03 impa - Braoggi
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martedì 28 ottobre 2003 ‘‘ ‘‘ ‘‘ ‘‘ La carriera agonistica nel Bari sembrava destinata a ottimi traguardi, ma sopraggiunse un serio infortunio. Oggi è il “mister” del Sommariva Perno, nel torneo di eccellenza La scorsa estate ha portato la rappresentativa piemontese dei dilettanti a trionfare nei campionati europei, battendo la Francia nella finalissima. Nel 2004 ci riproverà... Ha giocato in serie B, poi si è dedicato all’allenamento. Ottenendo sempre grandi risultati Del Vecchio, cioè il calcio È un imprenditore e come tale dirige un’azienda artigiana che opera nel settore dell’edilizia. È stato un giocatore di calcio nelle file del Bari, in serie B. Oggi è un allenatore di calcio vincente (le squadre che negli anni ha seguito si sono sempre piazzate ai primi posti nelle classifiche). Ha portato all’apice dei campionati europei del 2003 la nazionale italiana dilettanti. Ed è braidese. Per la pagina dei “Tipi braidesi” Braoggi questa settimana ha scelto Michele Del Vecchio, classe 1954, nato ad Altamura, in provincia di Bari, da mamma Maria e da papà Natale, nativo di Santo Stefano Roero. Perché abbiamo scelto il mondo del calcio? Prima di tutto perché Michele Del Vecchio è un braidese che in questo campo, per la sua storia di calciatore e di allenatore, si distingue per i buoni risultati ottenuti ed è giusto che i concittadini lo conoscano e prendano coscienza del suo valore. Poi perché, in questi tempi in cui il grande calcio, quello dei campionati trasmessi in tv per intenderci, traballa e pare sempre sul punto di crollare eticamente e praticamente, ci pare essenziale la testimonianza di un uomo che questo sport lo vive ancora con passione, con entusiasmo, sacrificando il suo tempo e le sue energie. Certo, a Michele Del Vecchio il gioco piace, ce l’ha nel sangue. Ma ci vuole davvero abnegazione e sacrificio per portare avanti a certi livelli una simile passione. In casa eravate quattro figli, tre maschi e una femmina. L’amore per il calcio è nato tra le pareti domestiche? «Niente di tutto questo. Credo che si tratti di un fatto, come dire… genetico. Ero l’unico in famiglia a nutrire la passione per il pallone. Ce l’avevo nel sangue, fin da piccolissimo andavo a vedere gli altri giocare e tutto è cominciato con l’oratorio, un tempo il vivaio naturale per i futuri giocatori di pallone. Allora la mia famiglia abitava a Grugliasco e c’era un prete di Druento che veniva con un pullmino a prendere noi ragazzi e ci portava a giocare infondendo in noi la voglia di giocare. Tanto che, contro ogni pronostico, la squadra di ragazzini della quale facevo parte riuscì a vincere il campionato piemontese “giovanissimi”». Il suo primo successo… «Il primo passo, che mi aprì le porte a occasioni sportive più grandi. Alla fine del ’64 arrivai al To- Michele Del Vecchio bambino con papà Natale e mamma Maria. rino, dove fino ai 17 anni seguii la normale trafila di qualunque giovane venga a trovarsi nel vivaio di una grande squadra. Poi arrivarono diverse possibilità per andare a giocare in società importanti e,tra le diverse offerte, optai per la formazione del Bari, che militava in serie B». Una scelta legata agli affetti: a Bari c’erano i nonni materni e Michele era affezionatissimo a nonno Mauro, che “prese in consegna” il giovane nipote-calciatore. Il gioco in campionato, la promessa di un futuro da calciatore. Ma, puntuale come in molte storie di calciatori, il rischio di un incidente di percorso sul campo. «Subii un infortunio al ginocchio e fui costretto a fermarmi per sei mesi. Il calcio di allora non era supportato dalle