche senza chiuderlo, il Parlamento. MINICULPOP VITTORIO IL LICENZIATORE opo avere attenzionato Dino Boffo provocandone la cacciata dalla direzione dell'”Avvenire” con apposita informativa anonima, Vittorio Feltri intima l’espulsione di Santoro dalla Rai con titolo del Giornale: “Chiudete ‘Annozero’ e che sia finita". Ecco il suo sobrio giudizio: "In un Paese semiserio un programma così non andrebbe in onda, o soltanto dopo le 23 come le altre trasmissioni spinte. Coraggio. Eliminatelo". Poi, l’atto di accusa: “Il conduttore rosso è stato capace di inaugurare un nuovo genere, D lo sfruttamento televisivo della prostituzione. Fa ridere, ma è la verità”. Continuando così Feltri si troverà ben presto a dover scegliere tra l'incarico di ministro di Polizia e quello di ministro della Cultura popolare. Noi propenderemmo per questa seconda ipotesi per cui ci sembra più tagliato nella sua smania di chiudere questo e di cacciare quello Un Alessandro Pavolini dei giorni nostri, giornalista e camicia nera fino a Salò, augurandogli naturalmente un destino meno infausto. Dialogo nel Pd D’Alema: Franceschini è distruttivo l nostro segretario ha “I caratterizzato la campagna congressuale puntando sulla recriminazione. Toni allusivi e discredito. Il suo progetto sembra “contro” e non “per”. Allora io dico: basta bugie, basta recriminazioni. Si discuta in modo aperto e chiaro. Sulle cose vere”. Sceglie un’intervista a Repubblica, Massimo D’Alema per dare il suo stop a Franceschini e ribadire che “Bersani è il candidato più credibile”. Negli scorsi giorni il segretario del Pd si era spinto a dire: “Alle primarie bisognerà lottare contro nostalgie e istinti di conservazione, bisognerà sconfiggere quelli che hanno frenato prima Romano Prodi poi Walter Veltroni". Toni accesi, pesanti, che danno il segno di quanto sia lacerante a questo punto il confronto nel partito. Anche su questo, D’Alema è netto: “Il segretario ha scelto di alzare il tono della polemica interna dopo lo shock dei risultati congressuali. Una cosa inaccettabile”. E a proposito delle presunte intenzioni di Francesco Rutelli di lasciare il partito, D’Alema afferma: "Non credo che sia possibile né ragionevole una scissione" ma, aggiunge, "mi rendo conto che c'è un malessere e una critica che vengono da Rutelli. Voglio parlare con lui". E ancora una volta Arturo Parisi, ulivista della prima ora, critico nei confronti del dibattito interno al Pd, chiede chiarezza: "Il rischio è che a 30 giorni di conta seguano 25 giorni di rissa. Ma l’unico modo per evitarlo è aiutare gli elettori a capire quale siano le diverse soluzioni dei problemi del Paese connesse con le diverse candidature in campo". E dunque, “meglio sarebbe stato se D’Alema invece di limitarsi a contestare e contrastare Franceschini, come legittimamente ha fatto, ci avesse detto se la posizione che a lui viene da sempre attribuita è quella che propone oggi al Pd, la stessa per la quale vota e invita a votare Bersani. E Bersani meglio farebbe se ci dicesse se la sua linea è quella che viene attribuita a D’Alema. Nessuno aveva dubbi sul fatto che D’Alema sostenesse Bersani. Quello che oggi interessa capire è se Bersani sostiene la linea politica di D’Alema”. In questo clima l’invito del capogruppo del Pd in Senato, Anna Finocchiaro, non sembra esattamente facile da seguire: “Tenere presente che il Pd deve servire l’Italia, e che anche il congresso non serve a noi, può essere un’indicazione utile". pagina 6 Domenica 4 ottobre 2009 L’APPELLO DEL “FATTO” LO SCUDO FISCALE E’ LEGGE Ieri la firma di Napolitano DI PIETRO ATTACCA: “UN ATTO VILE” di Stefano Feltri o scudo fiscale è legge. Come annunciato venerdì pomeriggio in una nota del Quirinale, appena rientrato a Roma il capo dello Stato ha firmato la conversione del decreto numero 103 che introduce il provvedimento per il rimpatrio dei capitali nascosti all’estero. Non sono servite le oltre 80mila firme raccolte dal “Fatto Quotidiano” nell’ultima settimana che, venerdì pomeriggio, sono state spedite via mail al presidente per invitarlo a non firmare lo scudo. In visita in Basilicata, ieri mattina Napolitano è stato accolto da alcuni cori “non firmare”. Un passante gli ha detto: “Presidente, non firmi, lo faccia per le persone oneste”. Il capo dello Stato ha replicato che “se mi dite di non firmare non significa niente”. Queste le sue argomentazioni: “Nella Costituzione c'e' scritto che il presidente della Repubblica promulga le leggi. Se io oggi non firmo, il parlamento può votare un’altra volta quella legge, e nella Costituzione c'è scritto che io sono obbligato a firmare. Chi chiede di non firmare non lo sa”. In questa settimana di discussioni parlamentari, la questione della costituzionalità del decreto è stata discussa. Il nodo principale era se l’approvazione di uno scudo che ha alcuni tratti del condono (perché rende non perseguibili una serie di reati compiuti per evadere il fisco) violasse l’obbligo costituzionale di maggioranze qualificate per le amnistie. Il Colle, però, era più preoccupato per altri due punti, come dimostra il comunicato diffuso venerdì: l’estensione dello scudo ai procedimenti penali in corso (che è state evitata, anche se il governo ha provato a introdurla) e il rischio che il provvedimento coprisse anche da reati come il riciclaggio. Napolitano ha detto di essere stato rassicurato, prendendo “atto dei chiarimenti forniti dal governo in sede parlamentare e dalla Agenzia delle entrate”. Il presidente poteva comportarsi in tre modi: firmare (come ha deciso di fare) facendo comunque capire quali erano i punti che lo preoccupavano; firmare mandando un messaggio alle camere, come è sua facoltà, chiedendo un dibattito sul tema; non firmare, rimandando la legge in parlamento. In quel caso il decreto legge - di cui fa parte lo scudo - sarebbe decaduto, perchè la sua scadenza era proprio ieri, annullando i suoi effetti anche in modo retroattivo (e le banche stanno già raccogliendo i capitali rimpatriati dagli evasori). Se poi il parlamento avesse ripresentato la legge uguale al presidente della Repubblica, L Il capo dello Stato Giorgio Napolitano (FOTO ANSA) Napolitano sarebbe stato obbligato - ma solo in quel caso e al secondo passaggio - a firmarla, poi solo la Corte costituzionale avrebbe potuto pronunciarsi. Antonio Di Pietro, che con l’Italia dei valori ha tenuto la linea più dura con il colle dentro l’opposizione, ha commentato: “Riteniamo che la firma affrettata del presidente della Repubblica allo scudo fiscale, giustificata dal fatto che se dovesse tornare indietro le Camere lo approverebbero tale e quale, sia un gesto oggettivamente vile, perché così rinuncia alle sue prerogative costituzionali”. Il Partito democratico prima, per bocca del suo capogruppo alla Camera Antonello Soro, esprime “vergogna e disapprovazione” per lo scudo (e per aver disertato le votazioni in cui avrebbero potuto bloccarlo) ma poi, con il segretario Dario Franceschini, si schiera a difesa di Napolitano che “svolge un ruolo di garanzia importante, in modo ineccepibile”. Seguono commenti di tutti gli altri leader, mentre Di Pietro replica di essere “l’unica opposizione”, a differenza dell’altra, “cialtronesca”. Tutta la maggioranza, compatta, lo attacca. Alcuni parlamentari cominciano ad aderire all’appello di Salvatore Bragantini. L’ex presidente della Consob, dalle colonne del “Corriere della Sera” aveva chiesto che per limitare i danni di immagine per lo Stato, almeno i politici si impegnassero a non fare ricorso allo scudo. L’invito è stato rilanciato dal sito del senatore del Pd Francesco Sanna, e hanno già aderito anche Enrico Letta e Pierluigi Bersani. Domani a Roma LA MANIFESTAZIONE CONTRO IL LODO li amici di Beppe Grillo Gmanifestazione hanno convocato una contro il lodo Alfano alla vigilia dell’esame della norma da parte della Corte costituzionale che comincia il 6 ottobre. Domani, lunedì 5, hanno dato appuntamento a tutti gli oppositori in piazza Barberini a Roma, alle ore 18, per leggere gli articoli della Costituzione: “Sono invitati i cittadini, le associaizoni e se ne hanno il coraggio anche quei politici che si definiscono onesti, chiunque abbia la forza dell’indignazione di reagire a una legge dittatoriale e incostituzionale”. LA SETTIMANA DEL LODO LA LUNGA ESTATE DELLA CORTE COSTITUZIONALE di Antonella Mascali er responsabilità di due giudici, un vero scandalo ha toccato la Corte Costuzionale che martedì prossimo si riunirà per decidere se salvare o bocciare il cosiddetto Lodo Alfano. Era una sera di maggio quando, a Roma, in una bella casa si è consumato un banchetto decisamente sconveniente. Ospite il giudice costituzionale Luigi Mazzella che ha invitato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il ministro della Giustizia Angelino Alfano, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, il presidente della commissione affari costituzionali del Senato Carlo Vizzini e il collega, Paolo Maria Napolitano. Cioè: due giudici della Consulta cenano con il premier-imputato ibernato Silvio Berlusconi e il Guardasigilli pochi mesi prima della decisione che dovranno prendere con gli altri colleghi sul lodo Alfano. Una legge in teoria approvata per fermare i processi delle quattro più alte cariche dello Stato, nei fatti per congelare quelli a carico di Berlusconi. A cominciare dai processi milanesi per la corruzione dell’avvocato Mills e per i pre- P stato avvocato generale dello Stato dal dicembre 2001 al 14 novembre 2002 quando, per poco più di un anno, diventa il ministro della funzione pubblica del governo Berlusconi bis. E’ giudice della corte Costituzionale dal giugno 2005 su indicazione della maggioranza parlamentare di centro-destra. Una lettera, pubblicata dal “Corriere della Sera”, la scrive anche l’altro giudice della Consulta presente alla cena, Paolo Maria Napolitano, ex capo dell’ufficio legislativo dell’allora ministro degli esteri Fini. “C’è una sperequazione tra il fatto contestato e la brutale campagna di aggressione che ne è seguita” e di fronte alla richiesta di dimissioni da parte di Idv e di astensione da parte del Pd, il giudice scrive di “tentativo per condizionare la corte costituzionale nella sua futura attività, intimidendo alcuni dei suoi componenti”. Il presidente della Consulta, Francesco Amirante, ai primi di luglio, a quanto pare spinto dagli altri giudici, emette un comunicato nel giorno in cui il capo dello Stato invita “a non alzare i toni del dibattito pubblico”. Scrive Amirante: “La Corte costituzionale nella sua collegialità deciderà, come ha sempre fatto, in serenità e obiettività, le questioni sottoposte al suo esame”. E l’unico beneficiario del lodo Alfano? L’estate scorsa Berlusconi ostentava sicurezza e lanciava segnali: di A.M. “Sono assolutamente convinto che passerà il vaglio della Consulta, altrimenti ci sarebbe da fare una profonda riflessione su tutto il sistema giudiziario». Vefatto due giorni fa il presidente della ramente le ultime indiscrezioni, Camera Fini. Il Presidente della che possono essere smentite in Repubblica con un comunicato ha ogni momento, dicono che la Corte boccerà il lodo Alfano, sia motivato la sua firma dicendo che “a un pure a maggioranza risicata. Il primo esame, quale compete al Capo centro-destra, però, in caso di dello Stato in questa fase, il disegno di bocciatura sarebbe pronto con legge approvato dal Consiglio dei un’altra legge. Maurizio Gasparministri è risultato corrispondere ai rilievi ri l’ha detto chiaramente: “Ci saformulati” nella sentenza che ha rà un Ghedini o un Ghedoni che bocciato il lodo Schifani. Cento troverà un cavillo”. Anche Vittocostituzionalisti hanno firmato un rio Feltri, nell’editoriale sul “Giornale” in cui ha minacciato appello in cui dicono che il lodo Alfano è di colpire Fini con un dossier a la fotocopia del lodo Schifani e viola luci rosse se non cambiava regil’articolo 3 della Costituzione stro, gli ricordava anche che se il sull’uguaglianza di tutti i cittadini. lodo Alfano non passerà c’è già pronta un’altra legge. sunti costi gonfiati degli acquisiti dei diritti tv e cinematografici. La cena, rivelata dal giornalista Peter Gomez, è stata rivendicata dal padrone di casa Mazzella. Il giudice ha addirittura scritto una lettera aperta “all’amico Silvio” per dire che non si è parlato di lodo Alfano e di riforma della Costituzione. Mazzella dice “di essere un uomo libero in un Paese ancora libero e di avere il diritto umano di invitare a casa mia un amico di vecchia data quale tu sei”. Poi insinua: “Molti miei attuali ed emeriti colleghi della Corte Costituzionale hanno sempre ricevuto nelle loro case, come è giusto che sia, alte personalità dello Stato e potrei fartene un elenco chilometrico”. Neppure per un momento ha pensato di dover almeno astenersi sul lodo Alfano anche se non c’è alcun regolamento che lo preveda: “Ma stiamo scherzando? Allora dovrei astenermi da tutti i lavori della Corte. A cena invito chi voglio: a casa mia vengono tutti, dall'estrema sinistra alla destra; sono amico personale di Fausto Bertinotti e di tanti altri che vivono nel mondo della politica. Io rispondo soprattutto della mia onestà intellettuale e morale, autonomia e indipendenza. Nulla da nascondere”. Mazzella, napoletano, è IMMUNITA’ COME FUNZIONA LA LEGGE SALVA-PREMIER I l lodo Alfano è stato il primo pensiero tramutato in legge da questo governo Berlusconi, il 22 luglio del 2008. Prevede la sospensione dei processi penali nei confronti del presidente della Repubblica, dei presidenti di Camera e Senato, del presidente del Consiglio, per la durata della loro carica. Una stessa persona inoltre non può godere di questa legge se, cessata una carica, ne assume un’altra tra le quattro indicate. Nel momento in cui un processo si blocca, vengono sospesi i tempi di prescrizione. Si può rinunciare alla sospensione del processo “in ogni momento”, come ha Domenica 4 ottobre 2009 pagina 7 POTERE Ciucci, l’uomo del ponte che piace ai premier Da Berlusconi a Prodi, tutti promuovono a pieno stipendio l’amministratore delegato della società Stretto di Messina Sopra Pietro Ciucci (FOTO MARCO LANNI, GUARDARCHIVIO) di Sandra Amurri o già parlato con Ciucci, amministratore delegato di Stretto di Messina spa, e mi ha detto che tutto è a posto. La società e Impregilo hanno già trovato gli accordi. Il Ponte si farà”. Così ha parlato il Ministro Altero Matteoli di fronte all’ennesima tragedia annunciata che ha cancellato decine di vite a Messina. Mentre il governatore, Raffaele Lombardo, fautore del Ponte, piange lacrime di coccodrillo: “bisogna smetterla di intaccare la natura”. L’uomo nominato dal precedente Governo Berlusconi, ad della società Sdm, nata per realizzare l’opera più discussa mai messa in cantiere con un preventivo di investimento in project financing di 6 miliardi di euro, si chiama Pietro Ciucci. Manager con stipendio da superenalotto: 900.000 euro l’anno. Riconfermato dal Governo Prodi e nominato presidente della più grande azienda dello Stato, l’Anas, azionista di maggioranza della Sdm. Senza contare che l’Anas ha anche funzioni di controllo sulle pubbliche concessionarie. Privatizzate proprio da lui, quando era direttore finanziario dell'Iri con Prodi. La staffetta prosegue, il testimone è sempre lo stesso: Ciucci. L’attuale Governo lo riconferma all’Anas e lo nomina anche commissario straordinario della Sdm per superare le difficoltà finanziarie e procedurali e rilanciare il Ponte. Ciucci, come “H commissario straordinario, verifica quello che lui stesso fa: un personaggio, dunque, capace di incarnare il mistero della santissima trinità riuscendo a sedere, contemporaneamente, in due, tre consigli di amministrazione dando vita ad un conflitto di interessi sovrumano. C’è da chiedersi: con quali soldi verrà realizzato il Ponte visto che di nuovi finanziamenti non c’è neppure l’ombra e il miliardo e mezzo di euro che avrebbe dovuto mettere la Fintecna è stato, dapprima, assegnato ad altro dal Governo Prodi, poi utilizzato dal Governo Berlusconi per compensare l’abolizione dell’Ici? Semmai si farà, verrà adottato il cosiddetto ‘modello Tav’: prestiti erogati dalle banche, garantiti dallo Stato. Uguale: debiti che condizioneranno il futuro delle giovani generazioni, mentre i profitti saranno privati. Intanto Eurolink (associazione di imprese che oltre alla capofila Impregilo comprende la giapponese Ishikawajima, la spagnola Sacyr e altre imprese italiane) vincitrice della gara per la realizzazione del Ponte, per il non rispetto dei termini contrattuali