Traffico di droga e spaccio: 26 nei guai
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Traffico di droga e spaccio: 26 nei guai
VENERDÌ 1 GIUGNO 2012 LA SICILIA CALTANISSETTA PROVINCIA .27 [ L’OPERAZIONE «ELITE» ] Traffico di droga e spaccio: 26 nei guai Retata dei carabinieri tra il capoluogo e San Cataldo: tutto è partito dalle intercettazioni di Vitello VALERIO MARTINES SAN CATALDO. È bastato pedinare e intercettare le telefonate di un tizio - quello che in gergo investigativo viene definito "il pesce grosso" - per arrivare a tutti gli altri. «Dai, ci vediamo al bar Pepita che ne parliamo...». Una, tre, tante e troppo sospette quelle telefonate di giovani sancataldesi che arrivavano al cellulare di Giovanni Vitello, netturbino alla cooperativa "Geo Agriturismo", fino a qualche anno fa lavaggista al quartiere Calvario e assai chiacchierato anche per le sue frequentazioni e vicinanza con mafiosi sancataldesi, di vecchia guardia e nuova generazione. Tirato in ballo, ieri e oggi, da tanti pentiti come uno ’ntisu, ma che preferiva stare sempre dietro le quinte. Non per riservatezza, casomai per cautela. Troppo mal frequentata quella caffetteria al civico 101, accanto alla biblioteca di San Cataldo, lungo il centralissimo corso Vittorio Emanuele. Soprattutto da quando la gestione del "Pepita" era cambiata e lo frequentavano giovani spacciatori, piccoli ladruncoli d’appartamento. Ci sono voluti due anni di indagini iniziate nel gennaio 2009 e finite lo scorso novembre, quattro microtelecamere posizionate dentro il bar e soprattutto nella toilette, per capire che quella folla non entrava solo per sorseggiare un caffè, prendere una birra e scambiare due chiacchiere con gli amici. Ma per smerciare hashish, rullare spinelli e fumarseli al punto da annebbiare il bagno È bastato del bar, vendere cocaina e sniffarsela sempre lì pedinare e dentro, trattare la venintercettare le dita di marijuana, piazzandola a 5 euro al telefonate di grammo come l’hashish, quello che è mentre il prezzo della variava dai 70 agli stato definito il "neve" 80 euro al grammo. «pesce grosso» Sotto gli occhi della figlia della titolare, quella per arrivare a Giusy Puzzangara amtutti gli altri: si messa ai domiciliari solo perché di recente ha parincontravano torito un figlio, che dalle al Bar Pepita di 2 del pomeriggio in poi sostituiva la madre alla corso Vittorio cassa. Sotto lo sguardo dell’occhio elettronico Emanuele che all’insaputa di tutti ha filmato un centinaio di cessioni di droga. La barista, però, insieme a Maicol Amico che si riforniva di droga nel capoluogo e a Calogero Genova con cui gestiva lo spaccio nel suo locale, imponeva ai clienti-assuntori di assumere sostanza stupefacente nel bagno, ritenuto una sorta di "fortino" inespugnabile. Con questo escamotage, infatti, evitavano che all’uscita potessero sbucare i carabinieri che sorprendevano gli acquirenti con le dosi e gli involucri appena acquistati. Ieri non era giornata di chiusura, ma il bar "Pepita" è rimasto con la saracinesca abbassata. Sequestrato, come previsto dall’ordinanza del gip dei Minori, Francesco Pallini che col gip David Salvucci ha emesso le ordinanze chieste dai pm della Dda, l’aggiunto Domenico Gozzo e Edoardo De Santis. Alle 4 del mattino, l’irruzione a San Cataldo di un centinaio di carabinieri di tutti i reparti del Comando provinciale, quattro cani antidroga, 50 auto e un elicottero che ha volteggiato fino alle 10 del mattino hanno fatto intuire ciò che stava succedendo. L’hanno chiamata "Elite" questa nuova inchiesta che dà un altro scossone alla produttiva filiera dello spaccio di droga a San Cataldo. Ci sono maggiorenni, minorenni, studenti, operai e disoccupati nel duplice ruolo di assuntori e spacciatori nel dossier che la Tenenza dei carabinieri - comandata dal luogotenente Carmelo Zimarmani e sotto il coordinamento della Compagnia diretta dal capitano Domenico Dente - ha aperto due anni fa subito dopo avere arrestato col blitz "Piazza Pulita" altri 24 pusher che smerciavano eroina e ancora prima - con la retata "Lupin" - una banda di ladri d’appartamento e spacciatori. Su tutti spicca la figura e la caratura di Vitello, l’unico dei 22 destinatari dei provvedimenti cautelari a cui è contestata l’accusa di affiliato a Cosa Nostra sancataldese, all’ala del boss Cataldo Terminio e del presunto reggente Maurizio Di Vita, in particolare. È Vitello, secondo gli investigatori dell’Arma che l’hanno tallonato giorno e notte e ascoltato le telefonate o le conversazioni sulla sua jeep, che traffica cocaina orbitando sempre nella famiglia mafiosa. Si sposta a Caltanissetta, ma badando bene di farsi vedere in compagnia di pregiudicati, così da evitare di essere attenzionato. Il netturbino maneggia armi. Un giorno i carabinieri, cuffie alle orecchie, sentono indiretta un paio di spari mentre lui è sul fuoristrada. Il bersaglio impallinato è un segnale stradale. L’altra notte nella sua casa di campagna è stata scovata una pistola a salve calibro 9, senza tappo rosso. Callari, invece, aveva una carabina che è stata sequestrata. E durante le perquisizioni sono stati trovati 10 grammi di droga, tra hashish e cocaina. Dormivano tutti quando i carabinieri, ordinanze sotto braccio, hanno bussato alle loro porte. Li hanno presi tutti. I