tecniche mediche odierne, che in poco tempo ti rimettono le gambe a nuovo. Ripresi a giocare: Bitonto, Lavello, Manfredonia, Sant’Eramo… Ma da casa si fecero sentire le pressioni dei miei genitori. “Lo zingaro”, così mi chiamavano in casa per il mio continuo peregrinare sui campi di calcio, doveva tornare. E io accettai di rientrare». Ma continuando comunque a giocare a calcio. «Cominciai a giocare nei dilettanti, in Piemonte e in Valle d’Aosta. Nel 1978 fui anche capocannoniere del campionato della mia categoria, con 27 gol in venti partite». Poi vennero Fossano, Bra, Busca, Dronero, Sommariva del Bosco, Mondialpol, Clavesana, fino a trasformare il calciatore in allenatore. «Nell’82 avevo preso il patentino di allenatore e nel 1990 iniziai questa attività come mister del Sommariva Perno». Che l’anno dopo l’arrivo di Michele Del Vecchio vinse il campionato. A seguire, Saluzzo, Bra (qui la squadra della Zizzola arrivò in serie D, dopo gli spareggi con l’Asti e con il Vado), Giaveno, Novi, Pinerolo… E qui arriva la nazionale dilettanti. Che cosa ha significato per lei questo impegno? «Rappresentare, con il Piemonte, l’Italia ai campionati europei e vincerli, è stata un’emozione indescrivibile. Per me, come allenatore (che ho creato la mia squadra non puntando sui più bravi, ma su giocatori che formavano un gruppo idoneo alle mie idee), certo, ma anche per tutti i componenti del team azzurro. Essere i primi tra quaranta squadre l’élite del calcio dilettantistico, di quaranta diverse nazioni è un’esperienza unica. In Slovacchia abbiamo giocato contro la squadra di casa, uscendone con un pareggio, e abbiamo vinto con la Russia e la Romania. In Svezia abbiamo giocato andata e ritorno con il Göteborg. In Germania ci siamo misurati con la Spagna, la Svizzera e la Germania e abbiamo vinto la finale con lo “spauracchio” del calcio italiano, la Francia». 3 LA CARTA D’IDENTITÀ ■ DATI ANAGRAFICI Michele Del Vecchio nasce ad Altamura (Bari) il 1° gennaio del 1954, da papà Natale, originario di Santo Stefano Roero, e da mamma Maria. Ha due fratelli e una sorella. È sposato con la signora Maria e ha due figli, Maurizio e Marco. ■ PROFESSIONE È titolare dell’Uniposa, azienda edile nella quale è succeduto al padre. Ma alla professione di imprenditore affianca quella di allenatore di calcio, attualmente della squadra eccellenza del Sommariva Perno. ■ CARRIERA SPORTIVA Inizia a giocare a calcio all’oratorio, poi entra nel vivaio del Torino e dal capoluogo piemontese arriva in prestito al Bari. Gioca in diverse squadre pugliesi, poi arriva a Bra e milita in alcune squadre della zona. Nell’82 ottiene in patentino di allenatore e da allora la sua carriera come mister prosegue in crescendo, fino ad arrivare alla nazionale dilettanti, con la quale vince, nel 2003, i campionati d’Europa. È un vincente: le squadre da lui allenate riescono sempre a raggiungere i primi posti delle classifiche. ■ PASSIONI Il Milan. In somma, il sapore del successo è dolce? «Sì, ma è anche emozionante e commovente. Abbiamo avuto un’accoglienza incredibile da parte degli immigrati italiani e il momento della vittoria è stato un’apoteosi, con tutta quella gente che voleva le nostre magliette, gli autografi… Emozioni da campioni, da professionisti del calcio». E adesso, dove l’ha portata il pallone? «Come il figliol prodigo, dopo quattro anni e cinque campionati, sono tornato al Sommariva Perno, nel campionato eccellenza, in attesa di ripetere, il prossimo anno, l’esperienza della nazionale dilettanti, questa volta per difendere il titolo continentale». Chiudiamo con un bilancio parziale della sua attività calcistica: qual è stata l’esperienza