ha già collezionato con la Sdm un contenzioso, che, a colpi di 3milioni di euro al mese, è schizzato a 100 milioni. Le organizzazioni criminali intanto festeggiano. Il Ponte, come rivelano diverse inchieste in corso, fra cui quella sul riciclaggio di capitali di presunta provenienza mafiosa del cosiddetto “tesoro” di Vito Cincimino, per dirla con Niki Vendola: “più che unire due coste unirà due cosche”. a quanti soldi ha mangiaM to finora la Sdm? La sede, 3600 metri quadrati su quattro piani, attico, seminterrato e giardino nella centralissima via Po della capitale, è costata, in questi anni, 75 mila euro al mese di affitto incassato dalla srl Fosso del Ciuccio, immobiliare della Cisl. Ma nulla è cambiato per Ciucci nonostante molti parlamentari del centro sinistra lo ritenessero responsabile di aver presentato un piano di project financing ‘taroccato’ per far credere che il Ponte si sarebbe realizzato con i soldi di Fintecna, delle Ferrovie e dell’Anas e un piccolo contributo dei privati. Mentre, secondo questi parlamentari, si trattasse di un piano che giustificava l’ope- ra sulla base di dati gonfiati, e i costi (e i prezzi) della società lievitassero a causa delle spese di propaganda e pubblicità, passate in due anni da 110.000 euro a 1.480.000 euro. E a causa degli aumenti degli emolumenti e dei gettoni di presenza agli amministratori, stabiliti in 526.000 euro nel 2002 e arrivati a 1.616.000 euro nel 2006. Neppure il Governo Prodi è riuscito a eliminare questa ‘scatola vuota’ macina soldi e ha premiato Ciucci con la presidenza dell’Anas. Viene da domandarsi: lo scioglimento della società Stretto di Messina spa non era nel programma dell’Ulivo? La risposta è sì. Anche se il Ministro Di Pietro assieme al ministro Mastella e al centro destra votò contro l’emendamento proposto dalla sua maggioranza facendo andare dei Ministeri competenti e delle Regioni, un nuovo carrozzone per coltivare clientele e spreco di soldi” si difese allora Di Pietro proponendo di far confluire Stretto di Messina spa nell’Anas. Ovvero di mettere Stretto di Messina e il contrato di Impregilo in una cassaforte, vi- Presidente dell’Anas e supervisore di se stesso in conflitto di interessi Per avere informazioni occorre telefonare agli enti locali, ma è impossibile prendere la linea Gervasi iove sul bagnato, sia fisicamente, con Pbattuto l’acquazzone che ieri mattina si è absulle zone alluvionate, che metaforicamente, visto che all’indomani della tragedia (abbondantemente annunciata) che ha cancellato dalla carta geografica una parte della provincia di Messina nessuno ha le idee molto chiare. Non Bertolaso, che alla domanda se c’è un numero (verde o meno) cui la popolazione può rivolgersi per avere notizie, risposte, l’aiuto che in questi casi tutti chiedono a gran voce, risponde, seraficamente, che i numeri ci sono e sono quelli di Regione, Provincia e Prefettura. Peccato che cercare di prendere la linea sia un’impresa peggio che chiamare Telecom o Enel in caso di un guasto e che una volta riusciti nell’impresa gli squilli si contano, inutilmente, a centinaia. Continuano intanto a essere moltissimi ad aggirarsi come fantasmi fra le rovine, alla ricerca di qualcosa o qualcuno. E disperatamente chiedono notizie o conforto a chiunque incroci la loro strada, siano essi giornalisti, cameraman, vigili del fuoco. Tutte queste persone avranno buona sorte nell’alzare la cornetta e chiamare la Regione Sicilia (e poi chi, quale assessorato?) o gli altri enti. I primi drammatici conti del giorno dopo sono: 21 morti accertati, 35 feriti, 40 dispersi e oltre 400 sfollati. Chi non è nella conta dei morti, si cerca. Una donna in ospedale piange, urla, vuole notizie di Alessandro, il figlio di 22 anni che non trova, e il cui fratello è stato travolto da una frana nella frazione di Molino, davvero inarrivabile, a poca distanza da Giampilieri Superiore. Dove, finalmente, una breccia aperta dalla Protezione civile consente quantomeno ai mezzi di soccorso di arrivare. C’è un’atmosfera davvero da ‘day after’. Il rumore degli elicotteri si alterna col sinistro grattare delle pale quando fra il fango toccano qualcosa di solido. E ogni in minoranza il Governo al Senato, durante la discussione dei 47 articoli del decreto fiscale collegato alla manovra finanziaria. La motivazione fu: chiudere la società comporterebbe una penale di centinaia di milioni di euro da pagare a Eurolink, perchè Ciucci nel 2006, poco prima della vittoria di Prodi, aveva firmato il contratto di 3,9 miliardi di euro con il general contractor Eurolink (impresa capofila Impregilo). Ma in caso di fallimento della società, la penale non l’avrebbe dovuta pagare la Stretto di Messina spa attingendo dal suo capitale sociale? In quel caso però il capitale non sarebbe bastato e Impregilo ne sarebbe uscita con le ossa rotte. istituiva L’peremendamento una fantomatica società svolgere attività “proprie Il giorno dopo, nelle città devastate dall’alluvione di Alessio Sotto la simulazione del progetto (FOTO ANSA) sto che l’Anas vanta un capitale di oltre 400 milioni di euro. Alla vigilia delle elezioni del 2008 che sarebbero state vinte da Berlusconi, per cui il Ponte era la priorità, Ciucci esegue l’ordine di Di Pietro e avvia lo smantellamento della società: sito online del Ponte scomparso, sedi di Villa San Giovanni e Messina chiuse, computer mobili venduti, personale dimezzato e nei 3600 metri quadri della sede romana viene trasferito l’ispettorato di vigilanza sulle concessionarie autostradali dell’Anas. E Stretto di Messina spostata a Piazza Cinquecento, proprio sopra alla galleria centrale della stazione Termini. Zona meno prestigiosa, sede più piccola ma più costosa al metro quadro, di proprietà della società Grandi Stazioni di cui è azionista Sintonia del gruppo Benetton che controlla Atlantia, cioè autostrade per l’Italia, che attraverso Igli detiene un terzo di Impregilo, impresa capofila dell’Eurolink che ha vinto la gara per il Ponte. Come dire: in attesa che la storia senza fine della società Sdm veda la luce, una quota dell’affitto va a finire a casa Benetton. Oggi si ha una sola certezza: Ciucci, uno dei tanti manager pubblici della società post moderna, frutto del sistema partitocratico trasversale basato sulla cooptazione politica (requisito necessario: eseguire la volontà dei premier che si succedono) continua a guadagnare 900.000 euro l’anno, cioè 75.000 euro al mese. Un emolumento che va misurato con le parole affidate il 14 agosto scorso da Prodi a Il Messaggero: “la mia affermazione che vent’anni fa la differenza di remunerazione tra il direttore e gli operai di una stessa azienda era da 1 a 40, creò scandalo. Oggi, dopo un iniziale sdegno, nel momento più acuto della crisi, nessuno si stupisce del fatto che questa differenza sia in molti casi da 1 a 400. Tutto è stato dimenticato”. Forse anche da lui. Che da Premier ha nominato Moretti amministratore delegato di Ferrovie dello Stato spa a 1 milione di euro l’anno e Ciucci Presidente dell’Anas a 900.000 euro, conflitto di interessi compreso. volta un brivido corre lungo la schiena di chi scava. Giampilieri - fino a ieri dimenticata da Dio e dagli uomini, ma soprattutto dalle Istituzioni - il cui territorio è considerato a elevato rischio idrogeologico (recentemente ‘promossa’ dalla Regione a rischio quattro, mentre prima si attestava su un più tranquillo rischio 3), è stata inserita nell’elenco dei siti da tenere sotto osservazione solo un mese fa. Scaletta Zanclea è vicina, molto vicina a Giampilieri, ma è irraggiungibile. Con grandi fatiche la jeep si fa strada, poi si deve proseguire a piedi, nel fango, nel dubbio. Via Roma è la via principale di questo piccolo centro. E fa paura, seppellita com’è da 4 metri di fango. Un posto ormai senza tempo. Servono solo braccia e gambe qui. Le automobili, anche quelle nuove, fiammanti status symbol di un’epoca cancellata, sono per sempre impastate con quel che resta delle case. Sopra chissà quanti cadaveri. LA DOMANDA DOVE SI TROVA IL PIANO DI EVACUAZIONE? I n alcune zone di Messina gli abitanti vivono ancora nelle baracche costruite dopo il terremoto del 1908. E se è passato più di un secolo da allora e oggi c’è la Protezione civile che prima non c’era, così come i vulcanologi, i geologi, i sismografi, Bertolaso e Berlusconi, manca sempre un piano di evacuazione. Dunque la città sullo Stretto, quella che dovrà avere il Ponte più bello del mondo manca di uno strumento d’evacuazione generale. Come sta accadendo in questi giorni, la gente si deve arrangiare. L’unico piano di emergenza di cui siamo venuti a conoscenza l’abbiamo trovato sul sito www.comune.messina.it/protezionecivile e dà indicazioni su come evacuare una scuola. Raccomandando agli alunni di seguire ciò che fa l’insegnante. Alla voce “Avvisi alla popolazione” invece c’è scritto: “nessuna informazione trovata, sezione in allestimento”. (al. ge.) pagina 8 Domenica 4 ottobre 2009 DAL MONDO CACCIA ALL’ORO DEI TALIBAN: ECCO PERCHÉ I GUERRIERI DI ALLAH SONO INVINCIBILI Droga, estorsioni, racket: i finanziamenti sono molteplici. Al punto che è quasi impossibile bloccarli e frenare l’offensiva degli fedeli del mullah Omar di Craig Whitlock ’insurrezione guidata dai taliban ha costruito una gigantesca rete di raccolta fondi che garantisce un continuo afflusso di denaro proveniente da tutta una serie di racket criminali, donazioni, tasse, estorsioni e altri sistemi. Al punto che sia i funzionari americani che quelli afgani ritengono praticamente impossibile bloccare le fonti di finanziamento del movimento. I funzionari dell’amministrazione Obama sostengono che la maggior parte del denaro liquido di cui dispongono i taliban, che un tempo si riteneva facessero prevalentemente affidamento sulla produzione di oppio in Afghanistan per finanziare le loro operazioni, provenga non dalla droga ma dalle donazioni straniere. Secondo una recente stima della Cia i leader taliban e i loro alleati avrebbero ricevuto l’anno passato 106 milioni di dollari da donatori residenti in Paesi diversi dall’Afghanistan. Negli ultimi dieci anni il ministero del Tesoro degli Stati Uniti e il Consiglio di sicurezza Onu hanno compilato liste nere finanziarie di sospetti donatori di Al Qaeda e dei taliban. La lista dell’Onu, che aveva all’inizio lo scopo di indurre i taliban a consegnare il capo di Al Qaeda, Osama bin Laden, impone a tutti i membri delle Nazioni Unite di congelare i patrimoni dei taliban e dei loro sostenitori. Le liste nere dell’Onu e del ministero Usa del Tesoro si sono notevolmente arricchite dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001. Tuttavia dal 2005 solo pochissimi presunti benefattori dei taliban sono stati aggiunti alle liste. Secondo alcuni funzionari americani e taliban il governo degli Stati Uniti, che era stato in prima fila nel fornire all’Onu i no- L minativi da inserire nella lista nera, avrebbe fatto meno attenzione ai donatori taliban dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003. Fino a poco tempo fa Washington si preoccupava anche di approntare sanzioni contro persone fisiche e società che facevano affari con il governo iraniano. Richard Barrett, coordinatore dell’equipe dell’Onu per il monitoraggio di Al Qaeda e dei talebani, ha detto che i simpatizzanti dei taliban sono molto più abili nel mascherare le donazioni e nell’impedire che seguendo la pista del denaro si possa arrivare fino a loro (...). A luglio Richard C. Holbrooke, rappresentante speciale per l’Afghanistan e il Pakistan dell’amministrazione Obama, ha dichiarato che i taliban ricevono la maggior parte dei finanziamenti da donazioni provenienti dall’estero, in particolare dall’area del Golfo Persico. Altri funzionari americani hanno osservato che i taliban ricevevano grossi aiuti finanziari dai Paesi del Golfo già negli anni ’90 quando l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi – unitamente al Pakistan – erano le sole nazioni ad aver riconosciuto sul piano diplomatico il governo taliban. Secondo i funzionari americani non vi sarebbero prove che Arabia Saudita, Emirati Arabi o altri Paesi del Golfo Persico stiano fornendo aiuti ufficiali ai taliban. Gli Stati Uniti sospettano invece che membri dei servizi e delle forze armate del Pakistan stiano continuando a finanziare l’insurrezione afgana, sebbene il governo di Islamabad smentisca. Con il consolidarsi dell’insurrezione, i taliban e i loro alleati hanno adottato una strategia cara alle multinazionali: la diversificazione (...). In un rapporto sulla situazione del conflitto, il generale Stanley A. McChrystal, comandante delle forze Usa e Nato in Afghanistan, scriveva un mese fa che le capacità dei taliban di reperire risorse finanziarie rendeva difficile il compito di indebolire il movimento. (...) Secondo quanto affermano funzionari americani, è difficile una stima affidabile del flusso di denaro che arriva ai taliban proprio in quanto l’insurrezione è un movimento decentrato con molte fazioni e numerosi co- Gli Usa hanno creato una speciale unità investigativa mandanti. Si ritiene però che ogni anno affluiscano nelle casse dei taliban centinaia di milioni di dollari. denaro proveniente dal narIprimo cotraffico – l’Afghanistan è il produttore di oppio al mondo – garantisce tuttora un sostegno cruciale alle operazioni dei taliban, in particolare nelle province del sud dove i papaveri da oppio crescono in abbondanza, dicono i funzionari americani. Le forze armate americane hanno calcolato che i taliban raccolgono 70 milioni di dollari l’anno dai contadini che coltivano papavero e dai narcotrafficanti. L’ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e la criminalità, che monitorizza la pro- Alcuni Taliban afgani ( FOTO ANSA) duzione di oppio, aveva calcolato in un primo tempo che i taliban e i loro seguaci ricavavano qualcosa come 400 milioni di dollari l’anno dal narcotraffico. L’Ufficio in seguito ha rivisto al ribasso la cifra portandola a circa 100 milioni di dollari. “La comunità internazionale e gli americani si sono fatti delle illusioni negli ultimi sette anni sostenendo che tutte le risorse dei taliban provenivano dalla droga”, sostiene Waheed Mojda, già figura di spicco del ministero degli Esteri taliban prima dell’invasione dell’Afghanistan guidata dagli Stati Uniti verso la fine del 2001. I comandanti taliban finanziano le loro operazioni sempre più attraverso una varietà di forme di estorsione, afferma- Lisbona: dopo il sì irlandese, ora tocca a Praga Con oltre il 65% al referendum riparatore, pace fatta tra Dublino e Bruxelles di Gianni Marsili Parigi adesso tocca a Varsavia, Praga e soprattutto LonEcondra. La via crucis del Trattato di Lisbona non è finita il sospirato sì degli irlandesi. Il risultato del referendum riparatore di venerdì scorso (nel giugno 2008 aveva vinto il no) è senza appello: un sì convinto, oltre il 65%. L’Europa ritrova così la cara figliola chiamata Irlanda, alla quale tante attenzioni (e stanziamenti) aveva dedicato, per ritrovarsela poi ribelle egoista e pure ingrata. Pace fatta, dunque, tra Dublino e Bruxelles. Tanto più che il sì degli irlandesi dovrebbe togliere di mezzo, in teoria, anche l’ostacolo polacco. Il presidente Lech Kaczynski, euroscettico della più bell’acqua, aveva infatti preso un impegno, quantomeno verbale: di firmare il Trattato qualora l’avesse firmato l’Irlanda. Altrimenti avrebbe giocato la sua partita più atlantista che europeista, più nazionalista che comunitaria. Staremo a vedere, perché l’uomo è imprevedibile e si muove innanzitutto sul filo dei giochi interni. Ma ancor più imprevedibile è il suo omologo céco, Vaclav Klaus. Considera l’Unione europea alla stregua dell’Unione sovietica che invase il suo paese nel ’68, tanto da definirsi “dissidente europeo”. La sua fibra nazionalista e la sua fede liberista sono leggendarie. Ha avuto modo di esprimerle nel primo semestre di quest’anno, quando alla Repubblica céca è toccata in sorte la presidenza dell’Ue: esordì rifiutando di issare la bandiera stellata sui pennoni del castello di Praga, e continuò sulla stessa linea. Considera il Trattato di Lisbona come una iattura, e non sa che farsene di un presidente dell’Unione stabile e non più a rotazione, né di un suo vice che sia l’agognato ministro degli Esteri comunitario. Insomma, per quel che lo concerne il famoso “numero di telefono” europeo, uno al posto dei 27 attuali, non ha ragion d’essere. Ecco allora, dopo il sì irlandese, che per Klaus diventa essenziale prender tempo. Come fare? Per esempio favorendo un