NUMERI DEL BLITZ Gli incriminati sono 22 4 indagati in libertà Ecco chi sono i destinatari dei provvedimenti cautelari. Il Gip David Salvucci ha disposto la custodia cautelare in carcere per i sancataldesi Giovanni Vitello, netturbino della cooperativa "Geoagriturismo", 48 anni, con precedenti penali e residente in via Cattaneo; Michele Callari, autista, 29 anni con precedenti e residente in via San Leonardo; Maicol Amico, disoccupato di 19 anni, con precedenti, residente in via Lauricella; Alessio Cataldo Biancheri operaio di 28 anni, residente in viale dei Platani e con precedenti; Salvatore Caramazza disoccupato, 23 anni, con precedenti e residente a Caltanissetta in via Redentore; Gioele Lillo Domenico Ferrara, operaio incensurato di 22 anni e residente in via Belvedere; Calogero Genova, incensurato 21 anni e residente in viale dei Platani, Gianmarco Ingaglio, disoccupato di 25 anni e residente in via Casale. In cella pure i nisseni Rocco D’Asero, disoccupato di 19 anni residente a Caltanissetta in via Colajanni; Francesco Paolo Ferdico, ambulante di 47 anni con precedenti penali residente a Caltanissetta in via Niscemi; suo figlio Antonino Ferdico, ambulante di 28 anni con precedenti e residente in piazza Mottura a Caltanissetta. Arresti domiciliari per Massimo Calogero Dell’Aiera, 41 anni, operaio incensurato di San Cataldo e residente in via Setti Carraro; Jerri Angelo Giambra, operaio incensurato di 26 anni di San Cataldo e residente in contrada Bigini; Marco Emma, 21 anni disoccupato di San Cataldo e residente in via Regina Elena; Giuseppe Torregrossa, disoccupato incensurato di 22 anni di San Cataldo e residente in via Gabara; Carmelo Vinciguerra, 22 anni, disoccupato con precedenti e residente in via Scifo. Obbligo di presentazione in caserma per Vita Emanuela Bonomo, 23 anni, domiciliata a San Cataldo in via Ragusa. Rigettati gli arresti domiciliari chiesti per Michele Cordaro, sancataldese di 21 anni residente in via Lambruschini; Liborio Alessandro Tomasella, sancataldese di 21 anni e residente in via contrada Pozzillo; Gianluigi Danieli, sancataldese di 20 anni e residente in via Stesicoro; Antonino Garofalo, nisseno di 35 anni e residente in via Due Fontane. Il Gip dei Minori, Francesco Pallini, ha emesso un’altra ordinanza per Maicol Amico ma per reati commessi quand’era minorenne, per Andrea Torregrossa,19 anni, sancataldese incensurato residente in via Gabara. Ai domiciliari perché madre di un neonato è andata Giusy Puzzanghera, 19 anni di San Cataldo e residente in via La Torre. Arresti in casa pure per Federico Emanuele Falzone, 18 anni, di San Cataldo e residente in piazza La Pira, e per L. R., 17 anni di San Cataldo. MAICOL AMICO MICHELE CALLARI GIOELE LILLO FERRARA ANDREA TORREGROSSA MASSIMILIANO DELL’AIERA MARCO EMMA FEDERICO FALZONE JERRY ANGELO GIAMBRA IL PERSONAGGIO «Vitello l’uomo degli stupefacenti del clan» SAN CATALDO. Non solo figura di riferimento dell’intera rete di pusher smascherata dai Carabinieri, ma anche esponente di spicco della famiglia mafiosa di San Cataldo che, grazie a lui, avrebbe controllato anche il commercio degli stupefacenti. E’ ritenuto un personaggio di rilievo, o meglio di Elite (da qui il nome del blitz di ieri notte), Giovanni Vitello, nato a Racalmuto il 3 agosto di 48 anni fa. Che si trattasse di un personaggio inserito nelle dinamiche mafiose lo hanno affermato diversi collaboratori di giustizia, a partire da Leonardo Messina all’epoca del blitz "Leopardo" per arrivare ai più recenti Massimo Carmelo Billizzi, Ettore Daniele Pace e Alberto Carlo Ferrauto. Messina, all’inizio degli anni ’90, ne parla come di un semplice "avvicinato", poi fu Giuseppe Tramontana a parlare della "militanza" di Vitello all’interno della cosca mafiosa sancataldese. LE MINACCE ALLA MOGLIE DEL PENTITO. Un episodio sconcertante lo riferì la moglie di Tramontana, Daniela Scalzo: secondo la deposizione della donna Vitello, nel lontano ’93, minacciò di uccidere lei e i suoi figli se il marito avesse continuato a collaborare con la giustizia. «Prima di partire - affermò Daniela Scalzo il 28 luglio ’93 - per la località che le forze dell’ordine avevano reperito per proteggermi dalle rappresaglie che io e mio marito avevamo accusato venni avvicinata da Giovanni Vitello. Lui mi rappresentò di avere appreso da mio fratello che mio marito aveva intenzione di collaborare, e mi minacciò dicendomi di convincerlo a cambiare idea altrimenti avrebbe fatto uccidere me e i bambini. Pronunciò le parole "si vuliti campari tu e i carusi ’mmidè"». LE DICHIARAZIONI DI "LUPIN". Sulla posizione di Vitello c’è anche la "verità" di Emanuele Ferrara, personaggio chiave dell’inchiesta "Lupin" del 2007, che fece luce su numerosi furti avvenuti a San Cataldo. «Sono imparentato con i GIOVANNI VITELLO ACCUSE DAI PENTITI “ È lungo l’elenco dei collaboratori di giustizia che hanno tirato in ballo l’impiegato della ditta di rifiuti, da Leonardo Messina a Daniela Scalzo, ai gelesi componenti della famiglia Chitè e di Maurizio Di Vita - ha affermato Ferrara nel corso delle dichiarazioni ammissive rese in Procura dopo il suo arresto - tutti affiliati alla famiglia mafiosa di San Cataldo. Più in dettaglio la famiglia sancataldese è capeggiata da cinque soggetti: Cataldo Terminio, Vincenzo