migliore e quale la peggiore? «Beh, tra le esperienze migliori devo senza dubbio considerare ● quella di giocatore: esordire a 17 anni in una formazione di serie B, in un grande stadio, di fronte a trentamila spettatori, è il massimo per un ragazzo che si affaccia alla carriera di calciatore. Come allenatore, non posso che mettere al primo posto l’esperienza europea, un fatto eccezionale tanto per un professionista quanto per un dilettante. L’esperienza peggiore? Tutte le esperienze sono da ricordare e anche da quelle negative si può trarre un insegnamento. Il calcio mi ha dato grandi soddisfazioni e ritengo che anche su un prato verde, davanti a un pallone, una grande delusione si possa trasformare in uno stimolo positivo. Forse il dolore più grande l’ho provato al momento dell’infortunio; mi sono sentito un po’, come dire, scaricato». Però il carattere e la passione non ti lasciano fermare, vero Del Vecchio? Caterina Brero «Quello dei professionisti non è più football. Ma lo consiglio ancora ai giovani» C onsiderato che il cuore nerazzurro di chi scrive – dopo le ultime vicende del Biscione milanese – piange con amarezza sulle recenti decisioni della dirigenza morattiana, viene inevitabile rivolgere a Michele Del Vecchio, allenatore, una domanda. Davvero, se una squadra è in crisi, la colpa è dell’allenatore? «In una squadra», risponde Michele Del vecchio, «la società deve avere il coraggio di schierarsi. La Juventus in questo fa scuola: anche questa squadra ha dei problemi, ma al vertice c’è una dirigenza che ha la capacità di filtrare tutto. L’allenatore non è mai messo in discussione ed è difeso con fiducia incondizionata dalla società. I panni sporchi si lavano in casa e i giocatori o accettano o se ne vanno. La stessa I ragazzi allenati da Del Vecchio esultano dopo la vittoria europea. cosa vale a livello dilettantistico: è importante amalgamare le situazioni che si vengono a creare e cercare collaborazione e rispetto reciproci». Ma il gioco del calcio cos’è, diventato oggi? «Quello dei professionisti ormai non è più calcio. Le squadre in realtà sono aziende che cercano soprattutto l’immagine. A livello dilettantistico, occorre entrare sempre più nell’ottica di sfruttare al meglio le risorse giovanili, anche perché, diversamente, i costi di gestione rischierebbero di collassare l’ambiente». Già, i giovani. Perché dovrebbero giocare a calcio? «Innanzitutto perché, come ogni sport, li tiene lontani da ambienti sbagliati e perché, tra tutte le discipline, è tra i più puliti ed è un’attività che insegna la vita, con i suoi momenti di gioia, di rabbia, di tristezza, di euforia o di abbattimento. È uno sport importante perché tira prima o poi fuori, da ogni ragazzo che si impegni seriamente, un uomo. Se poi salterà fuori il campione, tanto meglio, ma questa non deve essere la molla che spinge un ragazzo o un genitore a far correre il figlio dietro ad un pallone. In Italia ci so- no due milioni di giocatori di calcio, i professionisti sono duecento! Esaltare a tutti i costi un ragazzo è un grave errore, anche perché spesso accade che chi, a prima vista, parrebbe un fenomeno, poi si sieda sugli allori e non faccia nulla. Così magari cambia anche attività sportiva, mentre chi può sembrare appena bravino, dopo qualche anno di perseveranza e di sacrificio, si rivela davvero bravo». Però Papà Michele, le sue soddisfazioni calcistiche le ha anche in casa, con Maurizio e Marco, entrambi appassionati di calcio e giocatori: Maurizio milita nella Sommarivese; Marcolino, come la chiamano gli amici grandi del fratello, nella formazione degli “esordienti” del Bra, maglia numero 10, capitano. c.b.