nuovo ricorso costituzionale, come quello presentato recentemente da un gruppo di senatori amici suoi: non solo contro Lisbona, ma anche contro il Trattato di Roma, atto fondativo, e quello di Maastricht. Vorrebbe tirare in lungo la questione almeno fino alle elezioni britanniche del 2010. Se vincessero i tory, com’è più che probabile, ecco che per Klaus diventa possibile un estenuante gioco di sponda. David Cameron si è già espresso formalmente: “Se nel prossimo maggio il Trattato dovesse essere ancora in discussione, noi fisseremo una data per un referendum nel corso della campagna elettorale, e l’organizzeremo subito dopo il voto. E io sarò paladino del no”. Un no che in Gran Bretagna, per usare un eufemismo, partirebbe favorito. A quel punto il povero Trattato di Lisbona sarebbe di nuovo in alto mare, e l’Unione con lui, pronta ad affondare. Accade quindi che le sorti del Trattato siano nelle mani del professor Pavel Rytchetsky, presidente della Corte costituzionale céca. Di sentimenti europeisti, Rytchetsky ha già detto di voler esaminare “entro un mese” il ponderoso ricorso presentato dagli amici di Vaclav Klaus, privandolo quindi dell’arma del rinvio fino alle elezioni britanniche. E allora forza Pavel, prima che ci ritroviamo ad andare ognuno per conto nostro. no i funzionari americani e afgani. Molti leader dell’insurrezione impongono una “tassa” agli afgani del luogo oppure pretendono una percentuale dai contrabbandieri di pietre preziose, legname o antichità. In Afghanistan si sono rivelati remunerativi anche i sequestri di persona. n’altra notevole fonte di deUdanno naro sono le estorsioni a dei subappaltatori afgani o occidentali costretti a pagare la “protezione” per portare a termine i progetti di ricostruzione e sviluppo, sempre stando a quanto affermano i funzionari americani e afgani. “I taliban sanno di non poter dipendere da una sola fonte”, dice Hekmat Karzai, direttore del Centro per i conflitti e gli studi sulla pace di Kabul. “Qualunque fonte potrebbe teoricamente venire meno da un momento all’altro”. Quest’anno il governo degli Stati Uniti ha creato una speciale unità investigativa chiamata “Afghan Threat Finance Cell” che, sulla falsariga di una analoga unita’ in Iraq, raccoglie informazioni sui talebani a scopo di polizia e di intelligence. L’unità ha in forza circa 24 agenti distaccati dalla Drug Enforcement Administration (Dea), dal Comando centrale Usa, dal ministero del Tesoro e dalla Cia. Presto anche agenti dell’Fbi dovrebbero entrare a far parte della speciale unità. Kirk E. Meyer, un funzionario della Dea che dirige le operazioni dell’unità in Afghanistan, chiarisce che la missione consiste nel capire in che modo l’insurrezione guidata dai taliban finanzia le sue attività e nel tentare di ostacolare il flusso di finanziamenti. (...). L’Afghanistan, dove ci sono pochissime banche, non ha un sistema finanziario moderno. Gli strumenti cui comunemente si ricorre per combattere il riciclaggio, quali il congelamento dei conti correnti o il monitoraggio dei trasferimenti di denaro per via elettronica, sono praticamente inutili, sostengono i funzionari americani. La maggior parte dei trasferimenti di denaro in Afghanistan viene realizzata con il sistema hawala, una rete di dealer finanziari che in genere non conservano documentazione sui loro clienti. Con l’aiuto dei funzionari americani, il governo afgano ha cominciato a disciplinare per la prima volta l’attività dei dealer che trasferiscono denaro con il sistema hawala (...) Alcuni dealer che operano con il sistema hawala sono divenuti informatori e, di conseguenza, comunicano alle autorità i trasferimenti sospetti o insolitamente ingenti. Abituati al tradizionale anonimato garantito dal sistema hawala, quanti appoggiano i taliban talvolta indicano negli ordini inviati ai dealer che il trasferimento di denaro è in pagamento di “eroina” o di “cinque veicoli per il comandante taliban tal dei tali”, spiega un alto funzionario di polizia americano (...) I taliban e i loro seguaci spostano anche notevoli quantità di denaro contante a mezzo corrieri, sia in Afghanistan che all’estero, affermano i funzionari afgani e americani. Alle reclute straniere che arrivano in Pakistan per frequentare i corsi di addestramento nei campi gestiti dai taliban viene chiesto sempre di portare 10.000 dollari in contanti, afferma il funzionario di polizia americano. A Washington il governo americano ha recentemente istituito un gruppo con il compito di mettere a punto una strategia per ridurre l’afflusso di denaro ai taliban. La Illicit Finance Task Force è diretta dal ministero del Tesoro Usa, ma è composta da personale proveniente da diverse istituzioni pubbliche. “Ci stiamo occupando della questione con grande urgenza e stiamo compiendo uno sforzo notevole per smantellare in maniera piu’ efficiente led reti che finanziano i taliban”, dice David S. Cohen, sottosegretario del ministero del Tesoro con delega al finanziamento del terrorismo. Copyright Wasihington Post Traduzione di Carlo Antonio Biscotto Domenica 4 ottobre 2009 pagina 9 Dalla corruzione dei giudici alla guerra di Segrate N LODO MONDADORI el 1989 Carlo De Benedetti sigla un accordo con gli eredi MondadoriFormenton che si impegnano a vendergli la loro quota della casa editrice Mondadori. Silvio Berlusconi si intromette nella trattiva e stipula un nuovo accordo con i Formenton. La questione viene rimessa a un collegio arbitrale, che nel 1990 decide a favore dell’ingegnere. L’arbitrato però viene ribaltato da un collegio di giudici nel quale, in qualità di relatore, c’era Vittorio Metta. Nell’aprile del 1991, per limitare i danni dopo questa decisione avversa, la Cir di De Benedetti accetta un compromesso elaborato dal finanziere andreottiano Giuseppe Ciarrapico. Cir paga a Fininvest un conguaglio di 365 miliardi di lire. La “guerra di Segrate” si chiude con la Mondadori che va a Berlusconi, mentre a De Benedetti resta il quotidiano “Repubblica”, il settimanale “L’espresso” e i quotidiani locali. Nel 2007 la Cassazione certifica definitivamente che il giudice Metta, quello che aveva deciso a favore di Berlusconi, era stato corrotto da Previti e sodali nell’interesse della Fininvest e di Berlusconi (che nel 2001 verrà prescritto). Condannati invece gli avvocati Cesare Previti, Giovanni Accampora e Attilio Pacifico. La Mondadori, però, resta a Berlusconi. Berlusconi deve pagare 750 milioni Il tribunale stabilisce i risarcimenti che Fininvest deve versare a Cir per il lodo Mondadori De Benedetti (FOTO EMBLEMA) di Peter Gomez ltro che libera concorrenza. Altro che libero mercato. Negli anni Ottanta le aziende del premier Silvio Berlusconi facevano fuori gli imprenditori avversari pagando mazzette. Dietro l’impetuoso sviluppo del più grande gruppo multimediale italiano c’è infatti un’impressionante storia di corruzione giudiziaria che ha permesso al presidente del Consiglio di mettere le mani sulla Mondadori. E’ questo il senso politico della sentenza con cui, ieri mattina, il giudice Raimondo Mesiano della decima sezione civile del tribunale d Milano, ha stabilito che Fininvest risarcisca la Cir di Carlo De Benedetti con quasi 750 milioni di euro. Una decisione meditata, che arriva ad oltre due mesi e mezzo dalla chiusura dell’istruttoria e a quasi tre anni dal verdetto con cui, in sede penale, la Corte di Cassazione aveva reso definitive le condanne contro gli avvocati del Cavaliere, Cesare Previti, Giovanni Acampora e Attilio Pacifico, colpevoli di aver corrotto, il giudice di Roma Vittorio Metta. Cioè uno dei magistrati che nel 1991, con una storica decisione, avevano tolto la casa editrice di Segrate dalle mani di De Benedetti per metterla in quelle di Berlusconi. Metta infatti era relatore della causa con cui gli avvocati del Cavaliere avevano chiesto lo scioglimento di un precedente A lodo che assegnava la casa editrice di “Panorama” all’Ingenere. Dietro la decisione di Metta, che allora tutti gli osservatori avevano considerato del tutto imprevista, però, c’erano le tangenti. “Almeno 400 milioni di lire” incassati dal magistrato per scrivere delle motivazioni ricopiate di sana pianta da una “minuta” poi ritrovata durante una perquisizione nello studio dell’avvocato Pacifico. Già in sede penale era stato stabilito che il mandante dell’in- tera operazione, destinata a mutare profondamente gli equilibri nel mondo dell’informazione, era Silvio Berlusconi. Il Cavaliere non era infatti finito sotto processo solo perchè salvato dalla prescrizione. A pagare erano stati così solo gli avvocati, gli esecutori materiali del delitto. Nel luglio del 2007 la Corte di Cassazione, rendendo definitive le condanne di Previti &C., aveva aveva riconosciuto alla Cir il diritto a ottenere un risarcimento per i Giancarlo Foscale, si è così giocata non solo sulla ricostruzione dell’accaduto ma anche e soprattutto sulla quantificazione del danno. Dopo la sentenza Metta del ‘91, tra Berlusconi e De Benedetti, era stato raggiunto un nuovo accordo propiziato dall’intervento dell’attuale deputato del Pdl (ma allora uomo di Giulio Andreotti), Giuseppe Ciarrapico. La Dc, preoccupata che Berlusconi, legato al segretario del Psi Bettino Craxi, si ritrovasse in ma- IL BISCIONE L’IMPATTO SUI CONTI FININVEST di Marco Lillo rutte notizie per la famiglia Berlusconi. Tutto l’utile Bfamiglia accumulato negli ultimi tre anni dalla cassaforte di grazie alle società controllate dovrà infatti essere girato all’ingegnere Carlo de Benedetti. La Fininvest nell’ultimo bilancio depositato, quello del 2008, dichiara infatti un utile di 748 milioni di euro, quasi esattamente la somma che il Tribunale civile di Milano ha ordinato di risarcire alla Cir di De Benedetti, ma si tratta del margine lordo. Al netto delle imposte, l’utile reale, quello che entra nelle tasche degli azionisti, è stato pari a 135 milioni di euro nel 2008, contro i 365 milioni del 2007 e i 316 milioni del 2006. La crisi si è fatta sentire anche sui conti floridi delle società del Cavaliere che hanno faticato un po’ di più del solito a racimolare pubblicità e vendere libri, polizze e biglietti. La Fininvest è infatti la holding che controlla le società quotate in borsa, Mondadori, Mediolanum e Mediaset (oltre al Milan) e che riceve ogni anno gli utili distribuiti al livello inferiore dalle affiliate. La causa persa non avrà quindi alcun effetto diretto sui conti delle società ope- QUESTIONI DI BORSA IL NODO DELL’EREDITA’ attuale struttura dell’impero della famiglia Berlusconi si giustifica con ragioni diverse da quella della massimizzazione dell’efficienza e dei profitti. Secondo molti analisti, Berlusconi dovrebbe fondere Mondadori e Mediaset in Fininvest, che poi andrebbe quotata. La liquidità che oggi viene immobilizzata a monte della catena di comando, cioè nella holding, verrebbe così messa a disposizione delle due società industriali che potrebbero usarla per espandersi (visto che una maggiore dote finanziaria consentirebbe anche di trovare L’ danni morali e patrimoniali patiti. Le parole della Cassazione aprivano la strada alla causa civile, sottolineando «tanto il danno emergente quanto il lucro cessante, sotto una molteplicità di profili relativi non solo ai costi di cessione della Mondadori, ma anche ai riflessi della vicenda sul mercato dei titoli azionari». Per mesi la causa, che ha visto sfilare sul banco dei testimoni big della Fininvest, come Fedele Confalonieri e il cugino di Berlusconi, maggiori finanziamenti). Ma c’è un problema: l’attuale assetto è funzionale a congelare tutto in attesa di una definitiva spartizione tra gli eredi berlusconiani. O meglio, tra i due rami della famiglia (Piersilvio e Marina da una parte, Barbara, Eleonora e Luigi dall’altra). Nel 2005 Berlusconi ha ripartito le quote delle holding proprietarie di Fininvest tra i figli, ma ha mantenuto per sé quella di controllo. Ogni evento che colpisce Fininvest, quindi, intacca la stanza di compensazione che è garanzia della pace familiare. Almeno per ora. rative ma sarà un colpo durissimo sulla capogruppo e i suoi azionisti che dovranno mettere mano al portafoglio. I soci di Fininvest (dopo una riorganizzazione che ha sfoltito la catena di controllo eliminando le famose - e misteriose - “holding prima”, “holding seconda”, e via così fino alla ventiduesima e oltre) sono Silvio Berlusconi in persona, con il 61 per cento circa e poi i cinque figli. Piersilvio e Marina con una quota del 7,8 per cento circa e i figli avuti con Veronica Lario (Luigi, Eleonora e Barbara) con il 7,1 per cento circa. La condanna al pagamento dei danni per una vicenda vecchia di 18 anni giunge come un fulmine su un cielo in verità tutt’altro che sereno. La separazione tra Veronica Lario e Silvio Berlusconi avrà certamente una ricaduta patrimoniale sull’assetto della Fininvest. Gli avvocati stanno discutendo su come attribuire le quote agli eredi e ora ci si mettono i giudici di Milano a complicare le cose. La sentenza del Tribunale in realtà è esecutiva ma la Fininvest ricorrerà in appello chiedendo la sospensione dell’esecuzione. Di fronte a una somma così grande e a una questione così delicata, è plausibile che la Corte la conceda. Resta il fatto che all’improvviso nel bilancio della società di Silvio Berlusconi e dei figli comparirà un debito, che se pure non immediatamente esigibile, avrà un impatto drammatico sui conti. Il 6 aprile del 2004, quando ha ricevuto la notifica dell’azione di risarcimento da parte della Cir di De Benedetti, per 468 milioni di euro, proprio per la questione della corruzione sulla sentenza che influenzò in modo determinante la contesa sul gruppo Espresso-Mondadori, Fininvest fece spallucce. Con un comunicato stizzito, il Biscione, il 15 luglio del 2004 rese noto alla comunità finanziaria che nel suo bilancio non aveva effettuato alcun accantonamento poiché riteneva “l'azione, in linea di fatto, basata su una ricostruzione non corrispondente al reale svolgimento della vicenda e, in linea di diritto, totalmente infondata”. Alla luce della sentenza appena depositata, quella scelta si è rivelata infelice. Dopo il 2004, in realtà non erano mancati i campanelli di allarme per gli amministratori. In particolare la sentenza del 2007 che condannava Previti e sodali per la corruzione giudiziaria nell’interesse del gruppo Berlusconi. “Il Fatto Quotidiano” ha chiesto a Fininvest se, dopo la sentenza penale, la holding avesse effettuato l’ accantonamento prudenziale. Il portavoce del gruppo, contattato in serata, ha replicato di non essere in grado di rispondere in poche ore a questa domanda. no di fatto tutta l’editoria italiana, dalle tv private fino ai giornali, aveva fatto sentire il suo peso. E alla fine Berlusconi aveva restituito a De Benedetti “L’espresso”, “La Repubblica” e un gruppo di quotidiani locali. Oggi in casa Cir, ovviamente, c’è euforia. La società che è ancora impegnata per ottenere pure il risarcimento dei danni non patrimoniali, con un comunicato, “esprime soddisfazione” per la decisione del giudice civile, che dopo quello penale, “porta luce su una vicenda che ha inflitto un enorme danno a carico di Cir, ferendo al contempo fondamentali valori di corretto funzionamento del mercato e delle istituzioni”. De Benedetti invece rimpiange la grande occasione perduta più di 18 anni fa. “La sentenza”, dice, "non mi compensa per non aver potuto realizzare il progetto industriale che avrebbe creato il primo gruppo editoriale italiano, ma stabilisce in modo inequivocabile i comportamenti illeciti che l'hanno impedito”. Come dire: se Berlusconi e i suoi avvocati non avessero tenuto in pugno molti giudici di Roma versando tangenti estero su estero, o foraggiandoli con bustarelle cash, la storia sarebbe stata diversa. I 750 milioni in contanti che Cir incasserà presto, a meno che il prevedibile appello della Fininvest con richiesta di sospensiva immediata, abbia successo, sono comunque in grado di dare una bella spinta al business dell’Ingegnere, proprio in un momento in cui i conti del Gruppo Espresso sono in grande difficoltà per il crollo dei mercati pubblicitari. Silvio Berlusconi, invece, almeno fino alle otto di sera tace. La causa civile è stata una battaglia di memorie, scandita da pochissime testimonianze: oltre ai big berlusconiani in aula si sono visti Ciarrapico, Corrado Passera (all’epoca collaboratore di De Benedetti) e l’avvocato Sergio Erede. Inizialmente gli avvocati di De Benedetti, Elisabetta Rubini e il professor Vincenzo Roppo, avevano quantificato il danno in 468 