Menna, Lillo Vassallo, Cataldo e Salvatore Calì.» Ferrara prosegue: «Anche se non facevo par- te della cosca mi sono prestato in più occasioni a commettere delitti come furti d’auto, danneggiamenti a scopo intimidatorio e anche furti in casa delle persone che non pagavano il pizzo, in modo da convincerle pure a pagare denaro per riavere la refurtiva ed a stare tranquille in futuro. Per questo motivo ho conoscenze sulla famiglia mafiosa di San Cataldo. Seppi direttamente da Flaminio Riggi, Giuseppe Ferrara e Roberto Cipro che Giovanni Vitello è affiliato alla famiglia mafiosa di San Cataldo. Vitello gode della disponibilità di un’abitazione in zona Don Bosco, nella quale ha attrezzato una scantinato come un bunker, al quale si accede tramite una botola, dove confeziona e custodisce ingenti quantità di cocaina. Il provento dello spaccio viene reinvestito da Vitello nell’acquisto di appartamenti a San Cataldo, che poi ristruttura e rivende. In passato, quando Vitello gestiva un autolavaggio insieme a Roberto Cipro, aveva imposto, agli altri concorrenti nel settore, un tariffario che doveva essere uguale per tutti». CONOSCIUTO ANCHE DAI GELESI. Anche i pentiti gelesi Massimo Billizzi ed Ettore Daniele Pace riferiscono del ruolo di Vitello in Cosa Nostra. Pace afferma: «Conosco Cataldo Terminio, uomo d’onore e già reggente, Vincenzo Buccheri e i fratelli Cataldo e Salvatore Calì, quest’ultimo è deceduto. Ho conosciuto inoltre Maurizio Di Vita, i fratello Cordaro, Lillo Rinaldi. Ho conosciuto pure Giovanni Vitello, avvicinato della famiglia che si occupava di commercio di droga in quanto era fra gli indagati del processo "Mucca drogata"». Billizzi invece afferma: «In carcere Salvatore Calì, tra il ’99 e il 2003, mi parlò di Giovanni Vitello dicendomi che era persona vicina al loro gruppo mafioso. Quando gli chiesi a chi potessi rivolgermi per avere un aggancio e dei contatti con San Cataldo mi fece il nome di Giovanni Vitello». VINCENZO PANE In quel bar si sentivano intoccabili La droga reperita a Caltanissetta. I pusher invitavano gli assuntori a consumare hashish e cocaina dentro «la Pepita» SAN CATALDO. Dentro quel bar si sentivano sicuri, quasi degli "intoccabili". La droga, che veniva in gran parte reperita a Caltanissetta, veniva preparata e spacciata all’interno del locale "La Pepita" e i pusher invitavano i loro "clienti" a consumarla dentro il bar. Non potevano sapere che i Carabinieri avevano installato quattro telecamere che registravano tutto quello che facevano e che dicevano. Maicol Amico, Calogero Genova e Giusy Puzzanghera non avrebbero nemmeno avuto lo scrupolo di parlare in codice, ma parlavano apertamente di droga e hashish. Tutti e tre giovanissimi, Maicol Amico, Giusy Puzzanghera e Calogero Genova, non solo spacciatori, ma anche assuntori di stupefacenti, gestivano lo smercio di droga e in determinati casi avrebbero invogliato i clienti cedendo le prime dosi a titolo gratuito. In questo modo, come hanno sottolineato il procuratore capo dei minori Maria Vit- toria Randazzo e il sostituto Simona Filoni, creavano la dipendenza psicologica nei consumatori, che ritornavano nel bar per acquistare gli stupefacenti di cui pian piano non potevano più fare a meno. Solo Genova, classe ’90, era maggiorenne, mentre gli altri due erano minori; il bar. fra l’altro, è intestato ai genitori di Giusy Puzzanghera e quest’ultima, come scrive il gip nella sua ordinanza: «Provvede a porre a disposizione del gruppo criminali i locali del bar presso cui lavora». Il posto considerato più sicuro era il bagno del locale, dove lo stupefacente veniva preparato, tagliato, confezionato in dosi e anche consumato da chi lo comprava. «Veniva così favorito - prosegue il gip - un continuo circuito di acquisto e vendita della droga e veniva garantito la disponibilità di un luogo sicuro i cui dedicarsi alle attività illecite. Tale condizione si rivelerà, tra l’altro, di fondamentale importanza per la stabilità e la continuità del gruppo che, all’interno del locale pubblico, opererà in assoluta sicurezza e riuscirà a vendere i quantitativi di droga di cui dispone con una assiduità davvero impressionante». La droga, come detto, veniva acquistata a Caltanissetta - che viene chiamata "Maonza" in sfottò sancataldese - , ma in alcuni casi i tre giovani si lamentavano della scarsa qualità dello stupefacente acquistato nel capoluogo. Dopo i primi tempi l’ingranaggio messo in piedi dai tre giovani pusher avrebbe iniziato a funzionare benissimo: clientela vasta e affari che andavano a gonfie vele. Addirittura dopo appena 12 giorni di "attività", il 13 marzo 2010, i pusher avevano bisogno di nuovi rifornimenti di stupefacenti. Dalle immagini emerge che i tre preparano il denaro e poi Genova e Amico si recano ad acquistare la droga, mentre la Puzzanghera rimane nel locale che gestisce. V. P. GIUSY PUZZANGARA LA SICILIA 28. VENERDÌ 1 GIUGNO 2012 CALTANISSETTA PROVINCIA [ L’OPERAZIONE «ELITE» ] I Ferdico fornivano hashish di «qualità» Vitello era in «affari» con il gruppo nisseno: «Mi... una bomba, Giovà, mi ha detto mio padre...» Sarebbero i Ferdico, il padre Francesco Paolo e suo figlio Antonino, i "terminali" nisseni a cui Giovanni Vitello si rivolgeva per l’hashish, a grammi e ad etti. Quantitativi che variavano, a seconda della "domanda" che arrivava dal mercato. Sono i contatti fra di loro che - per chi indaga - sono inequivocabili sul ruolo di venditore-acquirente. Ed è talmente tanta la fiducia che i Ferdico hanno verso l’amico sancataldese, che la droga gliela concedono a credito. Caltanissetta e San Cataldo, così vicine anche sul fronte della droga. «L’AFFARE COI NISSENI». Nisseni che si riforniscono dai sancataldesi e viceversa. È uno spaccato che è emerso anche dall’inchiesta Piazza pulita e si ripropone anche ora, spulciando le 423 pagine del mandato di cattura firmato dal Gip David Salvucci. In cui è dedicato un ampio capitolo ai rapporti d’affari fra i Ferdico e Vitello. E in uno dei numerosi viaggi nel capoluogo nisseno per cercare ora Franco ora suo figlio Tony, Vitello si fa accompagnare da Alessio Cataldo Biancheri. Padre e figlio gestiscono una rivendita di panini alla zona industriale di Caltanissetta, dove il rilevatore satellitare piazzato sulla jeep di Vitello conferma gli spostamenti. La mattina del primo maggio del 2009, Vitello accosta il suo fuoristrada in via Salvatore Averna e parla con Antonino Ferdico. Il netturbino sancataldese ha bisogno di qualcosa. «Dice che tuo padre... me ne serve uno», e secondo i carabinieri vuole un panetto di hashish. E Ferdico junior, che in quel momento riceve una telefonata del padre, chiede: «Una?». E Vitello conferma la disponibilità alla trattativa: «Allora si può fare, va bene glielo dici tu a tuo padre... lunedì o martedì ti porto i soldi...». Ed è lo "stigliolaro" che dice a Vitello di andare a trovare il genitore. «Sali là, dove abita mio padre... ti fermi vicino al benzinaio, ci sali, ci parli e dopo te ne scendi...». Giovanni Vitello chiede quale sia la droga. «Quello di cento»», gli risponde Antonino Ferdico, inconsapevole che la microspia collocata sul Suzuki Vitara di Vitello sta registrando quel colloquio. È sulla qualità del "fumo" che i due parlano. Ovviamente droga buona equivale ad un prezzo maggiorato. «Mi... una bomba, Giovà mi ha detto mio padre... allora questo è buono, buono... mi ha detto vedi se ce li puoi pagare qualche cento euro in più. Questo garantito proprio al mille per mille...», lo rassicura Tony Ferdico. LA "TRATTAVIVA" VIA SMS. C’è un reciproco scambio di messaggi tra il nisseno Rocco D’Asero - che attualmente era agli arresti domiciliari per avere rubato in casa della vicina del piano di IL BUSINESS Da sinistra Francesco Paolo Ferdico, Antonino Ferdico e Rocco D’Asero DROGA A DEBITO Nel corso dei suoi spostamenti in città, Vitello si faceva accompagnare da Biancheri come confermano i rilevamenti dal satellitare Qualche volta gli indagati chiedevano di acquistare stupefacenti a debito come confermano alcune intercettazioni: «Sono troppo schiacciato, ma non ti deluderò...» sopra - e il sancataldese Maicol Amico. In quella fase, il 28 agosto di due anni fa, è soltanto l’utenza di Amico che è intercettata. E lo scambio di sms con un certo Rocco dà ai carabinieri di captare anche i messaggini inviati dallo sconosciuto interlocutore. «O sn Maicol, kuando dici tu ti devo parlare mi serve una mano di aiuto fatti sentire mi rakkomando». Due minuti dopo Amico invia un altro sms sullo stesso numero. «Mbare, come sei messo?». Stavolta trilla il telefonino di Amico. «Sono rocco tutto a posto, vedi che viene di palermo mio cugino». Insomma, Amico chiede droga a D’Asero che lo informa di un carico in arrivo da Palermo. «Mi serve un favore - scrive Amico a D’Asero - perchè sono troppo schiacciato (senza soldi; ndr) per favore un po a gancio (che prende la droga gratis e paga quando la rivende; ndr), non ti deludo, tranquillo per favore». Da un’altra conversazione emerge come D’Asero proponga ad un amico di rubare qualcosa in casa sua per racimolare soldi e comprarsi la droga. Un sms che invia il 9 ottobre 2010: «Te lo accolleresti di prendere una collana a casa tua mentre non ce nessuno. Compà troppi soldi, troppo cose ti faccio dare». Ma l’altro risponde che a casa c’è la madre. GLI INTERROGATORI. Ieri primo round di interrogatori. Nel carcere di Nicosia s’è avvalso della facoltà di non rispondere Calogero Genova (difeso dall’avvocato Gianluca Amico), mentre Francesco Ferdico (assistito dall’avvocato Maria Francesca Assennato) ha negato di conoscere Vitello. «Io macello carne, non spaccio droga e mi hanno pure assolto». Oggi altra tornata di interrogatori per gli indagati (difesi dagli avvocati Massimiliano Bellini, Gianluca Amico, Salvatore Daniele, Maria Francesca Assennato, Ivan Alaimo, Sergio Iacona e Giuseppe Dacquì). ALESSIO BIANCHERI SALVATORE CARAMAZZA CALOGERO GENOVA GIANMARCO INGAGLIO GIUSEPPE TORREGROSSA CARMELO VINCIGUERRA VA. MA. Quella gita estiva a Riccione con la pistola al seguito IL «GRANDE FRATELLO» DELL’ARMA I carabinieri avevano piazzato quattro microtelecamere nel «Bar Pepita» (compreso il bagno) e registravano tutti gli episodi di spaccio avvenuti nel locale negli ultimi mesi Avevano le armi con loro anche per andare a mare SAN CATALDO. Dalle pistole non si separavano mai, nemmeno quando andavano a mare. Anzi le armi dovevano essere efficienti e dotate di silenziatore. Quello relativo alle armi è un altro degli aspetti che emerge dall’indagine "Elite". A possedere illegalmente armi sarebbero stati