milioni di euro che, una volta rivalutati con gli interessi, sarebbero diventati circa un miliardo. Poi le pretese sono scese. Ma di poco. Domenica 4 ottobre 2009 pagina 12 INTOLLERANZA Bambino immigrato, tu sia discriminato Dalle cure odontoiatriche alle case negate ai sinti: le azioni dei comuni leghisti contro i figli degli stranieri di Elisabetta Reguitti asfar Khadija oggi ha 25 anni. Vive in Italia da quando ne aveva 11. È di origine marocchina, lavora come cassiera in un supermercato. È mamma di Amal, che significa ‘speranza’, nata l’11 novembre del 2008. Noor Tajallilhan di anni ne ha 32, è arrivato in Italia dal Pakistan nel 2001. Prima è stato a Reggio Calabria, poi si è trasferito a Brescia dove lavora come operaio a cottimo per un'impresa edile. Ha due bambini: Zulfaqar nato il 17 luglio 2008 e una neonata di sole due settimane. Lasfar si sente perfettamente integrata e dice, parlando della sua bambina, che il suo Paese è quello in cui ha aperto gli occhi per la prima volta. Noor invece confessa di sentirsi “come se stesse nuotando in mare aperto senza vedere terra”. Lasfar ha capelli corvini raccolti in una piccola crocchia. Una sottile linea di Kajal valorizza gli occhi neri. Noor tiene stretta una borsa nera all'interno della quale custodisce carte, fotocopie, buste di raccomandate. Il suo viso è magro, gli occhi sono scuri e profondi. Sorride poco. Lasfar è loquace, dice di stare bene in Italia e che vuole che sua figlia abbia la possibilità di vivere qua. Noor parla meno. È arrabbiato. Ma lo dice sottovoce. Sta lavorando poco a causa della crisi nell'edilizia e il suo datore di lavoro gli deve oltre 8 mila euro di stipendi arretrati. Lasfar parla di pannolini e latte in polvere. Noor di un pallone e dei giochi che vorrebbe comprare a Zulfagar. L Cosa accomuna Lasfar e Noor? Entrambi, insieme ad altre due famiglie di nazionalità straniera, hanno vinto la causa intentata contro il Comune di Brescia contestando l'assegnazione del ‘bonus bebè’ da mille euro per i neonati del 2008. Un bonu solo per italiani. Nella loro battaglia legale, patrocinata dall'avvocato Alberto Guariso dello studio Polizzi-Guariso di Milano, sono stati affiancati dalla Cgil di Brescia e dall’Asgi (associazione studi giuridici sull'immigrazione). La scelta politica del bonus "nazionalista" era stata, a suo tempo, già definita dal Tribunale del lavoro come discriminatoria. Nonostante la sonora sconfitta politica inferta all'Amministrazione comunale, le cose per i quattro cittadini stranieri non sono ancora cambiate. moci di 50 chilometri. Siamo a Brignano Gera d'Adda. Nella località bergamasca scopriamo invece come il sindaco Valerio Moro, oltre a istituire un fondo anticrisi a sostegno dei cittadini brigagnesi (ovvero per i soli cittadini italiani) abbia ben pensato anche di deliberare contributi per spese dentistiche e oculistiche per ragazzi tra gli zero e i 19 anni anni. Un contributo del 50% della spesa sostenuta, con un limite di mille euro. Il primo cittadino leghista però si è premurato di inserire un piccolo dettaglio: cittadinanza italiana dei ragazzi richiedenti il contributo. Ergo: gli stra- Sopra, una mamma accompagna il suo bambino a scuola. Sotto, un raduno di leghisti (FOTO ANSA) nieri, se non hanno i soldi per pagare il dentista, si tengano le carie. Quello che emerge è insomma una chiara volontà di attuare scelte di fatto discriminatorie. Azioni di governo locale adottate secondo logiche che vanno nella direzione "di sostenere qualcuno" ma che in realtà penalizzano altri. La fantasia di talune amministrazioni comunali in questo senso si rivela addirittura fervida. Soprattutto quando si parla di bambini stranieri. Ovvero, secondo dati del 2007, circa 700.000. Minori nati in stanno ancora aspettando i mille euro che il Comune dopo ben cinque sentenze "contro" ha deciso di sospendere a tutti. Nonostante l'invito a "cessare immediatamente il comportamento discriminatorio e ritorsivo posto in essere dal Comune", come aveva stabilito il giudice del lavoro, Lasfar e Noor aspettano ancora. Il prossimo 3 dicembre al Tribunale spetterà il giudizio sul ‘reclamo di merito’ rispetto alla delibera di revoca del bonus. In altre parole, un giudizio sull’opinabile scelta adottata dall'amministrazione comunale. Lasciamo per un attimo la storia di Lasfar e Noor e spostia- Gli sprechi di Firenze e i progetti rimasti al palo Renzi rivede le scelte dell’ex sindaco Domenici, ma il conto per la città è molto salato Un gigante domina la periferia nord della città. Costa (molFturairenze. to), ma è ancora vuoto. Nonostante la parte principale della strutsia pronta da più di un anno e mezzo. È il nuovo Palagiustizia di Firenze, un castello da 130 mila metri quadri “orribile - come lo ha definito l’attuale assessore alla Cultura, Giuliano Da Empoli - che soltanto per manutenzione e climatizzazione dei locali vuoti si è già mangiato oltre 750.000 euro. Soldi pubblici che vanno aggiunti ai 4 milioni annui di affitti pagati per le quindici sedi sparse ancora nel centro storico. Tra tribunale, uffici giudiziari, aule delle udienze e l’archivio di Prato. La prima pietra fu posata nel 2001. Nove anni e due sindaci dopo rimane da ultimare il secondo lotto, che ospiterà la Procura della Repubblica. Il resto c’è già. Ma i rinvii per i trasferimenti ormai non si contano più. Mancano gli arredi e il sistema di sicurezza, per cui sono serviti circa 12 milioni di euro. Dal Ministero della giustizia sono arrivati 7 milioni per i mobili. Anche se Alfano, lo scorso aprile in visita a Firenze, aveva detto di recuperare mobili e sedie dalle vecchie sedi: “è importante salvare il riutilizzabile”. A luglio sono arrivati da Roma anche l’ok al “progetto sicurezza” e gli ultimi 5 milioni di euro necessari. Se tutto adesso filerà liscio, nel giugno del prossimo anno “potrebbe esser chiuso il discorso degli arredi, ma non posso darlo per certo”, dice l’architetto Alberto Migliori, re- Italia da genitori stranieri che però, in base al principio del cosiddetto ‘ius soli’ non acquisiscono la cittadinanza italiana per nascita sul territorio nazionale. distinguo dunque tra bamInelbini italiani e stranieri è befarlo subito. Fin dai primi anni di vita. Un altro esempio? La residenza negata, nel comune di Chiari (provincia di Brescia) a 5 bambini (rom sinti) nati in Italia. Si tratta di una lunga vicenda diventata un caso politico dopo che l'onorevole Furio Colombo, dai banchi della Camera, l'aveva denunciata. Ma non è cambiato nulla. Ci sono 5 bambini che hanno una colpa. Quella di essere nomadi sinti nati in Italia. A Cristina (14 anni), Michele (11), Luca (8), Anastasia (4 anni) e Mattia nato il 12 dicembre 2007 viene negata la residenza. Questi 5 fratelli insieme ai genitori sono, di fatto, dei fantasmi. Non esistono. O meglio, esistono per il dirigente scolastico e gli insegnanti delle scuole che li hanno accolti garantendo loro la possibilità di istruirsi, ma non esistono per l'Amministrazione comunale di Chiari guidata dal sindaco leghista, il senatore Sandro Mazzatorta. Che nell'agosto del 2006 ha consegnato l'ingiunzione di assieme ad altri 417 Inenfatti, stranieri e 630 italiani (che hanno fatto richiesta poi) di Giampiero Calapà Gli aiuti economici: un diritto per ‘noi’ e un optional per ‘loro’ sponsabile dei lavori per il Comune di Firenze. E la spesa continua a correre a vuoto. E dire che per l’ex sindaco, Leonardo Domenici (ora europarlamentare), questa è stata una delle partite più importanti. Partita giocata con l’assessore Paolo Coggiola, dei Comunisti italiani, poi invitato dai vertici del suo partito a lasciare la Giunta, in seguito al ciclone dell’inchiesta Castello-Fondiaria Sai, che ha sconvolto la politica fiorentina. Fuori dal governo di Firenze, Coggiola rientrò alla corte del Leonardo con lo specifico compito di occuparsi del Palagiustizia. Una consulenza da 20.000 euro per 4 mesi. Nel frattempo in città molte cose sono cambiate, il nuovo sindaco Matteo Renzi ha rimescolato tutte le carte, ritornando indietro su diverse decisioni prese dal predecessore, anche a costo di pagare prezzi alti: ad esempio i 62 milioni di euro per la realizzazione di un cavalcavia destinato all’Alta velocità, già in costruzione, ma che forse si rivelerà inutile. Renzi non è convinto che per la stazione dei supertreni il luogo più idoneo sia l’estrema periferia a nord, ritenendo più adeguato il quartiere di Campo di Marte. Ripensamenti che stanno squarciando il Pd fiorentino, con il segretario Giacomo Billi che lascia l’incarico dopo aver “vissuto con imbarazzo” queste inversioni di rotta tanto da arrivare ad ammettere che “con la vittoria di Renzi si è esaurito il mio ciclo alla guida del partito”. Mentre tra i consiglieri comunali c’è chi dice di non poterne già più. Perchè per il nuovo Sindaco, il gruppo consiliare e il Pd non esistono. UNIVERSITÀ sgombero di questa e altre 4 famiglie dal campo nomadi costruito nel 1990 dalla precedente amministrazione. È bene precisare quindi che la vicenda di vita di questi bambini non è ambientata nei campi nomadi abusivi che il ministro degli interni Roberto Maroni intende smantellare e per i quali l'attuale Governo applica la linea della ‘tolleranza zero’. Non è così. Questa famiglia, fino al 2004, era residente in un'area sulla quale la precedente Amministrazione comunale (nel 2001) mediante un finanziamento regionale aveva collocato in 5 casette. E tornando ancora ai bonus bebè di Brescia è da segnalare che, tra le motivazioni della delibera, era previsto che ciascuno potesse godere dei servizi per ‘gruppi sociali’ e a seconda delle proprie esigenze: agli stranieri vengono forniti i corsi di lingua italiana per imparare l'italiano e agli italiani il bonus bebè perché hanno l'esigenza di fare più figli. A questo, va annotato l'originale passaggio in cui si dice che solo gli italiani “considerano l'agio sociale quale presupposto della maternità o paternità”. Come a dire che gli stranieri fanno bambini anche se sono poveri. Perciò è inutile dar loro soldi. di Silvia D’Onghia QUEI CERVELLI CHE NON DEVONO RIENTRARE N on tutti i cervelli dovrebbero rientrare in Italia, uno in particolare avrebbe fatto meglio a rimanere a Ulanbaator, in Mongolia. È il caso del professor Aldo Colleoni, rinviato a giudizio con le accuse di falso, truffa e abuso d’ufficio, insieme al rettore dell’Università di Macerata, Roberto Sani, e al preside della Facoltà di Scienze della formazione, Michele Corsi. Nel 2006 Colleoni era stato richiamato dalla Mongolia ed era stato assunto dall’Ateneo maceratese, con “idoneità accademica di pari livello”. L’Università, inoltre, proprio in relazione alla sua assunzione, aveva stipulato una convenzione da 800.000 euro con una società bolognese. Peccato che il Tar del Lazio abbia poi scoperto che la Zokhiomj University sia un’istituzione per nulla equiparabile alle università italiane. Ben tornato, professore. pagina 13 Domenica 4 ottobre 2009 RICERCA RIDARE LA VISTA AI CIECHI Con la proteina scoperta dalla Montalcini, un’equipe di italiani cerca di curare il glaucoma di Massimo Fini er resuscitare un morto a Cristo fu sufficiente dire: "Lazzaro, alzati e cammina". Per ridare la vista a un cieco dovette farne di tutti i colori: sputò per terra, impastò la sua santa saliva col fango, spalmò questo impasto sugli occhi del cieco e gli disse di andare a lavarsi in una particolare piscina, quella di Siloe (Giovanni, 9). Restituire la vista ai ciechi è sempre stato un sogno impossibile dell'umanità. Adesso un gruppo di scienziati e ricercatori romani è vicino a questo miracolo che mise in qualche difficoltà anche Cristo. Anzi l'hanno realizzato, almeno parzialmente, su due pazienti malati di glaucoma, una necrosi del nervo ottico che è la causa principale di cecità. Hanno sperimentato su tre pazienti in fase terminale della malattia, cioè praticamente ciechi, l'Ngf (Nerve Grow Factor), la proteina scoperta dalla Montalcini per la quale la Senatrice a vita prese il Nobel nel 1986. In due di questi casi il campo visivo è migliorato in maniera rilevante. Per realizzare questo “miracolo” si sono messe insieme competenze e Istituti diversi. Sotto la supervisione della Montalcini hanno lavorato il dottor Luigi Aloe dell'Istituto di neurobiologia del Cnr, Stefano Bonini e Alessandro Lambiase del Campus Biomedico (una struttura modello alle porte di Roma) e il professor Bucci dell'Università di Tor Vergata, forse il massimo esperto italiano di glaucoma. Rispetto a quanto pubblicato dalla prestigiosa rivista americana Pnas l'esperimento degli scienziati italiani non ha avuto (forse per motivi prudenziali), a mio parere l'eco che merita. E di fatto, al momento, questi studi sono in fase di stallo. Per capire qualcosa di più sono andato a intervistare uno dei protagonisti, il professor Stefano Bonini. Una decina di anni fa venni a intervistare lei e il pro- P fessor Bucci, quando eravate appena agli inizi di questa avventura... Allora avevamo trattato con l'Ngf in collirio dei pazienti con delle ulcere corneali neurotrofiche, ulcere che si determinano per mancanza di innervazione. I risultati sono stati a dir poco miracolosi: una riparazione totale della cornea. Da qui nacque l'ipotesi di lavorare anche sul nervo ottico, anche se indubbiamente le fibre nervose della cornea sono meno complesse e quindi il lavoro si presentava molto più difficile. Oltretutto la cornea è all'esterno dell'occhio, il nervo all'interno. Come si fa a raggiungerlo, e con un collirio poi? ché l'occhio è comunque una derivazione del sistema nervoso centrale. Quindi abbiamo indotto artificialmente nei ratti il glaucoma, che è provocato principalmente da una ipertensione dell'occhio che grava sul nervo e lo necrotizza. In quelli trattati con Ngf una parte notevole delle fibre nervose, più del 25%, era risparmiata dalla necrosi e il danno non si produceva. Qui però siamo ancora nel campo della prevenzione. Mentre nella maggioranza dei casi di glaucoma il danno c’è già stato. Ed è irreversibile: nella migliore delle ipotesi, con i farmaci attuali, si può fermarlo. Ma non si può recuperare la parte di vista che si è per- La sperimentazione è ferma: il mercato del farmaco vuole certezze, lo Stato non interviene Infatti, allora il problema era proprio questo. Si poteva pensare a delle iniezioni intraoculari per raggiungere direttamente il nervo ma c’erano rischi di complicanze. Oggi non è più così, iniezioni intraoculari si fanno quasi di routine. Ma nel 2000 la situazione era diversa. Allora abbiamo pensato di bypassare il problema iniezioni e di agire, come per la cornea, col collirio. E di vedere se era in grado di passare all'interno dell'occhio. Ovviamente lo abbiamo fatto sull'animale da esperimento, sul ratto. E com'è andata? Benissimo. Abbiamo visto che la sostanza non solo passa, attraverso la sclera, cioè la parte bianca dell'occhio, nella porzione posteriore. Ma arriva addirittura a livello cerebrale, cioè ai nuclei di base e alle cellule retiniche che sono quelle che danno inizio al processo visivo. Questo per- duta. Attualmente la terapia del glaucoma ha un solo obbiettivo perseguibile: abbassare la pressione dell’occhio. Però ci sono casi in cui, nonostante con i farmaci attuali si ottenga una buona pressione oculare, il danno progredisce lo stesso. Sono i cosiddetti glaucomi “a bassa tensione”. Sì, per i quali la terapia con l'Ngf potrebbe essere particolarmente utile perché non agisce sulla pressione ma protegge il nervo. Noi abbiamo quindi preso tre pazienti con glaucoma a lunga durata, in terapia massimale con i colliri attuali, ma la cui vista continuava a peggiorare e li abbiamo trattati con l'Ngf. In uno il glaucoma si è stabilizzato, negli altri due c'è stato un campo visivo che, da quasi completamente nero, ha cominciato ad avere ampie zone di vista. Quindi è ricresciuto il nervo ottico. Diciamo che c'è stata un'azione apparentemente rigeneratrice sul nervo ottico. E se questo dato venisse confermato sarebbe certamente una novità clamorosa. Tra l’altro il tutto è avvenuto dopo un trattamento di soli tre mesi. E quando il trattamento è stato sospeso per altri tre mesi il beneficio si è mantenuto. Del resto, non solo i nostri studi precedenti ma anche tanti studi della Montalcini dimostrano che le cellule nervose in vitro a contatto con l'Ngf ricrescono. Perché, finora, avete sperimentato solo su tre pazienti? Abbiamo usato, sotto la nostra responsabilità, la formula dell’uso compassionevole. Erano pazienti il cui campo visivo era quasi completamente