Giovanni Vitello, il personaggio chiave dell’inchiesta, e Michele Callari (30 anni, di San Cataldo), che nel 2003 era già stato arrestato per possesso illegale di armi da fuoco. Per gli inquirenti tra i due vi sarebbero rapporti molto stretti, sebbene Callari non faccia parte della famiglia mafiosa sancataldese e addirittura quest’ultimo sarebbe una sorta di "braccio destro" di Vitello. Nel maggio 2009 per "saggiare" le qualità di una pistola Vitello, Una volta mentre era in auto con altre due persone, abbassa il finestrino della Vitello provò sua auto e spara contro un segnale una rivoltella stradale. Una pratica particolarmente rischiosa, ma che Vitello sparando compie ben due volte in pochi giorcontro un ni nella zona di contrada Borgata Palo. Ma di armi Vitello ne custodisegnale rebbe anche altre; proprio nella zostradale in na di Borgata Palo Vitello ha un cadove, secondo gli inquirenti, contrada Palo, solare il sancataldese ne terrebbe altre. mentre era a Nel corso di una conversazione intercettata, Vitello è con altre persobordo della ne, una delle quali dice: «Con quelsua vettura la m... di pistola non ci ho mai sparato». Vitello: «Qual è? La 7,65. O la 9?». Interlocutore: «Ma questa qua io non l’avevo mai vista». Vitello: «Ah, quando sei venuto con le cartucce, che avevi le cartucce in tasca... allora». Dal canto suo Callari, il quale ovviamente non ha il porto d’armi, avrebbe approfittato dell’amicizia con un armaiolo di Caltanissetta - che chiama "amico mio" - per ottenere i pezzi di ricambio delle armi. Callari non si sarebbe fatto problemi nemmeno a portare con se una pistola a Riccione, dove trascorse, nell’agosto 2009, un periodo di ferie. Callari, il 14 agosto 2009, parla al telefono con una persona sconosciuta che gli dice: «Michè, la pistola non te la scordare». Callari: «No, tutte cose dietro ho». Vitello e Callari avevano timore delle indagini delle forze dell’ordine: in una circostanza Vitello vorrebbe cedere una pistola a Callari per sbarazzarsene, ma quest’ultimo ne ha già una e quindi non la acquista. VINCENZO PANE UNITÀ CINOFILE Per eseguire le perquisizioni domiciliari a carico degli indagati, i militari si sono avvalsi anche del contributo di 4 cani antidroga La retata è stata effettuata con l’impiego di un centinaio di carabinieri del Comando provinciale dei vari reparti, 50 autoradio e un elicottero dell’Arma proveniente da Palermo I RETROSCENA E Callari andò a comprare il rilevatore di microspie SAN CATALDO. Per modificare e sistemare le armi Giovanni Vitello si rivolgeva a diverse persone che non avrebbero esitato a mettersi a sua disposizione. Sono diverse le intercettazioni che sembrano inchiodare Vitello; dalle conversazioni finite nell’orecchio degli investigatori emerge anche il timore da parte di Vitello e di Callari di venire sorpresi dalle forze dell’ordine. Tant’è che Callari, a un certo punto, decide di acquistare un rilevatore di microspie. LA PISTOLA DA "SILENZIARE". Il 29 marzo 2009 Vitello discute con uno sconosciuto per modificare una pistola e installarvi un silenziatore, una pratica che per gli inquirenti non fa altro che confermare la pericolosità del sancataldese. Vitello vuole acquistare un’arma per un altro soggetto e chiede: «Scusa, mi fai vedere questa tua EEE». Sconosciuto: «Ma che fa... sai che con me... ». Vitello: «No, io la devo vedere prima». Lo sconosciuto fa quasi una "televendita": «Canna smontabile... canna "abbirsata"... dopo la canna lui la può trasportare... ». Vitello: «Io la devo vedere... che siccome me l’ha domandata uno, gli ho detto che posso vedere a un prezzo buono». Sconosciuto: «... da otto colpi, quando hai disponibilità di pomeriggio "a putimmu iri a taliari" (possiamo andare a vederla)». Vitello: «Ma dimmi una cosa, tu il silenziatore glielo puoi fare?». Sconosciuto: «Volendo si... ci vuole... gliela faccio già predisposta per svitare». Vitello: «Questa sette e sessantacinque spara giusta?». Sconosciuto: «Giusta è». Vitello: «Siccome Temeva di essere intercettato e così chiese di acquistare uno specifico modello che lui conosceva in un negozio di Sondrio vuole fatto il... (parola incomprensibile) e metterci il silenziatore». Sconosciuto: «La canna sola?». Vitello: «Si ci può fare?». Sconosciuto: «Avoglia! Prendiamo un altro pezzo di tubo che lo facciamo fare con il torchio». Giovanni Vitello sembra nutrire delle perplessità sulle indicazioni del suo interlocutore e chiede: «Non sembra giocattolo? Io parlo... non sembra un giocattolo?». Sconosciuto: «Ma quale m... di giocattolo. Loro la provano, la guardano e vedono com’è. Questa cosa si deve provare e guardare». Vitello: «Va beh, ora vedo se gli faccio smontare quella e gli fai il silenziatore». IL RILEVATORE DI MICROSPIE. Il 9 ottobre del 2009 Michele Callari si reca in un negozio specializzato di Sondrio, in Lombardia, e chiede di acquistare un ri- levatore di microspie. Callari è piuttosto documentato, infatti fornisce con esattezza all’impiegato i dati del modello che gli interessa comprare. Si tratta di un modello caratterizzato da una sigla numerica che Callari ricorda perfettamente. In merito a questi avvenimenti il gip David Salvucci, nella sua ordinanza, scrive: «E’ palese ritenere che il Callari tema di poter essere intercettato, tanto da dover richiedere l’acquisto di un rilevatore di microspie; lo stesso sembra aver collocato presso la sua residenza anche dei sistemi di videoripresa, verosimilmente posizionati all’esterno della sua abitazione, così da poter riprendere l’arrivo e l’eventuale accesso di personaggi a lui non graditi (comprese le forze dell’ordine)». V. P. VENERDÌ 1 GIUGNO 2012 LA SICILIA CALTANISSETTA PROVINCIA .29 [ L’OPERAZIONE «ELITE» ] «Servono nuove regole in "famiglia"» Vitello insieme a «Totò» due anni fa parlavano del piano di uccidere una persona: era Panzarella? CI SONO I FERDICO Molti precedenti per gli arrestati C’è chi i cancelli del carcere li ha varcati più volte, anche da giovane, altri vi sono entrati per la prima volta ieri. È variegata la gamma di persone risucchiate nel blitz antidroga "Elite". Come Giovanni Vitello, prima tirato in ballo da Leonardo Messina nel "Leopardo" come indagato a piede libero. Ma gli elementi a suo carico non erano sufficienti per chiederne il rinvio a giudizio. Poi a metà degli anni ’90 l’arresto nella maxi inchiesta "Mucca drogata" quando i trafficanti del clan Madonia nascondevano la droga nelle interiora dei bovini - per la quale patteggiò la pena a 1 anno e 8 mesi. C’è poi il dipendente del frigomacello nisseno, Francesco Paolo Ferdico, arrestato in "Free town" per smercio di soldi falsi e condannato a 1 anno. Poi nel 2003 l’arresto col ruolo di basista della "banda del buco" che voleva svaligiare la Banca di Roma di via Kennedy, a Caltanissetta, e la condanna a 3 anni e mezzo. In carcere ci ritorna l’estate scorsa: la Narcotici scova nel sottotetto del suo condominio una ventina di panetti di hashish: 2 chili e 300 grammi nascosti sotto le vasche dell’acqua. Non v’è prova che siano suoi, ha sentenziato di recente il gup che l’ha assolto "per non aver commesso il fatto" e scarcerato. Ma la Procura ha appellato la sentenza. Suo figlio, lo "stigghiolaro" Antonino, è stato arrestato nel 2008 a Sommatino con altri due familiari mentre tentava un furto in un palazzo. Alessio Biancheri qualche anno fa venne fermato con un complice mentre tentava un furto in casa. Un mese e mezzo fa è finito in Rianimazione a Palermo e poi dimesso dopo essere caduto mentre si arrampicava per entrare nella sua casa di campagna. Gianmarco Ingaglio fu coinvolto nel blitz "Lupin", ma la sua posizione fu archiviata. Toti Caramazza venne preso dalla Squadra Mobile con un panetto di hashish, poi assolto ma condannato in appello. Carmelo Vinciguerra è stato condannato per la tentata rapina ad un minimarket e mesi fa arrestato per avere rubato l’auto ad un amico e provocato un incidente stradale. VA. MA. VINCENZO PANE San Cataldo. Il blitz antidroga "Elite" si intreccia comunque con gli avvenimenti che hanno caratterizzato la mafia sancataldese negli ultimi anni. Giovanni Vitello, ritenuto un affiliato alla mafia di San Cataldo, parlava anche della situazione dei gruppi mafiosi sancataldesi e dell’omicidio di Totò Calì. Lo si evince dalla intercettazioni ambientali e telefoniche finite nell’ordinanza di custodia redatta dal gip David Salvucci. PIANO PER UCCIDERE PANZARELLA? Vitello e un’altra persona di nome Totò parlano, il 28 marzo 2010, anche di un piano per uccidere una persona. Secondo gli inquirenti si tratterebbe del sommatinese Giuseppino Panzarella, attualmente in carcere per avere tentato di abusare di una minorenne. Vitello afferma: «Questo bord... che è successo recentemente, con quello che era in lista e che doveva morire?». Panzarella, secondo gli inquirenti, potrebbe in qualche modo essere coinvolto anche nel delitto Calì: Vitello e Totò sembrerebbero riferirsi a lui con l’espressione "Peppe quarantasette", visto che il 47 nella smorfia, indica il "morto che parla". Vitello, parlando con il solito Totò il 6 aprile 2010, afferma: «Lascia perdere gli interessi per i tabuta (casse da morto, riferimento alla faida per il controllo dei servizi di onoranze funebri, in cui si inquadrerebbero l’omicidio Calì e il tentato omicidio Mosca del 2009, n.d.r.) l’inte- resse è solo uno di quelli che sono rimasti in paese. Si deve fare capire che loro sono amici, se succedeva qualche altra cosa a qualcuno quello che poteva parlare era Turiddu, una persona con la testa sopra le spalle Peppe quarantasette è». «DOBBIAMO SISTEMARE LA FAMIGLIA». In un’altra conversazione Giovanni Vitello parla con un’altra persona, di nome Salvatore, e sembra lamentarsi della mancanza di unità fra i componenti della mafia sancataldese, prendendo invece ad esempio la compattezza dei gelesi. Vitello: «Se c’erano altre teste qui «Dobbiamo sistemarci. Quanti siamo, 10, 50? Palla a centro per tutti, no che c’è chi sta male e chi sta bene. Facciamo come i gelesi che sono più compatti» a San Cataldo, ma agli altri non gliene frega niente, ci vogliono nuove regole». Salvatore: «Dobbiamo sistemare tutta la famiglia, quanti siamo? Dieci? Cinquanta? Palla a centro per tutti, no che c’è chi sta male e chi sta bene. Dobbiamo stare, meritiamo tutti». Giovanni: «A Gela invece no, a Gela sono un poco più compatti. Perché là quello dice "fai lavorare a questo", "fai lavorare a quello"». «GLI SBIRRI SANNO TROPPO». Il 28 marzo 2010 la conversazione cade su Cosimo Di Forte, attualmente sotto processo in Corte d’Assise in quanto