andato. E quindi non avevano nulla da perdere. Diciamo così. Ma è un trattamento eccezionale e necessariamente limitato. E tre pazienti non sono uno studio clinico con tutti i crismi, con tutte le verifiche del caso. Per esempio tossicità ed effetti collaterali. Immagino che la domanda successiva sia: prché non si può iniziare a farlo? Non si può per ora. Perché l'Ngf che abbiamo usato noi è di estrazione animale e non andrà mai sul mercato così com’è. Inoltre ha costi elevatissimi, impensabili per una terapia. La soluzione è di avere un Ngf sintetico, prodotto in laboratorio. Bisognerebbe che una Biotech provvedesse a una produzione su larga scala per iniziare uno studio clinico su larga scala. È il passaggio dal prodotto di deriva- Stefano Bonini (FOTO ANSA) zione animale al sintetico che sta rallentando il programma e allungando i tempi. Perché una grande industria farmaceutica non si fionda? Il mercato, per applicare questo orribile concetto a dei malati, c'è: sono più di 500 mila in Italia. E sono destinati ad aumentare a causa dell’allungamento della vita media. Il glaucoma è una malattia che si manifesta dopo i 35, 40 anni. E allora? L'industria è prudente. Non sarebbe la prima volta che un farmaco promettente si rivela poi, alla prova dei fatti, deludente. Anche se in questo caso ci sono, come diciamo nel nostro gergo, dei razionali forti alle spalle. Forse manca un link con l'industria e mancano i finanziamenti. Siamo in una sorta di limbo fra il prodotto di derivazione animale e quello sintetico che ci è necessario per poter andare avanti. Fin qui il professor Bonini. La mia impressione è che siamo di fronte a un circolo vizioso. I costi per la produzione di un farmaco, in tutte le sue fasi fino al lancio sul mercato, sono indubbiamente elevatissimi e l'industria vuole avere la certezza che al mercato ci arrivi. Ma per avere questa certezza dovrebbe investire in studi. che altrimenti non si possono portare avanti. O dovrebbe intervenire lo Stato. Questo credo che intenda Bonini quando dice che “mancano i finanziamenti”. In Italia si tromboneggia tanto di ricerca, ma poi quando c'è un gruppo di scienziati tutti italiani, con alle spalle un premio Nobel, che ha forse trovato la chiave per salvare, o addirittura ridare la vista a milioni di persone (si stima che nel mondo i glaucomatosi siano 67 milioni), lo Stato si dà alla latitanza senza neanche valutare, cinicamente, il vantaggio d'immagine (un made in Italy scientifico) che gliene deriverebbe. I tempi, temo, saranno lunghissimi e il mezzo milione di ammalati italiani di oggi farà in tempo a morire e quelli che, grazie all'Ngf, potrebbero da domani prevenire la malattia faranno in tempo a precipitare nell'incubo del glaucoma. A Fondi, Sindaco e Giunta si dimettono: vogliono evitare lo scioglimento del Comune per mafia di Enrico Fierro dimessi per evitare lo scioglimento del Comune Sseraipersono infiltrazioni mafiose. Accade a Fondi, dove nella tarda di venerdì Sindaco e Giunta hanno gettato la spugna. “Basta, il clima è avvelenato. Non potevamo andare avanti così, abbiamo pensato di farcela ma io personalmente non reggo più questo peso, queste pressioni politiche e mediatiche, era ora di finirla". Così Luigi Parisella, Pdl, primo cittadino della città del Basso Pontino, che due inchieste (procure antimafia di Roma e Reggio Calabria) e due relazioni del Prefetto di Latina Bruno Frattasi indicano come la capitale laziale della 'ndrangheta calabrese. Venerdì il consiglio dei ministri avrebbe dovuto sciogliere il Comune, commisariarlo, riupilirlo delle troppe collusioni e indire nuove elezioni. Così non è stato. Perché Fondi è il serbatoio elettorale di Claudio Fazzone, ex poliziotto e senatore supervotato del Pdl. Un uomo che conta nel partito di Berlusconi e che nel governo vanta buone protezioni. Giorgia Meloni, Altero Matteoli, Renato Brunetta. Ministri che a vario titolo hanno legami politici con il sud Pontino. La decisione di sciogliere il Comune sarebbe arrivata la prossima settimana. Le dimissioni - nella speranza del Pdl e del senatore Fazzone - evitano la vergogna di un ‘tutti a casa’ per collusioni con la mafia. Di parere opposto Elvio Di Cesare, animatore di una delle associazioni antimafia (fa riferimento alla memoria del giudice Antonino Caponnetto) che più di tutti si sono battute contro la criminalità di Fondi e i suoi rapporti con i vertici della politica. “La procedura è ormai avviata. Decine di comuni prima di Fondi hanno ten- tato di evitare l’onta dell’esito finale rassegnando le dimissioni, ma l'istruttoria è in corso da un anno e per legge deve considerarsi conclusa con lo scioglimento per mafia”. Il gesto di Luigi Parisella, il sindaco che - come documentano le inchieste delle procure antimafia di Roma e di Reggio Calabria - avrebbe favorito gli affari dei fratelli Tripodo, era nell'aria già dai giorni che hanno preceduto il Consiglio dei ministri. “Dimettetevi e facciamola finita”, questo il consiglio arrivato dai vertici del Pdl e da settori del governo. Ormai la questione di Fondi era al centro di polemiche e manifestazioni. Non solo dell’opposizione (Pd e Idv) e delle associazioni antimafia, ma delle organizzazioni che rappresentano i prefetti che non hanno gradito gli attacchi al quello di Latina, Bruno Frattasi. E con il ministro dell'Interno Maroni, incapace di imporre la sua volontà ai suoi colleghi di governo. “La verità - dice Laura Garavini, capogruppo del Pd in Commissione antimafia - è che Maroni ha perso la faccia. Altro che passare alla storia per aver sconfitto la criminalità organizzata. Passerà alla storia come il primo Ministro dell'Interno che si è fatto prendere in giro da un gruppo di politici locali collusi con le mafie. Per di più con la complicità di molti suoi colleghi del Consiglio dei ministri. Per recuperare credibilità può solo dimettersi”. Ora la questione ritorna sul tavolo del Governo. Che dovrà decidere se indire normali elezioni a Fondi, oppure sciogliere per mafia un Comune dove la 'ndrangheta comandava. Perché forti erano i legami dei fratelli Tripodo, i figli di don Micu, uno dei boss storici della mafia calabrese, con il sindaco, col senatore Fazzone e con gli uomini del potere locale. pagina 14 Domenica 4 ottobre 2009 SECONDOTEMPO SPETTACOLI,SPORT,IDEE in & out L’ANTEPRIMA L’angelo di Ozon: favola laica per tempi difficili Violenza Polanski, nel ‘93, aveva accettato di pagare un risarcimento Annecy Ivano De Matteo con “La bella gente” vince in Francia Gino Paoli Nel “cielo” di Roma, il cantautore racconterà se stesso Olimpiadi La gioia di Rio ha visto un’appendice danese: festa a Copenaghen “Ricky”, il decimo film del regista francese, è un apologo dissacrante, originale e fantasioso sulla libertà. Lui riflette: “L’importante è l’ironia” di Malcom Pagani L a famiglia è una gabbia, un perimetro spinato dal filo di un impossibile contiguità, la periferia dell’anima che scopre al proprio interno l’opposizione congenita e annaspa in cerca di soluzioni. François Ozon, 41 anni, figlio di un biologo e di un’insegnante. Disincanto, analisi, introspezione che alle risposte, preferisce le domande. Il reale è indefinibile e il sentimento, un’astrazione. “Non esiste l’amore ma solo la possibilità che si sviluppi una passione” sostiene il regista. Momentanea, il sottinteso. Nelle sue virate sulle dinamiche dell’esistente, l’ex modello e allievo del Femis, scandaglia la normalità. Uno specchio d’acqua in cui è facile cadano gocce roventi, l’increspatura che sfugge al primo sguardo, l’imprevisto che ribalta la consuetudine e sfregia la normalità. A Ozon non piace dare le spalle. Affrontare è già resistere, inventare, respirare. Una storia d’amore Rtra ickye libertà, è il più originale i suoi voli. Un’opera diseguale, rischiosa, ellittica che parte dal realismo per sconfinare nella magia. Descrive presente e futuro, barriere da superare e pregiudizi, sogni e visioni che non sempre, conoscono la grazia dei colori. Inizia in uno scenario anodino. Nella vita di Katie (Alexandre Lamy), operaia in una fabbrica di prodotti chimici, Il bianco è una patina dominante. Dalla banlieue di Parigi al quotidiano timbro del cartellino, si estingue la clessidra delle responsabilità. Katie è un’eroina senza voce nè sostegno. Il padre di sua figlia Lisa è scappato troppo presto e il tramite unico tra lei e la bambina di sette anni, è la meccanica mezz’ora ancorata al sellino di un motorino. La accompagna a scuola, corre a riprenderla. A lato della strada, scorrono anonimi palazzoni di una suburbanità che rende afasici. Tra i rumori delle macchine e l’indifferenza, l’unico linguaggio possibile tra due boe alla deriva, è nel silenzio. In mezzo a un abbraccio tradito, alla fretta che elimina le sfumature e sacrifica il sentimento, si dipana una corsa verso la sopravvivenza che non conosce soste perchè non può permettersele. Quando Katie incontra Paco (Sergi Lopez) tra i fumi e le tute ignifughe, il reciproco desiderio si sublima nella similarità. E’ un amore immediato che brucia nei bagni durante la pausa pranzo, fluttua nelle sigarette aspirate al riparo dall’inquisizione del caporeparto e cerca l’illusoria parificazione sociale, in fughe eccezionali e singole in ristoranti borghesi, per ritrovarsi poi, dopo la sbornia, nel tinello, alle prime luci dell’alba, in mutande, con i wrustel nel piatto e la nebbia fuori dalla finestra. Fa freddo, nelle immagini di Ozon. Traspare un’essenzialità che non è esclusiva relazione su due biografie in sospeso. Quando nel pedissequo susseguirsi senza scosse e nell’aggravio che non conosce sorpresa, si tenta di aggirare il destino, immediata giunge la punizione. Katie e Paco si annusano ma questo, non è un mondo per poveri. C’è bisogno di qualcosa di più. Un segno, un dono che ribalti le convenzioni e offra una sponda alle aspirazioni deca- dute. Un figlio allora, l’eresia più naturale, un’oasi di felicità. Ricky arriva. Piange, strepita, cresce. Un giorno, apparizione incongrua, sul dorso dell’infante spuntano due ali. La meraviglia che trasla il piano della narrazione dall’anonimato al fantastico e lo inclina irreversibilmente. L’angelo non può spiegare e rispetto al racconto da cui la favola di Ozon è liberamente tratta: “Lèger comme l’air” (leggero come l’aria) di Rose Tremain, le piume non compaiono da un istante all’altro ma crescono come orribili escrescenze La morte di Paolo Vagheggi Arte, passione ed eleganza ADDIO A UN INTELLETTUALE Il pensiero adesso va a Lorenzo, 3 anni, il figlio voluto in età matura che adesso crescerà senza di lui. Paolo Vagheggi ha salutato il mondo ieri, a 58 anni, come una candela che fino a quando è stato possibile, ha resistito al vento cattivo di una malattia che non ne aveva fiaccato l’entusiasmo. Tra i fondatori de “La Repubblica”, Vagheggi custodiva in sè il seme mittleuropeo di un uomo che della curiosità e della forza aveva fatto cifra esistenziale. Generoso, colto, instancabile, Vagheggi si occupava di arte e vita, viaggiando attraverso gli spazi desiderati e immaginati, tra gli angoli nascosti della cultura e l’universo telematico che Vagheggi, tra i primi, aveva esplorato da pioniere. Si occupò anche di terrorismo, in un’epoca non meno buia dell’attuale, scampando per puro caso a un attentato. Aveva faticato fino all’ultimo, Vagheggi. Sviando il male, ingannando il tempo. Ora è tardi, anche per il rimpianto. destinate a definirsi con il trascorrere dei mesi. Nella navigazione perigliosa di un fiume che valorizza il cambio di registro (dal verismo al fenomenale) e nell’impossibile accettazione di un evento sovrannaturale, anche il rapporto tra i due amanti, subisce un mutamento di prospettiva. Gli affluenti divergono, il sospetto si fa strada, i media piombano sulla notizia e ancora una volta, come in tutta la filmografia di Ozon, la sensibilità femminile (anche nella ritrovata complicità con la figlia, prima gelosa, infine solidale e partecipe) si ritrova in trincea. A compensare generosamente il monolitismo maschile, scegliendo senza egoismo e sacrificando il proprio ego all’opzione più dolorosa. è uno splendido apoRpo icky logo sull’aspirazione tropspesso sacrificata al cambiamento. Con afrori di Buñuel e Hitchcock, lampi di Spielberg, similitudini con le figure retoriche dei fratelli Dardenne o di Laurent Cantet, reminiscenza del Polanski di “Rosemar y’s Baby” o del Lynch di “The Elephant Man”. L’ultimo sovversivo ad azzardare l’operazione (all’epoca Alexandre Lamy e Mèlusine Mayance, madre e figlia alle prese con un sogno in Ricky-Una storia d’amore e libertà in cui le pulsioni visionarie ne alimentavano il talento) era stato Wim Wenders ne “Il cielo sopra Berlino” e nel suo doppio “Così lontano, così vicino”. Prima di lui Beatty, De Sica e Frank Capra. Gli angeli, nelle sale italiane, mancavano da molti anni. Ozon, senza buchi o dirupi logici ci riprova e colpisce l’inconscio nello stretto vicolo dell’inverosimiglianza. Cesare Petrillo e Vieri Razzini, coproduttori italiani dell’opera con Teodora film, sono orgogliosi del percorso intrapreso. Da dieci anni, con mezzi economici infinitamente inferiori alle grandi major della distribuzione, hanno veicolato un cinema fitto di temi, volti e squarci su universi poco esplorati. Da Lucrècia Martel, alla Marianne Faithfull di “Irina Palm”, passando per gli inconcilibili punti di vista in opposizione ancestrale de “Il giardino dei limoni” di Riklis. “Ricky e il nostro lavoro hanno numerosi punti in contatto. Per noi ,l’interesse intellettuale è sempre anteposto alla valenza industriale del prodotto. E’ un’impresa peri- colosa e un gesto politico, che abbraccia la diversità e combatte la miopia delle molte politiche governative, dall’era Veltroni all’attuale, che del settore fanno bandiera strumentale, disinteressandosi completamente di ciò che a priori, è considerato complicato da fruire”. Ozon, che nella terra natìa, avverte il problema in maniera meno ossessiva, è ora sollevato. Ricky lo spaventava. “Non avevo idea di come imprimere un timbro personale. Covavo il timore che il lato fantasy, nella narrazione, non trovasse aria per esprimere il proprio valore catartico. Poi ho smesso di preoccuparmene e ho capito che ciò che mi aveva scosso nella lettura del racconto di Tremain, era il ragionamento sulla famiglia, sull’avamposto individuale da difendere al proprio interno, sulle soluzioni da mettere in atto quando cessa l’ipnosi e i problemi guadagnano la scena”. Convinto come Elias Canetti che si soffochi “In ogni famiglia che non sia la propria” e che anche nel nucleo originario accada lo stesso “ma non lo si noti”, Ozon desacralizza l’idillio e si insinua nelle pieghe maleodoranti, là dove il sudore sostituisce il sorriso e l’urlo, il canto celestiale. “Ero stanco di rappresentazioni posticce, di bambini incorporei: puliti, soavi, sereni. Ricky doveva strillare, avere fame, sporcarsi. Esprimere i propri bisogni senza filtri o ipocrisie. Avevo già indagato sulla maternità in “Regardè la mer”. Con Ricky, la madre che metto sotto la lente, attraversa molti stati d’animo. Passa dalla depressione alla lotta, poi regredisce tornando a una condizione infantile e infine si rialza nel rapporto con la diversità. Alexandre Lamy, l’attrice, impersona il lato ordinario del personaggio e con Sergi Lopez, il più femminile tra gli interpreti di cui avrei potuto disporre, si compenetra in un’ambiguita di fondo che crea una contaminazione quasi sovversiva”. Nella carezza che piega il grigiore, Ozon lascia a piedi il pessimismo e ci invita a sperare. Nell’ignoto e nell’avventura, oltre le consuetudini e la vigliaccheria, brilla la nostra redenzione. Domenica 4 ottobre 2009 pagina 15 SECONDO TEMPO FESTA PER “BARBAR O SSA” DI MARTINELLI STRACAFONAL PADANO Orrori in serie alla première leghista di Francesco Bonazzi ltro che morti di Messina e tristezze varie dall’Italia Inferiore. Venerdì sera, all’anteprima per soli vip del “Barbarossa” - quello di Renzo Martinelli, non il mitico veliero di Previti - una Milano godereccia come mai ha finalmente raggiunto e superato l’odiata Roma nella corsa al “Power Trash”. E va detto che non è stato neppure tutto merito della Lega di Bossi, pur inesauribile fucina di personaggi vari ed eventuali, se la grande soirèe nel cortile più nobile del castello Sforzesco si è trasformata in quello che Roberto D’Agostino chiamerebbe uno “Stra-Cafonal col botto”. Il primo contributo allo svacco l’ha dato un allegrissimo presidente del Consiglio che, con la scusa di un infinito baciamano a