ritenu- L’ON. TORREGROSSA «LO STATO C’È SEMPRE» “L’attività delle forze dell’ordine e i risultati raggiunti nel territorio ci conforta e garantisce sicurezza al territorio”. E’ il commento dell’on. Raimondo Torregrossa dopo la vasta operazione antidroga e quella degli agenti della Sezione criminalità organizzata (Polizia dei giochi e delle Scommesse) della Squadra Mobile che hanno sequestrato “slot machines” alterate nei software e non collegate in alcun modo alla rete telematica dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato. «Lo scadimento dei valori che porta a mettere a segno frodi nei confronti dello Stato – continua Torregrossa – si scontra con la presenza dello Stato rappresentata dall’azione delle Forze dell’ordine che, come hanno dimostrato, con competenza e professionalità nella difesa della legalità». CONTROLLI SULL’AUTO DI GIOVANNI VITELLO IL PRETE DI «FRONTIERA» Padre Schirru: «Si comincia con lo spinello, poi i deboli cedono ad altro» «Devianza provocata dal disagio sociale» SAN CATALDO. Ieri, in città, non si parlava d’altro: gli arresti nell’ambito dell’operazione "Elite" erano sulla bocca di tutti. Tanta la curiosità, l’attesa di conoscere e, da parte di chi non poteva essere da subito al corrente della maxi-operazione antidroga portata avanti dalle forze dell’ordine, anche tanto sbigottimento. Come testimoniato da alcuni "post" scritti sul network di Facebook: «Ma che cavolo è successo? - chiedeva una giovane internauta -. Dieci macchine dei carabinieri a sirene accese e l’elicottero che circola da ieri sera!». Le notizie e le immagini diffuse nelle ore successive avrebbero poi chiarito la situazione. Una situazione che vede San Cataldo al centro dell’attenzione per fatti legati al malaffare e ad un’avvilente dispersione giovanile. Impressiona, infatti, come tra i coinvolti nell’operazione ci fossero tanti ragazzi, alcuni dei quali minorenni. I giovani ed il tunnel della droga: un fenomeno sociale in città che, purtroppo, ha radici profonde. Perché questo? Cosa porta la gente a marchiare la propria vita già da adolescenti? «Purtroppo le istituzioni, di ogni tipo, hanno perso il contatto con i giovani. Al giorno d’oggi, spesso, vi è mancanza di comunicazione. La devianza è dovuta ad un disagio sociale e ad una ricerca di senso nella propria vita» - afferma il padre mercedario Enrico Schirru, cappellano della Casa di reclusione di San Cataldo. Sacerdote "di frontiera", Padre Schirru commenta gli ultimi fatti dal proprio punto di osservazione della realtà. Di esperienze difficili e testimonianze di vita vissuta, il cappellano ne ha ascoltate parecchie in vita sua: «Ho conosciuto in maniera considerevole persone la cui vita si è intrecciata con esperienze di droga ed alcolismo. Non si tratta solo di chi fa uso personale di sostanze stupe- to uno dei soggetti che hanno pianificato l’omicidio di Totò Calì del 27 dicembre 2008. Vitello parla con un tale Totò e manifesta timore per paura che Di Forte possa essersi pentito e poi il discorso si sposta sul delitto Calì: «Allora quel Di Forti se n’è andato?». Totò: «Si, a Roma, mi sembra che è pentito, ho paura di questo». Vitello: «Per togliere di mezzo a Totò... non lo potevano fare, solo il grande capo può dare... lui è uno appartenente a Cosa Nostra». Vitello sembra mostrare preoccupazione per le indagini dell’autorità giudiziaria, tanto da affermare: «Gli sbirri... pericolosi sono, sanno tutto. Hanno slavato un altro omicidio, capito dove sono arrivati? Ti devi imparare che ormai sanno troppo». Il discorso va avanti su Di Forte e su altre persone di cui Vitello non sembra avere molta considerazione. E ancora torna il timore che Di Forte possa aver deciso di collaborare con la giustizia. Vitello: «Min... grande capo Di Forti, ma dove devono andare?». Totò: «Appunto, tutti infami». Vitello: «Quei ragazzi tutti pecorai sono». Totò: «Adesso chi m... deve pagare? Si devono dare ad altre cose». Vitello: ««Chi deve pagare? Quello è un altro pentito». Totò: «Ma un pentito deve parlare sopra ad altri, no?». Vitello: «Ma cosa deve parlare? Che min... deve dire?». Vitello inoltra racconta un retroscena: quando apprese dai giornali dell’omicidio di Totò Calì ritenne che fosse stato ucciso un altro e per sbaglio fosse stata pubblicata la foto di Calì: «Quando ho visto il titolo "Agguato mortale al boss di San Cataldo" e la foto di Totò ho detto "guarda qua questi m... di giornalisti", hanno sbagliato, hanno messo la foto di Calì. Poi mi hanno detto che l’avevano ammazzato di notte e notte». GLI ARRESTATI VENGONO TRASFERITI IN CARCERE facenti, ma anche di coloro che, in questi tempi di difficoltà, ne fanno un cespite, ossia una fonte di guadagno». La "confidenza" con queste sostanze inizia quasi per gioco, poi diventa qualcosa di più: «Spesso si comincia con uno spinello, poi si arriva anche all’eroina o alla cocaina. Coloro che se ne servono sono persone deboli, preda della crisi non solo economica ma di valori, che li ha portati a cercare consolazione altrove. Attenzione, però, perché oltre alla droga esistono l’alcol ed il gioco, che sono altre forme di schiavitù». Sul problema di chi, già da giovane, si presta a "smerciare" sostanze illecite, padre Enrico sottolinea: «Qualche ragazzo vede il guadagno facile ed inizia. Si tratta di persone che vivono di espedienti, ma anche di giovani di buona famiglia. Ciò che fa pensare è anche un altro fatto: se una retata del genere è stata fatta in una realtà come San Cataldo, significa che vi è una distribuzione della merce capillare, di proporzioni notevoli. Tutti questi arresti in questo bacino fanno pensare a proporzioni esagerate di diffusione delle sostanze». Infine, padre Schirru sottolinea: «C’è qualcosa che non funziona. Serve una campagna di prevenzione contro la devianza, che deve partire dalle famiglie, dalle scuole, dalle parrocchie e da ogni organo di informazione. Purtroppo, i genitori non si accorgono di ciò che fanno i figli e quando succede è troppo tardi. In questi casi, tutti coloro che hanno responsabilità nei confronti dei giovani devono fare mea culpa. La speranza è che l’alcol e la droga non rappresentino la fine della vita, ma solo un passaggio che poi conduca ad una vita migliore». CLAUDIO COSTANZO LA CONFERENZA STAMPA. L’allarme degli inquirenti per i minori coinvolti nell’inchiesta che avevano a che fare con un indiziato mafioso Tra la soddisfazione per avere arrestato una cricca di spacciatori e il rammarico perché tra di loro vi sono giovanissimi, adolescenti. Perché si va sempre abbassando la fascia d’età di chi fa uso di droga e la vende per racimolare soldi per ricomprarsela. O fare la bella vita. Magistrati e carabinieri, in conferenza stampa per illustrare i retroscena dell’inchiesta "Elite", hanno affrontato anche l’aspetto sociologico di questo spaccato investigativo. Di giovani vite bruciate dalla tossicodipendenza. «È allarmante per la nostra Procura il coinvolgimento di minorenni in questa imponente attività di spaccio», ha spiegato il suo timore il procuratore dei Minori, Maria Vittoria Randazzo, affiancato dal procuratore Sergio Lari. «Un fenomeno che riguarda tutti e che spesso non viene attenzionato dalle famiglie, che non intuiscono la pericolosità fisica né quella psicologica. La vicinanza di minori all’attività di spaccio rischia il loro inserimento nei gruppi criminali». Il sostituto procuratore dei Minori, Simona Filoni, ha rimarcato come alcuni degli incriminati «da tempo erano già inseriti nel circuito penale minorile. Al "Pepita" si spacciava dalle due del pomeriggio in poi. Peraltro dentro il locale - ha aggiunto Filoni, che ha una grande conoscenza della dimensione criminale giovanile nel Nisseno - si sentivano sicuri ecco perché non usavano un linguaggio criptico». Sì, un "glossario" variegato, quello a cui si riferisce il magistrato e che i carabinieri della Tenenza hanno decifrato. Parlando al telefono, una volta chiamavano la droga "cara- «Dallo spaccio ai gruppi criminali» LA CONFERENZA STAMPA NELLA «SALA FALCONE BORSELLINO» DEL TRIBUNALE melle", "cioccolata" o "gelato particolare", ma altre volte gli investigatori hanno ascoltato perfettamente di cosa si parlava. Di droga, ovviamente. «Emergono aspetti di mafiosità in questa ordinanza di custodia cautelare che abbiamo chiesto e il giudice ha condiviso. Contro Giovanni Vitello - ha confermato il procuratore Lari - v’è un quadro UN’ALTRA IMMAGINE DELL’INCONTRO CON LA STAMPA granitico di riscontri, non solo dalle intercettazioni ma anche dalle rivelazioni dei collaboratori di giustizia. È un soggetto che si dedica alle estorsioni, che riscuote crediti per conto di altri, e capace di imporre manodopera e forniture alle imprese edili». Sul profilo criminale di Giovanni Vitello s’è soffermato anche il procuratore aggiunto Dome- nico Gozzo che ha parlato degli incontri di Giovanni Vitello con altri mafiosi dell’hinterland nisseno. E alla domanda se il giro di spaccio di cocaina e hashish venuto a galla adesso era "amministrato" da Cosa Nostra, il procuratore Lari ha aggiunto: «Sicuramente non poteva sfuggirne al control- lo della famiglia mafiosa di San Cataldo, veniva tollerato. E una grossa fetta era proprio controllata da Vitello, che rispetto al gruppo dei Calì apparteneva all’altro gruppo, sicuramente quello che fa capo a Terminio. Dagli atti dell’inchiesta ci risulta che Vitello cedeva ad altri semi di canapa indiana, alimentando così la coltivazione di piantagioni di cannabis nelle campagne della città. Inoltre - analizza ancora il capo della Dda nissena - lui aveva una disponibilità di armi, pensiamo a quando fa fuoco contro un cartello stradale. Oppure a a Callari che in un’intercettazione dice di andare in gita a Riccione portandosi con sé una pistola. Ai carabinieri va dato merito di avere svolto un’indagine professionale su un territorio piccolo, ma inquinato». È dello stesso parere il colonnello Roberto Zuliani, comandante provinciale dei carabinieri, il quale ha ricordato che «il passaggio da assuntore e spacciatore è molto semplice». Mentre il capitano Domenico Dente, che comanda la Compagnia di Caltanissetta, ha elencato i numeri e gli aspetti logistici del blitz, evidenziando che «quella di stanotte è stata un’operazione di risposta alle molte domande di sicurezza che ci venivano chieste dai cittadini sancataldesi. Mi piace far notare che tutti i destinatari delle misure cautelari sono stati arrestati, tant’è che non risulta nessun irreperibile. È la dimostrazione che i nostri carabinieri conoscono bene il territorio e sanno come e quando intervenire». VA. MA.