Lory Del Santo (all’aperto, orrore degli orrori), si ferma a lodare l’ottimo stato di conversazione dell’ex stellina del “Drive In”. Poi tocca al costruttore siciliano Salvatore Ligresti, capace di passare davanti alla sindacaMoratti senza un saluto, pur di andarsi subito a piazzare in prima fila vicino a Tremonti. Ma quello è valtellinese dentro e se ne sta seduto da mezz’ora in mezzo alla famiglia Bossi. Il ministro dell’Economia congeda Don Salvatore con un’oscura battuta sui ciclisti ed è davvero un peccato che, con quel cranio di Zio Foster, non l’abbiano fatto accomodare in mezzo a loro, in modo da completare la versione cisalpina A della Famiglia Addams. Poche file più indietro, in un tripudio di figuranti della Lega Lombarda vestiti da sagra del taleggio, assessori e portaborse vari fanno la fila per salutare “la Simo” Ventura, capace di sfidare i 19 gradi da ottobrata romana con una stola di visone talmente sfavillante da confondersi con la capigliatura di Fabrizio Del Noce. Saltella e sghignazza di dama in damazza anche l’immancabile Ignazio La Russa, ministro della Guerra, che si diverte a raccontare barzellette in siciliano. “Obelix” Borghezio, conciato come una matrioska padana con un canovaccio verde menta appoggiato sulle spalle, si aggira distribuendo pacche a chiunque gli capiti a tiro. Il gigantesco banchiere di Unicredit Fabrizio Palenzona, con cravattone verde “in omaggio al Bossi”, si appiccica come un mitile a Daniela Santanchè, per una volta la più sobria della compagnia. Insomma, ministri e vippume vario accorsi all’anteprima del “Barbarossa”, in una sfilata di berline tedesche con lampeggiante, non si sono certo fatti intimorire dal tono gotico-marziale del primo kolossal che celebra la Lega di regime. rima di proiettare il suo Pna “Bravehear t” in salsa padadi fronte ai committenti di Rai Cinema e del governo, il regista Martinelli ha naturalmente sentito il bisogno di ringraziare “Umberto Bossi, compagno di viaggio” in alcuni set del polpettone costato 30 milioni L’europarlamentare leghista Mario Borghezio in passerella a Milano (FOTO (ANSA)) Solo a mezzanotte Berlusconi si ricorda del disastro di Messina di dollari. Bossi compare a sorpresa in un fotogramma digitalmente taroccato, come nella miglior tradizione della pittura di corte. Il resto del film è un inno all’orgoglio padano, alla libertà “contro l’invasore e le tasse”, e all’italianità migliore e indomita degli antichi milanesi. Ma la scena della battaglia di Legnano è stata girata in Roma- nia e i protagonisti sono tutti stranieri: l’israeliano Raz Degan (Alberto da Giussano), l’olandese Rutger Hauer (Federico) e la francese Cécile Cassel (Beatrice di Borgogna). La pellicola inizia con un Alberto-ragazzino che è un incrocio tra una specie di Gesù da vangelo apocrifo che parla da predestinato; un Harry Potter alla brianzola che gioca con lame, rune e spadini; e un bulletto di campagna che fa le prove di coraggio lanciandosi nel Ticino dal ponte più alto per stupire gli amici. Seguono due ore di spadate, freccie negli occhi, arti tranciati e sangue che sgorga copioso dalle gole. C’è perfino il primo piano di un orecchio mozzato di sua mano da Rutger Hauer, che poi rimbalza per terra come nelle “Iene” di Tarantino (ma il Barbarossa per fortuna non lo raccoglie da terra per urlarvi dentro). Ma c’è anche spazio per momenti lirici, come il matrimonio celtico del protagonista, a dire il vero più sobrio di quello celebrato anni fa da Calderoli con frasche e ampolle. E per la gioia di La Russa, il regista ha abilmente inserito nel film particolari inediti, ma capaci di eccitare anche i cuori più neri. Perchè più che sui carrocci, Martinelli ha puntato sulla “Compagnia della Morte”, uno squadrone di cavalieri di nero vestiti che dovrebbe rappresentare il manipolo dei padani più audaci. E gli inni alla morte che compaiono qua e là nel film sono un’altra bella strizzata d’occhio agli alleati post-fascisti del Bossi. Surreale, infine, la battuta pronunciata da un dignitario di Federico dopo l’assedio vittorioso: “Sire, Milano è la porta della Sicilia!”. Ironia della sorte, in quell’esatto momento Ligresti se ne va con aria scura. Proprio lui, la dimostrazione vivente che la storia è poi andata in altro senso, con i siciliani a far fortuna a Milano. E a proposito di siciliani, soltanto dopo essersi fatto fotografare con chiunque, dal cavallerizzo che da 36 anni impersona Alberto da Giussano a Pontida, fino alle comparse padane del kolossal, Berlusconi è tornato con la mente a Messina. Alle cena di mezzanotte per sole “autorità”, il premier ha sussurrato a Bossi: “Brutte notizie dalla Sicilia, i morti sarebbero una cinquantina”. E il Senatùr, commosso: “Povera gente...”. Poi avanti con i festeggiamenti per la prima pellicola che fa entrare anche il Bossi da Cassano Magnago nella storia. Del cinema in verde-nero. NOTIZIE DALLO STATO DI PATONZIA Pubblichiamo in anteprima uno stralcio del ne”. romanzo di Luigi Irdi, “Il capo non è un santo”(Fazi Il Direttore squadrò Damezzo. editore, 17.50 euro), in libreria da venerdì. “E ce la porta lui, la soluzione?”. di Luigi Irdi entiamo anche questa”, sospirò il Diret“S tore dell’Idea regolando al minimo il termostato dell’aria condizionata. Piero si fece coraggio. Via via che spiegava, il Direttore socchiudeva gli occhi e quando Piero terminò il suo racconto, la missione a Clitoria in sostituzione di Grillini, l’inseguimento in motorino, la canna fumaria, il lucernario, il Capo che trombava come un furetto, sembrava profondamente addormentato. “In primis, e quand’anche questa storia non fosse una bufala cosmica, non abbiamo uno straccio di prova. In secundis”, continuò sventolando il pollice, “voi non capite la Patonzia e i patonziani. Il Capo è il Capo, e il Capo tromba per definizione. Certo, si potrebbe eccepire che non è corretto utilizzare le risorse dello Stato per spazzolarsi una mu- Secondo il capitolo 4.bis del programma di risparmio energetico varato dal Governo tutti gli uffici dei giornali e delle agenzie di stampa, tranne la redazione del Tg Spaziale, erano stati trasferiti d’imperio in un vecchio stadio di calcio dismesso alla periferia di Patonzia City e le forniture di energia elettrica contingentate. Era stata un’idea di Carlino. In un discorso alla Nazione, il Capo aveva lanciato la campagna per la limitazione delle emissioni inquinanti proclamando la necessità di dolorose rinunce a parte dei consumi più voluttuari, come Campionato per esempio i giornali di carta stampata, a favore di prodotti di informazione a maggior contenuto tecome ogni anno, si rinnova la mesta tradizione presinologico (Televisione denziale. Qualcuno, tra i tecnici in odore di licenziaSpaziale e Rete Diffusa). mento, pagherà. Non c’è da dubitarne. La settima giornata “E ora l’Iva al 60 % sui prodi campionato, oltre alla probabile fuga della Sampdoria dotti tipografici prevista opposta al Parma, offre sotto il tappeto ceneri e possibili dal Nuovo Ordine di Sicugioventù bruciate sull’altare dell’azzardo. Leonardo porta rezza”, commentò sconil Milan a Bergamo, per novanta minuti che possono già solato il Direttore sfosuonare definitivi. In conferenza, il tecnico ha scherzato gliando il numero appena amaramente sul suo presidente: “Per la formazione ci sendistribuito in edicola. tiremo domani”, dicendosi fiducioso sulla piega che gli “Ci vogliono morti”. Sedueventi, inevitabilmente, prenderanno. In caso di flop, esoti davanti alla sua scrivanero quasi certo. Nella domenica del “derby” tra Roma e nia Peppe Baffi e Piero DaNapoli e di quello toscano tra Siena e Livorno, rischiano mezzo annuirono vigoroanche Ruotolo, Zenga, Donadoni e Atzori. Batte un colpo samente. dialettico Ciro Ferrara: "Mourinho non è un pirla e io non “Ecco, Direttore, volevo sono fesso". Domani è un altro giorno, andate in pace. presentarti Piero Damezzo, dell’Agenzia Parliamone. Forse c’è una soluzio- I RISCHI DEL MESTIERE C latta durante una missione ufficiale, a Clitoria poi, dove si sa che se ti beccano te lo tagliano seduta stante e rischiare così di far saltare irrimediabilmente il Tavolo Inter Mediterraneo. Ma non è questo il punto”. “In tertiis”, sollevò il medio, “non solo i Patonziani si sentirebbero fieri di avere un condottiero al quale, nonostante le molte primavere, tira ancora, ma avremmo contro tutti i Telegiornali Spaziali che ci accuserebbero di far leva su miserabili pettegolezzi pur di infangare l’immagine del Capo e dunque dell’intero Paese”. Adesso, si disse Piero, balzando in piedi a sua volta mentre Peppe Baffi lo guardava annichilito per il suo ardire. “In primis, è tutto verissimo tanto è vero che ho filmato ogni secondo col telefonino, in secundis abbiamo un culo, il culo del Capo, in tertiis abbiamo la sua faccia mentre si ammira l’uccello, in quartis”, concluse Piero che aveva fatto il classico, “il Capo non scopava una donna, ma sbatacchiava niente di più che un pupazzo di silicone, non so se è chiaro, Direttore, una bambola, un pezzo di gomma con qualche buco”. “Cosa vuoi?”. Lavorare, aveva risposto Piero, in una redazione vera, con un contratto vero, con una scrivania e un computer. “Chiama l’ufficio centrale. Riunione. Immediatamente. Acqua minerale e tramezzini, possibilmente al tonno e senza maionese che ingrassa”, ringhiò il Direttore nell’interfono. Durante la riunione i caporedattori centrali e il Direttore avevano a lungo soppesato le conseguenze politiche dello scoop e Piero si era perfino annoiato. “Ora”, aveva spiegato il Direttore al tavolo, e su questo Piero Damezzo si era trovato d’accordo, “la prima mossa tocca a noi. Tutto questo schema deve cominciare a muoversi. Qualche idea su come fare?”. Peppe Baffi aveva suggerito la soluzione. Aveva proposto, e il direttore aveva accettato, che l’Idea se ne uscisse con tre do- mande pubbliche rivolte al Capo a proposito della sua missione a Clitoria, e per far vedere che non cadeva dal pero, aveva estratto dalla tasca una scaletta già pronta. “Primo”, recitò Peppe Baffi alzandosi in piedi come un pubblico ministero in aula accarezzandosi una spalla come per aggiustare una toga, “è vero o non è vero che, pur avendo terminato gli incontri ufficiali della missione a Clitoria alle ore 15,30, la missione stessa si è protratta privatamente fino alle ore 20.00 e oltre?”. “E questa”, osservò Baffi, “nessuno ce la può contestare”. Secondo”, riprese: “Può il Capo rassicurare i patonziani e garantire che, durante la missione in Clitoria, i mezzi dello Stato sono stati utilizzati esclusivamente nell’interesse del Paese e non per i suoi personalissimi svaghi e/o interessi?”. Il Direttore aveva annuito. “Questa ci serve ad allungare il brodo”. “Terzo. Dalle 15,30 alle 20,30, in assenza di informazioni dalle fonti ufficiali, può il Capo spiegare ai patonziani chi ha incontrato e perché?”. Sul volto del direttore era apparsa una smorfia di delusione. “Siamo ancora un po’ fiacchi, Peppe”. E poi, rivolto al responsabile del sito di Rete Diffusa chiese: “E’ ancora in corso la gara tra i lettori ‘Indovina chi è?’”. “Sì, Direttore, fino alla fine del mese”. “Perfetto, la quarta domanda, da piazzare sotto le altre tre, sarà: a chi appartiene questo culo? Sul sito metti un minuto di filmato che ti darà il collega Damezzo, solo e soltanto il culo, mi raccomando, e sotto la quarta domanda ci piazzi il link : www.tv.idea.pz/concorso/dichièquestoculo/. Questo dovrebbe smuoverli”. E aveva aggiunto: “A proposito, vi presento Piero Damezzo, dal prossimo mese il nostro nuovo cronista di nera”. Domenica 4 ottobre 2009 pagina 16 SECONDO TEMPO + IL PEGGIO DELLA DIRETTA TELE COMANDO TG PAPI Le onde corte di Giorgino di Paolo Ojetti g1 Til dolore Più si scava nel fango, più entra nelle case attraverso le testimonianze dei sopravvissuti, più un senso di panico e impotenza si impossessa del telespettatore che non crede né alla fatalità né a un perverso disegno divino e nemmeno a chi sostiene che si è fatto il possibile. Guardando il Tg1 che vola sul disastro, si sente la mancanza di risposte a una domanda irrinunciabile: quante altre Altolia, quanti altri Giampilieri esistono in Italia? Quanti altri paesi sovrastati da montagne disboscate, violentate, aspettano il loro destino? Chi si occupa di scrivere i nomi di questa Italia a rischio, dove l’abusivismo, frutto della corruzione, ha superato ogni limite di decenza? Ovvio che il Tg1 non mani- festa la minima volontà di porre domande e dare risposte. E fa un pessimo effetto il porgere caramelloso di Francesco Giorgino quando riferisce tutto compunto: “Il presidente Berlusconi ha rinunciato al sopralluogo per non intralciare i soccorsi”. Avrebbe potuto dire: “Berlusconi non va perché ha paura dei fischi”, ma sarebbe finito ai turni di notte o alle onde corte. g2 Tnanosecondo Nel Tg2 della durata di un (come sempre di sabato) c’è spazio per la manifestazione a difesa della libertà di stampa. Quanto basta per vedere lo striscione dei “farabutti” del Tg3. Non ci sono altri striscioni Rai, si vede che sono soddisfatti di come vanno le cose. Ma Studio Aperto ha fornito un servizio più completo, bilanciato poi (è pur sempre un tg berlusconiano) da un intervento di Maurizio Belpietro che però si arrampicava sugli specchi, accusando i giornalisti di Repubblica e la Cgil di imprecisate nefandezze. Il Tg4 è quello che è: “Parliamo di una certa manifestazione, con certi giornalisti che vorrebbero difendere una certa libertà di stampa”, ha ironizzato un certo Emilio Fede. g3 Ttecnico Qualche inconveniente iniziale ha rovinato le cronache della “imponente manifestazione” per la libertà d’informazione. Che però è stata davvero imponente: 300.000 persone (ma anche se fossero state la metà) per una battaglia che interessa soprattutto i giornalisti e i cittadini più sensibili e avveduti, sono davvero tante. Ci sono gli esponenti del centrosinistra, debitamente intervistati, con Franceschini e Bersani che si fanno riprendere affettuosamente sottobraccio. E il controcanto è affidato a un’intervista a Bossi e a una dichiarazione lunare di Rotondi, che si sente perseguitato dalla sinistra trionfante. Il Tg3 ha tenuto “in basso pagina” lo strazio di Messina: una scelta inconsueta. di Fulvio Abbate Il pensiero in manette ier Paolo Pasolini, di fronte ai segnali Pe penna d’omologazione, un giorno prese carta e dalle colonne del “giornale della borghesia” chiese testualmente “l’abolizione della televisione”, cioè l’obiettivo massimo, la difesa implicita della fantasia, della poesia, della verità. Molti di noi, più di trent’anni dopo, si accontenterebbero della semplice cancellazione di “Uno Mattina” dal palinsesto Rai. Una battaglia di libertà che, pensandoci bene, un consigliere d’opposizione di viale Mazzini, lo scrittore Giorgio Van Straten, potrebbe, perché no?, far propria. Tentando così d’essere all’altezza del collega assassinato all’Idroscalo di Ostia, no? Sarebbe uno “special” che s’illumina a favore dell’immaginazione, un colpo assestato al conformismo, alle gazzette ufficiali, alla banalità, al luogo comune, a quel costume curiale che, ragionando in termini di tesori nazionali, ha reso Don Abbondio una carta benemerita del mercante in fiera clientelare, più di “Pesci e Michele Cucuzza, ormai uva”. Sarebbe un ripassato dal giornalismo sarcimento, un boall’intrattenimento (F A ) nifico offerto a chi sogna una televisione davvero cornetto e cappuccino freschi. “Uno Mattina”, per chiara fama, al di là del titanico Michele Cucuzza, è infatti il manifesto del livellamento culturale nazionale al moOTO NSA mento della prima colazione, una sordina, un silenziatore applicati al pensiero, alle opinioni, ai sogni, alle potenzialità creative del servizio pubblico, fosse anche il semplice meteo che invita a non dimenticare la crema solare o montare le catene in prossimità dei valichi, dove l’oroscopo appare la più accettabile delle menzogne segnate in scaletta dal povero programmista regista, l’unico sfruttato lì in studio cui va tutta la nostra solidarietà. Le ragioni? Antropologiche, endemiche, appunto, del conformismo post-fascista, post-democristiano, prim’ancora che politiche. La recente telefonata in diretta di Berlusconi accolta da Susanna Petruni e Stefano Ziantoni come il radioso arrivo a Saxa Rubra della colomba dello Spirito Santo, è davvero il più veniale, innocente, banale dei peccati: “Noi ringraziamo il presidente del Consiglio dei ministri, onorevole Silvio Berlusconi, per questa telefonata, grazie presidente, comunque ogni mattina siamo qui e questa è anche casa sua,” pronunciò, lieto, Ziantoni, l’uomo che altrove interrompe le dirette dicendo testualmente “mi dispiace fare il Caronte”, ritenendo così di onorare il galateo dell’ospitalità da garantire ai pezzi forti, suggerendo l’idea di un reintrodotto “ius primae noctis”. Purtroppo, come il socialismo reale, “Uno Mattina” non è riformabile. Qualcuno però faccia ugualmente in modo che il buongiorno torni a vedersi dal mattino, anche mettendo al suo posto un semplice poster svedese con tramonto tropicale. pagina 17 Domenica 4 ottobre 2009 a cura di Stefano Disegni SATIREu & SATIRIASI SECONDO TEMPO I comandamenti sono troppi Intollerabile la pressione religiosa per un imprenditore che lavora duramente. Meno centralismo e più iniziativa privata: varato lo Scudo Morale, solo sette comandamenti a scelta dell’utilizzatore finale. l Governo interviene con deciIcondotta sione, dopo le polemiche sulla morale del Presidente del Consiglio. Su proposta dell’avvocato Ghedini, omonimo dell’onorevole Ghedini, è stato varato un decreto legge detto dello “Scudo Morale”. Il Presidente, infatti, non può certo esercitare le proprie alte funzioni e, nello stesso tempo, rispettare tutti i 10 comandamenti, evitare i peccati capitali ed esercitare le virtù teologali come un qualsiasi moralista sfaticato privo della cultura del “fare”. A finire sotto accusa è tutta una concezione della religione profondamente illiberale, gestita da uno Stato Vaticano centralista ed interventista che non lascia libera iniziativa ai privati. In particolare, il Governo giudica “legittimati a non rispettare i comandamenti quei cittadini che, oppressi dal carico morale, non possono godere i vantaggi della posizione economica conquistata facendo lavorare duramente i dipendenti”. Si propone quindi di abbassare radicalmente le aliquote morali, portando i comandamenti a sette, a scelta dell’utilizzatore finale. Durissima la reazione dell'opposizione: “Va bene, sette, ma facciamoli scegliere con vere primarie aperte alla società civile, primo passo verso una pacata discussione parlamentare che porti alla creazione di un' apposita commissione di studio”. Paolo Aleandri Il fischio di Asmodai Milano, Berlusconi ha dichiarato: “AbAnellabiamo introdotto un nuovo elemento politica italiana: la moralità”. Come Andrea Manfregna ”Il Cribbio Velato“ Olio su tela, ma anche un po' lì. - Il Cribbio giace supino, è sereno, convinto che quelle siano lì per amore. Accanto a lui due cortigiane in adorazione: risplende per loro la speranza di un posto alla destra di Cicchitto, seconda fila, terzo e quarto seggio. Mirabile la prospettiva con cui il Manfregna ci restituisce intatto il buffo corpicino e la volumetria del piccolo pacco del Cribbio, che il Guicciardini, in vena di burle, definì 'sperduto colibrì'. La luce, di scuola caravaggesca, si adagia lieve sul volto del Cribbio, celandone le crepe meglio di una calza elastica. Leggenda vuole che il Manfregna, dopo aver pubblicato questa sua opera, non abbia più potuto dipingere in tutto il paese pena il taglio delle mani. se Rocco Siffredi avesse dichiarato: “Abbiamo introdotto un nuovo elemento nel cinema porno: la cultura”. Gli iscritti al PD hanno scelto Bersani, l’usato sicuro. Previsti anche incentivi per rottamare Veltroni? Però poi ci saranno le primarie, e i “non iscritti” potrebbero anche nominare segretario un altro. Sagace sistema. E' come farsi scegliere l’amministratore del condominio dai passanti, chi non lo farebbe? Al PD piace stupire, ormai è più di un partito, è arte. PD: Partito Dadaista. Rivisto Mike Bongiorno nello spot di una compagnia telefonica. Pasolini, già nei '70 intuì dove sarebbe finita l’Italia solo guardando la pubblicità dei jeans Jesus. Mi domando ora dove stia andando un paese che fa fare le pubblicità anche ai morti. Pasolini ce lo potrebbe spiegare anche adesso: Mike gli presta il cellulare, tariffa “you and death”, ci telefona e ce lo spiega anche da lì…“Non c’è scatto alla risposta”. Già. L’organo più alto di garanzia della Costituzione è riunito in queste ore per decidere se in Italia la Legge sia uguale per tutti. Visto l'andazzo a Palazzo Grazioli, mi chiedo quando si riuniranno per decidere che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sui lavoretti. pagina 18 Domenica 4 ottobre 2009 SECONDO TEMPO Fatti di vita PIAZZA GRANDE É La prima donna A Lodo, le ragioni per dire no di Lorenza Carlassare vero che «bocciato un lodo Alfano se ne approva un altro, modificato, e lo si manda immediatamente in vigore», come scrive Vittorio Feltri su il Giornale del 14 settembre? Se così fosse, la Costituzione e le istituzioni di garanzia non sarebbero che un’inutile farsa e l’ordinamento intero un vuoto castello di carte smontabile a piacere. A piacere della maggioranza, s’intende, proprio il contrario di ciò che esige il costituzionalismo, il cui obiettivo è porre limiti al potere. Nessuno, credo, potrebbe pensarlo, anche se è già successo: dichiarata incostituzionale la legge Schifani nel 2004, nel 2008 è stata approvata la legge Alfano sulla quale ora la Corte costituzionale è chiamata a decidere. Nell’ipotesi, a mio avviso certa, che sia dichiarata illegittima, il governo e la sua maggioranza potrebbero tentare per la terza volta? Bisogna rispondere con fermezza che la riapprovazione di una norma dichiarata illegittima non è consentita: e dunque, se la Corte costituzionale pronunciandosi sulla legge Alfano menzionasse fra gli altri anche questo motivo, il Presidente della Repubblica potrebbe, senza incertezze, non promulgare. Dove sta il problema? Il governo potrebbe sostenere che la legge è «diversa» dalla precedente, come già ora sostiene in giudizio e fuori: il ministro La Russa lo ha ribadito con vigore il 30 settembre a Linea notte affermando che la legge Alfano è stata costruita tenendo conto di tutti i rilievi mossi al precedente «lodo» nella sentenza n. 24 del 2004. Anche se puntuali rilievi sono stati ignorati - in particolare che la posizione di chi presiede il Consiglio dei ministri e le Camere non può essere differenziata da quella degli altri membri del collegio - qualche differenza c’è. Le Alte cariche tutelate non sono più cinque, ma quattro. Ne è escluso il Presidente della Corte costituzionale essendo stato dichiarato illegittimo «accomunare in un’unica disciplina cariche diverse (…) per la natura delle funzioni». Inoltre, ora, è possibile rinunciare al «privilegio». Resta però immutato il vizio di fondo. E’ a sospensione dei processi Lprecedenti per i reati comuni, anche all’assunzione della carica, deroga al «principio della parità di trattamento rispetto alla giurisdizione» di fronte al quale non può prevalere l’esigenza di tutelare il «sereno svolgimento» delle funzioni pubbliche (con cui lo si giustifica). Quell’esigenza, «pur apprezzabile», si scontra infatti con valori fondamentali di superiore livello: il principio della parità di trattamento di fronte alla giurisdizione è alle «origini della formazione dello Stato di diritto» (sent. n. 24). La continuità fra le due leggi è chiara: di «sereno svolgimento» delle funzioni si parla nella relazione del ministro Alfano alla legge del 2008, così come se ne parlava nel 2003, e viene invocata ancora a difesa della legge. La debolezza La sospensione dei processi per i reati comuni, deroga al «principio della parità di trattamento rispetto alla giurisdizione» di fronte al quale non può prevalere l’esigenza di tutelare il «sereno svolgimento» delle funzioni pubbliche dell’argomento, già respinto dalla Corte, ha indotto a richiamarsi anche al diritto di difesa (art. 24 Cost.): la sospensione dei processi disposta per la durata del mandato corrisponde al «periodo di tempo che il legislatore ha ritenuto sufficiente per consentire alla persona che riveste l’alta carica di organizzarsi per affrontare, contemporaneamente, gli impegni istituzionali di un eventuale nuovo incarico e il processo penale», si legge nella memoria dell’Avvocatura dello Stato a difesa del presidente del Consiglio. Ma ad evitare che chi ricopre un’alta carica sia «distolto dai suoi compiti di governo dalle necessità di difesa in sede penale» basta concordare il calendario delle udienze: «il vero è che l’effettiva ed esclusiva finalità perseguita dalla legge Alfano non è tanto quella di consentire all’onorevole Berlusconi di or- ganizzare le proprie difese, ma di consentirgli di difendersi sia “dal processo” per frode fiscale sia “dal processo” per corruzione in atti giudiziari». Questo si legge nella memoria della procura di Milano (difesa dal professor Alessandro Pace) dove si ricorda che, come la legge precedente, la legge Alfano fu voluta dallo stesso Berlusconi per ritardare la celebrazione di processi penali a suo carico: la legge Schifani «mirava a ritardare la celebrazione del processo Sme, la legge Alfano altrettanto chiaramente mirava – e mira – a ritardare la celebrazione di almeno due altri processi a carico di Silvio Berlusconi pendenti dinanzi al Tribunale di Milano». E precisamente: il processo nel quale, oltre a Berlusconi, sono coinvolti Frank Agrama ed altri, per il reato di frode fiscale; e il processo nel quale, oltre a Berlusconi, è coinvolto Donald David Mills per il reato di corruzione in atti giudiziari. Con riferimento a quest’ultimo – sottolinea la stessa memoria – il secondo «lodo» ha comunque raggiunto l’obiettivo: quello di evitare che Berlusconi fosse giudicato contemporaneamente all’imputato Mills. infine perplessi l’arLcheascia gomento dell’Avvocatura «qualunque sia il reato contestato, attinente o estraneo alle funzioni pubbliche, è la pendenza del giudizio a far sorgere il problema». Che un presidente sia accusato di un reato grave e infamante, non fa già «sorgere il problema»? I mezzi di comunicazione, dai quali «le notizie sono presentate nelle forme che suscitano Ahmadinejad in tre mosse di Hamir Ziarati un genio Ahmadinejad. Uno statista formidabile. Forse il migliore degli ultimi 149 anni. Uno capace di portare l'acqua al proprio mulino anche in piena siccità e facendosi persino aiutare dai suoi nemici per convogliarla dove gli serve di più. Gli è stato sufficiente pronunciare ancora una volta il suo deleterio discorso ingiallito colmo di retorica antisemita alle Nazioni Unite, svelare la notizia già conosciuta dalle intelligence occidentali di una nuova centrale per l'arricchimento dell'uranio, e infine eseguire una serie di test missilistici a corto e a lungo raggio capaci di colpire Israele e l'Europa, per distogliere l'attenzione mondiale dal colpo di Stato, dalle repressioni, dagli omicidi, torture e violenze che ha compiuto e continua a compiere in Iran. Tre mosse vincenti in politica estera, utili al suo governo golpista per riproporre alla nazione la necessità di una forte unità Il solito discorso interna nei confronti alle minacce delle poantisemita all’Onu, tenze straniere, in particolar modo nei la notizia (già nota) confronti dei nemici gli americani di una nuova centrale storici, e gli israeliani, e avere così le mani libere per per l'arricchimento spazzare definitivadell'uranio, i test mente via tutta l'opposizione interna, missilistici: ecco esattamente come fece Khomeini nel come ha distolto 1980 dopo l'invasione dell'Iran da parte l'attenzione dell'esercito irachemondiale dal colpo no, che gli permise di trasformare la vittoria di Stato in Iran della rivoluzione in E’ IL FATTO di ENZO di Silvia Struzzi l A 82 anni, ormai, la mia vita se n’è andata, ma posso considerarmi fortunato perché ho fatto un lavoro che ho sempre amato e per il quale sono anche stato pagato. Inoltre questa professione è un po’ come un acquedotto che deve portare nelle case acqua potabile. C’è chi la porta più o meno frizzante, ma sempre potabile deve essere. Ultima puntata de Il fatto, 31 maggio 2002 maggiormente la curiosità del pubblico, utilizzando formule suggestive», sono già messi in moto dalle accuse anche se il processo non si celebra. La «sospensione» non serve al sereno esercizio delle funzioni. Tanto è vero che nella sentenza n. 24 il lodo Schifani era giudicato contrario al diritto di difesa anche perché non prevedeva la rinuncia dell’accusato alla sospensione «per ottenere l’accertamento giudiziale che egli può ritenere a sé favorevole». Per chi ricopre un’alta carica sarebbe conveniente affrettare i tempi del processo, dimostrare la propria innocenza ed esercitare la funzione finalmente «sereno». Sempre, s’intende, che innocente lo sia davvero. bbiamo scritto in questo stesso spazio la scorsa settimana di condizione femminile. Molti lettori ci hanno chiesto di non lasciar perdere, nella convinzione che ci sia un’emergenza a proposito delle donne in questo paese. Si è detto: a parte qualche sommesso grido d’allarme, è stato fatto poco per denunciare una degenerazione nella rappresentazione delle donne che ricorda molto la commedia Anni ‘70, le lunghe docce di Edwige Fenech con Alvaro Vitali che spiava dal buco della serratura. Ora, questo Paese si dà un mucchio di arie in fatto di civiltà: una grande democrazia occidentale. Domanda: si può dire davvero civile un paese che vuole solo donne senza veli, magari anche nel confronto con altri che il velo lo impongono? Qualunque sia la risposta, abbiamo un ministro delle Pari opportunità dal quale è lecito attendersi una presa di posizione pubblica contro un imbarbarimento evidente e preoccupante. Non si tratta di parte politica, sia chiaro: è un fatto, come si diceva una volta, di genere. E nemmeno si deve temere l’uso di parole desuete: servono ora come ai tempi delle lotte femministe, perché bisogna riconquistare una dignità che sta svaporando. Il ministro Carfagna è ministro di tutti: la sua appartenenza politica è assolutamente ininfluente. Come la sua storia personale, calendari compresi. La questione non è né di destra né di sinistra. Attiene molto semplicemente alle competenze del suo ufficio. E’ lei, nell’esecuzione del suo mandato, la prima a dover porre il problema della carneficina. Il ministero delle Pari opportunità ha firmato campagne contro la violenza sulle donne: adesso dovrebbe occuparsi di come - sempre di violenza si tratta - le donne siano costrette a vedersi soltanto esposte come quarti di bue dal macellaio. E’ un fatto che tocca la sfera della dignità, ma anche quella della libertà: il modello velina suggestiona le persone (prima di tutto le ragazze nelle loro scelte), condiziona i rapporti tra gli uomini e le donne. Si parla molto, spesso per luoghi comuni, del rapporto uomo-donna nel mondo islamico e dell’attrito che questo provoca quando viene a contatto con la nostra società. E tuttavia non si ha notizia di programmi strutturati per un’integrazione vera dei nuovi cittadini, anche nel confrontarsi con una morale sessuale lontana da loro. Ma il punto non è nemmeno veli, minigonne o altro: ci mancherebbe. Il punto è che la donna geisha, sessualmente disponibile, più o meno escort, appetitosa, ammiccante, zitta, addomesticata, ha travolto tutto. Il resto, però, è ricchezza. Non avanzi. ualcosa va fatto. E davvero. E subito. L’unica strada è dimostrare che il modello culturale è sovvertibile, che non ci va bene perché passa sul nostro corpo, anche letteralmente. Ci sono momenti cruciali, nella vita individuale e in quella collettiva: questo è uno di quelli. Non girarsi dall’altra parte è un modo per dimostrare serietà e autorevolezza. I principi non hanno valore quando si enunciano, ma quando si dà loro concretezza. Non è tempo per essere altrove: vale per tutti, soprattutto per chi ha l’onore e l’onere e di rappresentare il popolo. Andiamo con ordine: la prima donna è il ministro Carfagna. La first lady ha già dato. Q zioni Unite per i diritti umani ha rinnovato la preoccupazione del suo governo per il trattamento riservato agli oppositori in Iran, il 24 settembre il presidente Obama, con il suo condivisibile discorso d'apertura alAhmadinejad a New York (F A ) le Nazioni Unite sui pericoli della proliferazione atomica, ha offerto su un piatto d'argento ad Ahmadinejad una dittatura teocratica. Per capire chi l'abbia aiutato direttamente o indiret- l'ossigeno necessario per proseguire nei suoi piani tamente a portare a compimento il suo piano basta per soffocare l'opposizione interna e riportare l'atandare a cercare tra le notizie degli ultimi giorni: gio- tenzione degli iraniani e quella mondiale sull'argovedì 17 settembre Ehud Barak, il ministro della Difesa mento a lui tanto caro, lo stesso usato negli ultimi 4 israeliana, ha annunciato che l'Iran non può mettere anni per distrarre l'Occidente. Infatti, contrariamenin pericolo la sicurezza dello stato d'Israele, e nello te a come sperava, non avendo più scandalizzato con stesso giorno anche Barak Obama, apparentemente il suo discorso antisemita di fronte ad una sala sesenza chiedere nulla in cambio ai russi, ha archiviato mideserta, Ahmadinejad ha tirato fuori l'asso dalla il progetto dello scudo missilistico contro la Repub- manica il giorno successivo, ammettendo con diciotblica Islamica voluto dal suo predecessore. Sarà un to mesi d'anticipo rispetto ai sei imposti dalle leggi caso, ma entrambe le notizie sono giunte 24 ore pri- internazionali dalla messa in funzione di una nuova ma dalla grande manifestazione per celebrare la gior- centrale per l'arricchimento dell'uranio, dalle dinata per la liberazione di Gerusalemme in Iran, quan- mensioni insufficienti per fornire una centrale per do l'opposizione iraniana, approfittando di una ma- uso civile ma adeguata per fabbricare 2-3 bombe alnifestazione autorizzata dal governo, avrebbe preso l'anno. I test missilistici e le esercitazioni militari dei la palla a balzo e si sarebbe riversata nelle strade per Pasdaran iniziati il 27 settembre non sono stati altro urlare “morte alla Russia, alla Cina e al dittatore”, in- che una rinnovata richiesta di soccorso all'Occidenvece che, come è avvenuto negli ultimi trent’anni, te e a Israele in termini di minacce per recuperare la all'America e a Israele. Due giorni dopo l'oceanica perduta popolarità e coesione interna, sia per sé che manifestazione, il 20 settembre, il presidente Med- per la guida suprema AyatolShah Khamenei, il vero vedev ha rilasciato alla Cnn un'intervista in cui so- burattinaio della Repubblica Islamica che nello stessteneva che il premier israeliano Netanyahu, durante so giorno ha fatto acquisire il 51% delle azione della una visita segreta a Mosca, lo aveva assicurato che compagnia delle telecomunicazioni iraniane tramite Israele non ha nessuna intenzione di bombardare l'I- l'esercito dei Pasdaran di cui è comandante in capo, ran, gettando così benzina sulla politica estera israe- la più grande transazione nella storia della borsa iraliana che ha smentito la notizia ed è tornata nuova- niana, divenendo di fatto il proprietario di tutti i sermente a minacciare l'Iran. Se da una parte, il 22 set- vizi di telefonia e di Internet in Iran e quindi della tembre, il rappresentante americano a Ginevra du- voce degli iraniani. Ora invece contratta con i 5+1 il rante una seduta presso l'Alto commissario delle Na- silenzio dell'Occidente. OTO NSA Domenica 4 ottobre 2009 pagina 19 SECONDO TEMPO MAIL Sono il non abbonato del giorno Chissà se come lettore e pensionato potrò essere considerato almeno...abbonato alle ingiustizie. Devo descrivermi? Sarebbe troppo lungo. Mi basta aggiungere solo queste poche parole (non tutte mie): Alvaro, alias Ciceruacchio; italiano di nascita ma non di costume, 'ncazzato, ateo e comunista per scelta. Con il cuore, con la bocca e con la mente (finché regge). Alvaro Giusti Napolitano, lo scudo e la bolletta della luce Sottoscrivendo l'appello al capo dello Stato affinché non firmi la legge sullo scudo fiscale, mi sono resa conto che nelle mie motivazioni c'era spazio per una lettera, ed eccomi qui. Io sono una donna "sola" e non perchè mi manchi un uomo, ma perchè gli uomini, cioè la parte del cielo che comanda, non sanno andare al di là dello sguardo estetico. Il punto è questo: a me hanno staccato la luce perchè non sono riuscita a pagare la bolletta e per riacquistare quel privilegio dovrò sborsare soldi che non ho per la riattivazione (e chiaramente anche per tutto il pregresso comprensivo di interessi e more). Dov'è l'etica in un provvedimento che permette a chi ha frodato lo Stato -e quindi anche me- non pagando le tasse ( e contribuendo con il suo comportamento immorale anche a farmi staccare la luce) di tornare in Italia come se nulla fosse? Paola Boggi Silvio Berlusconi e gli interessi di famiglia Presidente Berlusconi, può assicurare a noi comuni mortali che nè lei nè altri componenti della sua rispettabilissima famiglia, nè i suoi amici, vi avvarrete dei benefici dello scudo fiscale? Sa, questo atroce ed irriverente dubbio mi è sorto perchè tutte le operazioni finanziarie contenute nel dereto sono protette dall'anonimato. Qualche malalingua ha insinuato che lei, nel passato, ha esportato dei capitali all'estero. Sarebbe stata una contraddizione troppo evidente, vero? Mi dia una risposta tranquillizzante perchè non sopporto quelle di Bruno Vespa. Gianfranco Mosca Le minacce delle banche, lo sconcerto dei Cristina Buongiorno, sono Cristina e con mio marito abbiamo una piccola attività nel bresciano. Da ottobre abbiamo iniziato a subire abusi ad opera di Unicredit che, per l’insoluto di un cliente (che ancora oggi ci deve un bel po’ di soldi) ci ha revocato un affidamento. Il problema è che, per non essere considerati cattivi pagatori, hanno imposto che fossimo noi a chiedere la revoca del prestito. Siamo sconcertati. Ci hanno chiamati tutte le settimane "consigliandoci" di revocare gli affidamenti, altrimenti non ci avrebbero tolti dal rating (con rischi di ulteriori revoche da altri istituti bancari). A dicembre abbiamo iniziato ad avere grossi problemi poichè un'altra banca, visto il rating, ha dimezzato gli affidamenti nei nostri confronti. A quel punto cediamo: BOX La vignetta A DOMANDA RISPONDO LA GELMINI COLPISCE LA SCUOLA CHE MUORE Furio Colombo 7 aro Colombo, siete bravi e coraggiosi, ma secondo me esagerate. La contestazione alla scuola e al ministro di turno della (non più pubblica) istruzione c’è sempre stata, dai tempi della senatrice Falcucci. Vi ricordate “ Lupo Alberto”? Si chiamava Pantera, adesso si chiama Onda , ma è la stessa solitudine, lo stesso disagio. Parlo da persona giovane che ha smesso da poco di essere studente. Voi dite Gelmini, io penso Berlinguer (Luigi, s’intende). Forse solo De Mauro è stato una breve eccezione. Vorrei che mi dicesse in che senso la Gelmini ( a parte il cursus honorum) è speciale. Danilo C DIFFICILE smentire questa lettera. Purtroppo, con buone o con cattive intenzioni , la scuola barcolla da molto tempo sotto un susseguirsi di riforme che sono come spostare un po’ a caso i mobili di una stanza. L’immenso distacco della istituzione scuola dal Paese di cui dovrebbe essere (lo ripetono tutti) “ la fabbrica del futuro”, resta intatto. L’immensa solitudine di studenti e insegnanti diventa più grande come accade con ogni malattia. Se non la curi peggiora. Ma c’è un pesante però. Però la Gelmini, agente di vendita della sua premiata ditta di cosmetici e trucchi politici, non è solo il ministro senza mondo e senza idee che deve per forza fare “una cosa di destra”, che sarebbe la sua riforma. Il trucco, persino geniale in quanto a bravura e capacità di scatenare lungo tanti percorsi di legittima e solitaria protesta insegnanti e studenti, è una protesi. La sua missione non era cambiare la scuola, ma rovesciare un cumulo di spunti, in parte antichi, in parte inventati, in parte reazionari (nel bel senso antico della parola) in parte ridicoli, per coprire il grande taglio. Le risorse per la scuola sono state amputate in modo selvaggio da un governo che prometteva inglese, impresa, iniziativa, come mai prima era accaduto. La riforma è come scaricare camionate di ghiaia perché non si vedano le rotaie (lo facevano ai tempi del fascismo), e le strade sembrino nuove. L’elenco di ciò che manca alla scuola di oggi non comincia da indirizzi, orientamenti, materie, nuovi o diversi corsi , esami e proposte di cose da togliere e cose da aggiungere. No, comincia da decine di migliaia di insegnanti eliminati quasi all’improvviso e finisce con edifici scolastici pericolosi in cui mancano sapone e carta igienica. Tanto di cappello alla Gelmini. Ci ha tenuto per mesi a discutere di grembiulini e di studenti che si devono alzare in piedi quando entra l’insegnante. Molti insegnanti non entrano più, i servizi igienici sono come nelle vecchie caserme, e per la scuola non arriva più un soldo. Invece del tempo pieno la riforma Gelmini ci sta dando il tempo vuoto. La conseguenza sarà un danno irreparabile. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Orazio n. 10 [email protected] IL FATTO di ieri 4 Ottobre 1898 “L’essenza di Parigi. Lasciarsi trasportare dal metrò senza fine”. Così Kafka sull’underground de “la ville lumière”, tunnel misterioso che Cocteau definirà “buco nero asfittico”. Universo sotterraneo intricato, il metrò parigino prende il via la mattina del 4 ottobre 1898. Mancano due anni all’expo universel del 1900 e la capitale prepara il gran debutto della ligne 1, da Porte Vincennes a Porte Maillot. Affidati all’estro dell’urbanista Fulgence Bienvenue i lavori della sotterranea più glamour del mondo, procedono a tempo di record. Tecnologia avveniristica primo Novecento, cifra architettonica “art nouveau”, il primo metro diventa subito mito, con la sua fuga di gallerie audaci, il comfort dei convogli, i chioschi e le stazioni stile floreale firmate da Hector Guimard, sacro mostro dell’arte modernista francese. Per i parigini, quel lungo treno nel ventre della città è da subito mode de vie e, sul filo del motto “Metrò, Boulot, Dodo”, nel 1901 i viaggiatori saranno oltre 50 milioni.”…Il metrò, dove rosse risplendono le luci che indicano la via dell’Ade…”. A poco più di un secolo, in fondo, l’atmosfera “noir”evocata da Walter Benjamin, sembra non essersi del tutto perduta. Giovanna Gabrielli inoltriamo la richiesta di revoca e scopriamo che è tutto predisposto. La banca pretende che certifichiamo la loro bravura poichè risulta, incredibile ma vero, che siamo stati noi a rifiutare il loro aiuto. Siamo stati ricattati, violentati moralmente. Sappiamo di essere in tanti a subire questi abusi. semplice: niente uscite didattiche, visite guidate e viaggi di istruzione. Vi rendete conto di quanto dirompente potrebbe risultare una manifestazione del genere? Se ci siete ancora battete un colpo altriment,i specialmente quelli più giovani ( ormai quarantenni ), vi abbandoneranno in frettta. Cristina Erbifogli Linus B. Se i sindacati non aiutano la scuola I vecchi ci ricordino che cos’era il regime Ma dove sono andati a finire i sindacati della scuola? Tutta l'istruzione pubblica sta subendo l'attacco finale e chi ci dovrebbe tutelare tace. Allora non limitatevi a prelevare direttamente in busta paga la quota di iscrizione perchè tanto è sicura. Che ne dite invece di proclamare subito, non qualche altro sciopero generale per regalare alcuni miliardi di euro al governo, ma un bel blocco di tutte le attività non dovute per contratto? Un esempio Vorrei fare una considerazione sull'analogia che vedo tra il famoso ventennio ed il periodo attuale. Ho 54 anni, non c'ero ma ne ho sentito molto parlare dai miei, che ne hanno subite le conseguenze. Quando sorse il fascismo, i vecchi di allora sapevano benissimo a co- IL FATTO QUOTIDIANO via Orazio n. 10 - 00193 Roma [email protected] sa andavano incontro. La maggioranza però erano giovani che, illusi dal regime, lo sostennero. Ne venne fuori ciò che sappiamo. Troppi anni sono dovuti passare perchè questa Italia riuscisse a lasciarsi alle spalle il regime. Allo stesso modo, oggi abbiamo buona parte della popolazione anziana che sa che fine faremo se continua così, i giovani d'oggi (tra i 20 e i 40 anni) vivono nell'illusione del "salvatore". Per rovesciare questo regime dovremo aspettare la presa di coscienza di chi è nato da poco, magari istruito dai nonni; i genitori ormai sono persi ed i vecchi sono in decisa minoranza. Fabio Ivaldi Chi dovrebbe difendermi aiuta i criminali Sono molto deluso per cio' che e' accaduto alla Camera in merito allo scudo fiscale. La mia delusione nasce dalla quotidianita' che vivo. Sono un dipendente pubblico che da anni viene additato con le piu' gravi accuse e che da sempre, come qualsiasi lavoratore dipendente, non puo' "evadere" il fisco, il canone Rai, la tassa sui rifiuti urbani, la "tassa" sulla striscia blu sotto casa, la tassa di circolazione dell'auto e tantissime altre. Naturalmente alcune di queste tasse sono alte proprio in virtu' del fatto che le pagano soprattutto "pochi intimi" amici della legalità. Ora mi domando: perche' io dovrei votare ancora un mio rappresentante che al momento opportuno non difende chi e' "costretto" ad essere onesto, ma aiuta i criminali e tutti quelli che mi costringono a pagare le predette tasse, a chiudere i servizi sociali, le scuole, gli ospedali e tutto cio' che e' al servizio dei dipendenti cche prendono 1200 euro al mese (se ti va bene)? Aspetto delle risposte, e con me ci sono tanti cittadini arrabbiati. Pasquale Adamo L’abbonato del giorno ROSITA E LUCA Rosita Niceforo, calabrese, vive e lavora a Roma come educatrice (con un contratto a progetto) per un'associazione che si occuoa di ragazzi con la sindrome di Down. Luca Mazzaferro, il suo ragazzo, è neo laureando in Fisica all'Università La Sapienza: "Probabilmente sarò costretto ad emigrare all'estero come la maggior parte dei ricercatori italiani, ma vi leggerò anche da lì”. Raccontati e manda una foto a: abbonatodelgiorno@ ilfattoquotidiano.it Il Berlusconismo e i vizi capitali Buongiorno, sono una ragazza di 28 anni, laureata in legge, amareggiata e sconfortata dall'idea di continuare a vivere in una società creatrice di dementi. Da tempo penso ad un possibile modo di rivoluzionare tutto ciò, ma credo che purtroppo il berlusconismo abbia dato agli uomini tutti e sette i vizi capitali. E chi se ne libera più? Il presidente del Consiglio è infido, dice tutto e il contrario di tutto, facendo credere che sia possibile raggiungere un benessere che alla fine è solo il suo! Come fanno i suoi elettori a dire che sono tutte calunnie quando è lui stesso ad ammettere i suoi rapporti con Mangano e affini? Mi sembra che di persone stanche ce ne siano tante, ma trovarsi nel buio non è facile. Gaia Redanò Cresce l’insofferenza per il Pd che non si oppone Ma dova sta andando il Partito democratico? Va forse verso il non senso, oppure ha (come al solito) paura di prendersi le sue responsabilità? Forse l’assenteismo, che ha provocato la vittoria della maggioranza sullo scudo fiscale, è stata la cosa più grave e offensiva che l’ “opposizione” ha fatto nel corso. Avrebbero potuto lottare insieme all’Udc e all’Idv per far sì che questo decreto non passasse, invece non solo quelli che non contano, ma anche i grandi (Bersani , D’Alema , etc.) non c’erano. È così che vogliono rifondare il Pd? Signor Bersani, io sono una pensionata di provincia. Avevo fiducia in lei. Dov’era? Non avete fatto la legge sul conflitto d’interessi, non avete fatto una legge sulla scuola che risolvesse i problemi,(ero una professoressa, ho vissuto nella scuola per 30 anni), non avete fatto niente! La vocazione prioritaria della sinistra è la divisione, nei momenti meno opportuni quello che sapete fare meglio è essere inconcludenti, smembrarvi in tanti rivoli insignificanti. Non sapete tralasciare i personalismi e le visioni proprie per una sintesi ragionata, magari anche urlata, ma interna al partito.Per colpa vostra perdono tutti. E’ la prima volta che scrivo al vostro giornale ,ma proprio non ne posso proprio più. Laura Direttore responsabile Antonio Padellaro Caporedattore Nuccio Ciconte e Vitantonio Lopez Progetto grafico Paolo Residori Redazione 00193 Roma , Via Orazio n°10 tel. +39 06 32818.1, fax +39 06 32818.230 e-mail: [email protected] sito: www.ilfattoquotidiano.it Editoriale il Fatto S.p.A. Sede legale: 00193 Roma , Via Orazio n°10 Presidente e Amministratore delegato Giorgio Poidomani Consiglio di Amministrazione Luca D’Aprile, Lorenzo Fazio, Cinzia Monteverdi, Antonio Padellaro Centro stampa: Litosud, 00156 Roma, via Carlo Pesenti n°130, 20060 Milano, Pessano con Bornago , via Aldo Moro n°4 Concessionaria per la pubblicità per l’Italia e per l'estero: Poster Pubblicità & Pubbliche Relazioni S.r.l., Sede legale e Direzione commerciale: Via Angelo Bargoni n°8, 00153 Roma tel. + 39 06 68896911, fax. + 39 06 58179764, email: [email protected] Distribuzione Italia:m-dis Distribuzione Media S.p.A., Sede: Via Cazzaniga n°1, 20132 Milano tel. + 39 02 25821, fax. + 39 02 25825203, email: [email protected] Resp.le del trattamento dei dati (d. Les. 196/2003): Antonio Padellaro Chiusura in redazione ore 20.00 Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione al numero 18599 BIRRA DEL BORGO www.birradelborgo.it